NewsUCIPEM n. 999 – 28 gennaio 202423

NewsUCIPEM n. 999 – 28 gennaio 202423

mille non più di mille

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

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Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

02 BENEDIZIONE                                 delle coppie omosessuali: “Dottrina e pastorale, una distinzione superata?

03                                                          Papa Francesco spiega l’intento delle “benedizioni pastorali e spontanee”

04 BIBBIA                                             I tre percorsi nelle Scritture sacre                                                         

05                                            Rosanna Virgili «Il Vangelo del creato»

12 C. INTERN. STUDI FAMIGLIA      Newsletter CISF – n. 3, 24 gennaio 2024

14 DALLA NAVATA                             4° Domenica del tempo ordinario  – Anno B

15                                                          Lo “spirito impuro”                                                          

16 DONNE NELLA (per la ) CHIESA Ministeri istituiti, il ritorno a un’antica tradizione

17                                                          Teologia e femminismo nel libro di Viviana Premazzi

18                                                           La teologia femminista. Critiche a teologia classica. L’autorità della Bibbia

23                                                           Il commentario queer alla Bibbia

27                                                          In principio Dio era queer?

29 ESPERIENZE                                     Affettività e sessualità. Spiegami cosa vuol dire “Ti amo”

31                                                          Proposta per le mamme dal consultorio familiare di Treviso

32 FRANCESCO vescovo di ROMA  La morale sessuale tra astinenza e castità

34                                                           Chiesa e sessualità, tanti temi aperti

35                                                          ai giovani “Nel mio catechismo trovate la password per scoprire la gioia”

37 RIFLESSIONI                                   Un antidoto all’indifferenza

38 SCIENZA E FEDE                             La «mente cosciente e intelligente» dietro la forza dell’atomo

38                                                          Fisica quantistica, neuroscienze e vangelo

BENEDIZIONE

Benedizione delle coppie omosessuali: “Dottrina e pastorale, una distinzione superata?

Per questi membri della Conférence des baptisé.e.s, la concezione della fede cristiana come “un catalogo di norme” da applicare per accedere alla salvezza non è adatta a società che evolvono incessantemente e a vite spesso complicate. Da qui la benvenuta separazione dottrina – pastorale, che però oggi sembra attenuarsi…“Fiducia supplicans”, che permette la benedizione delle coppie in “situazione irregolare” costituisce, al di là del suo stesso oggetto, un cambiamento importante nel rapporto che la Chiesa mantiene con il mondo. Infatti, questo testo convalida la dissociazione tra uno stato di vita giuridicamente definito dalla dottrina e la possibilità di un riconoscimento da parte della Chiesa della vita spirituale di coloro che si situano al di fuori del quadro dottrinale.

La Chiesa ha costruito e consolidato la sua unità nel corso della storia sul principio seguente: la rivelazione e la salvezza sono accessibili solo se circoscritti entro un quadro dottrinale. Erede della logica romana, la Chiesa ha preteso di fare un catalogo obiettivo del contenuto della rivelazione presentandola al di fuori della storia, attraverso un inquadramento giuridico obbligato che ingloba tutte le realtà della vita umana. La salvezza dei fedeli doveva essere assicurata in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo imponendo sulla realtà della vita dei fedeli stessi una dottrina e delle norme dal valore assoluto, incondizionato e obbligato.

Tale approccio, che presenta certo il vantaggio di creare una unità teorica e di legittimare il potere del Magistero presenta tuttavia l’inconveniente di fare del contenuto della rivelazione un deposito cristallizzato e un catalogo di norme da applicare, col rischio di restringere e prosciugare la vita spirituale. L’accesso al messaggio evangelico non passerebbe dalla decifrazione dell’esperienza della vita della persona, ma dalla sua capacità a conformarsi ad un corpus di regole che “garantiscono” la salvezza.

Questo approccio teorico non ha mai funzionato in società in continua evoluzione né di fronte alla complessità delle vite personali. Così, per salvaguardare la credibilità del suo messaggio, la Chiesa ha saggiamente separato la dottrina dalla pastorale e istituito degli “ammortizzatori” che sono i preti confessori. Permettevano di adattare, in un quadro sacramentale, al contesto concreto le vite vissute dai fedeli, ma a condizione che questi adattamenti rimanessero privati e segreti.

Questa distinzione tra dottrina pubblica e pastorale privata non funziona più, quando la conoscenza della dottrina non è più appannaggio dei soli preti che ne adattavano l’espressione attenuandone i rigori in funzione del contesto in cui vivevano. Oggi i testi dottrinali sono immediatamente accessibili tramite internet. La Chiesa potrebbe essere accusata di ipocrisia mantenendo questa distinzione. Spetta quindi al papa, guardiano della dottrina, definire ora il campo della pastorale, con il rischio comprovato di essere sospettato di rimettere in discussione la dottrina. Ma in questo modo, la distinzione tra dottrina e pastorale sta progressivamente attenuandosi.

Anche se lo nega, “Fiducia supplicans” rimette in discussione se non il contenuto, almeno il ruolo della dottrina, che era quello di circoscrivere almeno teoricamente il campo di applicazione della testimonianza della Chiesa. Con questo testo non possiamo che constatare che una barriera è venuta meno: la vita vissuta non è più preventivamente determinata da un quadro giuridico che era concepito per definirla, nonostante eccezioni personali e private concesse dal confessore.

Ciò che il papa ha appena modificato profondamente con un ragionamento in apparenza tradizionale, è la concezione che la Chiesa ha dei rapporti tra la dottrina e la vita, tra la norma e l’esperienza: “Le decisioni (del magistero) che, in circostanze determinate, possono rientrare in prudenza pastorale, non devono necessariamente essere convertite in norme” (n. 37). La Chiesa può quindi benedire, dire bene di ciò che non è preventivamente normato. Si passa dalla logica del “tutto ciò che non è esplicitamente permesso è proibito” a “tutto ciò che non è esplicitamente proibito può essere benedetto”.

Ci si può solo rallegrare di questo: il “soffio di Jahvè” che abita in ciascuno, può di nuovo circolare nei suoi molteplici volti nella Chiesa, senza essere obbligato a presentare un passaporto in regola. Il 25 maggio 2013, papa Francesco non diceva forse che la Chiesa non deve agire come una dogana? Ora essa dispone di uno strumento per attuare la metamorfosi.

Guy Legrand e Paule Zellitsch in “La Croix” 10 gennaio 2024

(traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202401/240123legrandzellitch.pdf

Papa Francesco spiega l’intento delle “benedizioni pastorali e spontanee”

L’udienza alla Plenaria del Dicastero per la Dottrina della fede

L’intento delle “benedizioni pastorali e spontanee” è quello di mostrare concretamente la vicinanza del Signore e della Chiesa a tutti coloro che, trovandosi in diverse situazioni, chiedono aiuto per portare avanti – talvolta per iniziare – un cammino di fede”.

Papa Francesco lo ha detto questa  mattina nella udienza ai partecipanti alla Plenaria del Dicastero per la Dottrina della Fede.

www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2024/january/documents/20240126-plenaria-ddf.html

Nel suo discorso il Papa ha sottolineato a proposito della dichiarazione del Dicastero “Fiducia supplicans” due cose:

  1. “la prima è che queste benedizioni, fuori di ogni contesto e forma di carattere liturgico, non esigono una perfezione morale per essere ricevute;
  2. la seconda, che quando spontaneamente si avvicina una coppia a chiederle, non si benedice l’unione, ma semplicemente le persone che insieme ne hanno fatto richiesta. Non l’unione, ma le persone, naturalmente tenendo conto del contesto, delle sensibilità, dei luoghi in cui si vive e delle modalità più consone per farlo”.

La dichiarazione ha suscitato molte polemiche e un acceso dibattito perché rischia di confondere una “benedizione pastorale spontanea” con un vero atto liturgico.

Il Papa oggi ha voluto chiarire il suo pensiero. Nel suo intervento Francesco ha ricordato le recenti riforme del Dicastero “anche per il lavoro nell’Ufficio Matrimoniale e nell’Archivio, di cui ricordo il 25° anniversario di apertura al pubblico ad opera di San Giovanni Paolo II e del Cardinale Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione, nell’imminenza del Grande Giubileo dell’Anno 2000“.

Il Papa ha parlato di impegno “di fronte al cambiamento d’epoca che caratterizza il nostro tempo” con tre parole chiave. “sacramenti, dignità e fede“.

  1. Per i Sacramenti, dice, “è richiesta una particolare cura nell’amministrarli e nel dischiudere ai fedeli i tesori di grazia che comunicano”.
  2. Per la dignitànon dobbiamo stancarci di insistere «sul primato della persona umana e sulla difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza»”.
  3. E poi la fede il Papa chiede di “riflettere nuovamente e con maggiore passione su alcuni temi: l’annuncio e la comunicazione della fede nel mondo attuale, specialmente alle giovani generazioni; la conversione missionaria delle strutture ecclesiali e degli agenti pastorali; le nuove culture urbane, con il loro carico di sfide ma anche di inedite domande di senso; infine e soprattutto, la centralità del kerigma nella vita e nella missione della Chiesa.

Angela Ambrogetti         Città del Vaticano, ACI Stampa 26 gennaio 2024

www.acistampa.com/story/24243/papa-francesco-spiega-lintento-delle-benedizioni-pastorali-e-spontanee

BIBBIA

I tre percorsi nelle Scritture sacre

                               Nei suoi “Discorsi a tavola” Lutero s’era lasciato andare a un’affermazione stizzita: «In Italia la S. Scrittura è così dimenticata che rarissimamente si trova una Bibbia». In verità ora, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, questa osservazione non ha più riscontro nella realtà perché la conoscenza biblica (oltre il mero possesso di un’edizione di testi sacri) si è sviluppata in modo significativo, anche se non del tutto compiuto. La liturgia, la catechesi, la spiritualità, la teologia sono profondamente alimentate dalla sacra Scrittura per cui non è più possibile ironizzare come faceva negli anni ’50 del secolo scorso il poeta francese Paul Claudel, convinto che «i cattolici mostrano un grande rispetto per la Bibbia e questo rispetto lo attestano standone il più lontani possibile».

La riappropriazione, stimolata anche da una ricca bibliografia a più livelli e da eventi come la Giornata della Parola di Dio celebrata quest’anno il 21 gennaio, segue almeno tre percorsi.

  1. Il primo è la comprensione del testo attraverso l’esegesi e l’interpretazione. Infatti, come l’Incarnazione, mistero centrale del cristianesimo, comprende l’incontro in Cristo tra il Verbo eterno e la “carne” della storia umana («Il Verbo divenne carne», Giovanni, 1, 14), così la Bibbia è la Parola divina espressa in parole umane. Anzi, tutta la Rivelazione è storica, cioè Dio si manifesta non con tesi astratte teologiche ma, con la sua parola e azione, all’interno delle vicende dell’umanità, negli splendori e nelle miserie, negli eventi gloriosi e in quelli tragici, in guerra e pace, come si scopre aprendo le pagine bibliche. Per scoprire questa presenza divina all’interno del groviglio storico è necessaria quella verifica che è condotta appunto dagli esegeti con le loro ricerche. Ecco perché è importante l’esistenza di “Scuole” e “Studi” biblici, come quello francescano di Gerusalemme (incontratosi il 15 gennaio con Papa Francesco), o quello dei domenicani, sempre nella città santa, o come il Pontificio istituto biblico di Roma e le tante cattedre di esegesi e teologia biblica nelle facoltà e istituti di studi religiosi. In questa navigazione all’interno del testo delle Scritture bisogna evitare i due scogli del letteralismo fondamentalista o dell’allegoria spiritualeggiante. Il compito della corretta “esegesi” è appunto quello — come dice la matrice greca di questo termine — di «condurre (hegeomai) fuori (ek)» dal testo sacro il suo messaggio genuino.
  2. Un secondo percorso è specifico del credente che considera la Parola biblica come «lampada per i passi e luce sul cammino» della vita (Salmi, 119, 105). È ciò che accadde ai primi cristiani che, dopo aver ascoltato la Parola, «si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”» (Atti, 2, 37). In questa luce si colloca, a esempio, la cosiddetta lectio divina che è stata coniata già nel XII secolo dal monaco Guigo il Certosino e strutturata in quattro gradini progressivi.
  3. Innanzitutto la lectio, cioè quello che la Bibbia dice in sé;
  4. poi la meditatio, ciò che la Parola dice a me;
  5. subentra l’oratio ciò che io dico a Dio dopo aver ascoltato la sua Parola;
  6. infine, l’actio, l’impegno del fedele nella vita attuando il messaggio letto, meditato, pregato. Suggestivo è anche il suggerimento che Dietrich Bonhoeffer, martire del nazismo nel 1945, proponeva nella sua ”Vita in comune”: «Facciamo silenzio prima di ascoltare la Parola perché i nostri pensieri siano già rivolti alla Parola. Facciamo silenzio dopo l’ascolto della Parola perché questa ci parla ancora, vive e dimora in noi. Facciamo silenzio la mattina presto perché Dio deve avere la prima parola. Facciamo silenzio prima di coricarci perché l’ultima parola appartiene a Dio. Facciamo silenzio solo per amore della Parola».
  7. C’è, però, un terzo e ultimo percorso all’interno delle Scritture, ed è quello culturale, aperto a credenti e non credenti. Infatti, com’è noto, la Bibbia è il «grande codice» della cultura occidentale, come si intitolava un famoso saggio del critico canadese Northrop Frye (1986). Per secoli le narrazioni, le immagini, i temi, i personaggi, i simboli biblici sono stati la stella polare dell’arte in tutte le sue forme, anche contemporanee, della filosofia, della vita sociale (si pensi al rilievo etico del Decalogo). La Bibbia in sé è già letteratura, è un dire Dio in modo bello, ma ha anche generato nei secoli un immenso flusso di opere artistiche che l’hanno attualizzata, trasfigurata e talora persino deformata.

Essa è rimasta sempre il punto di riferimento tant’è vero che persino un pensatore ostile all’eredità ebraico-cristiana come il tedesco Friedrich Nietzsche doveva riconoscere che «tra quello che noi proviamo alla lettura di Pindaro o di Petrarca e quello che noi sentiamo leggendo i Salmi c’è la stessa differenza tra la terra straniera e la patria». Un artista ebreo che ha sempre attinto alla Bibbia come Marc Chagall concludeva: «I pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato della speranza che è la Bibbia».

 *1942 Card. Gianfranco Ravasi        L’Osservatore romano  24 gennaio 2024

www.osservatoreromano.va/it/news/2024-01/quo-019/i-tre-percorsi-nelle-scritture-sacre.html

Rosanna Virgili «Il Vangelo del creato»

Lo scorso 28 settembre 2023, a Pompei, la biblista Rosanna Virgili ha tenuto una meditazione per il clero delle diocesi campane sul tema “Il Vangelo del Creato”. Per gentile concessione pubblichiamo di seguito il testo della meditazione.

Nella meditazione la biblista ha parlato di «ecologia creativa». Già nella creazione all’uomo è affidato il compito di «coltivare e custodire il giardino in mezzo alla steppa» in armonia con le altre creature. E «tutto vive» nella «relazione tra Dio e l’uomo» al fine di «generare vita» e «meraviglia». La rottura del patto produce a catena «infecondità» tra maschio e femmina, «ostilità» con le altre creature e tra fratelli, Caino e Abele. Con l’annuncio della Risurrezione il cristiano riceve di nuovo il dono della prima creazione e il dovere di salvaguardare il creato nella storia, ma molto di più, la nuova creazione e il dovere di custodire il corpo del Battesimo innestato in quello del Signore morto e risorto, in un impegno dinamico volto al futuro di cieli e terre nuove». Ecco l’«ecologia cristiana» capace di ridare «un posto visibile a Dio nella storia».

Prendersi cura della casa comune. Il Vangelo ricevuto e trasmesso

“Vi ricordo, fratelli, il vangelo che vi ho annunciato, che voi avete anche ricevuto, nel quale state anche saldi, mediante il quale siete salvati, purché lo riteniate quale ve l’ho annunciato; a meno che non abbiate creduto invano. Poiché vi ho prima di tutto trasmesso, come l’ho ricevuto anch’io, che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito; che è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture” (1Cor 15,1-4).

Parlare del “Vangelo del creato” ha, per i cristiani, un legame originario: quello tra il creato e il Vangelo, appunto. In quest’ultimo è una chiave, uno sguardo, una prospettiva da cui vedere il mondo che, già nel nome “creato”, viene sottinteso come l’opera di un Creatore. Gli apostoli e gli scrittori biblici del Nuovo Testamento hanno lasciato un Vangelo ai cristiani che è sinteticamente espresso nei versetti soprastanti tratti dalla Prima Lettera di Paolo ai Corinti. Il Vangelo che Paolo ha ricevuto e continua a trasmettere è un depositum innanzitutto di meraviglia, di miracolo, di gioia: il sogno realizzato della Resurrezione! Lo sconfinamento del limite della morte verso la terra promessa della Vita eterna. Il canto della libertà, la giustizia della liberazione, la bellezza della luce che lacera la coltre delle tenebre. Un canto che attraversa, però, il pianto della terra: “morì” e “fu sepolto”. L’allusione alla tomba, scavata nella terra, fa pensare alla vitalità del grembo, fonte di vita, che si è trasformato nel gelo del sepolcro, in un silenzio di morte. E in quel “morì” detto di Gesù, che Paolo ha ricevuto, la prima eredità umana, trasmessa attraverso il “primo” uomo biblico, l’adam genesiaco; eredità che la “primizia di coloro che sono risuscitati dai morti” (1Cor 15,20) – Gesù Cristo – ha riscattato, mutato, liberato, rigenerato in un corpo risorto, il Suo.

Se questo è il nucleo del Vangelo, allora nel “Vangelo del creato” è implicata una responsabilità per tutti noi: quella di rigenerare il mondo, attestando, così, la Resurrezione del Signore; un “Vangelo per il creato”. Il creato ci è stato consegnato con luci e ombre ancorché nella sua anima vi fosse l’anelito verso una luce assoluta. Tocca ai credenti, ai battezzati, innestati – col battesimo – nel Corpo morto e risorto del Signore, “rivelare” al creato la sua pienezza e il suo compimento. “Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi” dice ancora Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 8,22). Il “Vangelo del Creato” è un work in progress, un opus che spetta agli umani. La bellezza del creato lo illumina dal futuro e non dal passato. La terra ci è stata consegnata come un piccolo “giardino” in mezzo a una grande steppa. La steppa è, simbolicamente, quella dell’ingiustizia, della cupidigia, dello sfruttamento, della violenza, della guerra, della morte: quanto è contenuto in quel “morì e fu sepolto” di Gesù. Il giardino è, invece, simbolo della rifioritura della vita, oltre la morte: “è risorto ed è apparso”. Gesù risorto apparve, infatti, ai suoi discepoli e, oggi, essi cono chiamati a darne testimonianza, a farne “vangelo per il creato”.

Il Vangelo del creato: patti voluti e violati. Nel cuore del Medioevo, considerato nell’epoca dell’Illuminismo un “evo” di buio, un tempo di oscurità in senso culturale e religioso, Francesco d’Assisi viene colpito da un raggio di splendore: esso viene dalla terra, dal mondo, dal cosmo. Da quella che genericamente chiamiamo “la natura”. Il Cantico di frate Sole squarcia il velo di morte e di peccato che forme talvolta eccessive di spiritualismo avevano teso sul creato e sul mondo medievale, e lo rivela, al contrario, colmo di colore, di luce e di bellezza. Forse solo una canzone napoletana popolare come “O sole mio” può suscitare la stessa meraviglia verso tutte le creature a partire, per l’appunto, dal sole:

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature spetialmente messor lu frate sole lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle: in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’ acqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.

(Francesco d’Assisi, Cantico di frate sole, 1182 – 1226).

                Sappiamo come Papa Francesco abbia dedicato e ispirato le sue due prime encicliche al Santo di Assisi e a questo Cantico. Il titolo della prima è, non per nulla, la citazione dell’inizio del ritornello del Cantico francescano: Laudato sì. Un canto di lode sapienziale che evoca il ritmo e gli argomenti del primo capitolo della Genesi biblica: “Dio disse: “Sia la luce!“. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo” (Gen 1,4-5). C’è un dato fondamentale nella dinamica della creazione: tutte le cose sono create due a due: il cielo con la terra, il mare con l’asciutto, il sole con la luna. Il creato è una rete di corrispondenze e di vitali relazioni; è essenziale che nessun “patto” si rompa: quello del cielo con la terra come quello del mare con l’asciutto. Il creato vive dell’ordine in cui le cose sono disposte, è fecondo perché ognuna di loro è insostituibile; “Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo” dice il Qoèlet (cf 3,11).

Ogni creatura scaturisce dalla parola di Dio: “Dio disse” e le cose furono (cf. Gen 1,6.9.11; ecc.). All’origine del mondo non v’è forza né violenza, né guerra né competizione – come avviene in altri miti di cosmogenesi del Vicino Oriente Antico – ma v’è solo quel seme di vita che è la parola. Nell’essere pronunciata da Dio, la parola si fa cielo e terra, animali dell’aria e dell’acqua, uomo e donna, allo stesso tempo. Rivelando così che ogni cosa viene all’essere come relazione, fatta per unirsi all’altra e per unirsi in un rapporto di generativa libertà. Ogni estremo è disposto per agire con l’altro, per costruire la pace: il mondo è retto dal ponte della parola, dalla giuntura della “diplomazia”.

Le mani degli umani. Ma questo armonioso creato, uscito dalla bocca di Dio e in cui Egli si rivela, viene consegnato nelle mani degli umani, affinché lo governino. Nel giorno di sabato Dio si ritira e lascia loro di sviluppare e dare compimento alla sua opera. Nel secondo capitolo di Genesi questo diventa esplicito: “Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen 2,4b-7).

La creazione del mondo è narrata nel suo evolversi: dapprima non c’è che steppa e nessun cespuglio d’erba spunta dal suolo per mancanza di pioggia ma anche del lavoro dell’uomo. Si introduce – simbolicamente – il tema della tecnica che sarà attività tipica dell’essere umano: senza il lavoro dell’uomo non ci sarà un giardino in Eden! Un modo per dire cosa l’autore biblico immaginava all’origine: la terra era stata resa un habitat adatto alla vita grazie al lavoro dell’uomo, frutto non solo di sudore (come si dirà più tardi) ma, innanzitutto, della sua intelligenza “scientifica” e delle sue capacità tecniche. Certamente da Dio verranno elementi essenziali quali la pioggia e, poi, una sorgente d’acqua che spunta dal suolo e che si divide in quattro canali ad avvolgere e rendere fecondo il suolo altrimenti desertico (cf Gen 2,5).

Un giardino nella steppa. Il giardino dove Dio “pose Adam” è un ambiente da “custodire e coltivare” ed ecco espressa la responsabilità umana: non quella non di “conservare” ma di collaborare all’opera del Creatore sviluppando e trasformando gli elementi. Dovremmo parlare, pertanto, di una “ecologia creativa” e non conservativa, come spesso si intende. In un testo sapienziale incastonato curiosamente nel libro di Giobbe si loda la sapienza che Dio ha elargito all’uomo: “L’uomo pone un termine alle tenebre e fruga fino all’estremo limite, fino alle rocce nel buio più fondo. In luoghi remoti scavano gallerie (…) Contro la selce l’uomo stende la mano, sconvolge i monti fin dalle radici. Nelle rocce scava canali e su quanto è prezioso posa l’occhio. Scandaglia il fondo dei fiumi e quel che vi è nascosto porta alla luce” (Gb 28,3-11).

Si tratta delle attività tecniche da cui nasceranno – nei secoli futuri – anche quelle che chiamiamo le “tecnologie”. Il Vangelo del creato non censura, dunque, le scienze praticate dall’uomo, al contrario, le considera direttamente connesse con la Sapienza di Dio. Si tratta di un compito culturale che attiva quelle che noi chiamiamo “civiltà”; la natura non è, infatti, “perfetta” in sé stessa ma porta in sé sia la potenzialità del compimento della vita – e del bene – sia del suo contrario, vale a dire della distruzione della stessa. A tale compito viene associato anche quello politico espresso nella facoltà che Dio riconosce all’adam di dare i nomi a tutte le altre creature:

Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici” (Gen 2,18-20).

                Un munus che conferisce e carica sull’umano la responsabilità di governare le creature prive di parola: il compito di dare ad ognuna il diritto e la dignità di abitare la terra, di avere il proprio spazio e il proprio habitat, di essere l’una diversa dall’altra (= il nome) in modo che tutte insieme possano vivere nella concordia e costruire un mondo plurale e coeso. Un “testo poetico”, insomma, doveva essere il mondo; una liturgia corale e condivisa dove l’adam si poneva come custode e costruttore di pace. Mentre, pertanto, il mondo va a comporsi come un’orchestra che fa le prove per il più riuscito dei concerti, è l’adam che accetta e pone un limite perché non sia cancellata la trascendenza come origine di ogni cosa: il Creatore che si è ritirato ma che ha lasciato il segno di sé nella coppia, “immagine e somiglianza” sua. Senza la presenza dell’Altro non resterebbe che univocità, solitudine e morte; senza la Trascendenza di Dio la luce si spegnerebbe e il cosmo tornerebbe ad essere caos. Muto e indistinto.

Allo stesso modo l’uomo trova la via della trascendenza nell’altra, nella donna: “E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda»” (Gen 2,18).

                La vita dell’uno legata alla vita dell’altro. La relazione è strutturale al creato e alle creature. “La vita dell’uno è legata alla vita dell’altro” dice Giuda al fratello Giuseppe a proposito di suo padre Giacobbe e il figlio Beniamino (cf. Gen 44,30). Per questo Dio stabilisce la dieta per gli animali terrestri: nessuno potrà cibarsi della carne dell’altro. Un atto estremamente ecologico: la difesa della potenziale vittima del bisogno primario di ogni animale: mangiare, nutrirsi, distruggere del cibo per trasformarlo in forza del mio corpo. Non potrai farlo di un’altra “carne” dice Dio. “Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,29-31).

                L’alleanza tra le varie creature, la dieta che non consente di versare il sangue, i nomi quindi il diritto di coabitare nella libertà e nella reciprocità, costituiscono l’ordine del creato (kòsmos) la sua armonia e la garanzia della sua stessa vita. Non c’è futuro se si rompono le alleanze! Ed è proprio l’essere umano a dover custodire questa politeia su cui si regge il mondo.

Ma – ahimè! – nei racconti mitici che seguono in Genesi (cf. Gen 3-4), tutti i patti del Creato sono rotti: quello tra l’umano e Dio; quello tra l’uomo e la donna; quello tra l’umano e gli altri animali, poiché gli umani uccidono gli animali per cibarsene, riempiendo la terra di violenza (cf. Gen 6,11); tra l’umano e i suoi simili/fratelli (Caino che uccide Abele), tra l’umano e la terra: Caino rapina lo spazio della terra ad Abele (uccidere = togliere lo spazio sulla terra). Accade la catastrofe di un mondo diviso e violento e alla logica della pace si sostituisce quella della guerra. Dopo Caino – nei racconti che seguono e raggiungono l’acme col diluvio – il cosmo è infranto, non c’è più ecologia, in senso letterale; il diluvio esprime, infatti, una de-creazione ancorché a scopo di purificazione. Certamente alla fine del diluvio Dio stringe una nuova alleanza con gli umani, discendenti mitici di Noè, ma prende atto che gli uomini sono malvagi (cf. Gen 9,5-6) e consente loro di mangiare la carne pur vietando di consumare il sangue (cf. Gen 9,4).

Il custode l’acqua. Questi testi di Genesi vogliono essere una sorta di eziologia metastorica della condizione del creato post-diluviano (= l’attuale): il mondo è continuamente minacciato dal caos a causa di un umano che originariamente “immagine e somiglianza” di Dio – quindi capace di armonia, vita e bellezza, pace – ora è attaccato dalla volontà di distruzione, divisione, invasione dello spazio dell’altro. Un quadro caotico che resta sino ad oggi. Nel giardino di Eden, attraverso i racconti di Genesi, si predisponeva, un uso razionale e civile dell’acqua: il “custodire e coltivare” dell’uomo indicava la sua capacità di scavare pozzi nelle regioni steppose o di costruire dighe che convogliassero le acque del Nilo – o degli altri fiumi – verso impianti di irrigazione; l’allusione del mito biblico era innanzitutto al dono dell’acqua fatto da Dio (la sorgente e i quattro fiumi cf. Gen 2,10-14) ma anche alle tecniche studiate e predisposte dagli umani per dotare tutti di acqua potabile. Quanto, una volta usciti dall’Eden, gli umani non fecero e non fanno ancor oggi: manca una sapienza fraterna che riconosca a tutti il diritto di fruire del necessario per vivere; manca una gestione umana e sapiente dell’acqua e degli altri beni primari per cui intere popolazioni sono costrette alla sete o a bere acqua non potabile, mentre alcune – quelle più ricche, come le popolazioni europee, australiane e americane del Nord – consumano, sprecando, la maggior parte delle risorse idriche della terra.

Nella lunga avventura dell’Esodo, Mosè imparava da Dio a dare acqua agli esuli ebrei che vagavano nel deserto, costretti dalla schiavitù subita in Egitto: stupende le scene dove la sete viene sedata rendendo potabile l’acqua (cf. Es 15,22-26: le acque di Mara) o facendo scaturire l’acqua dalla roccia (cf. Es 17,1-7). Racconti scritti e trasmessi che hanno molto da dire alla nostra attualità, ai governanti e ai semplici cittadini, tutti corresponsabili nel creare o meno, politiche di diritto ai beni primari, invece di lavarsi le mani rispetto alla disperazione di milioni di persone che si vedono costrette ad emigrare dai loro Paesi a causa della siccità e della fame.

Alla fine del libro dell’Apocalisse c’è la visione una “Gerusalemme celeste” dove l’acqua sarà gratuita, nessuno dovrà pagarla: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine. A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere alla fonte dell’acqua della vita” (21,6). Una profezia che viene proiettata sulla fine dei tempi ma che comporta anche l’impegno di un “già”, nel presente interno alla storia, per tutti coloro che sentono questa pagina come Parola di Dio: compito dei cristiani è che il prezzo dell’acqua, la proprietà sulla stessa non generi un’economia di ingiustizia e di arbitrio sulla vita dei più poveri, di coloro, cioè, che non potranno bere perché non avranno di che pagare. Un delitto che grida agli occhi di Dio: nessun essere umano, nessun governo, nessun potere o potentato è legittimato a disporre dell’acqua, vale a dire della vita o della morte di un altro, tanti altri, continenti interi di creature di Dio.

Molti sono i passi di denuncia di una sciagurata “custodia dell’acqua” nella ”Laudato sì”: L’acqua potabile e pulita rappresenta una questione di primaria importanza, perché è indispensabile per la vita umana e per sostenere gli ecosistemi terrestri e acquatici. Le fonti di acqua dolce riforniscono i settori sanitari, agropastorali e industriali. La disponibilità di acqua è rimasta relativamente costante per lungo tempo, ma ora in molti luoghi la domanda supera l’offerta sostenibile, con gravi conseguenze a breve e lungo termine. Grandi città, dipendenti da importanti riserve idriche, soffrono periodi di carenza della risorsa, che nei momenti critici non viene amministrata sempre con una adeguata gestione e con imparzialità. La povertà di acqua pubblica si ha specialmente in Africa, dove grandi settori della popolazione non accedono all’acqua potabile sicura, o subiscono siccità che rendono difficile la produzione di cibo. In alcuni Paesi ci sono regioni con abbondanza di acqua, mentre altre patiscono una grave carenza” (LS 28)

“Un problema particolarmente serio è quello della qualità dell’acqua disponibile per i poveri, che provoca molte morti ogni giorno. Fra i poveri sono frequenti le malattie legate all’acqua, incluse quelle causate da microorganismi e da sostanze chimiche. La dissenteria e il colera, dovuti a servizi igienici e riserve di acqua inadeguati, sono un fatto- re significativo di sofferenza e di mortalità infantile. Le falde acquifere in molti luoghi sono minacciate dall’inquinamento che producono alcune attività estrattive, agricole e industriali, soprattutto in Pae- si dove mancano una regolamentazione e dei con- trolli sufficienti. Non pensiamo solamente ai rifiuti delle fabbriche. I detergenti e i prodotti chimici che la popolazione utilizza in molti luoghi del mondo continuano a riversarsi in fiumi, laghi e mari” (LS 29).

Mentre la qualità dell’acqua disponibile peggiora costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza a privatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità. Questo debito si salda in parte con maggiori contributi economici per fornire acqua pulita e servizi di depurazione tra le popolazioni più povere. Però si riscontra uno spreco di acqua non solo nei Paesi sviluppati, ma anche in quelli in via di sviluppo che possiedono grandi riserve. Ciò evidenzia che il problema dell’acqua è in parte una questione educativa e culturale, perché non vi è consapevolezza della gravità di tali comportamenti in un contesto di grande inequità” (LS 30).

“Una maggiore scarsità di acqua provocherà l’aumento del costo degli alimenti e di vari prodotti che dipendono dal suo uso. Alcuni studi hanno segnalato il rischio di subire un’acuta scarsità di acqua entro pochi decenni se non si agisce con urgenza. Gli impatti ambientali potrebbero colpire miliardi di persone, e d’altra parte è prevedibile che il controllo dell’acqua da parte di grandi imprese mondiali si trasformi in una delle principali fonti di conflitto di questo secolo” (LS 31).

II. Il Vangelo sul creato. Col Vangelo i cristiani non ereditano, però, solo il morire e l’essere sepolto di Gesù in ciò che simbolicamente abbiamo letto come la frattura delle alleanze e la minaccia della morte sull’ecologia della vita. Su uno sfondo sacramentale la morte di Gesù assume la morte di Abele e di tutti gli uccisi al mondo per mano dei loro fratelli (= gli altri umani). Anche Gesù ha subito il fratricidio e non c’era nemmeno una tomba per accoglierlo se non fosse stato per la generosità di Giuseppe di Arimatea. Ucciso come un malfattore e rigettato come carne maledetta. Il suo corpo innocente è un compendio di tutti gli innocenti la cui vita è recisa e il cui sangue grida a Dio dalla terra (cf Gen 4,10). Il primo grande atto di anti-ecologia è la strage degli innocenti che continuamente si ripete sulla terra a corrompere la sua maternità. Un disprezzo cui reagisce l’Amore di Dio e che si esprime nella incarnazione e resurrezione del Figlio.

Ed ecco la seconda parte del Cantico delle Creature:

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli che ‘l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; beati quelli che se trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ca la morte secunda no ‘l farà male.

                La morte non farà male! La morte non sarà rigor mortis ma travaglio del parto, grazie alla “rivelazione dei figli di Dio” (Rm 8,19). Dinamismo dello Spirito che attiva una vittoria sulla morte, una ecologia creativa, costruttiva, riconciliativa, riparativa. Quindi, ancora una volta, non conservativa. Nel corpo risorto del Signore appare il rinnovamento del creato. Nel suo corpo mistico si ricongiungono le alleanze interrotte, la resurrezione è l’opera della pace. Un’eredità di profezia e di speranza che deve tradursi in atti pratici, concreti, storici. Ed ecco la responsabilità di costruire la giustizia economica, politica, sociale. Di fare della terra – massacrata dal caos delle divisioni, della malvagità, dell’ingordigia e delle guerre – un nuovo giardino di Eden, una nuova terra promessa. Una nuova città, una nuova Gerusalemme, mirabilmente descritta nell’Apocalisse:

“Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,3-4)

                Questo è il messaggio e l’annuncio del Vangelo sul creato: esso apre un’opera di riscatto nella storia, sulla scia della Resurrezione. Esige, pertanto l’impegno politico affinché nessun uomo, donna né popolo siano schiavi di un altro; che la terra sia “madre” di tutti e tutti possano muoversi in essa per cercare condizioni di vita possibili e migliori (= il diritto di migrare e il delitto di erigere muri); che ci sia uno ius terræ fondato sul predicato che: “la terra è di Dio” concessa a tutti in usufrutto perché fraternamente si costruisca la pace. Il Vangelo sul creato prevede che ogni limes (“confine militarmente difeso”) debba tradursi in limen (“soglia”) in quel sogno che l’amore del Signore ha reso una speranza, vale a dire che il mondo rinunci a concepirsi e volersi come diviso, ferito, indegno, dove i ricchi rapinano spazi immensi di mondo confinando nelle suburre i poveri e dove nessuno sa – come Caino – dove sia il proprio fratello.

La terra del Vangelo sarà bella, dolce, spaziosa, condivisa, donata – non “meritata”, né acquistata con denaro – da un Dio padre per cui tutti siamo figli, sorelle e fratelli. Sarà un Paese nato da un Giubileo, che giunge nell’ “oggi” del Signore Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,18-21).

                     Rosanna Virgili*1958, teologa

www.conferenzaepiscopalecampana.it/wp-content/uploads/2023/10/il-vangelo-del-creato.pdf

www.alzogliocchiversoilcielo.com/2023/11/rosanna-virgili-il-vangelo-del-creato.html

CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia

Newsletter CISF – n. 3, 24 gennaio 2024

§ Un cartone animato per parlare ai bambini con genitori in carcere. È la proposta dell’organizzazione inglese Ormiston Families, che si occupa di supportare le famiglie in difficoltà, e che ha creato il personaggio di Dylan, un bambino che racconta di aver visto arrestare il suo papà e di essersi sentito molto solo, spaventato e arrabbiato, ma poi di essere stato aiutato a capire cosa stava succedendo fino a poter visitare serenamente suo padre in carcere. L’animazione, pensata per i bambini, è una preziosa testimonianza per l’azione educativa delle realtà che si occupano di famiglie e carcere [YouTube,3 min 43 sec]

www.youtube.com/watch?v=BkFgxo7WrD4

§ Cosa ci insegna il caso Francia in tema di contrasto alla denatalità? È la domanda chiave nell’approfondita analisi che il direttore del Cisf, Francesco Belletti, propone su il Sussidiario questa settimana. La discesa sotto quota 700mila nati ha scosso l’Eliseo e l’opinione pubblica d’Oltralpe, al punto che è già stato predisposto un pacchetto di azioni di governo per rispondere all’emergenza. Nel nostro Paese i tassi di denatalità presentano – di fronte a una similarità di popolazione – aspetti assai più drammatici, essendo sotto quota 400mila nati. “Se le istituzioni vogliono investire sulla natalità, devono offrire ai giovani strumenti e sostegni strutturali, permanenti, di lungo periodo, e consistenti rispetto agli oneri della cura del figlio”, scrive il direttore Cisf.

a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=pzv49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vuxrNCLM

§ UNESCO: Rapporto sulla resilienza delle donne. S’intitola “Empowering women for the good of society: gender-based resilience” [qui il testo integrale – 119 pp] il nuovo rapporto Unesco lanciato a fine 2023 a San Paolo (Brasile) in occasione del Global Forum against racism and discrimination, per fornire un quadro di riferimento per misurare la resilienza di genere attraverso l’analisi di indicatori legati alla tutela dei diritti umani e alla partecipazione femminile nell’educazione, nella scienza, nel lavoro e nella politica. Il Rapporto dedica particolare attenzione al gender pay gap, al grande peso del lavoro domestico ma anche ad alcuni temi emergenti, come la maggiore vulnerabilità femminile alle emergenze climatiche e la scarsa presenza delle donne nei settori come la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale, che stanno modificando la nostra vita quotidiana.                                                                                        https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000387885

§ Una campagna per la “disconnessione digitale“. Fondazione Progetto Itaca, realtà impegnata in attività di sensibilizzazione, prevenzione e supporto sulla salute mentale, quest’anno ha deciso di promuovere una campagna di sensibilizzazione dedicata alla disconnessione digitale. Realizzata in collaborazione con Dentsu Italia SB, la campagna mira a valorizzare la bellezza delle esperienze offline. “La tecnologia è uno strumento da gestire in modo appropriato senza abusi“, spiega il comunicato Itaca, “sono diversi, infatti, gli effetti che gli psichiatri stanno osservando negli ultimi anni e in particolare tra i giovani causati da un eccessivo e smodato utilizzo del digitale. Uno tra essi è il disturbo del sonno, che ha ripercussioni sulla memoria e sulla capacità di concentrarsi; tra gli effetti estremi c’è l’isolamento sociale“.

§ Legge caregiver familiari: insediato il “tavolo tecnico”. Il 17 gennaio si è insediato presso il ministero per le Disabilità il “Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari”, istituito dal ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli, e dal ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Calderone  news del ministero e decreto].

www.disabilita.governo.it/it/notizie/insediato-tavolo-caregiver-presto-legge-per-riconoscimento

Il Tavolo avrà la durata di sei mesi e lavorerà per formulare proposte ai fini della elaborazione di un disegno di legge volto al riconoscimento del ruolo svolto dal caregiver familiare, individuare e quantificare la platea, anche diversificata, dei beneficiari di una legge statale sui caregiver familiari, individuare il ruolo del caregiver all’interno di un sistema integrato di presa in carico della persona con disabilità.

Nel frattempo, in vari territori italiani c’è attenzione verso queste figure, con azioni di supporto e formazione: è il caso del corso in partenza il 19 febbraio, in presenza e online, proposto dal comune di Cinisello Balsamo nell’ambito del progetto FARE X CARE – FAmiglie e REti per i Caregiver familiari, cofinanziato da Regione Lombardia e attuato e promosso da Ascolom aps

www.comune.cinisello-balsamo.mi.it/spip.php?article37800

§ Corso di pastorale di vita nascente e medicina perinatale. Organizzato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Novara con il patrocinio dell’Ufficio Nazionale CEI per la Pastorale della Salute, il corso mira a formare operatori della Pastorale della vita nascente e offrire una pronta risposta alla mamma e al papà che si trovano di fronte ad una patologia prenatale: “Come posso ora aiutare il mio bambino?”. Frequentabile online e in presenza, il corso parte il 3 febbraio e chiude il 22 giugno (lezioni nei giorni indicati dalle 15.30 alle 18.30)

https://salute.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/26/2024/01/11/volantino-ADVM_CorsoVitaNascente.pdf

§ Dalle case editrici

  • R. Bassetti, Quanto siamo ripetitivi!, Bollati Boringhieri, Torino, 2023, pp. 208.
  • F. Occhetta, Le radici della giustizia, San Paolo, Cinisello B., 2023, pp. 200.
  • P. Battistel, L’arcolaio delle fiabe. Il femminile e la trasfigurazione nei racconti popolari, Oligo, Verona 2023, pp. 285.

Ci inseriamo, a modo nostro, attraverso una proposta di lettura, sul dibattito generato dall’intervento (sul quale c’è stato un ampio travisamento della stampa) di Paola Cortellesi all’inaugurazione dell’anno accademico della Luiss. Quale sia l’idea di donna che emerge dalle fiabe è tanto più interessante se, spogliata dalla lente delle regole sociali del nostro tempo, la riportiamo alle origini, alla luce dei focolari intorno a cui furono narrate. In questo processo ci aiuta il nuovo libro di Paolo Battistel, docente universitario ed esperto di fiabe e mitologia precristiana. (…)

[Leggi tutta la recensione]                www.famigliacristiana.it/media/pdf/cisf/recensioni/24cisfnews3_allegatolibri.pdf § Save the date

  • Convegno (Roma/Web)30 gennaio 2024 (Inizio ore 14). “Prevenire E Combattere Lo Stalking: Profili giuridici, psicologici e culturali“, organizzato dal Comitato unico di garanzia dell’Università La Sapienza di Roma [qui per info e link streaming]                                                    https://news.uniroma1.it/30112023_1400
  • Seminario (Milano)2 febbraio 2024 (9-13). “Quali aperture per l’adozione nazionale?” promosso dal Master Affido, adozione e nuove sfide dell’accoglienza familiare (la cui VII edizione avrà avvio nel mese di marzo 2024) presso l’Università Cattolica di Milano [qui locandina e brochure]
https://asag.unicatt.it/asag-master-affido-adozione-e-nuove-sfide-dell-accoglienza-familiare-aspetti-clinici-sociali
  • Convegno (Bruxelles)7 febbraio 2024 (10-17).DIGITAL FUTURE: 4th. Congress of Family Friendly Municipalities”, organizzato da Elfac e European Family Network [qui il programma]

www.helloasso.com/associations/cnafc/evenements/cycle-de-formation-couples-2023-2

  • Formazione (FR)7/8/9 febbraio 2024. “La sexualité de l’enfant et de l’adolescent” a cura di IFATC-Institut de la formation et de l’application des therapiés de la communication a Lione [qui la locandina]

www.famigliacristiana.it/media/pdf/cisf/24cisfnews3_locandina-7-9-febbraio.png

  • Convegno (USA) – 9 febbraio 2024 (13.15-14.30 GMT-5). “The Importane of the Family in the Eradicato of Poverty and for Peace and Prosperity” promosso Center for Family and Human Rights (C-Fam) [qui per info]                                                              https://email.opusfidelis.com/t/j-e-sdjjtly-dhpijijdu-r/
  • Convegno (Uk/Web) – 15 febbraio 2024 (14-15). “Subjective social status and healthy ageing” promosso dall’Oxford Institute of Population Ageing (link streaming]
  • https://www.ageing.ox.ac.uk/events/view/535
  • Convegno Internazionale (Roma/Web) – 7/8 marzo 2024. “Donne nella Chiesa, artefici dell’umano” promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce                                  [https://womenchurch2024.com/it

Archivio    http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=pzv49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vuxrNCLM

DALLA NAVATA

4° domenica del tempo ordinario – anno B

Deuteronomio                 18,15. Mosè parlò al popolo dicendo: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te,                                      in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto.

Salmo responsoriale     94, 07.È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli                                          conduce.

Paolo 1Corinzi                  07,35. Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma                                              perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza                                                deviazioni.

Marco                                  01,22. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro                                            come uno che ha autorità, e non come gli scribi.

Lo “spirito impuro”

                Questa domenica troviamo Gesù alle prese con uno «spirito impuro». È difficile per il nostro mondo capire di che cosa si tratti, o meglio, che cosa si intenda con questa espressione.

                Gesù è, come ogni giudeo del tempo, in sinagoga nel giorno di sabato, un giorno particolare, diverso dagli altri giorni della settimana. Un giorno interamente dedicato al Signore, alla relazione con lui e alla relazione con gli altri e con la creazione. Il sabato è il giorno che dà fondamento e senso al resto degli altri giorni, allo scorrere del tempo, all’esistenza intera.

                La sinagoga era già in quel tempo il luogo privilegiato per vivere l’«incontro» sia con la Parola che con i fratelli. Il termine stesso, sinagoga, derivante dal greco syn-ago, raduno insieme, indica che il luogo era destinato fondamentalmente alla possibilità di radunarsi insieme, non solo per la preghiera, ma anche per lo studio della Torah, la discussione e l’approfondimento delle Scritture e per acquisire, attraverso tutto questo, una maggiore comprensione della realtà e dell’azione di Dio nel proprio mondo.

                Da quanto ci viene detto nel Vangelo, Gesù non è alle prime armi; il fatto che prenda la parola e insegni con autorità dimostra che aveva un’ottima istruzione religiosa e anche una grande capacità di penetrare nello spirito delle Scritture, di comunicare la vita che vi è in esse.

                Comprensibile anche ai nostri giorni, a questo proposito, è la battuta che Marco fa tra le righe riferendosi agli scribi: «Egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi». Gli scribi infatti erano persone dedite allo studio e all’insegnamento delle Scritture, ma evidentemente svolgevano questo ruolo – alcuni di loro, non certamente tutti – in modo distaccato, superficiale e privo di vita, quasi come se fosse un mestiere come un altro. Non è difficile anche per noi intravvedere in queste figure alcuni predicatori il cui effetto è «mortale», proprio perché anziché comunicare vita e interesse per la Parola, allontanano sempre di più i loro uditori; e la conseguenza la vediamo negli spazi sempre più vuoti delle nostre chiese.

                Gesù dunque prende la parola, il suo insegnamento coinvolge gli uditori, attrae e soprattutto comunica vita. E se questo ha un risultato positivo su molti dei presenti, riceve invece una reazione di rifiuto e, si potrebbe dire, di protesta da parte di un uomo «posseduto da uno spirito impuro», che incomincia a gridare: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!».

                La cosa interessante è che questo «spirito impuro» riconosce l’autorità di Gesù, ovvero riconosce la vitalità che le sue parole trasmettono e, proprio per questo, ne avverte la minaccia, la rovina: chi genera morte non può accettare o sopportare tutto ciò che comunica vita. Ma che cosa è più forte, la vita o la morte? «E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!”».

                Con questa risposta Gesù opera una distinzione importante, separando l’individuo da ciò che lo attanaglia, dal male mortale che lo imprigiona; un male che non può essere più forte del desiderio di vita e di pienezza che è insito in ogni persona umana, quale che sia la sua storia o la sua realtà.

                Dall’altra parte c’è da notare che nessuno dei presenti è scandalizzato dal fatto che in mezzo a loro ci sia qualcuno impossessato da uno «spirito impuro», perché questo fa parte della realtà umana. Ci sono ancora oggi, come ieri e forse, purtroppo, anche domani, persone in cui questo «spirito impuro» sembra prevalere, avere la meglio. Persone animate da un desiderio di morte, di distruzione, di odio verso chi è considerato «altro», un diverso, un estraneo.

                Credere nella forza vitale della Parola è allora l’invito ad adoperarsi perché questo «spirito impuro» venga cacciato, «rovinato» anche oggi; è promuovere la liberazione di coloro che sono vittime, imprigionate in questa spirale di odio e di violenza che non solo distrugge l’«altro», ma provoca l’autodistruzione di sé.

                Un ultimo particolare tutt’altro che irrilevante: lo «spirito impuro» definisce Gesù «il santo di Dio». In questa espressione riecheggia il testo del Levitico: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2). Gesù è partecipe della stessa santità di Dio, in lui non c’è ombra di morte, ma solo pienezza di vita, ed è proprio questo ciò che lo «spirito impuro» rileva: quell’invalicabile abisso che relega ogni desiderio e volontà di morte lontano da Dio. E lo «spirito impuro» sa già che di fronte a questo non c’è possibilità di riuscita, di vittoria: la santità di Dio, la pienezza di vita prevarrà sempre.

                               Ester Abbattista, biblista

DONNE NELLA (per la) CHIESA

Ministeri istituiti, il ritorno a un’antica tradizione

Il 10 gennaio del 2021 col Motu proprioSpiritus Domini” Papa Francesco modificava il canone 230 §1 del Codice di diritto canonico circa l’accesso delle persone di sesso femminile al ministero istituito del lettorato e dell’accolitato.

www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio-20210110_spiritus-domini.html

Lo faceva «seguendo una venerabile tradizione, la ricezione dei ministeri laicali che san Paolo VI regolamentò nel Motu Proprio “Ministeria Quædam” (17agosto 1972)» e che, però, allora, venivano conferiti solo a fedeli idonei di sesso maschile.

www.vatican.va/content/paul-vi/it/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motu-proprio_19720815_ministeria-quaedam.html

Lettrici, accolite, catechiste: le donne protagoniste nella vita della Chiesa, già dai tempi dell’apostolo Paolo e delle prime comunità cristiane, come si legge nel Nuovo Testamento

Così il Papa illustra e spiega la decisione: «Accogliendo tali raccomandazioni, si è giunti in questi ultimi anni ad uno sviluppo dottrinale che ha messo in luce come determinati ministeri istituiti dalla Chiesa hanno per fondamento la comune condizione di battezzato e il sacerdozio regale ricevuto nel sacramento del Battesimo; essi sono essenzialmente distinti dal ministero ordinato che si riceve con il sacramento dell’Ordine. Anche una consolidata prassi nella Chiesa latina ha confermato, infatti, come tali ministeri laicali, essendo basati sul sacramento del Battesimo, possono essere affidati a tutti i fedeli, che risultino idonei, di sesso maschile o femminile, secondo quanto già implicitamente previsto dal can. 230 § 2».

Ed ecco, dunque, che ora ogni anno, in occasione della domenica dedicata alla Parola, anche in San Pietro vengono conferiti dal Papa questi ministeri a lettrici e lettori, accolite e accoliti, oltre che alle catechiste e ai catechisti anch’essi istituiti in un ministero laicale non ordinato. La Chiesa torna così a una tradizione davvero antichissima che esisteva certamente ai tempi di Paolo e delle prime comunità cristiane, la cui prassi è attestata negli scritti del Nuovo Testamento.

A dispetto di quanto si è detto nei secoli passati – che l’apostolo Paolo {o i copisti dei testi  originali} fosse un misogino e avesse in disprezzo le donne -, rispetto alla condizione assunta da tutti i battezzati, uomini e donne, (Galati 3,28). Molti additano il famoso passo dove Paolo dice: «Come in tutte le comunità dei santi, le donne nelle assemblee tacciano perché́ non è loro permesso parlare» (1Corinti 14,33-34). Ora è possibile che questo silenzio sia rispetto alla glossolalia (=parlare in lingue sconosciute) di cui Paolo ha già detto: se non c’è chi la interpreti, si taccia (cf v. 28). Sembra invece scontato che a tutti, quindi anche alle donne, sia richiesta – e non solo permessa – la parola profetica, come Paolo afferma esplicitamente nel capitolo undicesimo – sempre della Prima Corinti – a proposito del velo che dovrebbe tenere «ogni donna che prega o profetizza» (v. 5).

Nell’ultimo capitolo della Lettera ai Romani, nei saluti ai “santi” di Roma, Paolo elenca diciassette uomini e nove donne chiamati per nome e se le donne sono meno rispetto agli uomini, esse sono, però, le più ammirate dal mittente e quelle che si vedono recapitati i più squisiti complimenti per il loro impegno evangelico. Prisca, insieme a suo marito Aquila, era stata a Corinto con Paolo, per fondare con lui quella Chiesa. Maria è ricordata da Paolo per il suo grande impegno. Per esprimerlo Paolo usa un verbo adibito non tanto a indicare il lavoro manuale, quanto la fatica della missione e della predicazione del vangelo fatta senza risparmiarsi e anche nel ruolo di capi.

Ella è, infatti, soggetto del verbo kopíao in cui si esprime un lavoro duro che porta sino alla spossatezza. Curioso è vedere che questo verbo venga usato per descrivere l’opera di altre tre persone – nella lista dei saluti – e tutte e tre sono donne: Trifena, Trifosa e Perside, come attesta la prima lettera ai Tessalonicesi (cf. 5,12). Maria era, dunque, una donna impegnata radicalmente nella comunità per l’annuncio del Vangelo, forsanche come guida della stessa, così come dovevano esserlo Trifena, Trifosa e Perside, che Paolo chiama, addirittura, l’«amata», un’espressione che fa pensare al rapporto di intima comunione che c’era tra Gesù e il suo discepolo amato, nel vangelo di Giovanni. Si tratta di quell’amore profondo che va oltre le barriere del genere, dell’etnia, della condizione sociale e abbatte ogni muro di discriminazione.

Rosanna Virgili                Roma Sette        24 gennaio 2024

Teologia e femminismo nel libro di Viviana Premazzi

Se all’interno delle religioni il sistema patriarcale androcentrico e misogino sembra immune alle sfide della modernità, il libro della ricercatrice e formatrice Viviana PremazziPer una società e una chiesa senza esclusioni. Teologia e femminismo in Brasile (Effatà Editrice, pp. 173) – suona invece come una scommessa: quella che sia ancora possibile costruire chiese inclusive per donne e uomini nuovi, libere dal patriarcato e da quella violenza religiosa che è il clericalismo. «Ci sono – scrive nell’introduzione – dei semi di liberazione dentro alla Chiesa e dentro alle religioni. Dobbiamo trovarli, portarli alla luce, farli conoscere e prosperare».

È un libro che parte lontano: iniziato, dice l’autrice, quasi vent’anni fa, sotto la spinta del desiderio «di approfondire tematiche» che rappresentassero per lei «un’occasione di crescita in quanto donna e in quanto cristiana». E ripreso in mano e concluso quando, in occasione di un evento sul dialogo interreligioso a Roma, una ragazza di religione induista aveva detto «che non ci sarebbe mai stato nulla da fare per le donne nelle religioni», in quanto «intrinsecamente misogine ed escludenti» e impegnate a perpetuare «una cultura di sottomissione, violenza ed oppressione». E lei, di fronte a quelle parole, si era alzata in piedi e aveva detto che era stata proprio quella stessa esperienza a portarla in Brasile per «cercare, scoprire e trovare un altro modo di vivere la religione e di essere Chiesa» e che si era imbattuta in tante donne e uomini impegnati a sviluppare «pensieri e prassi di liberazione» e a difenderli da ostacoli e censure. Rispondendo all’enorme peso di una violenza fisica, psicologica, religiosa e simbolica, con un’autentica ribellione portata avanti, negli ultimi decenni, tanto all’interno delle chiese che nella società.

È così che è nata la ricostruzione appassionata della teologia femminista della liberazione, dalle origini al presente, che Viviana Premazzi offre nel suo libro, non solo riaccendendo «memoria grata» ma aiutandoci «a rimetterci in cammino, umilmente, camminando per ritornare ad essere Popolo», come scrive la missionaria e biblista popolare Maria Soave Buscemi nella Prefazione. Popolo con la lettera maiuscola, come, ricorda Buscemi, lo scriveva sempre Pablo Neruda.

                Una ricostruzione che pone particolarmente l’accento sullo studio della lettura popolare della Bibbia e, soprattutto, dell’ermeneutica biblica femminista: «Partendo dalla loro esperienza di vita in quanto donne e in quanto latinoamericane», evidenzia l’autrice, «le donne vogliono “spogliare” il testo dalle interpretazioni occidentali dominanti, razionaliste, colonialiste, sessiste e maschiliste, per sviluppare una nuova lettura veramente liberatrice e fedele al messaggio di Gesù Cristo». E lo fanno anche a partire da problema del linguaggio sulla Divinità, delle sue immagini e dei suoi simboli, nella consapevolezza di quanto l’assenza del femminile dall’immaginario divino sia inscindibilmente connessa con la costruzione socioculturale del patriarcato, con i modi in cui sono state costruite le identità femminili e maschili nel tempo, nella storia e nella cultura. Un compito che le teologhe femministe portano avanti seguendo due diverse strade: o «recuperare, nella Bibbia (pur considerando Dio al di sopra delle differenziazioni sessuali) le immagini femminili attraverso le quali Dio viene presentato in altro modo» o, ed è l’opzione maggioritaria, «analizzare criticamente fino a mettere in discussione il concetto di paternità attribuito a Dio».

Ma è stata soprattutto la ricerca sul campo – effettuata nella diocesi di Lages, nello Stato di Santa Catarina, nel sud del Brasile – a permettere all’autrice di constatare «l’esistenza di un legame molto forte tra la teologia femminista, l’ermeneutica biblica femminista e l’impegno delle donne»: «La teologia e, specialmente, la riappropriazione dei testi biblici ha aiutato le donne a sviluppare una maggiore coscienza di sé, dei propri diritti e della propria dignità e ad impegnarsi affinché altre donne e altri uomini potessero liberarsi da costruzioni sociali limitanti e costrittive, per aprirsi invece all’edificazione di una nuova umanità e di nuove relazioni autenticamente libere e umane».

                Claudia Fanti      Adista Documenti n° 3                27 gennaio 2024

www.adista.it/articolo/71269

Per gentile concessione di Effatà Editrice, riportiamo alcuni stralci tratti dal capitolo terzo del libro.

L’autorità della Bibbia

Fin dagli albori della teologia femminista, l’autorità della Bibbia è stata sottoposta a un processo di critica. Ad esempio, basta riferirsi al discorso pronunciato da Cutler alla Convenzione americana per i diritti della donna, che si è svolta a Philadelphia nel 1954: «È giunto il momento per noi donne di leggere e interpretare la Bibbia da noi stesse» (…). La teologia femminista non considera la Bibbia un libro neutro, bensì un libro politico, usato per secoli contro l’emancipazione della donna e un libro che riuscì e riesce tuttora a svolgere questa funzione perché è espressione di una società e di una cultura patriarcali, ed è dunque un libro patriarcale. La teologia femminista non rifiuta la Bibbia e la sua autorità, ma la considera ugualmente un testo su cui poter fondare il proprio «agire teologico». Per fare ciò è però necessario rileggere il testo liberandolo dalle antiche interpretazioni, prodotte da una concezione religiosa europea, androcentrica e razionale e spogliare di autorità i testi più oppressivi e discriminanti per le donne per ricostituirli alla luce del messaggio di liberazione del vangelo.

                (…). Ivone Gebara, in particolare, sostiene che la tradizione non sia valida se considerata aprioristicamente, ma solo nella misura in cui sia costantemente rielaborata e ricreata in vista del presente anche perché la teologia femminista fatica a considerare la Bibbia come «Parola di Dio» e preferisce indicarla come «parola sull’esperienza di Dio di un popolo», un libro in cui si trovano molteplici metafore, molteplici volti di Dio, e come una parola che va interpretata alla luce dell’esperienza di coloro che la leggono.

                (…). Uno dei testi maggiormente considerati dalla teologia femminista, perché ritenuto massima espressione della cultura e dell’interpretazione patriarcali, è Genesi 2- 3 (insieme a Siracide 42,14, considerato il testo più antifemminista della Bibbia: «Meglio la cattiveria di un uomo che la bontà di una donna»). Infatti, mentre Genesi 1,27 recita «maschio e femmina li creò», Genesi 2-3 è il racconto della creazione dell’uomo e della donna nel quale si narra che la donna fu creata per seconda (Gen 2,18), con una costola dell’uomo (Gen 2,22), ma che fu la prima a peccare spingendo anche l’uomo a fare lo stesso (Gen 2,12-13).

(…). A rafforzare questa visione contribuiscono le lettere di Paolo che in più passaggi argomentano, a partire da Genesi 2-3, la sottomissione della donna all’uomo. La teologia femminista rilegge la Bibbia, cercando di rivalutare figure profetiche femminili dell’Antico Testamento, per secoli conosciute e definite in relazione all’uomo come «madre di» o «sposa di», fino alla nascita di Gesù. Questa, letta attentamente, stravolge tutte le relazioni di subordinazione: al termine dell’elencazione degli antenati di Gesù secondo l’antico schema patriarcale (madre di, sposa di) Giuseppe viene definito come «lo sposo di Maria» (Mt 1,1- 16) e Maria Maddalena non viene chiamata né figlia, né madre, né sposa, né sorella di alcuna figura maschile, rompendo, in questo modo, totalmente lo schema fissista ed essenzialista dell’ordine simbolico patriarcale.

(…).Il riscatto di queste figure permette di prestare attenzione alla resistenza e alle lotte combattute da molte donne nell’Antico Testamento in difesa della vita, a favore della giustizia e contro le più diverse forme di oppressione come appare nella vicenda che ha per protagonista Giuditta (Gdt 8 e ss.), che rifiuta di accettare la decisione degli anziani e di consegnare la città ad Oloferne, ma decide di ribellarsi e di guidare la resistenza del suo popolo.

La teologia femminista ricerca nei vangeli il messaggio di Gesù, un messaggio di vita e di speranza per tutti e tutte: nel vangelo di Luca la vocazione escatologica delle donne è di essere discepole; Marco, alla fine del suo vangelo, presenta alcune donne che avevano accompagnato Gesù nel corso della sua missione e che gli erano rimaste fedeli fino alla fine, anche quando i discepoli erano fuggiti. Le donne avevano «seguito» e «servito» Gesù (usando due parole teologiche che definiscono il discepolato) ed erano, dunque, discepole al pari dei Dodici.

(…). È importante considerare, in questa sede, l’approfondito studio di Elisabeth Schüssler Fiorenza, “In memoria di lei” (1983), considerato importante non solo per le donne cristiane, ma per tutti coloro che vivono «sotto il segno del cristianesimo», nonostante non ne condividano la fede. L’importanza del testo risiede già nel suo titolo: la memoria a cui si riferisce l’autrice è quella della donna che, nel vangelo di Marco, unse Gesù poco prima della sua morte. L’autrice sostiene che se, da una parte, si ricordano con facilità i nomi di Giuda, il traditore, e di Pietro, anche se rinnegò Gesù, la storia di questa donna, il cui nome fu omesso, è stata completamente dimenticata, nonostante Cristo avesse dichiarato: «In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunciato il vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto» (Mc 14,9). Secondo Schüssler Fiorenza il nome e il gesto di questa «discepola fedele» furono dimenticati dalla maggior parte dei cristiani, proprio perché era una donna.

(…).Elisabeth Schüssler Fiorenza cerca di rispondere a due interrogativi di fondo: il «movimento di Gesù» fu, di fatto, radicalmente egualitario? Se fu così, perché poi il cristianesimo si trasformò in un movimento rigidamente patriarcale? Individuando due movimenti alle origini del cristianesimo: il «movimento di rinnovamento» di Gesù in Palestina e il movimento missionario cristiano primitivo, iniziato prima di Paolo, ad Antiochia, l’autrice riconosce che entrambi miravano a un «discepolato di eguali» e volevano aggregare «comunità di eguali», «comunità inclusive» in cui fossero privilegiati e protagonisti gli esclusi della società, tra cui le donne: erano dei movimenti egualitari che non presentavano alcun tipo di rapporto gerarchico o di subordinazione. (…). Indubbiamente, il movimento di Gesù e gli insegnamenti del vangelo avevano una portata rivoluzionaria che riuscì a concretizzarsi nella Chiesa delle origini concedendo alle donne una piena partecipazione nelle comunità, anche attraverso l’esercizio di ministeri.

                Un testo che l’autrice indica come espressione massima di questo movimento cristiano primitivo è Gal 3,28: «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» che appare alla teologia femminista «la magna charta del femminismo cristiano».

(…). Cristo è venuto ad annunciare un nuovo mondo in cui siano eliminati i rapporti di dominio, in cui tutti siano e si sentano membri della famiglia di Dio, come fratelli e sorelle.

                Purtroppo, però, quando la Chiesa cercò di darsi una forma per vivere nell’ordine sociale esistente, cioè all’interno di una società patriarcale, perse i suoi connotati di egualitarismo e partecipazione per assumere un modello che le consentisse di disporre del potere e dall’autorità, dunque un modello gerarchico ed escludente.

                (…). L’ermeneutica femminista, introducendo un «altro modo» per spiegare alle donne i testi biblici, trasforma la stessa Bibbia, prima fonte di oppressione e di discriminazione nei confronti delle donne, in un’alleata della loro liberazione, un sostegno alle lotte per la dignità e il rispetto, un manifesto di giustizia e uguaglianza.

I nomi di Dio. La teologia femminista mette in discussione l’immagine di Dio tramandata dalla Tradizione, considerandola come un simbolo patriarcale. «Dio» è un nome maschile, lo stesso immaginario collettivo lo rappresenta come uomo (un vecchio dalla barba bianca, ecc.) e gli sono attribuite caratteristiche prevalentemente appartenenti al maschio. Inoltre, la teologia femminista non condivide l’idea di un Dio autosufficiente, onnisciente ed onnipotente, Totalmente Altro, esclusivamente trascendente per il quale gli uomini e le donne sono solo umili creature, perennemente inadeguate e peccatrici. Sostiene, invece, l’idea di una reciprocità tra Dio e l’uomo e la donna, di un Dio che si faccia partner d’amore, vicino e attento all’uomo e alla donna.

Nel corso dei secoli, però, il giudaismo e, di conseguenza, il cristianesimo, affermandosi come religione maschile, persero, progressivamente e volutamente, quelle caratteristiche attribuite alla divinità creatrice dalle religioni dei popoli vicini a Israele (la tenerezza, la dolcezza, l’armonia, la fertilità), dimenticando in questo modo anche la stretta relazione che queste divinità avevano con la terra e con la natura.

(…). Inoltre, la teologia femminista sostiene che il Dio della rivelazione di Israele si sia manifestato come IHVH: Colui che è, Colui che fa essere, Fonte e Fondamento di Essere, ecc. Fu la società giudaica, dunque, ad attribuire a Dio caratteristiche maschili, più funzionali all’imposizione del dominio e della superiorità maschile nella società.

Letty Russell sostiene che, nell’interpretazione di Genesi 1,27, ad esempio, è necessario considerare la parola usata per riferirsi a Dio che è elohim, plurale, e il verbo «facciamo…», anch’esso plurale. Questo indicherebbe un Dio che ha in sé tutte le caratteristiche delle divinità maschili e femminili del pantheon cananita, che Dio trascende e al contempo include. (…).

Fu, però, Mary Daly a muovere la critica più feroce all’immagine maschile di Dio in “Al di là di Dio Padre”(1973). L’autrice sosteneva che la conseguenza logica e drammatica era che «se Dio è maschio, allora il maschio è Dio» e che, inoltre, la maschilità di Dio Padre era rafforzata, nel cristianesimo, dalla maschilità del Figlio. Il problema non è tanto nel simbolo in sé e per sé – infatti è universalmente riconosciuto che Dio sia al di là delle differenziazioni sessuali e culturali tra uomo e donna e tra maschile e femminile e che uomo e donna siano stati creati «a immagine e somiglianza» di Dio – ma il problema di un Dio maschile sta, soprattutto, nelle conseguenze che ne derivano: l’impostazione di un discorso andromorfo, l’imposizione di una cultura androcentrica, di una religione autoritaria e di strutture patriarcali.

(…) La teologia femminista, per affrontare la questione su Dio, ha a disposizione due strade: o recuperare, nella Bibbia (pur considerando Dio al di sopra delle differenziazioni sessuali), le immagini femminili attraverso le quali Dio viene presentato in altro modo o analizzare criticamente fino a mettere in discussione il concetto di paternità attribuito a Dio.

                La prima opzione: il recupero della «femminilità di Dio» viene intrapresa non per affermare l’esistenza di un Dio androgino (perché il mistero di Dio trascende la realtà sessuale), ma per dare vita a un nuovo linguaggio più integrale e universale che corregga e integri il linguaggio religioso sessista. In questo senso viene recuperata la Sophía (hochmah in aramaico e Shekinah nel giudaismo rabbinico), la Sapienza, nell’Antico Testamento, che esprime la presenza immanente e mediatrice di Dio in forma femminile.

(…). Letty Russell considera come attributi femminili di Dio, oltre a Sophía, anche Torah, la guida di Dio, e Chokmah, la divina sapienza pre-cosmica. Nel Nuovo Testamento Gesù è associato con ognuno di questi attributi, ne deriva che sia Jahvè sia Gesù sono descritti con caratteristiche maschili e femminili. Lo stesso si può dire per lo Spirito, espresso in ebraico con il termine femminile ruah (vento, spirito, soffio vitale) a cui sono spesso attribuite funzioni associate alla donna: consolazione, calore emotivo e ispirazione. L’autrice, in conclusione, sostiene che «tutte e tre le Persone della Trinità trascendono le categorie di maschile e femminile e che le metafore umane usate per parlare di tutte e tre includono caratteristiche umane di tutti i tipi».

                Un’altra immagine, suggerita da Letty Russel in ”Teologia femminista” usata per descrivere Dio nell’Antico Testamento e che dimostrerebbe l’attribuzione a Dio di caratteristiche delle divinità femminili, sono gli uccelli. Probabilmente l’uso dell’immagine di uccelli riprenderebbe la rappresentazione di divinità femminili con ali protettrici. Dio, infatti, è descritto in più passaggi come un uccello femmina che protegge i suoi piccoli (Sal 17,8; 36,7; 57,1; 91,1- 4; Is 31,5; ecc.). (…).

Maria Clara Lucchetti Bingemer evidenzia altri termini dell’Antico Testamento che presentano accezioni di carattere femminile: innanzitutto rahamin (la misericordia divina) dalla radice rehem (seno, utero materno) che viene generalmente utilizzato per paragonare l’amore di Dio all’amore di una madre (in questo modo il popolo di Israele si rivolge a Dio come un figlio). Poi, anche Bingemer fa riferimento all’immagine divina più femminile in ambito cristiano: lo Spirito Santo che indica la presenza di Dio come causa prima di vita. Ruah, in greco, si trasforma in pneuma, neutro, e in latino in spiritus, maschile. Questo è un evidente processo che parte dal linguaggio ma approda alla «patriarcalizzazione di un’immagine femminile del divino», anche se permangono nella tradizione cristiana sullo Spirito Santo molti elementi femminili.

(…). Questa è una delle strade praticabili dalla teologia femminista. L’altra, maggioritaria, vuole depatriarcalizzare il concetto di Dio Padre. In questa linea Dorothee Sölle, riprendendo la distinzione di Erich Fromm tra forme di religione autoritaria e forme di religione umanitaria, identifica il simbolo di Dio come espressione della religione autoritaria da cui discenderebbero relazioni di obbedienza ed invita ad abbandonarlo. Sostiene, però, che la paternità di Dio potrebbe anche essere usata da una religione umanitaria, purché venga spogliata dalle «incrostazioni patriarcali», perché potrebbe dimostrare l’essere dipendenti da Dio e, insieme, l’essere uniti a Lui, esprimerebbe la finitezza e la creaturalità dell’uomo e, allo stesso tempo, la loro accettazione fiduciosa (…).

Rahner sostiene che riferirsi a Dio come padre significa riconoscerlo come principio di una vita nuova e come qualcuno che si prende cura e protegge la vita a cui ha dato origine. Queste connotazioni essenziali di padre si possono applicare, ugualmente, ad una madre e, a questo punto, il concetto di paternità sarebbe equivalente a quello di genitorialità che includerebbe sia il padre che la madre: sarebbe dunque possibile dire sia che «Dio è Padre» sia che «Dio è Madre».

Nonostante non sembri, a questo punto, che sia un problema identificare Dio come Padre e come Madre, la tradizione parla di Dio esclusivamente come Padre, questo perché la formulazione e lo sviluppo del concetto sono avvenuti in una società patriarcale, nella quale la positività era attribuita all’uomo, mentre la donna era carica di negatività che non poteva essere caratteristica di Dio. (…).

Secondo la teologia femminista, il Dio rivelato da Gesù Cristo, comunque, nonostante nel Nuovo Testamento venga indicato 170 volte col nome di Padre, non è da intendere in senso patriarcale, ma in senso trinitario. L’uso del termine aramaico Abba, infatti, non è usato per sottolineare i tratti maschili e patriarcali di Dio, bensì per indicarne la vicinanza sanante e liberatrice e la intima relazione che si può instaurare.

(…).Una cristologia femminista? La teologia femminista si avvicina alla vicenda del Cristo ponendosi alcune domande fondamentali: come può un Salvatore maschile essere di aiuto alle donne? Come è possibile che un maschio sia portatore della comunione di Dio con le donne e con gli uomini, se egli rappresenta solo una metà della razza umana? Come può rappresentare l’intera umanità redenta? Ci sono teologhe, come Mary Daly, che, per liberarsi della questione della maschilità di Gesù, cercano un’altra incarnazione dalla forma di donna; altre che sostengono che Gesù fosse stato solo una «persona buona» e non il «rappresentante della nuova umanità», in questo modo la sua vicenda non sarebbe molto importante per la Salvezza e le donne potrebbero cercare altrove modelli più significativi, come ad esempio la Dea Madre nelle religioni antiche.

Ma, per la teologia femminista che riconosce nel Cristo il soggetto della teologia cristiana e l’incarnazione di Dio, la maschilità di Gesù rimane in tutta la sua drammaticità. Alcuni teologi e teologhe affrontano il problema sostenendo che Gesù, dovendo nascere in una cultura androcentrica e in una religione patriarcale, in quanto maschio avrebbe avuto maggiore libertà nel vivere e operare come un rabbi. Inoltre, Gesù sarebbe l’auto-espressione di Dio non come maschio (anér), ma come uomo (ánthropos). Paolo, infatti, ad esempio, presenta Gesù come il Nuovo Adamo (ánthropos, appunto): «Egli è il rappresentante di Dio, per mezzo del quale il progetto divino per la redenzione umana è reso operativo» (…). La sua maschilità, dunque, non avrebbe valore salvifico.

                Esiste inoltre un ramo della teologia femminista che mira, invece, a recuperare, soprattutto, la prassi e il «movimento di Gesù» e un altro che cerca di presentare Gesù come emblema di una nuova maschilità, vissuta in maniera esemplare. (…). La vicenda e «il movimento» di Gesù costituiscono una rottura e un superamento dei tabù, delle leggi, delle teologie e della cultura giudaica del post-esilio (infatti le proibizioni contro la partecipazione delle donne al culto e alla società cominciarono dopo l’esilio babilonese), perché egli considerò le donne come persone complete, a cui era promesso un posto nel Regno di Dio. Questo appare con evidenza nell’episodio della donna samaritana con cui Gesù parla nonostante fosse vietato a un giudeo parlare in pubblico con una donna e, per di più, samaritana (Gv 4,7-30). (…).

Gesù si configurava come il rappresentante di un’umanità nuova, di un’umanità completa e presentava a tutti, uomini e donne, la possibilità di essere persone umane complete al di là di qualsiasi differenziazione biologica. (…).

Una nuova mariologia. La mariologia è uno dei campi di teologia sistematica in cui è più aspro il dibattito tra teologia femminista e teologia classica. Le teologhe, infatti, non riconoscono nella Maria della mariologia classica un modello della propria femminilità, ma, al contrario, la considerano emblema di una femminilità funzionale al mantenimento della donna in una posizione di inferiorità e di sottomissione al dominio maschile e all’autorità patriarcale all’interno della Chiesa e nella società. Inoltre, pur riconoscendo che la mariologia classica permette il recupero di alcuni simboli femminili per riferirsi a Dio, le teologhe sostengono che tale mariologia sia subordinata alla cristologia e che, di conseguenza, come Maria è subordinata al Cristo, allo stesso modo la donna deve essere subordinata all’uomo. Dunque, nonostante per alcuni teologi Maria rappresenti «la femminilità di Dio» o, come sostiene Leonardo Boff, «il volto materno di Dio», questo non contribuirebbe, secondo la teologia femminista, a dare alla donna una nuova coscienza di sé e maggiore dignità.

(…). In molte religioni precristiane, come per esempio nella religione cananea, da cui prese origine, poi, la religione giudaica, esisteva una Dea Madre Vergine che diede origine alla vita, associata alla terra e ai miti della fertilità. La Dea Madre fu la creatrice di tutto ciò che esiste. Presso queste religioni, la creazione era vista, dunque, come un parto e, inoltre, la Dea Madre era, anche, dea della fertilità e, quindi, colei che contribuiva al rinnovamento della vita. La verginità di questa divinità rappresentava la giovinezza eternamente rinnovata e l’autosufficienza della donna, in grado di creare vita nuova a partire da sé stessa. La Dea Madre e la Madre di Dio, cristiana, presentano, dunque, diversi aspetti comuni, primo fra tutti l’indipendenza dal principio maschile. Ciò che, però, differenzia Maria dalle dee delle religioni precristiani e, di conseguenza, il motivo per cui la Maria della mariologia classica non può contribuire alla liberazione delle donne, è che Maria non è soggetto attivo, non controlla la propria fertilità e la propria maternità, ma è, semplicemente, destinataria di un atto unilaterale che proviene da Dio.

(…). Maria, vergine, ma anche madre, contribuisce all’affermazione della maternità come destino ed unico scopo della donna, ma attraverso l’esaltazione contemporanea della verginità provoca il disprezzo per l’atto sessuale, mai considerato atto di amore o libera relazione tra due persone, ma prima fonte di peccato, causato, ovviamente dalla donna, e, soprattutto, dal suo corpo. (…). Inoltre Maria viene solitamente contrapposta a un’altra figura femminile della Bibbia e del cristianesimo: Eva. Madre dell’umanità, Eva assume però una forte connotazione negativa e l’interpretazione, maschilista e patriarcale, data ai testi di Genesi contribuisce a considerarla una creatura pericolosa per la sua curiosità, la ribellione del corpo allo spirito, la carnalità, l’indipendenza e la disobbedienza: Eva è colei che ha peccato per prima e ha fatto peccare l’uomo condannandolo ad essere allontanato dal Paradiso Terrestre. Maria, invece, o meglio la mariologia, attribuirebbe a Maria tutte le caratteristiche di una femminilità «buona» (per i teologi maschi…): la sottomissione, l’obbedienza, la purezza, la passività, il silenzio.

(…).La teologia femminista, per cercare un modello femminile che possa contribuire alla liberazione delle donne, tenta di recuperare (o, meglio, di elaborare) una mariologia profetica, rivolgendosi principalmente alla Maria, profetica e liberatrice, che proclama il Magnificat (Lc 1,46-53) che è un canto di liberazione e non ad una Maria «serva sottomessa, silenziosa ed obbediente». (…).

Viviana Pedrazzi*1981    La teologia femminista. Critiche alla teologia classica.

Adista Documenti n° 3  27 gennaio 2024                            www.adista.it/articolo/71270

Il commentario queer alla Bibbia

«Accettare la queerness come prassi cristiana significa riconoscere che il confine non ci circonda, ma ci attraversa, e che quel che avvertiamo come contraddizione è in realtà uno spazio fecondo di cui non abbiamo ancora compreso il potenziale vitale».

È stata recentemente pubblicata la traduzione italiana del Commentario queer alla Bibbia per le edizioni Edb. Molti si saranno chiesti il senso di questa operazione. Proverò a spiegarlo.

Negli ultimi decenni la questione del genere e delle sue definizioni è stata affrontata in modo consistente dal mondo accademico internazionale. La categoria di genere permette infatti di indagare come stereotipi e ruoli di genere tradizionali abbiano avuto impatto sulla determinazione della vita e delle relazioni sociali e politiche di uomini e donne, producendo privilegi, emarginazioni, sistemi ingiusti e perfino violenze.

Gli studi di genere interpellano anche la Scrittura. La teologia non può evitare di affrontare queste tematiche, poiché le riflessioni e le intuizioni degli studi di genere interpellano la letteratura di ogni tipo, compresa quella biblica, hanno impatto sull’immagine biblica e cristiana dell’essere umano e sugli aspetti istituzionali della Chiesa. Per comprendere come si sia arrivati ad avere una lettura queer del testo biblico occorre partire dalla «rivoluzione copernicana» della lettura femminista della Bibbia.

L’esegesi femminista, dapprima svolta nella storia da singole donne e poi via via in modo sempre più consistente dalle donne in quanto soggetto collettivo (abbiamo più volte parlato del progetto Woman’s Bible 1895), ha iniziato contestando che la Bibbia giustificasse la concezione sessista e patriarcale delle donne come subordinate e funzionali. Le esegete americane della fine del XIX secolo, capeggiate da Elizabeth Cady Stanton, furono mosse dalla rivendicazione del diritto di voto. Poiché i loro detrattori utilizzavano passi biblici per giustificare la loro esclusione dai diritti politici e sociali, le suffragette americane si sono date gli strumenti culturali adeguati per accostarsi alla lettura critica del testo sacro, per vagliarlo al di là delle interpretazioni correnti (con la cosiddetta «esegesi del sospetto») e per correggerne l’interpretazione mistificante che le voleva emarginate e oppresse. Hanno così messo in evidenza la presenza nella Bibbia di donne significative sfuggite alla trasmissione della cultura maschile, donne sovente non allineate agli stereotipi del femminile, che infrangevano le attese sociali. Hanno applicato come regola della loro esegesi il messaggio di liberazione della Bibbia, una liberazione da tutte le strutture oppressive, politiche, religiose e sociali, patriarcato compreso.

Gli autori dei testi biblici avevano visioni antropologiche e del mondo condizionate dalle conoscenze del loro tempo. Gli antichi non conoscevano certo il complesso sviluppo dell’identità sessuale e di genere di una persona. Non conoscevano la parola queer [strano-eccentrico)] e non riflettevano esplicitamente sulle categorie di sessualità, identità sessuale, omoaffettività. Tuttavia, poiché le storie bibliche sono tutte storie che sfidano le aspettative, le facili categorizzazioni, sono anche storie di personaggi strani, porosi, fuori dagli schemi e proprio l’applicazione della categoria queer permette di rileggere il testo rilevandone nuovi significati e sfidandoci a nuove liberazioni sociali.

Ma cosa significa queer? Il termine queer intende riferirsi a tutto ciò che di strambo, storto nel senso di non allineato possa presentarsi in una identità personale decostruendone la definizione pubblica e sociale.

Ci sono molti personaggi di questo genere nella Bibbia. Abramo e Sara sono una coppia anomala, non propriamente una coppia perché figli dello stesso padre, non riescono ad avere figli come le normali coppie tradizionali; non esitano a ricorrere a metodi inconsueti per avere figli; molte matriarche non appaiono conformi ai modelli che il patriarcato prescrive per le donne, infatti spesso sono sterili – cosa che le colloca al di fuori dello stereotipo del ruolo materno della donna; gli stessi patriarchi (si pensi ad Isacco o a Giuseppe) non realizzano la mascolinità eteronormativa che ci si aspetta da loro. Ritroviamo nei racconti biblici poligamia, maternità surrogata, incesto e matrimonio tra parenti stretti; si narra di donne che si uniscono come una coppia dopo la morte dei loro rispettivi mariti (Rut e Noemi).

Un Dio che è sempre oltre dove ce lo aspettiamo. Dio stesso è queer, un Dio che trasforma, che scompagina e rivoluziona le aspettative sociali e religiose, le norme che regolano il potere, comprese le norme sessuali. Le narrazioni bibliche ci parlano di un Dio che sta sempre oltre dove ce lo si aspetterebbe, un Dio che spiazza come uno straniero, che estrania ed è straniante; un ospite spesso inopportuno; una presenza invocata ma presto quasi indesiderata perché Dio quando interviene rovescia la situazione in qualcosa di tutt’altro da come ce la saremmo augurata. Il divieto del Decalogo di farsi immagine di Dio dovrebbe essere un promemoria permanente del fatto che Dio non rientra in nessuna categoria, ma è piuttosto il totalmente altro che trascende le categorie. Cercare la  nella Bibbia significa allora accorgerci di queste stranezze negli eventi e nei personaggi della Bibbia che trascendono le tradizionali caratteristiche sociali e culturali e ci ricordano che Dio risplende nel volto di ogni essere umano, per quanto strano, comunque creato a sua immagine, un Dio sempre diverso dalle immagini che ci facciamo di lui.

Il Dio biblico è queer perché è eccessivo nel suo amore, esce da sé stesso per venire incontro all’essere umano, è strambo, poliamoroso, scandaloso, nel senso etimologico del termine, perché pone inciampi al nostro cammino lineare. Lo definiamo con un ruolo patriarcale, chiamandolo Padre, ma nella tradizione cristiana più che un riferimento simbolico ad un ruolo, si rivela come dinamica amorosa di scambi trinitari (perichoresis).

Il Dio trinitario non rimanda ad un modello di famiglia patriarcale, anzi la scardina. Infatti nella stessa Bibbia Dio presenta un aspetto femminile nella figura della divina Sapienza (Hockmah) e ama tramite una forza che è femminile in ebraico (ruah), neutra in greco (pneuma) e maschile in latino (spiritus). Le raffigurazioni della Trinità la ritraggono come una drag queen , [attori con abiti da donna] con  (cfr. affresco in S. Pietro a Perugia).

Gesù stesso si sapeva inviato soprattutto a coloro che erano gli emarginati e i discriminati del suo tempo. La sua intenzione era quella di offrire loro relazione e vita, di integrarli nella comunità e di comunicare loro che erano figli e figlie di Dio. Il Dio di Gesù Cristo, non appare un Dio padre padrone/padrino: piuttosto è la fonte comune che mette tutti gli esseri umani sullo stesso piano. Lo stesso Gesù, presenta una maschilità alquanto fuori degli schemi: non aderisce a un modello di potere fallocentrico e dominante, ma di servizio. Capace di ascoltare i desideri degli uomini e delle donne attorno a lui, Gesù appare un maschio che evita il centro. Percorre infatti villaggi di secondaria importanza. Non si fa chiamare maestro. Esce da uno schema di maschilità androcentrica per presentare un modello di umanità dove la maschilità e la sua identità si definiscono in relazione ad altri: Dio, fratelli/sorelle, non primariamente a partire da sé, come una identità fallocratica e autosufficiente.

Tutta la sua vita appare come un trascendere i modelli relazionali tradizionali, gli schemi consueti:

  • si rivolge ai peccatori, alle donne, ai bambini, agli schiavi, ai malati, agli abbietti, a tutti coloro che erano ai margini, esclusi dalla «normalità» e dalla cittadinanza del potere, della parola, dell’azione.
  • Si fa beffe della famiglia di sangue, si attornia di una famiglia di elezione in cui l’attenzione non si concentra sul rapporto di sangue ma sul rapporto d’amore e di cura.
  • Non si cura della sua reputazione pubblica, frequentando volentieri pubblicani e peccatori.
  • Chiama ad una relazione intima con lui con uomini del suo stesso sesso e si rivolge in modo inconsueto anche a donne non conformi che chiama alla sua sequela.
  • Si fa accanto come maestro, amico, compagno, ma anche come straniero.
  •  Gli stessi suoi discepoli fanno fatica a incasellarlo all’interno di uno schema prefissato di rabbino, messia religioso o guida politica.
  •  Egli è sempre oltre, sempre altrove. Un

Gesù queer testimone di un Dio queer. Riscoprire un Dio che nella sua alterità rimane un mistero Il Dio che «rovescia i potenti dai troni» (Lc 1,52) appare sempre a fianco degli oppressi, degli esclusi e dei perseguitati: dagli schiavi alle identità sociali (e sessuali) considerate «devianti» dal modello, cioè queer.

Usando il queer come metodo esegetico, ci si ritroverà a sottolineare qualcosa che è già presente nelle pieghe del testo sacro ma al quale siamo stati resi ciechi per la consuetudine con un solo tipo di interpretazione: quella etero-normata, spesso sessista, classista, imperialista e colonialista.

Riscoprire un Dio che nella sua alterità rimane un Mistero, che non rientra mai del tutto negli schemi umani e che quindi spinge alla trasformazione e dunque all’evoluzione spirituale, significa assumere uno sguardo obliquo (queer) sul mondo e ci sfida a trovarlo. Di conseguenza una lettura queer potrà liberare Dio stesso dalle strettoie in cui una cultura patriarcale, androcentrica, machista, binaria e colonialista lo ha relegato nel momento in cui i testi biblici venivano «confezionati». Poiché l’immagine che abbiamo di Dio – anche quando non crediamo alla sua esistenza – ha sempre un impatto nel modo in cui viviamo e costruiamo le nostre relazioni umane e sociali, una operazione esegetica di questo genere non sarà senza conseguenze a livello di giustizia sociale. Liberare Dio dagli angusti confini sessuali e ideologici nei quali è stato collocato, significa infatti anche liberare le persone rimaste al di là di tali confini.

Tutta la Bibbia non è altro che una serie di storie di inversioni e rovesciamenti, anticipo di quel rovesciamento di valori che Cristo è venuto a portare nel mondo, quello tra vita e morte, tra maschi e femmine, tra schiavi e liberi, tra potere e servizio, tra potenza e debolezza. La visione del mondo evangelica del resto è di per sé una visione dislocata, perché la fede dei personaggi della Bibbia in fondo è uno sguardo, una postura diversa degli occhi (spirituali) sulle cose del mondo. Le narrazioni bibliche sono tutte narrazioni che scompigliano le certezze o non starebbero nella Bibbia. Il confine ci attraversa Non è strano dunque che quando ci accostiamo con attenzione ai racconti biblici troviamo la narrazione di eventi, personalità, ruoli sociali, identità sessuali porose. Con porose s’intende proprio ciò che la parola queer veicola: il fatto cioè che il testo biblico nasconde sempre una stranezza, la stranezza stessa che la Rivelazione apporta nelle storie, la stranezza di un Dio che è altro in sé stesso, in quanto trinitario; la stranezza di un rivelatore che appare intrecciato alla limitatezza, alla frammentarietà e al fraintendimento dell’umana parola e della comunicazione umana. In questo senso, si può anche dire che almeno nel dato dell’incarnazione la teologia cristiana presenta un dato di panenteismo che fa crollare tutti i binarismi di filosofica memoria che vedono nell’elenco delle categorie il primo soggetto sempre

positivo e il secondo negativo: uomo/donna, alto/ basso, Dio/mondo, io/altro, uomo/natura, ragione/sentimenti, dentro/fuori etc.

Dunque prima che essere un messaggio sulla sessualità, una lettura queer vuole proporre una lettura di giustizia, un messaggio di eguaglianza sociale ricordando a noi stessi e agli altri che la Bibbia è tutt’altro che un manuale di codificazioni rigide, ma  il luogo in cui ritrovare la chiave della complessità e della porosità delle vite, delle identità e dei vissuti di ciascuno di noi.

Conclude Michela Murgia, alla quale l’opera è dedicata, nel suo God Save the Queer: «Accettare la queerness come prassi cristiana significa riconoscere che il confine non ci circonda, ma ci attraversa, e che quel che avvertiamo come contraddizione è in realtà uno spazio fecondo di cui non abbiamo ancora compreso il potenziale vitale».

   Selene Zorzi       “Rocca” n. 3 del 1° febbraio 2024

In principio Dio era queer?

Un commentario della Bibbia affidato a studiosi e pastori che attingono alle teorie femministe e decostruzioniste: mostra un Creatore “eccessivo” nell’amore per l’umanità.

Se nella storia della letteratura mondiale c’è un testo queer per eccellenza questo testo è la Bibbia! Sì, proprio la Bibbia, universalmente considerata il libro sacro per antonomasia, il «grande codice» della cultura occidentale, secondo la ben nota definizione di Northrop Frye, essa è in sé stessa queer, dal momento che è il non ordinario, l’insolito, il non conforme a una norma imposta. Del resto, abitualmente si traduce l’aggettivo e il sostantivo inglese queer con bizzarro, strano, curioso, eccentrico, stravagante, originale, ironico, ma anche sospetto, dubbio, poco chiaro. Per questo, compito del queer è guastare, rompere gli equilibri, scardinare le certezze, uscire da ciò che è convenzionale, prestabilito, rifiutando di accettare risposte facili e convenzionali. La Bibbia è una raccolta di libri che contengono un’infinità di episodi curiosi, strani, strambi a volte perfino incredibili, assurdi. Vi si trovano storie di persone tra le più diverse tra loro: personaggi di grande fede, giusti e amici di Dio, ma anche affabulatori, avventurieri, impostori, assassini, fratricidi e criminali. La Bibbia narra una storia di storie queer perché, a differenza di altri testi sacri, i libri della Bibbia raccontano vicende e presentano figure che oltrepassano i confini tracciati da culture, istituzioni, saperi, conoscenze, linguaggi, generi e ambienti sociali.

Grazie alle Edizioni Dehoniane di Bologna a un solo anno di distanza dall’originale inglese è ora disponibile anche in Italia “Bibbia Queer”, Un commentario a cura di Mona West e Robert E. Shore-Goss. È un testo al tempo stesso rigoroso e rivoluzionario, capace di dare un nuovo e imprevedibile volto al messaggio biblico. Ogni libro della Bibbia è commentato da studiosi e pastori che attingono alle teorie femministe, queer, decostruzioniste e utopiche, alle scienze sociali e ai discorsi storico-critici per offrire una lettura fino ad ora del tutto inedita e ignorata della Sacra Scrittura. L’attenzione è rivolta sia al modo in cui la lettura da prospettive contestuali influisce sulla lettura e sull’interpretazione dei testi biblici, sia al modo in cui i testi biblici hanno influenzato e influenzano le comunità LGBTQ+. Con questa pubblicazione il nuovo gruppo editoriale “Il Portico” (che raggruppa gli storici marchi Dehoniane e Marietti 1820) apporta un significativo contributo nel dibattito su uno dei temi oggi più discussi e controversi.

A giusto titolo il curatore dell’edizione italiana Gianluca Montaldi – dottore in teologia oltre che direttore editoriale EDB e Marietti 1820 – evidenzia che presentare questo testo al pubblico italiano significa lanciare una prima opera. Se in Italia il confronto della riflessione teologica con le tematiche del genere e in particolare queer c’è, è tuttavia doveroso riconoscere che esso è ancora legato a realtà marginali se non perfino devianti, «che queer riguardi, invece, un’opzione dell’intera società rimane l’idea di pochi, alla quale Michela Murgia – cui viene dedicata questa edizione italiana – ha dato molti apporti».

Ciò che è posto al centro è la questione della differenza che rivela la radicale inadeguatezza di quello spirito geometrico che distingue la realtà sempre e solo in due grandi spazi tipico del pensiero binario: il mio e il tuo, il maschile e il femminile, il normale e l’anormale e così via. Se lo si applica in ogni situazione ciò che si perde è la multiforme ricchezza dell’umano, le mille gradazioni, tonalità e sfumature che rendono affascinante l’umanità. La Bibbia ha plasmato per secoli la cultura occidentale, ha forgiato riferimenti, ne ha costituito l’immaginario, ha impresso concetti, per questo un commentario queer della Bibbia è decisivo per offrire occasioni di rilettura, meditazione e verifica. «Riprendere in mano la lettura di alcuni episodi biblici che hanno fondato il nostro rapporto culturale e sociale con in sé – osserva Montaldi – non può che essere un utile esercizio ascetico di pulizia della mente» (e dei rapporti tra noi).

Nella presentazione dell’edizione italiana Selene Zorzi e Martin M. Lintner, anticipando l’immediata e scontata obiezione, chiariscono il significato culturale di questo commento. Cosa autorizza una lettura queer della Bibbia? È un’operazione culturale, esegetica, teologica corretta? Sì, lo è certamente, perché è oltremodo evidente – per l’esegesi contemporanea è un dato ormai inconfutabile – che gli autori dei testi biblici sono persone storiche la cui visione antropologica e del mondo sono plasmate e condizionate dalle conoscenze del loro tempo, cioè di migliaia di anni fa. Per Zorzi e Lintner tutto porta a pensare che i redattori biblici supponevano che esistessero solo due sessi, maschile e femminile, «gli antichi non conoscevano ancora il complesso sviluppo dell’identità sessuale e di genere di una persona e la possibile esistenza di diverse identità sessuali e di genere».

 Se da un lato si è oggi consapevoli che la concezione patriarcale abbia permeato la cultura e la mentalità nella quale la Bibbia si è andata formando, si è altrettanto coscienti che il messaggio biblico sia un messaggio liberante nei confronti di ogni struttura autoritaria e tirannica. La rivelazione biblica contiene un messaggio di liberazione e un messaggio di giustizia per tutte le persone marginalizzate, escluse e oppresse. Il Dio che «ha rovesciato i potenti dai troni» è il Dio che sta dalla parte degli oppressi, esclusi e perseguitati: dalla parte degli schiavi alle identità sociali (e sessuali) considerate «devianti» dal modello culturalmente imposto e socialmente riconosciuto, cioè queer.

Pertanto, l’ermeneutica queer della Bibbia non è un’interpretazione impostagli dall’esterno, ma una possibilità di lettura interna alla Sacra Scrittura stessa.

Quali i presupposti teologici per tale ermeneutica? La risposta di Zorzi e Lintner è netta: il presupposto teologico fondamentale è che il Dio biblico è un Dio queer: eccessivo nel suo amore per l’umanità e perciò fuoriesce da sé. Lo stesso linguaggio utilizzato per rivelare il mistero di Dio fatica ad entrare nella distinzione di genere: nella Bibbia Dio è chiamato sia al maschile che al femminile, gli sono attribuite caratteristiche comportamenti che hanno proprietà maschili o femminili. In definitiva, per la Bibbia Dio non ha sesso.

«Un Gesù queer testimone di un Dio queer», affermano Zorzi e Lintner, dal momento che lo stesso Gesù, che per i cristiani e la rivelazione totale e definitiva di Dio, nella sua vita trascende i modelli tradizionali, gli schemi consueti: «Si rivolge ai peccatori, alle donne, ai bambini, agli schiavi, ai malati, agli abbietti a tutti coloro che erano ai margini, esclusi dalla normalità e dalla cittadinanza del potere, della parola e dell’azione. Si fa beffe della famiglia di sangue, si attornia di una famiglia di elezione in cui l’attenzione non si concentra sul rapporto di sangue ma sul rapporto di amore e di cura. Non si cura della sua reputazione pubblica, frequentando volentieri pubblicani e peccatori».

Insomma l’esegesi queer infrange schemi familiari un po’ logori e presenta nuovi modi di riflettere sul divino, anzi «una lettura queer potrà liberare Dio stesso dalle strettoie in cui una cultura patriarcale, androcentrica, machista, binaria e colonialista lo ha relegato nel momento stesso in cui i testi biblici venivano confezionati».

Ciascuno degli autori di questo commento queer dell’intera Bibbia, dall’In principio della Genesi al Marana thà dell’Apocalisse, legge il libro biblico affidatogli; siano essi i cinque libri della Thorà, oppure Giobbe, Salmi e il Cantico dei cantici, passando per i Vangeli e le lettere paoline. Utilizzando la lettura queer come metodo esegetico fa emergere ciò che è già presente nei testi sacri ma al quale la bimillenaria cultura ci ha resi ciechi, incapaci di vedere per l’abitudine a un solo tipo di interpretazione. Si scoprirà un Dio che non entra, e non è mai entrato negli angusti schemi umani.

Lascio ai lettori sorprendersi, stupirsi, meravigliarsi e forse anche sconcertarsi e scandalizzarsi di fonte ai commenti delle pagine bibliche fondamentali come la creazione dell’uomo e della donna, il racconto di Sodoma e Gomorra, l’amore dei giovinetti del Cantico dei Cantici, e ancora i gesti e le relazioni queer (destabilizzanti) di Gesù, la sua sfida alle gerarchie religiose e al mondo simbolico giudaico, l’insegnamento di Paolo sulla sessualità e sul ruolo delle donne nella chiesa e, infine, il commento all’Apocalisse di Giovanni e l’ermeneutica queer della fine.

Confesso che non ho ancora letto per intero le duemila pagine del commento, ma ho spigolato alla ricerca dell’interpretazione degli episodi più interessanti e delle pagine più intriganti per un commento queer. Davvero la Bibbia si offre a una lettura infinita! Ho ottant’anni e da quasi sessanta come monaco leggo, medito e studio la Bibbia ogni giorno, ma devo confessare che l’ermeneutica queer mi ha aperto gli occhi su possibilità interpretative che finora ignoravo. Si legge la Bibbia con altri occhi, ma soprattutto con uno sguardo più attento alla globalità dell’umano. È incredibile constatare come anche la Sacra Scrittura, se letta altrimenti, come amo dire, inviti e per certi versi costringa a non concepire il sesso e il gender come realtà del tutto alternative, ma come fattori che possono e devono integrarsi reciprocamente. È un errore contrapporli ed è necessario metterli in circolazione tra loro. Se il racconto della Genesi, ad esempio, narra l’archetipo fondamentale della differenza uomo-donna, che ha la sua radice nel sesso biologico, al tempo stesso oggi è doveroso riconoscere il ruolo decisivo della cultura e delle strutture sociali nella definizione dell’identità soggettiva.

Il compianto Giannino Piana, che nella campo della teologia morale resta un punto imprescindibile anche nella riflessione sulla questione del gender, perorava accoratamente una maggiore attenzione da parte della morale cattolica a tutte le dimensioni dell’umano, osservando come «la lettura del mondo umano che viene dall’acquisizione corretta degli stimoli provenienti dalla riflessione proposta dal gender obbliga a una revisione degli orientamenti tradizionali della scienza morale, prestando maggiore attenzione alla complessità delle dinamiche che presiedono alla costruzione dei comportamenti e delle scelte soggettive. La ricerca di soluzioni che rispettino tutte le dimensioni dell’umano è allora la via da percorrere per contribuire alla crescita di una società libera e solidale».

Un’opera attesa e oggi più che mai necessaria come la Bibbia Queer insegna a evitare di parlare semplicisticamente di omosessuali, eterosessuali, bisessuali o transessuali perché le persone non possono essere definite dai loro comportamenti o a essi ridotte. Aiuta a comprendere che l’orientamento sessuale appare come un enigma: non è una scelta dell’individuo né sta nello spazio delle patologie; emerge in diverse situazioni; persino di fronte agli stessi cammini educativi e allo stesso «venire al mondo» l’orientamento può manifestarsi come eterosessuale, omosessuale, o con altre varianti al di là delle libere scelte. Perché? Per ora non si ha una risposta certa: non si deve però avere paura dell’enigma, ma prenderlo sul serio perché parte della realtà complessa dell’umano. Là dove ci sono «storie d’amore», c’è l’amore sempre vulnerabile, la necessità del perdono, della fiducia sempre da rinnovare, la fatica della fedeltà, mai piena. L’amore, che è il fine della relazione, è più grande della condizione in cui si è abilitati ad amare. Questo è l’umanissimo messaggio della Bibbia Queer.

Enzo Bianchi      La Stampa – Tuttolibri  – 02 dicembre 2023

www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/217948/in-principio-dio-era-queer

ESPERIENZE

Affettività e sessualità. Spiegami cosa vuol dire “Ti amo”

        Non solo formazione alla sessualità ma un’esperienza relazionale di reciprocità per comprendere insieme, ragazzi, genitori e formatori, che si possono maturare risposte importati in un dialogo aperto e sincero attraverso l’alfabetizzazione emotiva.

Si intitola “Up2Me” (dipende da me”), il percorso avviato nel Movimento dei Focolari, dopo anni di collaborazione internazionale tra famiglie e animatori giovanili con importanti contributi interdisciplinari (psicologia, pedagogia, medicina…).I numeri sono incoraggianti. Dal 2015 il percorso ha visto coinvolte 12 scuole residenziali in 30 nazioni, 4 continenti. Hanno fruito di Up2Me circa tremila tra bambini, ragazzi, giovani e genitori. Il percorso è stato proposto con risultati positivi anche in altri ambienti, comprese case di accoglienza per minori. Alla base una visione antropologica che punta a una relazionalità positiva, aperta creativamente alla dialogicità, all’ospitalità, al rispetto delle dimensioni di unicità e irripetibilità della persona umana. In sintesi, alla visione dell’essere umano come amore, nel senso più profondo del termine.

La struttura varia naturalmente in base all’età dei ragazzi. Sono previste sessioni destinate ad approfondire specifiche tematiche che vengono affrontate con l’aiuto di materiale didattico ad hoc. Gli animatori hanno a disposizione anche testi per prepararsi sulle tematiche.

Dai 4 agli 8 anni i bambini sono accompagnati dalle famiglie e aiutati da una coppia di facilitatori. Si lavora sull’educazione integrale curando l’aspetto di competenze emozionali-relazionali dei bambini, base delle loro relazioni affettive e dello sviluppo della sfera sessuale. Si punta su strumenti di ricerca esplorativa per dialogare con la diversità culturale e suscitare ascolto al tema dell’educazione.

Tanti i riscontri positivi. Raccontano i genitori: «Abbiamo iniziato il percorso con Up2Me con tante aspettative e alla fine del percorso la realtà aveva superato le aspettative. È stato un percorso con tempo “esclusivo” ai nostri figli e ci ha fornito delle chiavi di lettura diverse nell’aiutare i nostri figli che, a loro volta hanno maggiore consapevolezza di mamma e papà (ma come mamma anche tu hai paura?) nonché di crescita e confronto con gli altri partecipanti di Up2Me, piccoli e grandi».

E ancora: «Ci avete insegnato qualcosa per la nostra vita attuale, ma anche per il futuro dei

nostri figli. Grazie per aver reso felice la nostra famiglia».

Dai 9 ai 17 anni i ragazzi vengono suddivisi in 3 fasce d’età e i gruppi vengono coordinati da una coppia sposata. I corsi prevedono 10-13 sessioni e proseguono per 3-6 mesi, con approfondimenti su molti aspetti adeguati all’età: dimensioni della persona (corporea, emozionale, intellettuale ecc.), gestione delle emozioni, relazioni (famiglia, gruppo dei pari, partner), amicizia, bullismo, innamoramento, sessualità, nascita vita, custodia del corpo (stili di vita, prevenzione abusi), vantaggi e rischi dei social, orientamento sessuale, progetto di vita e tanto altro ancora.

Superate anche le inevitabili diffidenze dei ragazzi: «All’inizio mi sembrava un po’ noioso, ma man mano che il corso andava avanti mi è sempre più piaciuto, forse perché iniziavo a conoscere gli altri ragazzi del gruppo oppure perché si trattava di cose che mi interessavano. Fatto sta che mi diverto anche se in alcuni momenti ci si può imbarazzare perché si trattano argomenti non comuni da esporre. Con questi incontri ho iniziato a conoscere innanzitutto il mio corpo sia esteriormente che interiormente, a conoscere i nostri atteggiamenti e le nostre sensazioni. Comunque mi è piaciuto e lo rifarei volentieri».

Dai 18 anni in avanti i giovani vengono aiutati ad approfondire il tema dell’affettività e della sessualità da un piccolo team di adulti. Si sperimentano dinamiche, si ricorre a test, giochi, brevi temi e si dialoga molto. Tre le macroaree su cui si insiste: la propria storia, l’identità sessuale e progetto di vita. Prioritaria la formazione tra pari. Infine i genitori che, in gruppo, trovano spazi di confronto/riflessione su tematiche educative legate agli argomenti di Up2Me. Si tratta di un confronto tra pari, non essendoci esperti a guidare: le coppie stesse cercano risposte scaturite dal confronto e condivisione di esperienze. Così, insieme, si mette a fuoco ciò che è necessario per la propria famiglia e in che modo si può migliorare le relazioni coi figli.

Racconta una mamma: «Ho trovato molto utile il percorso pensato per i genitori. Innanzitutto, è stata occasione per confrontarmi con mio marito. Troppo spesso accade che l’educazione o il parlare con i figli di determinate tematiche sia delegato ad un membro della coppia… ma spesso accade anche che non ci sia prima e dopo un vero confronto tra noi genitori. Inoltre, è stato occasione per dimostrare loro che esserci era un qualcosa di molto concreto».

Il percorso non segue schemi rigidi, fissati una volta per tutte. Ma viene aggiornato periodicamente, grazie ai feedback dei tutor dal mondo. È inoltre in corso uno studio, in collaborazione con l’Istituto Universitario Sophia (Loppiano) ed altre Università, finalizzato a valutare l’impatto dei percorsi svolti ad oggi (info: up2me.afnonlus.o

www.msn.com/it-it/notizie/other/spiegami-cosa-vuol-dire-ti-amo/ar-BB1h54hk

Proposta per le mamme dal consultorio familiare di Treviso

                Si chiama “Bruchi e farfalle” il nuovo percorso del Consultorio familiare di Treviso nato per favorire il dialogo tra mamme e figlie sui temi dello sviluppo fisico ed emotivo- relazionale

. Ne abbiamo parlato con Marta Benvenuti, 

psicologa e psicoterapeuta del Centro della Famiglia, che coordina l’iniziativa. Il Centro, nato per dare aiuto alle coppie, negli ultimi anni si è costituito in Consultorio socio-sanitario di ispirazione cattolica aperto a tutti.

                Come è strutturato il corso?

                La riflessione da cui partiamo è sulla corporeità: «Se sto bene con il mio corpo e sono in casa nel mio corpo è più probabile che stia bene con gli altri». L’obiettivo è riuscire a costruire buone relazioni, risolvere i conflitti in maniera civile e trovare coerenza in ciò che si fa. Il percorso si snoda in quattro incontri settimanali di due ore ciascuno a partire dal 23 gennaio. Si affrontano tematiche diverse: dal linguaggio del corpo durante la crescita e le emozioni ad essa collegate all’anatomia maschile e femminile, dal ciclo mestruale alle variazioni ormonali, fino a come parlare di sessualità e vivere i cambiamenti in modo sereno e naturale. Sono previste attività in un grande gruppo o a piccoli gruppi, visione di filmati e discussioni, momenti di brainstorming e condivisione dell’esperienza. Oltre a me, a condurre c’è un’ostetrica e uno psicosessuologo.

                Perché il Consultorio non ha pensato di coinvolgere nella sua iniziativa anche i maschi che, stando ai fatti di cronaca, risultano più bisognosi?

                In realtà stiamo preparando anche il coinvolgimento dei maschi e un progetto figlio-genitore. Certo, i nostri sono interventi spot, una goccia nel mare se pure necessaria. È importante fare rete con genitori, insegnanti… Speriamo che i nostri semi cadano in un terreno fertile. A livello sociale occorrerebbe una presa in carico più ampia.

                A chi è rivolto il percorso?

                La fascia di età è 10-13 anni. L’età in cui cambia il corpo e la sfera emotiva. Molte scuole ci chiedono incontri di questo tipo nelle classi. Cominciamo già dalle elementari per andare nelle medie e anche nelle superiori. Nelle scuole lavoriamo molto sulle emozioni, sulla capacità di riconoscere le proprie e di leggerle negli altri. In sostanza di sviluppare l’empatia. Si impara che si possono avere emozioni diverse. Che non sempre una carezza o un tono di voce possono far piacere e che il nostro corpo ci manda tanti segnali e campanelli di allarme per dire basta e allontanarsi. Come, ad esempio, la sensazione di imbarazzo o di vergogna. È importante riuscire a capire come ci si sente: spesso le emozioni salgono di livello e sono difficili da gestire, allora ci si deve autoregolare. Quando, poi, subentrano gli ormoni la situazione si complica. Conoscere è il primo passo per imparare a far fronte alle pulsioni emotive.

                Cosa significa saper stare nelle relazioni?

                Significa giocare a carte scoperte. Se una relazione finisce si sta male, ma si impara a gestire il dolore. Per esempio, si chiede aiuto se si è in difficoltà perché ci si conosce e si sa fin dove si può arrivare da soli.

                Quali sono i problemi che vede nelle ragazze e nelle mamme?

                C’è una grande fatica nella comunicazione anche con un genitore dello stesso sesso. Spesso le ragazzine non vogliono avere le mestruazioni, vivono i cambiamenti del proprio corpo con disagio. Per contro le mamme spesso non riescono a trovare il tempo per parlare con calma e ragionano con una testa adulta, dimenticandosi delle paure legate all’adolescenza. A loro chiediamo di rallentare e di ragionare con le strutture mentali delle figlie.

                Che metodo viene utilizzato?

                Utilizziamo laboratori molto concreti e giochi collaborativi. Ci si abitua a sentire, ad ascoltare il proprio corpo. Si impara ad avvicinarsi all’altro a osservare. Poi ragioniamo molto sugli adescamenti online. Molti ragazzi pensano di giocare e basta sul web e non si chiedono chi ci sia dall’altra parte. Insegniamo loro a tenere “le antenne alte” e a come comportarsi.

                Cosa chiedono i partecipanti?

                Chiedono principalmente il confronto in gruppo e sentono il bisogno di rispecchiarsi nell’altro. Cercano competenze e desiderano costruire relazioni migliori. Oggi si riconosce l’urgenza e la necessità di questi percorsi ed è un bene, ma non bisognerebbe lavorare sempre sull’emergenza. Ci sono tanti casi che sfuggono alla cronaca. A volte si tratta di violenze verbali dalle quali è difficile risollevarsi. Occorre seminare prima. Dare alle persone gli strumenti per conoscersi, per stare bene con sé stessi, sentirsi a casa nel proprio corpo e così costruire relazioni sane, pulite e chiare.

                Giovanna Sciacchitano                 Avvenire             21 gennaio 2024

www.avvenire.it/famiglia/pagine/un-laboratorio-per-leggere-le-pulsioni-emotive-delle-figlie

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

La morale sessuale tra astinenza e castità

Nella sua ultima catechesi pubblica papa Francesco ha distinto astinenza e castità sorprendendo non pochi. Ma come? Non sono la stessa cosa?

  1. Fare “voto di castità” non significa “astenersi” da ogni relazione sessuale?
  2. E poi, seconda obiezione: non sarebbe meglio che la Chiesa smettesse di fare la morale agli altri in materia sessuale, visto che la pedofilia del clero è diffusa dai semplici preti ai cardinali in tutto il pianeta? I temi quindi sono due: 1) astinenza e castità; 2) legittimità della morale sessuale ecclesiastica.
  3. Sul primo aspetto il Papa non ha fatto altro che riprendere una distinzione tradizionale, già il concilio Vaticano II infatti dichiarava che «gli atti con i quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onorevoli e degni» (Gaudium et spes, 49). Si può dare quindi unione sessuale (cioè assenza di astinenza) e “insieme” castità. La castità non coincide sempre con l’astinenza. Vi coincide per coloro che hanno fatto voto di castità, ma per gli altri essa indica lo stile con cui praticare l’unione sessuale, praticata non all’insegna dello sfruttamento e della rapina ma di quella donazione reciproca da cui deriva “casta intimità”.

Il dato di fatto, invece, è che si possono avere rapporti intimi senza che vi sia intimità. Ve ne sono a milioni, forse sono la maggioranza: due corpi si uniscono e due anime rimangono completamente estranee. Il corpo sente, il sentimento non c’è. Calore esteriore, gelo interiore. E la castità, ben lungi dal coincidere sempre con l’astinenza, designa quindi lo stile per giungere alla reale intimità. Lo indica già l’etimologia dell’aggettivo “casto” che in latino significa anzitutto “integro, onesto, leale“.

La castità insomma più che il corpo riguarda il cuore. E infatti si può dare anche il caso, purtroppo non così raro, di persone che praticano sì l’astensione da ogni rapporto sessuale ma non sono per nulla caste, perché non lo è la loro interiorità e quindi neppure i loro pensieri e i loro sguardi. Insomma la pratica della sessualità riguarda sia il corpo sia l’anima (o in qualunque altro modo si voglia chiamare l’interiorità di un essere umano), e solo a queste condizioni si può parlare di amore e si fa veramente l’amore, e non della mera ginnastica sessuale in cui il corpo dell’altro ha lo stesso valore di un attrezzo di una palestra.

Per quanto attiene alla legittimità della Chiesa di insegnare in materia di etica sessuale, il discorso va preso un po’ più alla larga. Occorre infatti essere anzitutto convinti del fatto che noi umani abbiamo bisogno di un’etica sessuale che ci indichi quale sia la modalità migliore di vivere la sessualità. Ne abbiamo veramente bisogno? Io penso di sì, ma constato che oggi la posizione dominante pensa di no. Vince infatti l’amoralità. Ho detto “amoralità”, non immoralità: ciò che viene sostenuto non è infatti il comportarsi in modo immorale (nel senso che la vita sessuale sarebbe tanto più ricca quanto più vi siano atti turpi e persino violenti), ma piuttosto l’assenza di ogni indicazione morale perché l’unico codice riconosciuto è il massimo del piacere. Ma è veramente così?

Vorrei ricordare Kant: «Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua sia nell’altrui persona, sempre come fine e mai solo come mezzo». Questo imperativo categorico non vale solo per la sfera economica e sociale dell’esistenza, ma anche per la vita sessuale, nella quale anzi gli esseri umani sono di solito più esposti e più indifesi. Per questo io sono convinto della necessità dell’etica anche in ambito sessuale.

Ma la Chiesa è legittimata a parlare in questo ambito? La sua dottrina ufficiale è ritenuta concretamente impercorribile anche dalla gran parte dei cattolici, come dimostra questa affermazione del cardinal Walter Kasper: «Dobbiamo essere onesti e ammettere che tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso». La genesi di tale abisso si spiega alla luce del fatto che lungo la storia il cattolicesimo ha messo in rilievo soprattutto l’aspetto negativo della sessualità, stabilendo regole e divieti spesso mortificanti per le ragioni del corpo e del piacere, con il risultato che oggi, tra tutte le grandi tradizioni spirituali, nessuna come il cattolicesimo ha urgenza di una svolta rinnovatrice in materia di morale sessuale. Io penso che anche così si spieghi la piaga purulenta della pedofilia del clero: per l’incapacità della dottrina ufficiale di comprendere veramente le ragioni e le pulsioni del corpo.

Persino le suore, non solo denunciano di subire abusi dal clero maschile, ma sono denunciate esse stesse per averne commessi verso bambine e bambini indifesi.

Se si considera la morale sessuale cattolica nel suo insieme come guardandola dall’alto, l’aspetto che più colpisce è il profilo intransigente. Oltre ai no per così dire scontati (allo stupro, all’incesto, all’aborto, alla prostituzione, alla pornografia, all’adulterio), ve ne sono altri oggi per nulla scontati: no ai rapporti prematrimoniali tra fidanzati, no alla masturbazione, no all’esercizio della sessualità tra persone omosessuali e soprattutto no a ogni forma di contraccezione (sia prima, sia durante, sia dopo il rapporto sessuale).

L’etica della Chiesa cattolica in materia sessuale si presenta come basata sull’oggettività di una presunta   legge naturale” su cui il soggetto dovrebbe normare la propria particolare situazione. Alla prova dei fatti però essa risulta un peso troppo gravoso da portare: lo è a livello pratico, per l’impossibilità di attuarla con efficacia, come risulta dal fatto che la stragrande maggioranza dei cattolici la ignora; e lo è a livello intellettuale, per il massiccio ricorso a ciò che il teologo tedesco Karl Rahner chiamava «cattiva argomentazione in teologia morale». Tutto questo ha condotto la gran parte dei cattolici a non osservare la norma ecclesiastica. Per questo i responsabili della Chiesa hanno il dovere di rivedere profondamente la dottrina in questo ambito, aggiornandola in modo da poter essere di vero aiuto alla vita concreta delle persone. È quanto auspicava il cardinal Martini ed è quello che papa Francesco sta cercando di fare, come dimostra il riconoscimento delle coppie omosessuali come unioni reali di amore.

Solo se intraprende un profondo percorso di rinnovamento in materia di etica sessuale, la Chiesa riuscirà a mettere ordine in casa sua e tornerà a risultare legittimata nel prendere la parola al riguardo. Si tratta di applicare nell’ambito dell’etica sessuale il rinnovamento compiuto nell’ambito dell’etica sociale, dove la Chiesa è passata dal ragionare sulla base di un astratto criterio oggettivo (i diritti della verità) a un più concreto criterio soggettivo (i diritti della persona), decisivo cambio di prospettiva che l’ha condotta dai roghi dell’Inquisizione al rispetto della libertà di coscienza. Il medesimo criterio applicato all’etica sessuale porterebbe la Chiesa alla prima indispensabile apertura consistente in un esplicito sì alla contraccezione (la quale peraltro è lo strumento più efficace per evitare l’aborto).

Qualcuno a questo punto si chiederà se si possa ancora parlare di etica “cattolica”. In realtà non esiste una specifica etica cattolica: l’etica è la scienza del bene, e il bene, per definizione, è universale (è un trascendentale dell’essere, insegna la filosofia scolastica). Non esiste un bene cattolico, così come non esistono una bellezza cattolica e una verità cattolica. Se sono veramente tali, sia il bene sia la bellezza sia la verità sono universali. Quindi l’etica è una e unica, vale per tutti, e la retta coscienza la riconosce immediatamente. Ne consegue che non si tratta di preoccuparsi di salvaguardare lo specifico dell’etica cattolica, ma piuttosto di proporre veramente il bene degli uomini e delle donne di oggi, in questi giorni così difficili che hanno un urgente bisogno di morale, ma non di moralismo.

Vito Mancuso   “La Stampa” 22 gennaio 2024

www.lastampa.it/cronaca/2024/01/22/news/morale_sessuale_astinenza_castita-14012216

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Chiesa e sessualità, tanti temi aperti

La sessualità e il matrimonio – argomenti che da sempre molto interessano il magistero della Chiesa romana – sono tornati in primo piano in questi giorni per il “sì” vaticano alla benedizione, a precise condizioni, delle coppie omosessuali, e per una rinnovata valutazione, da parte del papa, dell’amore umano. Per riassumere in poche righe il complesso discorso, basti dire che, secondo il Codice di Diritto canonico, varato nel 1917 da Benedetto XV, «fine primario del matrimonio è la procreazione e l’educazione della prole; e il secondario il mutuo aiuto e il rimedio alla concupiscenza» (canone 1013). Ma il Vaticano II, dopo un serrato dibattito, nel 1965 decise un radicale spostamento di accenti: «Fine del matrimonio è l’amore umano, e poi la procreazione». Tre anni dopo, mentre ferveva nell’opinione pubblica il discorso sulla contraccezione artificiale, e vedeva anche i fedeli per lo più orientati al “sì”, Paolo VI con l’enciclica «Humanæ vitæ» proclamò la “immoralità” di quel metodo: decisione che lacerò il mondo cattolico, diviso tra il “pro” e il “contro” quel documento.

                Papa Wojtyla, con il nuovo Codice di Diritto canonico, varato nel 1983, riaffermò l’ultimo Concilio, ma anche l’enciclica del ’68, per quanto contestata da gran parte del mondo teologico e dei fedeli. Il «Catechismo della Chiesa cattolica» (Ccc), varato dallo stesso pontefice nel 1992, affrontò poi un tema ignorato dal Vaticano II: «Gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati, e contrari alla legge naturale». E, con un documento del 2021, affrontando una prassi fino ad allora ignorata, papa Francesconegò la possibilità di benedire le unioni omosessuali; ma, un mese fa, è tornato sul discorso e, pur ribadendo che il matrimonio si dà solo tra un uomo e una donna, ritenne lecite le “benedizioni” alle persone omosessuali. Una “novità” fortemente respinta anche da episcopati europei (come in Polonia), e dalla quasi totalità di quelli africani.

Lasciando sullo sfondo tali problematiche, senza svilupparle, mercoledì scorso Bergoglio ha detto: «Nel Cristianesimo non c’è una condanna dell’istinto sessuale. Un libro della Bibbia, il Cantico dei Cantici, è uno stupendo poema d’amore tra due fidanzati. Tuttavia, questa dimensione così bella della nostra umanità, la dimensione dell’amore, non è esente da pericoli, come purtroppo dimostra la cronaca di tutti giorni». In questi amori, ha aggiunto, «è mancata la castità: virtù che non va confusa con l’astinenza sessuale, bensì va connessa con la volontà di non possedere mai l’altro. Amare è rispettare l’altro, ricercare la sua felicità, disporsi nella conoscenza di un corpo, di una psicologia e di un’anima che non sono i nostri».

Questi alti pensieri sorvolano un tasto che fino a qualche anno fa (oggi meno!) turbava i fidanzati cattolici: è lecito avere rapporti sessuali prima del matrimonio? In merito il Ccc sentenzia: «Essi sono chiamati a vivere la castità nella continenza». Un ideale, e già millenni fa, ignoto al Cantico citato dal pontefice.

 Luigi Sandri       “L’Adige”           22 gennaio 2024

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Francesco ai giovani “Nel mio catechismo trovate la password per scoprire la gioia”

La “Lettera di papa Francesco ai giovani” che introduce la nuova edizione di “Youcat. Catechismo della Chiesa cattolica per i giovani”.

Cari giovani, l’amore è la ragione prima dell’esistenza della Chiesa. Parlo, innanzi tutto, dell’amore di tenerezza e di misericordia che Dio Padre prova per ogni essere umano e che Gesù il Figlio ci ha rivelato con la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione. È in ragione di un tale amore che si diventa cristiani ed è proprio un tale amore ciò che sempre sperimentiamo con la nostra partecipazione alla vita della comunità, in modo particolare alla domenica, grazie all’azione dello Spirito Santo. Ma vorrei parlarvi anche dell’amore che, in quanto credenti, nutriamo nei confronti di Gesù. Egli è il centro del nostro cuore. Come, infatti, non provare impossibile immaginarne uno più grande? Il credente è perciò sempre un innamorato di Gesù.

Si capisce così la ragione per la quale la forma propria del diventare cristiani è quella di un incontro. Lo diceva assai bene Benedetto XVI, quando all’inizio della sua prima Enciclica ” caritas est” scriveva: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, Deus bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Essere cristiani è così, allo stesso tempo, un incontrarsi con Gesù e un innamorarsi di Gesù.

Ma, cari giovani, che «quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere?» (“Evangelii gaudium”, 264). Ed è così che noi già adulti nella fede non possiamo non parlare di Gesù, non possiamo non presentarlo e non impegnarci a farlo conoscere a chi ancora non ne ha avuto la possibilità o ne ha ricevuto una notizia solo iniziale. Questa è, in verità, la dolce gioia dell’evangelizzazione: la gioia di portare al mondo intero il proprio amore per Gesù.

Ebbene, questo bel libro che ora avete tra le mani nasce proprio da un tale amore: l’amore per Gesù che noi credenti portiamo dentro. “Youcat”, infatti, è il catechismo della Chiesa cattolica pensato per giovani come voi. Esso è basato sul grande Catechismo della Chiesa Cattolica, ma si presenta con uno stile e con un ritmo che – ne sono sicuro – vi faranno gustare l’esperienza della vita cristiana esattamente come una straordinaria e affascinante avventura di incontro e di conoscenza di Gesù, delle cose che egli ha detto, dei gesti che egli ha compiuto, della sua missione sulla terra ed infine della grandezza del suo amore per noi esseri umani che lo ha portato sino alla morte in croce e all’evento glorioso della sua risurrezione.

Vi invito, pertanto, a leggere con fiducia questo libro. Anzi, oserei dire: amate questo libro, perché è frutto di amore. Scoprirete che esso non ha altri intenti se non svegliare o risvegliare in voi un amore grande per Gesù. Questo è il suo unico scopo. Papa Benedetto XVI nella premessa alla prima edizione, presentando a sua volta questo catechismo, ha utilizzato parole forti e significative, che è bene ricordare: «Questo libro è avvincente perché ci parla del nostro stesso destino e perciò riguarda da vicino ognuno di noi. Per questa ragione vi invito: studiate il catechismo! Questo è il mio augurio di cuore. Questo catechismo non è accomodante; non offre facili soluzioni; esige una nuova vita da parte vostra; vi presenta il messaggio del Vangelo come la “perla preziosa” (Mt 13,46) per la quale bisogna dare ogni cosa. Per questo vi prego: studiate il catechismo con passione e perseveranza! Sacrificate per esso il vostro tempo! Studiatelo nel silenzio della vostra camera, leggetelo in due, se siete amici, formate gruppi e reti di studio, scambiatevi idee su Internet.

Rimanete ad ogni modo in dialogo sulla vostra fede!».

Sì, studiamo questo catechismo. Diamogli la possibilità di avvicinarci a Gesù, al suo progetto di vita, al suo messaggio di amore, alla rivelazione che egli ha compiuto del volto di Dio e del con il mistero di Gesù: «Gesù non illumina voi, giovani, da lontano o dall’esterno, ma partendo dalla volto dell’uomo. Come ho già avuto modo di sottolineare nell’Esortazione apostolica postsinodale “Christus vivit”, per giovani come voi nulla può risultare più adatto, per la stagione di vita che attraversate, della prossimità sua stessa giovinezza, che egli condivide con voi» (31).

Ed in verità, cari amici, noi tutti abbiamo bisogno di Gesù, abbiamo bisogno di conoscere bene quello che egli ci ha rivelato, di entrare in contatto con Lui, di non perdere mai la connessione con Gesù, per evitare di perdere la connessione con la nostra storia personale e con la storia dell’intera umanità. E qual è il segreto per non perdere mai la connessione con Gesù? Questo segreto – come ho ricordato tempo fa ai giovani del Cile – l’ha svelato sant’Alberto Hurtado, santo di quel Paese. Dicevo in quell’occasione: «Hurtado aveva una regola d’oro per accendere il suo cuore col fuoco capace di mantenere viva la gioia. Gesù è quel fuoco che infiamma chi gli si avvicina. E la password di Hurtado per riconnettersi, per mantenere il segnale era molto semplice… Di sicuro nessuno di voi ha portato il telefono… vediamo… Mi piacerebbe che la appuntaste sui vostri cellulari. Se volete, io ve la detto. Hurtado si domanda – e questa è la password –: “Cosa farebbe Cristo al mio posto?”. Chi può se la segni. “Cosa farebbe Cristo al mio posto?”. Cosa farebbe Cristo al mio posto a scuola, all’università, per strada, a casa, cogli amici, al lavoro, davanti a quelli che fanno i bulli: “Cosa farebbe Cristo al mio posto?”. Quando andate a ballare, fate sport o andate allo stadio: “Cosa farebbe Cristo al mio posto?”. Questa è la password. Questa è la carica per accendere il nostro cuore, accendere la fede e la scintilla nei nostri occhi. Che non vada via. Questo è essere protagonisti della storia. Occhi scintillanti perché abbiamo scoperto che Gesù è fonte di vita e di gioia».

“Cosa farebbe Cristo al mio posto?”. Ecco la password per una vita veramente “viva” e gioiosa: guardare e giudicare ciò che ci capita e le decisioni che siamo chiamati a prendere con gli stessi occhi, con gli stessi sentimenti, con la stessa postura che Gesù ha incarnato. A tale scopo, nulla come lo studio di questo catechismo, insieme con la lettura assidua delle pagine del Vangelo e una pratica giornaliera di preghiera, ci è più fruttuoso. Leggere il Vangelo, pregare con assiduità e studiare con entusiasmo questo catechismo ci aiutano a “trasferire” nel nostro cuore e nella nostra mente gli occhi di Gesù, i sentimenti di Gesù, gli atteggiamenti di Gesù, rendendoci sempre più capaci non solo di rispondere alla domanda “Cosa farebbe Cristo al mio posto?”, ma di decidere e di agire secondo quella risposta. È un po’ la stessa cosa che accade quando facciamo il “download” di un programma sul pc o sul cellulare. A operazione conclusa, sarà sufficiente attivare l’icona giusta e si è pronti per quel che si desidera mettere all’opera.

Vi raccomando questo catechismo. Si tratta di uno strumento efficace per raggiungere, alla fine dei conti, il cuore della nostra esperienza di fede e per lasciarsi illuminare da esso. Parlo della notizia ogni volta sorprendente del Cristo risorto, il quale ci raggiunge, oltre il tempo e lo spazio, e ci immerge sempre nell’amore del Padre e dello Spirito. Vi prego, non dimenticatelo mai: «Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita» (“Christus vivit”, 1).

Questa giovinezza di vita, questa novità di vita, questa pienezza di vita è ciò che vi auguro, cari giovani amici. E non dimenticatevi di pregare per me. Come io prego per voi.

Vi benedico.

papa Francesco                “La Stampa”      22  gennaio 2024

www.lastampa.it/vatican-insider/it/2024/01/22/news/francesco_ai_giovani_nel_mio_catechismo_trovate_la_password_per_scoprire_la_gioia-14012229

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RIFLESSIONI

Un antidoto all’indifferenza

Ancora una volta Edgar Morin *1921,  ha denunciato che il male più grande e diffuso, che come una pandemia ammorba la nostra società, è l’indifferenza: questo restare insensibili rispetto a ciò che succede e alle persone che ne sono vittime, questo passare oltre che Gesù ha stigmatizzato. Lo ha fatto in particolare nella parabola del samaritano che vede l’altro, si fa vicino e si prende cura della vittima delle violenze, a differenza del sacerdote e del levita che passano oltre. Sì, noi siamo diventati indifferenti al conflitto tra Russia e Ucraina, alla terribile guerra che Israele continua a combattere contro Hamas nel territorio di Gaza, siamo ormai abituati a leggere notizie di naufragi di poveri migranti nel nostro Mediterraneo e a ricevere informazioni di eventi mortiferi per i popoli del globo.

L’indifferenza sta alla radice dell’amoralità, è la linfa che la nutre, è un veleno che penetra nel cuore degli umani fino a renderli insensibili alla sofferenza degli altri, ma dobbiamo anche dire che è vigliaccheria, e quindi complicità con chi fa il male. Sabato 27 faremo memoria della Shoah, della catastrofe voluta, progettata e realizzata dal nazismo e dal fascismo e sarebbe l’occasione per assumere e confessare l’indifferenza dei nostri popoli, a partire da quello italiano che ha per anni permesso questa persecuzione e questo genocidio senza che si levassero parole di denuncia, o senza che si risvegliasse una responsabilità capace di ribellione.

Perché quando si condanna ciò che ha permesso la Shoah si pensa solo a un’ideologia precisa, alla follia di un sentimento di elezione e non si pensa soprattutto all’indifferenza che l’ha resa possibile? Ma anche a livello di relazioni personali oggi è l’indifferenza a determinare il clima sociale: dell’altro non ci sentiamo responsabili, può essere ignorato, non ci riguarda. Diamo importanza all’individuo e obbediamo a un’antropologia individualista che ci induce a guardare solo a noi stessi. Eppure i maestri ci hanno svelato il fondamento dell’etica: la relazionalità. È la relazione che impone la responsabilità, la cura dell’altro e impedisce ogni forma di indifferenza. Non basta sentire, sapere, ma occorre entrare nelle situazioni di sofferenza fino ad abbracciare, toccare le vittime, mano nella mano. Solo quando si arriva alla compassione, a soffrire con l’altro, si può anche assumere la responsabilità dell’altro e ribellarsi, denunciare il male e l’ingiustizia. E questa assunzione di responsabilità, questo prendersi cura, non può riguardare solo i “nostri”, i vicini, ma anche quelli con i quali non entreremo mai in contatto, il “terzo”, come lo chiama Paul Ricoeur. In questo modo l’etica diventa antidoto all’indifferenza, che è sempre negazione delle relazioni sociali e complice di ogni violenza non contrastata. Un giorno si dirà: come è potuto accadere che all’inizio del terzo millennio siamo in guerra in Europa, in Medio Oriente, e ci sia un’ecatombe di migranti nel Mare Nostrum? E si risponderà: per indifferenza.

Enzo Bianchi      “la Repubblica” 22 gennaio 2024

www.repubblica.it/rubriche/2024/01/22/news/altrimenti_enzo_bianchi_lunedi_22_gennaio_2024-4219376

SCIENZA E FEDE

La «mente cosciente e intelligente» dietro la forza dell’atomo

Scienza e fede: l’una non può ignorare l’altra, non oggi. Anzi, oggi, grazie agli sviluppi degli studi sulla fisica quantistica e sulle neuroscienze, entrambe possono arricchirsi vicendevolmente. Possono avvalersi l’una dell’altra per capire il “trascendente”, inteso come informazioni che trascendono ancora il nostro sapere e come informazioni sulle origini esistenziali dell’umanità. «Tutta la materia ha origine ed esiste solo in virtù di una forza che porta la particella di un atomo a vibrare. Dobbiamo supporre che dietro questa forza ci sia una mente cosciente intelligente, matrice di tutta la materia»: questo scriveva il premio Nobel

   Max Plank,*1858-†1947 che scoprì i quanti di energia.

Osserva Daniela Nucci*1946 – fiorentina, ricercatrice di storia locale e appassionata di Sacra Scrittura, autrice del testo che riportiamo di seguito – che «dalla fisica dei quanti sta emergendo una concezione del mondo che è molto simile alle conoscenze dell’antico Oriente, in particolare alle esperienze dei mistici». Perché, spiega, «la cultura orientale è sempre stata consapevole che Dio non è distaccato e distante dal creato e dalle creature, ma è presente, come un riflesso, in ogni più piccola parte del tutto». Nucci avanza poi ipotesi, «solo ipotesi, ma suggestive» applicando le conoscenze della fisica quantistica ad alcune affermazioni e ad alcuni atti di Gesù (per esempio, alla guarigione a distanza del servo del centurione Cafarnao).

Elettra Cucuzza                Adista documenti n. 3   27 gennaio 2024

                www.adista.it/articolo/71273

Fisica quantistica, neuroscienze e vangelo

 Nel lontano 1975 Fritjof Capra,*1959 un fisico americano che aveva studiato a lungo   le implicazioni filosofiche della scienza moderna, nel suo libro “Il Tao della fisica” propose un’affascinante tesi: dalla fisica dei quanti sta emergendo una concezione del mondo che è molto simile alle conoscenze dell’antico Oriente, in particolare alle esperienze dei mistici.

L’astrofisico Arthur Stanley Eddington *1882-1944,  uno dei più importanti sostenitori e divulgatori della teoria della relatività di Albert Einstein, *1879-†1955  ha detto che l’universo «comincia ad apparire più come un grande pensiero che come una grande macchina» e James Jeans, *1877-1946  altro illustre fisico, ha affermato che «l’universo è una proiezione della mente»

. Max Planck,↑ premio Nobel per la fisica, ritenne che, dietro questa realtà, ci fosse una mente intelligente che tutto aveva creato: «Tutta la materia ha origine ed esiste solo in virtù di una forza che porta la particella di un atomo a vibrare. Dobbiamo suppor

re che dietro questa forza ci sia una mente cosciente e intelligente, matrice di tutta la materia».

Conscio dei limiti della scienza, aggiunse anche: «Siamo qui giunti a un punto in cui la scienza si dichiara incompetente e accenna a regioni che si sottraggono al suo studio». Così dicendo lo scienziato ammetteva che la scienza non può spiegare tutto e che il trascendente non può essere capito perché è oltre la razionalità: rimane un mistero.

Molti oggi sono convinti che, dopo secoli, religione e scienza, fede e ragione, siano destinate a incontrarsi e a venire a patti perché, se la scienza moderna ha capito che in alcuni campi la ragione non ha l’ultima parola, il mondo religioso si è persuaso che la visione scientifica è parte essenziale del pensiero umano. Con gli sviluppi della fisica teorica gli scienziati hanno dovuto cambiare i concetti di spazio, tempo, materia, causa e effetto, approdando a conoscenze alle quali i mistici erano arrivati già moltissimi secoli fa. La cultura orientale è sempre stata consapevole che Dio – inteso come coscienza o pensiero amorevole – non è distaccato e distante dal creato e dalle creature, ma è presente, come un riflesso, in ogni più piccola parte del tutto. In Occidente la fisica quantistica ha aperto la strada a nuove ipotesi e conoscenze dopo la scoperta della teoria della relatività, della teoria dei quanti, delle nuove dimensioni di tempo e di spazio, dell’unità fondamentale dell’universo. Nel mondo dei quanti accadono cose difficili anche solo da immaginare.

Prendiamo ad esempio quello che viene chiamato salto quantico. In che consiste questo fenomeno? In parole semplici si tratta di un elettrone che, all’interno di un atomo, effettua un salto repentino da un’orbita a un’altra cambiando il proprio stato. Gli elettroni girano intorno al nucleo dell’atomo e ogni tanto “si divertono” a saltare da un orbitale all’altro, allungando o ravvicinando la loro distanza dal nucleo stesso; gli elettroni spariscono dalla loro posizione e ricompaiono su una posizione diversa, su un’altra orbita. Una realtà affascinante che, in, definitiva sostiene che un sistema quantico può essere in più di un luogo contemporaneamente.

Esiste un’altra incredibile teoria della fisica quantistica, l’entanglement, un fenomeno che dimostra che se due particelle collegate a un atomo vengono separate, perturbandone una, l’altra ne subisce istantaneamente l’influenza, anche se posizionata a chilometri di distanza. Le due particelle si comportano come fossero ancora unite e l’informazione passa dall’una all’altra istantaneamente. La fisica teorica sostiene lo stesso concetto della mistica: ciò che ci appare separato in realtà non lo è e lo spazio è solo un’illusione. I Veda – antichi testi religiosi induisti – 7.000 anni fa già conoscevano questa verità. Essi affermano che Brahma – principio supremo dell’induismo – permea tutto l’universo e che tutto nell’universo è senza separazione alcuna. Le stesse cose in occidente le aveva dette Platone, Plotino… Questi grandi uomini di pensiero erano tutti concordi nel ritenere che c’è una Intelligenza, una Coscienza Cosmica che ci collega tutti. Fisica quantistica, neuroscienze e vangelo

Proviamo ora ad applicare le conoscenze della fisica a una comprensione più profonda e più consona ai nostri tempi di alcune affermazioni del Nuovo e dell’Antico Testamento. Quelle che qui proponiamo rimangono tuttavia solo ipotesi, ma ipotesi suggestive.

  • L’episodio evangelico del centurione di Cafarnao che implora l’aiuto di Gesù per il suo servo malato (Lc 7-1,10) testimonia che il potere di Gesù si esplica anche a distanza: infatti non c’è bisogno che il nazareno si rechi in casa del soldato per guarire il servo. Lo guarisce a distanza dimostrando che lui ha il potere di trovarsi in più di un luogo contemporaneamente, proprio come avviene nel salto quantico. L’energia di Gesù è ovunque, non ha barriere.
  • Quando Gesù, in risposta ai giudei che lo accusano di farsi Dio pur essendo uomo, cita un versetto del Salmo 82 che dice «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo”?» (Gv. 10,34-36), forse ci sta indicando tutta la grandezza del potenziale divino insito anche in ognuno di noi.
  • Prendiamo la famosa frase di Genesi: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza» (Genesi 1,26). Cosa vuol dire? Forse che la creatura ha qualcosa del suo Creatore, che è stata pensata per condividere la sua stessa vita divina, che nel suo intimo c’è una forza che può darle il potere di creare la realtà, di essere co-creatrice.
  • La parabola dei talenti (Mt. 25,14-30) mostra che l’Uno, l’Inprincipio dà ad ognuno dei talenti da far fruttare, a beneficio di sé e degli altri; ma chi si fa prendere dalla paura, si priva della possibilità di vivere in modo creativo la propria vita. Nascondere i propri talenti è come soffocare la vita nelle paure paralizzanti che impediscono di godere del dono divino della creatività.

Oggi, accanto alla fisica dei quanti, si sono sviluppate le neuroscienze (neurofisiologia, biochimica, psiconeuroimmunologia, l’epigenetica, biologia molecolare ecc.) che ci aiutano a scoprire le meraviglie del nostro cervello, a comprenderne la struttura, lo sviluppo e il funzionamento attraverso lo studio della sua anatomia e delle connessioni tra aree cerebrali e comportamenti. La biochimica ci dice che mente e corpo non sono entità separate o separabili, ma un’unica dimensione, un tutt’uno in comunicazione. I neuroscienziati attestano che la mente è in grado di apportare in noi dei cambiamenti prima ancora che questi avvengano: possiamo “sentire, vivere” il cambiamento prima ancora di farne l’esperienza. Per ottenere questo risultato occorre connettersi a quell’intelligenza infinita che, a seconda dei vari ambiti e culture, è chiamata vibrazione cosmica, prana, campo quantico unificato, coscienza universale, Dio, Uno, Inprincipio, a quella “matrice divina” che dirige ogni molecola del nostro corpo con la stessa maestria di un direttore d’orchestra, a quell’Amore intelligente e amorevole che viene sempre in nostro aiuto.

Questo stesso processo lo si può ravvisare nel passo del Vangelo in cui Gesù, rivolgendosi ai discepoli, dice loro: «In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte lèvati e gettati nel senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo già ottenuto e vi sarà accordato (Marco11-11,25)». Con questa misteriosa affermazione il maestro ci rivela che, quando chiediamo qualcosa, dobbiamo credere di averla “già” ottenuta e la otterremo. Gesù sapeva che la sua fede nel Padre poteva muovere le montagne e con quel “già” vuol farci capire quanto profonda, totale, immensa e assoluta deve essere in noi la fiducia di ottenere ciò che chiediamo.

Usando le conoscenze e il linguaggio moderno possiamo dire che per ottenere questo risultato occorre, nella meditazione, sintonizzarsi, connettersi e fondersi con la scintilla divina presente in ciascuno di noi. Quando chiudiamo gli occhi e ci rilassiamo il nostro cervello passa dalle onde beta a quelle alfa, entriamo in uno stato di coscienza profondo mentre la nostra attenzione si sposta dal mondo esterno a quello interiore. In questo stato di consapevolezza riusciamo ad abbandonare il nostro Sé limitato per il Sé maggiore e a chiedere con la certezza assoluta di essere “già” stati esauditi.

Queste potenzialità esistono da sempre in noi, come sostiene Gesù, ma noi non eravamo ancora pronti. Le nuove acquisizioni scientifiche – fisica quantistica e neuroscienze – forse riusciranno a indirizzarci verso una diversa consapevolezza della nuova realtà esterna e interna a noi.

Daniela Nucci           Adista documenti n. 3   27 gennaio 2024

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