Norma morale e coscienza personale nella vita della Chiesa

 

 

Editoriale

 

Norma morale e coscienza personale nella vita della Chiesa

 

Autore :Gabrio Zacchè 

 

L’Esortazione apostolica postsinodaledi papa Francesco Amoris Laetitia (AL) con il suo taglio narrativo e pastorale ha recuperato molti concetti teologici che in passato erano stati “marginalizzati” nella catechesi e nella predicazione a giovani e famiglie.

Tra questi il recupero del valore dell’eros (amore appassionato) accanto a quello di agape (amore oblativo) e philia (amore di amicizia). Valore riconosciuto non solo in un lungo filone della tradizione, ma più recentemente nella catechesi di san Giovanni Paolo II e nel magistero di Benedetto XVI (enciclica Deus Caritas est).

Ma vi è dell’altro e riguarda il noto capitolo VIII relativo ai separati e divorziati risposati che vogliono vivere, possibilmente in pienezza, la vita della comunità ecclesiale. Capitolo che ha interessato con insistenza i mass-media e che ha fatto riflettere le comunità, invitate ad una maggior accoglienza e ad un costante discernimento certamente non facile circa le coppie in difficoltà.

È una riflessione inevitabile ed opportuna in un contesto sociale ampiamente diverso rispetto ad un recente passato ed in presenza di una maggior consapevolezza circa le dinamiche umane individuali e di coppia.

Leggiamo al paragrafo 305 della esortazione apostolica:

un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone, […]. La legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione [dal documento del 2009 della Commissione Teologica Internazionale sulla legge naturale]. A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno. Si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa.

È una affermazione che porta a ben precise conclusioni pastorali quali la partecipazione alla vita comunitaria e l’accesso ai sacramenti in alcune delle situazioni familiari cosiddette irregolari: l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli (lo affermava già sant’Ambrogio nel De Sacramentis IV). Ciò ha scandalizzato numerosi benpensanti suscitando dibattiti accesi nei quali si è parlato di “deriva soggettivistica” e addirittura di “caos morale e pastorale”!

Nei primi anni ’80, studiando teologia morale con mons. Pompeo Piva, ho imparato che la coscienza personale è norma di moralità per cui nessuna azione umana può considerarsi, in concreto, buona o cattiva se non in riferimento alla coscienza.

Il testo di morale fondamentale, consigliato allora, era di Marciano Vidal (Cittadella Ed. 1979). Circa “le condizioni di un esercizio perfetto della coscienza” l’autore parla di coscienza retta (non viziosa), coscienza vera (non colpevolmente erronea), coscienza certa, e afferma “è possibile che esista l’errore nella coscienza, senza che per questo essa perda la sua dignità e, pertanto, il suo valore obbligante” (p.339, vol.I).

È del tutto recente, al riguardo, un lungo e documentato articolo di Maurizio Chiodi, docente di teologia morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, Coscienza e discernimento: quale rapporto con la norma?Sul capitolo VIII di Amoris laetitia(Teologia 43, 2018, pp. 18-47).

Egli riconosce che l’obiezione principale al capitolo VIII è formulata in nome dell’oggettività morale da parte di chi ritiene che non è il soggetto ma il suo atto concreto (l’oggetto) a decidere del significato morale positivo o negativo dell’agire. Chi obietta non considera la responsabilità soggettiva, quindi le possibili circostanze attenuanti ed i condizionamenti del soggetto (AL 301). L’esortazione apostolica non vuole in alcun modo “ridurre le esigenze del Vangelo” (AL 302). “L’oggettivo viene così incluso nel soggettivo senza essere abolito”, afferma Chiodi, e questo è nella tradizione teologica: “l’atto (l’oggetto) è inscindibile dall’agente, in quanto è atto di un soggetto che vuole”. La Summa di san Tommaso d’Aquino viene qui presa come guida non solo da papa Francesco (“già san Tommaso riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù” [Summa I-II, q,65, a. 3] – AL 301-), ma dallo stesso Chiodi con un ampio excursus.

Chiodi si oppone alla giustapposizione tra oggettivo e soggettivo, tra atto e coscienza, tra l’agire e il “chi” agisce. Vi è invece una correlazione reciproca, una “relazione circolare”. “Per questo nesso l’azione è irriducibile a un ‘che cosa’, così come le persone sono irriducibili a un ‘qualcosa’ “. È necessario pertanto partire dalla persona per comprenderne gli atti: “solo su tale sfondo si potrà ripensare la categoria della norma e il suo rapporto con la coscienza morale”. Questo riconoscimento della coscienza come punto di partenza della esperienza morale “non condanna e nemmeno inclina a (ri)cadere nel soggettivismo o nell’individualismo […] la norma custodisce e tutela il significato universale delle esperienze di bene che appartengono alla coscienza in quanto umana”.

In quest’ottica possiamo meglio comprendere quanto dice l’Amoris laetitia a proposito dei divorziati risposati o conviventi. Già l’esortazione apostolica Familiaris Consortio (FC) di san Giovanni Paolo II (1981) distingueva tra i divorziati risposati varie condizioni, tra cui ad esempio chi fosse stato abbandonato ingiustamente, chi risposato in vista dell’educazione dei figli, chi soggettivamente certo della nullità del precedente matrimonio(FC 84).

Papa Francesco (AL 298) in questa linea evidenzia ulteriori situazioni “che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazionitroppo rigide senza lasciar spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale”, ma “dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia”.

Da qui l’importanza, e la fatica, di un discernimento pratico che è nella tradizione della Chiesa, ed ancora una volta è presente nella Summa di san Tommaso, come si legge nel paragrafo 304:

… Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino [Summa I-II, q 94, art.4] e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare».

Questo testo, riportato nella sua completezza nell’articolo di Chiodi, è di fatto il principale ispiratore dell’idea di discernimento presente nell’esortazione apostolica.

Il discernimento”, sottolinea Chiodi, “non è un compromesso al ribasso, ma una vera e propria eccellenza”. “Esso parte dalla esperienza personale e culturale, che per il credente implica appartenenza ecclesiale e dialogo con la Parola e l’evento della Rivelazione cristologica, passa attraverso la formulazione della norma universale inscritta nelle forme dell’esperienza buona e ritorna infine alla situazione concreta, mediante un processo che giunge a riconoscere il ‘bene possibile’ “.

Concludo con la concretezza della seconda parte del citato paragrafo 305 della Amoris laetitia:

Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà». [Evangelii gaudium, 44] La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà.

Gabrio Zacchè

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