news UCIPEM n. 1.000 –4 febbraio 2024

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mille non più di mille

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

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Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

02 BENEDIZIONI                                   Vescovi africani: con Pietro, ma no alla benedizione delle coppie omosessuali

03                                                           Discussioni” in Africa

06 CENTRO INT. STUDI FAMIGLIA    Newsletter CISF -n. 4, 31 gennaio 2024

08 CHIESA CATTOLICA                        L’unità della Chiesa è a rischio                                        

09 CHIESA IN FRANCIA                       Dichiarazione Fiducia supplicans: rivolta o rivoluzione?

11                                                          Omosessualità, una pretesa “coloniale” della Chiesa occidentale?

11 CHIESA IN GERMANIA                  Il Cammino sinodale della Chiesa Cattolica in Germania e gli abusi del clero

12 CHIESA IN ITALIA                            I vescovi italiani e le paure sulla “Fiducia Supplicans

14                                                          Dichiarazione Fiducia supplicans: rivolta o rivoluzione?

14 CITTA DEL VATICANO                    Il coraggio della parresìa per “smaschilizzare” la Chiesa. Un evento che diventa un libro

16                                                           La tradizione e i “metodi immorali” per custodirla

18 DALLA NAVATA                              V  Domenica del tempo ordinario – Anno B

19                                                          Una casa e una strada

20 ETICA                                                Pastorale e prassi morale. Una chance per l’etica teologica

22 PASTORALE                                     Quali sono le nuove prospettive per i nuclei familiari

23 SINODO                                           Cammini sinodali: in ordine e in disordine

24                                                           Vaticano: la “rivoluzione culturale” secondo Francesco

BENEDIZIONI

Vescovi africani: con Pietro, ma no alla benedizione delle coppie omosessuali

La risposta degli episcopati del continente alla Dichiarazione «Fiducia Supplicans», per voce del presidente della Sceam, il cardinale Fridolin Ambongo *1960         

«Nessuna benedizione per le coppie omosessuali nelle Chiese africane», così si intitola il documento pubblicato oggi a firma del cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa, in qualità di presidente del Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Sceam), quale risposta collettiva delle Chiese del continente a Fiducia supplicans, la dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede dello scorso 18 dicembre che ha aperto alla possibilità di benedizioni pastorali – non liturgiche o rituali – di coppie irregolari, comprese coppie omosessuali.

Nell’introduzione si sottolinea come questo messaggio «ha ricevuto il consenso di Sua Santità Papa Francesco e di Sua Eminenza il Cardinale Víctor Manuel Fernández» e rappresenta una sintesi delle posizioni delle varie conferenze episcopali (che sono state consultate appositamente dopo essersi espresse in ordine sparso nelle scorse settimane).                     

Quattro le parti di cui si compone il testo.

Nella prima si ribadisce da parte delle Chiese africane «l’incrollabile attaccamento al Successore di Pietro, la loro comunione con lui e la loro fedeltà al Vangelo». Esse «riconoscono collettivamente che la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia rimane invariata. Tutti hanno notato i passaggi in cui Fiducia supplicans riafferma questa posizione tradizionale della Chiesa ed esplicitamente esclude il riconoscimento del matrimonio omosessuale. Questa posizione, radicata nelle Sacre Scritture, è stata insegnata senza interruzioni dal Magistero universale della Chiesa. Pertanto, riti e preghiere che potrebbero offuscare la definizione di matrimonio – come unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, aperta alla procreazione – sono considerati inaccettabili. La distinzione fatta da Fiducia supplicans tra le benedizioni liturgiche o rituali formali e le benedizioni spontanee non intende imporre che ci siano benedizioni per le coppie in situazione irregolare e per le coppie dello stesso sesso (cfr. 31), anche se il documento dice che esse “dovrebbero essere effettuate al di fuori dei contesti liturgici“».

Nella seconda parte «il clero è incoraggiato a fornire un’assistenza pastorale accogliente e di sostegno, in particolare alle coppie in situazioni irregolari» e si ribadisce «che le persone con tendenze omosessuali devono essere trattate con rispetto e dignità, ricordando loro che le unioni di persone dello stesso sesso sono contrarie alla volontà di Dio e quindi non possono ricevere la benedizione della Chiesa».

Nella terza parte si afferma che «le Conferenze episcopali preferiscono in generale – ogni vescovo è libero di farlo nella propria diocesi – non offrire benedizioni a coppie dello stesso sesso. Questa decisione deriva dalla preoccupazione per la potenziale confusione e lo scandalo all’interno della comunità ecclesiale. L’insegnamento costante della Chiesa descrive gli atti omosessuali come “intrinsecamente disordinati” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona Humana, n. 8) e contrari alla legge naturale. Questi atti, considerati come chiusura dell’atto sessuale al dono della vita e non procedenti da un’autentica complementarietà affettiva e sessuale, non devono essere approvati in nessun caso (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357)».
A sostegno di questa posizione, «gran parte degli interventi dei vescovi africani si basano soprattutto sulla Parola di Dio. Essi citano passi che condannano l’omosessualità, in particolare Lv 18,22-23 dove l’omosessualità è esplicitamente proibita e considerata un abominio. Questo testo legislativo testimonia queste pratiche nel contesto di Israele, così come altre pratiche che Dio proibisce, come l’infanticidio (cfr. il sacrificio di Isacco). Una Conferenza episcopale ha aggiunto lo scandalo degli omosessuali di Sodoma (cfr. Gn 19, 4-11). Nella narrazione del testo, l’omosessualità è così abominevole che porterà alla distruzione della città».

Anche nel Nuovo Testamento «san Paolo, nella Lettera ai Romani, condanna quelli che definisce rapporti innaturali (cfr. Rm 1, 26-33) o costumi vergognosi (cfr. 1 Cor 6, 9-10). Oltre a queste ragioni bibliche, il contesto culturale africano, profondamente radicato nei valori della legge naturale in materia di matrimonio e famiglia, complica ulteriormente l’accettazione delle unioni di persone dello stesso sesso, in quanto viste come contraddittorie rispetto alle norme culturali e intrinsecamente corrotte».

Nella quarta parte del messaggio è contenuta la dichiarazione conclusiva: «Le Conferenze episcopali di tutta l’Africa, che hanno riaffermato con forza la loro comunione con Papa Francesco, ritengono che le benedizioni extra liturgiche proposte nella dichiarazione Fiducia supplicans non possano essere realizzate in Africa senza esporsi a scandali. Ricordano, come fa chiaramente Fiducia supplicans, al clero, alle comunità religiose, a tutti i credenti e alle persone di buona volontà, che la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla sessualità cristiana rimane invariata. Per questo motivo, noi, vescovi africani, non riteniamo opportuno che l’Africa benedica le unioni omosessuali o le coppie dello stesso sesso perché, nel nostro contesto, ciò causerebbe confusione e sarebbe in diretta contraddizione con l’ethos culturale delle comunità africane. Il linguaggio di Fiducia supplicans rimane troppo sottile per essere compreso dalla gente semplice.

Inoltre, rimane molto difficile essere convincenti sul fatto che persone dello stesso sesso che vivono in un’unione stabile non rivendichino la legittimità del proprio status. Noi, vescovi africani, insistiamo nell’appello alla conversione di tutti. Come Osea, Gesù viene a testimoniare la tenerezza di Dio: “Non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,3). Su questo non c’è dubbio. Ma Gesù tende anche la mano al peccatore perché si rialzi, perché si converta (cfr. Mc 1,5). Dopo aver mostrato tanta tenerezza alla donna colta in adulterio, le disse: “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Come sale della terra e luce del mondo (cfr. Mt 5,13-14), la missione misericordiosa della Chiesa consiste nell’andare controcorrente rispetto allo spirito del mondo (cfr. Rm 12,2) e nell’offrirgli il meglio, anche se è esigente. Alcuni Paesi preferiscono avere più tempo per approfondire la Dichiarazione che, di fatto, offre la possibilità di queste benedizioni ma non le impone. In ogni caso, continueremo a riflettere sul valore del tema generale di questo documento, al di là delle sole benedizioni per le coppie in situazione irregolare, cioè sulla ricchezza delle benedizioni spontanee nella pastorale quotidiana».

Quindi il saluto finale del cardinale Ambongo: «”Grazia e pace”: è con queste parole tratte da san Paolo, in comunione con Sua Santità Papa Francesco e con tutti i vescovi africani, che come presidente del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar concludo questo messaggio invitando le comunità cristiane a non lasciarsi scuotere. Sua Santità Papa Francesco, ferocemente contrario a qualsiasi forma di colonizzazione culturale in Africa, benedice con tutto il cuore il popolo africano e lo incoraggia a rimanere fedele, come sempre, alla difesa dei valori cristiani».

Avvenire redazione cattolica     11 gennaio 2024

www.avvenire.it/chiesa/pagine/chiese-africane-no-a-benedizioni-coppie-omosessuali

Discussioni” in Africa

Riflessioni del teologo gesuita sudafricano Peter Knox  pubblicate sul sito cattolico Outreach (Stati Uniti) il 15 gennaio 2024.

La scorsa settimana, il Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar (SECAM) ha diffuso una dichiarazione in merito alla dichiarazione “Fiducia Supplicans” (FS), che consente la benedizione non liturgica delle coppie dello stesso sesso e delle persone in situazioni matrimoniali irregolari, a determinate condizioni. “Fiducia Supplicans” era stata originata dai dubia (domande) sottoposti a Papa Francesco, riguardanti il ruolo che le persone LGBTQ possono svolgere nella vita della Chiesa. (La dichiarazione è stata anche approvata dal papa).

La dichiarazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar, intitolata “Nessuna benedizione per le coppie omosessuali nella Chiesa africana”, è una sintesi delle reazioni di molte conferenze episcopali africane alla FS.

[eccetto dieci circoscrizioni del nord Africa- CERNA]

www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2024-01/vescovi-nordafrica-cerna-sinodo-fiducia-supplicans-benedizione.html

Nella rete dei teologi africani alla quale appartengo si è discusso animatamente della dichiarazione vaticana. Da questa discussione è evidente, almeno per me, che in ampie zone dell’Africa c’è una negazione quasi ossessiva della possibilità che esistano africani attratti da persone dello stesso sesso. Il fatto che persone dello stesso sesso possano impegnarsi in relazioni permanenti, amorevoli, solidali, stabili e ricche di frutti va oltre l’immaginazione di molti africani. Il concetto stesso è contrario a ciò che molti teologi e pastori sostengono sia la cultura africana. Citano versetti delle Scritture e della tradizione della chiesa per corroborare la loro avversione per l’idea. Secondo molti di loro questo è un problema del Nord del mondo.

Inoltre, dicono, questa situazione non si verifica in Africa. Per noi è irrilevante, dicono; è inconcepibile che una coppia dello stesso sesso possa rivolgersi a un pastore in Africa, chiedendo una benedizione. E se ciò dovesse accadere, queste coppie dovrebbero essere mandate via con un severo monito a pentirsi. Infine, si pensa, le coppie dello stesso sesso sono incapaci di ricevere la benedizione di Dio perché la loro condizione di vita è peccaminosa e ripugnante agli occhi di Dio.

Essendo membri della chiesa con una formazione teologica più solida, i miei interlocutori sono rimasti profondamente turbati da FS. La maggior parte di loro ha capito che la dichiarazione non apporta alcun cambiamento all’insegnamento della Chiesa sul matrimonio. Ma molti sono preoccupati per il concetto del “pendio scivoloso”: se le persone omosessuali ricevono una benedizione informale attraverso l’azione di un ministro ordinato della chiesa, si riterranno autorizzati ad affermare successivamente che la loro relazione è convalidata dalla chiesa. Allora l’intera struttura dell’insegnamento della Chiesa in materia di relazioni sessuali sarà messa in discussione. Non possiamo permetterlo, dicono.

Alcune persone, soprattutto quelle con una formazione teologica meno strutturata, hanno manifestato confusione e hanno chiesto chiarimenti. Apparentemente, il linguaggio delle Fiducia Supplicans “rimane troppo raffinato per essere compreso dalle persone semplici”, come afferma il documento delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar. Ecco perché i vescovi, come pastori nelle rispettive diocesi, nazioni e conferenze episcopali, hanno avuto la necessità di offrire spiegazioni e chiarimenti per risolvere la confusione delle persone.

La mia speranza è che i vescovi lo abbiano fatto nello spirito della sinodalità, con un atteggiamento di grande ascolto, soprattutto nei confronti delle persone ai margini della società. La maggior parte di coloro che hanno offerto una guida pastorale sull’argomento hanno dichiarato la loro fedeltà al magistero papale, ma hanno dichiarato, per un motivo o per un altro, che la Fiducia Supplicans era inapplicabile nella loro diocesi, nazione o conferenza episcopale.

Il comunicato delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar ha raccolto e sintetizzato i chiarimenti dei vari vescovi e conferenze episcopali del continente. Si afferma che i chiarimenti delle conferenze episcopali africane hanno una visione e un approccio comuni. Mentre i vescovi “insistono sull’appello alla conversione per tutti”, la dichiarazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar si concentra sulla controversa questione di benedire le persone che vivono in un’unione omosessuale. Non affronta il tema della benedizione delle persone che vivono in unioni poligame, che sono culturalmente accettabili in alcune società africane, ma che rientrano anche nell’ambito di competenza di “Fiducia Supplicans”, in quanto sono “unioni irregolari”. (Come segno dell’importanza di questo tema in Africa, le unioni poligame sono state discusse nella sessione del Sinodo dello scorso anno e menzionate nella sua relazione di sintesi).

Inoltre, la Conferenza Episcopale dell’Africa e del Madagascar non affronta neanche la pratica delle coppie che si sposano secondo i riti tradizionali africani (i cosiddetti “matrimoni tradizionali”) o addirittura contraggono un matrimonio legale e civile e vivono per molti anni come coppia prima che la loro unione venga ratificata nella chiesa. Entrambi questi tipi di “unioni irregolari” sono tecnicamente proibite dalla legge ecclesiastica e in violazione delle indicazioni morali delle Scritture.

Il documento “No Blessings” si riferisce al Catechismo della Chiesa Cattolica (2357) e alla dichiarazione della CDF del 1975 “Persona Humana” (8), che affermano che l’“insegnamento costante della Chiesa” descrive gli atti omosessuali come “intrinsecamente disordinati”. A sostegno della loro posizione, una grande maggioranza degli interventi dei vescovi africani cita anche Levitico 18, Genesi 19, Romani 1 e 1 Corinzi 6. Viene da chiedersi quanta ermeneutica o approfondito studio della Bibbia siano stati applicati nella citazione di questi testi. La dichiarazione fornisce anche basi culturali per il rifiuto delle unioni tra persone dello stesso sesso: le culture africane sono “profondamente radicate nei valori basati sulla legge naturale riguardo al matrimonio e alla famiglia”. Pertanto, le unioni di persone dello stesso sesso sono inaccettabili perché “sono viste come contraddittorie rispetto alle norme culturali e intrinsecamente corrotte”.

“No Blessings” fa riferimento anche al timore di molti vescovi di esporsi allo scandalo se decidessero di impartire le benedizioni extra-liturgiche proposte da FS. Con queste affermazioni, questi vescovi sembrano suggerire che hanno poco interesse per un atteggiamento eccessivamente profetico nella pastorale per questo gruppo di persone emarginate. Affermano che i diritti umani delle persone omosessuali dovrebbero essere rispettati in ogni circostanza, anche nella chiesa.

Certamente, in alcuni paesi anche soltanto dichiarare di avere attrazione per lo stesso sesso è punibile con la reclusione a lungo termine, e in altri paesi, le persone scoperte in relazioni omosessuali sono passibili di punizioni corporali o di morte. In altri posti, le persone LGBTQ sono soggette ad altre forme di violenza, percosse e molestie. In termini di diritto civile, il Sudafrica è un faro di luce nel continente africano.

La sua costituzione progressista del 1994 vieta la discriminazione sulla base di razza, religione, lingua, genere o orientamento sessuale. Nel Paese sono consentiti i matrimoni civili tra persone dello stesso sesso e le coppie dello stesso sesso possono adottare bambini che altrimenti non avrebbero genitori. Non c’è da meravigliarsi che persone provenienti da molte parti dell’Africa, i cui diritti umani non sono rispettati nei loro paesi d’origine, chiedano asilo in Sud Africa.

Da decenni il Sudafrica riconosce lo status di rifugiato alle persone perseguitate o la cui vita è in pericolo a causa del loro orientamento sessuale. Per coloro che non tentano di raggiungere l’Europa, il Sudafrica è spesso la seconda destinazione migliore. Una parrocchia cittadina in questa nazione ha un gruppo di sostegno per i parrocchiani LGBTQ. È interessante notare che nessuno dei membri del gruppo è un cosiddetto “europeo”. Provengono tutti da paesi africani.

Pubblicato in francese, portoghese e inglese, il comunicato delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar (SECAM) osserva che l’accoglienza de la “Fiducia Supplicans” non è stata del tutto uniforme. “Alcuni paesi preferiscono avere più tempo per l’approfondimento della Dichiarazione che… offre la possibilità di queste benedizioni ma non le impone”.

Indubbiamente ci vorrà del tempo perché l’ispirazione pastorale de la “Fiducia Supplicans” venga accettata più ampiamente. Si spera che nel frattempo questa ispirazione non venga soffocata in un interminabile lavoro di commissioni. Si spera anche in un atteggiamento più profetico di protezione nei confronti di un gruppo di persone gravemente emarginate in questo continente.

*Padre Knox lavora presso l’Istituto dei Gesuiti in Sud Africa. Negli ultimi 20 anni ha insegnato teologia a Johannesburg, Pretoria e Nairobi. Il suo lavoro di dottorato si è concentrato sull’AIDS, sulla religione tradizionale africana e sulla salvezza.

Testo originale: South African theologian: Why blessing same-sex couples causes “heated discussion” in Africa

Innocenzo · 18 gennaio 2024     liberamente tradotto da Valeria e Luigi, soci de la Tenda di Gionata di Bari

www.gionata.org/perche-la-benedizione-delle-coppie-dello-stesso-sesso-ha-acceso-le-discussioni-in-africa

CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia

Newsletter CISF -n. 4, 31 gennaio 2024

§             46,a Giornata nazionale per la vita. Si celebrerà il 4 febbraio 2024 la 46°Giornata Nazionale per la Vita sul tema «La forza della vita ci sorprende. “Quale vantaggio c’è che l’uomo guadagni il mondo intero e perda la sua vita?” (Mc 8,36)»  [qui il Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente della CEI].

https://famiglia.chiesacattolica.it/46giornata-nazionale-per-la-vita

 Proponiamo il servizio di approfondimento sull’evento dei Padri Dehoniani [su YouTube – 2 min 16 sec]

www.youtube.com/watch?v=F_4Ur2Zz7QA

ricordando le tante celebrazioni in tutte le Diocesi e la ricchezza del “Festival della Vita”, progetto promosso dal Centro Culturale San Paolo della Campania.                                         www.facebook.com/CentroculturaleSanPaoloOdv

§             Assegno unico, fisco, politiche familiari: a Roma il convegno Cisf-Forum famiglie. Un importante momento di riflessione sui contenuti del CISF Family Report “Politiche al servizio della famiglia” (edito da San Paolo) e un dialogo aperto tra il Forum nazionale delle Associazioni Familiari e i rappresentanti del Senato e delle commissioni parlamentari dedicate. È l’appuntamento in programma mercoledì 14 febbraio (10.30-12.30) presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma. Aprono i lavori Gian Marco Centinaio (vicepresidente del Senato) e Adriano Bordignon (presidente Forum Associazioni Familiari). Per partecipare è obbligatoria l’iscrizione a questo form.

https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSegFkOCy1DytiWB81GihxYxtAWe-F7t735wzW2yNwour_KQEw/viewform?pli=1

§             Psicologo di base in Lombardia, una riflessione. Questa settimana Famiglia Cristiana rilancia un intervento di Giovanni Migliarese, Direttore SC Salute Mentale Lomellina e membro del Comitato Scientifico del Cisf, che analizza la novità – giunta In risposta all’incremento di sofferenza psichica nella popolazione – del servizio di psicologia delle cure primarie. Una novità legislativa che desta alcune perplessità tra gli addetti ai lavori, che avrebbero auspicato “investimenti “di sistema”, che andassero a rinforzare i servizi già attivi” e un miglioramento dell'”l’interfaccia degli attuali servizi di salute mentale con la medicina di base” [qui l’articolo]

www.famigliacristiana.it/articolo/il-nuovo-servizio-dello-psicologo-di-base.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_31_01_2024

§             Le politiche family friendly non bastano più per rilanciare la natalità? È la domanda che il Financial Times ha rivolto alla sociologa e demografa finlandese Anna Rothkirch, direttrice della Family Federation of Finland’s Population Research Institute, che studia l’andamento della natalità nei Paesi avanzati. Le culle vuote sono un problema che li accomuna superando i diversi approcci e modelli d’intervento politici, le differenti culture familiari e sociali e le fedi religiose. “Molte delle politiche che hanno funzionato nell’ultimo secolo oggi non funzionano più“, dice. “La leva per il rilancio della natalità non è più semplicemente economica e di politiche; è qualcosa di culturale, psicologico, biologico, cognitivo“. La studiosa riflette sul modo in cui le nuove generazioni vedono l’avere figli: qualcosa che sacrifica la loro libertà. Il discorso politico di “avere figli per salvare l’economia del Paese” andrebbe sostituito con un più rassicurante “l’economia di questo Paese è qui per te se hai un bambino” [qui l’articolo].                                                  www.ft.com/content/500c0fb7-a04a-4f87-9b93-bf65045b9401

§             Parent: equal engaged early empathetic. È un progetto europeo che intende promuovere l’impegno dei padri da subito nella cura di figlie e figli secondo una idea di mascolinità accudente. Ha una declinazione nazionale [qui il link]                                https://4e-parentproject.eu/

per meglio contribuire a modificare atteggiamenti, abitudini, stereotipi e organizzazione sociale, prevenire la violenza di genere e accrescere il benessere di tutte le componenti della famiglia. Oltre alle numerose informazioni e proposte di riflessione sull’attualità, il portale italiano propone un’offerta formativa con diversi percorsi a distanza (e in presenza), disponibili per tutto il 2024, alcuni realizzati per addetti ai lavori (al personale sanitario, ad esempio, si rivolge “Il padre nei primi mille giorni di vita“, valido per l’acquisizione di 10 crediti ECM).                                                                                                                  https://4e-parentproject.eu/formazione

§              Climatizzatore, smart tv, cellulare: come sono cambiati i beni durevoli nelle nostre case. È l’interessante pubblicazione dell’Istat                      www.istat.it/it/archivio/293401?mtm_campaign=wwwnews&mtm_kwd=03_2023

 a proposito dei beni durevoli nelle famiglie italiane e il loro cambiamento dagli anni Novanta in poi. Mentre frigorifero, lavatrice e televisione hanno una diffusione quasi universale, la lavastoviglie nel 2021 era presente in poco più della metà delle case;  dal 2000 sono aumentati i condizionatori e i climatizzatori d’aria (nel 2021 presenti presso il 48,6% delle famiglie) e tra le altre categorie di beni durevoli in forte espansione troviamo il personal computer e il cellulare (il 70,3% delle famiglie ha un PC – nel 2021 – e il 97,2% dispone di un telefono cellulare – nel 2022).

§             La giornata per la sicurezza in rete. Martedì 6 febbraio 2024 si celebra, in contemporanea in oltre 100 nazioni di tutto il mondo, il Safer Internet Day (SID), la giornata mondiale per la sicurezza in Rete, istituita e promossa dalla Commissione Europea         www.generazioniconnesse.it/site/it/2024/02/18/safer-internet-day-2024

 Obiettivo dalla giornata è far riflettere le ragazze e i ragazzi non solo sull’uso consapevole della rete, ma anche sul ruolo attivo e responsabile di ciascuno nella realizzazione di Internet come luogo positivo e sicuro. Il tema coinvolge direttamente le approfondite ricerche del Cisf in tema di tecnologia e famiglia: scopri i Report CISF 2017 – Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali e 2022 – Famiglia&Digitale. Costi e opportunità.

www.sanpaolostore.it/relazioni-familiari-nell-era-delle-reti-digitali-nuovo-rapporto-cisf-2017-9788892213289.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_31_01_2024&Referral=sito_cisf

https://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/rapporto-family-cisf-2022.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_31_01_2024

§             Corso di psicologia sulla coppia. Da giovedì 9 febbraio 2024 inizia il Corso di psicologia “IO + TU = NOI?” quattro incontri (9-16-23 febbraio/1° marzo) con Gabriella Muretto e Mariapaola Parma presso la Sala Alberione del Centro culturale San Paolo, Alba- piazza San Paolo 14, ore 17,30-19. Il corso si propone di approfondire alcuni aspetti dell’amore di coppia, del modo d’amare l’altro e di verificare come trasformare l’incontro in una relazione di vita duratura e serena.  [qui la locandina]                 www.famigliacristiana.it/media/img/cisf/corso_psico_coppia.png

§             Save the date

  • Convegno (Novara)10 febbraio 2024 (8.15-12.45).La medicina perinatale: cura e accoglienza concepito paziente” promosso dall’AOU Maggiore della Carità, ADVM, AMCI Ordine dei medici, ordine degli infermieri, ATDM [qui il programma]
https://salute.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/26/2024/01/11/Convegno-Medici-Cattolici.pdf
  • Formazione (Milano/Web)10/11 febbraio 2024. Percorso sul Perdono” promosso da Family Care e Associazion2 Famiglia della Luce, ADVM, AMCI Ord       via Macedonio Melloni 27  Milano

www.familycaremilano.it/evento/percorso-perdono-un-dono-per-te

  • Webinar (Usa) 13 febbraio 2024 (13-14 ET). “Equal Parenting Time in Practice and Policy: A Friendly Debate and Discussion” organizzato da AFCC

www.afccnet.org/Webinars/AFCC-Webinars/ctl/View/ConferenceID/579/mid/

  • Formazione (Web)19 febbraio 2024 (9-17). “Il lato oscuro della violenza. La presa in carico degli aggressori” organizzato da CTA, formazione dedicata a psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali, altri operatori.                       www.afccnet.org/Webinars/AFCC-Webinars/ctl/View/ConferenceID/579/mid/3
  • Workshop (EU) – 6/7 marzo 2024. Putting care in context: Care ethics, Care constellations & Caring communities” sulla presa in carico delle persone anziane e con demenza, organizzato da Universität Oldenburg e Bar-Ilan University [qui il programma]

www.no2ageism.com/_files/ugd/ddda4d_f8173128ce5246eda00769a9f2a4efe7.pdf

  • Giornata di studio (Milano) – 9 marzo 2024 (9.15-17.30). “L’uso delle immagini nella clinica e nelle relazioni d’aiuto” organizzato da SIRTS [qui la presentazione]

www.sirts.org/eventi/seminari-in-programma/55-giornata-di-studio-uso-immagini-9-marzo-2024

Archivio    http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=pzw49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vuxtNCLM

CHIESA CATTOLICA

L’unità della Chiesa è a rischio

Di fronte alla richiesta di molti episcopati e di cattolici presenti soprattutto in Occidente, Papa Francesco, che fin dall’inizio del suo pontificato ha mostrato di dare alla carità e alla misericordia il primato assoluto nella vita ecclesiale, ha concesso, o meglio ha esplicitato, la possibilità di dare la benedizione a quanti vivono una situazione contradditoria alla dottrina cattolica: divorziati, persone conviventi, omofili, eccetera. Perché se l’unità della Chiesa è a rischio finora sono stati esclusi e giudicati per la condanna della Chiesa, possano invece sentirsi nella comunione, e riconosciuti per il bene che sanno vivere con gli altri.

Benedire qualcosa o qualcuno significa lodare e ringraziare Dio per la creazione, la presenza di quelle realtà o di quelle persone. Per questo, il Papa non intende certo assimilare la benedizione delle copie omofili al matrimonio — che è un sacramento — e dunque tale benedizione non può essere mai liturgica, né avvenire in una assemblea ecclesiale eucaristica o semplicemente orante.

Quelli che chiedono la benedizione possono ottenerla: nella consapevolezza, però, che questo non significa un’approvazione. È la conoscenza della realtà quotidiana che spinge il cristiano che conosce e frequenta persone che sono in queste situazioni, considerate irregolari dalla chiesa cattolica, a discernere che, come in ogni coppia, anche in queste c’è amore, dedizione, cura e reciproca sopportazione: come si potrebbe allora non ringraziare e benedire Dio per i suoi doni?

Nell’Antico Testamento e nell’apostolo Paolo c’è la condanna di queste situazioni: coabitazione, omosessualità, incesto… e la Chiesa, in obbedienza alla parola di Dio contenuta nelle sacre Scritture, deve rileggere queste prese di posizione e interpretarle tenendo conto del tempo in cui viviamo. Ma oggi Chiese di interi continenti e minoranze cattoliche nell’Occidente, non sono in grado di interpretare la Scrittura se non in senso letterale, con una lettura che non tiene conto degli apporti della critica storica.

Circa la possibilità della benedizione delle coppie irregolari il cardinale Fridolin Ambongo, che è a capo è [della maggioranza] dei vescovi africani, ha dichiarato: “Questa al nostro popolo non interessa!”, appoggiando così gli episcopati africani che non accettano l’apertura papale. La stessa situazione si può leggere nell’Europa dell’Est e in Asia.

 Per Papa Francesco non è facile presiedere all’unità di una tale chiesa: non si corre il rischio della formazione di chiese nazionali nella cattolicità perché il virus del sovranismo e del filetismo [fusione tra chiesa e nazione] è assente, ma è possibile che alcune chiese si rifugino nel passato rifiutando il mondo contemporaneo e vedendo in ogni dialogo della chiesa con la società reale una tentazione dettata dall’anticristo. Una visione che ispira quelli che condannano “i costumi decadenti dell’Occidente!” con il loro ossessionante primato dei diritti individuali.

Non è un caso che così già si muovano le chiese ortodosse slave.

Enzo Bianchi      La repubblica                    29 gennaio 2024

www.repubblica.it/rubriche/2024/01/29/news/altrimenti_di_lunedi_29_gennaio_2024-421999286

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CHIESA IN FRANCIA

Dichiarazione Fiducia supplicans: rivolta o rivoluzione?

Alcuni giorni prima di Natale, papa Francesco ha suscitato la sorpresa con la pubblicazione da parte del potente dicastero per la Dottrina della fede, un tempo chiamato “Sant’Uffizio”, di una “Dichiarazione” sulla benedizione delle coppie irregolari e in particolare delle coppie dello stesso sesso. Troppo liberal per gli uni, troppo prudente per altri, il testo già delude, ma non è gesuiticamente dirompente e creativo?

                Non c’è dubbio che c’entri proprio papa Francesco; è stato chiarito molto bene che “Fiducia supplicans” viene pubblicata con il suo pieno accordo. La sorpresa è grande, visto che la Chiesa cattolica si trova a metà di un processo sinodale che mira alla riforma della governance. Certo, molti documenti delle Chiese occidentali e in particolare della Chiesa di Germania chiedevano tale apertura. Ma nessuno si aspettava che il problema fosse regolamentato prima del termine del sinodo da un testo che si situa ad un livello elevato nella gerarchia delle norme della Chiesa.

Papa Francesco sembrava aver permesso questo tipo di benedizioni in una affermazione in ottobre, suscitando i dubbi di cardinali conservatori, rivolti alla Dottrina della fede, che aveva dato loro una risposta abbastanza alambiccata. La Dichiarazione recente, benché piena di precauzioni di vario tipo, è chiara: la benedizione è possibile. Infatti, non è possibile confonderla con una celebrazione di matrimonio. Certo è chiara, ma quanto si gira attorno al problema!

È vero che si tratta, in via di massima, di dire l’opposto di ciò che è stato affermato per decenni. È uno dei più grandi problemi della Chiesa cattolica. La quale sostiene di non cambiare, poiché la verità che essa detiene è eterna e intangibile. Per cui, quando modifica la propria posizione – cosa che di fatto succede spesso – deve fare strane contorsioni e arguzie intellettuali. È così che avviene per questa Dichiarazione. Fa passare il cammello dell’apertura e della tolleranza per la cruna dell’ago di una dottrina del matrimonio e della sessualità stretta, rigida e obsoleta.

Se le precauzioni di “Fiducia supplicans” sono numerose, il fatto principale è che due persone che si amano e si dichiarano in coppia sono una coppia e la Chiesa lo riconosce benedicendole – nel senso etimologico, “dice bene”. E questo colpisce duramente i conservatori di ogni tipo, a cominciare, in Francia, da coloro che, dieci anni fa, sostenevano che il “matrimonio per tutti” costituiva la più grande rottura antropologica a partire da Adamo ed Eva.

Ma non è nulla rispetto alla costernazione degli episcopati conservatori americani, di quelli dell’Europa dell’Est e soprattutto di quelli dell’Africa . Qui, molti sono i responsabili – o irresponsabili – cattolici che pronunciano la parola di scisma. Sui social si scopre perfino, qua o là, un parroco o addirittura un vescovo, che osa proporre di pregare per papa Francesco, affinché Dio lo richiami presto a sé.

Bisogna dire che, in un certo numero di Stati africani, l’omosessualità non è solo considerata immorale, ma è illegale e condannata. Su cinquantaquattro Stati, trentadue la condannano e due la puniscono con la morte, la Nigeria e la Mauritania. Colpisce la potente omofobia che si esprime nei messaggi dei diversi episcopati. Per lo meno, la Dichiarazione è profetica e non permette più di giustificare con un giudizio “divino” le disposizioni inique delle leggi civili.

Ciò che traspare inoltre – e non è anodino – è che questi discorsi sono sulla stessa linea di Vladimir Putin. Il le reprime l’omosessualità ritenendo che sia una contaminazione venuta dall’Occidente decadente. È a questo punto che il testo del Vaticano cessa di essere una piccola storia cattolica per diventare il potente rivelatore di una enorme faglia geopolitica. Più che mai, il campo della libertà e della democrazia appare ristretto di fronte a ciò che viene definito a torto il “Sud globale” – perché le linee di separazione sono più complesse. Sulle questioni di libertà personale, sull’accettazione delle società inclusive, l’America latina, da cui tra l’altro proviene papa Francesco, è piuttosto all’avanguardia. Nove Stati vi hanno legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso. In totale, nel mondo, trentasei Stati, che contano quasi il 18% della popolazione mondiale, lo permettono. In Africa, si trova solo il Sudafrica e, in Asia, Taiwan e il Nepal. La decisione del Vaticano, anche se non si tratta di matrimonio ma di una benedizione, si inserisce quindi in questa logica di riconoscimento dei diritti delle persone nelle loro differenze.

Questa Dichiarazione contraddice anche l’idea che il cristianesimo sia sinonimo di conservatorismo. Infatti, la gran parte dei Paesi a maggioranza cristiana hanno accettato l’unione di persone dello stesso sesso. Resta da osservare la forza della rivolta che sembrano voler sollevare i vescovi africani. Ma, in ultima analisi, ad essere in gioco è la questione della libertà delle coscienze, che è il fondamento dell’organizzazione delle democrazie e degli Stati di diritto.

                Christine Pedotti             Temoignage Chretien (Francia) tradotto da finesettimana.org

Testo originale: Déclaration Fiducia supplicans : révolte ou révolution?

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Omosessualità, una pretesa “coloniale” della Chiesa occidentale?

I preti africani non benediranno le coppie dello stesso sesso, ha scritto il cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa (RD-Congo), a nome [di una parte]del suo continente. Questa risposta africana al documento del Vaticano (“Fiducia supplicans”) che autorizza, al di fuori del quadro liturgico, le benedizioni di coppie omosessuali può suscitare in noi occidentali l’incomprensione o addirittura la riprovazione per un atteggiamento che noi riteniamo chiuso, in base ai nostri valori.

Bisogna leggere attentamente il testo: quelle benedizioni “non potranno farsi in Africa senza esporsi a scandali”, scrive il cardinale, che ritiene che si debba adattare la teologia alle specificità culturali. “Noi non consideriamo appropriato per l’Africa benedire le unioni omosessuali perché, nel nostro contesto, sarebbe in contraddizione diretta con l’ethos culturale delle comunità africane”. Questo “no” va al di là delle coppie omosessuali. Esprime un sentimento che sta crescendo nelle Chiese africane contro quello che certi vescovi e teologi africani non esitano più a chiamare con il termine di “neocolonialismo”. Ad esempio, durante la prima sessione del Sinodo sulla sinodalità, nell’autunno scorso, i partecipanti venuti dall’Africa subsahariana avevano assimilato questo problema ad una “preoccupazione ideologica occidentale”, nuova forma di “colonizzazione”.

La rimessa in discussione del passato coloniale è oggi ovunque, e non c’è ragione che la religione vi sfugga. Che lo si voglia a no, la colonizzazione, per quei popoli, resta l’espressione di una sconfitta culturale e politica, ma anche religiosa. L’inculturazione, incoraggiata dal Concilio Vaticano II, è rimasta ad un livello quasi folcloristico, senza andare veramente a fondo di ciò che significava “l’ethos culturale delle società africane”, come dice il cardinale Fridolin Ambongo “La Chiesa è arrivata con una cultura in un’altra cultura”, constatava il documento africano di preparazione al Sinodo, ritenendo che bisognava ascoltare “le pratiche culturali che sono state o ignorate o condannate, o soppresse dalla cultura occidentale attraverso la quale il Vangelo è stato predicato agli africani”. Sapendo che oggi un cattolico su cinque vive in Africa, la rivendicazione di “decolonizzazione” non dovrebbe restare senza risposta.

Certo, il no dei vescovi africani viene sfruttato dai vari nemici prelati di papa Francesco, anche in Africa. Ma più profondamente, ci obbliga a rivisitare la nozione di universalismo, che è un modo diverso di tradurre l’aggettivo cattolico. Che cosa è universale nei nostri valori cattolici, e che cosa non lo è? Aimé Césaire, grande pensatore della negritudine, che diceva di avere come religione la fraternità, si esprimeva così: “Ci sono due modi di perdersi: con la segregazione rinchiusa nel particolare, o con la diluizione nell’universale”. L’omosessualità è universale, non culturale. Ma il riconoscimento della coppia omosessuale nelle società, no. Però, se la dignità della persona umana, di ogni persona, è uno dei fondamentali del cattolicesimo, i vescovi africani dovrebbero lottare contro la criminalizzazione dell’omosessualità e per i diritti degli omosessuali nel continente. E invece non lo fanno.

Si può anche notare che il testo del Vaticano, che cerca, al di là delle coppie dello stesso sesso, di tenere in considerazione tutta la diversità delle situazioni di coppie dette “irregolari” (risposati, concubini…), propone un atteggiamento di accoglienza che vale anche per l’Africa. Infine, occorrerebbe urgentemente un lavoro più importante in Occidente attorno al “neocolonialismo” della Chiesa, da svolgersi insieme a dei teologi africani che hanno già lavorato sull’argomento. Solo insieme si riuscirà, nella Chiesa come altrove, a universalizzare l’universalismo.

    Isabelle de Gaulmyn *1962        “La Croix” 3 febbraio 2024 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202402/240203degaulmyn.pdf

CHIESA IN GERMANIA

Il Cammino sinodale della Chiesa Cattolica in Germania e gli abusi del clero

Uno studio sugli abusi nella Chiesa protestante mette in luce i punti critici

Alla luce di uno studio sugli abusi protestanti presentato in Germania, un gruppo laico cattolico ha messo in dubbio la “narrazione persistente del Cammino Sinodale che attribuisce le cause sistemiche di abuso a fattori specificamente cattolici“.

Pubblicato il 25 gennaio, lo studio ForuM ha identificato 1.259 individui accusati e 2.174 sopravvissuti agli abusi dal 1946 all’interno della Chiesa evangelica in Germania (EKD), secondo un rapporto di CNA Deutsch, l’agenzia di stampa in lingua tedesca del gruppo ACI. I risultati di questo studio contrastano nettamente con le affermazioni di una “presunta dimensione cattolica-specifica dell’abuso sessuale“, ha dichiarato Neuer Anfang, un gruppo laico tedesco critico della Via Sinodale. Il Cammino sinodale della Chiesa Cattolica in Germania, che ha votato per l’ordinazione delle donne e l’ideologia transgender, tra le altre questioni, ha collegato le sue risoluzioni allo studio MHG, un’indagine sugli abusi sessuali clericali nella Chiesa cattolica in Germania.

Tuttavia, afferma Neuer Anfang, “i critici hanno costantemente contestato la validità scientifica di una tale connessione“. Come riportato da CNA Deutsch, anche un noto esperto medico ha sollevato preoccupazioni in questo contesto. A seguito della pubblicazione dello studio protestante la scorsa settimana, l’esperto di abusi padre Hans Zollner ha detto all’agenzia tedesca KNA: “Non esiste una connessione per una sola causa tra alcune strutture ecclesiastiche e l’abuso, è molto più complesso“.

    *1966 Zollner ha fatto parte della Pontificia Commissione per la protezione dei bambini fino al 2023. L’esperto di abusi ha detto, secondo CNA Deutsch, era “certamente non sbagliato pensare a ciò che ha facilitato l’abuso sessuale nella Chiesa cattolica e ostacolato il chiarimento e come questo dovrebbe essere cambiato“. Tuttavia, ha avvertito, “è troppo miope pensare che i sacerdoti sposati o più donne alla guida della Chiesa impedirebbero di per sé gli abusi“.

Neuer Anfang ha sottolineato la presenza di cause sistemiche di abusi sessuali che trascendono i confini denominazionali, come gli squilibri di potere, i modelli di ruolo poco chiari e il potenziale di manipolazione nelle relazioni asimmetriche. “Questi fattori strutturali, che sono favorevoli all’abuso, non sono unici per la Chiesa cattolica o per una singola denominazione. Sono interistituzionali, prevalenti ovunque siano coinvolti bambini e giovani, nelle chiese di tutte le denominazioni, così come in contesti sportivi ed educativi”.

                I vescovi tedeschi discuteranno il Cammino Sinodale nella loro prossima assemblea plenaria ad Augusta dal 19 al 22 febbraio 2024. Questo incontro dovrebbe essere un momento critico, poiché i vescovi discuteranno un comitato con l’obiettivo di introdurre un Concilio sinodale permanente per sovrintendere alla Chiesa in Germania. In vista dell’incontro, il vescovo Georg Bätzing*1961 del Limburgo,     presidente della conferenza episcopale tedesca, ha scritto che la Chiesa deve “cercare formati di riunione e procedure di partecipazione adeguati” che “consentano al maggior numero possibile di persone di essere seriamente coinvolte in consultazioni e decisioni“, ha riferito CNA Deutsch.

In questo contesto, ha scritto Bätzing, la democrazia moderna, con il suo riconoscimento della dignità umana e la separazione dei poteri, lo stato sociale e lo stato di diritto, non dovrebbe “sorgere paure nella Chiesa“.

www.acistampa.com/story/24280/il-cammino-sinodale-della-chiesa-cattolica-in-germania-e-gli-abusi-del-clero?utm_campaign=ACI%20Stampa&utm_medium=email&_hsmi=292180626&_hsenc=p2ANqtz-_1UaHCg0WK0356a6E461f9hYEPGwTR6EgGWRPC7BqvKLU9cOCHiEaLV9cZRbIsSBMoGF9R-Bnk0VU9EzpdSRRLpt3BtQ&utm_content=292180626&utm_source=hs_email

CHIESA IN ITALIA

I vescovi italiani e le paure sulla Fiducia Supplicans

L’altro giorno, un mio amico è andato da un suo amico il quale è amico del vescovo della sua diocesi, nel senso che è un tipo che lavora in curia. Gli ha proposto di organizzare un momento pubblico di approfondimento su “Fiducia Supplicans”. La risposta dell’amico del mio amico è stata: “per carità, non è il momento. I vescovi italiani stanno litigando come matti“.

Me lo aspettavo. Il silenzio seguito al documento papale sulla benedizione alle coppie irregolari o LGBT+ da parte dei vescovi italiani non può essere interpretato diversamente: sono rimasti storditi e stanno litigando. Mi immagino su cosa.

Pare che, da una parte, ci siano quelli entusiasti, come mons. Staglianò vescovo di Crotone e dall’altra gli apocalittici, sempre attentissimi a cogliere il Papa in fallo per altri motivi. In mezzo ci sono le decine di neutralisti, quelli che preferiscono non sbottonarsi mai per non far torto a nessuno.

Devo dire che questi ultimi, in questo caso e limitatamente a esso, hanno quasi la mia comprensione. Se, per esempio, guardiamo su youtube tutti i video che si sono prodotti contro “Fiducia Supplicans”, abbiamo l’impressione che tutta la cattolicità nostrana sia scandalizzata come non mai. C’è effettivamente da spaventarsi. Se poi diamo retta a chi parla di “interi episcopati contrari” che tacciano papa Francesco di “eresia”, un po’ di paura non può che prenderci.

Se infine stiamo a guardare quali siano ancora oggi i numeri dell’omofobia nel nostro Paese, non possiamo che convenire che il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede sarà difficile da digerire per molti, cattolici per primi.

Mi viene però da rispondere: è possibile che un vescovo, persona che dovrebbe saper vedere le cose dall’alto, si lasci impressionare da queste cose?

                Youtube non è lo specchio dell’universo. È un luogo virtuale dove ciascuno può dire la sua; basta che si organizzi. Ed è del tutto normale che chi si sente contrario a qualche cosa – qualunque cosa – si organizzi maggiormente rispetto a chi è a favore. Questi ultimi non hanno bisogno di youtube per protestare, semplicemente perchè non hanno nulla di cui protestare. E dunque non fanno rumore, pur essendo la stragrande maggioranza. Del pari, è perfettamente normale che i media più tradizionali diano risalto ai contestatori, perchè fa notizia. Che notizia sarebbe quella che dice che sono quasi tutti d’accordo?

Lo stesso ragionamento dovrebbe valere per chi si spaventa di coloro che brandiscono il fatto che “intere conferenze episcopali dell’Africa” hanno immediatamente levato gli scudi. Su questo punto però, mi arrabbio un po’ di più, non con gli spaventati ma con gli spaventatori. Perché queste cose andrebbero comunicate con un po’ più di onestà intellettuale.

Ho già detto in un altro articolo, che le “conferenze episcopali” contrarie sono in tutto quattordici sulle centoquindici mondiali e, di esse, undici sono di Paesi africani dove il cattolicesimo è in minoranza mentre le altre tre sono quelle dell’Ungheria, della Polonia e dell’Ucraina. A esse si aggiungono alcuni vescovi sparsi qua e là, generalmente residenti in Paesi che non sono proprio specchi di democrazia. Bisogna aggiungere che i loro pronunciamenti sono avvenuti nel giro di pochissimi giorni e solo per bocca dei loro presidenti. Nessuna conferenza episcopale è stata in realtà riunita per discutere l’argomento. In sostanza: non sapremo mai cosa pensano veramente i vescovi né tantomeno i cristiani cattolici di quei Paesi, di questo documento tenuemente favorevole alle coppie omosessuali.

  1. Allora, perchè i vescovi italiani sono così timorosi? Avevano forse qualche candidato africano da proporre al prossimo conclave? Malignità per malignità… O temono magari di perdere fedeli omofobi ma tanto pii? O ancora, li spaventa una eventuale reazione pericolosa da parte dell’attuale maggioranza politica, la quale, bene o male, si professa cattolica? Va’ a sapere.

Resta però il fatto che un documento magisteriale non si rigetta, né si raggira, né tantomeno si nasconde sotto il tappeto. E non ci si fa nemmeno forti del comunicato in cui lo stesso ex Sant’Uffizio sembrava ridimensionare la cosa: primo perché la sua intenzione non era affatto di ridimensionare ma di fermare le sterili polemiche, secondo perché un comunicato stampa non è dottrina. Ripeto: un comunicato stampa non è dottrina! Il magistero non si fa coi twitter.

Chi pensa di poter raggirare “Fiducia Supplicans” (per esempio proponendo benedizioni serali di dieci secondi in casa parrocchiale) o contestarla radicalmente (per esempio con proclami come quelli polacchi) e contemporaneamente conservare la propria cattedra di vescovo, sbaglia di grosso. Potrà fare le sue osservazioni, le sue controdeduzioni ma, per favore, non si arroghi il diritto di non applicarla. Nella Chiesa, non funziona così. Altrimenti, cosa avremmo dovuto fare noi quando, a suo tempo, Ratzinger approvò quella famigerata “lettera ai vescovi sulla cura pastorale delle persone omosessuali”? Stracciare i nostri atti di cresima e fondare una nostra Chiesa?

Il dibattito nella Chiesa c’è sempre stato e fa bene, quando si svolge nelle forme dovute. Per esempio, quando Benedetto XVI promulgò il motu proprio “Summorum Pontificum” in cui estendeva al massimo la facoltà di celebrare la messa “in forma straordinaria” (cioè secondo il rito tridentino), molti fecero rilevare preoccupazioni, pericoli e veri e propri errori. Nel 2021, papa Francesco, constatato che quelle preoccupazioni erano fondate e quei pericoli si stavano verificando, si è mosso nella direzione opposta con un altro motu proprio: “Tradizionis Custodes”. Ciò è stato possibile proprio grazie a un dibattito vivo. Ma nessuno di coloro che criticavano Benedetto XVI si è mai sognato di minacciare scismi o di gridare all’eresia.

Ora, con “Fiducia Supplicans”, i vescovi italiani dovrebbero fare la stessa cosa: promuovere una discussione franca ma serena in spirito di comunione, favorendone il più possibile la conoscenza tra i fedeli e la solerte recezione. Se non lo fanno, andrà a finire che qualcuno sospetterà che ci sia del marcio.

E basta vedere chi sono i capi-bastone della critica più efferata, per capire che il marcio, molto probabilmente, c’è proprio. Abbiamo il solito Burke, quello a cui il Papa ha appena tagliato lo stipendio perché andava a spenderlo in iniziative contro la sua persona. Poi c’è il card. Sarah, quello che pubblicava propri libri contro Bergoglio spacciandoli per scritti di Benedetto XVI. Segue Viganò, che ha approfittato dell’occasione per andarsene con gli ex-lefebvriani, cioè con quelli che superarono Lefebvre da destra (come se fosse possibile). E dietro c’è la schiera dei quarantaquattro gatti che non vedevano l’ora di andarsene passando per più cattolici dei cattolici.

Se questi soggetti fossero animati da un banale sacro fuoco per la tradizione, non ci sarebbe molto da temere. Il problema nasce quando si osservano le alleanze che stringono a livello politico ed economico: le destre statunitensi (alla vigilia delle primarie) e quelle europee, gli “oligarchi” russi, i piccoli dittatori africani (nemmeno cristiani, a essere precisi).

Far passare sotto silenzio “Fiducia Supplicans” non sarebbe una novità. Lo stesso è stato fatto con la “Laudato Si’” (mi si trovi un vescovo di allora, a parte Zuppi, che abbia fatto qualcosa di concreto per attuarla) e con “Fratelli tutti”, che abbiamo conosciuto più dai media che attraverso i nostri preti. Ma sarebbe un errore, grossolano e controproducente. Finirebbe per lasciarci credere che i vescovi italiani, in fondo in fondo, stanno dalla parte non dell’Africa ma di un monsignore anti-bergogliano, anti-Covid, antivaccinista, anti-tutto: Carlo Maria Viganò. E quanto bisogna che sia sporca la coscienza la coscienza di un vescovo, perché accetti di essere tenuto in ostaggio da personaggi del genere?

                Riflessioni di Massimo Battaglio  progetto Gionata         25 gennaio 2024

www.gionata.org/i-vescovi-italiani-e-le-paure-sulla-fiducia-supplicans

CITTÀ DEL VATICANO

Il coraggio della parresìa per “smaschilizzare” la Chiesa. Un evento che diventa un libro

uscito dalle edizioni Paoline (L. Vantini – L. Castiglioni – L. Pocher, “Smaschilizzare la Chiesa”? Confronto critico sui “principi” di H.U. von Balthasar, 2024) sia la registrazione pubblica e oggettiva di un evento ecclesiale, avvenuto il 4 dicembre 2023, quando, su invito di papa Francesco due teologhe e un teologo sono stati invitati ad offrire una riflessione, al Papa e al suo Consiglio di Cardinali, intorno alla presenza e al ruolo delle donne nella Chiesa. Ma c’è di più: la domanda venuta dal papa non mirava ad un generico approfondimento, ma a tematizzare      Nel libro il papa ha scritto anche due pagine di Prefazione, che mostrano bene due priorità: l’esigenza di “ascoltarsi reciprocamente”, per “smaschilizzare la Chiesa” (il titolo del libro riprende precisamente questo tipico neologismo del papa); l’esigenza di comprendere la differenza tra uomini e donne, lasciando il punto di arrivo “nelle mani di Dio”.

esplicitamente (e criticamente) la teoria del “principio mariano” di H. U. von Balthasar, *1905-+1988

di cui il magistero degli ultimi decenni ha fatto un uso piuttosto intenso e piuttosto acritico. I tre invitati hanno fatto il loro mestiere e hanno mostrato, in modo differenziato, quanto critico debba essere il confronto.

Ora, mentre i due interventi di Castiglioni e di Pocher si concentrano soprattutto su una analisi della identità presbiterale in una nuova comprensione e su una rilettura rinnovata dalla figura di Maria in alcuni passi della Scrittura, vorrei qui esaminare soltanto il primo testo, quello di Lucia Vantini,*1972  che, per così dire, “prende il toro per le corna” e mostra la fragilità teoretica e pratica della dialettica tra “principio mariano” e “principio petrino”, così come concepita da H.U. von Balthasar e come poi utilizzata da parte del magistero ecclesiale. Va detto che nel suo testo Vantini [presidente del collegamento teologhe italiane dal 2021] segnala di proporre una riflessione che si appoggia su un lavoro ormai ventennale, in cui molte teologhe italiane e straniere hanno mostrato, con finezza argomentativa, la fragilità carica di pregiudizi con cui la teoria dei “principi” è stata prima concepita e poi utilizzata. Anche su questo blog Marinella Perroni ha già presentato, sinteticamente, il cuore delle profonde riserve sul piano esegetico e sistematico rispetto a questa teoria ( il testo si può leggere qui).

www.cittadellaeditrice.com/munera/sulla-formula-principio-marianoprincipio-petrino-m-perroni

Ma esaminiamo meglio i tre passi fondamentali che Lucia Vantini ha compiuto davanti al Consiglio dei Cardinali.

                a) Il principio, le sofferenze e le insofferenze. Il principio mariano-petrino, per chi lavora in una ricerca di genere, provoca sofferenze e insofferenze. Questo evidentemente vale anzitutto per le teologhe, che sentono, sul loro corpo, la sofferenza e la insofferenza verso un modo di impostare la comprensione della differenza che mortifica una parte. Dice Vantini, rivolgendosi a Papa e Cardinali: “Il mio desiderio è quello di creare un passaggio tra noi affinché, come uomini che hanno un ruolo ministeriale ordinato, possiate accedere a quel mondo femminile che si trova a disagio con questo principio di Balthasar, un mondo femminile tanto esaltato quanto incompreso, misconosciuto, inascoltato, sottovalutato, deriso e demonizzato” (15).

                Dopo aver citato due interventi pubblici di papa Francesco, nei quali invitava appunto ad esprimere le sofferenze e a manifestare le insofferenze, Vantini precisa come il “conflitto di interpretazioni” non sia da intendersi come quello di schieramenti contrapposti, ma come ricostruzione, dialogica, di una complessità non riducibile, rispettosa, non escludente, in vista di una crescita di tutti e per conseguire un livello più alto di esperienza comune.

b) Una mistica dello stereotipo e della sottrazione. Molto opportuno e singolarmente efficace è l’attacco del secondo paragrafo, dove Vantini inizia da una utile definizione del “principio”, sulla scia degli studi di M. Perroni: “Il principio mariano-petrino […] funziona perché promette di semplificare quella complessità che ci terrorizza, di riportare le differenze all’unità voluta dal soggetto più forte e di ordinarle con precise polarità gerarchizzate, perché consente a qualche nostalgico di riproporre in modo elegante quell’orizzonte patriarcale e fratriarcale entrato oggi in crisi, ma non del tutto estinto né sostituito da un sistema simbolico alternativo” (18)

                La teologia “di genere” ha smascherato il “gioco truccato” che si nasconde dietro il tono sommo-sacerdotale di von Balthasar. “il principio mariano-petrino cancella o neutralizza le donne attraverso definizioni buone e immagini esaltanti” (18). E qui, di nuovo, è molto fine il rimando tra la “condizione femminile” e la “condizione papale”: Vantini ricorda la affermazione di una delle prime interviste di papa Francesco (“Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è una aggressione”). Come il papa temeva, in quella intervista, che la “idealizzazione del papa” fosse sotto sotto una forma di violenza esercitata sulla sua libertà storica, analogicamente questo vale per le donne di fronte al principio mariano: “Francesco usò una logica simile a quella delle donne stanche di essere descritte alla luce del modello mariano o del genio femminile, sentendosi forse come loro, inchiodato in uno spazio di perfezione che paralizza e condanna all’impossibilità di essere ciò che si è, con i pregi e i limiti della propria singolarità” (19)

Qui mi pare molto ispirata e sorprendente la sovrapposizione tra due diverse idealizzazioni, che esercitano violenza sulle donne e sul papato: forse proprio qui vale la complessità delle figure bibliche, in cui Maria è anche emblema dell’essere “sotto la legge” e in cui Pietro è anche ferito dalla sua debolezza e sa piangere amaramente.

c) Forzature del femminile e del maschile. Siamo di fronte ad una “formula vuota con tristi e ingiusti effetti collaterali” (19). Ciò che le donne, con il loro studio hanno mostrato, può essere così sintetizzato: “La promessa veicolata sembra positiva: un mondo in cui donne e uomini possono avere il giusto spazio senza entrare in competizione o pestarsi i piedi, e vivano in una buona alleanza per la cura del mondo. Il dispositivo, però, è strutturalmente fragile, perché mira a ottenere tutto questo integrando il femminile come ‘forza di ispirazione’ di un mondo che resta maschile. Noi donne non siamo nella Chiesa come Beatrice per Dante” (19-20).

                Questo smascheramento del dispositivo idealizzante che scatta nell’uso del duplice principio permette di leggere con nuova lungimiranza sia la Chiesa-sposa, come metafora da applicarsi ad ogni vita credente e da non chiudere in un automatismo di ruoli che la stravolge. La “ricettività” alla grazia è trasversale, è di tutta la chiesa, di tutti i “nati da donna”, uomini e donne. Per questo la problematicità dei due principi investe non solo il femminile, ma anche il maschile: “Il principio di Balthasar è problematico non solo perché interpreta l’elemento mariano-femminile come affettivo e carismatico, ma anche perché interpreta quello petrino-maschile come

                Un effetto non controllato (ma forse voluto inconsciamente) è quello di avvalorare “un immaginario della differenza che confina le donne in retroscena e gli uomini a gestire, da soli, o al massimo con una moderazione femminile implicita, il governo delle cose” (28).

Le ragioni della differenza non sono gerarchiche: qui sta il punto decisivo per impostare correttamente la “partecipazione femminile” alla vita della Chiesa e per rimuovere gli impedimenti teorici e pratici di tutti quelli che si paralizzano solo a sentirne parlare.

d) Dal complesso al costretto: andata e ritorno, “Periculum latet in generalibus”. Come bene sottolinea anche Castiglioni, nel secondo testo, e Pocher, nel terzo, una trattazione della “donna” o di “Maria” che avvenga “in generale”, che trasformi la donna e Maria in un “principio”, passa facilmente dalla complessità delle donne e delle attestazioni su Maria, ad una idealizzazione che genera una “costrizione” e una “chiusura”.

                Così si deve precisare lo scopo di questa “critica dei principi”: “Decostruire il principio mariano-petrino non conduce alla negazione della differenza sessuale come tratto di parzialità e finitezza che segna ogni vita. Il gesto, piuttosto, la rende libera di significare senza cadere in formule gerarchiche antievangeliche” (28)

                Si dischiude così l’orizzonte paolino di Galati 3,28, in cui le differenze etniche, sociali e sessuali non possono essere motivo di vanto o di umiliazione delle vite: questo richiamo prepara una conclusione sul piano della coscienza storica e della custodia della complessità, in cui differenza ed eguaglianza trovino il loro equilibrio, tra dignità e onore. E giustamente, in chiusura, Vantini ricorda una frase profetica di Carlo Molari: “Ci sono qualità umane che secoli fa non erano necessarie, o erano impossibili da sviluppare o erano addirittura vietate” (citato a p.31).

Uscire dalla idealizzazione mistica del femminile, per scoprire le donne reali, è un modo, forse l’unico modo, per accettare e valorizzare quell’evento che Giovanni XXIII ha riconosciuto limpidamente nella sua ultima Enciclica, “Pacem in terris”: l’entrata nello spazio pubblico della donna. Questo evento culturale e sociale è un evento spirituale che non solo non è estraneo alla vita ecclesiale, ma che viene oggi riconosciuto come uno dei terreni su cui è più urgente per la chiesa uscire da sé: verso una chiesa in uscita anzitutto dai propri pregiudizi.

                Aver potuto e saputo dire tutto questo davanti al Papa e al Consiglio dei Cardinali è un segno dei tempi: della limpida maturità di una teologia di genere e della parresìa di cui sente l’urgenza non solo chi ha il coraggio di esercitare la critica apertis verbis, ma anche chi ha il coraggio di subirla, di accoglierla e di meditarla. Questo dialogo tra donne coraggiose nel parlare e uomini coraggiosi nell’ascoltare fa bene al cuore.

Andrea Grillo    blog: Come se non  1° febbraio 2024

Commento di Marinella Perroni.  Puoi ben immaginare, Andrea, quale gioia mi abbia dato ricevere in regalo da Lucia Vantini questo piccolo libro. Piccolo, ma potente, come Davide di fronte a Golia. È vero, sono anni che insisto – che insistiamo in molte, in realtà – perché il Magistero pontificio esca da questo cul de sac in cui si è cacciato con la ripresa, monotona e soprattutto acritica, del doppio principio balthasariano. Mai avrei creduto che un giorno una di noi, bravissima ma anche rappresentativa in quanto presidente del Coordinamento teologhe italiane, sarebbe stata convocata “al vertice” per spiegare perché da molti anni ormai teologhe di tutto il mondo abbiano chiesto di liberare l’ecclesiologia magisteriale da questo binarismo che la ingabbia. Invece è successo, e il saggio di Vantini, in modo pacato ma inesorabile, rende ragione di anni e anni di riflessione critica e di dibattiti.

Aggiungo solo una notazione strettamente personale: mi dispiace che non ci sia più tra noi padre Silvano Maggiani, Servo di Maria, che ci ha lasciato ormai da quattro anni. È stato lui, ben venti anni fa, a propormi di affrontare criticamente il problema del doppio principio in vista di un convegno delle Associazioni teologiche italiane. È stato lui a chiedermi di presentarlo poco dopo come quaestio disputanda su Marianum ed è stato sempre lui a inviarne copia a papa Francesco dato che, poco dopo l’elezione, si era allineato ai suoi predecessori presentando il principio mariano-petrino di Hans Urs von Balthasar come la regola aurea di un’ecclesiologia a suo avviso rispettosa della differenza sessuale.

 Dedico allora a padre Silvano questa breccia che si è aperta e attraverso la quale potranno finalmente circolare riflessioni e dibattiti, prospettive e aspettative. Perché la nostra chiesa sia sempre più una comunità di uomini e di donne “nel Signore”.

www.cittadellaeditrice.com/munera/il-coraggio-della-parresia-per-smaschilizzare-la-chiesa-un-evento-che-diventa-un-libro

La tradizione e i “metodi immorali” per custodirla.

La Nota “Gestis Verbisque” e i compiti del Dicastero per la fede

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2024/02/03/0115/00224.html

Nel luglio scorso, al momento in cui veniva nominato il nuovo Prefetto, papa Francesco scriveva una lettera di accompagnamento alla nomina, che illustrava una ricomprensione importante della funzione del Dicastero. Tra le altre cose scriveva quanto segue: “Il Dipartimento che presiederai in altri tempi è arrivato ad usare metodi immorali. Erano tempi in cui, più che promuovere la conoscenza teologica, si perseguitavano eventuali errori dottrinali. Quello che mi aspetto da te è senza dubbio qualcosa di molto diverso.

                …ti chiedo come Prefetto di dedicare più direttamente il tuo personale impegno allo scopo principale del Dicastero che è “custodire la fede”. Per non limitare il senso di questo compito, bisogna aggiungere che si tratta di “accrescere l’intelligenza e la trasmissione della fede a servizio dell’evangelizzazione, perché la sua luce sia criterio per comprendere il senso dell’esistenza, specialmente di fronte alle questioni poste dal progresso della scienza e dallo sviluppo della società”. Questi temi, accolti in un rinnovato annuncio del messaggio evangelico, «divengono strumenti di evangelizzazione», perché permettono di entrare in dialogo con «l’attuale contesto in quanto inedito nella storia dell’umanità».

Abbiamo bisogno di un pensiero che sappia presentare in modo convincente un Dio che ama, che perdona, che salva, che libera, che promuove le persone e le chiama al servizio fraterno.[…]

                Nell’orizzonte di questa ricchezza, il tuo compito implica anche una cura speciale per verificare che i documenti del Dicastero stesso e di altri abbiano un adeguato supporto teologico, siano coerenti con il ricco humus del perenne magistero della Chiesa, e al tempo stesso accolgano il Magistero recente.

Di fronte a queste parole dobbiamo riconoscere, in modo molto oggettivo, che Gestis verbisque si colloca proprio su quel versante di “presa di parola” che possiamo chiamare, in senso lato, “metodo immorale”. Vorrei provare a spiegare in che senso mi pare necessario parlare di “immoralità del documento”. In che cosa consiste la sua immoralità?

1. Come se il Concilio non ci fosse mai stato

                Il Concilio Vaticano secondo, che è paradossalmente citato nel titolo, ma solo nel titolo del documento, è anzitutto un “evento linguistico”: ci ha insegnato da 60 anni a “parlare diversamente” per dire la medesima tradizione, ma con parole diverse, nuove, fresche, bibliche, patristiche, esperienziali, narrative. Di questo insegnamento, che è diventato patrimonio ecclesiale da ormai tre generazioni, nel testo della Nota non vi è traccia. Si parla come se il Concilio non ci fosse mai stato, se non come documenti da citare senza averli capiti e come se si potesse semplicemente continuare ad interessarsi, curialmente, degli “abusi” su forma, materia e ministro.

  • Nessuno ha mai spiegato ai membri della Plenaria, che sembrano gli estensori del testo, che concentrarsi sugli abusi non garantisce affatto di poter recuperare gli usi?
  • Sono tutti loro così ingenui da pensare che la semplice “sanzione contro gli abusi” garantisca la Chiesa di stare salda e fedele negli usi?
  • Si sono mai chiesti che cosa capita quando un battesimo, perfettamente privo di abusi, del tutto regolare quanto a necessità, possa durare 30 secondi, senza lasciare alcuna traccia di sé né nel bambino né nella chiesa che lo circonda?
  •  Si sono mai chiesti se le quantità richieste di parole e di autorità corrispondono ad una goccia d’acqua, a un cotone inumidito di olio, ad una veste bianca ridotta a bavaglino e ad una candela accesa con l’accendino?

Una fedeltà ecclesiale, che demonizza la creatività su formula e materia, e non vede la domanda di creatività sul resto del linguaggio verbale e su tutti i linguaggi non verbali appare decisamente immorale. Questo lo grideremo dai tetti finché leggeremo documenti così vuoti e che applicano, direi alla perfezione, quel volto “meschino” della Chiesa che Amoris Lætitia fotografa perfettamente al n. 303. È meschino pensare di salvare la tradizione sul piano delle “formule” e della “materie”. Senza tener conto che le formule evolvono e che negli ultimi 100 anni abbiamo conosciuto un cambiamento sia della formula della eucaristia, sia della formula della ordinazione, sia della formula del matrimonio. Quando si ha la memoria corta si fanno diventare grandi le cose piccole e piccole le cose grandi. Questa è la prima immoralità su cui dobbiamo lavorare.

2. Come se la questione fosse il “delitto contro il sacramento”

Il secondo aspetto è interpretare il Dicastero come un “tribunale speciale”. Che lotta contro gli abusi e lo fa mediante la comminazione di “sanzioni”. Ci sono, però, abusi e abusi. E sappiamo bene che il Dicastero ha competenze importanti, appunto come un Tribunale speciale, sugli abusi per i quali c’è maggiore attenzione da parte della opinione pubblica ed ecclesiale. Qui, però, si parla di “abusi contro i sacramenti”. Che è una espressione abbastanza curiosa e sulla quale dovremmo riflettere. Ma un minimo di esperienza dovrebbe consigliare di impostare le questioni, sollevate da fatti recenti, in un modo meno formale e anche meno artificioso. Se accadono comportamenti irregolari, che minano in profondità la autenticità delle pratiche sacramentali (e di questo non c’è ragione di dubitare) la risposta ufficiale deve tener conto non solo della entità del problema, ma anche della gestione delle conseguenze. In altri termini, occorre ri-pensare la descrizione della fattispecie del “reato” e la forma concreta e articolata della “sanzione”. Su questo piano, mi pare, si resta in una condizione pre-moderna sia nel modo di pensare la azione (con le formalità astratte di “formula”, “materia” e “ministro”) sia nel modo di pensare la sanzione, dove i livelli di reazione riguardano o la “invalidità” dell’atto o la “qualifica” del soggetto ministeriale. I soggetti dei sacramenti – che da 60 anni concorrono alla celebrazione – sono trattati come meri “sudditi”, che patiscono le conseguenze degli abusi dei ministri. Focalizzare l’atto soltanto sulle parole formali dette dall’unico ministro sulla materia è la prospettiva limitata e immorale con cui si pensa di affrontare e risolvere il problema. Questa è la seconda immoralità.

3, Come se la “perdita di potere” si trasformasse in un “potere assoluto”

Il documento insiste, dall’inizio alla fine, con un “luogo comune” che negli ultimi decenni è stato usato fino alla nausea. Ossia che il Dicastero, proprio per evitare che qualcuno possa “manipolare” il sacramento, deve essere inflessibile sui suoi profili “oggettivi”: ossia sulla formula, sulla materia e sul ministro. In questo modo tutto questo intervento disciplinare vorrebbe farci credere che è soltanto al servizio della “ars celebrandi” (espressione che si usa del tutto fuori contesto e con una dose notevole di spudoratezza), addirittura per la maturazione di una visione equilibrata del sacramento. In realtà, irrigidendo il sacramento nel suo profilo formale-oggettivo, se ne snatura la realtà, trattandolo come se si trattasse di un “negozio giuridico”. La perdita di potere, che ogni sacramento dovrebbe realizzare, si affida soltanto alla “letteralità della formula e della materia”, trascurando totalmente tutto il resto del linguaggio verbale e tutti i linguaggi non verbali. Come può la Nota non notare che, con questo modo di parlare, fa credere, erroneamente, che il sacramento consista essenzialmente nella ripetizione di una formula sulla materia da parte del ministro? Come può non notare che questo “potere” non si può più descrivere in questo modo feudale?

Forse gioverebbe ai membri del Dicastero soffermarsi sulle vicende che i sacramenti hanno incontrato nell’ultimo secolo. Due grandi teologi come Guardini e Jungmann hanno parlato di “forma fondamentale” per comprendere l’eucaristia, e i nostri signori cardinali si trastullano con le questioni intorno alla “formula”? Siamo sicuri che la “formula” tradotta dal latino nelle lingue parlate, sia ancora la stessa formula? Siamo sicuri che nel matrimonio la formula sia davvero la espressione del consenso e non sia in rapporto con la preghiera di benedizione? Siamo sicuri che la “formula di assoluzione” possa scavalcare la mancanza di materia nella assenza di atti del penitente? Questi sono i veri problemi. Dedicare una lunga Nota ad una questione secondaria e non parlare per nulla delle questioni più importanti mi pare immorale. Posso dirlo? Ormai l’ho detto. Dove ci sono comportamenti illeciti, si deve provvedere. Ma la impalcatura sistematica e il tenore linguistico con cui si provvede, più che un rimedio all’abuso, a me pare un abuso peggiore. A meno che non vogliamo suggerire che la Lettera al Prefetto di papa Francesco, con le belle prospettive che apre, sia ritenuta uno di quei “problemi” che le burocrazie sanno sempre come risolvere: lasciandola invecchiare nel fondo di un cassetto, come ogni altra “difficoltà” finirà per risolversi da sé.

Andrea Grillo            blog: Come se non  4 febbraio 2024

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DALLA NAVATA

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B

Giobbe                                                  07,01. Giobbe parlò e disse: «L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario?

Salmo                                                  146.06. Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi

Paolo a 1Corinzi                                09,18. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo

Marco                                                    01. 38. Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».

Una casa, una strada

In questo brano del Vangelo Marco descrive una giornata «tipo» di Gesù durante il suo ministero messianico in Galilea. La sua base è la casa di Pietro a Cafarnao, dove probabilmente l’apostolo viveva insieme alla moglie, al fratello Andrea e alla suocera. È evidente che si trattava di una casa grande, in grado di ospitare una famiglia già numerosa (non sappiamo se anche Andrea fosse sposato o meno) e in più anche Gesù. Non si sa se anche Giacomo e Giovanni pernottassero lì o se la loro casa fosse nelle vicinanze, dato che – come ci informa Luca – «erano soci di Simone», e quindi non dovevano abitare molto distante dalla sua casa.

                La giornata, o meglio la settimana, inizia dopo lo shabbat [festività del sabato]: Gesù, insieme ai suoi, è di ritorno dalla preghiera in sinagoga, ed è solo dopo il tramonto del sole, ovvero alla fine dello shabbat, che le persone si raccolgono davanti alla porta di casa per chiedere a Gesù di «guarire i malati e scacciare i demoni».

                Prima dell’alba, poi, Gesù è già in piedi, esce di casa e si ritira in un luogo appartato a pregare; non sappiamo come fosse la sua preghiera, ma il versetto del Sal 119,147 può essergli risuonato nella mente e nel cuore: «Precedo l’aurora e grido aiuto, spero nelle tue parole». Un po’ più lenti al risveglio sono i suoi discepoli, che lo raggiungono più tardi per informarlo che già tutti lo stanno cercando, probabilmente con la richiesta di guarire altri malati o di scacciare altri demoni. E qui bisogna notare la decisione che Gesù prende: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».

                La casa di Pietro poteva essere una buona opportunità per creare lì una sua scuola, impartire il suo insegnamento e operare guarigioni; la notizia si sarebbe sparsa ben presto tra i villaggi intorno al lago e la gente si sarebbe mossa per venire da lui. Gesù invece decide di muoversi lui, di svolgere un ministero itinerante, di andare lui verso la gente, negli altri villaggi. Una scelta particolare e allo stesso tempo ricca di significato: Gesù è il Messia, l’unto del Signore, «colui che deve venire» (Mt 11,3; Lc 7,19), e la sua venuta si manifesta proprio nel suo «andare» come espressione del fatto che non è l’uomo che va in cerca di Dio, ma è Dio che va alla ricerca dell’uomo.

Inizia così l’itinerario messianico di Gesù per i villaggi della Galilea, caratterizzato, secondo quanto scrive Marco, da due principali azioni: predicare nelle sinagoghe e scacciare i demoni. La prima cosa è dunque la visita nella sinagoga, un luogo di incontro, di condivisione, ma soprattutto un luogo di ascolto e di studio delle Scritture di Israele, della parola di Dio. Il Messia, come Gesù stesso dirà, non aggiunge o toglie nulla alla Scrittura – «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Torah o i Profeti» –. La sua missione consiste nel «compiere» la Scrittura: «Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17).

Ora la questione è come intendere questo «compiere» la Scrittura. Diverse sono le ipotesi di interpretazione, ma una cosa è certa: Gesù non si sostituisce alle Scritture di Israele, la cui validità rimane per sempre, né apporta un «qualcosa in più» o di «diverso»; indica, casomai, il modo di viverle in pienezza, di «compierle» nella propria vita e nella propria carne fino alla fine.

Ed è questo il senso della preghiera fondamentale di Israele, lo «Shemà Israel/Ascolta Israele»: ascoltare e amare il Signore con tutto il cuore, ovvero con tutta la volontà e l’intelletto, con tutte le proprie forze (che significa anche con tutte le proprie sostanze) e con tutta l’anima, ovvero con tutta la vita, fino alla fine.

E se la Parola è al primo posto nell’azione messianica di Gesù, ecco, di conseguenza, la lotta contro tutto ciò che si oppone alla forza viva della Parola: «i demoni». Anche qui forse è il caso di fermarsi a riflettere su questa espressione. Chi sono o che cosa sono questi demoni? Molte possono essere le risposte, secondo anche la sensibilità o la propensione verso la ricerca dell’occulto e dell’ignoto ma, come si è già detto nel commento di domenica scorsa, con questo termine «demoni» possiamo intendere tutto ciò che si oppone alla vita, al bene, alla comunione: qualsiasi «spirito» che produce divisione, violenta opposizione, incita alla violenza, all’odio, alla sopraffazione dell’altro, che separa, allontana, e che, in definitiva, genera morte.

                Gesù ha il potere di sconfiggere tali «forze», e di farlo «per sempre», ma tale vittoria non apparirà trionfante o eclatante; si manifesterà invece in un’umana sconfitta, abbandonato dai suoi, sul legno di una croce e, non dimentichiamolo mai, in una pietra scoperchiata e in un sepolcro vuoto.

Ester Abbattista, Biblista

ETICA

Pastorale e prassi morale. Una chance per l’etica teologica

Il vescovo statunitense Robert Barron *1959,    fondatore di «Word on fire», organizzazione la cui finalità è di annunciare Cristo in dialogo con la cultura, in un suo resoconto relativo all’ultima esperienza assembleare sinodale tenutasi a Roma così si esprime: «Un punto finale – e qui mi trovo francamente in disaccordo con la Relazione di sintesi – ha a che fare con lo sviluppo dell’insegnamento morale relativo al sesso. Si suggerisce che gli avanzamenti compiuti nella nostra comprensione scientifica richiederanno un ripensamento del nostro insegnamento sulla sessualità, le cui categorie a quanto pare sono inadeguate a descrivere la complessità della sessualità umana (…) Ma il problema più profondo che ho è che questo modo di argomentare si basa su un errore di categoria, ovvero che i progressi delle scienze, in quanto tali, richiedano un’evoluzione dell’insegnamento morale».

Un’idea di ordine nelle concezioni morali. Secondo l’alto prelato bisogna resistere alla tentazione di confondere l’oggettivo progresso scientifico, insieme a tutte le sue nuove acquisizioni, con una paritetica evoluzione dell’insegnamento morale. L’applicazione al mondo omosessuale e LGBT è esemplare in questa raccomandazione di metodo per porre la domanda: tutte le nuove informazioni sull’eziologia e sugli aspetti dell’universo della sessualità umana, ora forniteci dalla biologia evolutiva, dalla chimica, dall’antropologia culturale, ci potranno mai dire qualcosa sulla giustezza degli atti compiuti?

Una concezione di morale nell’ordine delle idee. La domanda è pertinente, ma non basta dire questo per capirne la pertinenza. Quest’ultima, se vogliamo istruire un discorso da moralisti (teologi o filosofi non importa prima facie), necessita di porre una domanda previa: pertinente rispetto a cosa?

Rispetto a un «insegnamento morale» che si regge su un giudizio morale la cui pista etico-normativa è data per assodata e scontatamente non rivisitabile, oppure rispetto alla natura «morale» di un giudizio le cui piste etico-normative possono essere diverse nel metodo di individuazione e formulazione dello stesso giudizio su cui poter istruire un «insegnamento morale»?

                Il fulcro della pertinenza su cui voglio attirare l’attenzione è il modo di intendere la «norma morale»: se il suo concetto non è solo morale, ma a questo si aggiunge quello canonico-disciplinare e dottrinale, la norma risulta molto spesso senza eccezioni e, a fronte di ciò, tutti i tentativi di introdurre delle novità vengono concepite come un’eccezione.

Se, invece, ci si concentrasse sulla sola «natura morale» di una norma, si scorgerebbe che la cifra della stessa è la sua storicità, implicata nella stessa storicità dei problemi che via via vanno emergendo.

Questi ultimi non si risolvono secondo la logica dell’eccezione rispetto alla norma universalmente valida, o alla norma che valuta aprioristicamente l’azione a prescindere dalle sue conseguenze, bensì, considerata la cifra della storicità, sostenendo che se un caso presenta conflitto, il problema va sempre analizzato e risolto in base ai valori o disvalori (non morali) che l’azione produce. Proprio perché la situazione di conflitto rende impossibile la realizzazione di tutti i valori che moralmente essa deve realizzare, bisogna guardare a quei valori che l’azione può realizzare, confrontarli con quelli che non realizza e giudicare se vale più dal punto di vista morale (solo questo ci interessa) realizzare i primi e non i secondi, realizzare quelli a scapito di questi o non realizzare né gli uni né gli altri.

Norma e magistero: disinnescare e dialogare. Insomma, il «discrimen» tra le due pertinenze suddette è prendere o non prendere sul serio che una norma morale incondizionata ha una forma proposizionale puntellata da preposizioni condizionali (tranne che…, quando…, se…), così che l’esigenza morale in essa contenuta e difesa non è ristretta a posteriori, bensì «di-spiegata» nella sua originaria sostanza. Ciò vuol dire che o si parte dal presupposto che la norma non ha eccezioni solo nel senso che nella sua natura è formulata già per aderire a quel tipo di contesto, oppure continueremo a teorizzare ora dei «limbi morali» rispetto all’insegnamento morale (nella migliore delle ipotesi), ora a contenere degli scontri aperti con il magistero (nella peggiore delle ipotesi).

                In entrambe le ipotesi non si fa quello che si dovrebbe fare: riformulare meglio, rifondando le norme sulla base di una critica equilibrata e convincente rispetto a quelle argomentazioni che sembrano non convincere più il popolo di Dio, il quale non comprendendone più il senso vive una divaricazione tra dottrina e prassi morale.

I teologi moralisti hanno questo compito: offrire una fondazione e riformulazione critica e convincente delle norme morali, animando il dibattito pubblico non solo ad intra ma anche ad extra, non solo tra i credenti ma anche tra credenti e non credenti.

Il cambiamento d’epoca dentro questa epoca di cambiamenti, verso cui il papa ci spinge a guardare, è una chance per riformulare un’etica normativa che faccia bene il suo compito: aiutare il magistero ad aiutare i credenti (anche come cittadini) nei conflitti morali. Al netto di questa impresa, i teologi che si occupano di questioni etiche non sono quelli che stanno o in linea o non in linea con il magistero, ma quelli che praticano le argomentazioni del ragionamento etico-normativo. Seguire le linee del ragionamento etico-normativo, infatti, implica il non avere come unico dirimpettaio il magistero, bensì avere tutti quelli che con loro vogliono dialogare, compreso il magistero.

Una macroscopica differenza tra il ministero del magistero e il ministero dei teologi! Il primo per lo più improntato sul versante parenetico-pastorale, il secondo sul versante della riflessione etica critica, stimolante, rigorosa e convincente al servizio della stessa credibilità e significatività dell’insegnamento morale magisteriale.

La distinzione tra azione pastorale e riflessione morale è alla base del dialogo intra-ecclesiale, l’unico presidio per poter successivamente intavolarne uno extra-ecclesiale.

Pietro Cognato*1975,             “Il Regno”23 gennaio 2024

 insegna Teologia morale e bioetica presso la Facoltà teologica di Sicilia e l’Istituto di studi bioetici S. Privitera. Tra le sue opere Fede e morale tra tradizione e innovazione. Il rinnovamento della teologia morale (2012); Etica teologica. Persone e problemi morali nella cultura contemporanea (2015). Morale autonoma in contesto cristiano (2021). Ha curato inoltre diverse voci del Nuovo dizionario di teologia morale (2019).

www.ilregno.it/blog/pastorale-e-prassi-morale-una-chance-per-letica-teologica-pietro-cognato

SI

PASTORALE

Quali sono le nuove prospettive per i nuclei familiari?

 Lo psicologo don Simone Bruno lo racconta in un libro: dove c’è relazione c’è comunque speranza

  Don Simone Bruno, sacerdote, giornalista, psicologo-psicoterapeuta, direttore editoriale di San Paolo Edizioni e direttore di testata de “Il Giornalino”, è certamente una persona coraggiosa. Nel suo ultimo libro Siamo sempre una famiglia? (San Paolo, 79 pagg,) da oggi in libreria, non si limita a parlare genericamente dei tanti e complessi problemi che le famiglie sono chiamate oggi ad affrontare, ma si inoltra a considerare le diverse tipologie familiari – convivenze, famiglie allargate, ricostituite, omosessuali – con uno sguardo segnato da realismo e serenità. Nessun tono giudicante, ma neppure facili assoluzioni. Su ogni questione, con l’essenzialità che denota lo stile divulgativo del volumetto, la proposta di una riflessione non scontata, che scombina i piani e quindi costringe a pensare. L’approccio è dialogico, attento a mettere in fila i problemi senza emettere sentenze preventive.

Un discorso per esempio per coppie di fatto e convivenze. Una certa vulgata diffusa purtroppo anche negli ambienti cattolici, ha spesso bollato i conviventi come adulti incapaci di compiere scelte definitive e feconde. Due eterni adolescenti immaturi e colpevoli, soprattutto per il fatto di “privare l’eventuale prole di uno stabile contesto di affetti e di un’alleanza educativa solida ed efficace”. Ma oggi, si chiede don Bruno, è giusto pensare ancora così? Come parlare di disobbedienza alla tradizione di fronte a condizioni materiali che non favoriscono l’organizzazione di una vita matrimoniale stabile? Oppure di fronte alle domande di coloro che, con una scarsa propensione al rischio ma forse anche con obiettività, riconoscono la propria insicurezza affettiva? “Entrambi i fattori – riconosce l’esperto – sono espressione della società in cui viviamo, segnata da precarietà lavorativa, crisi ricorrenti, insicurezza materiale e motivazionale, timori per il futuro, ecc”. Di fronte a queste situazioni obiettive la scelta della convivenza “è oggi per i cristiani più un percorso da comprendere e accompagnare che una “ribellione” da contenere o una “deviazione” da condannare”.

D’altra parte, nelle parrocchie non è una sorpresa vedere che tra coloro che partecipano ai percorsi di preparazione al matrimonio almeno 8 coppie su 10 sono già conviventi e, in non pochi casi, anche genitori. Significa che la volontà di crescere nell’amore – secondo quel principio di gradualità che anche papa Francesco approfondisce in Amoris laetitia non è preclusa a chi decide di cominciare la propria avventura a due in modo soft. E, spiega ancora don Simone, si tratta anche di una prassi pastorale di buon senso quella di “dare fiducia alla maturazione dei nostri fratelli e sorelle e all’azione dello Spirito”.

Nell’evidenziare come oggi la famiglia non sia un “bene scontato” ma che necessita di un lavoro di accurata comprensione, l’autore affronta anche temi all’apparenza semplici che richiedono profonde riflessioni e che, sotto lo sguardo della visione cristiana e il confronto con l’orizzonte delle istanze attuali, ritrovano uno spazio lucido di analisi: «Questo saggio vuole inserirsi nel dibattito attuale con un’ottica costruttiva e dialogica a partire dalla linea che, con coraggio, sta tracciando papa Francesco, “accoglienza”, “discernimento”, “integrazione” – spiega don Simone Bruno – perché per qualsiasi tipo di situazione, dove c’è una “relazione” autentica, si può e si deve guardare al futuro».

E con lo stesso approccio il sacerdote psicologo affronta il tema delle relazioni omoaffettive, forse il capitolo più problematico del volumetto. Messe da parte le condanne del passato, con accuse di “condizione contro natura” oppure di patologia, don Bruno spiega come sia opportuno avvicinarsi alla questione con una posizione che sia antropologicamente cristiana, “cioè capace di rispettare la persona con il suo unico e intimo orientamento”. Ecco perché le persone omosessuali non possono essere accolte e integrate nella comunità solo come persone singole, incapaci di vivere relazioni di valore. “Al pari della persona eterosessuale – si legge nel breve saggio – la persona omosessuale si innamora, entra in relazione profonda con un’altra persona, stringe legami appaganti, sogna una convivenza dignitosa e capace di assicurare il senso della reciproca appartenenza, della cura per l’altro, della valorizzazione della sua libertà e dei suoi talenti”.

Se tutto questo è vero – come è vero – come valutare la pienezza del rapporto affettivo tra omosessuali e come riconoscere “famiglia” una unione tra queste persone? Don Simone non si nasconde la complessità della questione e non ignora certamente la posizione della Chiesa circa la differenza tra unitività e generatività eterosessuale e omosessuale. D’altra parte, come conciliare posizioni di chiusura con la volontà crescente di battersi contro ogni discriminazione e con la posizione sempre più condivisa di esigere un approccio umano e rispettoso della condizione omosessuale che nessuno “sceglie” ma che, come ormai riconoscono tutti gli esperti più qualificati, fa parte della dimensione profonda e non modificabile della personalità? La risposta di don Bruno si ispira saggiamente all’attesa: “Ci tocca ammettere con onestà – sottolinea – che la questione è oggettivamente delicata e complessa, non riconducibile a una presa di posizione univoca e definitiva. Confidiamo nell’elaborazione di un pensiero teologico e antropologico che sia in grado di rileggere con attenzione i dati della realtà, ricavandone un messaggio di portata umanizzante. In attesa che questo percorso offra seri spunti di riflessione, la Chiesa proseguirà il suo ruolo di madre generosa”.

Nelle pagine del volumetto, tra storie vere e concetti come vulnerabilità, instabilità coniugale e genitorialità fragile – ogni aspetto viene affrontato a partire da un’analisi sociologica e psicologica per poi approdare a tentativi di sintesi – si parla anche delle difficoltà delle famiglie con minori, delle coppie fragili, della necessità di offrire aiuti mirati e specifici alle famiglie in difficoltà. Molto opportuna anche la presa di distanza da tutte le accese diatribe maturate dal 2010 in avanti rispetto alle cosiddette teorie del gender, su cui non viene espressa la solita aprioristica condanna, tipica di coloro che parlano del tema senza conoscerlo. A tal proposito, scrive l’autore, “siamo convinti che la priorità sia da attribuire allo sguardo buono che Dio riserva a tutti”.

Luciano Moia    Avvenire             24 gennaio 2024

www.avvenire.it/famiglia/pagine/fragile-disgregata-ricomposta-eppure-famiglia

SINODO

Cammini sinodali: in ordine e in disordine

Il tema delle benedizioni non ci abbandonerà tanto presto, né potrà essere tanto facilmente ignorato in questo tempo di nuovo ascolto e di nuova preparazione della II sessione dell’Assemblea sinodale della Chiesa universale, che si terrà nel prossimo ottobre. Come abbiamo visto “Fiducia supplicans” pone una questione di metodo (chi inserisce nell’ordine del giorno argomenti precedentemente sottratti alla discussione, ancorché presenti in molte delle sintesi nazionali e regionali) e di contenuto (non si modifica la «dottrina», ma il solo fatto di parlarne apre un tema).

Il dissenso africano e quello tedesco. Inoltre, la differenziazione nell’accettazione di questa prassi pone un tema di pluralità dei vissuti ecclesiali locali che varrebbe la pena approfondire (perché consentire di dissentire all’Africa e non alla Germania?). Anche considerando i toni di alcuni discorsi pubblici.

Mi riferisco in particolare a una pericolosa deriva presente in un audio ampiamente circolato nei social e ora ripreso anche dai media (cf. La Croix 23 gennaio), di un discorso tenuto in pubblico, lo scorso 16 gennaio, dal cardinale arcivescovo di Kinshasa Fridolin Ambongo, presidente del Simposio delle Chiese di Africa e Madagascar nonché consigliere del pontefice nel Consiglio dei cardinali (con buona pace della coraggiosa intervista del card. Turkson alla BBC dello scorso novembre).

Se il card. Ambongo cita Putin. In esso si considera l’accettazione dell’omosessualità, che la benedizione «potrebbe» portare dentro la Chiesa cattolica, un chiaro segno del decadimento culturale della società occidentale che s’accinge a scomparire. Ironizzando su tale scomparsa, il cardinale africano associa il giudizio senz’appello sull’omosessualità al nome di Vladimir Putin.

Le implicazioni di questa esternazione sono gravide di molte conseguenze; non è qui il luogo deputato ad analizzarle ma possiamo elencare, tra le molte: associare Roma al cosiddetto Occidente; risvegliare i fantasmi mai affrontati di colonialismo e decolonialismo; saltare a piè pari ogni considerazione sul rapporto Chiesa e società democratiche; fare di un tema morale e sociale una bandiera – populisticamente – per un rinnovato protagonismo ecclesiastico estremamente divisivo.

Le Chiese locali verso la II sessione sinodale. Ma come si stanno preparando le Chiese locali? C’è chi sta cercando di recuperare la fase d’ascolto che lo scorso anno non ha avuto grande successo, come nel caso degli Stati Uniti (ne scrive Thomas Reese su Religion News Service, 8 gennaio); chi ha appena creato un portale nazionale, come il Portogallo; la Conferenza dei vescovi latini nelle regioni arabe (CELRA) parla (anche) di Sinodo riunendosi a Roma; esponenti della Segreteria generale del Sinodo si recano presso alcune riunioni di Chiese locali (Filippine e, appunto, in Africa).

In Italia, della bufera sulle benedizioni non c’è traccia, almeno a livello ufficiale. Tuttavia dal Comunicato finale del Consiglio permanente della CEI del 22-24 gennaio si ricava l’ordinato e chiaro cronoprogramma con cui s’intende procedere per questo anno pastorale, che deve fare il punto della cosiddetta «fase sapienziale» del Cammino sinodale italiano e deve raccordarsi con quello della Chiesa universale. Il come, evidentemente, lo decideranno le singole diocesi.

La Chiesa italiana è aderente. «I vescovi – recita il comunicato; hanno scelto il tema principale della 79ª Assemblea generale che si terrà dal 20 al 23 maggio 2024: la recezione della fase sapienziale del Cammino sinodale. Sarà l’occasione per accogliere la restituzione proveniente dalle Chiese locali, attraverso il lavoro delle commissioni del Cammino sinodale, avviarsi verso l’ultima fase, quella profetica, ed elaborare il contributo specifico della Conferenza episcopale italiana al Sinodo dei vescovi.

Nel corso dei lavori, è stata messa in evidenza la connessione tra il percorso nazionale e quello universale. La fase sapienziale, infatti, ben si integra con la domanda affidata dal Sinodo dei vescovi: “Come essere Chiesa sinodale in missione?”, in quanto i cinque temi indicati come prioritari nelle Linee guida del 2023 (missione, comunicazione, formazione, corresponsabilità e strutture) sono il frutto del biennio della fase narrativa (2021-2022, 2022-2023), il cui primo anno si è svolto in maniera del tutto aderente al Documento preparatorio del Sinodo».                              www.chiesacattolica.it/sessione-invernale-del-consiglio-permanente-comunicato-finale

Un ordinato cronoprogramma. «Per questo – prosegue il Comunicato – il Consiglio permanente ha stabilito di non aggiungere nuove tracce e nuove domande, ma di proseguire nel percorso di “discernimento” che le Chiese in Italia stanno portando avanti. In quest’ottica, è stato approvato il cronoprogramma che scandirà le tappe fino al 2025. Sono previste, tra l’altro, due Assemblee sinodali – dal 15 al 17 novembre 2024 [prima sarà anche celebrata a Trieste la 50a Settimana sociale dei cattolici italiani su «Al cuore della democrazia»; nda) e dal 31 marzo al 4 aprile 2025 – le cui modalità di lavoro saranno definite nei prossimi mesi. Le proposte e le indicazioni concrete, sia come esortazioni e orientamenti, sia come determinazioni e delibere, verranno trasmesse al Consiglio episcopale permanente e all’Assemblea generale del maggio 2025. Un punto molto importante, è stato sottolineato, sarà la recezione perché dovrà avvenire in forma sinodale con il coinvolgimento di tutte le Chiese locali».

Maria Elisabetta Gandolfi, caporedattrice Attualità per “il Regno”          29 gennaio 2024

Vaticano: la “rivoluzione culturale” secondo Francesco

E se Christoph Théobald * 1946  finisse per renderci ottimisti sull’esito del Sinodo?

Ci sono, per ciascuno di noi, dei libri che fanno epoca, perché ci fanno entrare in un’altra dimensione della riflessione su dei temi che ci interessano. È ciò che mi è appena capitato con «Un nouveau concile qui ne dit pas son nom ?» (“Un nuovo concilio che non viene chiamato concilio”) del teologo gesuita franco-tedesco Christoph Théobald. Il libro documenta il radicamento della sinodalità nella Tradizione della Chiesa. Descrive e argomenta l’ampliamento operato da papa Francesco: dalla collegialità episcopale cara al Vaticano II alla sinodalità dell’insieme del Popolo di Dio, conforme allo spirito del Concilio. Ma soprattutto finisce per convincerci che questa potrebbe essere l’entrata del cattolicesimo in una nuova era “messianica” della sua storia. E che questo fatto evidente finirà per imporsi contro tutte le reticenze, in particolare ecclesiastiche. Da leggere, con urgenza!

Christoph Théobald è uno dei nostri migliori teologi, ha partecipato, come esperto, alla prima Assemblea che si è tenuta a Roma nell’ottobre 2023. L’ha quindi vissuta dall’interno dopo averne osservato e analizzato le fasi preparatorie. Il suo libro ci ricorda i momenti essenziali di questo Sinodo sulla sinodalità: la sua convocazione ufficiale da parte di papa Francesco il 10 ottobre 2021, le diverse tappe: parrocchiali, diocesane, nazionali poi continentali della consultazione preventiva fino allo svolgimento della prima sessione. Sottolinea i tratti più importanti, talora convergenti, talora divergenti, dei diversi testi di sintesi provenienti dalle Chiese di tutti i paesi e continenti, fedelmente assunti nei documenti ufficiali come l’Instrumentum laboris. Ma soprattutto mette la sua

ricca cultura teologica e storica a servizio della contestualizzazione e della messa in prospettiva di questo sinodo. Ed è qui che diventa appassionante.

Il sinodo “nuovo” come attuazione del Concilio Non per caso l’autore apre il primo capitolo ricordando le affermazioni del cardinal Martini, arcivescovo di Milano, oggi scomparso, in occasione del Sinodo sull’Europa del 1999. Evocando nel suo intervento “nodi disciplinari e dottrinali poco evocati in questi giorni…”, aveva espresso pubblicamente la sua convinzione dell’urgenza di un nuovo concilio. Sappiamo che il Vaticano II nacque dalla percezione da parte del papa “buono” Giovanni XXIII della necessità di un “aggiornamento” della Chiesa cattolica per tentare di colmare la distanza che si era creata con il mondo moderno. Nello spirito stesso del Concilio, tale aggiornamento non poteva essere considerato terminato alla chiusura dei lavori. Per questa ragione, Paolo VI, già dal 1965, aveva istituito il Sinodo dei vescovi. Con i limiti che conosciamo e che sono sottolineati – trentacinque anni dopo – dalla proposta di un nuovo Concilio da parte del cardinal Martini. Oggi, riferisce Christophe Théobald, la Commissione teologica internazionale interpreta la sinodalità secondo papa Francesco come un invito a superare la “soglia di una nuova partenza… sulle tracce del Concilio Vaticano II”

In risposta a molte obiezioni formulate da varie parti, soprattutto in ambiente ecclesiastico e riprese da certi fedeli, il libro insiste sull’inserimento della pratica sinodale nella Tradizione. “Fin dagli inizi della Chiesa e delle Assemblee di Gerusalemme, scrive, la via sinodale è la sola che ha sempre permesso di “risolvere i conflitti”. Infatti è stata l’Assemblea di Gerusalemme, con la presenza dei due “pilastri” della Chiesa nascente che erano Pietro e Paolo, a decidere di non imporre la circoncisione ai convertiti venuti dal paganesimo. Si legge negli Atti degli Apostoli: “D’accordo con tutta la Chiesa, gli apostoli e gli anziani decisero allora…” (Atti 15,22). C’è quindi stato un “discernimento” collettivo… di tutta la Chiesa!

Nella fede, il popolo di Dio è infallibile. Christoph Théobald sottolinea che il ritorno a questa pratica originale costituisce l’innovazione più importante introdotta da papa Francesco nel dispositivo più ristretto istituito da Paolo VI. Si passa da una sinodalità riservata ai soli vescovi, nella collegialità, ad una sinodalità dell’insieme del popolo di Dio, come all’origine. E questo tanto nella fase di consultazione iniziale (questionario mondiale) che nel discernimento finale, poiché l’Assemblea è stata allargata a settanta non-vescovi.

Questo “ampliamento”, commenta il teologo, è perfettamente conforme ai testi conciliari, che riconoscevano “l’infallibilità nella fede” dell’insieme dei battezzati (LG 12). Anche se nella Chiesa la decisione finale resta di tipo gerarchico, come, sembra, nell’Assemblea di Gerusalemme.

La sinodalità come maniera di regolare la vita nella Chiesa. Un’altra caratteristica dell’evoluzione introdotta da papa Francesco: passare da un sinodo – che sia diocesano, nazionale, continentale o universale – concepito come “evento” puntuale, convocato di tanto in tanto dall’autorità legittima, alla sinodalità come “processo” abituale di deliberazione e di discernimento nella vita ecclesiale. Il che faceva dire al cardinal Hollerich, segretario generale del Sinodo, in una conferenza del novembre scorso: “La sinodalità comincerà in parrocchia o non sarà

È evidentemente quello il primo luogo in cui, in maniera regolare, i fedeli e il clero possono, in pari dignità battesimale, imparare ad ascoltarsi, fare una rilettura di quanto hanno vissuto, decidere ciò che sarebbe auspicabile per la comunità e discernere tra loro come ognuno, in funzione dei carismi che gli sono riconosciuti, può contribuirvi.

La volontà di partire dalla vita, quindi da realtà culturali diverse, a tutti i livelli: parrocchie, diocesi, chiese per paesi o continenti… non è priva di conseguenze. Apre alla possibilità di risposte diverse secondo i bisogni degli uni e degli altri. Il che sconvolge evidentemente il centralismo romano. Christoph Théobald commenta: “Ciò che è in gioco è la difficile uscita da una uniformizzazione post-gregoriana (a partire dall’XI secolo) e soprattutto ‘coloniale’ della Chiesa latina, e il passaggio alla sua differenziazione geografica e culturale”. Di fatto è la vera posta in gioco di un “sinodo sulla sinodalità”, da cui Francesco si aspetta innanzitutto, più che delle risposte a singole questioni specifiche (celibato presbiterale, posto delle donne nella Chiesa…) che convalidi il principio di una maggiore autonomia delle Chiese particolari per meglio rispondere ai bisogni, e ne precisa le modalità. Per Christoph Théobald non ci sono dubbi: “La sinodalizzazione della Chiesa è una vera ‘rivoluzione culturale’”.

Un sinodo che non cancelli nessuno dei “problemi sensibili” Difficile entrare qui in una presentazione esaustiva dell’opera. Diciamo ancora che Christoph Théobald non tace nessuno degli interrogativi e nessuna delle reticenze suscitate da questo processo, nutrite dal timore, legittimo, di una messa in pericolo dell’Unità della Chiesa, o addirittura dell’integrità del deposito della fede. Ma sottolinea come la coscienza viva di questi “rischi” è presente negli stessi documenti preparatori del sinodo che hanno scelto di non eludere nessuno dei “problemi sensibili”. Comprese le conseguenze di cambiamenti pastorali che possano interrogare i fondamenti della dottrina. Sicuramente, mai l’istituzione stessa si era così apertamente “messa in pericolo” accettando di mettere tutto sul tavolo. Non per rendersi più fragile o per “distruggere la Chiesa” come si sente dire da qualche parte, ma al contrario scommettendo sulla possibilità che, illuminato dallo Spirito Santo, il “popolo di Dio” riunito attorno ai suoi pastori, sappia superare le sue divisioni e trovare delle vie di futuro. “La sinodalità è il cammino che Dio attende dalla Chiesa nel terzo millennio”, diceva già papa Francesco nel 2015 nel suo discorso per i 50 anni dell’istituzione sinodale.

Ovunque nella Chiesa formare alla “conversazione nello Spirito” A questo punto, il modo per superare possibili dissensi e per pervenire ad un consenso, anche provvisorio rispetto alla “lunga marcia” della Chiesa, sta nella “conversazione nello Spirito” come metodo di lavoro. È tale “conversazione nello Spirito” che ha prevalso nelle diverse tappe del processo sinodale. Come a Roma, dove si è visto, per esempio, sedere allo stesso tavolo otto persone (una cinquantina di tavoli): una giovane donna e un cardinale di Curia, con pari tempo di parola. In cui ognuno si esprimeva a turno e poi, in un secondo turno, diceva ciò che aveva trovato di positivo negli interventi degli altri, prima di che si avviasse un dibattito destinato a costruire una posizione comune. In breve: la realizzazione di un processo di conversione personale aperto sulla coscienza comune delle riforme da affrontare. La conta dei voti dell’Assemblea di ottobre indica che la maggior parte dei 273 scrutini sono stati raggiunti con maggioranze superiori al 95% dei partecipanti: cardinali, vescovi e non-vescovi, clero e laici, uomini e donne, venuti dai cinque continenti.

Rimane il fatto che l’esperienza di 370 delegati riuniti a Roma attorno al papa, per quanto ricca, non è immediatamente trasmissibile a 1,3 miliardi di cattolici nel mondo, se loro stessi non fanno l’esperienza di tale “sinodalità”. Da questo deriva l’urgenza parrocchiale sottolineata prima. Tale convinzione porta l’autore a riconoscersi incerto sull’esito finale del Sinodo, tenuto conto delle reticenze incontrate. Eppure la sua convinzione sembra sicura: “Solo prendendo sul serio le resistenze a diversi livelli (…) si può sperare che l’attuale processo sinodale si trasformi in via di pacificazione, se non di riconciliazione e di creatività a servizio della presenza missionaria della Chiesa nelle nostre società e sul nostro pianeta”. E più avanti: “L’attuale processo sinodale ci offre l’occasione inattesa (un kairòs momento giusto e opportuno) di uscire da una ripetizione sterile di queste opposizioni”.

Per un “messianismo cristiano” rinnovato? Ma il libro di Christoph Théobald ci invita ad andare oltre nella riflessione. Per lui, esistono due letture possibili della sinodalità nella Chiesa. “O si inserisce – come una concessione – nella struttura gerarchica della Chiesa, dominante nel secondo millennio della sua storia, o diventa la base di una nuova figura dell’ecclesialità cristiana e cattolica adattata al nostro contesto”. E il contesto è precisamente quello che Francesco descrive come un “Cambiamento d’epoca” di cui il Vaticano II non ha potuto rendersi pienamente conto nella sua attuazione. Per l’incapacità a chiarire o superare la distinzione tra “potere sacro” e “statuto secolare”, incapacità ad aprirsi ad un “messianismo cristiano” di totale alterità nei confronti “dell’altro e di tutti gli altri” diversamente credenti, che siano ebrei, adepti di altre religioni o atei. Se la sinodalità è invito a “camminare insieme” è proprio, in definitiva, all’insieme dell’umanità che si rivolge la proposta, invito fatto a ciascuno, indipendentemente dalle sue convinzioni, di entrare in dialogo, di dedicare tempo all’incontro, all’ascolto e al discernimento a servizio di tutti e del futuro della nostra casa comune: la terra.

Salvo poi, per il cristiano, confessare in cammino Colui che lo fa vivere. Perché è questa la vocazione ultima di una Chiesa di cui nessuno conosce i confini…

Dall’inquietudine alla speranza. Permettetemi qui un ultimo sviluppo personale. Ho ritrovato, con questo libro, l’emozione che mi aveva preso a vent’anni, alla lettura dei primi testi del Concilio (…), come, nell’estate del 2013, alla lettura dell’intervista di papa Francesco alle riviste gesuite . Allora avevo scritto “Come una lettera ricevuta quarantacinque anni dopo”, alludendo alla chiusura di un Concilio di cui, con altri, mi sentivo orfano. Ecco che Christoph Théobald nutre qui la mia certezza che il pontificato di Francesco è da leggere proprio come superamento della visione di lettura “alla lettera” del Vaticano II, e invece come inserimento nella fedeltà del meglio dello Spirito che lo vivificava. Cito questa frase di Ghislain Lafont: “La mia convinzione è che con il Vaticano II abbiamo a che fare non con una nuova riforma ma con una nuova tappa della storia della Chiesa che è cominciata

Coloro che leggono regolarmente il mio blog sanno quanto la mia adesione al processo sinodale avviato da papa Francesco si accompagni fin dall’inizio ad una reale inquietudine. Che riguarda in parte l’incognita sulle proposte che saranno formulate, nell’autunno prossimo, al termine della seconda sessione dell’Assemblea sinodale. Riguarda anche le conclusioni che ne trarrà papa Francesco nella sua esortazione apostolica che avrà, a quel punto, valore magisteriale.

A dire il vero, la mia inquietudine riguarda soprattutto la maniera in cui questo sinodo sarà “ricevuto” nel senso di accettato, compreso e lealmente attuato. Un’inquietudine alimentata dalla poca attenzione percepita tra i nostri vescovi e ancor più in una frangia non trascurabile del clero, spesso giovane, come hanno rilevato molti osservatori, in Francia e in altri paesi. Il paradosso, detto con parole di cui ammetto la soggettività e forse l’ingiustizia, è sentire l’azione profetica di un papa magari frenata da clerici nostalgici di un’altra visione di Chiesa, più tradizionale, vicina ad un cattolicesimo identitario se non semplicemente patrimoniale. Questo presentimento, in me, viene da lontano. Nel 2018 intitolavo un articolo: “Papa Francesco sarà il Gorbaciov della Chiesa cattolica?”, cioè ammirato più all’esterno che ascoltato dai suoi fedeli? L’interrogativo, per me, rimane, tanto sono numerosi coloro che persistono nel ritenere che Francesco non sarà stato che “un brutto momento passeggero” prima di ritrovare la Chiesa “di sempre”, sicura di detenere, essa sola, l’unica Verità. Rispetto ad una successione, che prima o poi arriverà, temo di meno un eventuale ritorno indietro che una disobbedienza generalizzata. Chiedo scusa a coloro che potrebbero sentirsi urtati da questa affermazione.

La mia sensazione – il mio timore – era che la delusione e lo scoraggiamento di alcuni non siano allora proporzionati alla speranza nutrita in loro dal pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Con, come conseguenza, la scelta di prendere, dopo molti altri, la strada di un esilio senza ritorno. Ero a questo punto, ancora otto giorni fa, prima di aprire il libro di Christoph Théobald. Leggendolo, vi ho trovato un tale sollievo, una tale convinzione che la visione di Francesco sia realmente profetica da far entrare il cattolicesimo in un’era nuova, che una certa paura si è dissolta. Perché mi è apparsa quella che potrà essere l’alternativa all’esilio. Quella di comunità credenti che mettono in atto questa ecclesiologia “come dei grandi”, con o senza i loro preti e i loro vescovi, senza chiedere niente a nessuno, ma sperando tutto! “È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova”. (1 Cor 11,19).

René Poujol in “www.renepoujol.fr” 30 gennaio 2024 (traduzione: www.finesettimana.org)

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