newsUCIPEM n. 976 – 20 agosto 2023

newsUCIPEM n. 976 – 20 agosto 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

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Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

02 CHIESA IN ITALIA                            Franco Garelli “Italia: in forte ribasso la pratica religiosa”

04 CITTÀ DEL VATICANO                    Riabilitato il teologo Andrés Torres Queiruga

05 COPPIE DI FATT0                           Esiste un registro per le coppie non sposate?

06  DALLA NAVATA                             XX domenica del tempo ordinario (anno A)

07                                                          La fede di una donna pagana

087 GRAVIDANZA PER ALTRI            Maternità surrogata: perché no

12                                                          Utero in affitto: vietare o regolamentare?

18 PRESENTAZIONE                             Ludwig Monti “Un nuovo modo di conoscere Gesù”

19 RIFLESSIONI                                     Sconfitti ma non falliti

20                                                          La Dormizione e l’Assunzione di Maria. Il dogma che rende sacro il Ferragosto

23 SACERDOTI                                      Celibato dei preti nuove prospettive

24 SINODO                                           La Chiesa alla prova del Sinodo; due sguardi? Il concreto dello Spirito

27                                                          Enzo Bianchi “Una radicale novità nella vita della Chiesa”

28 TESTIMONI                                      Il sorriso della speranza sfida per la politica

29                                                           La lectio magistralis di mons. Bettazzi: «La sfida è annunciare il valore della persona»

31                                                          Tutto il vescovo Bettazzi, dalle Armi alla Zarri attraverso i suoi scritti

36 VERSI CONTRO/VERSI                  Non commettere atti impuri

CHIESA IN ITALIA

Franco Garelli “Italia: in forte ribasso la pratica religiosa”

I dati più recenti (e attendibili) sulla pratica religiosa in Italia riguardano l’anno 2022 (anno perlopiù libero dalle restrizioni del lockdown) e illustrano il seguente scenario: chi partecipa ad un rito religioso almeno una volta alla settimana (per i cattolici, la messa alla domenica) è circa il 19% della popolazione; per contro, sono assai più numerosi quanti in quell’anno non hanno mai frequentato un luogo di culto (31%), se non per eventi particolari, come i riti religiosi di passaggio (battesimi, matrimoni, funerali).

                Messi insieme, i «praticanti assidui» e i «mai praticanti» ammontano al 50% degli italiani, il che significa che l’altra metà della popolazione rientra in quel vasto gruppo di persone che frequenta un luogo di culto in modo discontinuo (circa una volta al mese o più volte l’anno) o occasionale (una tantum), magari nelle grandi festività.

Una lettura dei dati. I dati qui esposti provengono dall’Indagine multiscopo dell’ISTAT (svolta su un campione assai ampio e rappresentativo di popolazione italiana che, tra le varie informazioni, rileva anche la frequenza con cui le persone si recano in chiesa o in un altro luogo di culto. Questi dati sulla pratica religiosa, dunque, non concernono soltanto le chiese e le messe cattoliche; ma, per la particolare configurazione religiosa del nostro paese, nel quale ancor oggi circa il 70% della popolazione dichiara un’appartenenza al cattolicesimo, sono ampiamente applicabili a ciò che succede in campo cattolico.

Alla domanda dell’ISTAT hanno risposto direttamente i soggetti con più di 14 anni, mentre per i minori dal 6 ai 13 anni la risposta è stata fornita dai genitori. Riprendendo l’analisi, si osserva anzitutto che il dato (del 2022) della frequenza settimanale ad un rito religioso comunitario è il più basso che si riscontra nella storia recente del nostro paese. Negli ultimi 20 anni (dal 2001 al 2022), il numero dei «praticanti regolari» si è quasi dimezzato (passando dal 36% al 19%), mentre i «mai praticanti» sono di fatto raddoppiati (dal 16% al 31%). In questo arco di tempo, il trend al ribasso è stato perlopiù progressivo, di anno in anno, ad eccezione di un picco all’ingiù che si è registrato nell’ultimo periodo, che è coinciso con l’esplosione del Covid-19.

In 18 anni (dal 2001 al 2019), i praticanti regolari sono diminuiti di poco meno di un terzo; mentre nel solo triennio (2019-2022) il loro numero è sceso del 25%.

                Per entrambi i periodi (2001-2019 e 2019-2022), la riduzione della pratica religiosa ha coinvolto tutte le classi di età, anche se si è manifestata in modo più marcato soprattutto nella componente verde della popolazione, in particolare tra i giovani dai 18 ai 24 anni e tra gli adolescenti (14-17 anni). Sono questi i gruppi di età che più si sono allontanati negli ultimi 20 anni dalla pratica religiosa regolare, con un calo di oltre i 2/3 per quanto riguarda i giovani e gli adolescenti, a fronte di una riduzione del 50% dei praticanti assidui tra le persone adulte e mature e del 30-40% tra la popolazione anziana.

                Detto altrimenti, i praticanti assidui tra gli adolescenti sono passati dal 37% del 2001 al 20% del 2019 e al 12% del 2022; mentre, tra i 18-19 anni, la pratica regolare che coinvolgeva nel 2001 il 23% dei soggetti, è scesa al 11% dei casi nel 2019 e all’8% nel 2022.

                Si può dunque affermare, a questo punto, che la disaffezione dei giovani e degli adolescenti dalla pratica religiosa è un fenomeno che viene da lontano, rientra in un trend di medio-lungo periodo, che tuttavia si mantiene o subisce un’accelerazione proprio negli anni post-Covid.

Quali riflessioni? Quali riflessioni si possono fare sulla base di queste indicazioni empiriche? Anzitutto emerge che «l’appuntamento settimanale in un luogo di culto, per i cattolici la messa domenicale, attrae sempre di meno gli italiani», nonostante che il dato sull’affiliazione religiosa si mantenga ancora su livelli elevati.

                Per la componente cattolica, si delinea qui un doppio messaggio alla Chiesa: a essere messo in discussione non è soltanto il precetto o l’invito a santificare le feste, quanto l’idea stessa che la partecipazione al culto comunitario sia per i fedeli (per i seguaci di una religione) un momento fecondo di crescita e di espressione della fede, un criterio vitale di appartenenza a una comunità religiosa.

                Seconda riflessione. Il dato del 19% di italiani che ogni settimana si reca in chiesa o in un luogo di culto attesta senza dubbio che anche in Italia la frequenza regolare ai riti religiosi è sempre più un fenomeno di minoranza; ma non sino al punto di allineare il nostro paese agli scenari ormai prevalenti nella maggior parte delle nazioni del Centro-Nord Europa (di cultura sia cattolica sia protestante), ove la partecipazione regolare al culto coinvolge – a seconda dei casi – dal 3% al 7-8% della popolazione. Su questo aspetto, l’Italia si distingue ancora nel panorama europeo, al pari di poche altre realtà nazionali, come il Portogallo e la Polonia.

L’effetto lockdown. Una terza riflessione riguarda l’andamento della pratica religiosa nel periodo della pandemia, un tempo in cui gli ambienti ecclesiali si sono a lungo interrogativi sul rischio – dopo questa drammatica esperienza – di non ritrovare il proprio popolo. Chi era solito partecipare in modo assiduo ai riti comunitari, tornerà alla messa domenicale in presenza, oppure le celebrazioni in streaming avranno reso più labile questo legame?

                Si temeva, in altri termini, che l’interruzione delle attività potesse produrre un ulteriore «scrollo» dell’albero della fede e della Chiesa in Italia, allontanando maggiormente le persone la cui religiosità è incentrata più su motivi culturali che spirituali.

                In effetti, lo scrollo causa Covid-19 per la pratica religiosa sembra essersi puntualmente verificato, ed è individuabile (come s’è detto) nel 25% circa di soggetti in meno che, nel 2022, mancano all’appello rispetto all’anno precedente la pandemia (2019). E tra quanti mancano all’appello spiccano – come abbiamo segnalato – ancora una volta più gli adolescenti e i giovani che le persone adulte e anziane, un trend negativo che, in parte, sembra ora estendersi ai bambini.

Si tratta certamente di un fenomeno connesso alla sospensione delle attività formative e della vita di oratorio che si è prodotta durante il lockdown, che tuttavia si innesta su una tendenza di più lungo corso dei giovanissimi a distanziarsi anzitempo (rispetto ai coetanei del passato) da un legame religioso.

Un discorso simile, pur più attenuato, si può fare per la situazione dei bambini, in gran parte tornati dopo il lockdown negli ambienti ecclesiali per i corsi di catechismo e i momenti di socializzazione, una presenza tuttavia che tende a essere in vari casi disgiunta dalla frequenza ai riti comunitari.

                Una prova vitale per le Chiese. Oltre a quanto sin qui esposto, i dati ISTAT sull’andamento della pratica religiosa in Italia negli ultimi 20 anni delineano i movimenti che si sono prodotti in questo campo a livello territoriale. Come si sa, da sempre le regioni del Sud presentano dei tassi di religiosità superiori a quelli che si riscontrano nelle regioni del Nord e soprattutto in quelle del Centro Italia, e questo dato di fondo è una costante anche degli ultimi 20 anni, nei quali vi è stato un sensibile calo della pratica religiosa su tutto il territorio nazionale. Ciò per dire che – a grandi linee – in tutto questo periodo la pratica religiosa regolare al Sud ha interessato una quota di popolazione del 20% circa superiore a quella riscontrata nelle regioni del Centro-Nord; pur in una situazione in cui ovunque (sia al Centro-Nord che al Sud) i praticanti regolari sono diminuiti grossomodo del 45-50% nel periodo 2001-2022.

                Attualmente, a fronte di una media nazionale del 19% circa, la frequenza costante ai riti religiosi coinvolge il 23% della popolazione delle regioni meridionali e il 17% circa degli abitanti nelle regioni del Centro-Nord Italia.

                Per quanto riguarda le differenze di genere, i dati ISTAT continuano a segnalare – per il periodo considerato – una maggior presenza delle donne rispetto agli uomini nella pratica religiosa assidua, riscontrabile in tutte le classi di età.

                Col passare degli anni (dal 2001 al 2022), si riduce la quota sia di uomini che di donne che si recano ogni settimana in un luogo di culto, ma il gap di genere a favore delle donne si mantiene nel tempo (nell’ordine medio di un 25% in più di casi). Nell’ultimo anno di rilevazione (il 2022), la pratica regolare coinvolge in Italia il 15% della popolazione maschile e il 22% della popolazione femminile.

                Altra indicazione (in parte curiosa) concerne l’anno in cui – secondo le rilevazioni ISTAT – è avvenuto in Italia il sorpasso dei non praticanti su quanti dichiarano una pratica religiosa assidua. Si tratterebbe del 2018, quando, per la prima volta nella storia recente del nostro paese, i no-churchgoers hanno avuto il sopravvento per un soffio (25% rispetto al 24,9%), per poi crescere in modo deciso negli anni successivi (soprattutto nel dopo Covid), sino al dato ultimo del  2022 che individua – sull’insieme della popolazione nazionale – i «mai praticanti» al 32% e i «praticanti assidui» al 19%. Insomma, l’impressione di fondo è quella di un trend al ribasso assai consistente, che non si arresta nemmeno di fronte ai richiami religiosi di un papa (come quello attuale) che gode di un buon credito pubblico.

                Infine, occorre notare che il calo della pratica religiosa negli anni post-Covid è una tendenza non solo italiana, ma che coinvolge tutti i paesi occidentali, anche con percentuali assai superiori a quelle nostrane. Ovunque si parla di «riduzione della partecipazione in presenza», «di abitudine di molti a connettersi ai riti da remoto», di «faticoso ritorno alla normalità»; o della previsione di alcuni che, in questo campo, «nulla sarà come prima».

Non è il caso di ritenere che il «mal comune sia un mezzo gaudio», anche se è indubbio che ciò che è accaduto in questi ultimi anni rappresenti una prova vitale sia per le Chiese sia per i credenti di ogni confessione religiosa.

   prof. Franco Garelli,(α1945)        Università di Torino       8 agosto 2023

7 commenti                         www.settimananews.it/societa/italia-forte-ribasso-pratica-religiosa

CITTÀ DEL VATICANO

Riabilitato il teologo Andrés Torres Queiruga

  (α1940) Andrés Torres Queiruga è senza dubbio uno dei teologi spagnoli contemporanei tra i più prestigiosi, da anni sulla scena della teologia con grande erudizione, meticolosità storica, intuizione creativa. Era il 2012 quando la Commissione per la dottrina della fede della Conferenza episcopale spagnola pubblicò una Notificazione riguardante l’opera di Queiruga. La commissione era allora presieduta dal vescovo Adolfo Gonzalez Montes, già vescovo di Almeria. Segretario era l’attuale vescovo di Jerez de la Frontera, Rico Pavés, notoriamente e spudoratamente un esponente dell’ala ultra conservatrice della gerarchia cattolica, ben protetto dal card. Rouco. La Notificazione diceva a chiare lettere che alcune delle opere di Queiruga non erano propriamente «eretiche», ma non corrispondevano alla tradizione della Chiesa e contenevano per lo meno sette importanti «distorsioni» nell’ambito della fede.

Puntualmente e con grande acutezza il filosofo-teologo di Santiago di Compostela rispose. Le dichiarazioni della Notificazione a suo giudizio «erano ingiuste, ma soprattutto teologicamente infondate e svianti». Insorsero in sua difesa e in difesa della libertà della ricerca teologica gruppi di teologi, settori di diverse università, preti. Alcuni vescovi più aperti, che conoscevano bene Queiruga e apprezzavano la sua ricerca e il suo impegno di «riformulare e ripensare la fede nel paradigma della modernità», preferirono il silenzio e qualche sotterranea parola di incoraggiamento. In seguito alla Notificazione, in Spagna e in alcune diocesi dell’America Latina Queiruga venne annoverato tra i reprobi e gli fu proibito tenere conferenze.

A rompere gli indugi è stato in questi giorni il nuovo arcivescovo di Santiago di Compostela, mons.     (α1968)-Francisco José Prieto Fernández, bravo teologo e biblista, con studi alla Gregoriana (Roma) e all’Università di Salamanca, dove fu qualificato come il migliore degli studenti. Mons. Prieto è sceso in campo, chiedendo che a Queiruga fosse assegnata una conferenza e la partecipazione a una tavola rotonda in occasione della 22ª Giornata di teologia organizzata dall’Istituto teologico di Compostela per il 6-7 settembre prossimi. Titolo dell’intervento di Queiruga sarà «Ripensare il rapporto fra teologia e scienza nell’attualità», tema a lui molto caro.

Ci si domanda come reagirà a questa iniziativa l’arcivescovo emerito di Santiago di Compostela, mons. Julián Barrio, che aveva del tutto ignorato il grande teologo e quale sarà la reazione del card. Rouco, già arcivescovo di Santiago, dei suoi delfini e di altri vescovi. Applaude al coraggio di mons. Prieto tutta la comunità teologica, non solo spagnola ma internazionale, nella quale Queiruga è conosciuto e stimato, avendo fatto parte per anni del Comitato internazionale di “Concilium”, rivista della quale è membro del Comitato scientifico.

È consapevole il coraggioso arcivescovo Francisco José Prieto Fernández di correre dei rischi, ma non è pentito della sua scelta. Lo dicono uomo tenace e volitivo. Viene da Orense, dove è nato nel 1968; ha un curriculum di studi di tutto rispetto e conosce l’arcidiocesi di Santiago, di cui è divenuto ausiliare nel 2021. Dal 3 giugno 2023 è arcivescovo titolare della stessa diocesi.

Francesco Strazzari         “www.settimananews.it”           13 agosto 2023

www.settimananews.it/teologia/riabilitato-teologo-andres-torres-queiruga

COPPIE DI FATTO

Esiste un registro per le coppie non sposate?

Le coppie di fatto e le modalità per l’accesso a tutele e diritti

                Una tendenza costante nell’ambito dei paesi occidentali, Italia compresa, è quella del forte calo del numero delle coppie sposate con una corrispondente crescita delle cosiddette unioni di fatto. Esiste un registro per le coppie non sposate? La domanda è comprensibile perché sono ormai milioni le donne e gli uomini che vivono una vita di coppia senza essere sposati e che vorrebbero sapere se hanno dei diritti e come fare per ottenere tutele. Diverse possono essere le ragioni che spingono coppie giovani o meno giovani a non contrarre matrimonio ma a vivere come se fossero marito e moglie. Il fenomeno esiste ed è in espansione. Queste persone, coinvolte in una relazione di coppia, hanno dei diritti come li hanno le coppie sposate anche solo civilmente? I motivi che inducono a convivere senza sposarsi (né in chiesa né al comune) possono essere i più diversi. Spesso mancano le risorse economiche per poter affrontare con stabilità una vita insieme. In altri casi può trattarsi della incapacità a relazionarsi in modo duraturo con gli altri o, ancora, possono esistere ostacoli all’unione da parte delle famiglie d’origine. Qualunque sia la ragione che è all’origine del fenomeno, la legge non poteva ignorarlo. perciò anche in Italia il Parlamento ha approvato un’apposita normativa per tutelare i membri delle unioni di fatto. Nell’articolo seguente analizzeremo in dettaglio quali diritti siano stati riconosciuti alle persone che convivono e che si sono registrate all’anagrafe comunale.

Modalità di registrazione anagrafica di una coppia di fatto. È questo infatti il passo essenziale da compiere per poter accedere alle tutele ed ai diritti riconosciuti dalla legge.

                È essenziale, in premessa, sottolineare che la legge n. 76/20 maggio 2026 riconosce diritti:

s://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2016;76

  • alle coppie di fatto che siano costituite da persone sia dello stesso sesso che di sesso diverso;
  • anche se uno o tutti e due i membri della coppia siano ancora legati da vincoli con precedenti partner (quindi anche le persone legalmente separate possono chiedere ed ottenere la registrazione come coppia di fatto);
  • solo se entrambi i partner abbiano raggiunto la maggiore età, siano capaci di intendere e volere e non siano tra loro legati da rapporti di parentela, affinità o adozione e non siano già uniti in matrimonio o in un’unione civile.

Detto questo, verifichiamo le concrete modalità con cui deve essere eseguita la registrazione anagrafica delle coppie di fatto. Ecco i passi da compiere:

  • i membri della coppia devono entrambi firmare apposita dichiarazione anagrafica (gli uffici anagrafici del comune di residenza rendono disponibili i relativi moduli);
  • nella dichiarazione, i conviventi attesteranno di aver costituito una famiglia ed evidenzieranno che la famiglia è nata perché i conviventi sono tra loro legati da un vincolo affettivo e dalla volontà reciproca di prestarsi assistenza sia morale che materiale.
  • La registrazione anagrafica come coppia di fatto è possibile per due maggiorenni dello stesso sesso, ma è vietata a due persone che siano tra loro parenti (una zia e suo nipote) oppure che siano già tra loro uniti in matrimonio civile
  • La registrazione della coppia di fatto si effettua all’anagrafe comunale

Quali diritti per le coppie di fatto dopo la registrazione. Entriamo ora nel vivo della questione individuando i diritti che la legge ha riconosciuto alla coppia, ed a ciascun membro di essa, che si sia registrata all’anagrafe del Comune di residenza con la procedura descritta nel precedente capitolo.

Ad ogni membro della coppia la legge dà il diritto di:

  • accedere ai colloqui in carcere se il convivente è detenuto;
  • visitare, assistere ed accedere alle informazioni personali se il partner è ricoverato presso ospedali o strutture pubbliche o private;
  • essere designato per iscritto come rappresentante del compagno, prima che diventi incapace di intendere e volere, con riferimento alle decisioni da adottare per la salute, per la donazione di organi, per le decisioni in materia di trattamento della salma e di disposizioni funerarie;
  • abitare nell’immobile di residenza comune dopo il decesso del convivente per un periodo minimo di due anni o per un periodo di durata eguale alla convivenza, se superiore a due anni, fino ad un massimo di cinque anni;
  • succedere al convivente defunto come conduttore nel contratto di locazione relativo alla casa di residenza;
  • avere preferenza come “nucleo familiare” nelle graduatorie per gli alloggi di edilizia popolare;
  • ottenere gli alimenti nel caso di cessazione della relazione con il partner di fatto se l’ex convivente versi in stato di bisogno e non possa provvedere al proprio mantenimento (durata ed importo degli alimenti sono fissati dall’autorità giudiziaria).
  • l convivente di una coppia di fatto registrata ha diritto di visitare il partener in ospedale

Angelo Forte     La legge per tutti 

www.laleggepertutti.it/630046_esiste-un-registro-per-le-coppie-non-sposate

DALLA NAVATA

XX Domenica del tempo ordinario – Anno A

Isaia                      56,.06. Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore,

                               e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia

                               alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera.

Salmo                  66, 06. Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. Ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra.

Paolo ai Romani 11, 32. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!

Matteo                15,.28.-Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

La fede di una donna pagana

Ancora una volta Gesùsi ritira uscendo” (exelthòn … anechóresen). Lascia il luogo in cui si trova e si dirige verso i territori di Tiro e Sidone, fuori dai confini della terra santa d’Israele. Perché? Molte sono le cause di questo prendere le distanze dalle folle che lo seguivano, dai luoghi nei quali avvenivano controversie con farisei e sadducei. È un’ora di svolta nella vita di Gesù, che ha iniziato a soffrire i malintesi creatisi con la folla, la quale mostra di attendere da lui ciò che egli non può darle. Gesù vede inoltre crescere sempre più il rifiuto della sua persona, e la prospettiva di un rigetto, fino alla persecuzione violenta, si fa sempre più vicina. Solitudine, silenzio e preghiera sono dunque per Gesù dimensioni essenziali per il suo ascolto del Padre e per il discernimento della sua vocazione alla luce delle sante Scritture, al fine di inoltrarsi in quel cammino che lo conduce verso un esodo pasquale (cf. Lc 9,31), ma al caro prezzo della croce. Accade così anche al discepolo, lo voglia o meno; accade a ciascuno di noi, tutti attesi da ore di prova, di tentazione e di sofferenza…

E proprio su questo tragitto di presa di distanza dalla terra di Israele e dai suoi abitanti, i figli di Israele, ecco che Gesù viene chiamato a intervenire da una donna residente in quei territori impuri, ritenuti dagli ebrei luoghi di perdizione e di tenebra, perché abitati da idolatri che non conoscevano il Dio vivente, il Dio di Israele. Egli riceve una chiamata che diviene un incontro con una donna anonima, della quale è messa in evidenza la qualità di straniera e dunque di pagana, di non figlia di Israele, in quanto cananea. I vangeli testimoniano che Gesù ha incontrato anche gli stranieri, i gojim, i pagani (cf. Mc 5,1-20 e par.; 7,31-8,10), e tra essi anche questa donna. È noto che nella cultura religiosa del tempo era ritenuto sconveniente per un rabbi l’incontro con una donna, ma ancor di più con una straniera. Nel caso specifico, Marco si compiace di aggiungere che questa donna non solo è greca, ma anche di origine etnica pagana, in quanto proveniente dalla Siria e dalla Fenicia (cf. Mc 7,26): assomma in sé le etnie pagane circostanti Israele, non è figlia di Israele né per provenienza né per cultura. Ella non crede nel Dio di Israele, per gli ebrei è un’idolatra. Eppure, avendo sentito parlare di Gesù, anche fuori di Israele, ha un moto di fiducia verso di lui: è un uomo affidabile!

                Gesù si è appena ritirato in quei territori di Tiro e Sidone, fuori della terra santa, dove ha avuto una controversia con scribi e farisei venuti da Gerusalemme (cf. Mt 15,1-9), ma proprio qui riceve una preghiera. Ha scelto di restare in incognito, ma neppure in terra straniera ciò è possibile per lui: ormai è troppo famoso… Ed ecco, questa donna che ha una figlioletta con uno spirito impuro viene a interrompere il suo ritiro. Costei grida, urla in modo ossessivo, come un cane, ma Gesù non la sente, non le presta ascolto e non le risponde, perché non sopporta di essere letto semplicemente come un guaritore, uno che fa miracoli. Allora i discepoli, infastiditi da quelle grida, gli chiedono di esaudirla, come unico mezzo per farla tacere. Quelle grida esprimono forse una fede, visto che la donna straniera chiama Gesù Signore (Kýrios), figlio di David”, assumendo la devozione giudaica nei confronti del Messia? Comunque, quella donna si getta ai suoi piedi, in posizione di supplica e di riconoscimento della grandezza di Gesù, e lo prega di scacciare il demonio presente in sua figlia. È una richiesta che esprime la sofferenza e l’impotenza di questa madre di fronte alla vita della figlioletta così minacciata dall’azione del demonio, che si manifesta anche attraverso la malattia psichica.

                Gesù ha lasciato la folla per non predicare né curare, ha preso le distanze dal suo comportamento abituale per poter pensare e pregare, ma è inaspettatamente sollecitato a intervenire. Chi lo prega è una donna, una straniera, e Gesù le risponde manifestandole la sua obbedienza al piano del Padre che lo ha inviato. C’è “prima” (prôton: Mc 7,27) un servizio da compiere presso i giudei, presso il popolo di Dio a cui è stato inviato –espresso da Matteo addirittura in termini esclusivi: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele” –, e solo successivamente ci sarà un tempo in cui potranno essere destinatari del suo ministero anche i pagani. Gesù lo esprime ricorrendo a un’immagine che spiega il suo rifiuto: si devono saziare prima i figli, cioè i figli di Israele, poi i cagnolini, cioè i pagani (“cani” era un termine dispregiativo con cui gli ebrei indicavano le genti: cf. Mt 7,6; Fil 3,2; Ap 22,15).

                Di fronte al rifiuto di Gesù, la donna si sente delusa, ma resiste, non si scoraggia e, ribaltando l’immagine dei cagnolini a suo vantaggio, replica: “Signore, anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. È una donna libera, che pensa, e con le sue parole fa cambiare l’atteggiamento di Gesù,! Non è risentita per il rifiuto scoraggiante oppostole in prima battuta da Gesù, , che resta per lei un uomo affidabile, ma lo porta – per così dire – a “ragionare”. Potremmo dire che riesce a “convertire” Gesù, , il quale, volendo restare nei confini fissati alla sua missione dall’economia di salvezza, non avrebbe voluto né predicare ai pagani né portare loro cura e guarigione. Gesù, è dunque convinto da questa donna, si piega di fronte a questa volontà femminile e a questa insistenza, ritorna sulle sue parole, cambia il suo proposito e anticipa quello che accadrà dopo la resurrezione. In qualche misura, vi è qui un parallelo all’episodio di Cana nel quarto vangelo, dove la madre di Gesù, , dopo un suo rifiuto, con la propria fede ottiene un’anticipazione dell’ora nuziale del Messia Gesù, (cf. Gv 2,1-11). Qui Gesù si sente vinto e, possiamo immaginare non senza soddisfazione e gioia interiore, la esaudisce: “Donna, avvenga per te come desideri”. Ovvero: “Per questa tua parola detta con intelligenza e parrhesía, con la libertà di chi sente di poter dire il vero, il demonio è stato vinto e tua figlia è liberata dal male”. Ma questa parola della donna significa anche molto di più, perché è rivelazione per Gesù, della sua missione (cf. Mt 11,25). E Gesù, mostra di saper accogliere la rivelazione dell’opera di Dio anche da parte di una donna, per di più non appartenente al popolo di Dio.

p. Enzo Bianchi, monaco ad Albiano d’Ivrea – centro della madia

www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/193402/la-fede-di-una-donna-pagana#!

GRAVIDANZA PER ALTRI

Maternità surrogata: perché no

Con una decisione del 22 giugno 2023 la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha dichiarato inammissibili i ricorsi di tre coppie italiane (una eterosessuale e due omosessuali) per la mancata trascrizione degli atti di nascita dei figli nati, tramite maternità surrogata, in Canada, in Spagna e in California.

                La decisione ha ribadito il principio già affermato in passato: fermo restando l’obbligo dello Stato di assicurare il vincolo di filiazione del genitore biologico, per quello d’intenzione lo Stato ha un margine di apprezzamento nella scelta dello strumento giuridico da utilizzare per tutelare questa posizione giuridica, a condizione che lo strumento sia applicato «tempestivamente ed efficacemente in conformità con l’interesse superiore del bambino» («promptly and effectively, in accordance with the child’s best interest»).

                In riferimento alla situazione italiana, la CEDU assume integralmente quanto affermato dalle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 38162 del 30 dicembre 2022: l’adozione in casi particolari, per come attualmente disciplinata a seguito dell’intervento della Corte costituzionale, si profila come uno strumento potenzialmente adeguato al fine di assicurare al minore nato da maternità surrogata la tutela giuridica richiesta dai principi convenzionali e costituzionali, restando la valutazione in ogni caso sottoposta al vaglio del giudice nella concretezza della singola vicenda e ferma la possibilità per il legislatore di intervenire in ogni momento per dettare una disciplina ancora più aderente alle peculiarità della situazione.

                A fronte di residue difficoltà riscontrabili nell’utilizzo dell’adozione in casi particolari per tutelare l’interesse superiore del bambino, rimangono sempre attuali gli inviti pressanti rivolti al legislatore dalla Corte costituzionale italiana e dalla CEDU per far sì che tale tutela sia assicurata in modo tempestivo ed efficace.

La maternità surrogata nella giurisprudenza costituzionale. In riferimento alla «surrogazione di maternità» la Corte costituzionale, con sentenza n. 162 del 10 giugno 2014, ha affermato la validità e l’efficacia del divieto previsto dall’art. 12 comma 6 della legge 19 febbraio 2004 n. 40 («Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da seicentomila a un milione di euro»): legge che, da un lato, nulla dice sullo status del bambino nato comunque da tale pratica in uno dei Paesi in cui è ammessa e portato in Italia da genitori committenti e, dall’altro, con scelta alquanto discutibile, non offre alcuna definizione di «surrogazione di maternità», potendo essere plurime le combinazioni tra committenti (e loro materiale biologico) e colei che porta avanti la gravidanza.

                Con sentenza n. 272 del 18 dicembre 2017 la medesima Corte ha dichiarato che tale divieto è motivato dal fatto che la pratica della maternità surrogata «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale».

                Nella sentenza n. 33 del 9 marzo 2021 è stato ribadito che il divieto penalmente sanzionato di surrogazione di maternità è un principio di ordine pubblico posto a tutela di valori fondamentali, in quanto la maternità surrogata «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», dall’altro, ed è stato rilevato che «gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate; situazioni che, ove sussistenti, condizionerebbero pesantemente la loro decisione di affrontare il percorso di una gravidanza nell’esclusivo interesse dei terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita».

                Con la sentenza n. 79 del 28 marzo 2022 la Consulta ha altresì ricordato che lo sforzo di arginare la pratica della maternità surrogata – il quale «richiede impegni anche a livello internazionale» – «non consente di ignorare la realtà di minori che vivono di fatto in una relazione affettiva con il partner del genitore biologico», chiarendo che l’ineludibile esigenza di assicurare al bambino nato da maternità surrogata gli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse è garantita attraverso la c.d. adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), della legge 4 maggio 1983 n. 184 che, nell’interpretazione che ne ha dato la Consulta, rappresenta, allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, lo strumento idoneo a tutelare il superiore interesse del bambino.

                Infatti, l’adozione del minore, in casi particolari, produce effetti pieni e fa nascere relazioni di parentela con i familiari dell’adottante. Al pari dell’adozione «ordinaria» del minore, l’adozione «in casi particolari» non si limita a costituire il rapporto di filiazione con l’adottante, ma fa entrare l’adottato nella famiglia dell’adottante: l’adottato acquista lo stato di figlio dell’adottante.

Tutela della dignità nella sua dimensione oggettiva. Come hanno autorevolmente scritto nella sentenza n. 38162/2022 le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, il legislatore italiano, «nel disapprovare ogni forma di maternità surrogata, ha inteso tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva, nella considerazione che nulla cambia per la madre e per il bambino se la surrogazione avviene a titolo oneroso o gratuito. Indipendentemente dal titolo, oneroso o gratuito, e dalla situazione economica in cui versa la madre gestante (eventuale stato di bisogno), la riduzione del corpo della donna ad incubatrice meccanica, a contenitore di una vita destinata ad altri, ne offende la dignità, anche in assenza di una condizione di bisogno della stessa e a prescindere dal concreto accertamento dell’autonoma e incondizionata formazione del suo processo decisionale».

Sempre le Sezioni unite civili della Cassazione: «nella maternità surrogata il bene tutelato è la dignità di ogni essere umano, con evidente preclusione di qualsiasi possibilità di rinuncia da parte della persona coinvolta». E ancora. «Nel nostro sistema costituzionale la dignità ha una dimensione non solo soggettiva, ancorata alla sensibilità, alla percezione e alle aspirazioni del singolo individuo, ma anche oggettiva, riferita al valore originario, non comprimibile e non rinunciabile di ogni persona. La dignità ferita dalla pratica di surrogazione chiama in gioco la sua dimensione oggettiva».

Dunque, «punendo la surrogazione di maternità in via assoluta, cioè a prescindere dalle modalità della condotta o dagli scopi perseguiti, da una parte, si tutela in via immediata la dignità della gestante su commissione, dall’altra, si tende a prevenire, secondo la logica della china scivolosa, eventuali derive estreme di manifestazione del fenomeno, espresse da deprecabili forme di sfruttamento di donne in condizioni di bisogno economico, vulnerabili e presuntivamente prive di apprezzabili margini di autonomia decisionale».

Punibilità del reato commesso all’estero? Il 19 giugno 2023 la Camera dei deputati, su iniziativa dell’attuale maggioranza politica, ha iniziato l’esame di una proposta di legge finalizzata a punire il reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da «chiunque». La proposta di legge è stata approvata dalla Camera il 26 luglio: il testo passa ora all’esame del Senato. Scopo dichiarato della proposta di legge è quello di porre un argine al cosiddetto «turismo procreativo», che consiste nell’aggiramento della disciplina nazionale ricorrendo alla surrogazione di maternità nei Paesi in cui è consentita.

                Una delle obiezioni più stringenti che viene fatta al disegno di legge riguarda l’opportunità e l’utilità di un simile intervento legislativo alla luce del vigente quadro normativo. Ci si chiede, in altri termini, se sia necessario o meno un rafforzamento delle misure di contrasto del fenomeno della maternità surrogata e se corrisponda o meno al vero l’esistenza di una lacuna riscontrabile nel fatto che il ricorso alla maternità surrogata proibito in Italia è ammesso in altri Paesi. Autorevole dottrina ricorda che chi, in violazione dell’art. 12, comma 6 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, «in qualsiasi forma realizza, organizza o pubblicizza la surrogazione di maternità» anche all’estero, può essere punito, ai sensi del secondo comma dell’art. 9 (rubricato Delitto comune del cittadino all’estero) del Codice penale, con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da seicentomila a un milione di euro, quando vi sia la richiesta del ministro della Giustizia.

                «Se è così seria la necessità di punire i fatti commessi all’estero, perché – si chiede Vladimiro Zagrebelsky, ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo – il ministro della Giustizia non chiede che si proceda?» (Vladimiro Zagrebelsky, Perché rendere la gestazione per altri reato universale? La Stampa del 24 maggio 2023).

                Le (poche) pronunce della Corte di Cassazione che finora sono state rese in materia, hanno ritenuto improcedibile in Italia l’azione penale nei confronti di chi aveva fatto ricorso alla maternità surrogata all’estero, in un Paese nel quale la pratica è ammessa proprio perché non c’era stata la richiesta del Ministro della Giustizia (vedi, ad esempio, Cassazione penale, sez. III, sent. n. 5198 del 10 febbraio 2021).

                Peraltro, non risulta che, dal 2004, cioè dall’anno di entrata in vigore della legge n. 40, il ministero si sia attivato in tal senso: segno evidente, anche da parte del massimo rappresentante governativo della giustizia, dello scarso interesse a perseguire questi fatti sui quali la proposta di legge vorrebbe intervenire.

                Al riguardo, va, comunque, ricordato che la prevalente dottrina richiede, come requisito implicito, anche la doppia incriminazione, ossia il fatto deve costituire reato anche nell’ordinamento dove è stato commesso, sulla base di diversi argomenti che non è il caso in questa sede di richiamare.

A titolo informativo, può essere utile ricordare che, degli oltre duecento Paesi del mondo, solo sei – Armenia, Bielorussia, Georgia, Russia, Ucraina, Sudafrica – ammettono il ricorso alla maternità surrogata per fini commerciali, mentre undici Stati – Regno Unito, Israele, Romania, Brasile, Portogallo, Argentina, Bangladesh, Thailandia, Australia, Grecia, Canada – lo consentono solo a titolo puramente gratuito. India e Nepal, pur ammettendo la gestazione retribuita per altri, vietano che possa essere praticata a favore di cittadini stranieri. Negli USA la surrogazione di maternità è regolata diversamente nei singoli Stati.

O messa al bando universale della maternità surrogata? Come ha auspicato il 19 aprile 2023 Francesca Izzo (cofondatrice del movimento femminista «Se non ora quando» ed ex parlamentare), nel corso dell’audizione presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati impegnata ad esaminare la proposta di legge in questione, non sarebbe più utile e produttivo porsi l’obiettivo non utopistico dell’abolizione universale della maternità surrogata? «Occorre – ha dichiarato la prof. Izzo a conclusione della sua audizione – che gli Stati, a cominciare dall’Italia, si impegnino ad agire, sul piano interno, mantenendo il reato, e sul piano internazionale coinvolgendo le agenzie dell’ONU e le altre organizzazioni sovranazionali, come l’Unione Europea per creare condizioni favorevoli alla sua messa al bando. In questa prospettiva è urgente approvare, nel quadro della Convenzione Onu sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, una raccomandazione contro la maternità surrogata sul modello di quella adottata per combattere la pratica delle mutilazioni genitali femminili».

                Che l’obiettivo dell’abolizione universale della maternità surrogata non sia utopistico, ancorché non facile da perseguire, è dimostrato anche dalle numerose iniziative che vengono promosse a vari livelli e che sono per lo più ignorate dagli organi di informazione. Se ne possono elencare alcune:

  • la Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, redatta a Oviedo il 4 aprile 1997 (ratificata dall’Italia ai sensi della legge 28 marzo 2001, n. 145) la quale, all’articolo 21, stabilisce che «il corpo umano e le sue parti non devono essere, in quanto tali, fonte di profitto»;
  • la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, adottata a Nizza il 7 dicembre 2000 e avente piena efficacia giuridica nel nostro ordinamento dal 1° dicembre 2009 a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che, all’articolo 3 vieta di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro;
  • la risoluzione 2010/2209 (INI) del Parlamento europeo, del 5 aprile 2011, sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell’Unione Europea in materia di lotta alla violenza contro le donne, che impegna gli Stati membri a «riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili»;
  • la relaziona annuale del Parlamento europeo, in data 17 dicembre 2015, sui diritti umani nel mondo nel 2014 che, al n. 115, condanna «la pratica della maternità surrogata, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce» e ritiene che «la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani»;
  • la campagna Stop Surrogacy No promossa nel maggio 2015 da Jennifer Lahl, fondatrice e presidente del Center for Bioethics and Culture Network, che nega, tra l’altro, che esista un «diritto al bambino»;
  • l’appello, in data 4 novembre 2015, del movimento «Se non ora quando-Libere» che afferma: «Non possiamo accettare, solo perché la tecnica lo rende possibile, e in nome di presunti diritti individuali, che le donne tornino a essere oggetti a disposizione: non più del patriarca ma del mercato. […] I bambini non sono cose da vendere o da donare. Se vengono programmaticamente scissi dalla storia che li ha portati alla luce e che comunque è la loro, i bambini diventano merce. […] Siamo favorevoli al pieno riconoscimento dei diritti civili per lesbiche e gay, ma diciamo a tutti, anche agli eterosessuali: il desiderio di figli non può diventare un diritto da affermare a ogni costo»;
  • la Carta di Parigi firmata il 2 febbraio 2016 nella sede dell’Assemblée nationale nell’ambito di un’iniziativa promossa dalla filosofa francese Sylviane Agacinski che si batte «per l’abolizione universale della maternità surrogata»;
  • la mozione in data 18 marzo 2016 del Comitato nazionale per la bioetica che definisce la maternità surrogata come «un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione», e che ritiene in netto contrasto con i princìpi bioetici fondamentali «l’ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia»;
  • la risoluzione del Parlamento europeo del 13 dicembre 2016 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea nel 2015 che, al n. 82, «condanna qualsiasi forma di maternità surrogata ai fini commerciali»;
  • l’appello all’ONU, sottoscritto da alcune associazioni, per la messa al bando della maternità surrogata sottoscritto a Roma, nella sala della Regina della Camera dei deputati nel marzo 2017;
  • la Coalizione internazionale per l’abolizione della maternità surrogata (CIAMPS) che raccoglie associazioni femministe e singole donne dall’Europa, dalle Americhe e dall’Asia;
  • la relazione annuale del Parlamento europeo, in data 12 dicembre 2018, sui diritti umani nel mondo nel 2017 che, al n. 48, chiede di introdurre chiari principi e strumenti giuridici per far fronte alle violazioni dei diritti umani correlate alla gravidanza surrogata;
  • le relazioni annuali del Parlamento europeo in data 17 febbraio 2022 e in data 18 gennaio 2023 sui diritti umani nel mondo rispettivamente nel 2021 e nel 2022 che, al n. 60 la prima, e al n. 63 la seconda, condannano «la pratica commerciale della maternità surrogata, un fenomeno globale che espone le donne di tutto il mondo allo sfruttamento e alla tratta di esseri umani prendendo di mira, nel contempo, soprattutto le donne finanziariamente e socialmente vulnerabili», evidenziano «il suo grave impatto sulle donne, sui loro diritti e sulla loro salute e uguaglianza di genere, e sottolinea le sue implicazioni transfrontaliere» e chiedono «un quadro giuridico europeo per affrontare le conseguenze negative» del fenomeno;
  • la Dichiarazione di Casablanca per l’abolizione universale della maternità surrogata firmata da 100 esperti (avvocati, medici, psicologi, filosofi ecc.) di 75 nazionalità e resa pubblica il 3 marzo 2023;
  • la lettera datata 12 aprile 2023 – della quale si riporta integralmente il primo punto – e firmata da 100 «femministe di vari e età e con diverse storie politiche» indirizzata alla Segretaria del Partito Democratico Elly Schlein: «Ci sono persone che programmano di aggirare la legge italiana che vieta la surrogazione di maternità commissionandola all’estero, confidando che al ritorno potranno invocare il superiore interesse del/la minore e ottenere la regolarizzazione. Queste persone pretendono la trascrizione automatica in Italia dei certificati di nascita formati all’estero e rifiutano come discriminazione la procedura dell’adozione in casi speciali da parte del partner del genitore. E questo nonostante l’adozione in casi speciali a seguito della sentenza n. 79 del 2022 della Corte costituzionale garantisca ormai all’adottata o all’adottato lo stato di figlia/o dell’adottante, realizzando il pieno inserimento nel suo ambiente familiare (cioè i legami di parentela dell’adottante si estendono all’adottata/o, i genitori ne diventano legalmente nonni, fratelli e sorelle ne diventano zii e zie e così via)»;
  • la petizione sostenuta dalla rete No GPA (No alla Gestazione per altri) firmata da intellettuali, sindaci, amministratori locali, ex parlamentari e femministe, lanciata il 29 maggio 2023.

Andrea Lebra                  settimana news   3 agosto 2023

www.settimananews.it/diritto/maternita-surrogata-perche-no

Utero in affitto: vietare o regolamentare?

1.Il dibattito sulla regolamentazione. Il disegno di legge in discussione in Parlamento finalizzato a rendere la cosiddetta maternità surrogata reato universale nell’ordinamento giuridico italiano ha riacceso il mai del tutto sopito dibattito su questa pratica riproduttiva, popolarmente indicata (non a torto, come vedremo più avanti), come “utero in affitto”.

Il dibattito è per la maggior parte popolato da argomentazioni di tipo etico strettamente intrecciate da temi giuridici. I contrari dell’utero in affitto lo giudicano incompatibile “con la dignità della persona umana nella sua dimensione oggettiva” in linea con le parole della sentenza a sezioni riunite della Corte di Cassazione (n. 38162 del 30 dicembre 2022) e sostengono la necessità di perseguire il reato anche nei casi in cui sia commesso all’estero da cittadini italiani.                                                                                      www.eius.it/giurisprudenza/2022/728

Lo scopo è evitare forme di aggiramento del divieto basate su una strategia del fatto compiuto, in cui una coppia sterile utilizza l’utero in affitto all’estero per poi rivendicare il riconoscimento della genitorialità (iscrizione all’anagrafe nel nucleo famigliare, stepchild adoption) per il “miglior interesse del bambino”. I favorevoli alla legalizzazione hanno posizioni più variegate. Alcuni, in nome della laicità, considerano il giudizio di immoralità della pratica frutto di valori non necessariamente condivisibili da tutti, argomentando talvolta a favore della positività morale di un “diritto di diventare genitori” che non si potrebbe negare agli adulti. Altri, maggiormente sensibili agli evidenti rischi di sfruttamento delle donne intrinseci alla tecnica, chiedono di sostituire il divieto assoluto con una regolamentazione che sia capace di garantire adeguatamente i diritti e la dignità di tutti i soggetti coinvolti.

A questa seconda linea di sembra riferirsi    Gustavo Zagrebelsky (α1943)

ex Giudice della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, che su Repubblica del 25 maggio ha argomentato a favore della maternità surrogata solo nei casi in cui essa rappresenti un “atto gratuito di solidarietà umana” effettuato dalla donna al di fuori delle logiche di mercato.

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202305/230525zagrebelsky.pdf

Secondo l’ex presidente della Corte Costituzionale l’utero in affitto non rappresenterebbe una pratica medica moralmente inaccettabile per le modalità con cui viene coinvolta la vita fisica e psichica della donna: ciò che renderebbe morale o immorale (e quindi più o meno accettabile nel nostro quadro giuridico) sarebbero solo le intenzioni della donna che, prestandosi ad una maternità surrogata “altruistica”, “solidale” potrebbe addirittura favorire il raggiungimento di obiettivi socialmente positivi (diritto a diventare genitori per le coppie sterili), evitando al contempo “la riduzione d’ogni realtà dell’esistenza a merce commerciabile”, similmente a quanto accade nel caso della donazione volontaria di organi.

                Le obiezioni su piano morale e giuridico a questa posizione sono state espresse da diversi commentatori. In quanto segue, viceversa, proporrò una critica alla “linea della regolamentazione” a partire da argomenti tratti dalla scienza economica.

                2.La filiera procreatica come settore produttivo. Un approccio di questo genere non dovrebbe stupire troppo. Dopotutto lo sviluppo delle tecnologie procreatiche ha fatto nascere una vera e propria industria globale con forti prospettive di crescita, una filiera procreatica che può essere studiata dall’economista con la sua usuale cassetta degli attrezzi, come si fa con le altre filiere. La procreatica è un vero e proprio settore dell’economia, caratterizzato da un processo che porta alla produzione del bambino. Che l’oggetto della transazione finale, infatti, sia un “bambino in braccio” è ben testimoniato dalle garanzie offerte dalla Gestlife ai propri clienti, messe nero su bianco nel sito web della compagnia: esse includono la promessa di ripetere gratuitamente il processo in caso di morte del bambino durante i due primi anni di vita. Che con la diffusione globale di queste tecnologie riproduttive sia cresciuto esponenzialmente il rischio di un vero e proprio commercio di bambini, che approfitta delle asimmetrie nelle regolamentazioni dei vari paesi per svilupparsi, è stato denunciato da ONG e studiosi di diritto (Smolin, 2016).

Il processo procreatico può essere scomposto in fasi (produzione di gameti, fecondazione in vitro, conservazione e impianto di embrioni, gravidanza in un utero in affitto). Quando le diverse fasi non sono integrate verticalmente nella stessa unità di produzione, la filiera genera dei veri e propri mercati di semilavorati, come testimoniano i flussi di import ed export analizzati dall’annuale Relazione al Parlamento del Ministro della Salute sulla applicazione della legge 40. Anche la foto, ormai famosa, pubblicata durante la prima ondata della pandemia, rappresentante bambini nati dopo una gravidanza in affitto bloccati in un albergo di Kiev, in attesa che le frontiere venissero riaperte, rappresenta plasticamente uno dei tipici problemi che può essere necessario affrontare nel commercio internazionale (merci bloccate alla frontiera per barriere tariffarie o non tariffarie).

                Insieme con una serie di mercati specifici, la filiera procreatica ha sviluppato anche una contrattualistica tipica per regolare le transazioni (compravendita di gameti, fornitura di servizi tecnologici, concessione delle proprie funzionalità riproduttive). La filiera procreatica ha sviluppato anche un suo specifico marketing, facilmente rinvenibile on line nei siti delle principali imprese procreatiche e che periodicamente si manifesta in fiere volte a fare incontrare la domanda e l’offerta. Quest’anno, ad esempio, si è svolta a Milano 20 e il 21 maggio, la fiera intitolata Wish for a baby.

Infine, come in ogni settore produttivo che si rispetti, vengono definiti i prezzi ai quali possono avvenire le transazioni, con variazioni nei diversi paesi a seconda del diverso costo dei fattori produttivi e delle diversità nei sistemi di regolamentazione. Capita così che la carenza di donne disposte a cedere i loro ovuli faccia crescere il prezzo di questo input in un determinato mercato, oppure che gli economisti quantifichino il calo di offerta di seme che si registrerebbe a seguito di una modifica della regolamentazione che non garantisse più l’anonimato genetico al cosiddetto “donatore”, e il corrispondente premio di prezzo che dovrebbe essere riconosciuto ai fornitori rimasti sul mercato perchè accettino di continuare le loro prestazioni (Cohen et al., 2016).

                Quella che la legge 40 definisce “maternità surrogata” è come abbiamo visto, solo una fase del processo produttivo. Una coppia sterile (o un’impresa che si pone come intermediaria tra una coppia sterile e la donna) corrisponde un compenso ad una donna disposta a lasciare impiantare nel suo utero un embrione prodotto in precedenza con le tecniche procreatiche, affinché si sviluppi in un bambino che verrà consegnato ai committenti subito dopo il parto. Lo sviluppo di questa pratica all’interno di una filiera economica, la presenza di contrattualizzazione e compenso monetario, il riferimento alla sola gravidanza nella descrizione della prestazione (consegna immediata del bambino, uso di termini come “gestazione per altri” o “gestazione solidale”) mostrano come la metonimia “utero in affitto” ben descriva il contenuto economico dello scambio che viene realizzato. Il termine “maternità” usato nella legge, viceversa, da un punto di vista economico è impreciso dal momento che il bambino è contrattualmente destinato a essere figlio di chi acquista il servizio e non della donna che cede tale servizio.

3.I problemi di contrattualizzazione dell’utero in affitto. Molte ragioni di natura economica suggeriscono che la regolamentazione di qualsiasi forma di cessione della gravidanza sarebbe illusoria e andrebbe incontro a molteplici problemi. In primo luogo esistono evidenti problemi di contrattualizzazione. Una qualche forma di definizione di responsabilità e reciproche obbligazioni tra le parti coinvolte sarebbe comunque necessaria, anche nell’ipotetico caso “solidale”. Del resto è la stessa richiesta di una qualche forma di regolamentazione che implicitamente ammette la necessità di una definizione formale dell’evento che si intende regolamentare, perchè sia possibile definire i termini dell’accordo tra le persone adulte coinvolte.

Il problema tuttavia è che nel caso della gravidanza, qualsiasi contratto venga sottoscritto, a titolo oneroso o gratuito, è per definizione “incompleto”. In primo luogo esiste una intrinseca difficoltà di definire esattamente la natura della prestazione. Come stabilire infatti l’esatto confine tra la funzione riproduttiva oggetto del contratto e le altre funzioni fisiologiche? Si consideri ad esempio il caso in cui insorgano problemi di salute nella donna o nel bambino, per le quali si prospettino opzioni terapeutiche alternative, con differenti livelli di coinvolgimento dell’organismo dell’una o dell’altro. È evidente l’impossibilità di definire ex-ante (come richiederebbe una contrattazione completa) una casistica di tutte le possibili situazioni, con le relative prescrizioni concordate.

Ma c’è un ulteriore aspetto che rende ancor più difficile una definizione precisa dell’oggetto del contratto. La relazione tra donna e bambino, infatti, va al di là dei semplici scambi fisiologici organici, investendo la sfera esperienziale/emotiva di entrambi. La più recente ricerca medica mostra infatti che la relazione madre-figlio durante la gravidanza è estremamente ricca e portatrice di conseguenze anche dopo il parto per entrambi. Dato l’obiettivo della transazione, uno dei problemi che possono mettere a rischio l’esecuzione del contratto (cioè la consegna del bambino dopo il parto) è il processo di attaccamento/identificazione che si instaura tra gestante e bambino. Non stupisce allora che i contratti cerchino di delimitare anche l’ambito delle loro relazioni personali durante tutta la gravidanza. Alle madri surrogate, oltre a prescrizioni mediche ovvie (come non fumare o seguire una determinata dieta) può venire anche richiesto di seguire una serie di regole di comportamento che possono includere il divieto di accarezzare la pancia, di cantare sotto la doccia, di parlare o cantare al bambino, oltre all’obbligo di sottoporsi a psicoterapia per favorire il distacco affettivo dal bambino. Al di là di ogni giudizio morale su questa tipologia di “patti”, che nel caso di una eventuale legalizzazione sarebbe necessario regolamentare, appare evidente l’illusorietà di una separazione della funzione fisiologica dalla dimensione che potremmo definire esistenziale della gravidanza. In quanti modi più o meno espressi o esprimibili la madre e il bambino possono infatti entrare in una relazione personale durante i nove mesi di gravidanza?

L’inevitabile incompletezza dei contratti di utero in affitto dipende infine dal fatto che quella della gravidanza è una “esperienza personalmente trasformativa” (Paul, 2015). Portare nel proprio grembo e dare alla luce un bambino genera un radicale mutamento nell’esistenza della donna al punto che, in un certo senso, la donna che partorisce non è più quella che ha firmato il contratto per la cessione della gravidanza. Senza entrare nel merito della letteratura specialistica, ciò che conta qui è sottolineare che l’impatto psicologico dell’esperienza connessa allo stesso contenuto del contratto può essere causa della sua non esecuzione, come testimoniano i numerosi casi di contenzioso giuridico tra madri surrogate che dopo il parto non vogliono consegnare il bambino e le coppie committenti.

Dal punto di vista dell’economista l’incompletezza dei contratti genera inefficienza nel modo in cui il mercato fa incontrare domanda e offerta. Nel caso dell’utero in affitto esiste un inevitabile trade off tra definizione contrattuale ex ante ed esposizione a rischi di rottura (hold up) del contratto o sua rinegoziazione ex post in caso di situazioni non previste dal contratto stesso. In contesti giuridici certi, come negli USA o in altri paesi sviluppati in cui la pratica è legale, la tendenza inevitabile è la produzione di una regolamentazione per quanto possibile rigida. Questo accresce i costi connessi alla transazione oltre il prezzo della prestazione stessa. È noto che oltre ai costi per la produzione degli embrioni e l’impianto, il costo sostenuto dai committenti per la gravidanza solo in parte va a remunerare la donna, includendo una serie di servizi aggiuntivi forniti da soggetti intermediari (garanzie legali e assicurative, servizi complementari come la psicoterapia). Per inciso questo mostra che anche nel caso di una ipotetica gravidanza “solidale” sarebbe difficile escludere del tutto la dimensione economica e di mercato dalla realizzazione del servizio. Soggetti terzi con finalità non solidaristiche verrebbero, con ogni probabilità, coinvolti e avrebbero interesse a promuovere la pratica.

Come abbiamo visto in precedenza, inoltre, anche una puntuale regolamentazione ex ante dei contratti non potrebbe comunque evitare possibili contenziosi ex post, con un ulteriore incremento dei costi di transazione complessivi. L’inevitabile conseguenza dell’inefficienza del mercato della gravidanza in affitto “regolamentato” è lo spostamento delle transazioni in contesti dove i diritti dei soggetti coinvolti, in particolare delle donne che forniscono il servizio, sono meno garantiti. È quello che è stato possibile osservare con la crescita della filiera procreatica: la creazione di un mercato globale. Non è un mistero per nessuno che il prezzo pagato dai committenti sia decisamente più basso in paesi come l’India, dove per molti anni una sostanziale deregulation ha creato un mercato fiorente per la pratica e dove numerose violazioni dei diritti delle donne e dei bambini sono state testimoniate, fino ad una radicale restrizione della pratica alla fine del 2019. O in paesi come l’Ucraina o la Georgia, dove situazioni di povertà rendono più facile trovare candidate per la gravidanza. Inchieste svolte dalla stampa internazionale hanno più volte e anche recentemente portato alla luce pratiche di sfruttamento e maltrattamento delle donne e altre pratiche spregiudicate nella gestione del processo procreatico da parte delle agenzie intermediarie.

                4.Dubbi sulla cessione “solidale” della gravidanza. I promotori di una cessione solidale della gravidanza, di fronte a tali conseguenze avverse, sostengono che la cessione dell’utero per gravidanze per conto terzi da parte di donne disponibili potrebbe essere sottratta alla logica del mercato tramite una adeguata regolamentazione. Ci sono in realtà molti aspetti dell’attuale mercato che fanno dubitare riguardo questa possibilità. Abbiamo già visto come la semplice cessione, anche a titolo gratuito, della gestazione non escluderebbe l’interesse da parte di operatori economici ad operare attivamente in questo settore per la fornitura di servizi di intermediazione. Questi sono necessari in un accordo che implica elevate asimmetrie informative tra committente e fornitrice della prestazione: le coppie sterili vorrebbero verosimilmente informazioni affidabili sulla donna (stato di salute, situazione economica) prima di stringere qualsiasi accordo. Rimarrebbe inoltre la necessità di assistenza legale, soprattutto nel caso dell’acquisto del servizio all’estero, e tecnologico-sanitaria per quanto riguarda la realizzazione dell’impianto in utero e la supervisione medica della gravidanza.

Un altro aspetto che fa dubitare sulla possibilità di una cessione “gratuita” dell’utero riguarda il sistema corrente di “rimborsi” che vengono erogati alle donne. La donna che acconsente a vivere una gravidanza per conto di altri accetta limitazioni di comportamento più o meno estese, che in genere includono la sospensione delle attività lavorative. Di solito viene corrisposta una somma equivalente a quanto la donna potrebbe mediamente guadagnare durante la gravidanza. Questo è uno dei motivi per cui, come abbiamo visto, i committenti dei paesi a reddito elevato hanno un interesse economico a commissionare la gravidanza in paesi più poveri. Tuttavia una qualsiasi legislazione che limitasse le gravidanze vissute per altri al solo caso solidale non potrebbe accettare questa modalità di quantificazione che, dal punto di vista economico, configura la prestazione di utero in affitto come una attività lavorativa. I rimborsi dovrebbero essere limitati alle sole spese connesse al servizio che gravano sulla donna, come quelle sanitarie o di viaggio. È evidente che a queste condizioni l’offerta del servizio subirebbe una drastica limitazione, considerato che la gran parte delle donne disponibili a questa pratica procreatica hanno un reddito basso o inesistente.

Ci sono inoltre motivi per dubitare che la soluzione solidale sarebbe realmente accettata anche sul lato della domanda. In una ipotetica surrogazione solidale, come quella auspicata da Zagrebelski, si intenderebbe sostituire lo scambio di mercato con il dono. È bene tuttavia non dimenticare che anche il dono, come lo scambio, implica una dimensione di reciprocità. Nella transazione di mercato la reciprocità viene completamente esaurita dalla prestazione economica e dalla controprestazione monetaria: venditore e compratore concordano sul fatto che il prezzo corrisponde esattamente al valore della merce, cosicché la sua corresponsione elimina qualsiasi obbligazione del secondo rispetto al primo. Anche il dono può essere visto come una prestazione del donatore a favore del ricevente. E questo crea un legame tra le persone che molto spesso è il vero obiettivo del dono. In un articolo del 1997 Avner Offer illustra le caratteristiche di quella che chiama “economia del rispetto reciproco” (economy of regard) esplorando le diverse modalità con cui la dimensione del dono spesso si intreccia e addirittura è capace di rendere più efficienti le stesse relazioni di mercato. Due sono le caratteristiche che distinguono un dono da uno scambio. Innanzitutto deve essere liberamente corrisposto senza attendere niente in cambio. Inoltre non deve produrre alcuna obbligazione nel ricevente. Colui che riceve il dono, per poterlo percepire come tale, deve essere in grado di ricambiarlo ma allo stesso tempo non deve sentirsi in alcun modo obbligato a farlo. È evidente ad esempio, che un dono troppo grande da parte una persona abbiente in qualche modo pone un ricevente significativamente più povero, che non potrebbe contraccambiarlo, in una posizione di subalternità.

Questa ultima caratteristica è rilevante nell’ipotetico caso della cessione solidale della gravidanza. Anche supponendo che una donna possa decidere liberamente di prestare il suo utero a titolo gratuito, quale potrebbe essere la posizione della coppia sterile che riceve questo dono? È evidente infatti che si tratta di un dono che non può essere contraccambiato con alcunché di equivalente: avere un figlio è infatti qualche cosa di non valutabile, come del resto la stessa narrazione offerta dal marketing delle imprese procreatiche sottolinea sistematicamente, proprio per giustificare il prezzo dei servizi offerti. Si tratterebbe inoltre di un dono che, quantomeno psicologicamente, produrrebbe una obbligazione nella coppia sterile che lo riceve. In sintesi, la natura della prestazione sembra incompatibile di per sé con una genuina dinamica di dono. È ragionevole pensare che i committenti preferiscano una prestazione a titolo oneroso. Un divieto assoluto di corresponsione di un compenso sarebbe perpetuamente a rischio di essere eluso od aggirato, generando verosimilmente controversie di interpretazione della legge difficili da risolvere (fino a che punto un regalo che vorrebbe esprimere la gratitudine dei committenti corrisponde ad un dono e non diventa un compenso)?

Il complesso di problematiche di una ipotetica versione solidale della cessione della gravidanza che ho discusso su un piano economico mi sembra che facciano chiaramente emergere il rischio per qualsiasi regolamentazione di essere perennemente a rischio di “forzatura” giurisprudenziale da un lato senza prevenire la formazione di un mercato illegale dall’altro.

5.Esternalità negative: la posizione del bambino. Fino a questo punto abbiamo considerato cosa suggerisca la prospettiva economica nell’analisi dei rapporti tra coppia sterile committente e donna che presta il servizio di utero in affitto, individuando una serie di problematiche generate dalla natura stessa della transazione, che rendono aleatoria la pretesa di una sua regolamentazione. Gli effetti di questo scambio, tuttavia, vanno oltre i contraenti coinvolgendo almeno un terzo soggetto. Il contratto di utero in affitto genera infatti una serie di conseguenze avverse sul bambino, che secondo una prospettiva economica possiamo considerare vere e proprie esternalità negative. Una esternalità negativa è una conseguenza avversa generata da una transazione che colpisce un soggetto terzo rispetto a venditore e compratore, in assenza di qualsiasi forma di compensazione. In un precedente lavoro (Rocchi, 2019) ho discusso la posizione del bambino nella filiera procreatica; qui mi limiterò a richiamare gli aspetti più rilevanti nel caso dell’utero in affitto che, come abbiamo sottolineato prima, costituisce solo la fase finale dell’intero processo produttivo procreatico.

Innanzitutto si deve sottolineare il potenziale stress subito dal bambino durante la gravidanza, connesso all’anomala posizione psicologica della gestante. Come abbiamo visto, proprio per evitare processi di attaccamento che potrebbero mettere a rischio l’esecuzione del contratto (consegna del bambino al termine della gravidanza), la gestante surrogata, viene indotta a separare la sua esperienza emotiva dalla realtà fisiologica della gravidanza. È noto tuttavia che tutte le fonti di stress subite dalla madre durante la gravidanza generano effetti fisiologici ed emotivi anche nel bambino non ancora nato. Certe limitazioni al comportamento e condizioni psicologiche durante la gravidanza sembrano capaci di interferire significativamente sullo sviluppo di quella simbiosi del bambino con la madre che costituisce una componente imprescindibile del benessere nelle prime fasi dell’esistenza del nascituro, sia prima che dopo il parto (Mieli, 2017).

Una seconda conseguenza avversa è costituita dal distacco programmato al momento del parto da quella che per il bambino è la madre. Gli studi mostrano come il bambino lo sviluppo e l’esercizio dell’apparato sensoriale (gusto, olfatto, udito) durante la gravidanza metta in grado il bambino di riconoscere la madre (il suo odore, la sua voce) immediatamente dopo la nascita. Un riconoscimento che è fonte di conforto nell’esperienza inevitabilmente traumatica della nascita e che costituisce la prima base del suo sviluppo relazionale.

Una terza, ovvia, conseguenza avversa è l’inevitabile ricorso all’allattamento artificiale nel caso dei bambini nati dopo una gravidanza per conto terzi. Come noto, l’allattamento artificiale, pur con tutti i miglioramenti dovuti allo sviluppo scientifico e tecnologico, rimane solo una opzione sostitutiva e comporta rischi sanitari specifici che sono ragionevoli solo quando l’allattamento naturale non sia fisiologicamente possibile. Da questo punto di vista, per il benessere del bambino, sarebbe opportuno che i contratti di utero in affitto includessero anche l’allattamento da parte della gestante surrogata. Tuttavia, per tutti i motivi discussi in precedenza, questa opzione non viene di solito considerata, dal momento che farebbe crescere i rischi di non esecuzione del contratto, favorendo l’attaccamento tra la donna e il bambino.

6.Conclusioni. In questo saggio le caratteristiche e le conseguenze personali e sociali della pratica dell’utero in affitto sono state analizzate secondo una prospettiva economica. La cessione della gravidanza a favore di terzi è solo la fase terminale di un processo produttivo, quello procreatico, che ha dato luogo ad una vera e propria catena globale del valore. Nell’articolo è stata esaminata la natura delle transazioni per la fornitura di tale servizio, con una particolare attenzione alla natura dei contratti che le regolano e alle loro intrinseche caratteristiche di incompletezza.

La natura della prestazione rende i contratti per l’affitto dell’utero incerti, soggetti a elevati costi di transazione, con rischi accentuati di sfruttamento della fornitrice del servizio, che in genere si trova in una posizione di svantaggio economico. Inoltre questa pratica procreatica produce programmaticamente effetti avversi sul bambino. Per l’economista si tratta di esternalità negative che mettono in discussione la capacità di questo specifico mercato di massimizzare il benessere sociale. Ma sembra evidente che dovrebbero essere ancora prima valutate sul piano del rispetto dei diritti della persona. Mentre infatti gli attori adulti scelgono deliberatamente lo scambio, con tutte le conseguenze che esso porta sul piano personale, lo stesso non può dirsi del bambino che di fatto le subisce.

L’analisi proposta, confermata dall’evidenza offerta dalle realtà in cui l’utero in affitto è già una pratica consentita dalla legge, mette in dubbio l’efficacia di una qualsiasi regolamentazione dell’utero in affitto, sia con finalità economiche che in una qualche forma solidale. La tecnologizzazione della riproduzione tende inevitabilmente a trasformare i rapporti tra i soggetti che a diverso titolo partecipano alla filiera procreatica in rapporti economici. Innanzitutto l’utilizzazione delle tecniche procreatiche richiede investimenti, competenze tecnico-scientifiche e capacità organizzative rilevanti, che difficilmente potrebbero essere rese disponibili in modo completamente solidaristico. Inoltre tutte le transazioni che, almeno in teoria, coinvolgono individui (come nel caso della concessione della gravidanza) e che potrebbero realizzarsi come “atto gratuito di solidarietà umana”, evitando “la riduzione d’ogni realtà dell’esistenza a merce commerciabile”, generano inevitabilmente interessi economici per terzi (le imprese della filiera), che operano con finalità di lucro. Inoltre la stessa natura delle motivazioni personali mette seriamente in discussione questa possibilità, facendola apparire come una petizione di principio fortemente disancorata dalla realtà. I confini tra un accordo solidale e una transazione di mercato sarebbero difficilmente definibili sul piano regolamentare, condannando con ogni probabilità qualsiasi legge ad una sua continua “riscrittura” giurisprudenziale. È bene inoltre ricordare che il problema delle esternalità negative a sfavore del bambino non sarebbe minimamente intaccato da una ipotetica realizzazione solidale della gestazione per conto terzi.

Un’ultima considerazione merita di essere fatta con riferimento alla proposta di rendere l’utero in affitto un reato universale, attualmente in discussione nel Parlamento italiano. Dal punto di vista della logica economica la proposta appare assolutamente coerente per chi considera incompatibile con la dignità umana questa pratica. La filiera procreatica è una filiera globale e la stessa logica economica tende a spostare le fasi del processo produttivo in contesti dove il costo dei fattori è minore (minore reddito medio) e i vincoli di legge e le garanzie per le persone meno stringenti (con la possibilità di ridurre i costi contrattuali). Viene semmai da chiedersi se lo stesso ragionamento non possa essere ampliato nella sua portata: l’utero in affitto, infatti, porta alle estreme conseguenze il controllo tecnologico della riproduzione umana che contraddistingue tutto il processo produttivo procreatico. Le conseguenze avverse di questa scelta collettiva, probabilmente, vanno molto oltre la subordinazione della riproduzione alle logiche del mercato.

 Prof. Benedetto Rocchi,         Università di Firenze                     Centro studi Livatino     16 agosto 2023

                14 Riferimenti bibliografici                         www.centrostudilivatino.it/utero-in-affitto-vietare-o-regolamentare

PRESENTAZIONE

Ludwig Monti “Un nuovo modo di conoscere Gesù”

                Con questo libro vorremmo farti incontrare e conoscere Gesù attraverso le cinquanta (più una!) parole che esprimono il suo pensiero e il suo stile di vita. Puoi percorrere queste pagine dalla prima all’ultima parola, oppure procedere in ordine sparso, “assaggiare” una parola qui e una là, a seconda dell’interesse del momento o andando a cercare quelle che ritieni significative di volta in volta per il tuo percorso personale. In questo modo potrai costruire una tua mappa trasversale, collegando alcune voci: per esempio amore-amicizia-felicità-gioia-tristezza. O un’altra maniera potrebbe essere quella di leggere insieme le parole più simili tra loro, suddividendole per argomenti: i concetti più legati alla vita dell’essere umano (cammino, corpo, sapienza, solitudine…), oppure quelli che richiamano Dio (conversione, Cristo, perdono…). Ma potrai anche seguire altre vie. Insomma, nella lettura puoi dare ampio spazio alla tua creatività e ai tuoi desideri. Noterai che nel raccontare Gesù siamo partiti dalle sue stesse parole. Abbiamo privilegiato quello che lui dice o di lui si dice nei Vangeli, parafrasando i testi, ovvero scrivendo in modo per te più facile ma sempre fedele al testo originale.

                Questo libro quindi, in un certo senso, rappresenta una via per “leggere” le quattro “biografie” di Gesù in un modo nuovo. In alcuni casi abbiamo citato per esteso alcune frasi dei Vangeli, quando il loro contenuto era particolarmente efficace e ci sembrava importante mantenere la freschezza e la potenza originali.

                Per lo stesso motivo, troverai alla fine del libro alcuni brani evangelici per intero: non molti, ma ai nostri occhi sufficienti per consentirti di familiarizzare un po’ di più con le parole di Gesù, che facevano tutt’uno con la sua vita. Di abbeverartene direttamente alla fonte.

                Vorremmo che questo libro fosse uno strumento di riflessione, un invito a pensare e soprattutto a dare un’interpretazione personale di quello che leggerai. Ci piacerebbe che questi spunti fossero per te un inizio, una sorta di primo passo nel cammino infinito di interiorizzazione delle parole dette da Gesù e pronunciate su di lui, che sono arrivate a noi attraverso i testi biblici. Lui stesso infatti ha chiesto a più riprese: “Capisci quello che leggi? Capite quello che vi sto dicendo?”. Ecco, queste pagine sono un modo per dare seguito all’invito di Gesù alla comprensione. Sono l’occasione per ogni ragazza e ragazzo che le leggerà di entrare consapevolmente in un dialogo esistenziale con il suo modo di essere sapiente.

                La nostra speranza è che questo lavoro ti permetta di accogliere in maniera “critica”, aperta e attiva (non religiosa) queste parole, per poter vivere la vita di ogni giorno in una nuova prospettiva, sotto una nuova luce.

Gesù è venuto non per fondare una religione ma per insegnarci a vivere. Per questo il testo è costellato di esempi tratti dall’esperienza quotidiana. Conoscere Gesù, infatti, apre a un nuovo stile di vita. E se di lui si è potuto dire che “mai un uomo ha parlato così”, potremmo anche aggiungere che mai un uomo ha vissuto così.

                Che molto presto si possa fare amicizia con questo modo di sentire e di condurre la propria esistenza come esseri umani è una possibilità importantissima e affascinante per ognuno di noi.

Le parole di Gesù  di

  Umberto Galimberti (α1942) e Ludwig Monti (α1974)

 editore Feltrinelli 2023          www.alzogliocchiversoilcielo.com/2023/08/enzo-bianchi-una-radicale-novita-nella.html

www.feltrinellieditore.it/opera/le-parole-di-gesu-1

RIFLESSIONI

Sconfitti ma non falliti

Nella mia vita attuale ancora rallegrata da molti incontri è alquanto facile venire a sapere tutto di persone che, dopo averle ascoltate e lette, ormai in tarda età incontro e conosco personalmente nel grande dono di porre mano nella mano e poter praticare un’accoglienza intellettuale reciproca. È un’esperienza preziosa, forse possibile con tutte le sue grazie solo nella vecchiaia, di certo un dono che da un lato procura una gioia profonda, un piacere che è un piacere della vita, e dall’altro apre a una comunione che non si conosceva né si supponeva prima. Forse perché in questi incontri è presente tanta memoria per una vita lunga vissuta in moltissime situazioni che, confrontate e condivise, apportano profondità di sapienza.

Certo per me è un tema del pensiero la grande presenza di sconfitti nella mia generazione. So che “sconfitto” è un attributo impronunciabile, che non va applicato a una persona, ma in verità sempre constatiamo la presenza di sconfitti e forse quando si è anziani il loro numero sembra aumentare…Da tutti la sconfitta viene rievocata come un evento doloroso. Massimo Cacciari, in un’intelligente intervista pubblicata sull’Unità il 10 agosto 2023, confessa come per lui e la sua generazione (Giorgio Agamben, Roberto Esposito, Mario Tronti, ecc.) artefice di un discorso politico fortemente elaborato, dopo alcuni lampanti e importanti risultati si sia manifestata la sconfitta. Attenzione, fu una sconfitta, non una resa, e non fu neanche uno smentire sé stessi per passare all’avversario. Certamente quella generazione è fallita e lo stesso si può dire anche di altre. E la sconfitta scuote la sicurezza del progetto. Ma per poter essere sconfitta e non resa incondizionata deve essere elaborata, rendendo più acuto il pensiero e più resistenti alla celebrazione del vincitore. La sconfitta deve rinsaldare per poter preparare a un successivo urto altre menti senza mai cedere al pensiero unico che, invece, impedisce sempre di vedersi sconfitti. Perché in tale cedimento vengono meno il rigore, il senso della giustizia, e giorno dopo giorno si cancella il pensiero antico, si acquietano le domande di quelli che chiedevano: perché?

Ed è significativo che la presenza degli sconfitti abbondi anche nella Chiesa. Non la si vuole vedere, non le si vuole dare voce e l’afasia fa parte della patologia. Testa tuttavia vero che molti nella chiesa non hanno più speranza per il suo futuro, non credono più al “sogno” (lo chiamano così) di Giovanni XXIII espresso nel Concilio. Ma quando viene meno la speranza, viene meno la fede e si raffredda la carità, della Chiesa che cosa resta?

Eppure risultare sconfitti non significa avere torto ! Diceva Abba Pambo a Giovanni che piangeva perché sconfitto dal demonio: “Se sei nella sconfitta hai intrapreso la vita cristiana!”. Ai tanti che si credono sconfitti in questa Italia di oggi mai dire: “Siete fuori”, e sotto la cenere la brace riprenderà ancora.

  p. Enzo Bianchi                 “La repubblica”  14 agosto 2023

https://monasterosancesario.blogspot.com/2023/08/solo-i-patriarchi-conoscono-la-sconfitta.html

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202308/230814bianchi.pdf

La Dormizione e l’Assunzione di Maria. Il dogma che rende sacro il Ferragosto

Ferragosto, culmine delle vacanze estive e vacanza per eccellenza, è una festa italiana, raccontata negli ultimi decenni da scrittori e al cinema quasi come un Natale d’estate. Ma le sue origini affondano nell’antica religione romana. Secoli più tardi la ricorrenza viene fatta coincidere e coesistere con una celebrazione cristiana  importante: in oriente ricorda la «dormizione» della Madre di Dio e in occidente diventa la solennità di Maria «assunta» in cielo «in anima e corpo», oggetto nel 1950 dell’ultimo dogma  proclamato da un papa.

La festa originaria contrassegnava il periodo dopo la fine dei lavori agricoli ed era celebrata all’inizio del mese sextilis, cioè il sesto da marzo, quando secondo il calendario tradizionale romano cominciava l’anno.

Con una legge dell’8 avanti Cristo, ma forse alcuni anni prima, il nome del mese venne cambiato in onore dell’imperatore Augusto, e i giorni della sospensione dalle fatiche nei campi divennero così le feriæ Augusti, da cui deriva la denominazione di Ferragosto.

Con il primo giorno del mese iniziava dunque un tempo di riposo, che tra il 13 e il 21 s’incrociava con antichissime feste in onore delle divinità protettrici dei raccolti e delle coltivazioni, come Conso e Diana. Con il passare dei secoli si diffuse la consuetudine da parte dei proprietari terrieri di offrire a metà agosto un pranzo ai contadini, e nelle diverse regioni si radicarono usanze gastronomiche tuttora mantenute. Fu poi il fascismo a facilitare tra il 13 e il 15 gite di uno o tre giorni grazie a biglietti ferroviari scontatissimi, modernizzando ed estendendo a larghe fasce della società, che ignoravano le vacanze, le antiche «ferie di Augusto».

 A un altro imperatore, il bizantino Maurizio, si fa invece risalire verso la fine del VI secolo la fissazione alla data del 15 agosto della festa cristiana. Forse legata alla dedicazione di una chiesa a Gerusalemme, la celebrazione della Dormizione della Madre di Dio passò in occidente alcuni decenni più tardi – al tempo di papa Teodoro I, originario di Gerusalemme – e con il tempo prese il nome di Transito o Assunzione della Vergine.

Celebrata come festa ancora prima della fissazione alla data del 15 agosto, la credenza nella «dormizione» di Maria – che si addormenta per risvegliarsi con il corpo in cielo – inizia a diffondersi probabilmente già nel III secolo ed è poi raccontata da decine di testi (e centinaia di manoscritti) in greco, latino, siriaco, copto, etiopico, arabo, armeno, antico irlandese, georgiano, slavo. Il termine greco (kòimesis, in latino dormitio) indica l’assopimento o il riposo del sonno, e si ritrova nel vangelo secondo Giovanni, quando Gesùresuscita Lazzaro. La stessa idea viene resa dal latino transitus, che dà il titolo a diverse narrazioni della morte di Maria, tutte apocrife.

Nella Bibbia infatti non vi è cenno al destino della madre di Gesù, che nel vangelo di Giovanni assiste al supplizio del figlio ai piedi della croce. Un altro libro del Nuovo Testamento, gli Atti degli apostoli, la descrive riunita in preghiera insieme agli apostoli, alle donne e ai «fratelli» di Gesù dopo l’ascensione di Cristo in cielo. Poi più nulla. Del resto – se si eccettuano i primi due capitoli del vangelo di Luca – nei vangeli Maria resta sullo sfondo e quasi non parla.

Maria nei testi biblici. Compensano il silenzio dei testi biblici canonici, già dal II secolo, le interpretazioni teologiche dei più antichi autori cristiani (Ignazio di Antiochia, Giustino, Ireneo) e quindi l’infittirsi di vangeli e scritti apocrifi: sulle origini e l’infanzia di Maria, da una parte; e dall’altra, i testi sulla sua morte e sul suo destino straordinario.

   Tiziano 1518 Raccontano questi apocrifi che, dopo l’ascensione di Gesù, sua madre riceve a Gerusalemme da un angelo una palma – o un libro, secondo la tradizione etiopica – e l’annuncio della propria morte. Circondata da Giovanni e dagli apostoli Maria muore ed è Cristo stesso ad accogliere la sua anima. I giudei tentano invano di bruciare il corpo della Vergine, ma questo, posto in una tomba, dopo tre giorni viene miracolosamente portato in paradiso per ricongiungersi con la sua anima.

La credenza, molto antica, si diffonde enormemente. Nel calendario bizantino la Dormizione è una delle «dodici grandi feste»: preceduta da un rigoroso digiuno di quattordici giorni, è l’ultima dell’anno liturgico – che nel rito bizantino si conclude con la fine di agosto – e un’altra celebrazione della Madre di Dio, la festa della sua Natività che ricorre l’8 settembre, è la prima del nuovo anno.

Una giornata di preghiera di ringraziamento per il creato e per la sua salvaguardia segna il 1° settembre il capodanno bizantino. Segno dei tempi, la decisione – presa nel 1989 da Demetrio, patriarca di Costantinopoli, e confermata dal suo attuale successore Bartolomeo – è stata dal 2015 estesa alla chiesa cattolica per volere di papa Francesco.

«Nella tua maternità hai conservato la verginità, nel momento della tua dormizione non hai abbandonato il mondo, Madre di Dio, sei passata alla vita; tu che sei la madre della vita, salva le nostre anime dalla morte con le tue preghiere» cantano i fedeli bizantini. «La tomba e la morte sono stati incapaci di afferrare la Madre di Dio» perché «lei è stata trasferita alla vita da colui che è stato nel suo seno verginale» sottolinea un altro testo. Gli inni liturgici esprimono dunque il contenuto della festa raccontato dagli apocrifi: Maria – creatura eccezionale in quanto madre di Cristo – muore come ogni essere umano ma è preservata dalla corruzione del sepolcro.

Paralleli sono gli sviluppi dottrinali. Nel 431 a Efeso, dove sono radicate tradizioni sulla Vergine e sull’apostolo Giovanni, il terzo concilio ecumenico – grazie all’intelligente e spregiudicato patriarca alessandrino Cirillo, che ha il sopravvento sul collega costantinopolitano Nestorio – consacra definitivamente per Maria il titolo di theotòkos («madre di Dio»), caro ai fedeli almeno dal III secolo, come documenta un papiro. Molto importante nel cristianesimo sia orientale che occidentale, la festa viene raccontata anche da una rigogliosa e abbondante iconografia. Nelle icone orientali Cristo accoglie l’anima di Maria raffigurata come una bimba in fasce; in occidente, l’affresco di Filippo Lippi, nel duomo di Spoleto dedicato all’Assunta, rappresenta nell’abside – sotto quello dell’incoronazione della Vergine in cielo – la sua dormizione; e più tardi innumerevoli dipinti esaltano l’Assunzione.                                                                                                              https://youtu.be/kzhHmsOnq1Y?t=511

Ma in età moderna il culto mariano alimenta aspre controversie tra protestanti e cattolici. Lo scontro viene acuito da due dogmi: nel 1854 l’«immacolata concezione», che definisce Maria esente dal peccato originale, poi nel 1950 l’Assunzione. Entrambe radicate in credenze antiche e condivise dai cristiani d’oriente, le solenni dichiarazioni sono precedute da richieste e consultazioni dell’episcopato mondiale, ma autorevoli prelati e teologi cattolici vi si oppongono. Questi ritengono infatti, non a torto, che la proclamazione papale del 1950 – la prima a godere dell’infallibilità decretata nel 1870 dal concilio Vaticano I – non sia necessaria e renda più difficile il rapporto con le altre confessioni cristiane. Il rinnovamento del Vaticano II e la nuova impostazione della teologia mariana promossa da Paolo VI con il documento Marialis cultus del 1974 smussano le difficoltà e sulla Madonna non vi sono più le controversie di un tempo.

www.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_exhortations/documents/hf_p-vi_exh_19740202_marialis-cultus.html

Il dogma. La definizione dell’Assunzione viene proclamata da Pio XII in una delle ultime celebrazioni dell’anno santo, definito dopo la seconda guerra mondiale quello del «grande ritorno». È il 1° novembre 1950 e il pontefice celebra in una piazza San Pietro stracolma di fedeli, e con la costituzione apostolica Munificentissimus Deus dichiara come «dogma rivelato» che «l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».

www.vatican.va/content/pius-xii/it/apost_constitutions/documents/hf_p-xii_apc_19501101_munificentissimus-deus.html

 Carl Gustav Jung, α1875-ω1961, psicoanalista, filosofo considera la decisione di papa Pacelli l’avvenimento dogmatico più importante dai tempi della riforma protestante perché l’Assunzione rappresenta un ritorno della materia verso lo spirito e nello stesso tempo un forte riconoscimento della femminilità. Insomma, secondo Jung, il dogma cattolico segna un superamento dello stadio patriarcale con «l’annuncio di una reintegrazione del principio femminile, dunque di una restaurazione della totalità divina nella coscienza umana» ha riassunto Christiane Maillard. Che sintetizza così il significato profondo dell’affascinante festa di mezza estate.

Giovanni Maria Vian, α1952,storico                      editoriale “Domani”      13 agosto 2023

www.editorialedomani.it/idee/cultura/la-dormizione-e-lassunzione-di-maria-lultimo-dogma-papale-che-ha-reso-solenne-il-ferragosto-cqajab4i

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202308/230813vian.pdf

SACERD0TI

Celibato dei preti nuove prospettive

Novecento anni fa il Concilio lateranense I – celebrato a Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano – ribadì l’obbligo del celibato, per i sacerdoti. Era un tentativo di stroncare il concubinaggio del clero, una piaga allora assai diffusa.

Già dal quarto secolo era andata differenziandosi, in proposito, la prassi della Chiesa occidentale (latina) da quella orientale (bizantina). Nella prima si era imposto, pur tra contrasti, il celibato dei preti; ma, nella seconda, esso era richiesto solo per i vescovi. Successivamente, in Occidente si ribadì il “no” ad ogni cambiamento; tuttavia, a metà del Cinquecento, quando Martin Lutero si oppose risolutamente al celibato dei preti, al Concilio di Trento qualche vescovo, per arginare l’ondata di critiche che veniva dalla Germania protestante, suggerì di renderlo opzionale; infine, l’Assemblea ribadì le severe norme date dal Lateranense I nel 1123.

Al Vaticano II, nel 1965, Paolo VI impedì una libera discussione sul problema e il Concilio confermò le antiche normative; nel contempo esso approvò la prassi delle Chiese cattoliche orientali (per lo più ex bizantine) che mantenevano opzionale il celibato dei preti.

La questione, adesso, si ripropone, anche se in un contesto sociale assai diverso. Il Sinodo sull’Amazzonia nel 2019 propose al papa la possibilità di ordinare preti, laggiù, i diaconi già sposati; ma, finora, Francesco ha ignorato il suggerimento. Intanto, dalla Germania è venuta la proposta del “Synodaler Weg” (una specie di Sinodo nazionale), di non rendere obbligatorio il celibato dei preti.

Il tema, non più rinviabile, dovrà adesso essere discusso al Sinodo dei vescovi che si terrà in Vaticano nel prossimo ottobre e, forse, poi ridiscusso nella seconda sessione di quell’Assemblea che sarà celebrata nel 2024. Si prevede che il dibattito sarà infuocato; non sarà facile mutare una normativa che dura da quasi un millennio. Però il tema incombe: oggi numerose persone, giovani ma anche adulte, sarebbero, forse, disposte a dedicarsi alla Chiesa come servitori delle comunità parrocchiali: non come celibi, tuttavia, ma accompagnati dalla loro donna. Perché mai, si chiedono, obbligare i chierici al celibato, quando Gesù guarì la suocera di Pietro che i cattolici considerano il primo papa? D’altronde, in molte zone – anche nella nostra Regione – sono pochissimi i nuovi presbiteri. Sarà mai possibile affrontare la situazione della carenza di preti, unificando una decina di parrocchie con un solo parroco? Dunque, la penuria di preti, celibi o sposati, potrebbe essere l’occasione per ripensare dalla radice una Chiesa clericale e maschilista che infine accetti di trasformarsi per cercare di diventare una comunità dove si decidono insieme le cose da fare e i ministeri (servizi) da affidare, a prescindere dal sesso e dallo stato sociale.

Ma l’impresa è enorme e supera la capacità di un Sinodo: e, forse, solo un nuovo Concilio, di “padri” e di “madri”, potrebbe arditamente affrontarla.

 Luigi Sandri (α1939) “L’Adige”             14 agosto 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202308/230814sandri.pdf

SINODO

La Chiesa alla prova del Sinodo; due sguardi? Il concreto dello Spirito

Questa breve e rudimentale riflessione parla di due cose, apparentemente molto diverse, riferite una alla Chiesa tutta intera, da due anni convocata in Sinodo, e l’altra a una realtà locale, di portata circoscritta.

In realtà si parla di una cosa sola, cioè della fatica e delle contraddizioni di una Chie-sa sinodale, prendendo le mosse da una domanda che echeggiava già all’inizio del Documento preparatorio, ripresa ora nel primo paragrafo dell’Instrumentum Laboris (IL), «come si realizza oggi, a diversi livelli (da quello locale a quello universale), quel «camminare insieme» che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?».

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/06/20/0456/01015.html

Tra fase narrativa e fase sapienziale. Il processo sinodale, che nella prima fase («narrativa», sta ora per aprirsi quella cosiddetta «sapienziale», a cui dovrebbe seguire la fase «profetica»: la tripartizione di sapore biblico riecheggia il metodo vedere-giudicare-agire della Joc), si è svolto nelle Chiese locali giunge ora alla seconda fase, la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, in due sessioni.

Inizialmente prevista una sola sessione(ottobre 2023), ora sdoppiata con l’aggiunta di un’altra sessione nell’ottobre 2024. Anche all’Assemblea sinodale sarà chiesto di mettersi in un ascolto profondo delle situazioni in cui la Chiesa vive e porta avanti la propria missione: solo quando risuona in un contesto specifico, l’interrogativo di fondo sopra ricordato acquista concretezza e ne risalta l’urgenza missionaria. (IL n. 5; cfr. LG 23).

L’IL è stato pubblicato Il 20 giugno 2023 e indiscutibilmente si presenta come un bel testo, ricco di interesse per il lettore anche occasionale. Come ripetutamente sottolineato dagli estensori, intende essere, appunto, solo uno ‘strumento di lavoro’: né un documento magisteriale né una pubblicazione di valore sociologico che scaturisce da un’indagine scientifica.

Secondo uno dei presentatori, il card. Hollerich, non è solo un documento da leggere, ma soprattutto «da vivere». I  destinatari immediati sono quelli che parteciperanno all’Assemblea sinodale, anche se è prevedibile e auspicabile che i lettori, tra prima e dopo, saranno molti di più; intanto una giusta istanza di trasparenza ecclesiale ha spinto a rendere pubblico il testo. In realtà non l’Instrumentum, che è probabilmente quanto di meglio si poteva realizzare nell’attuale fase di trapasso ecclesiale, ma proprio il Sinodo può risentire, al di là della buona volontà delle persone coinvolte, di un difficile equilibrio tra la sincera disponibilità a camminare insieme e il persistere quasi indisturbato di coordinate chiaramente non democratiche e nemmeno trasparenti all’interno della Chiesa.

È comprensibile: il codice di Diritto canonico (che ancora avviene di sentir chiamare «il nuovo Codice», anche se ha ormai la rispettabile età di quarant’anni e li dimostra tutti) con i suoi limiti sempre più evidenti, non ha ancora avuto il tempo di farsi modificare seriamente dal Sinodo. Anche il metodo seguito nei primi due anni di lavoro, quello della «conversazione spirituale» di derivazione ignaziana, è senz’altro utile e importante per sviluppare al proprio interno l’atteggiamento di ascolto fiducioso e non giudicante; non ci nascondiamo però che, se dovesse essere l’unico metodo accolto e raccomandato dal Sinodo, potrebbe apparire come un modo di evitare il contraddittorio, di ignorare le contraddizioni nell’impossibilità di eliminarle. Senza dubbio è difficile per gli uomini di chiesa, come forse per tutte le persone abituate a insegnare e dirigere, ascoltare con mente e cuore ricettivi, senza immediatamente pronunciarsi sull’accettabilità o meno di ciò che viene detto.

Fin dall’inizio i commenti ai lavori sinodali hanno evidenziato la volontà negli organizzatori di evitare di mettere all’ordine del giorno alcuni temi ‘caldi’ che potrebbero risultare particolarmente divisivi (solo due esempi: non è prevista una discussione approfondita sul ruolo delle donne nella chiesa, né sembra si debba affrontare il problema degli abusi). Tanto più apprezzabile risulta perciò che l’IL preveda il caso che l’assemblea si trovi interpellata da qualche tema fuori odg, che non deve essere ignorato.

Il Sinodo non può rispondere a tutto. L’assemblea sinodale nella sua prima parte si terrà dal 4 al 29 ottobre 2023. Per volontà di papa Francesco, è prevista una seconda fase nell’autunno 2024. Solo a quel punto si completerà quella particolare dinamica di ascolto in cui «ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo ‘Spirito della verità’ (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli ‘dice alle Chiese’ (Ap 2,7)», come si espresse papa Francesco nel 2015, nel suo discorso per il cinquantenario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi. I lavori non si svolgeranno nell’aula sinodale, ma nell’aula Paolo VI, non solo più bella, ma molto più ampia, che dà quasi plasticamente l’idea dell’evoluzione avvenuta nell’idea di sinodalità.

Sono previsti 70 partecipanti in più. Sono aumentati i rappresentanti cooptati dal papa, con diritto di voto, tra cui si trovano anche alcune donne (tutte religiose). Fin dall’inizio, il Sinodo ha scelto di focalizzarsi sulle chiese locali, benché con lo sguardo costantemente rivolto alla chiesa universale, e questo «richiede di tenere conto della loro varietà e diversità di culture, di lingue e di modalità espressive. In particolare, le medesime parole – pensiamo ad esempio ad autorità o leadership – possono avere risonanze e connotazioni molto differenti nelle diverse aree linguistiche e culturali, in particolare quando in alcuni luoghi un termine viene associato a precise impostazioni teoriche o ideologiche. L’IL si sforza di evitare un linguaggio divisivo…».

Viene ripetuto ciò che papa Francesco ha affermato in più occasioni: non a tutte le domande si potrà dare risposta. Almeno, non all’interno dell’assemblea sinodale. Anche perché (anche questa è un’idea espressa più volte da papa Francesco) la chiesa può avere una risposta pronta per ogni questione e, se presumesse di averla, si tratterebbe di risposte prefabbricate.

Naturalmente si sono udite voci critiche, o almeno sfiduciate, sulla lunghezza del processo sinodale, che ad alcuni sembrava già eccessiva; il coinvolgimento della maggior parte dei cattolici «di tipo medio», e anche di alcuni pastori, non appare del tutto convinta. Molti rispolverano un’obiezione che già diede molto da pensare a Paolo VI: come conciliare la sinodalità con la centralità (immutata) della Chiesa universale e con il ruolo del papa? Il trinomio originario «comunione, partecipazione, missione» ha subìto un leggero ma intenzionale spostamento («comunione, missione, partecipazione»), in cui molti hanno rilevato che la partecipazione è stata spostata un po’ in margine. Numerosi contributi avanzati nella fase preparatoria evidenziano la necessità di rinnovare il linguaggio della comunicazione ecclesiale in tutti gli ambiti.

                Un dicastero contro il Sinodo? La facoltà teologica di Bressanone alla metà di novembre del 2022

ha nominato Dekan, Preside) il prof. Martin Lintner, (α1972)  dei Servi di Maria, studioso e docente molto apprezzato di Teologia Morale.

Secondo la prassi tuttora in vigore – forse abolendola si farebbe più onore alla Chiesa –, l’elezione era stata sottoposta al «nihil obstat» del dicastero per la Cultura e l’Educazione, alle cui spalle si staglia però, molto più influente e molto riconoscibile, il Dicastero per la Dottrina della Fede. Con il trascorrere dei mesi, l’atteso nihil obstat non arriva. Il 1° giugno infine arriva la comunicazione ufficiale del rifiuto. Secondo l’uso consolidato dell’ex-Sant’Uffizio, le ragioni vere del provvedimento non vengono spiegate, se si eccettua un accenno alquanto nebuloso alle «posizioni in materia sessuale» dell’indagato. Risulta che Lintner, per comune riconoscimento, è un teologo di grande valore, equilibratissimo, di provata fedeltà ecclesiale. La protesta energica e decisa arriva presto soprattutto da facoltà e istituzioni tedesche, dall’Associazione internazionale di teologia morale e etica sociale, dall’Associazione le facoltà cattoliche di teologia.

In un articolo molto bello pubblicato su Il Regno delle donne del 29 giugno, la teologa Cristina Simonelli sottolinea «la sfida che questo provvedimento lancia al Sinodo in corso: censura invece di ascolto, potere segretato invece di dialogo, pensiero rigido invece di audacia della riflessione, sfiducia lanciata non solo contro un singolo, ma contro una intera comunità di teologhe e teologi (…). Infine, ferisce il dubbio, purtroppo non nuovo, sulla perniciosa duplicità delle forme, quella affabile del discorso pubblico sulla riforma del cuore e quella pietrosa della irriformabilità (presunta) delle cosiddette dottrine…».

https://ilregno.it/regno-delle-donne/blog/parole-melliflue-e-pugno-di-ferro-il-dicastero-sfida-il-sinodo-cristina-simonelli

Il casus belli, a quanto pare risale a parecchi anni prima (proverbiali lentezze della chiesa!) quando il p. Lintner aveva pubblicato un libro sulla morale sessuale cattolica, intitolato “La riscoperta dell’eros: Chiesa, società e relazioni umane”, EDB 2015. Vi si affrontavano diversi temi ancora ritenuti ‘scottanti’ (contraccezione, omosessualità, divorziati risposati, rapporti prematrimoniali ecc.) ma alla fine venne accertato che Lintner non contraddiceva il magistero e affrontava le questioni in modo ortodosso, pur senza eludere le controversie.

Si avvertiva dietro il Dicastero per la Cultura e l’Educazione l’ombra del molto più influente dicastero per la dottrina della fede.

Non è impossibile che il blocco della nomina a preside del p. Lintner (altoatesino, dal cognome inequivocabilmente tedesco) celasse in realtà l’intenzione di mandare un ‘segnale’ alla chiesa tedesca, molto più avanzata e combattiva di quella italiana, come è emerso anche in occasione del Sinodo in corso.

E potrebbe entrarvi anche il passaggio di consegne ai vertici del Dicastero per la Dottrina della Fede. Il 1° luglio papa Francesco ha nominato il sessantenne mons. Victor Manuel Fernández (finora arcivescovo di La Plata, di orientamento riformista), prefetto del Dicastero e inoltre presidente della Pontificia Commissione biblica e della Commissione teologica internazionale. Assumerà la gestione effettiva dei suoi incarichi alla metà di settembre, subentrando al gesuita spagnolo Luis Francisco Ladaria Ferrer, che ha concluso il suo mandato per ragioni di età. Nella nota biografica che accompagna l’annuncio della nomina si specifica che Fernández «tra libri e articoli scientifici, ha più dii 300 pubblicazioni, molte delle quali tradotte in varie lingue». Scritti che «mostrano un’importante base biblica ed un costante sforzo di dialogo della teologia con la cultura, la missione evangelizzatrice, la spiritualità e le questioni sociali». A questo teologo, che ha collaborato con lui in alcuni documenti molto rappresentativi del suo pontificato, il Papa ha chiesto di incoraggiare la ricerca teologica, e ha ricordato che la Chiesa deve porsi in dialogo con «le questioni poste dal progresso della scienza e dallo sviluppo della società», criticando apertamente i modi in cui ha svolto il suo compito in passato.

Pur essendo locale, la vicenda ha avuto ampia eco ben oltre Bressanone. Diverse associazioni teologiche, e anche molti singoli studiosi, hanno preso le difese di Lintner, nel mondo germanofono ma anche in Italia.

Il teologo, d’accordo con il suo vescovo Ivo Muser che lo appoggia pienamente, ha deciso di non appellarsi contro il veto. Il vescovo comunque ha auspicato «che le questioni dibattute vengano chiarite in modo concreto e costruttivo (…). Ciò può avvenire», ha spiegato, «solo con colloqui approfonditi, pazienti e aperti».

Dopo l’iniziale silenzio, con grande sobrietà il prof. Lintner ha parlato di un «problema istituzionale», sfumando il caso personale, cioè il trattamento riservato a lui, e ricordando invece «la rabbia e l’impotenza di moltissime colleghe e colleghi che si sono trovati di fronte a problemi e ostacoli analoghi nel corso della loro attività accademica», esprimendo infine la speranza che il proprio caso potesse contribuire a «costruire un rapporto costruttivo di fiducia e di dialogo tra il Magistero e la teologia accademica, tra i dicasteri e le associazioni teologiche, le facoltà e gli studi teologici».

Sembra che la questione non sia chiusa, e si è convenuto di prorogare di un anno il mandato dell’attuale preside «per maturare insieme le questioni emerse che hanno coinvolto anche altri Dicasteri».

La proroga del mandato del predecessore significa che la candidatura Lintner è ancora in piedi. L’ultima parola non è ancora detta, ma si comincia a scorgere la possibilità di uno scioglimento positivo della vicenda.

 Lilia Sebastiani (α1955)                “Rocca” n. 16, pag.46                   15 agosto 2023

https://rocca.cittadella.org/rivista/rocca/#rocca16e17parteainternet/46

Enzo Bianchi “Una radicale novità nella vita della Chiesa”

Da più di due anni seguiamo lo svolgimento del Sinodo registrando le esitazioni e soprattutto le domande poste dal popolo di Dio e dai vescovi stessi circa le procedure che si sarebbero adottate per la sua realizzazione. Di decisiva importanza era stata l’emanazione da parte di papa Francesco della costituzione apostolica Episcopalis communio nel 2018: con quel documento si confermava e si precisava il cammino sinodale come necessitas per la Chiesa di oggi e di domani, «la grande sfida per la Chiesa nel Terzo millennio», ma non si indicavano mutamenti nella celebrazione rispetto ai Sinodi del recente passato istituiti da Paolo VI.

Eravamo, perciò, in attesa di interventi del Papa, di indicazioni sullo svolgimento del Sinodo a partire dall’assemblea dell’ottobre prossimo a Roma, che sarà seguita da un’altra sessione nel 2024, così da permettere un confronto, un tragitto meditato su cui l’opera del tempo possa lasciare il segno e favorire la maturazione di ciò che nel Sinodo sboccia.

Non sono un pessimista e non sono neppure tentato dalla papolatria: ho ricevuto e assunto come postura personale un rigoroso senso della misura, frutto di valutazione e confronto. Perciò liberamente mi sento di dire che con l’intervento di Francesco, esposto da un comunicato della segreteria del Sinodo (27 aprile 2023), finalmente si è stabilita una procedura sinodale che segna una radicale novità nella vita della Chiesa. Non amo definire le innovazioni di papa Francesco una rivoluzione, ma certamente questa è una “riforma”, la prima vera riforma tentata da questo Papa.

Che cosa è stato legiferato? Dopo secoli, quelli della Chiesa primitiva nata dalla Pentecoste, comincia a cadere quel muro di separazione tra gerarchia e popolo, tra chierici e semplici fedeli, e anche in parte tra uomini e donne, che aveva determinato il volto dell’assemblea ecclesiale.

Com’è noto finora ai Sinodi, detti con ragione Sinodi“ dei vescovi”, nella Chiesa cattolica erano ammessi alcuni chierici, normalmente capi di istituti clericali di vita religiosa, in numero ristretto (una decina, su duecento vescovi), ed erano escluse sia le religiose (monache e suore), sia i monaci e i religiosi laici. Non si prendeva neanche in considerazione la partecipazione di semplici fedeli che insieme agli altri padri sinodali potessero con il voto manifestare il loro parere. Per nomina diretta di Benedetto XVI ho partecipato a due Sinodi come esperto e per nomina diretta di Francesco ho partecipato al Sinodo sui giovani: nei primi due ho potuto intervenire se interrogato da un vescovo, mentre nel terzo mi fu data la parola in aula più volte.

Era già una novità che stupiva molti, ma questa riforma di Francesco è, senza dubbi, un mutamento decisivo. Dunque, al Sinodo di ottobre avranno diritto di voto non solo tutti i vescovi presenti, ma anche dieci religiosi e dieci religiose rappresentanti della vita religiosa che li ha eletti, e poi anche settanta fedeli laici, uomini e donne, segnalati dalle Conferenze episcopali continentali in numero di centoquaranta e poi scelti dal Papa.

Accordando il potere di voto a sorelle e fratelli laici, religiosi o semplici cristiani, papa Francesco di fatto riconosce un’autorità del popolo di Dio e permette che questa si manifesti in un Sinodo dei vescovi. Si è detto che questo voto concesso ai fedeli non vescovi è «nel registro della memoria, non della rappresentanza», ma ciò che è importante è la partecipazione dei laici non solo alla fase preparatoria, ma anche alla celebrazione vera e propria del Sinodo, quella che  ha a che vedere anche con il frutto del discernimento, con le scelte e le possibili decisioni per il futuro della Chiesa.

Si potrà certo dire, per rassicurare quanti temono che il Sinodo dei vescovi venga snaturato, che i laici sono in numero di settanta (dunque in minoranza rispetto ai vescovi), che sono nominati e non eletti; ma anche per questa novità si può dire che non è ultima e definitiva.

Ciò che muta profondamente il Sinodo dei vescovi è l’assunzione delle votazioni da parte dei fedeli con la stessa autorità delle votazioni dei vescovi.

Il Sinodo, dunque, avrà un volto nuovo, sconosciuto anche alle Chiese ortodosse e orientali. Francesco all’inizio del suo pontificato era ancora titubante sulla sinodalità e qualche volta disse che noi cattolici dobbiamo impararla dagli ortodossi. Ma ora con queste innovazioni trascende le modalità storiche finora praticate e restituisce al popolo di Dio piena soggettività, rendendolo capace di esprimere il sensus fidei. Il Sinodo dei vescovi voluto da Paolo VI era un organismo- evento da celebrarsi in alcune settimane (due o quattro), mentre ora è diventato un processo, un cammino sufficientemente lungo per dare tempo di confrontarsi, ascoltarsi, conoscersi e fare discernimento per arrivare a una posizione motivata e comune.

Ci si chiede, quindi, se il voto nel Sinodo sarà decisivo, cioè atto a deliberare e in base a quale principio.

Sono convinto che nella Chiesa, che è un’assemblea di fede, il corpo di Cristo, e non l’assemblea di un partito politico, non debbano regnare criteri mondani. Abbiamo una tradizione sinodale attestata, soprattutto nella vita monastica. Quando ero priore avevo legiferato con il consiglio che l’assemblea dei membri della comunità chiamata in capitolo o in consiglio abbia, a partire da un ordine del giorno fissato prima, un tempo congruo per pensare e informarsi; deve ascoltare tutti, confrontarsi e discutere, senza paura dei conflitti; deve pregare lo Spirito santo, cercare una convergenza e poi esprimersi con un voto possibilmente segreto.

Ma non sarà il criterio di maggioranza ad autorizzare la decisione finale: questo sarà un criterio orientativo per l’autorità e per tutta la comunità, ma alla fine la decisione spetterà a chi presiede.

Certo, se l’autorità riscontra l’inesistenza di una maggioranza chiara, netta, dovrà prendere, se necessario, una decisione provvisoria per non paralizzare il cammino comunitario, ma si impegnerà a tornare sull’argomento e a rendere possibile una nuova valutazione e una nuova votazione.

Il rapporto tra maggioranza espressa con il voto e autorità è delicato e merita vigilanza. Chi presiede dovrebbe guardarsi dal guidare un capitolo, prevedere la discussione e poi non accogliere la maggioranza chiara e netta che vi si manifesta perché così frustra la comunità, salvo che la convinca che la decisione emersa è contro il Vangelo e rattrista lo Spirito santo. Chi presiede è il pastore e deve cercare l’unità a ogni costo!

Quell’“infarto del Sinodo” da molti preconizzato non c’è stato: non siamo ancora davanti alla “piramide capovolta”, ma il popolo di Dio è protagonista nel cammino sinodale. Certo ci sono miglioramenti da introdurre: si auspica che nei prossimi Sinodi i laici siano eletti come i vescovi e i religiosi, e non indicati e scelti dall’alto. Ma io spero soprattutto che si sappia parlare in verità del Sinodo, senza leggerlo come strumento scismatico, senza viverlo come luogo di rivendicazioni.

Se il Sinodo si realizza come un processo e un evento dell’ascolto – innanzitutto dello Spirito e del Vangelo – inizierà un cammino di riforma della Chiesa e si farà un passo verso l’unità visibile delle Chiese.

                Ma se questa riforma fosse un’operazione di maquillage, non solo la delusione sarebbe grande, ma non si coglierebbe un kairós per la Chiesa. Oggi ci sono papa Francesco, i cardinali Mario Grech e Jean-Claude Hollerich che con fermezza tengono il timone del processo sinodale.

                Non lasciamo cadere questa opportunità in cui ci sono uomini che ascoltano ciò che lo Spirito dice alla Chiesa.

p. Enzo Bianchi                 Vita pastorale                   giugno 2023

www.alzogliocchiversoilcielo.com/2023/08/enzo-bianchi-una-radicale-novita-nella.html

TESTIMONI

Il sorriso della speranza sfida per la politica

I primi commossi ricordi di monsignor Luigi Bettazzi — morto il 16 luglio scorso a quasi 100 anni — si sono giustamente concentrati sulla passione e sulla coerenza con cui ha testimoniato il Vangelo, sulla fedeltà al Concilio del quale era stato partecipe per poi divenirne coraggioso interprete, sulla sete di pace e di giustizia che è rimasta il motore incessante della sua vita.

Per questo ha cercato continuamente il dialogo e nel dialogo la verità che Dio ha iscritto nell’anima di ogni persona, soprattutto dei più piccoli, di chi più è nel bisogno. Il suo orizzonte non era certo limitato allo spazio politico.

Guardava oltre, alle speranze dell’umanità, alla Chiesa in cammino nella storia, al legame che non si può nascondere tra spiritualità e riscatto dei poveri. Tuttavia la radicalità evangelica e la profezia di monsignor Bettazzi hanno incrociato anche la politica, eccome, e riflettere sui segni rimasti impressi può essere utile ora che viviamo tempi di grandi mutamenti e anche di spaesamenti.

Scrisse lettere a leader di partito, a uomini delle istituzioni, a grandi capi azienda. Si fece interprete di istanze da altri taciute. Suscitò scandalo tra i benpensanti. Bettazzi usava toni garbati, ma i contenuti erano forti. Non vedeva nemici, tuttavia non nascondeva critiche e dissensi. Il dialogo non doveva servire ad attenuare le diversità ma a essere sinceri, autentici, e a ricercare i passi per camminare insieme.

Lo scambio più famoso è certamente quello con Enrico Berlinguer, tra il 1976 e il 1977, anche per l’impegnativa risposta che il segretario del Pci diede allora [dopo un anno] al vescovo di Ivrea: un partito non teista, non ateista, non anti-teista; in uno Stato anch’esso non teista, non ateista, non anti-teista. Questo il profilo di laicità che Berlinguer volle disegnare, sollecitato dalle contestazioni di monsignor Bettazzi per l’“assolutezza” del materialismo dialettico e le forme oppressive, anti-religiose, del “comunismo reale”. Peraltro, la laicità necessaria in un sistema pluralista e democratico aveva bisogno di definire una nuova cordialità, una positiva collaborazione con il sentimento religioso, e la sua vocazione trascendente. Berlinguer ribadì che la coscienza religiosa non era riducibile al privato ma anzi poteva dare un contributo importante al cambiamento sociale (anche in senso “socialista”, scrisse).

Bettazzi si trovò così a registrare non solo un superamento della vulgata marxista sulla religione “oppio dei popoli” ma anche un arricchimento del concetto di laicità che — come si è visto in seguito — non è affatto scontato nel mondo contemporaneo. Laicità non è scomparsa della fede dallo spazio pubblico ma libertà anche della religione e suo riconoscimento come fonte di conoscenza, come forza propulsiva, come generatrice di idee e di prassi, ovviamente in contesti democratici e pluralisti.

Certo, monsignor Bettazzi non si fermava alle parole e alle buone intenzioni. Era nel concreto che misurava i propositi. Perché è nel concreto che i poveri soffrono, che le ingiustizie si compiono, che la volontà di potenza sfregia la pace. A Benigno Zaccagnini, appena divenne segretario della Dc, scrisse che la coerenza cristiana del suo partito sarebbe stata giudicata dall’azione effettiva per l’equità sociale e per l’uguaglianza. Da presidente di Pax Christi denunciò il commercio delle armi, sfidando il potere della gigantesca industria bellica, e neppure le bombe lo fermarono quando si trovò — insieme a don Tonino Bello e a un gruppo di volontari — a marciare a Sarajevo, nel pieno della guerra dei Balcani, per chiedere lo stop allo sterminio, alla distruzione, all’odio etnico.

Forzare il realismo politico. È una sfida umana che può trarre spinta dalla spiritualità evangelica. Bettazzi ha provato a tradurre spes contra spem, non si è curato dei tanti scettici. Tuttavia non ha mai nascosto che l’azione politica, per quanto ben riuscita, conterrà sempre un’insufficienza, provocherà sempre un non pieno appagamento. Proprio in questa imperfezione c’è una grandezza che un giovanissimo Aldo Moro seppe descrivere con parole toccanti: «Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino».

Il sogno di monsignor Luigi Bettazzi era riproporre la fraternità, anello debole del trinomio rivoluzionario francese, come valore e come progetto. Era stato nominato vescovo nell’anno (il 1963) in cui Giovanni XXIII distingueva l’errore dall’errante, i movimenti storici dalle ideologie che li avevano originati. Il nuovo umanesimo era il suo cantiere “politico” aperto. Con il sorriso esprimeva fiducia, speranza. Perché c’è una trascendenza, un desiderio dell’oltre, che soffia in tutte le coscienze umane. Non servono dunque fortezze per difendersi. La Chiesa in uscita è forse l’espressione di Papa Francesco più congeniale alla vita di Bettazzi. Se la spiritualità del Vangelo irrigasse, un po’ di più, il terreno dell’umanità in cerca di giustizia, anche la politica concreta non potrebbe restare insensibile.

Claudio Sardo, α1958          L’Osservatore romano   17 agosto 2023

www.osservatoreromano.va/it/news/2023-08/quo-187/il-sorriso-della-speranza-sfida-per-la-politica.html

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202308/230817sardo.pdf

La lectio magistralis di monsignor Bettazzi: «La sfida è annunciare il valore della persona»

Pubblichiamo qualche significativo stralcio della Lezione magistrale intitolata “Politica e impegno etico” tenuta da monsignor Luigi Bettazzi nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Torino il 23 giugno 2000, in occasione del conferimento della Laurea honoris causa in Scienze Politiche-Storia del Pensiero Politico Contemporaneo.  Rettore il professor Rinaldo Bertolino. Laudatio del professor Gian Mario Bravo.

* * * * *

La storia dell’umanità rileva costantemente situazioni di dominio, di oppressione, di sfruttamento da parte di chi è più forte – fisicamente o intellettualmente – nei confronti di chi è più debole o meno dotato. Via via i più deboli si organizzano e ottengono liberazioni ed autonomie, facendo convergere la società verso i livelli di più consistenti omogeneità ed uguaglianze.

Attraverso rivoluzioni ed evoluzioni questa partecipazione allargata di tutti i cittadini alla gestione della vita associata – il potere del popolo, la democrazia – diventa una meta ideale a cui le varie aggregazioni tendono o dovrebbero tendere, come all’espressione più tipica della consapevolezza della pari dignità di ogni essere umano. Ma poiché è ineliminabile dall’agire umano la ricerca del benessere e della sicurezza per la propria individualità, e chi gode di maggiori capacità è portato ad utilizzarle limitando le possibilità degli altri, occorre che vi siano costantemente nella società germi e forze di riequilibrio che richiamino i grandi ideali comuni e vengano incontro ai settori più disagiati o emarginati.

Nella storia si sono sempre riscontrate iniziative di solidarietà verso le persone o le categorie più deboli, anche per iniziativa di ambiti religiosi, sensibili ad una fondamentale uguaglianza degli esseri umani nei confronti della divinità. E nella nostra storia occidentale si sono rivelate determinanti la presenza e l’azione del Cristianesimo, una religione che riconosce Dio fatto uomo per l’amore dell’umanità, di tutta l’umanità e di ciascun essere umano, proprio cominciando dai più piccoli e dai più deboli. Potrei ricordare come in questa direzione si siano mosse alcune iniziative della Chiesa che è in Ivrea: dalla casa dell’Ospitalità per le persone più emarginate alla Casa della Solidarietà per tossicodipendenti, alla casa di Abramo – in collaborazione con altre Confessioni religiose – per Terzomondiali, fino a collegamenti con popolazioni in difficoltà in Brasile, in Burundi, in Vietnam.

È in questo panorama – politico in senso più vasto e aperto agli impegni più specifici, come quelli dei partiti – che mi son trovato ad agire come vescovo, cioè responsabile di una comunità che, muovendosi in ambito religioso, tanto più in ambito territoriale e culturale influenzato dal messaggio cristiano, doveva tener conto di come l’evolversi della società imponesse al pensiero cattolico di aprirsi alla socialità, alla luce del Vangelo ma nelle prospettive offerte dai nuovi riferimenti del vivere comune.

                Nel concreto della mia missione non potrei non preoccuparmi della difesa dell’occupazione delle persone di fronte alla tendenza a far prevalere l’economia (che spesso è in concreto la salvaguardia degli interessi della proprietà), con iniziative di solidarietà, dalla partecipazione all’occupazione simbolica di un’autostrada o alle marce di sensibilizzazione fino alle Lettere aperte rivolte ai responsabili della politica o delle industrie. Ma soprattutto dovevo costantemente sollecitare la comunità cristiana a non chiudersi nell’ambito esclusivamente culturale o caritativo.

La sfida – culturale e sociale – era ed è quella di annunciare il valore della persona, della libertà, della democrazia, ma di denunciare contemporaneamente quanto apertamente o copertamente contrasti questi ideali, tanto più in un tempo in cui il fallimento dell’esasperazione ideologica del collettivismo sembra consacrare le esasperazioni contrapposte dell’individualismo personale o sociale.

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Il 16 luglio è morto, ad Albiano d’Ivrea, il vescovo emerito di Ivrea. Il pensiero del monsignore in un compendio curato dal giornalista Passera con frasi tratte da interviste e testi raccolti nel corso di tre decenni

Monsignor Bettazzi in montagna (archivio Torra)

Il pensiero di monsignor Luigi Bettazzi dalla A alla Z con frasi tratte da interviste e scritti

A come ARMI «Vedere nel 1970 un vescovo, al termine di una Marcia della Pace di Capodanno, partecipare a un sit-in davanti al carcere militare di Peschiera dove erano detenuti gli obiettori di coscienza o sottoscrivere proteste contro la produzione ed il commercio di armi era come (mi disse qualcuno) “vedere un marziano”». (1996)

A come ATEO (a 18 anni) «Ho pensato che il discorso potesse partire dal tipo di fede più sicura e più diffusa tra voi giovani, che è la fede nell’uomo. Di qui si potrà passare a incontrare Gesù Cristo, l’uomo che si rivela superiore all’uomo». (1982)

B come BERLINGUER «Uno degli effetti più evidenti della lettera che scrissi all’onorevole Berlinguer fu quello che, trovandomi molto bene in questa diocesi, mi fecero rimanere a Ivrea per 32 anni, fino alla pensione… Berlinguer aveva espresso la sua volontà di incontrarmi, ma rifiutai a seguito della dichiarazione pubblica del cardinale Albino Luciani (futuro Papa Giovanni Paolo I, nda) il quale aveva detto chiaramente che io non potevo parlare a nome della Chiesa». (2014)

B come BERLUSCONI «La “mentalità vincente” dell’onorevole Berlusconi può diventare un pericolo per la democrazia. Nel campo dell’industria, come in quello dello sport, il proprietario è padrone assoluto: lui rischia, lui paga… Il suo governo può contare su un’opinione pubblica manipolata dalle televisioni». (1995)

C come CONCILIO «Partecipare a quell’evento è una delle grazie più grandi che Dio mi ha concesso. (2001) Il Concilio ha orientato tutta la mia missione pastorale: dalla prima lunga visita pastorale, imperniata sulle quattro Costituzioni conciliari (riassunte nel documento “Cristo ci unisce per pregare e per servire”) ai due Sinodi, quello del 1984-86 proprio sulle quattro Costituzioni, e quello del 1998-99 sulla parola di Dio, da cui era partito tutto il rinnovamento conciliare. La piena attuazione del Concilio Vaticano II costituisce il programma e la speranza della Chiesa per il Terzo Millennio. Non a caso Papa Giovanni Paolo II l’ha sottolineato negli ultimi documenti e l’ha raccomandato anche ai laici al termine del Giubileo del 2000». (2002)

D come DIOCESI «Pensando ai 1.600 anni di vita della Diocesi, l’ho salutata come “figlia della storia”, l’ho esortata ad essere “sorella della storia” accompagnandola nella sua evoluzione e nei suoi problemi, ed a sentire nello stesso tempo la responsabilità di divenire “madre della storia” attraverso l’influsso della fede, della carità, della speranza dei suoi membri». (1996)

D come DICO (Diritti Conviventi) «Il disegno di legge del Governo Prodi sui Diritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi rappresenta una soluzione abbastanza ben fatta, benché sia una soluzione che forse scontenta tutti, perché cerca di accontentare tutti. C’è il riconoscimento dei diritti senza arrivare a paragonare ogni convivenza con un matrimonio». (2007)

E come ECUMENICO «La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani intende richiamarsi alla volontà e alla preghiera di Gesù – che tutti i suoi discepoli siano una cosa sola, come il Padre e Lui sono una cosa sola – di fronte alle divisioni che ancora lacerano l’unità cristiana, rendendone anche meno efficace la testimonianza. (1986) Un esempio di incontro ecumenico di preghiera: a Borgofranco l’assemblea è stata presieduta da un vescovo cattolico con omelia di un sacerdote ortodosso e di un Pastore valdese. Un importante segno dei tempi, un passo significativo nel cammino verso l’unità dei cristiani». (1997)

E come EUROPA «L’Europa deve affrontare in modo più concreto, più consistente il rapporto con il mondo meno sviluppato. Non dobbiamo lasciare che i paesi ricchi programmino il mondo a esclusivo loro interesse, imponendo e minacciando sempre di più la grande maggioranza dell’umanità». (1997)        

F come FAMIGLIA «La mamma non poteva non ricordare le tensioni delle campagne emiliane, sfociate a volte in violenze antiborghesi e anticlericali. Il babbo militava tra i “popolari”, ed ebbe a soffrire notevoli difficoltà da parte del fascismo». (1977)

                F come FEDE «La fede è la risposta che l’uomo dà con tutto se stesso all’invito che Dio gli fa, di essere una cosa sola con Lui. E poiché Dio, offrendo all’uomo di partecipare alla Sua stessa vita, lo salva dal male che è nel mondo, lo libera dall’egoismo, dal peccato, dal disordine individuale e collettivo, la fede diventa accettare da Dio l’offerta della liberazione e della salvezza». (1971)

G come GERARCHIA «La Gerarchia della Chiesa non dovrà stancarsi di contestare a sé stessa uno stile autoritario e dominatore, in contrasto con la sua funzione di servizio e con il dovere del dialogo; ma la Comunità tutta dovrà contestare il proprio formalismo, la propria comoda acquiescenza a schemi superati, talora il proprio servilismo e la propria pusillanimità, la mancanza di iniziative, l’eccessiva ricerca della protezione e dell’appoggio del potere civile e di quello economico». (1969)

G. come GIOVANI «Forse dovremmo pensare anche ai nostri figli (dico in generale!). Qualcuno ha osservato che non si fa molto per i giovami, soprattutto per i più poveri. Un tempo i nostri Oratori erano un luogo di ritrovo e di vita; oggi si dice che tocca alle istituzioni civili offrire spazi culturali e ricreativi per i giovani. Ma se queste non fanno ancora (e noi non facciamo più) non possiamo poi lamentarci che i giovani si trovino allo sbando… Credo che dovremmo tutti riflettere. Ed anche rimboccarci le maniche». (1998)

G. come GIOVANNI PAOLO II «Quando sollevai a Giovanni Paolo II i problemi pastorali più urgenti (dalla pastorale dei divorziati a quella dei Movimenti, alla Comunione in mano che non si concedeva perché “sgradita al Papa”), lo feci ritenendolo un dovere di leale collaborazione, pur sapendo che poteva invece essere sentito come contestazione polemica. Forse, a riconquistare la cordialità, servirono anche le barzellette che più di una volta gli raccontai a tavola, in quelle occasioni. Almeno per alcune ottenni il sorriso». (2005)

H come HELDER (CAMARA) «Monsignor Helder Camara era realmente immerso nella vita del suo Brasile, partecipava alle sofferenze di tanta parte del suo popolo, vittima di ingiustizie e di emarginazioni, che egli cercava di mettere in luce e di combattere, facendosi pellegrino nel mondo per parlare di giustizia, di solidarietà umana, di promozione dei poveri della terra. Grazie, dom Helder, per quello che hai dato ai tuoi fratelli poveri, al mondo e anche a noi! (1999)

                I come IVREA «Quando mi hanno destinato a Ivrea, il suo nome mi era già familiare avendo all’epoca una zia suora a Vische (suor Maria Luisa, al secolo Giuseppina, nda). Al momento di decidere la mia destinazione Papa Montini si ricordò di quel particolare raccontatogli da mia madre e mi nominò vescovo di questa città che in trent’anni ho imparato a conoscere e amare. E mi accorsi ben presto che nella terra canavesana, e a Ivrea in particolare, convivevano due anime: una forte tradizione e una non comune spinta di rinnovamento». (1996)

I come IMMIGRATI «Temo un’immigrazione crescente. E qui voglio distinguere tre comportamenti: chi ha bisogno deve essere aiutato, l’immigrazione nel nostro paese deve essere regolata, occorre prestare consistenti aiuti ai paesi dai quali proviene l’immigrazione. Ognuno di noi deve rinunciare a qualche cosa in loro favore. Evitiamo però di ripetere, ad esempio, quanto è accaduto in Somalia, dove abbiamo inviato aiuti che si sono tradotti in spese non molto fruttuose per quel paese. Occorre varare un regolamento che faciliti l’immigrazione legale, bloccando così gli sbarchi clandestini, che spesso significano rafforzamento della criminalità». (1997)

I come INTERVISTE «Ammetto che l’intervista di “Cuore” (settimanale satirico, la cui intervista uscì il 15 ottobre 1994, nda) con le mie considerazioni sulla donna è stata una… mezza trappola. Avrei dovuto prevedere che con una scusa qualsiasi non mi avrebbero sottoposto il testo dell’intervista. Nel complesso devo dire che non mi sono pentito. Posso avere sconcertato alcuni, soprattutto adulti, e chiedo ancora scusa, ma credo di aver fatto pensare molti giovani, soprattutto quelli che non frequentano mai la chiesa o addirittura ne diffidano». (1995)

L come LERCARO «Credo che il Concilio abbia fatto evolvere il pensiero del Cardinal Lercaro (che pure ne fu uno dei protagonisti) e forse nemmeno completamente. Ma questo allora è un nuovo motivo di merito: l’aver cioè intuito il cammino del rinnovamento e, pur senza percorrerlo completamente, essersi fidato dei confratelli più pensosi e dei collaboratori… dello Spirito Santo». (1991)

L come LETTERE (APERTE) « Lo scrivere fa parte un po’ della mia… professione di vescovo. Io la vedo così: un modo per poter arrivare a tante persone che non potrebbero ascoltarmi e che invece, in questo modo, possono conoscere il pensiero del vescovo. Le lettere ai politici (in realtà persone che non ho mai visto o parlato con loro) rappresentano un espediente letterario che utilizzo per richiamare l’attenzione sulle idee, sul rapporto tra cristianesimo e marxismo o tra cristianesimo e partito cristiano». (1989)

E anche come LEFEBVRE «Un giorno incontrai alcuni esponenti della Comunità lefebvriana in diocesi, accompagnati dal parroco di Montalenghe. Dicevano che avrebbero volentieri preso in carico una parrocchia. Il problema è che ribadirono, anche con me, di non credere alla validità della nostra messa. E allora, che senso avrebbe avuto affidargli quella chiesa? Il nostro incontro finì lì». (2009)

M come MORO (rapimento) «Durante il sequestro dell’onorevole Moro mi cercò un avvocato socialista emissario di Craxi per trattare con i brigatisti. Consultai i miei superiori, che me lo vietarono. Pochi giorni dopo mi telefonò padre Del Piaz, molto vicino a padre Turoldo, suggerendo che un vescovo si offrisse come ostaggio al posto di Moro. Ma il ministro vaticano degli Affari generali, il cardinale Giuseppe Caprio, impedì la trattativa dicendomi: “Non vede che stiamo andando in braccio al comunismo? Il Papa ha già fatto fin troppo a scrivere alle Brigate Rosse”. Io replicai: “Ma c’è di mezzo la vita di un uomo!”. La risposta mi agghiacciò perché era quella di Caifa nel sinedrio nei confronti di Gesù: “Meglio che muoia un uomo solo, piuttosto che tutta la nazione perisca”. Sospirai: “Allora, facciamo come se non fossi venuto”. E mi fu ingiunto: “No, lei poteva non venire, ma ora che è venuto, le proibiamo di agire”». (2009)

M come MASSONERIA «Sono impegnato a rispettare chi aderisce alla Massoneria, come chi aderisce a una qualunque religione o movimento educativo o sociale, ma auspico che cresca ancora di più la trasparenza. Cerco di cogliere le espressioni concrete di rinnovamento, che mi auguro siano sempre più numerose ed efficaci, proprio per modificare un’immagine derivante da innegabili comportamenti chiusi del passato». (1995)

N come NATALE «Vorremo ritrovare il volto di Gesù Bambino, da riconoscere e da accogliere con generosità, più che nella statuina centrale del Presepio, nei volti dei tanti bambini, vicini e lontani, minacciati nella loro vita e nel loro sviluppo dalla ferocia delle guerre, dalla cattiveria o dall’indifferenza dei grandi, dall’egoismo di chi li sfrutta, per interesse o per passione, da chi comunque impedisce loro di crescere sereni e fiduciosi verso realizzazioni personali e collettive. Il mio augurio diventa un impegno, perché ciascuno di noi dia il suo contributo per un’infanzia salvaguardata, protetta, accompagnata e aiutata». (1998)

                N come NONNO «Mio nonno si chiamava Rodolfo Bettazzi, nato a Firenze nel 1861 ma vissuto e morto a Torino nel 1941. Nel capoluogo piemontese l’hanno trattenuto la professione di insegnante e l’ambiente, che l’aveva incoraggiato ed aiutato a dedicarsi ad un singolare apostolato, quello della moralità. Fu anche consigliere comunale e Torino gli ha dedicato una piazza, nella zona di corso Grosseto». (1991)

                O come OBIEZIONE DI COSCIENZA «La testimonianza cristiana che si esprime attraverso l’obiezione di coscienza viene resa più valida dal servizio pacifico a cui questi giovani si offrono, e che rende ancora più costruttiva per la società la loro alternativa. Credo che l’alternativa di un servizio civile più lungo e impegnativo di quello militare serva più ancora che a verificare la serietà dell’obiezione di coscienza, a darle tutto il suo valore di concreto richiamo a una solidarietà costruttiva». (1971)

O come OLIVETTI (azienda) «Quando arrivai a Ivrea, l’azienda era ai suoi massimi storici, in quanto a fama e occupazione. Una notorietà e uno sviluppo raggiunti anche attraverso la generosità dei lavoratori. Aspetti che non andrebbero dimenticati, anche in tempi difficili come quelli odierni. L’atteggiamento della diocesi verso l’Olivetti è sempre stato di attenzione, simpatia e collaborazione. E quando Carlo De Benedetti è rimasto vittima delle note vicende giudiziarie, mi è parso doveroso intervenire in sua difesa per puntualizzare alcuni aspetti della questione. Ciò non toglie che siamo stati anche critici verso l’azienda, come testimonia la fitta corrispondenza con l’Ingegnere in coincidenza con gli annunci degli esuberi. (1996) Col tempo l’Olivetti è divenuta il campo della più brutale prassi capitalistica. Ben lontana dai valori di umanità con i quali era stata creata. Quando, una ventina di anni fa, si cercava di richiamare i valori morali o le esigenze del territorio, ci rimproveravano di interessarci di campi non nostri. “Lui faccia il vescovo – si disse -, noi facciamo i capitalisti”. E le conseguenze, oggi, sono davanti ai nostri occhi». (1997)

O anche come OLIVETTI (Adriano) «L’ingegner Adriano si definiva “socialista” e “cristiano”. Il suo socialismo si ispirava a modelli scandinavi, e il suo cristianesimo, che partiva dal messianismo ebraico della sua tradizione familiare, si era arricchito nell’educazione evangelica datagli dalla madre, e l’aveva poi portato al battesimo nella Chiesa cattolica nell’immediato dopoguerra. Tutti sanno quanta consuetudine aveva con la Bibbia». (1990)

P come PAPA «Il Papa è in misura particolare “Vicario di Cristo” in quanto ne rappresenta e ne continua il compito di grande Profeta, grande Sacerdote, grande Pastore. Assurto a un compito immenso, il Papa resta un uomo, con tutte le caratteristiche e i limiti di un’umanità che, pur al servizio dell’umanità perfetta di un Dio che si è fatto uomo, rimane un’umanità imperfetta. Il grande insegnamento che ci ha dato Papa Benedetto con le sue dimissioni è stata la coscienza dei propri limiti». (2014)

P come PAX CHRISTI «Nel pensare ai quarant’anni di della sua vita, Pax Christi riassume tutti i motivi e i valori che ne hanno ispirato la nascita e la crescita, e trova un’occasione per rinnovare le sue consapevolezze e i suoi impegni. Sente di dover approfondire sempre più le ragioni della sua spiritualità di pace, in tempi in cui le convinzioni e le scelte vengono troppo spesso condizionate dai mezzi di informazione, a loro volta orientati da interessi economici e politici non sempre coincidenti con un cammino efficace verso la pace». (1985)

P anche PENSIONE «Il mio tempo della pensione (1999) lo trascorro girando per l’Italia (e un po’ per il mondo) accogliendo i molteplici inviti di conferenze o predicazioni, in genere sul Concilio (sono rimasto uno dei pochi vescovi superstiti) o sulla pace, dato il mio lungo servizio dentro il Movimento Pax Christi. Fuori dall’Italia, mi reco ogni tanto nella Missione del Burundi, per periodi di riflessione e di preghiera (ma anche di insegnamento: ne è frutto il recente volumetto “Esseri ed essere – Cicaleccio per filosofi principianti” e sono stato in America Latina, a rappresentare la diocesi di Ivrea nel venticinquesimo della diocesi di Barreiras (e del suo vescovo) dove lavorano nostri sacerdoti e laici». (2004)

Q come QUARESIMA «La Quaresima è tempo di conversione e di rinnovamento. Lo è per tradizione, ma lo è per sua natura, come preparazione alla Pasqua, celebrazione della morte e risurrezione di Gesù, quindi del momento centrale della storia del mondo e della nostra storia personale, iniziata appunto quando il Battesimo ci ha inseriti nella Pasqua di Cristo. (1996) Soprattutto nel periodo quaresimale la Chiesa si sforza di far capire che l’amore di Dio attraverso la morte e la risurrezione di Gesù deve entrare nella storia odierna come in quella di 2mila anni fa. Il cristiano deve essere attento al suo prossimo col suo impegno costantemente votato alla pace e sempre contro la violenza, per risorgere anche oggi a vita nuova». (1997)

R come RICONCILIAZIONE «Riconciliarsi è fare amicizia, realizzare un’atmosfera di fraternità. Occorre allora partire dalla presa di coscienza di opposizioni, di divergenze, anche inconsapevoli, e tendere a un atteggiamento che non sarà necessariamente di uniformità, ma dovrà essere soprattutto di comprensione e di accettazione, quale appunto si dovrebbe trovare in una famiglia, ove i fratelli, pur su posizioni diverse, alle volte diametralmente opposte, mantengono un rapporto di dialogo e di solidarietà». (1975)

                R come RIMPIANTO «Qualche delusione l’ho provata anche io, quando non ho saputo cogliere tempestivamente le occasioni che mi si presentavano. Ad esempio, ho il rimpianto legato a un fatto di cronaca eporediese: quando i banditi uccisero l’orefice Blessent e sequestrarono la commessa e un bambino, avrei dovuto subito sfidare i banditi offrendomi come ostaggio. Dopo fu la stessa Polizia che me lo impedì, temendo il peggio». (1998)

S come SCIOPERO « Ho creduto bene di scendere in piazza accanto ai lavoratori Olivetti come testimonianza e come stimolo di quella condivisione che la comunità cristiana deve avere con “le gioie e le speranze, i dolori e le ansie” (sono le prime parole della Costituzione “Gaudium et Spes” del Concilio Vaticano II) di tutta l’umanità. Vorrei dire, sull’esempio di Gesù Cristo, che per predicare per tre anni il regno di Dio e realizzare la salvezza dell’umanità, ha voluto per trent’anni condividere la vita comune di ogni essere umano, santificandola e dandole un significato trascendente». (1995)

                S come SINODO (diocesano) «Può sembrare che un Sinodo imperniato sulla Bibbia possa essere qualcosa di molto intimo, poco concreto per un cristiano in un mondo alle prese con tanti problemi. Ma l’argomento centrale deve farci recuperare la radice della fede del cristiano per farci sentire Dio più vicino, anche per controllare la coerenza del nostro comportamento. Senza contare che questa parola di Dio alimenta il significato più pieno della Chiesa, non come istituzione gerarchica, ma come insieme di fratelli che questa parola ascoltano e discutono insieme, sorretti da un reale spirito di comunione». (1995)

                S anche come SINODO (europeo) «Ho saputo della cancellazione del mio nome dalla lista dei delegati al Sinodo europeo perché sono “emerito”, non più in carica. Venerati e cari confratelli, confesso di supporre che possano aver influito le perplessità sulla mia…ortodossia e quindi i timori su quanto avrei potuto dire». (1999)

S pure come SOLIDARIETÀ «La solidarietà deve diventare movimento, bagaglio dell’opinione pubblica. In questo, grande è il ruolo delle chiese, che deve richiamarsi alla solidarietà come principio morale ed evangelico». (1997)

                T come TANGENTOPOLI «Egregio dottor Di Pietro, forse le sue stesse dimissioni da magistrato e da ministro, potevano far pensare a motivazioni secondarie più pesanti ancora di quelle ufficiali. Eppure tutto questo non poteva attenuare il grande merito che tutta la squadra di cui faceva parte aveva acquisito nei confronti della nazione, di aver avviato cioè quel cammino di rinnovamento della società italiana, di cui si avvertiva l’inderogabile urgenza senza che alcuno si decidesse a sfidare una situazione che risultava ormai troppo consolidata, quindi insanabile». (1996)

                T come TERZO MONDO «All’onorevole Craxi scrissi per incoraggiarlo nelle posizioni a favore del Terzo Mondo, ma facevo anche qualche considerazione sul clientelismo. Lui non ha risposto. Mi dissero che commentò: “Se Bettazzi vuol darmi dei consigli, prenda la tessera del Psi”. Dopo quella lettera con i partiti ho chiuso». (1991)

T anche come TERESA (MADRE) «L’amore tenero, di Madre Teresa e delle sue suore, per questi esseri emarginati (ai quali dare anche solo un bicchiere d’acqua e una carezza) ha fatto e fa riflettere l’umanità sulla propria tendenza ad onorare chi conta e ad ignorare o dimenticare chi non conta. E non può non spingere ad impegnarsi per eliminare o quanto meno ridurre le cause di tante sofferenze. (1997)

                U come UOMO «Ho riflettuto molto sulla necessità, per un vescovo, di vivere la sua vita come uomo, di “frasi costantemente uomo”. È un problema che i cristiani normalmente non si pongono, perché si sentono già “uomini” come tutti, per la vita che conducono e il lavoro che svolgono. Ai preti, quindi tanto più ai vescovi, può presentarsi invece il problema di ricuperare, nell’attenzione e nei contatti, quella “umanità” da cui spesso il loro tipo di vita li allontana. Questo è tanto più pericoloso in quanto l’influsso che i preti, e tanto più i vescovi, esercitano sulla Chiesa rischia di “disumanizzare” un po’ l’intera comunità ecclesiale, non solo creando impoverimento e lacerazioni interiori tra i credenti, ma rendendo meno efficace l’evangelizzazione del mondo». (1977)

                U come UCRAINA «Ogni guerra è condannata dal Concilio in quanto è contro Dio e contro l’umanità. Come dice Papa Francesco, la guerra è una follia, e se è follia la guerra di offesa, lo è anche la guerra di difesa, come quella in Ucraina. A Gorbaciov dopo lo smantellamento della vecchia Urss era stato promesso lo smantellamento della Nato, che invece nel frattempo è stata potenziata, includendo anche stati dell’ex Unione Sovietica. La minaccia di inglobare anche l’Ucraina, terra madre della Russia (a Kiev stava il primo patriarca ortodosso) è stata la scintilla di questa guerra. Putin ha certo sbagliato, ma evidentemente a istigarlo è stato l’Occidente». (2022)

                V come VATICANO «Che in Vaticano possano esserci delle ombre a causa dei troppi scandali è innegabile. È un ambiente complesso in cui forse ci sono sempre state delle tensioni, che adesso i mezzi di comunicazione e le capacità di penetrare i segreti rendono più evidenti. Non dobbiamo però giudicarlo nella visione mondiale per degli aspetti meno chiari che ci sono, bensì per il suo invito e le sollecitazioni a un comportamento onesto, al servizio dell’intera umanità, soprattutto dell’umanità più provata». (2012)

                V come VESCOVO ROSSO «Dopo aver combattuto il pericolo comunista per la sua ideologia materialista e per la sua politica soffocatrice della libertà e della persona, oggi non si può, proprio come Chiesa, promotrice e tute latrice della dignità della persona umana e di una effettiva solidarietà, non contestare il capitalismo dominante e il consumismo che ne deriva, con le conseguenze inevitabili di crescita dei settori di disoccupazione, di povertà, di restrizione di una concreta libertà di scelta, culturale, economica, sociale. Difendere l’essere umano non è far politica, è annunciare il Vangelo». (1995)

                Z come ZARRI «Mi è sembrato un dovere rientrare da Bologna per dare l’ultimo saluto ad Adriana Zarri, non solo perché era nata nel paese di mia madre, ma anche perché l’avevo accolta in Diocesi, concedendole di tenere il Santissimo nella sua cappella personale». (2010)

                A cura di Tiziano Passera. Già redattore della Sentinella del Canavese

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VERSI CONTRO/VERSI

Non commettere atti impuri

Alcune vignette di Geopolitics and Political Geography che girano sui social dividono l’Europa in 20 diversi modi in base a differenze di cibo, di stile, di abitudini, fra chi preferisce il vino o la birra, il caffè o il thè, fra chi è più rumoroso o più tranquillo, fra cattolici, ortodossi e protestanti, fra rivoluzionari e tradizionalisti e così via. È un modo per evidenziare e prendere in giro alcuni pregiudizi e visioni a cui spesso tuttavia è facile conformarsi. Fra le varie differenze c’è una linea che divide l’area più mediterranea da quella più nordica: a sud ci sono i repressi sessualmente, a nord i repressi emotivamente.

Pare sia più che una battuta per cui sorridere a giudicare da quanto accaduto nelle ultime settimane rispetto alla nomina respinta dalla Congregazione vaticana per la cultura e l’educazione nei confronti di Martin Lintner a preside dello Studio Teologico di Bressanone. Il protagonista della vicenda che ha ricevuto un’enorme ondata di solidarietà in particolare da teologi e teologhe europei, soprattutto tedeschi e italiani, ha rinunciato, in accordo col vescovo, a fare ricorso, tuttavia ha dichiarato che il dovere dei teologi non è quello di esporre il catechismo, ma di offrire un’istanza critica, una riflessione capace di portare avanti uno sviluppo costruttivo della dottrina, nel caso specifico, della morale sessuale. Il motivo infatti non meglio precisato per rifiutare la conferma della nomina risiederebbe in alcune tesi esposte dal teologo che andrebbero nella direzione di una riforma della morale sessuale cattolica. C’è da giurare che il libro che espone queste tesi abbia avuto in questi giorni un’impennata di diffusione!

Questioni irrisolte, Il problema tuttavia resta, sia nelle relazioni fra insegnamento teologico e curia romana, sia nel merito della questione. Negli ultimi decenni infatti la cultura occidentale è stracolma di riferimenti sessuali, dalla pubblicità a qualsiasi forma di comunicazione scritta e video. Possiamo discutere se tutto ciò sia proporzionato, se certe attrazioni vengano meramente fruttate a scopo commerciale, se si cerchi di integrare una dimensione essenziale delle relazioni umane o si cerchi di dare plausibilità a qualsiasi istinto, se si vogliano denunciare situazioni e condizionamenti che hanno fatto molte vittime o cercare la provocazione ad ogni costo. Si tratterebbe di una riflessione interessante, urgente per i risvolti relazionali ed esistenziali di tante persone.

L’insegnamento ufficiale della Chiesa in proposito (salvo rare eccezioni), il linguaggio usato, i riferimenti dottrinali restano invece quasi sempre fermi a epoche remote e portati avanti da persone che quasi sempre per scelta di vita celibataria ne hanno una visione piuttosto estrinseca. Secondo uno stile pienamente sinodale sarebbe in tal senso prezioso l’ascolto e il discernimento dei laici, uomini e donne, di coppie più o meno mature. È venuto il tempo pro abilmente di parlarne in modo nuovo, accogliendo prospettive anche dalle scienze umane, con spirito critico e costruttivo. Ciò che certamente possiamo dire è che l’attenzione puntigliosa e talvolta ossessiva su tale dimensione, specie (forse) nel passato, dimostra un certo disagio e una sproporzione rispetto a molte altre questioni evangelicamente più consistenti. Stendiamo poi un velo pietoso sulla coerenza fra insegnamento e prassi.

 Cosa c’è nel Vangelo? Dal punto di vista del Vangelo quadriforme è noto che l’unica parola di Gesù riguardo la dimensione sessuale è riferita a ribadire il divieto dell’adulterio presente nel Decalogo sia nella versione di Esodo 20,14 che in quella di Deuteronomio 5,18: Gesù ne parla nella citazione dei comandamenti che conducono alla vita, come ricordato all’uomo ricco (cfr. Mc 10,19 e paralleli) e nella sintesi del discorso della montagna di quelli che possiamo considerare sesto e nono comandamento, tanto da mettere in guardia sui desideri del cuore (cfr. Mt 5,27-28).

L’indicazione sembra quella di vivere con attenzione la parola data, di essere fedeli all’alleanza del matrimonio, di dare attenzione prioritaria al soggetto coincidente quasi sempre con la donna che, se ripudiata, si trova esposto a povertà e varie possibili forme di oppressione. Il tutto in un quadro molto esigente di attenzione alle parole e agli atti che minacciano l’integrità dell’altro e la sua dignità.

Tradizionalmente nella forma del catechismo invece il sesto comandamento ha preso la forma generica del non commettere «atti impuri», a loro volta spesso popolarmente identificati con la masturbazione, un atto definito «intrinsecamente e gravemente disordinato» (CCC 2352). Il catechismo poi si diffonde su questioni relative alla propria identità sessuale, alla castità nei vari stati di vita e a tutto ciò che possa contraddirla, dalla prostituzione, allo stupro, dalle pratiche omosessuali all’incesto, fino a molte precisazioni sul come gli sposi vivono la propria intimità. Solo due numeri su 70 parlano dell’adulterio. Nessuno purtroppo è dedicato alla pedofilia.

Nel Vangelo sono i demoni che opprimono gli esseri umani rendendoli muti o storpi, malati o asociali, e che sono allontanati da Gesù, ad essere chiamati «spiriti impuri» (agg. akathartos); di «impurità» (akatharsia, cfr. Ef 4,19) con riferimento a prassi sessuali si parla nell’epistolario paolino, spesso in elenchi che manifestano come l’avidità e l’idolatria possono esprimersi anche in atteggiamenti che trattano l’altro come un oggetto; si parla infine di «ciò che rende impuro» (verbo koinóô), secondo la prassi giudaica riferita ai cibi e che Gesù dichiara superata, per porre invece  attenzione a quanto abita l’interiorità, come intenzioni e progetti malevoli ed egoisti (cfr. Mc 7,15-23). Molto interessante il riferimento in At 10,14-15.28 in cui i due termini si trovano insieme, prima riferiti al cibo e poi agli esseri umani: una grande crescita per Pietro e la Chiesa tutta: «Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro [koinon ç akatharton] nessun essere umano», anzi che egli accoglie chiunque ha fede in lui e pratica la giustizia verso il prossimo più fragile. Un quadro molto sobrio ed equilibrato che dà indicazioni di fondo ma lascia molto al discernimento personale.

Il povero Onan tirato in ballo. Se un discorso a parte merita la questione dell’omosessualità, una parola si può aggiungere sulla masturbazione che pure non trova particolari riferimenti biblici. Per un curioso slittamento di significato, a volte anche nel linguaggio medico e psicologico, si usa come sinonimo di autoerotismo il termine «onanismo», questo sì derivato da un testo biblico. Esso fa infatti riferimento alla prassi di Onan di cui leggiamo in Gen 38,6-10. Siamo all’epoca dei patriarchi ed egli si trova a prendere in moglie Tamar, vedova senza figli del fratello maggiore Er. Il padre Giuda gli chiede di applicare l’usanza del levirato (cfr. Dt 25,5-10), secondo la quale il parente più prossimo, spesso un fratello del defunto deve assicurargli una discendenza: il primo figlio sarebbe stato considerato a tutti gli effetti discendenza del defunto, in tal modo il suo nome sarebbe proseguito in Israele, anche con evidenti conseguenze ereditarie. Il testo di Genesi ci narra che invece Onan ogni volta che si univa a Tamar «disperdeva il seme per terra» proprio per non dare un discendente al fratello. La gravità dell’atto risulta da almeno due fattori: secondo la concezione antica non esisteva un aldilà e l’unico modo di superare la morte era nella vita dei discendenti, nella prosecuzione del «nome». Da qui è facile immaginare le conseguenze riguardo la tragedia della sterilità, la morte prematura e la preferenza per il maschio che trasmette il nome (o il cognome). Altro fattore fondamentale era la credenza che nel seme maschile ci fosse potenzialmente già un nuovo essere umano completo che il grembo della donna doveva «semplicemente» accogliere e far crescere. La gravità si riduce di molto se si crede ad una vita oltre la morte e se si acquisisce la conoscenza che il seme maschile non è di per sé un nuovo essere. Semmai c’è una mancanza di giustizia nei confronti della donna che oggi siamo in grado di cogliere meglio, ancora una volta allargando lo sguardo alla relazione nel suo complesso. Fatto salvo il rischio di un possibile ripiegamento su di sé invece di aprirsi pienamente alla relazione con l’altro/a in chi sviluppasse una dipendenza da certe prassi, sembra possibile chiudere la questione con una certa serenità.

 Emanuela Buccioni   Rocca” n. 16, pag.44      15 agosto 2023

https://rocca.cittadella.org/rivista/rocca/#rocca16e17parteainternet/44

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