Notizie sulle adozioni e sugli affidi

 

 

 

 

Affidi di lunga durata, quattro raccomandazioni per fare buoni progetti

Quasi il 60% degli affidi dura più dei 24 mesi previsti dalla legge. Il fatto è che nei casi in cui siano necessari affidi prevedibilmente lunghi, il progetto di affido deve tenerne conto, fin dall’inizio: il Tavolo Nazionale Affido ci invia un contributo sul tema, con alcuni consigli. L’affidamento familiare ha come caratteristica fondamentale la temporaneità: 24 mesi eventualmente prorogabili. Nella pratica però accade spesso che non si realizzino le condizioni per il rientro nella famiglia di origine e di conseguenza l’affidamento familiare si protrae nel tempo, nel superiore interesse del minore. La “durata lunga” degli affidamenti ha però un’importante rilevanza nella definizione del progetto di affidamento familiare. Il Tavolo Nazionale Affido ci invia un contributo sul tema, anche in vista di un prossimo primo bilancio della legge 173/2015 sulla continuità degli affetti. (sdc)

 

Per inquadrare correttamente la riflessione, è necessario fornire alcuni dati quantitativi relativi agli affidi di lunga durata. Purtroppo gli ultimi dati utilizzabili al livello nazionale sono quelli contenuti nel Rapporto 2012 del Centro nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. L’assenza di dati periodicamente aggiornati sui minori in affidamento familiare e in strutture, sulle cause degli allontanamenti, sugli esiti dell’affido, sui rapporti con la famiglia di origine, sui percorsi per l’autonomia, ecc. rende difficile comprendere appieno l’ampiezza e le caratteristiche di questo fenomeno. Si riportano qui di seguito alcune tabelle con i dati di base contenuti nel già citato Rapporto 2012. Nella tabella 1 si riportano i numeri di bambini e ragazzi da 0 a 17 anni fuori dalla famiglia al 31 dicembre 2012.

Sia gli affidi presso famiglie affidatarie sia gli inserimenti in strutture collettive possono essere di lunga durata. La tabella che segue riporta i dati relativi alla durata degli affidi presso famiglie affidatarie e degli inserimenti presso strutture. Quasi il 60% dei minori in affidamento lo è da più di due anni, confermando dunque che la pratica dell’affido “a lungo termine” è realtà concreta su cui è importante riflettere. Inoltre, il rapporto 2012 riporta che circa il 74% degli affidi sono di tipo giudiziale, non è tuttavia possibile evincere il dato di quanti di essi siano affidamenti consensuali diventati giudiziari dopo i due anni, come previsto dalla normativa vigente.

Come già rilevato nel documento del 2012 del Tavolo Nazionale Affido sul tema della continuità degli affetti dei minori affidati, anche se l’esito dell’affido dovrebbe essere il rientro del bambino nella sua famiglia d’origine, tuttavia, «un affidamento non può essere giudicato riuscito o meno solo in base alla sua durata e all’effettivo rientro del bambino nella sua famiglia d’origine […] L’attuale normativa non pregiudica, positivamente, la possibilità di affidi a lungo termine se questo corrisponde all’interesse del minore: sono molti i casi in cui i genitori al di là dei sostegni non sono in grado di provvedere da soli alla crescita del minore, pur non ricorrendo gli estremi per la dichiarazione di adottabilità. È tuttavia da stigmatizzare il fatto che in molti casi l’affidamento si prolunghi per l’inerzia delle istituzioni a sostenere con interventi adeguati la famiglia d’origine e a causa della mancata messa a disposizione delle famiglie in difficoltà di aiuti non solo economici e assistenziali, ma anche di quelli che afferiscono alla casa, al lavoro, all’affiancamento amicale. In tal senso il realizzarsi di affidamenti di lunga durata, anche se adeguati e necessari in taluni specifici casi, non può essere considerato la normalità e deve essere sempre sostenuto da specifici progetti monitorati con regolarità».

Ci sono infatti situazioni in cui la famiglia di origine – a volte composta da un solo genitore – non è in grado di rispondere da sola e in maniera adeguata alle necessità educative e formative dei propri figli (né si prevede che possa divenirlo), con i quali ha però legami affettivi significativi che vanno salvaguardati. Nei confronti di questi minori che per la gravità e complessità della loro situazione familiare non possono tornare a casa dopo due anni di affidamento ed al tempo stesso non sono adottabili, l’intervento privilegiato è l’affidamento familiare, che quando è disposto dal Tribunale per i minorenni, può avere una durata anche superiore ai due anni. Anche la legge 173/2015 sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare, che ha novellato l’art. 4 della 184/83, precisa che la lunga durata dell’affido non determina, di per se, l’adottabilità del minore. Anche in questi casi gli affidatari continuano a svolgere una funzione complementare e non sostitutiva della famiglia d’origine, a differenza di quanto avviene con l’adozione.

Questi affidamenti possono prolungarsi per anni e, se necessario, anche fino alla maggior età se non oltre, ma assicurano al minore il diritto di crescere in famiglia, coerentemente a quanto enunciato dalla legge n. 184/1983 e successive modifiche e integrazioni e – salvo controindicazioni – garantiscono il mantenimento delle relazioni tra il bambino/ragazzo e la sua famiglia di origine. Gli affidamenti di lunga durata presuppongono comunque l’esistenza di un legame affettivo significativo fra il bambino e la sua famiglia d’origine o, almeno, con alcuni componenti della sua famiglia. Legame affettivo che si deve sostanziare anche con la possibilità di incontri periodici del minore con i familiari.

L’affido familiare ha come caratteristica principale quella di offrire ad un minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo una famiglia, preferibilmente con figli minori, o una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno fino a quando non sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d’origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore. La durata dell’affido nella casistica rilevata negli anni anche dagli organismi appartenenti al Tavolo si traduce in una pluralità di situazioni riassumibili in due gruppi (della possibilità di immaginare fin dall’inizio due percorsi distinti aveva parlato a Vita un anno fa anche Giuseppe Spadaro, presidente del tribunale dei minorenni di Bologna):

  1. Affidi di durata prevedibilmente medio-breve. Rappresentano gli affidi in cui la famiglia di origine presenta fragilità transitorie e recuperabili in maniera sufficiente attraverso percorsi mirati. Ci si augura rappresentino il filone principale degli affidamenti familiari e richiedono progettazione, abbinamento, monitoraggio e accompagnamento adeguati alle ridotte prospettive temporali;

  2. Affidi di durata prevedibilmente lunga. Sono gli affidamenti realizzati in quelle situazioni nelle quali, a volte fin da subito, si arriva a ipotizzare che vi sia la realistica impossibilità di prevedere un rientro del minore a casa, pur permanendo e valorizzando la relazione con la famiglia di origine. Sono finalizzati al sostegno a quelle famiglie di origine che presentano delle fragilità parzialmente superabili, ma che al contempo mantengono delle competenze genitoriali di cui è ritenuto opportuno che il minore continuino a beneficiare, e ci siano le premesse per una buona interazione tra le due famiglie (affidataria e affidante). Sono da considerarsi affidi di durata presumibilmente lunga anche quelli relativi alle situazioni – non rare – nelle quali non è possibile prevedere fin dall’inizio quali saranno le possibilità o i tempi di superamento della situazione di difficoltà familiare che rendono necessario l’affidamento. Tali situazioni sovente richiedono tempi di valutazione, nonché progetti, medio-lunghi. È a queste situazioni che si rivolge il presente documento.

Diversi da quanto sopra descritto sono gli affidamenti a rischio giuridico, connessi fin da subito all’apertura della procedura di adottabilità.

Le organizzazioni del Tavolo Nazionale Affido ritengono corretto parlare di “affidamenti di lunga durata” per sottolineare che essi debbono rispondere a specifiche e pensate progettualità che nel corso del tempo assumono caratteristiche, contenuti e obiettivi che inducono responsabilmente a continuare il progetto e il percorso in atto di affidamento familiare nel superiore interesse del minorenne accolto. Meno opportune paiono le diciture quali “affido sine die” o “affidi fino alla maggiore età” o “affidi senza termine”, per definire questa tipologia di affido.

Raccomandazioni per un buon affidamento familiare di lunga durata. Di seguito si individuano alcuni elementi e caratteristiche, che riteniamo facilitino un buon affidamento familiare di lunga durata:

  • Il progetto. L’affidamento di lunga durata occorre sia pensato, progettato ed assunto come una forma specifica di affido. La lunga durata inciderà sulla definizione degli obiettivi, delle modalità di svolgimento dell’affido, dei criteri di verifica della disponibilità degli affidatari e del conseguente abbinamento con il minorenne e sulla definizione dell’articolazione del ruolo dei vari soggetti coinvolti. Nell’elaborazione del progetto specifico è pertanto necessaria la definizione di una prevedibile durata dell’affidamento, che presuppone una valutazione tempestiva, approfondita e realistica da parte delle istituzioni competenti della situazione personale e familiare del minore, compresa quella delle capacità genitoriali e del loro recupero, anche parziale, in relazione alle sue esigenze di crescita, tenuto conto degli interventi che realisticamente possono essere attivati dai Servizi competenti e della capacità dei genitori/parenti del minore di poterne fruire in base alle loro condizioni.

  • L’accompagnamento. L’affido di lunga durata occorre sia accompagnato da interventi specifici ed individualizzati e sostenuto anche economicamente dall’ente affidatario. È importante evidenziare la necessità di una periodica revisione dell’andamento dell’affidamento da parte del Tribunale per i minorenni, sulla base della relazione semestrale del servizio sociale referente e dell’audizione-ascolto degli stessi servizi sociali e sanitari, degli affidatari, della famiglia di origine e, quando nel suo interesse, del minorenne stesso. La lunga durata può rendere inoltre particolarmente utile l’affiancamento degli affidatari da parte di altri operatori e/o volontari che possano nel tempo offrire supporti relativi a specifici aspetti (sostegno scolastico pomeridiano, accompagnamenti a scuola, attività sportive …) o anche effettuare – in accordo con i servizi – brevi ospitalità del minorenne a fronte di particolari esigenze degli affidatari.

  • L’ascolto e la partecipazione del minore e dei suoi genitori. Nell’attuazione del progetto di affido di lunga durata, va richiamato il diritto alla partecipazione e all’ascolto del minore «che ha compiuto dodici anni o anche di età inferiore se capace di discernimento», ovviamente secondo modalità adeguate all’età e alla condizione personale. Importante è anche l’ascolto e la partecipazione dei genitori del minorenne, affinché siano messi nella condizioni di comprendere e contribuire alla definizione del progetto di affido e alla sua realizzazione e verifica periodica. L’ascolto e la partecipazione del minorenne al proprio percorso progettuale non possono però essere confusi con l’attribuzione della responsabilità ultima delle decisioni al minorenne stesso rinunciando all’esercizio dovuto della responsabilità da parte delle Istituzioni preposte, servizi e giudici, sentiti anche gli affidatari, in base a quanto disposto dalla legge 173/2015.

  • Maggiore riconoscimento del ruolo della famiglia affidataria. Significativo nell’esperienza di affidamento familiare di lunga durata di un minore è che la famiglia affidataria sia ascoltata dall’Autorità Giudiziaria per contribuire alla realizzazione del progetto e alla verifica periodica. La durata prolungata del periodo di affidamento deve coniugarsi pienamente non solo con i compiti della famiglia affidataria ma anche con la piena attuazione di tutte le prescrizioni previste dalla legge 184/83 in merito ai rapporti con la scuola e con la sanità. È quindi necessario che sia prevista una certa maggiore autonomia decisionale da parte della famiglia affidataria. È opportuno che, nei casi di decadenza della responsabilità genitoriale disposta dal tribunale per i minorenni, venga valutata la possibilità degli affidatari di essere nominati come tutori. Occorre altresì ricordare che spesso i ragazzi in affido raggiungono la maggiore età e rimangono in famiglia affidataria. Anche in questi casi è necessario garantire concrete e durature misure di avvio all’autonomia per i neomaggiorenni (tirocini, stage, ecc.) e misure di sostegno anche economico a favore delle famiglie affidatarie. Rendere possibile che una famiglia si impegni in affidi di lunga durata passa, infine, attraverso la necessità di riconoscere che essa possa essere accompagnata e sostenuta nel percorso dalle Associazioni o Reti di famiglie da lei eventualmente indicate alle quali deve esser riconosciuto il compito di accompagnamento nei rapporti con i servizi sociali e gli organi giudiziari in tutte le fasi dell’affido.

Marco Giordano, presidente di Progetto Famiglia e portavoce del Tavolo Nazionale Affido 09 gennaio 2017

www.vita.it/it/article/2017/01/09/affidi-di-lunga-durata-quattro-raccomandazioni-per-fare-buoni-progetti/142077

 

Adozioni internazionali, ecco come è andato il 2016

Gli Enti autorizzati stanno iniziando a pubblicare i dati statistici relativi al 2016. Abbiamo raccolto i numeri già pubblicati: si tratta di un campione di enti che rappresenta circa la metà delle adozioni realizzate. Nel 2016 i bambini che hanno trovato una famiglia in Italia sono diminuiti del 15%. Il calo più vistoso è per gli enti più grandi.

I dati sono indispensabili dicono alcuni. No, l’ossessione per i dati è un falso problema, ribattono altri. Ma come sono andate le adozioni internazionali nel 2016? Gli enti autorizzati alle adozioni internazionali, con l’inizio del nuovo anno, stanno iniziando a pubblicare sui loro siti le statistiche relative all’anno appena concluso: ecco una prima panoramica, assolutamente parziale, attraverso le informazioni già messe online dagli stessi enti.

Cifa e Aibi, gli enti autorizzati tramite cui nel 2015 più bambini avevano trovato una famiglia in Italia, nel 2016 hanno visto una forte contrazione degli arrivi. Il Cifa passa da 247 bambini adottati nel 2015 a 169, Aibi da 175 a 107. Il terzo ente, per numero di bambini arrivati, è Naaa: sono 104 i bambini adottati nel 2016, contro i 113 dell’anno precedente.

Complessivamente questi tre enti nel 2016 hanno accompagnato l’adozione di 380 minori, rispetto ai 535 dello scorso anno, che significa un calo del 29%. Quanto ai paesi di origine, stando a soli questi tre enti, la Cina risulta essere è il primo paese di provenienza dei bambini adottati da famiglie italiane: sono nati in Cina cento bambini adottati nel 2016 da famiglie italiane (il 26% del totale dei minori entrati con questi tre enti), di cui 66 con il Cifa (il secondo paese con cui l’ente ha lavorato è stata la Federazione Russa, da cui sono arrivati 48 minori), 23 con Aibi (ma da Perù e Brasile sono arrivati rispettivamente 21 e 17 minori), 11 con Naaa (che ha lavorato soprattutto con il Vietnam, da cui sono arrivati 28 bambini). «Siamo ancora l’ente autorizzato che ha portato a termine il maggior numero di adozioni internazionali in Italia, è un primato che ci riempie di orgoglio perché dietro a ogni numero c’è un bambino in carne e ossa», afferma il presidente Gianfranco Arnoletti, sottolineando come «la contrazione dei numeri significa la riduzione del numero di bambini che hanno visto rispettato il diritto di avere una famiglia grazie all’adozione».

Andando online sui siti dei vari enti autorizzati si trovano altri numeri. Con il Ciai sono entrati 50 bambini, numero sostanzialmente stabile rispetto ai 54 del 2015. Paola Crestani tuttavia sottolinea la preoccupazione già portata in Commissione Giustizia: «per ogni bambino a cui Ciai è riuscita a trovare famiglia, ce n’è un altro per cui non ci siamo riusciti. Abbiamo mandato indietro dossier di grossomodo altrettanti bambini, con special needs, per cui non abbiamo trovato famiglie disponibili», spiega. Bambarco scende da 54 a 38 minori, Spai passa da 72 a 77, con Nova erano arrivati 44 bambini nel 2015 mentre gli arrivi nel 2016 sono stati 53, La Maloca nel 2016 arriva a 21 minori adottati in Colombia, rispetto ai 18 dell’anno precedente. Avsi sale da 17 a 21 adozioni concluse, e il dato parziale di Fondazione Patrizia Nidoli dice di 45 bambini entrati al 30 novembre 2016, contro i 79 del 2015. Crescono molto i numeri di Enzo B: 70 minori adottati nel 2016 rispetto ai 45 del 2015, il Centro Aiuti per l’Etiopia conferma il suo trend, con 49 bambini adottati rispetto ai 50 del 2015, con Asa hanno trovato famiglia 53 minori, cinque in più dei 48 dell’anno scorso. Con La Primogenita i minori adottati nel 2016 sono stati 25 ed erano stati 40 l’anno precedente, con l’Arcobaleno 13 contro i 27 dell’anno prima, altri 33 bambini sono entrati in Italia con Ernesto, erano stati 32 nel 2015. Con Amici Missioni Indiane sono stati adottati 24 minori, uno in più del 2015. Ventuno i minori adottati con Aiau nel 2016, erano 18 nel 2015 e quindici le adozioni realizzate nel 2016 da Famiglia Insieme (in questo caso si tratta di adozioni, non di minori, che potrebbero essere anche in numero maggiore), contro le 10 del 2015.

Sommando questi dati nel 2016 si arriva ad almeno 988 bambini adottati in Italia, contro gli almeno 1.166 adottati nel 2015 da questi stessi enti citati, con un trend che vede un calo complessivo del 15% delle adozioni rispetto all’anno precedente. Si tratta – lo ribadiamo – di dati parziali (l’anticipazione statistica del report ufficiale della Commissione Adozioni Internazionali nel 2015 contava 2.216 minori adottati in Italia, quindi con i loro 1.166 adottati nel 2015 questi enti rappresentano circa la metà delle adozioni internazionali realizzate in quell’anno) e provenienti esclusivamente dalle informazioni che gli enti hanno già pubblicato sui loro siti.

Sara De Carli Vita.it 10 gennaio 2017

www.vita.it/it/article/2017/01/10/adozioni-internazionali-ecco-come-e-andato-il-2016/142083

 

Genitori adottivi in attesa scrivono a Gentiloni

La CAI ha volutamente azzerato ogni contatto con noi famiglie: occorre subito un nuovo Presidente”

Da anni attendono di poter diventare genitori di bambini che, dall’altra parte del mondo, aspettano che venga restituito loro l’amore di una famiglia. Da troppo tempo sopportano la paralisi della Commissione Adozioni Internazionali che ha azzerato ogni tipo di contatto con loro. Hanno visto le proprie speranze tradite nel momento in cui neppure con la nuova presidente della Cai, l’ex ministro Boschi, c’è stata alcuna evoluzione della situazione. Ora le famiglie adottive in attesa dei loro figli, riunite nel comitato Family for Children, si rivolgono direttamente al neopremier Paolo Gentiloni. Chiedendogli di rimettere finalmente in moto la macchina della Cai. Di seguito riportiamo integralmente che queste famiglie hanno rivolto al premier.

 

Onorevole Presidente Paolo Gentiloni,

Le scriviamo perché siamo sicuri che la Sua dimostrata sensibilità Le consentirà di raccogliere il nostro appello senza particolari patemi. Family for Children è l’espressione di un comitato spontaneo nato per raccogliere le storie di tante famiglie adottive che sono finite in un tunnel senza via di uscita. Da anni, davvero tanti anni, abbiamo consegnato nelle mani di diversi enti autorizzati le nostre speranze di diventare genitori e, allo stesso tempo, abbiamo assegnato agli stessi enti l’impegno di dare ai tanti bambini in difficoltà una famiglia che li possa accogliere e crescere amorevolmente.

Ad oggi, purtroppo, le nostre speranze non si sono tramutate in realtà. Al puzzle delle nostre famiglie manca ancora un pezzo. In questo tempo abbiamo atteso con pazienza che il nostro percorso si compisse. Con gli anni abbiamo accettato ogni tipo di giustificazione ed abbiamo prolungato le nostre attese a tempo indeterminato.

Lo stallo della Commissione Adozioni Internazionali ha peggiorato la situazione delle famiglie. Ogni contatto è stato volutamente azzerato. Ogni risposta a qualsiasi domanda puntualmente evitata.

Lo stallo della Commissione Adozioni Internazionali ha peggiorato tutto. Ogni contatto con le famiglie è stato volutamente azzerato. Ogni risposta a qualsiasi nostra domanda puntualmente è stata evitata. Ma noi non molliamo e mai ci siamo abbattuti. Abbiamo messo insieme le nostre speranze, condiviso i nostri dubbi e abbiamo dato vita a Family for Children. Attraverso questo strumento di sensibilizzazione abbiamo cercato un interlocutore politico che potesse assicurare la tutela e l’assistenza necessarie per permetterci di svolgere al pieno il nostro ruolo come genitori adottivi. Nel ministro Maria Elena Boschi, infatti, avevamo trovato un presidente Cai che ha raccolto le nostre denunce e che ha ascoltato le nostre vicissitudini ma, purtroppo, non abbiamo assistito finora ad alcuna evoluzione o azione compiuta in modo da porre fine a questa vergognosa situazione.

Di conseguenza ci rivolgiamo a Lei, nella speranza che il suo Governo sia in grado di rimettere in moto la macchina della Commissione Adozioni Internazionali al fine che la stessa, finalmente, possa tornare ad adempiere quei compiti di vigilanza su tutti gli enti autorizzati che, ad oggi, non sono più rinviabili.

Family for Children chiede che vengano prese tutte le misure necessarie per impedire qualsiasi pratica contraria agli scopi della Convenzione de l’Aja. E soprattutto chiediamo che in ogni azione compiuta dal Governo Italiano venga considerato l’interesse superiore dei bambini che aspettano dall’altra parte del mondo la propria famiglia. Le famiglie adottive sono un’importante risorsa per i bambini e per la società in cui viviamo. Aspettiamo un segnale determinante dal suo Governo che possa risolvere le questioni sollevate dalle famiglie e, innanzitutto, che possa soddisfare il diritto fondamentale di ogni bambino ad una famiglia permanente.

Gentile Presidente, Le auguriamo una pronta guarigione. La sua agenda politica è piena di impegni, prenda nota anche di noi: consenta ai nostri figli il diritto di avere una famiglia. Non si scordi di loro.

News Ai. Bi. 12 gennaio 2017

www.aibi.it/ita/presidente-gentiloni-consenta-ai-nostri-figli-il-diritto-di-avere-una-famiglia

 

Deduzione del 50% delle spese sostenute anche se l’adozione non va a buon fine

Sentite forte la vocazione all’accoglienza di un bambino abbandonato, ma le spese dell’iter adottivo vi frenano dall’intraprendere questa meravigliosa esperienza? Niente paura. La legge prevede la possibilità di dedurre la metà degli esborsi sostenuti per l’adozione internazionale. Un’opportunità che riguarda tutti gli aspiranti genitori. Anche quelli che, per un motivo o per un altro, non dovessero riuscire a portare a termine il percorso adottivo.

Ma vediamo nello specifico che cosa prescrive la legislazione italiana. La legge 184 del 1983, con gli articoli dal 29 al 39, disciplina le disposizioni relative all’adozione internazionale di minori stranieri. Tra i vari aspetti regolamentati, c’è anche la possibile deduzione al 50% delle spese sostenute per l’iter adottivo. Deduzione che può essere fruita indipendentemente dall’esito dell’adozione. La possibilità, quindi, vale anche per chi non riesce ad acquisire lo status di genitore adottivo.

A poter fruire della deduzione, dunque, sono in generale tutti coloro che aspirano a diventare papà a mamme di un bambino straniero e che intraprendono la procedura internazionale per l’adozione, così come disposto dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 77/E del 28 maggio 2004. La ragione di questa scelta sta nel fatto che, anche qualora l’adozione non vada a buon fine, alcune spese vengono comunque sostenute dagli aspiranti genitori. E pertanto, a patto che sussistano tutti gli altri requisiti richiesti dalla legge, anche in questi casi è prevista la possibilità di dedurre la metà degli esborsi.

Talvolta, infatti, la procedura adottiva si arresta in uno stadio piuttosto avanzato. Alla coppia, per esempio, è richiesta la presenza nel Paese di origine del minore a cui è stata abbinata, per un periodo di tempo anche piuttosto lungo. In questo lasso di tempo, che serve sia agli aspiranti genitori che al minore per verificare se ci sia compatibilità reciproca, può capitare che una delle parti decida di rinunciare all’adozione per incompatibilità caratteriale o per qualsiasi altri motivo. Ma fino a questo momento, la coppia ha già sostenuto delle spese: esborsi che la legge permette di dedurre, appunto, del 50%.

In virtù di tale normativa, quindi, non c’è ragione per rinunciare a intraprendere il percorso dell’adozione internazionale per paura di perdere del tutto il denaro impiegato per sostenere le spese dell’iter nel caso quest’ultimo non vada a buon fine. La vocazione all’accoglienza e l’impegno economico affrontato per ridare una famiglia a un bambino abbandonato non vengono ignorati in alcun caso. Neppure a livello fiscale.

Fonte: Investire Oggi News Ai. Bi. 9 gennaio 2017

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-anche-il-fisco-premia-la-vocazione-allaccoglienza

 

Sardegna. Al via il Quaf per le coppie di Ai.Bi. Primo passo verso la gratuità.

 

            L’alba della nuova adozione nasce da Occidente. È in Sardegna, infatti, che è stato compiuto da Amici dei Bambini il primo passo verso la gratuità dei processi adottivi. Un risultato raggiunto grazie alla preziosa collaborazione della Regione Sardegna che nel 2014 ha stanziato un contributo di circa 20mila euro a favore di ogni ente autorizzato per l’adozione internazionale presente e attivo sull’isola. Tra questi, naturalmente, c’è anche Ai.Bi., con la sua sede di Cagliari. Lo scopo di tale finanziamento era quello di aiutare gli enti stessi a rinforzare la propria attività sul territorio e di sostenere le famiglie desiderose di accogliere un bambino abbandonato proveniente da lontano. Le aspiranti coppie adottive che hanno dato mandato agli enti beneficiari del contributo hanno, infatti, tratto un vantaggio economico non indifferente dai fondi stanziati dalla Regione.

 

Oltre a una parte del finanziamento destinata a supportare i costi strutturali dell’ente, la parte restante è stata invece dedicata da Ai.Bi. Sardegna a sostenere, in modo sia diretto che indiretto, gli aspiranti genitori. Le 8 coppie che hanno conferito mandato ad Ai.Bi. hanno potuto quindi beneficiare di un contributo economico: ad alcune di loro è andato il sostegno-base, mentre le altre hanno ricevuto un sostegno maggiore e proporzionale alla loro situazione reddituale.

 

Per calibrare al meglio l’intervento, si è ricorso al cosiddetto Quaf (Quoziente Adottivo Familiare), ideato per Amici dei Bambini dal Centro Clesius di Trento, lo stesso soggetto che ha ideato l’Isee (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) per il suo territorio. A partire da questa esperienza si è deciso quindi di elaborare un indicatore patrimoniale in base a parametri specifici in grado di rappresentare il reddito realmente disponibile per le famiglie. Il Quaf, per esempio, valuta la condizione economica netta del nucleo familiare, migliora l’effetto selettivo del patrimonio e tutela significativamente il risparmio delle famiglie, escludendo la valutazione della prima casa.

Ma il sostegno che Ai.Bi. e Regione Sardegna hanno offerto alle aspiranti coppie adottive non si è fermato lì: altra forma di supporto all’adozione è stata la possibilità offerta ai futuri genitori di partecipare ai corsi di formazione in modo del tutto gratuito.

Il Quaf è stato applicato nel 2014 in via sperimentale con l’auspicio che possa diventare al più presto parte integrante dei protocolli operativi regionali. La riduzione dei costi dell’adozione, effettuata sulla base della reale situazione patrimoniale della famiglia, resa possibile grazie alla collaborazione tra Regione ed ente autorizzato, risponde alla necessità di promuovere e incoraggiare all’adozione, offrendo un aiuto concreto a chi sogna di accogliere un bambino abbandonato, ma non ha le risorse economiche sufficienti per farlo. Un primo passo importante, quindi, verso la gratuità dell’adozione.

 

Aibi     7 aprile 2015                          www.aibi.it/ita/category/archivio-news

 

Il registro dei donatori è realtà. Quello per i minori adottabili invece resta la solita chimera.

Quando si dice “due pesi e due misure”. L’adozione è in crisi? I nostri governanti la mettono da parte, ignorando una proposta di riforma della legge che la regola depositata da quasi un anno e mezzo in Parlamento. L’eterologa, a dispetto delle attese, si rivela un flop? Si corre subito ai ripari.

            Sembra proprio questo l’atteggiamento della politica italiana che pare voler venire incontro solo alle necessità di chi vuole un figlio a tutti i costi, ignorando invece il diritto di milioni di bambini abbandonati ad avere un padre e una madre. Con la legge di Stabilità per il 2015, infatti, viene istituito un registro nazionale per i donatori di cellule riproduttive a scopi di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. E ciò per far fronte a quella che è risultata la vera causa dei numeri molto bassi che l’eterologa ha fatto registrare nel 2014 in Italia: la quasi totale mancanza di donatori.

            La legge di Stabilità, approvata poco prima di Natale, quindi, corre in soccorso delle Linee guida emanate dalle Regioni che su questo punto si erano dimostrate lacunose. Nel registro saranno annotati i nomi di tutti i soggetti ammessi alla donazione, mediante l’attribuzione di un codice per ciascun donatore. L’obiettivo è quello di garantire la tracciabilità del percorso delle cellule riproduttive dal donatore al neonato e viceversa: una modalità che permetterà anche di contare il numero di bebè generati dalle cellule riproduttive dello stesso soggetto. Le strutture sanitarie avranno compiti di comunicazione al registro donatori con tecniche informatiche idonee e di garanzia dell’anonimato. Il registro sarà istituito presso il Centro nazionale trapianti nell’ambito del Sistema informativo trapianti (Sit) dell’Istituto superiore di sanità. Per questa misura, la legge di Stabilità ha stanziato 700.810 euro per il 2015 e 150.060 euro dal 2016 in poi.

            Mentre sul fronte dell’eterologa le normative si perfezionano, quindi, nulla si muove nella direzione di un registro dei minori adottabili e delle coppie di aspiranti genitori. Una misura che ha alle spalle una lunga storia. Sono passati quasi 14 anni, infatti, da quando la legge 149 del 2001 l’ha prevista per la prima volta. Tre anni dopo sono arrivate le norme di attuazione e organizzazione della banca dati, ma si è dovuti arrivare al febbraio 2013 per ottenere la firma del ministero della Giustizia sul regolamento che avrebbe dato vita alla banca dati. Nel frattempo, Amici dei Bambini, che ha da sempre portato avanti la battaglia per l’istituzione del registro, ha vinto anche un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio che, nell’ottobre 2012, dichiarò inadempiente il ministero che non aveva ancora provveduto a realizzare la banca dati. Che tutt’ora non ha ancora visto la luce, nonostante sia sempre più necessaria, soprattutto alla luce della grave recessione che l’adozione sta vivendo da circa un lustro. Davanti alla crisi dell’accoglienza, poter disporre di uno strumento che semplifichi l’”incontro” tra coppie disposte all’adozione e minori adottabili rappresenterebbe sicuramente un mezzo in grado di rendere meno tortuosa la strada che conduce un bambino abbandonato verso una nuova famiglia. Invece, a quanto pare, si preferisce dare priorità alla “procreazione per forza” e mettere in secondo piano il destino di tanti bambini già nati e rimasti soli.

Ai. Bi.             30 dicembre 2014                              www.aibi.it/ita/category/archivio-news

                                               ADOZIONI INTERNAZIONALI

La CAI mantiene “top secret” le visite delle delegazioni straniere in Italia.

Enti autorizzati mai coinvolti né informati. Non rispettate le linee guida della stessa CAI. Una volta si cercava di tenere nascosto l’amante. Ora si tenta di mantenere il segreto anche sull’ospite. Pare essere questa la scelta della Commissione Adozioni Internazionali in merito alle visite in Italia delle delegazioni delle autorità centrali per le adozioni degli altri Paesi. In tutti gli ultimi casi, infatti, gli incontri tra i rappresentanti della CAI e i loro colleghi stranieri sono avvenuti nel riserbo più generale. Un riserbo mantenuto, paradossalmente, anche nei confronti degli enti autorizzati, ovvero i soggetti maggiormente interessati al buon esito di tali incontri, i quali avrebbero avuto il diritto non solo di essere informati, ma anche di partecipare a tali incontri.

            Lo prevedono, del resto, le stesse Linee Guida della CAI. La Delibera 3/2005/SG, infatti, al paragrafo 9, quello dedicato alla “Collaborazione Istituzionale”, afferma: “E’ invalsa la prassi che la Commissione, in occasione di visite in Italia di rappresentanti di istituzioni straniere, crea occasioni di incontro con tutti gli enti che operano sul Paese” di provenienza della rappresentanza. “Ciò al fine, da una parte di consentire alle autorità di riferimento di approfondire tematiche inerenti all’adozione e di incontrare i servizi territoriali, i giudici minorili, di visitare le case-famiglia, per una piena comprensione del fenomeno delle strutture e delle istituzioni coinvolte nel percorso procedurale di adozione; dall’altra per consentire” agli enti autorizzati “di intensificare i rapporti di collaborazione all’estero”.

            Ma tutto ciò alla CAI evidentemente non interessa, in linea con la strategia che pare avere messo in atto da qualche tempo: mettere ai margini gli enti autorizzati.

            Gli episodi simili del resto si susseguono. Il 25 luglio 2014 la delegazione del Burundi arriva in Italia per firmare l’accordo bilaterale con le Autorità del nostro Paese. Ma la Commissione non invita gli enti a prendere parte né all’incontro con la rappresentanza dell’Autorità burundese, né a un tavolo preparatorio in vista della firma del documento. La storia si ripete meno di due mesi dopo. Questa volta è la delegazione cambogiana ad arrivare a Roma per la sottoscrizione dell’accordo bilaterale. È il 17 settembre. I contenuti del documento vengono resi noti soltanto 41 giorni dopo, il 28 ottobre. Anche in tale occasione, nessun ente è stato invitato a prendere parte all’incontro. In questo caso specifico, poi, vi è anche un punto dell’accordo rimasto avvolto nel mistero per lungo tempo: quello relativo al numero di enti che sarebbero stati potenzialmente autorizzati a operare nel Paese asiatico, se 8 o solo uno.

            Non c’era in ballo un accordo bilaterale, ma anche in occasione dell’incontro tra la delegazione della CAI e quella cinese, gli enti non sono stati coinvolti. Siamo a novembre e la rappresentanza della Cina sbarca a Roma per un confronto con la nostra Commissione in merito allo stato delle adozioni internazionali.

            Questo comportamento da parte della Commissione è stato oggetto, insieme ad altri aspetti quantomeno controversi del suo modus operandi, dell’interpellanza presentata al Senato dal capogruppo del Nuovo Centrodestra Maurizio Sacconi il 30 ottobre. “Nonostante gli enti autorizzati rappresentino nella materia delle adozioni internazionali uno strumento operativo di fondamentale importanza e di interfaccia fra la Commissione, da una parte, e le autorità straniere e le famiglie adottanti, dall’altra, – si legge nel testo dell’interpellanza – le recenti visite in Italia delle delegazioni di Paesi stranieri si sono svolte, diversamente dalla prassi consolidata nel passato, senza il coinvolgimento degli enti stessi e senza l’organizzazione di incontri con i bambini originari di quei Paesi e le loro nuove famiglie”.

            Negli stessi termini si era espresso, due settimane prima, il 16 ottobre, anche il senatore Carlo Giovanardi, sempre del Ncd, con un’interpellanza successivamente ritirata e sostituita da quella presentata da Sacconi.

            Una questione sulla quale la CAI non ha ancora fornito spiegazioni. In compenso, continua a non tenere in alcun conto la presenza degli enti, “dimenticando” che questi, per la legge italiana, sono un soggetto imprescindibile per il destino dell’adozione internazionale.

            Insomma, alla luce di tutto questo una domanda sorge spontanea: una CAI che non rispetta le sue stesse linee guida come può pretendere e come può vigilare sul fatto che gli enti autorizzati le rispettino.

Ai. Bi.             30 dicembre 2014                              www.aibi.it/ita/category/archivio-news

 

 

 

Adozioni dei minori da parte delle famiglie affidatarie.

 

            Nota del Tavolo nazionale affido sul Testo Unificato presentato dalla Commissione Giustizia del Senato della Repubblica inerente il Disegno di Legge S. 1209 (Francesca Puglisi) in materia di adozioni dei minori da parte delle famiglie affidatarie.

            Il 4 novembre 2014 La Commissione Giustizia del Senato ha conferito mandato alla relatrice a riferire favorevolmente all’Assemblea sul disegno di legge in titolo come modificato dalle proposte emendative approvate, autorizzandola nel contempo ad apportare le modifiche di coordinamento che si dovessero rendere necessarie.

www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/testi/43659_testi.htm

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=811884

Il Tavolo Nazionale Affido, organismo di raccordo tra le associazioni nazionali e le reti nazionali e regionali di famiglie affidatarie, già intervenuto nel giugno 2012 sul tema della tutela della continuità degli affetti dei minorenni affidati, presenta di seguito le proprie considerazioni inerenti il DDL S. 1209 (Puglisi) così come declinato nel testo unificato – che si allega in appendice – presentato in data 11 novembre 2014 dalla Commissione Giustizia del Senato della Repubblica.

            Diritto alla continuità degli affetti. Si esprime innanzitutto positivo apprezzamento per il condivisibile intento di garantire al minorenne affidato la continuità delle relazioni significative sviluppatesi durante l’affidamento. Tutela che, nei limiti del superiore interesse del minorenne, viene opportunamente declinata sia rispetto al prosieguo dei rapporti con gli affidatari, nel caso in cui il minorenne rientri nella famiglia di origine o venga adottato da altra famiglia (art. 4, comma 5-ter), sia in merito alla possibilità che gli stessi affidatari, ricorrendone le condizioni, ne divengano adottanti (art. 4, comma 5-bis).

Prolungato periodo di affidamento. Pienamente condivisa la specifica che restringe l’applicazione delle nuove norme ai soli casi di “prolungato periodo di affidamento”, volendo così meglio esplicitare  il significato attribuito dal legislatore alla “significatività dei legami socio-affettivi”. Ulteriore positiva accentuazione in tal senso è data dal comma 5-bis laddove si precisa che il rapporto tra il minorenne e la famiglia affidataria deve essere “stabile e duraturo”.

            Passaggio da affidatari ad adottivi, Il passaggio dall’essere famiglia affidataria di un minorenne al divenirne famiglia adottiva, tema assai rilevante e complesso, si ritiene adeguatamente circoscritto ai soli casi in cui gli affidatari siano in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 6 della legge 184/83 (l’essere coniugati e il dimostrare la stabilità del rapporto di coppia, il possedere una certa differenza di età con il minorenne) il che evita improprie derive verso l’adozione di minorenni da parte di persone single o anziane. Unica eccezione quella introdotta nell’art. 44, comma 1, lett. a, che apre anche ad affidatari single ed anziani la possibilità di adottare i minorenni loro affidati se trattasi di orfani di entrambi i genitori e se durante il prolungato affido si sia sviluppato un legame significativo. Su questo aspetto potrebbero addensarsi talune perplessità, anche se trattasi di una casistica assai limitata.

            Presupposto della dichiarazione di adottabilità. Unica preoccupazione suscitata dal DDL Puglisi riguarda il rischio di un’errata interpretazione della prima parte del comma 5-bis, laddove, la frase “Qualora, a seguito di prolungato periodo di affidamento, il minore sia dichiarato adottabile …” potrebbe essere interpretata come rapporto di causa-effetto tra la lunga durata dell’affidamento e la dichiarazione di adottabilità. Come se fosse il prolungato affidamento a configurare la fattispecie dello stato di adottabilità. A tal proposito sarebbe preferibile sostituire la dicitura “a seguito”, con il meno travisabile “durante”. Si intende, infatti, evitare lo svilupparsi di pericolose derive interpretative che rischierebbero di alterare la natura dell’affidamento, trasformandolo da un intervento orientato al rientro del minore nella sua famiglia ad un intervento che ne causerebbe di per se stesso il definitivo allontanamento.

            Ascolto del minorenne e degli affidatari. Positive infine le integrazioni di cui all’art. 4 comma 5-quater e all’art. 5 comma 1, richiamanti l’obbligo del giudice di ascoltare rispettivamente il minorenne ultradodicenne (o anche più piccolo, in misura della capacità di discernimento) e gli affidatari. Assai utile in quest’ultimo caso la pena di nullità dei procedimenti in cui si fosse omesso di convocare gli affidatari.

            Le organizzazioni del Tavolo Nazionale Affido

Ai.Bi. (Associazione Amici dei Bambini), ANFAA (Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie), Ass. COMETA, Ass. COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XXIII, Ass. FAMIGLIE PER L’ACCOGLIENZA, CAM (Centro Ausiliario per i problemi minorili – Milano), BATYA (Associazione per l’Accoglienza, l’Affidamento e l’Adozione), CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza), COORDINAMENTO AFFIDO ROMA (Coordinamento degli Organismi del Privato Sociale iscritti all’albo per l’affido del Comune di Roma), COREMI – FVG (Coordinamento Regionale Tutela Minori del Friuli Venezia Giulia), PROGETTO FAMIGLIA (Federazione di enti no-profit per i minori e la famiglia), UBI MINOR (Coordinamento per la tutela dei diritti dei bambini e dei ragazzi – Toscana).

Associaz./Reti Osservatrici: ANFN (Associazione Nazionale Famiglie Numerose), Coordinamento CARE.

11 gennaio 2015                                            www.tavolonazionaleaffido.it         

L’affido temporaneo in caso di separazione coniugale.  

            La separazione personale dei coniugi non impedisce di ottenere l’affidamento temporaneo di un minore anche se straniero.

L’affidamento temporaneo è lo strumento previsto dal nostro legislatore per consentire ai minori di età inferiore agli anni diciotto di poter vivere in un nucleo familiare sereno ed equilibrato qualora la propria famiglia d’origine versi in condizioni di difficoltà economica o i componenti attraversino una situazione di forte disagio psicologico. La natura provvisoria della situazione di difficoltà è l’elemento caratterizzante l’affidamento che, per tale ragione, si definisce temporaneo.

L’affidamento viene disposto dai servizi sociali e reso esecutivo con decreto del giudice tutelare il quale indica anche la presumibile durata dello stesso.

Il provvedimento potrà inoltre essere rinnovato qualora la condizione di difficoltà della famiglia d’origine non sia cessata al momento della scadenza del termine prestabilito [art. 4, L. n. 184, 4 maggio 1983].

            Stante il carattere non definitivo dell’istituto, il minore può essere affidato non solo ad nucleo familiare, preferibilmente con figli piccoli, ma anche ad una persona singola o ad una comunità di tipo familiare purché in grado di assicurarne il mantenimento, l’istruzione e l’educazione [art. 2, L. n. 184, 4 maggio 1983].                      www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm

            L’affidamento cessa qualora la situazione di difficoltà della famiglia d’origine sia venuta meno ovvero qualora la permanenza del minore presso gli affidatari rechi pregiudizio a quest’ultimo.

            La normativa indicata si applica anche ai minori stranieri, purché presenti nel territorio italiano e perfino se non accompagnati, vigendo il principio del “superiore interesse del minore” nonché quello di “non discriminazione [art. 3. L. 27 maggio 1991, n. 176] .    www.camera.it/_bicamerali/infanzia/leggi/l176.htm

            Qualora durante il periodo di affidamento il nucleo familiare affidatario dovesse sciogliersi, a causa della separazione personale dei coniugi, il provvedimento di affidamento resterà inalterato e potrà anche essere rinnovato purché gli affidatari, nonostante la nuova situazione, siano in grado di fornire al minore le garanzie previste dalla legge.

In pratica. Una coppia di coniugi, di origine italiana il marito e di origine straniera la moglie, residente in Italia aveva chiesto ed ottenuto l’affidamento temporaneo della nipote minorenne della donna. Scaduto il termine di durata del provvedimento, la coppia ha avviato la procedura per il rinnovo dell’affidamento. Tuttavia nelle more, i coniugi hanno deciso di separarsi ed il marito di presentare istanza di revoca della richiesta di affidamento. Il giudice, nonostante la rinuncia di uno degli affidatari, ha confermato il provvedimento di affidamento.

Il consiglio: in casi simili è sempre bene produrre certificazione che attesti il rapporto di parentela esistente tra il soggetto affidatario ed il minore straniero.

Giovanna Pangallo                la legge per tutti                    11 gennaio 2015

www.laleggepertutti.it/61938_laffido-temporaneo-in-caso-di-separazione-coniugale

Ora la legge sta dalla parte dei nonni La separazione vissuta al di fuori della coppia.

            I nonni sono importanti figure di riferimento che insieme ai genitori concorrono all’educazione, e al mantenimento dei figli. Poter contare sulla presenza giornaliera dei nonni si rivela, per i genitori, un valore aggiunto e una ricchezza incommensurabili per i nipoti. Dalla trasmissione dei valori, dal dialogo che inizia parlando delle tradizioni di una volta e soprattutto dall’affetto si contribuisce in modo sostanzioso alla crescita degli adulti del futuro. La presenza dei nonni è data per scontata in un rapporto familiare che non subisce traumi legati alla separazione dei coniugi, ma questa inizia a non essere più scontata al momento della separazione. Anche la legislatura è intervenuta su questa questione e, nonostante qualche imprecisione, sono stati fatti passi importanti rispetto al passato. Su questo argomento abbiamo fatto parlare un avvocato, una nonna e un nipote.

            Cosa ci dice la legge sull’affido ai nonni? «Data l’importanza della questione la legislatura ha introdotto il binomio nonno-nipote con la legge 54/2006 dove all’art. 155 si era affermato il diritto del nipote, anche in caso di separazione dei genitori, di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Con la stessa normativa si riconosce il diritto del nipote a mantenere i rapporti con i nonni, ma non si attribuisce nessun diritto ai nonni. Un passo avanti è stato fatto con il decreto legislativo 154 del 2013 che ha introdotto la riforma della filiazione avviata con la legge 10/12/2014 n. 219 mirante ad eliminare ogni discriminazione tra figli, sia questi nati nel matrimonio che fuori di esso. Il riferimento è all’art. 317 bis del Codice Civile, completamente modificato dall’art. 42 del decreto legislativo 154/2013. Si prevede, infatti, il diritto di mantenere rapporti tra nonni-nipoti minorenni e la possibilità dei nonni di ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore per ottenere i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore stesso. L’art. 96 del d.lgs. 154/2013 integra dicendo che la competenza sul pronunciamento di tali provvedimenti spetta al tribunale per i minorenni».

Quindi i nonni possono adire il tribunale dei minori se non possono vedere i nipoti in caso di separazione? «Sì, infatti, la nuova disposizione afferma un vero diritto a frequentare il nipote minore, ma pur sempre quando questa sia utile nell’interesse del minore. Quindi non solo aspettative, ma veri e propri diritti per i nonni. Tali diritti però possono essere negati in caso di rapporti ostili tra genitori e nonni che creano un clima pregiudizievole per i minori. L’art. 137 ter del Codice Civile prevede che il giudice possa procedere all’affidamento familiare in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori in caso di separazione degli stessi».

Ma cosa è, precisamente, l’affido? «L’affido è, nel linguaggio tecnico, una figura a carattere temporaneo che viene utilizzata quando i genitori sono entrambi inidonei all’affidamento del figlio, o quando essi lo rifiutano. Il giudice della separazione può collocare il minore presso terzi, possibilmente parenti. L’affido ai nonni permette di evitare l’adozione che non ha carattere temporaneo e impedisce lo stato di abbandono. Va detto però che ci sono casi in cui tutto questo non è possibile».

Nel 2014 con una sentenza si è fatta un po’ di chiarezza. Quindi, quando non è possibile affidare i nipoti ai nonni? «La Cassazione con la recentissima sentenza 17225/2014 ha stabilito che l’affido ai nonni non è possibile in tre casi: quando i nonni esprimono un disinteresse per alcuni nipoti rispetto ad altri; quando vi sia conflittualità tra nonni e genitori. Quando vi sia una scarsa consapevolezza dei bisogni dei nipoti».

I nonni hanno responsabilità anche economiche, secondo la legge? «Sì, l’art. 316 bis del Codice Civile sul concorso nel mantenimento stabilisce che quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i propri doveri nei confronti dei figli. Quindi i nonni sono tenuti ex lege responsabili anche economicamente dei propri nipoti, dovendosi sostituire ai figli se,  a qualunque titolo, inadempienti nei confronti della prole. Va infine ribadito che essendo venuta meno ogni distinzione giuridica tra figli, i diritti si distinguono equamente tra loro senza la differenza tra un figlio nato all’interno o meno di un matrimonio».

                                                avv. Antonella Ricci  portobello’s                13 gennaio 2015

.www.portobellos.it/news/dettaglio/34-homepage/2197-affido-ora-la-legge-sta-dalla-parte-dei-nonni

 

Bambini senza famiglia. La legge va cambiata

La Comunità Papa Giovanni XXIII ha incontrato ieri 14 gennaio 2015 la Commissione Infanzia e successivamente il sottosegretario al lavoro e politiche sociali Franca Biondelli.

Gli istituti sono stati chiusi ma migliaia di bambini in Italia non hanno trovato una famiglia. Lo denuncia la Comunità Papa Giovanni XXIII.

In un report presentato ai rappresentanti di Parlamento e Governo l’associazione evidenzia il fatto che, a distanza di 8 anni dal superamento del ricovero di minori in istituto, realizzatosi nel 2006 grazie alla legge 149/2001, «sono ancora migliaia i bambini ed i ragazzi che vivono in un contesto etero familiare attuato in strutture di accoglienza che non sono familiari, dove sono presenti operatori validi dal punto professionale, ma che non rispondono ai bisogni di “relazioni familiari” di cui necessitano molti bambini e ragazzi allontanati dalle loro famiglie. Il problema, secondo l’associazione, è che la legge 184/1983, poi modificata dalla legge 149/2001, «definisce impropriamente tutte le comunità quali comunità di tipo familiare» non distinguendo tra quelle che sono davvero strutturate come una famiglia, con un papà e una mamma presenti a tempo pieno, e le comunità gestite da educatori a turno.

Il risultato di questa ambiguità legislativa, secondo la Comunità Papa Giovanni XXIII, è che quei bambini anche molto piccoli che sono stati collocati in comunità – oltre 1.000 da 0 a 2 anni, 2.100 se si arriva fino a 5 anni, secondo i dati del Ministero del lavoro e politiche sociali al 31/12/2011 – potrebbero essere «privati delle relazioni familiari fondamentali in questa fase del loro sviluppo».

Per questo l’associazione chiede a Parlamento e Governo di attivarsi per modificare la legge 184/83, eliminando l’impropria definizione di Comunità di tipo familiare e distinguendo con chiarezza le varie tipologie di comunità. La nuova norma dovrebbe quindi prevedere che i minori allontanati dalla famiglia di origine possano essere collocati in una famiglia affidataria o in una struttura familiare gestita da una coppia di coniugi o comunque da una figura paterna e materna presenti a tempo pieno, come avviene nelle comunità familiari e nelle case famiglia multiutenza, e solo quando questo non sia possibile si ricorra alle comunità educative.

Misure ancora più precise, secondo l’associazione, andrebbero previste per i più piccoli: «Per l’accoglienza dei bambini sotto i sei anni va disposto che questa possa avvenire solo nelle famiglie affidatarie o Case Famiglia o nelle Comunità Familiari, vietando l’inserimento nelle Comunità Educative».

Dall’incontro con la Sottosegretaria Franca Biondelli è emersa la disponibilità da parte del Ministero del Welfare a predisporre entro il 2015 delle Linee di indirizzo nazionali sull’accoglienza nelle Comunità che recepisca e definisca le diverse tipologie delle Comunità.

Zenit   15 gennaio 2015         www.zenit.org/it/articles/bambini-senza-famiglia-la-legge-va-cambiata

 

Camera 2° comm. Giustizia                  

Accesso dell’adottato alle proprie origini

Disposizioni in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità.

C. 784 Bossa, C. 1874 Marzano, C. 1343 Campana e C. 1983 Cesaro Antimo, C. 1901 Sarro, C. 1989 Rossomando, C. 2321 Brambilla e C. 2351 Santerini.

8 gennaio 2015 La Commissione prosegue l’esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 11 dicembre 2014.

Donatella Ferranti, presidente, ricorda che da ultimo si sono svolti gli interventi sul complesso degli emendamenti e che dal dibattito sono emerse alcune questioni di estrema delicatezza in ragione degli interessi e diritti di rilevanza costituzionale coinvolti. Una delle questioni è data dalla modalità con cui procedere al cosiddetto interpello della madre biologica. Vi sono diverse ed anche contrapposte esigenze da contemperare.

Proprio in relazione al tema dell’interpello fa presente che ieri è stata trasmessa una nota dal Presidente del Comitato nazionale per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche, Anna Arecchia, con la quale si chiede di sentire il presidente del Tribunale per i minorenni di Firenze, dottoressa Laura Laera, che, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n.278 del 2013, ha autorizzato la ricerca e l’interpello di una madre biologica. L’audizione servirebbe a venire a conoscenza delle modalità utilizzate, le quali peraltro avrebbero avuto esito favorevole.

Giuseppe Berretta (Pd), relatore, ritiene molto utile procedere a questa ulteriore audizione, sottolineando come nelle more delle riflessioni del Parlamento i tribunali si stiano orientando in autonomia e come ciò confermi l’esigenza di intervenire con una disciplina che regoli in maniera uniforme l’interpello.

Anna Rossomando (Pd) ritiene che ove si volesse effettuare un supplemento di istruttoria, questo dovrebbe svolgersi anche su altri aspetti e esperienze attinenti alla materia in esame, facendo emergere, ad esempio, anche le preoccupazioni delle donne in relazione all’interpello.          (…)

Donatella Ferranti, presidente, preso atto di quanto emerso nel corso della seduta, ritiene utile che la Commissione svolga un supplemento istruttorio che abbia ad oggetto il regime applicativo transitorio giurisprudenziale relativo al cosiddetto interpello della madre che abbia dichiarato di non volere essere nominata, procedendo all’audizione, oltre che del presidente del tribunale per i minorenni di Firenze, anche di altri presidenti di tribunali per i minorenni che abbiano sviluppato prassi applicative significative in materia. Precisa, quindi, che la Presidenza si riserva di verificare quali presidenti di tribunali per i minorenni sia utile sentire, invitando comunque i gruppi a formulare le proprie richieste istruttorie entro le ore 14 di lunedì 12 gennaio prossimo. Nessun altro chiedendo di intervenire rinvia il seguito dell’esame ad altra seduta.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2015&mese=01&giorno=08&view=filtered&commissione=02&pagina=#data.20150108.com02.bollettino.sede00010

14 gennaio 2015 Indagine conoscitiva in merito all’esame delle proposte di legge

Audizione di Laura Laera, Presidente del Tribunale per i minorenni di Firenze e di Stefano Scovazzo, Presidente del Tribunale per i minorenni di Torino, che svolgono una relazione sui temi oggetto.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2015&mese=01&giorno=14&view=filtered&commissione=02&pagina=#data.20150114.com02.bollettino.sede00020.tit00010 

Adozioni in Bielorussia.

 

Nel clima di collaborazione che sta caratterizzando i rapporti tra la Commissione per le Adozioni Internazionali e le Autorità della Repubblica di Bielorussia, le Autorità bielorusse hanno dato disponibilità ad esaminare, alla luce della normativa nazionale e dei Protocolli bilaterali sottoscritti con l’Italia, nuove domande di adozione di minori bielorussi da parte di famiglie italiane.

            Sarà pertanto predisposto e trasmesso alle Autorità bielorusse un elenco di genitori aspiranti all’adozione (che hanno ottenuto l’idoneità dai competenti Tribunali per i minorenni) con indicazione dei nominativi dei minori già accolti, affinché ne sia verificata l’adottabilità da parte della Bielorussia e si prosegua con nuove adozioni.

            L’accordo, raggiunto dalla Presidente della CAI con l’Ambasciatore straordinario e plenipotenziario Evgeny Andreevich Shestakov ha consentito anche la costituzione di un gruppo misto di lavoro tra la CAI e le Autorità bielorusse, oggi definito nella sua composizione.

In questa stessa ottica, la direttrice del Centro Nazionale di Adozioni di Minsk, che ha ricevuto le più complete garanzie richieste all’Italia per gli anni 2014 e 2015, ha confermato alla Commissione che le pratiche di adozione internazione dei minori bielorussi da parte delle famiglie italiane continuano e continueranno ad essere effettuate in Bielorussia “ad alto ed impeccabile livello”.

            Il rapporto di collaborazione e lo scambio di informazioni dall’Ambasciatore di Bielorussia in Italia, cui va il sentito ringraziamento della Commissione per l’intenso lavoro svolto, hanno, inoltre, consentito relazioni sempre più intense e proficue, in un clima di fiducia e reciproca stima. Alcuni casi relativi a minori, recentemente divenuti adottabili, stanno pervenendo in questi giorni a soluzione, a seguito di valutazioni positive comunicate alla CAI dalle Autorità bielorusse.   

La Commissione esprime viva soddisfazione a nome della Presidenza del Consiglio dei Ministri e conferma la propria amicizia alla Repubblica di Bielorussia nel comune intento della tutela dei diritti dei minori.                                              Comunicato CAI                               19 gennaio 2015 

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2015/bielorussia-impegni-di-collaborazione.aspx

 

Perché non è possibile equiparare l’adozione all’eterologa?

 

La prossimità al dolore di un bambino, lasciato senza custodia materna e paterna, diventa il rimedio alla sofferenza della sterilità dei genitori adottivi. La Corte Costituzionale, quando ha sentenziato la possibilità di utilizzare in Italia la pratica della fecondazione eterologa, ha motivato la sua decisione richiamando il principio della genitorialità adottiva, esistente sia nelle normative nazionali che in quelle internazionali. Come una madre e un padre possono diventare genitori adottivi di figli non nati dalla loro relazione coniugale, così un uomo e una donna possono diventare genitori di un figlio nato da gameti appartenenti a donatori esterni alla coppia.

            Di questo parere non sono soltanto i giudici costituzionali, ma anche una buona parte della nostra società. E’ modo comune di pensare che la fecondazione eterologa sia equivalente all’adozione. In realtà questo non corrisponde al vero ed è doveroso controbattere questa tesi argomentando le notevoli differenze che esistono tra le due scelte genitoriali. Cercando di elencare le differenze, si arriva a comprendere che l’adozione è tutto altro rispetto alla fecondazione eterologa.

            Un uomo e una donna, che scelgono la fecondazione eterologa, nutrono un grande desiderio di maternità e paternità carnale. Ritengono che si può definire figlio solo una creatura umana che viene portata nel proprio grembo.

            Una famiglia adottiva concepisce la maternità e la paternità come un gesto di accoglienza di un bambino nato da qualche parte del mondo, appartenente a qualunque etnia, razza, cultura o nazione. Quel minore è loro figlio, non perché generato dalle proprie viscere. E’ figlio perché i genitori adottivi hanno deciso di accoglierlo e dedicargli tutta la loro vita, per educarlo ed accompagnarlo nella sua crescita umana e spirituale.

            Le differenze sostanziali riguardano l’identità del figlio: per i genitori che scelgono l’eterologa il figlio deve avere necessariamente i caratteri somatici il più possibile vicini ai propri. In alcuni paesi stranieri dove viene praticata l’eterologa (non sappiamo ancora cosa avverrà in Italia) è possibile scegliere i gameti in modo da avere tratti del volto simili a quelli dei genitori. Avviene, in forma velata, quello che comunemente viene chiamata la selezione della specie. La forza dell’amore dei genitori adottanti supera l’aspetto esteriore e cerca di cogliere l’interiorità di un bambino o di un adolescente che cerca disperatamente di essere guidato, sostenuto e confortato nel cammino della vita.

            Un’altra differenza sostanziale è l’età del minore. Un padre e una madre adottiva, quando si rendono disponibili all’accoglienza, sono consapevoli che si perderanno anni di vita del loro figlio, che potrà arrivare con età prescolare, scolare o addirittura adolescente. Per i genitori che scelgono l’eterologa questo è inconcepibile, perché il figlio è non solo colui che si è portato nel grembo, ma è soprattutto colui che si è preso in braccia appena nato, è colui al quale si sono cambiati i pannolini, ed è colui che viene cullato tra le braccia i primi giorni di vita.

            Aprire le braccia ad un adolescente o ad un bambino in età prescolare o scolare, come fanno i genitori adottivi, viene considerato da alcuni un gesto irrazionale e innaturale. Un papà e una mamma adottiva, quando stringono tra le braccia il loro figlio, lo hanno da tempo già accolto nel loro cuore, anche senza conoscere il suo volto, perché lo hanno già concepito nell’attesa della gestazione adottiva. Il suo volto non è immaginabile, perché sconosciuto è il suo paese di provenienza ed ignota è l’età che avrà quando lo vedranno per la prima volta. Il figlio nato dai genitori adottivi non è stato generato da una comunione carnale, ma da un desiderio spirituale che rende carnale il frutto del loro desiderio.

            I genitori che scelgono l’eterologa non desiderano rinunziare nel dare alla luce il loro figlio, anche se in realtà il figlio non è totalmente loro. Il bambino è nato da gameti estranei alla coppia. Per questa ragione la genitorialità eterologa possiamo definirla come un sottoinsieme della genitorialità biologica.

            Alcune domande possono aiutare a comprendere questa parzialità. E’ giusto parlare di maternità biologica quando è avvenuta un’implantologia embrionale con gameti esterni alla coppia? Si può chiamare maternità biologica se si vive solo la gestazione embrionale? E’ corretto usare la parola maternità e paternità biologica quando il patrimonio genetico non è esclusivo del padre e della madre gestante? Qual è il ruolo della paternità biologica di un uomo che acconsente alla sua compagna di utilizzare gli spermatozoi di un altro uomo?

            Si potrebbero fare tante altre differenze tra l’adozione e la fecondazione eterologa, ma è molto superficiale equiparare l’estraneità dei gameti (caratteristica della fecondazione eterologa) con l’accoglienza di un bambino abbandonato, nato da genitori biologici (caratteristica dell’adozione) 

            Quello che interessa è che ci sia qualcuno che si prenda cura dei bambini abbandonati. E allora perché giocare con gli embrioni, quando ci sono tanti bambini abbandonati in ogni parte del mondo che chiedono solo di essere accolti ed amati? La mancanza di un figlio per un marito e una moglie diventa lo spazio vuoto da destinare ai bambini abbandonati. Questo è il senso più profondo della storia di un marito e di una moglie che non hanno avuto il dono di avere figli biologici.

            La prossimità al dolore di un bambino, lasciato senza custodia materna e paterna, diventa il rimedio alla sofferenza della sterilità dei genitori adottivi. L’adozione compie il miracolo di avvicinare due piaghe e guarirle con il rimedio dell’accoglienza reciproca. Come i genitori che si aprano alla vita sono chiamati ad accogliere i figli che Dio vorrà loro donare, così i genitori che si scoprono sterili biologicamente sono chiamati a vivere la fecondità spirituale, accogliendo i loro figli già nati in qualche parte del mondo.

Osvaldo Rinaldi         Zenit.org        27 gennaio 2015

www.zenit.org/it/articles/perche-non-e-possibile-equiparare-l-adozione-all-eterologa

 

“Allargare lo spazio familiare: essere figli nell’adozione e nell’affido”.

Il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano organizza il Convegno Internazionale “Allargare lo spazio familiare: essere figli nell’adozione e nell’affido”.

 uesto convegno affronta congiuntamente le tematiche relative all’adozione e all’affido nei loro aspetti di somiglianza e distinzione: si tratta di forme che consentono di mettere in luce alcuni elementi costitutivi del famigliare e di riscoprire il significato dell’essere genitori e dell’essere figli. Oggi tali istituti giuridici meritano di essere rilanciati, sottolineandone le potenzialità e riscoprendone la loro più autentica natura.

Il convegno, di ampio respiro interdisciplinare, offre la possibilità di confrontarsi con i contributi di ricerca più recenti a livello nazionale e internazionale e di accostare le esperienze più innovative di buone pratiche nel settore. Si rivolge a studiosi, professionisti e operatori del settore impegnati nell’accompagnamento e nel sostegno delle famiglie affidatarie e adottive.

            venerdì 13 febbraio 2015      ore 9.00-13.00

 

Saluto Franco Anelli Magnifico Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Introduce e coordina Eugenia Scabini

La filiazione e le sue forme Andrea Nicolussi

Tra doppia oscurità e doppia nascita: il destino del legame adottivo Vittorio Cigoli

Lectio Adult adoptees: long term outcomes and the search of their origins

            Wendy Tieman ErasmusUniversityRotterdam, Olanda

 

Essere figli nell’adozione e nell’affido: ricerche e nuove frontiere       Donatella Cavanna Genova

Affido: filiazione, genitorialità e accoglienza.                                   Raffaella Iafrate e Ivana Comelli

Coppie di fratelli in affido congiunto o disgiunto: operatori al bivio                               Ondina Greco

Accoglienza dei bambini all’arrivo in Italia: salute    Elisabetta Salvatici e Rosangela Arancio

La ‘nascita’ di una famiglia adottiva: sviluppo psicosociale dei bambini e benessere genitoriale

Rosa Rosnati, Elena Canzi, Patrizia Buratti

Figli adottivi alla ricerca delle origini: ricerca presso i Tribunali per i minorenni Raffaella Pregliasco

L’affido dei piccolissimi tra pubblico, privato sociale ed associazionismo Chiara Labanti,

Gruppi di parola” per figli in affido: la doppia appartenenza

Costanza Marzotto, Ilaria Colzani, Livia Saviane,

sabato 14 febbraio 2015        ore 9.30-13.30

Introduce Daniela Bacchetta Dipartimento Giustizia Minorile, Roma

Lectio Protecting children, supporting  families: best practices in foster  care and adoption

            Jesus Palacios Università di Siviglia, Spagna

 

Workshop in parallelo          ore 11.30

 

1o Workshop Esempi di best practices nell’affido              Chair Raffaella Iafrate UCSC

 

Linee Guida sull’affido. Un esempio di percorso condiviso Antonella Caprioglio Torino

P.I.P.P.I.:un’esperienza nazionale di protezione dei legami familiari Paola Milani, Padova

Incontri, aiuti e reciprocità: l’esperienza del progetto “Una famiglia per una famiglia”

Roberto Maurizio e Fabrizio Serra, Fondazione Paideia, Torino

2o Workshop Esempi di best practices nell’adozione         Chair Rosa Rosnati UCSC

Accoglienza nell’adozione: questionario “Pensando al futuro” all’interno dello studio di coppia

Alessandra Moro, ULSS 16, Padova

 

Il post-adozione a Parma con le famiglie adottive: genitori, figli e operatori tra pensiero e azione.

Rossella Kuntze, Ausl Parma, Patrizia Bizzi, Comune Di Parma

Arriverà un fratellino adottivo: accompagnare la famiglia nell’adozione Luciana Cursio, ASL MI1

La collaborazione tra famiglie e servizi: l’esperienza di A.A.A. (Adozione, Affido, Accoglienza)

Tiziana Giusberti, A.U.S.L., Bologna

Sostenere nel post-adozione: l’utilizzo del video feedback

Marta Casonato, Università di Torino, Giorgio Macario, Università di Genova

Per l’iscrizione è obbligatorio compilare l’application form disponibile sul sito del Centro di Ateneo.

Si accetteranno le iscrizioni pervenute entro lunedì 9 febbraio 2015 fino ad esaurimento dei posti; non si accetteranno iscrizioni all’inizio del convegno.

Informazioni: studi e ricerche sulla Famiglia UCS     tel. +39 02 7234 2347

 

e-mail: centro.famiglia@unicatt.it                            http://centridiateneo.unicatt.it/famiglia-2394.html

 

 

ADOZIONI INTERNAZIONALI

Perché nel nostro Paese il calo inizia solo dal 2012? Quali le vere cause?

Che il calo delle adozioni internazionali sia un fenomeno diffuso a livello mondiale è un dato inconfutabile. Ma dire che le cause di questa crisi siano le stesse in tutti i Paesi appare quanto mai azzardato. E quasi sicuramente non corrispondente alla verità dei fatti. Le ragioni che stanno portando, negli ultimi anni, a un crollo dell’accoglienza adottiva sono diverse a seconda delle varie realtà nazionali e non sempre sono ricollegabili a fenomeni globali.

Il caso italiano, per esempio, è dovuto prevalentemente a problematiche interne che non possono essere nascoste ricorrendo all’alibi della crisi generale.

Di crisi generale ha parlato recentemente l’Istituto francese di studi demografici (Ined), secondo il quale, alla base del trend negativo, ci sarebbe una serie di ragioni riconducibili essenzialmente ai tradizionali Paesi di origine dei minori adottati. Il miglioramento del tenore di vita nelle Nazioni a basso reddito e la conseguente riduzione del numero di orfani, la maggiore diffusione della contraccezione, l’attenuazione delle nascite “illegittime” avrebbero portato a una generale diminuzione dei bambini abbandonati e quindi anche di quelli adottabili. A queste ragioni si sarebbero aggiunti fattori di ordine politico e giuridico, come l’introduzione di requisiti più severi per gli aspiranti genitori, come avvenuto ad esempio in Cina, e le diverse moratorie sulle adozioni internazionali che si sono succedute in Romania, Bulgaria, Guatemala, Vietnam e diversi altri Paesi. A rimanere nel “circuito” delle adozioni, quindi, secondo l’Ined, sarebbero rimasti quasi soltanto i bambini “speciali”: affetti da qualche forma di patologia, con un’età superiore ai 6 anni oppure in gruppi di fratelli.

È a tutto ciò che in Francia attribuiscono la loro crisi delle adozioni. I dati diffusi dal Quai d’Orsai, il ministero degli Esteri di Parigi da cui dipende il Mai – Mission de l’adoption internazionale, riferisce che i bambini stranieri adottati in Francia nel 2014 sarebbero stati solo 1.069. Si tratta del numero più basso degli ultimi 30 anni, pari a un quarto di quelli accolti nel 2005, quando furono 4.136. Oltralpe, quindi, il crollo è iniziato 10 anni fa. Il maggiore tracollo, Parigi l’ha fatto registrare tra il 2010 e il 2011, quando si passò, in un solo anno, da 3.504 a 1.995 minori adottati (-43%).

Proprio in quegli anni, invece, l’adozione internazionale in Italia viveva il periodo di suo massimo splendore, con rispettivamente 4.130 e 4.022 piccoli accolti. Era il picco di un processo di crescita che durava costante da alcuni anni e che quindi non aveva registrato alcun problema negli anni successivi al 2005, quelli in cui iniziava a manifestarsi in declino in Francia. Le ragioni dell’attuale crisi italiana sono quindi diverse da quelle transalpine. A questa conclusione si giunge facilmente a partire da 3 riflessioni.

Innanzitutto, è da mettere fortemente in dubbio il fatto che siano davvero diminuiti i minori adottabili. Anzi,un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato nel 2009 afferma esattamente il contrario. Basti pensare che, nella sola Africa, ci sarebbero 7,7 milioni di bambini orfani di entrambi i genitori morti di Aids. Per assicurare una nuova famiglia a tutti i circa 15 milioni di minori del mondo rimasti senza un papà e una mamma a causa dell’Hiv, ha calcolato l’Onu, le adozioni dovrebbero moltiplicarsi di 60 volte rispetto a quelle attuali.

Il diverso andamento dell’adozione internazionale tra Italia e Francia, ovvero il Paese più vicino e con numeri più simili al nostro, porta a concludere che la causa della crisi italiana non è l’innalzamento dell’età media dei minori adottabili e il fatto che si tratti in genere di bambini “speciali”, una situazione che dovrebbe accomunare tutti i Paesi. Se il problema fosse questo, perché, mentre la Francia cala, l’Italia sale fino al 2011? E perché il nostro Paese, invece, inizia a crollare dal 2012? I dati parlano chiaro. Dal 2001 al 2007 i minori stranieri accolti in Italia sono stati, in media, 2.811 all’anno. Nei successivi 4 anni (2008-2011), a dispetto del crollo d’Oltralpe, da noi la media è salita a 4.023 bambini adottati l’anno. Numeri che oggi sono solo un lontano ricordo: nel 2012 i minori accolti erano già scesi a 3.106, per poi scendere a 2.825 nel 2013 (-35%  rispetto al 2010) e, secondo le proiezioni, a circa 2mila nel 2014 (-50%).

Riguardo ai bambini “speciali”, l’Italia è sempre stata in controtendenza rispetto agli altri Paesi: le adozioni concluse da noi, infatti, erano tradizionalmente caratterizzate da un’età media particolarmente elevata dei bambini adottati e dalla disponibilità ad accogliere minori non “graditi” dagli adottanti degli altri Paesi. In Olanda, per esempio, la legge non considera adottabili a livello internazionale i bambini di età superiore ai 6 anni.

Il problema degli ultimi 3 anni evidentemente risiede altrove. Sta probabilmente in una cattiva gestione della Commissione Adozioni Internazionali e in una totale mancanza di forza propulsiva da parte della componente politica della Cai. Il disastro della presidenza Cai dell’allora ministro Andrea Riccardisegnò l’inizio del periodo nero: nemmeno una missione all’estero del presidente, neanche una delegazione di Paesi stranieri ricevuta in Italia, una sola riunione con gli enti autorizzati organizzata. La “meteora” della breve presidenza del ministro Cecile Kyenge fu segnata dall’assenza per mesi di una vicepresidente e quindi della parte operativa della Commissione. Per arrivare poi all’attuale Cai, caratterizzata da una gestione personalistica, dall’accorpamento delle cariche di presidente e vicepresidente in una sola figura, da un’unica riunione della Commissione in un anno di mandato, dalla paralisi dell’apparato burocratico della stessa Cai culminato nel mancato rilascio agli enti stessi di documenti e autorizzazioni indispensabili al rinnovo degli accreditamenti per poter operare nei Paesi esteri, dalla mancata risposta alle decine e decine di richieste degli Enti Autorizzati per aprire nuovi Paesi, dalla mancata convocazione di tavoli-Paese per affrontare congiuntamente, come sempre fatto in passato, i vari problemi dei doversi Paesi, dalla mancanza di missioni congiunte nei paesi di origine.

Lo sfascio dell’adozione internazionale in Italia sta quindi proprio in queste disfunzioni. È evidente che se questo sistema venisse di nuovo sostenuto riuscirebbe non solo a resistere ai momenti di crisi, ma a trovare le risorse necessarie per riprendere a svilupparsi. Ma se, al contrario, per qualche recondita e inspiegabile ragione, si tenta addirittura di contrastarlo – è impossibile, infatti, realizzare delle adozioni se l’Autorità Centrale non adempie i propri compiti – la fine del nostro sistema di accoglienza è solo una questione di date.

Qualcuno però, e a questo punto crediamo che sia compito proprio del Presidente Renzi, dovrà spiegare alle migliaia di famiglie italiane che vorrebbero accogliere un bambino abbandonato perché si è voluto sfasciare un sistema giudicato da tutti il fiore all’occhiello del Made in Italy dell’accoglienza.

Aibi     13 febbraio 2015                                www.aibi.it/ita/category/archivio-news

            Eravamo la Ferrari dell’accoglienza, ma ora siamo colpiti da tre ‘batteri.

Riportiamo di seguito il testo integrale dell’intervista che il presidente di Amici dei Bambini, Marco Griffini, ha rilasciato alla giornalista di “Tempi.it” Chiara Rizzo e pubblicata venerdì 13 febbraio 2015.

            Nel 2014 ci sarebbe stato un calo del 30 per cento delle adozioni internazionali, passate dalle 2.825 del 2013 a circa 2000. Il calo è drammatico se paragonato a quello del 2010, quando le adozioni furono il 50 per cento in più, ben 4.130. Questi dati sono stati diffusi dal principale ente autorizzato per le adozioni dall’estero in Italia, Ai.Bi. – Amici dei bambini: «Sono il sintomo di un sistema che si è ammalato, ma che fino a pochissimo tempo fa era uno dei migliori al mondo» spiega a tempi.it il presidente di Ai.Bi. Marco Griffini.

            Quali sono le fonti da cui avete ricavato questi dati?

            Si tratta di proiezioni elaborate da Ai.Bi. attraverso i siti degli enti autorizzati che hanno pubblicato le cifre delle adozioni realizzate. Purtroppo, nonostante le linee guida per le adozioni in Italia impongano la pubblicazione dei dati, non tutti gli enti li hanno già messi on line, né la Commissione per le adozioni internazionali (Cai) ha pubblicato il report annuale sul proprio sito, a differenza di quanto avveniva gli altri anni, quando al massimo entro gennaio il report era disponibile a tutti. Noi di Ai.Bi. abbiamo incrociato i dati disponibili dai siti degli enti (il 60 per cento circa del totale) con quelli dei paesi di origine dei bambini. Nella nostra proiezione stimiamo un margine di errore del 5 per cento. Si va, dunque, da 1.900 a 2.100 adozioni internazionali avvenute in tutt’Italia nel 2014, rispetto alle 2.825 del 2013, quindi il 30 per cento in meno. Ma se lo raffrontiamo con l’anno di punta delle adozioni internazionali, il 2010, siamo a meno 50 per cento (all’epoca ne furono fatte 4.130).

            Qual è la causa secondo lei?

            C’è una crisi internazionale delle adozioni: anche in Francia questa cosa è stata denunciata. Per quanto riguarda il sistema Italia, va sottolineato che è molto diverso degli altri. Noi abbiamo 66 enti autorizzati: solo gli Usa hanno lo stesso numero di enti. Germania, Francia, Spagna ne hanno molti di meno. Tant’è vero che noi siamo sempre stati apprezzati a livello mondiale come paese principe dell’accoglienza dei minori, e che alcuni paesi, come la Bielorussia, ci hanno scelto come paese “elettivo” per le adozioni. In alcuni paesi, come l’Olanda, è la legge a rendere le cose difficili: lì non si possono adottare bambini al di sopra dei sei anni. Negli Usa è costume adottare bambini neonati. Da noi, invece, non si fanno “discriminazioni” per l’età. A mio modo di vedere sono tre i “batteri” che affliggono il mondo delle adozioni internazionali.

Quali?

Il principale batterio sta nel cuore del sistema, la Cai, che non è gestita in maniera efficiente. Se il cuore non pompa sangue e ossigeno, tutto l’organismo collassa. È quello che accade con la Cai che da tempo non rilascia le autorizzazioni alle adozioni in nuovi paesi e proprio mentre alcuni paesi (ad esempio la Repubblica democratica del Congo) bloccano gli iter. Noi soli di Ai.Bi. nel 2014 abbiamo presentato 15 nuove richieste di autorizzazioni. Si sarebbero risolti vari problemi aprendoci ad altre realtà. Invece è rimasto tutto bloccato. Perché? Come osservatore, senza voler polemizzare, annoto che la Commissione non si è mai riunita se non una volta all’anno: è esattamente come se il Consiglio dei Ministri di un paese si riunisse una volta all’anno. Un tempo il presidente della Cai era un politico che andava in missione all’estero e prendeva contatti. E i risultati si vedevano, lo dimostrano i dati del passato. Invece adesso il presidente e la vicepresidente della Commissione coincidono nella persona di un magistrato non esperto di adozioni. Senza fare polemiche, noi sappiamo che la presidente ha ricevuto delle delegazioni diplomatiche di alcuni paesi, ma noi enti non siamo informati di quali accordi siano stati presi.

Noi enti autorizzati non siamo stati capaci di fare sistema, diversamente da ciò che avviene nel mondo delle Ong e nel Terzo settore, dove è diffusa da tempo la cultura del “fare rete”. Noi enti non siamo stati capaci di creare un fronte unico capace di far capire al governo che è importante investire per le adozioni internazionali. In Italia si stimano 5 milioni di coppie sterili: e la proiezione è in crescita. Di fronte ad un esercito di coppie che potrebbero adottare, perché non si pone più attenzione al tema delle adozioni? Vogliamo davvero che la risposta sia lasciata all’eterologa, che al momento è un bluff? Fortuna che papa Francesco richiama sempre l’attenzione sulle famiglie: noi enti però restiamo chiusi nei nostri orticelli. Non c’è stata una forte rappresentanza del problema del crollo delle adozioni. Così sembra che questo tema non interessi più neppure al governo.

Un terzo batterio è l’aumento dei costi delle adozioni internazionali, in una totale assenza di controlli. Pur essendoci delle precise tabelle dei costi da sostenere per le adozioni, fissati anni fa tra gli enti autorizzati e la Cai, tali costi non vengono rispettati. C’è un vero mercato nero: ci sono coppie che vengono spinte a portare all’estero somme molto elevate, in nero e in contanti. Perché? Su questo nessuno vigila. Noi enti e le famiglie vediamo solo i risultati di questo comportamento, e cioè che i prezzi per le adozioni all’estero stanno schizzando alle stelle. Siamo a conoscenza tutti di questo problema, perché sono le stesse coppie a denunciarlo nei corsi di formazione obbligatoria che frequentano. Ma le coppie poi non arrivano mai a denunciare, per paura che ciò diventi un fattore di ritorsione nei loro confronti. Le coppie sono l’anello più debole, e purtroppo alcuni enti approfittano del fatto che siano “ricattabili” nel loro umanissimo desiderio di accogliere un bambino. Davanti a tutti questi problemi non possiamo stare con le mani in mano.

Cosa propone Ai.Bi.?

            Faccio un appello anzitutto a prendere atto del crollo delle adozioni internazionali in Italia, a discuterne senza far finta che il problema non esista. Serve veramente una politica che si ponga il problema delle adozioni. Nel nostro paese, inoltre, c’è un grosso movimento delle famiglie adottive e penso che, se noi enti non siamo riusciti a farci sentire, loro potranno convincere il governo ad ascoltarle. Mi appello alle associazioni familiari: cambiate voi il volto delle adozioni in Italia. Mi appello anche a tutti quei politici che in parlamento sono già genitori adottivi e che conoscono bene il fatto che noi eravamo il paese “Ferrari” dell’accoglienza: fate qualcosa. Infine ho pensato a cosa potevamo fare come Ai.Bi. Alcuni mesi fa abbiamo sospeso l’accettazione dei mandati, perché non potevate rispondere a tutte le richieste che ci arrivano: ci siamo ora messi una mano sul cuore, dato che non è passato giorno che dalle famiglie ci arrivavano appelli a riprendere. Così abbiamo deciso di riaprire: siamo costretti dalle linee guida a non accettare troppe richieste, ma tra pochi giorni ripartiremo magari accogliendo il primo centinaio di nuovi mandati.

 

Aibi     13 febbraio 2015                               www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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