NewsUCIPEM n. 933 – 23 ottobre 2022

NewsUCIPEM n. 933 – 23 ottobre 2022

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

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Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L                        ’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

CONTRIBUTI PER ESSERE IN SINTONIA CON LA VISIONE EVANGELICA

02 ABUSI                                              La Cei: «Non si compra il silenzio delle vittime». Ma molti vescovi lo fanno

03                                                          Pedofili, la prudenza della Cei e la tolleranza zero del papa

05                                                          È nei seminari che la chiesa deve fare i conti con il suo lato oscuro

07                                                          Inchiesta Stato istituzioni britanniche: ascoltati 725 testimoni e circa 7mila vittime

07                                                          Chiesa cattolica d’Inghilterra e Galles, “un rinnovato impegno di protezione minori

08                                                                           “in ascolto delle vittime affinché le loro esperienze guidino il nostro lavoro”

08                                                          Caso Santier, una morale sessuale incolta

09 CENTRO INT. STUDI FAMIGLIA  Newsletter CISF – n. 38, 19 ottobre 2022

11.CHIESA DI TUTTI                            Ma cosa offre la Chiesa a mio figlio gay» La via stretta e un (nuovo) abbraccio largo

13                                                           Una ferita non rimarginata

15                                                          Il concilio e la timidezza nelle scelte determinanti

17 CHIESA IN ITALIA                          Perché serve un nuovo Concilio      

17 CONCILIO VATICANO II                Nel 1962, tra giovani christifideles

19 DALLA NAVATA                             29° Domenica del tempo ordinario – Anno C

19                                                          Commento di Ernesto Balducci

20 DONNE NELLA (per la) CHIESA  Tra resistenza e speranza, l’impegno delle donne per la pari dignità nella Chiesa

22 ECUMENISMO                                 Il coraggio dei vescovi russi

22                                                            L’altro binario della chiesa europea: i vescovi mettono all’indice Putin

23                                                          Le parole del Patriarca Kirill al Wcc  [World Council of Churches]

24 FRANCESCO VESCOVO ROMA   sugli abusi: la Chiesa non può giustificarsi dicendo che succedono in tutti gli ambienti

25 MAGISTERO                                    Magistero ecclesiale… fallibile o infallibile?

27 POLITICA                                         Politica e religione secondo Bettazzi, vescovo scrittore e controcorrente

28 SINODALITÀ                                   60 accademici sottoscrivono una costituzione democratica e inclusiva per la Chiesa

29                                                          Traduzione del Testo della Costituzione

49 SINODO DEI VESCOVI                  Il Sinodo si sdoppia in due sessioni

50                                                          Due Sinodi in due anni

51 SINODO NEL MONDO                  Abbiamo un’uguaglianza conflittuale; riconosciuta ma non praticata

53                                                          Donne in silenzio, nonostante il Concilio. Speriamo nel Sinodo

ABUSI

La Cei: «Non si compra il silenzio delle vittime». Ma molti vescovi lo fanno

Pubblichiamo la presa di posizione che la Conferenza episcopale italiana (CEI) ha diffuso in seguito all’articolo di Federica Tourn “Il silenzio delle vittime pagato per proteggere i preti pedofili”, pubblicato da Domani lunedì 10 ottobre 2022, seguita da una replica dell’autrice.

www.editorialedomani.it/fatti/preti-pedofili-pagamenti-silenzio-vittime-ec52nkag

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202210/221010tourn.pdf

L’articolo pubblicato su Domani circa le azioni della chiesa in Italia contro la piaga degli abusi su minori ci obbliga ad alcune precisazioni perché tocca elementi fondanti che non possono e non devono essere travisati in alcun modo. Innanzitutto, ribadiamo sincera e convinta vicinanza alle vittime di abusi dolorosi e confermiamo la posizione della chiesa in Italia che è senza ambiguità: chi effettua una segnalazione non può essere sottoposto ad alcun vincolo (cfr. Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, n. 5.13).

https://tutelaminori.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/51/Linee-guida-per-la-tutela-dei-minori-e-delle-persone-vulnerabili.pdf

Inoltre, viene rigettata la ricostruzione relativa a un “silenzio comprato”, poiché, nel contesto di una vicenda già nota all’opinione pubblica, qualsiasi presunta offerta non avrebbe potuto generare tale risultato. Infine, ricordiamo quanto molto chiaramente espresso da papa Francesco nel discorso rivolto alla curia romana per gli auguri di Natale il 21 dicembre 2018: «È innegabile che alcuni responsabili, nel passato, per leggerezza, per incredulità, per impreparazione, per inesperienza – dobbiamo giudicare il passato con l’ermeneutica del passato – o per superficialità spirituale e umana hanno trattato tanti casi senza la dovuta serietà e prontezza. Ciò non deve accadere mai più. Questa è la scelta e la decisione di tutta la chiesa». Questa è la scelta e l’impegno della Chiesa in Italia.

Conferenza episcopale italiana, ufficio nazionale per le comunicazioni sociali

Risponde Federica Tourn:

Qualcosa si muove in Vaticano, se la Cei decide di reagire alla nostra inchiesta sugli abusi sessuali clericali. Abbiamo raccontato la storia di un prete abusatore che ha proposto alla vittima, a titolo di riparazione, 25 mila euro in cambio del silenzio sull’accordo di risarcimento. La Cei rigetta l’idea del “silenzio comprato” poiché «qualsiasi presunta offerta non avrebbe potuto generare tale risultato».

Certamente nella vicenda ricostruita da Domani l’accordo non richiedeva il silenzio sulla violenza – dato che il sacerdote era reo confesso, la cosa non avrebbe in effetti avuto senso – ma sull’offerta di denaro, presentata come un gesto di pura liberalità e amore cristiano. Ma perché allora, se si trattava di un atto di carità, mettere una clausola di riservatezza, pena il decadimento dell’accordo? Il risultato che si genera con la clausola è di lasciare la storia e il nome del responsabile relegati in ambito locale, senza lasciare traccia del reato di violenza sessuale, ormai prescritto per la giustizia civile e non considerato degno di essere preso in considerazione da quella ecclesiastica. Soprattutto, si nasconde che i preti ricorrono a queste scritture private con scambio di denaro per “compensare” le violenze.

La Cei sottolinea che la faccenda dei risarcimenti nascosti e sotto condizione «tocca elementi fondanti». Proprio per questo, collocare queste pratiche nel passato sembra decisamente riduttivo. Papa Francesco dice che «bisogna giudicare il passato con l’ermeneutica del passato». Giusto, ma allora giudichi con l’ermeneutica del presente il denaro offerto oggi dai vescovi. L’impegno della chiesa contro la «piaga degli abusi sui minori» e i meritori «mai più» del papa continuano a intrecciarsi con ambiguità e contraddizioni delle autorità ecclesiastiche. Il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, dice che la Chiesa italiana non andrà nella direzione di risarcire le vittime (come invece succede in altri paesi, per esempio in Francia) per evitare che si facciano avanti persone spinte soltanto dall’interesse economico. Ma le offerte di denaro, camuffate da borse di studio o aiuti economici per cure mediche o psicologiche, continuano ad arrivare dai sacerdoti pedofili, se non addirittura dai vescovi.

Il 3 luglio 2022 Domani ha raccontato il caso attualissimo di Antonio Messina, la vittima di don Giuseppe Rugolo, in queste settimane a processo a Enna per violenza sessuale: «Il vescovo di Enna monsignor Gisana aveva promesso alla mia famiglia 25 mila euro in contanti (guarda caso sempre la stessa cifra, ndr), prelevati dai fondi della Caritas, purché io mi impegnassi a non parlare più con nessuno di quanto mi era successo». Che cos’è questo, se non è un tentativo di comprare il silenzio?

Lo sforzo della Cei è apprezzabile ma ci sono ancora troppe incertezze e chiusure. Non è per esempio ancora stata data una risposta alle lettere aperte inviate dalla rete di associazioni Italy Church Too, che a febbraio si è costituita proprio in sostegno delle vittime. Finora la chiesa non ha fornito un solo dato che dimostri che le cose sono davvero cambiate. Infatti c’è solo un modo per non nascondere le dazioni di denaro sottobanco alle vittime dietro il monito evangelico «non sappia la mano sinistra quel che fa la tua destra»: i vescovi italiani si impegnino di più nell’ascolto delle vittime e su una gestione davvero trasparente degli abusi clericali, dall’accertamento delle responsabilità fino al completo ristabilimento della verità.

Federica Tourn  “Domani” 16 ottobre 2022

Questa inchiesta è resa possibile dalle donazioni dei lettori.

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Pedofili, la prudenza della Cei e la tolleranza zero del papa

Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei (Conferenza episcopale italiana), l’appuntamento è tra un mese esatto. Il 18 novembre è la data scelta dai vescovi per la Giornata nazionale di preghiera della chiesa italiana per le vittime e i sopravvissuti agli abusi. La ricorrenza coincide con la Giornata europea per la protezione dei minori e, nelle intenzioni della Cei, vorrebbe rimarcare la volontà di affrontare con decisione e trasparenza la questione delle violenze sessuali clericali.

A fine maggio, appena eletto presidente dei vescovi italiani, Zuppi aveva promesso proprio per il 18 novembre la presentazione del primo report della Cei sulla realtà dei Servizi diocesani e dei Centri di ascolto, e sulla loro diffusione ed efficacia nell’azione di accoglienza delle vittime e di prevenzione degli abusi. Sarà il giorno della verità sulla reale volontà di Zuppi di voltare pagina su un fenomeno trattato sempre come interno alla chiesa, sottovalutando l’allarme sociale che genera. E di allinearsi realmente alla linea molto più netta di papa Francesco.

La via italiana di Zuppi. Zuppi si è presentato come innovatore, promuovendo una “via italiana” alla lotta agli abusi. Un programma che è stato criticato perché la Cei, invece di avviare un’indagine indipendente, come hanno fatto i vescovi in Francia, Germania e Portogallo, ha previsto soltanto un’inchiesta interna, oltretutto limitata ai dati forniti dal Dicastero per la dottrina della fede inerenti al periodo che va dal 2000 al 2021, e a quelli emersi dal lavoro degli sportelli di ascolto fra il 2020 e il 2021. Un arco di tempo decisamente ristretto, soprattutto se si considera che questi servizi non sono nemmeno disponibili in tutte le diocesi italiane.

Non solo: la stesura del report, che ha coinvolto «16 coordinatori per i Servizi regionali, 226 referenti per quelli diocesani e 96 responsabili dei Centri di ascolto», come ha comunicato la Cei, è stata affidata a una équipe dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Ad elaborare i dati e a valutare il lavoro dei Servizi diocesani è dunque un’istituzione privata strettamente legata alla chiesa, dato che le università cattoliche sono regolate, fra le altre cose, dal Codice di Diritto Canonico.

Dove sta quindi l’indipendenza dell’analisi? Ancora una volta, a differenza di quanto lo stesso Zuppi aveva assicurato al momento della presentazione del programma di contrasto agli abusi, è la chiesa a giudicare sé stessa e il risultato rischia di essere un’analisi molto parziale della realtà degli abusi: un fenomeno pervasivo che le istituzioni ecclesiastiche hanno sempre teso a nascondere, prima negandolo e poi minimizzandone la portata, curandosi poco delle conseguenze per le vittime. D’altronde Zuppi aveva assunto un atteggiamento assai prudente quando, appena eletto, aveva dichiarato nella conferenza stampa di chiusura dell’assemblea dei vescovi che i sacerdoti pedofili sono pur sempre parte della chiesa, descritta come una madre che non abbandona i suoi figli in difficoltà. Lasciando il dubbio che per proteggere questi “figli che sbagliano” si mettano in pericolo i bambini che frequentano gli oratori, le parrocchie o l’ora di religione a scuola; e si tuteli il buon nome del sacerdote e della chiesa anche a costo di risarcire le vittime tramite accordi privati con vincolo di riservatezza, come abbiamo raccontato il 10 ottobre scorso nella precedente puntata dell’inchiesta sulla violenza nella chiesa, provocando la reazione della Cei di cui abbiamo dato notizia ieri.

Uno dei fenomeni più preoccupanti a questo proposito è che molti di questi sacerdoti, anche dopo sentenze di colpevolezza, una volta scontata la pena si appellano al diritto all’oblio, chiedendo a testate giornalistiche e blog online di deindicizzare il proprio nome e la storia che li riguarda su internet. Il prete che non vuole che il suo passato di pedofilo salti fuori a una rapida ricerca su Google, si rivolge a una società specializzata che si incarica di rifargli una reputazione sul web, rendendolo non direttamente rintracciabile sui motori di ricerca. Oppure chiede direttamente la cancellazione dei contenuti da media e social network con un ricorso al Garante della privacy, secondo l’articolo 17 del Regolamento europeo 2016/679.

Ma la pretesa di essere dimenticati è sempre accettabile? «Si tratta di un attento bilanciamento fra il diritto all’oblio e il diritto all’informazione e il pubblico interesse – spiega l’avvocato Mario Caligiuri della Rete L’Abuso – soprattutto quando parliamo di soggetti che meritano una tutela particolare, come i minori. Per essere chiari: se un prete ha avuto una sentenza di violenza sessuale su un minorenne, ritengo che sia importante che rimanga segnalata, perché è interesse della collettività proteggersi dalla possibile reiterazione del reato del pedofilo».

La preoccupazione è ancora più forte per i pedofili che non hanno dovuto rispondere alla giustizia dello Stato grazie alla prescrizione. Che cosa sappiamo, infatti, dei sacerdoti che in seguito a denunce o segnalazioni vengono dirottati in altre parrocchie o in strutture protette dalla chiesa? Papa Francesco ha più volte richiamato la chiesa alla trasparenza e alla segnalazione dei responsabili delle violenze sui minori, a partire dal motu proprio Vos estis lux mundi”. Ne aveva riparlato qualche mese fa quando, con la costituzione apostolica “Prædicate Evangelium”, aveva incluso la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori nella Curia romana, e più precisamente nell’ambito del Dicastero per la dottrina della fede, che si occupa anche di giudicare gli abusi sessuali del clero.

L’urlo di Bergoglio. «L’abuso, in ogni sua forma, è inaccettabile – ha detto Bergoglio durante l’udienza del 29 aprile con i membri della Commissione – L’abuso sessuale sui bambini è particolarmente grave perché offende la vita mentre sta sbocciando in quel momento. Invece di fiorire, la persona abusata viene ferita, a volte anche indelebilmente. Le persone abusate si sentono, a volte, come intrappolate tra la vita e la morte. Sono realtà che non possiamo rimuovere, per quanto risultino dolorose». Bergoglio ha esortato non solo la Commissione pontificia ma tutti i cattolici «a far conoscere queste ferite».

«Vescovi, superiori religiosi, presbiteri, diaconi, persone consacrate, catechisti, fedeli laici: ogni membro della chiesa, secondo il proprio stato, è chiamato ad assumersi la responsabilità di prevenire gli abusi e lavorare per la giustizia e la guarigione». È un tema che ritorna spesso nelle preoccupazioni del vescovo di Roma, che in una recente intervista alla Cnn portoghese ha ripetuto che la pedofilia clericale è «una mostruosità». «Zero tolleranza sugli abusi», ha specificato il papa, che in quell’occasione ha aggiunto: «Un sacerdote non può rimanere prete se è un molestatore». Indicazione peraltro già presente nelle “Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili” divulgate nel 2019 dalla Cei e dalla Conferenza superiore dei religiosi maggiori (che si occupa delle congregazioni religiose), dove si legge che un prete deve essere allontanato dal ministero, qualora sia «di pericolo per i minori e di scandalo per la comunità».

I pedofili indisturbati. Eppure, sono tanti i sacerdoti che, con sentenze per abuso sui minori alle spalle o che hanno scampato la condanna penale soltanto grazie alla prescrizione, continuano a frequentare le parrocchie, dire messa e – cosa ancora più grave – insegnare catechismo ai ragazzini o gestire l’oratorio. È il caso di don Giorgio Carli della diocesi di Bolzano-Bressanone, o di don Silverio Mura, condannato dal tribunale civile di Napoli a risarcire la sua vittima ma ancora incardinato formalmente nella diocesi partenopea. I casi che stiamo raccontando nella nostra inchiesta finanziata dai lettori, non sono certo gli unici.

Tra sacerdoti assolti dai tribunali ecclesiastici o raggiunti da denunce per pedofilia e trasferiti dai vescovi in altre diocesi, l’elenco potrebbe essere lungo. Chissà se la Cei, per onorare la giornata del 18 novembre e rispondere agli appelli del papa sulla tolleranza zero, si rassegnerà ad aprire gli archivi e a rendere noti i nomi e gli incarichi attuali dei sacerdoti pedofili.

www.editorialedomani.it/fatti/pedofili-la-prudenza-della-cei-e-la-tolleranza-zero-del-papa-jm4lyhk3

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202210/221017tourn.pdf

È nei seminari che la chiesa deve fare i conti con il suo lato oscuro

Le storie di molestie e abusi all’interno dell’ex seminario diocesano di Savona sono solo uno dei capitoli di una storia più complessa che riguarda la formazione del clero. La lotta alla pedofilia deve iniziare da qui.

                Un ragazzino di tredici anni scappa dalla finestra del seminario vescovile di Savona, dove è entrato tre anni prima pieno di entusiasmo all’idea di diventare sacerdote. Siamo nel 1968, il grande istituto dove studiano i candidati al presbiterato accoglie ragazzi che vanno dalla prima media alla specializzazione in filosofia e teologia; il rettore è don Andrea Giusto, un prete gioviale e apprezzato dagli studenti. Eppure qualcosa non va. Tornato a casa, Alessandro Nicolick – questo il nome del bambino – è taciturno e nervoso ma non vuole dare spiegazioni. Una volta adolescente comincia a far uso di eroina, diventa tossicodipendente e finisce in carcere, dove si ammala di Aids. Roberto, fratello di Nicolick, denuncia: «In ospedale, poco prima di morire, mi ha raccontato di essere stato abusato in seminario da un prefetto di camera, un seminarista più anziano che assisteva i piccoli, Pietro Pinetto». Don Pinetto, morto l’anno scorso di Covid, nel 1972 era stato nominato vicerettore del seminario vescovile e nel 1981 ne era diventato anche direttore spirituale. Nel 2013, quando era parroco della chiesa di San Michele a Celle Ligure (Savona), è stato denunciato da un altro ex seminarista che dichiarava di essere stato abusato da lui negli anni Settanta. Il procedimento è stato archiviato perché il fatto era ormai prescritto ma il sacerdote ha querelato per diffamazione e calunnia la presunta vittima, due giornalisti locali e Francesco Zanardi, presidente della Rete l’abuso. A quel punto, il colpo di scena: l’indagine è stata riaperta e sono arrivate altre testimonianze. «Comprese le segnalazioni fatte all’allora vescovo di Savona Franco Sibilla, che non interviene, e che aprono il vaso di Pandora degli abusi sui minori nella chiesa savonese, più preoccupata di proteggere i responsabili che di evitare nuove vittime», commenta oggi Zanardi.

                La gip Fiorenza Giorgi, infatti, nelle motivazioni dell’archiviazione del procedimento per calunnia, evidenzia che le indagini hanno fatto emergere elementi di prova che «confermano gli abusi» nel seminario e rileva che «la curia si è preoccupata di salvare le apparenze invece di pensare a quei ragazzi che, tra l’altro, rappresentavano il futuro della chiesa stessa».

La diocesi di Savona. Zanardi è il primo che, a partire dal 2010, porta all’attenzione della magistratura i tanti casi di pedofilia che affliggono la diocesi di Savona, a partire da quello di don Nello Giraudo, che lo riguarda in prima persona. Don Giraudo, oggi ridotto allo stato laicale, nel 2012 è stato condannato a un anno e sei mesi di carcere per violenza su minore; molte altre denunce, compresa quella di Zanardi, sono invece cadute in prescrizione. Anche un insegnante del seminario, don Giorgio Barbacini, si è rivelato essere un pedofilo: sempre nel 2010 è stato condannato in via definitiva a tre anni e sei mesi per violenza aggravata e continuata su un minorenne extracomunitario affidato alla sua custodia. Latitante in Svizzera e in Marocco, sarà arrestato cinque anni dopo durante una visita a casa.

Battaglia per la verità. Intanto Roberto Nicolick non si dà pace. Per arrivare alla verità, chiede alla Procura il sequestro della documentazione scolastica e psicologica redatta dagli insegnanti del seminario su suo fratello, scrive lettere al vescovo Vittorio Lupi (a capo della diocesi dal 2007 al 2016), lo aspetta addirittura una domenica all’uscita della messa insieme a Zanardi: tutto senza successo. Per tenerlo buono, nel 2013 la diocesi pensa bene di mandargli a casa il vicario generale, don Antonio Ferri, che in sua assenza fa firmare alla madre novantenne una dichiarazione in cui attesta l’estraneità della curia nella triste vicenda del figlio Alessandro. «Un foglio senza valore legale ma che toglieva credibilità alla mia ricerca di giustizia», commenta Nicolick. Don Pinetto, sempre difeso pubblicamente dalla curia, aveva ricevuto in realtà un’ammonizione dal vescovo, come attesta una lettera del 1° luglio 2016 indirizzata all’autorità giudiziaria e firmata proprio da monsignor Lupi, pubblicata dalla Rete l’abuso, in cui si dà conto di un decreto emesso dalla Congregazione per la dottrina della fede il 29 maggio 2015, segno che un’indagine canonica sul conto dell’ex vicerettore c’era in realtà stata. Nonostante l’ammonizione, Lupi colloca don Pinetto nella parrocchia di San Francesco da Paola, con un oratorio frequentato da oltre duecento bambini. «Allarmati dalle voci sul suo conto, le madri si rivolgono al parroco, che cerca di tranquillizzarle citando proprio il documento estorto tre anni prima alla signora Nicolick», racconta Zanardi. A quel punto, Roberto presenta contro il vicario una denuncia per circonvenzione di incapace che però non avrà seguito.

Una storia nota. «Anche se sono emerse soltanto dopo il 2000, le tendenze di don Pinetto in seminario si erano manifestate sin dagli anni Settanta, quando un ragazzo aveva già detto a due preti della diocesi di aver subito abusi», dice don Giovanni Lupino, oggi rettore della chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Savona. «Anche io scrissi a Pinetto che ad accusarlo erano proprio i suoi “cocchi”, i ragazzi orfani di cui si occupava un po’ troppo. Da cappellano in carcere avevo incontrato un ex seminarista, oggi assistente sociale, che mi aveva raccontato che don Pietro lo portava nei bagni e lo toccava con la scusa di insegnargli una corretta igiene intima».

                Storie note nella diocesi ma che all’interno del clero soltanto don Lupino, che ha frequentato anche lui il seminario di Savona negli anni Sessanta, ha il coraggio di denunciare. «Sono del 1952: del mio anno eravamo una quindicina di seminaristi e soltanto io sono diventato sacerdote – racconta – quasi tutti gli altri non hanno più messo un piede in chiesa». Cose vecchie, di un’epoca passata? Lupino non ha esitazioni: «No, oggi non è cambiato niente, nonostante le équipe di psicologi che dovrebbero essere di sostegno agli educatori che vivono a stretto contatto con i ragazzi è il sistema stesso dei seminari come luogo della formazione per il clero che non funziona».

Crisi di vocazioni. Formazione sempre più preziosa per la chiesa se, come testimoniano le statistiche dell’Annuario pontificio 2021, nell’arco di mezzo secolo le nuove vocazioni sono diminuite di oltre il 60% passando dai 6.337 del 1970 ai 2.103 del 2019, con un crollo negli ultimi dieci anni, quando la flessione dei seminaristi diocesani in Italia ha toccato il 28%. Secondo le rilevazioni dell’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei, sono 1.804 i seminaristi diocesani che vivono nei 120 seminari maggiori e quasi la metà ha un’età compresa tra i 26 e i 35 anni, mentre diminuiscono i seminari minori, riservati ai ragazzi delle scuole secondarie: in Italia ne restano 72. Oggi il seminario diocesano di Savona non accoglie più studenti: è diventato una casa per ferie di lusso. I problemi, in ogni caso, non hanno riguardato soltanto questa struttura, ma anche molti altri seminari nel nostro paese, dalla Sicilia al Veneto. Nati con il Concilio di Trento, sono fabbriche di preti allevati in ambienti totalmente maschili e scollati dalla realtà, come racconta Marco Marzano nel suo libro La casta dei casti, in cui parlare di sesso resta il più grande tabù. «L’educazione in seminario, con la cultura del silenzio che vige nell’istituzione, produce un terreno fertile per gli abusi», commenta lapidario don Lupino. «In seminario ho visto di tutto – racconta Giuseppe (nome di fantasia) – chi faceva uso di stupefacenti, chi prendeva tranquillanti per tirare avanti, chi usciva regolarmente di notte; il rettore sapeva ma non diceva nulla».

                Giuseppe ha frequentato sei diversi seminari – a Grosseto, Siena, Fermo, Ancona, Anagni – e dall’ultimo è uscito sei anni fa. Ricorda un clima da caserma, con umiliazioni pubbliche e storielle oscene, organizzato secondo regole ferree: «Eravamo sotto pressione, con orari scanditi dagli impegni, e dovevamo chiedere permesso per ogni cosa. Giocavamo a calcio, facevamo tante attività fisiche per sfogare la tensione sessuale, però tutto girava sempre intorno alla questione dell’affettività. Qualcuno è stato scoperto con una ragazza, altri si baciavano in camera e i formatori chiudevano un occhio; poi, naturalmente, c’erano i rapporti fra seminaristi». Giuseppe testimonia che ha compilato decine di test psicologici simili a quelli proposti durante la visita militare: «Gli stessi insegnanti non sono formati per capire chi hanno di fronte – continua – se facevo domande su come gestire la sessualità, mi dicevano “affidati alla preghiera”. Dovevamo sublimare. Certo, potevamo parlare con lo psicologo, che però era sotto la pressione dell’équipe deputata a decidere se potevamo andare avanti o no. Nessuno raccontava le difficoltà, perché tutti volevano diventare preti».

                Giuseppe, alla fine, non ha indossato l’abito talare; molti altri, però, continuano a diventare sacerdoti con “un’educazione cattolica” fondata, come cinquecento anni fa, sul celibato e sull’omertà di un clan di soli maschi.

Federica Tourn                 “Domani”           07 ottobre 2022

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Inchiesta di Stato su istituzioni britanniche, in 7 anni ascoltati 725 testimoni e circa 7mila vittime

Avviata nel 2015, all’indomani dello scandalo di Jimmy Savile, il famoso dj della Bbc, che aveva per anni infierito su vittime innocenti, coperto da colleghi e superiori, l’inchiesta di Stato sugli abusi nelle istituzioni britanniche (Independent inquiry into child sexual abuse) è durata sette anni ed è costata 186 milioni di sterline, circa 213 milioni di euro.

Sono stati ascoltati 725 testimoni e circa 7mila vittime di abusi durante 325 giorni di udienze pubbliche e sono stati indagati diversi enti e istituti, dal Parlamento di Westminster alla Chiesa d’Inghilterra, dalla Chiesa cattolica alle autorità locali, dalle istituzioni alle quali vengono affidati minori e adulti vulnerabili agli enti religiosi. I casi esaminati risalivano anche agli anni Cinquanta, perché l’obiettivo dell’inchiesta non era di individuare i colpevoli degli abusi ma di indagare le strutture manageriali, i valori e i canali di comunicazione delle istituzioni per capire come gli abusi fossero stati possibili.

L’inchiesta si è anche occupata della Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles dove, tra il 1970 e il 2015, vi sono state oltre 3mila segnalazioni di abusi contro oltre 900 individui legati alla Chiesa e 177 azioni penali risultanti in 133 condanne. A testimoniare davanti all’inchiesta sono stati il primate cattolico Vincent Nichols e l’arcivescovo di Birmingham Bernard Longley che hanno chiesto scusa alle vittime degli abusi per le mancanze della Chiesa.

(G.A.)     Agenzia Sir            20 ottobre 2022

www.agensir.it/quotidiano/2022/10/20/abusi-inchiesta-di-stato-su-istituzioni-britanniche-in-7-anni-ascoltati-725-testimoni-e-circa-7mila-vittime

Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles, “Un rinnovato impegno nella protezione di minori e persone vulnerabili”

“Diamo il benvenuto al rapporto finale dell’inchiesta di Stato che studieremo con attenzione e ci scusiamo senza riserve con coloro che hanno subito abusi nella Chiesa. Promettiamo un rinnovato impegno affinché si intensifichi e migliori il lavoro fatto perché tutti i minori e i vulnerabili che rischiano di subire abusi vengano protetti”.

Con queste parole la Chies

a cattolica di Inghilterra e Galles ha risposto, in un comunicato, al rapporto finale dell’inchiesta di Stato (Independent inquiry into child sexual abuse) sugli abusi nelle istituzioni britanniche avviata dalla premier Theresa May nel 2015 dopo lo scandalo di Jimmy Savile, il famoso dj della Bbc, che aveva per anni infierito su vittime innocenti, coperto da colleghi e superiori. Durata sette anni l’inchiesta ha indagato le strutture manageriali di varie istituzioni, dal Parlamento di Westminster alle autorità locali, per capire come gli abusi siano stati possibili. Una parte è stata dedicata alla Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles e alle migliaia di abusi commessi, tra il 1970 e il 2015, contro oltre 900 individui legati alla Chiesa. Nel comunicato di risposta ai risultati dell’inchiesta, preparato dal “Catholic council”, l’ente che la Chiesa ha avviato nel 2015 per assistere l’inchiesta di Stato, si dice anche che “la Chiesa cattolica non si fermerà nel suo viaggio per proteggere chi entra in contatto con essa e diventare un luogo sicuro per tutti”.

(G. A.)    Agenzia Sir            20 ottobre 2022

www.agensir.it/quotidiano/2022/10/20/abusi-chiesa-cattolica-di-inghilterra-e-galles-un-rinnovato-impegno-nella-protezione-di-minori-e-persone-vulnerabili

Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles, “in ascolto delle vittime affinché le loro esperienze guidino il nostro lavoro”

Nel comunicato con il quale la Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles risponde al rapporto finale dell’inchiesta di Stato sugli abusi nelle istituzioni britanniche, che ha indagato anche la Chiesa, si ricorda anche il lavoro fatto per mettere a punto nuove strutture di prevenzione degli abusi più adeguate. “Prima della pubblicazione del rapporto dell’inchiesta di Stato (Independent inquiry into child sexual abuse) sulla Chiesa cattolica, nel novembre 2020, la Chiesa ha commissionato un’inchiesta indipendente sulle strutture per proteggere minori e adulti vulnerabili che sta per essere implementata”, si legge nel comunicato preparato dal “Catholic council”, l’ente avviato nel 2015 dalla Chiesa per aiutare l’inchiesta di Stato.

Il nuovo ente incaricato di monitorare queste strutture, la ‘Catholic Safeguarding Standards Agency’, l’Agenzia che controlla gli standard di salvaguardia di minori e adulti vulnerabili, che ha cominciato il suo lavoro nell’aprile 2021, controlla che tutte le misure di protezione vengano osservate. I cambiamenti introdotti rispondono alle raccomandazioni fatte dall’inchiesta di Stato nel suo rapporto sulla Chiesa cattolica”. “Un’importanza fondamentale nella messa a punto della nuova Agenzia l’hanno avuta le vittime e i sopravvissuti”, si legge ancora nel comunicato. “La Chiesa rimane impegnata ad ascoltare con umiltà coloro che sono stati feriti dalle azioni dei membri della Chies così che le loro esperienze possano guidare il nostro lavoro”.

(G. A)    Agenzia Sir         20 ottobre 2022

www.agensir.it/quotidiano/2022/10/20/abusi-chiesa-cattolica-di-inghilterra-e-galles-in-ascolto-delle-vittime-affinche-le-loro-esperienze-guidino-il-nostro-lavoro

Caso Santier, una morale sessuale incolta

Chiedere a dei giovani di spogliarsi completamente durante la confessione… Questi fatti gravissimi – che la Chiesa di Francia traduce eufemisticamente con “voyeurismo” – di cui si è reso colpevole il vescovo emerito di Créteil, mons. Santier, quando era direttore di una Scuola della fede e responsabile di una comunità nuova, lasciano innanzitutto allibiti davanti a ciò che rivelano di abuso e di perversione. Ma poi sopravviene la collera: com’è possibile che una persona che, in quanto futuro vescovo, ha seguito corsi di teologia approfondita, ricevuto una formazione “solida” in seminari miranti a formare la “classe dirigente” del cattolicesimo, possa cadere in una simile confusione, che mescola peccato, nudità, attrazione sessuale inconfessata e religione? E allora, non senza una certa stanchezza, si arriva a pensare che, decisamente, per gli abusi sessuali commessi nella Chiesa, la perversità si fonda a volte su una visione detta spirituale della sessualità e della carne che pone interrogativi sulla capacità di avere, in senso letterale, intelligenza della fede.

Certo, la sessualità, il rapporto con il corpo, il nostro e quello degli altri, resta una faccenda complessa. L’attualità, dal #MeToo [movimento femminista contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne]a tutti i casi di abuso, ce ne dà quasi ogni giorno la prova. Non c’è motivo di pensare che la Chiesa ne sia risparmiata, soprattutto perché ha una lunga tradizione di rigida moralità, in cui tutto ciò che faceva riferimento alla sessualità era assimilato al male. Ma, da più di mezzo secolo, la Chiesa porta avanti un discorso lontano dalla realtà che non favorisce – per usare un eufemismo – la comprensione della rivoluzione sessuale che stiamo vivendo in Occidente e le sue implicazioni. E non è certo il minimo dei paradossi per una religione incarnata come il cristianesimo!

Una certa “teologia del corpo”, che si basa senza dubbio malamente sugli scritti di Giovanni Paolo II, ha totalmente sublimato il rapporto con il corpo. Ha fatto della sessualità una forma di ideale, sacralizzato da una visione della coniugalità spesso molto teorica. Senza vedere tutto ciò che ci può essere, nella sessualità, di insoddisfazione, di fallimento, di ambiguità e anche evidentemente di rapporto di forza. La sessualità può anche essere un luogo di grande violenza, in particolare per chierici che subiscono una castità imposta e deviano la confessione e il loro potere di sacramento per appagare certi loro desideri. Anche in questo, bisogna evitare di generalizzare. Ma perché persiste questa incapacità a parlare della sessualità nella sua complessità, nella sua umanità oserei dire, perché farne una sorta di luogo sacralizzato che apre la porta a tutte le devianze?

Anche in questo, la Chiesa non è sola. Una riflessione di questo tipo non può essere fatta nel vuoto. Al contrario, la difficoltà a portare avanti un discorso sulla sessualità riguarda tutta la società, basta vedere il modo in cui l’industria pornografica ha invaso l’universo dei bambini… Peccato che rispetto alle polemiche e alle spaccature interne sulle questioni di omosessualità e in senso lato sui nuovi comportamenti sessuali, la Chiesa abbia abbandonato il campo, tanto con i suoi moralisti che con i suoi teologi, senza affrontarla nella sua complessità, le sue ombre e le sue luci. L’esortazione apostolica Amoris lætitia, scritta nel 2016 da papa Francesco dopo il sinodo sulla famiglia, ha aperto la porta ad una visione più realistica, fatta a partire da ciò che le persone vivono realmente.

Ma questo atteggiamento rimane ancora decisamente troppo timido.

Isabelle de Gaulmyn      “La Croix”  22 ottobre 2022 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202210/221022degaulmyn.pdf

CISF – CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – n 38, 19 ottobre 2022

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=ozs49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vrvtNCLM
  • www.iccfr.org), rete internazionale di professionisti ed esperti sulle tematiche familiari, cui ha partecipato anche il Cisf (nella persona del direttore, Francesco Belletti). Obiettivo primario dell’incontro è stata la programmazione della 68.a Conferenza Internazionale ICCFR, che si realizzerà proprio a Newport dal 12 al 14 maggio 2023.                                                                     https://iccfr.org/2022-2

Per conoscere tema e programma vai alla notizia

http://cisf.famigliacristiana.it/cisf/cisf-news/articoloCISF/connessioni-internazionali-cisf-la-68a-conferenza-internazionale-iccfr-international-commission-on-couple-and-family-relations-newport-12-14-maggio-2023.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_19_10_202-2.

On the ICCFR website a provisional list of issues is offered, on which it is possible to request the presentation of workshops (90-minute sessions in which research contents or innovative themes can be showed and discussed in a small group), two specific sessions will be dedicated to the workshops. Here the call for workshop presenters.                                                                                                    https://iccfr.org/2022-2/call-for-workshop-presenters

All’interno del percorso verso la Conferenza 2023 ICCFR organizza inoltre un webinar tematico, il 17 novembre 2022 (16.00-17:00 – orario Roma/Europa Centrale), su “La solidarietà della Polonia verso i rifugiati dall’Ucraina” [qui per iscriversi –           https://iccfr.org/2022-2/webinar-poland-in-solidarity-with-ukrainian-refugees

ICCFR webinar – 17 November 2022 17.00 – 19.00 (CET).”Poland in solidarity with Ukrainian refugees. How Poland is helping the 6 million who have crossed the border since the start of the war” (Speaker: Dr. Joanna Kosińska-Wiercińska).

https://unicalmondo.musvc2.net/e/t?q=9%3dHW0eLW%26q%3dY%265%3dUEX%266%3dU7YQW%26z%3dDAMuO_9tXv_J4_wwjs_7B_9tXv_I92SD.9fIz0qEr6wE0Mn754.nP_9tXv_I9rAuBf_NhvU_XwIiB_9tXv_I9hE07r4f9_wwjs_7B9NgNz6f-8vEqAAMn-9zLk-NrLxAxGf-OA4rLr.IiB%26u%3dFzOC67.JvM%26nO%3dMT6Y
https://unicalmondo.musvc2.net/e/t?q=5%3dHTMaLT%264%3dU%265%3dRRT%266%3dRJUQT%26C%3d0AJ8K_9qkr_J1_0sjp_J8_9qkr_I6EOD.1x5tDwL.6Hy_Jhsh_Twp7JA14K_9qkr_I6N_Jhsh_TwaXeT_Hiug_RMTQv-lJr96A57_0sjp_JWIZRZIR_0sjp_JWIZMZJQK-T.74x_Jhsh_UwLwJ_9qkr_J4u6mqD9n-ABK_9qkr_IUKf%26u%3dCCKC3J.FvJ%2613r1sK%3dMQIU
  • https://www.asahi.com/ajw/articles/14730746
https://unicalmondo.musvc2.net/e/t?q=A%3d2TJg6T%261%3da%26o%3dROZ%26p%3dRGaAT%260%3dFuJ5Q_sqhx_41_7yTp_GD_sqhx_36BUx.F7Mw999f6pKj71Gb.99_PRse_ZgCtBj1_7yTp_GDvItPg91Ct_Hf1Q_RuDjBtQ_sqhx_36Pa_HHpXj5_7yTp_Gc3Zp_PRse_Z6ROljE_7yTp_Gc3ZrG_sqhx_3UGhtE3M_sqhx_3UGhj_Hf1Q_RJZAn4Lo9_79b1pyTp_Gc3Z(F).Ne6%26s%3dKvIAA3.DtR%26jI%3dKY2S

nell’ambito di un convegno dedicato, a cui ha partecipato il presidente Istat Gian Carlo Blangiardo ].

                www.provitaefamiglia.it/blog/ecco-cosa-dovra-fare-il-prossimo-governo-per-valorizzare-i-nonni

  • www.bambinisenzasbarre.org
https://population-europe.eu/events/digclass-project-social-classes-digital-age

www.ledha.it/page.asp?menu1=2&menu2=4&notizia=10709&page=1

Scriveva Umberto Eco che la bellezza non è mai stata qualcosa di assoluto e immutabile, ma ha assunto volti diversi a seconda del periodo storico e del paese. In questo volume, la filosofa Maura Gancitano offre una straordinaria “messa a fuoco” di quello che la bellezza, come ideale e come standard culturale, ha rappresentato e rappresenta per la nostra società (…) (Benedetta Verrini)

https://unicalmondo.musvc2.net/e/t?q=5%3dCZ8aGZ%26o%3dU%26z%3dXCT%261%3dX5ULZ%26x%3d06PsK_4wVr_E7_usev_58_4wVr_DBzO9.BdEuCoAm9uA5Pl3z7.lL_4wVr_DBp7pEd_JcyS_TrLg8_4wVr_DBfA53m7dB_usev_58DXfA5Bq79O6ZmHo7s7wGxEeJu.Lg8%26p%3dIxK895.FqP%26lK%3dHW4U
https://centridiateneo.unicatt.it/studi-famiglia-notizie-mediazione-e-mediazioni-transizioni-e-cambiamenti

www.ipsser.it/19-novembre-2022-save-the-date

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=ozs49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vrvtNCLM

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CHIESA DI TUTTI

«Ma cosa offre la Chiesa a mio figlio gay» La via stretta e un (nuovo) abbraccio largo

La lettera dolente e accorata di una mamma cresciuta alla scuola di don Giussani e don Carròn e quella, pacata, severa e allarmata di un altro lettore aiutano anche me a riflettere di nuovo su un tema emerso spesso nel dialogo coi lettori di questi anni e nel nostro lavoro di cronaca e approfondimento

Caro direttore,                  mio figlio 3 anni fa ha fatto coming out, si è rivelato per quello che è, la sua vera natura: omosessuale. “Da quando lo sai?”. “Da sempre”. Non una scelta, non una moda, ma una constatazione.

Perché, cosa avevamo sbagliato? Ho conosciuto altri genitori e altri ragazzi nella nostra stessa situazione, confronti, domande, incontri di auto-mutuo aiuto. Ho incontrato persone splendide e mai nessuno mi ha fatto sorgere il dubbio che quell’omosessualità fosse una “scelta”, ma una cosa che si son trovati addosso.

Non è “contronatura”, anche se così ho detto in un primo momento a mio figlio e non vorrei mai averlo fatto. Non è contronatura l’omosessualità perché in natura c’è e c’è sempre stata e non è neppure una malattia come da tempo ha decretato l’Oms. Dal giorno in cui mio figlio si è rivelato, il nostro rapporto è cresciuto, più chiaro, più adulto. Desidero custodire questo figlio così come mi è stato dato, con tutto l’amore di cui sono capace. Sono cresciuta con gli insegnamenti di don Giussani e di don Carrón, ho imparato a guardare la circostanza, la realtà, la vita così come si presenta.

Nelle comunità cattoliche questo argomento è quasi improponibile: quel che dice la Chiesa non può essere messo in discussione. Che cosa ha in serbo, allora, la Chiesa per mio figlio e per tutti quelli come lui?

Accoglienza. Ma che cosa se ne fa una persona se non può innamorarsi e non può cercare la felicità secondo la sua natura? Perché di questo si tratta. Felicità e dignità. Penso, alla luce della mia esperienza che la Chiesa debba imparare ad ascoltare i suoi figli, non deve rinunciare alla sua sostanza anzi dovrebbe arricchirsi chinando come madre l’orecchio in ascolto dei suoi figli così unici e così diversi tra loro. Grazie Giuliana

Caro direttore, prima di ogni altra cosa desidero ringraziare lei e i suoi collaboratori per la ricchezza, e la precisione delle notizie che, soprattutto in questi duri mesi, ci state fornendo su tutto ciò che di importante accade in Italia, in Europa, nel resto del mondo e nella Chiesa. Devo, però, confessarle che mi ha lasciato perplesso sia il contenuto, sia il tono con cui il 22 settembre scorso, a pag. 17, “Avvenire” ha dato notizia del fatto che un «gruppo di cristiani Lgbt aderenti all’associazione “La tenda di Gionata“, al temine dell’udienza del giorno precedente, è stato ammesso a salutare il Papa». Sin qui, tutto bene: papa Francesco, avvicina tutti, parla con tutti e, come faceva Gesù, privilegia i più poveri, i più deboli, coloro che più di altri hanno bisogno di convertirsi. Inoltre, al n. 250 dell’esortazione post-sinodale Amoris lætitia, ha ribadito che «ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto». Ma il modo in cui vengono accolti gli omossessuali dall’associazione che opera a Torino e il modo in cui agiscono le due lesbiche «impegnate in una parrocchia dell’arcidiocesi di Modena-Nonantola» non mi pare che segua la linea tracciata nel documento citato per l’accoglienza di tutti coloro che si trovano a vivere da “irregolari”, ai margini della Chiesa, di cui si occupa il n. 297. Qui, giustamente, il Papa afferma che «nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo »; e precisa che «se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione». Al n. 300, poi, l’Amoris lætitia indica ai Pastori la via da seguire per accogliere tutti gli “irregolari”: è una via strettamente individuale, personale, che accompagna queste persone «sulla via del discernimento», attraverso «un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento». A Torino e a Modena non mi pare che siamo su questa linea: si dà alla potente, ricca, spregiudicata lobby Lgbt la possibilità di arrivare anche da noi a ottenere ciò che ha ottenuto in Belgio e che viene evidenziato nella stessa pagina di “Avvenire”: lì i vescovi e il cardinale Jozef De Kessel «hanno pubblicato un documento che (…) autorizza la benedizione delle coppie dello stesso sesso ». Evidentemente, non hanno letto la ferma condanna di ogni tentativo di «assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omossessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» contenuta nel n. 251 ditale documento. E non hanno tenuto in alcuna considerazione il successivo documento della Congregazione per la Dottrina della Fede in cui si vietava espressamente ai presbiteri di benedire le coppie omossessuali. Mi auguro che il Vaticano faccia presto sentire, di nuovo la sua voce e che si sani la frattura che si è verificata con parte dei vescovi del Belgio. Pregherò molto, con questa intenzione.

Firmo entrambe le lettere che precedono queste mie riflessioni soltanto col nome dell’amica lettrice e

dell’amico lettore che me le hanno scritte. Alla signora Giuliana dico grazie per la confidenza aperta, schietta e comprensibilmente dolente. E rispondo alla domanda che mi pone con realismo: la Chiesa a suo figlio gay offre un abbraccio largo e la via stretta. Come a tutti, eppure -è vero – di più. Con le persone omosessuali è così. Ed è la Chiesa che amiamo e di cui ci fidiamo che lo fa, quella mandata nel mondo dal suo Signore per condividere la Parola che dà senso a tutto, per nutrire la comunione e per “chinarsi” in ascolto e in prossimità lungo la via che «scende da Gerusalemme a Gerico» (cfr. Lc 10, 30) e che attraversa la storia e le vite degli uomini e delle donne in carne, ossa e sentimenti.

Perché questa è la “natura” degli uomini e delle donne. Di tutti, nessuno escluso, quale che sia la loro condizione e inclinazione anche sessuale. Perverse, mi è stato insegnato nella Chiesa e dalla vita, sono solo la violenza, la sopraffazione e l’umiliazione. Per questo da due millenni, la Chiesa si china e si rialza, rialzando. E quando non lo ha fatto, quando non si è chinata in annuncio limpido ma anche in ascolto della vita reale, ha deluso e persino tradito e, infine, pensiamo solo a san Giovanni Paolo II nel grande Giubileo del Duemila e a Benedetto XVI e Francesco negli ultimi vent’ anni, ha saputo chiedere perdono per aver sbagliato o tardato a capire e ad ascoltare.

Da diversi anni, anche se non ovunque nello stesso momento e nella stessa maniera, la Chiesa ha imparato a prestare ascolto anche alle persone omosessuali. In particolare, alle persone omosessuali.

Marco Tarquinio. Direttore di   “Avvenire”        domenica 16 ottobre 2022

www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-direttore-risponde-cosa-offre-la-chiesa-a-un-figlio-gay

Una ferita non rimarginata

Dopo 18 mesi di pandemia, che aveva allo stesso tempo affaticato e rinnovato il nostro cammino, la domenica 3 ottobre 2021, il direttore della Caritas diocesana ricevette l’incarico di notificare alla nostra comunità di S. Stefano, durante la celebrazione dell’eucaristia, la risposta del vescovo di Novara al quesito posto dal nuovo parroco (ancora non insediatosi) sull’uso di testi eucologici [orazioni] (colletta, preghiera offertoriale, prefazio, preghiera dopo la comunione) predisposti dalla nostra comunità. Da oltre 50 anni nelle nostre parrocchie si è fatto un grande lavoro per rinnovare il linguaggio liturgico rendendolo udibile e comprensibile alle donne e agli uomini di oggi. Il vescovo scriveva che “non è consentito in alcun modo né al vescovo, né al sacerdote, né ai laici alterare o manomettere, tanto meno scrivere di nuovo, nessuna orazione e prefazio dell’eucologia (compreso l’Ordo Missæ, il Credo e le Preghiere eucaristiche), poiché si tratta del cuore della preghiera liturgica, che non è nostra, ma della Chiesa madre…” e proseguiva affermando che gli spazi di creatività previsti sono altri, come quelli della preghiera dei fedeli.

Il teologo Andrea Grillo, docente di liturgia al S. Anselmo di Roma e a Padova, il 20 novembre 2021, ricordava al nostro vescovo teologo che, se la liturgia è un atto di Cristo e della Chiesa, insieme non è nostra ma è anche nostra, anche della chiesa presente capillarmente nel corpo ecclesiale, nel popolo tutto profetico, regale e sacerdotale… La messa è sempre anche nostra. Il rapporto con i testi non può essere solo di ripetizione… e affermare che “la messa non è nostra”, pur con tutta la sua parziale ragionevolezza, rischia di suonare singolarmente coerente con le forme più intolleranti di tradizionalismo ecclesiale.

E il fondatore di Bose, Enzo Bianchi, in un testo apparso su “Vita Pastorale” nel febbraio di quest’anno, scriveva: “Confesso che ho nostalgia di quelle celebrazioni postconciliari nelle quali ci si ritrovava attorno a un tavolo, nella semplicità di parole riscoperte nella tradizione, ispirate anche da una sobria e intelligente creatività, che facevano sentire che l’eucaristia è di Cristo, della Chiesa e dunque anche nostra! Perché l’eucaristia è azione del Signore e della Chiesa, nessuno ne è il padrone ma tutti i partecipanti ne sono i celebranti!” E indicava poi tre urgenze per l’eucaristia.

 Le tre urgenze indicate da Enzo Bianchi sono proprio quelle che hanno profondamente segnato il cammino della nostra piccola comunità, un cammino interrotto d’autorità un anno fa.

E ancor prima il fondatore di Bose scriveva su “la Repubblica” (6 dicembre 2021): “Il Papa chiede inclusione, ma poi alcuni vescovi chiudono esperienze parrocchiali di frontiera, paralizzano comunità che hanno aperto cammini di rinnovamento, chiedono di uniformarsi alle scelte pastorali diocesane, e finiscono addirittura per accusare di clericalismo chi semplicemente intende proseguire la ricerca per un autentico cammino sinodale”.

Dal giorno della notifica del vescovo ci è stato imposto anche di interrompere l’esperienza durata oltre dieci anni del prendere la parola durante la liturgia. Una persona della comunità, dopo la lettura del vangelo, e prima dell’omelia del prete, offriva un proprio contributo. Proprio il prendere la parola è stata l’esperienza che più ha fatto sentire le persone di essere davvero celebranti. Il non sentirci più celebranti, ma solo spettatori o tuttalpiù usufruitori di un servizio è forse il frutto più amaro di quanto avvenuto. Da allora il prete di turno – spesso si sono alternati durante l’anno tre diversi presbiteri, ognuno evidentemente con la propria sensibilità e apertura – non ha più presieduto la celebrazione della comunità, non si è messo più nella postura di colui che è chiamato a far sì che la comunità celebri e partecipi, ma ha assunto soprattutto il ruolo del celebrante di fronte alla comunità.

Il prete, nella situazione di oggi, gioca un ruolo determinante nel favorire o frenare il coinvolgimento dell’assemblea. Abbiamo cercato durante quest’anno di impedire l’azzeramento della nostra esperienza, inserendo nel foglio che predisponiamo per la celebrazione dell’eucaristia domenicale un breve commento scritto da una persona della comunità e prendendo la parola durante la preghiera dei fedeli. Purtroppo tutto questo impegno si inserisce in un contesto generale che va in tutt’altra direzione, dato il ruolo preponderante del prete, da cui dipende in larga misura l’atmosfera che si respira durante la celebrazione.

È stupefacente o quanto meno singolare che la brusca frenata al nostro cammino ci sia stata imposta proprio nel momento in cui la chiesa italiana promuoveva la prima fase di un cammino sinodale, “un biennio di ascolto di ciò che lo Spirito dice alle chiese attraverso la consultazione del popolo di Dio nella maggiore ampiezza e capillarità possibile”, “coinvolgendo il più possibile anche persone che non sono e non si sentono “parte attiva” della comunità cristiana”.

Credo che sia difficile poter immaginare un’esperienza tanto contraria alla sinodalità, al camminare insieme, quanto quella che a noi è capitato di vivere. Come ben sappiamo lo stile sinodale non è qualcosa di marginale nella vita di una comunità cristiana. Come ha affermato papa Francesco “la sinodalità, il camminare insieme, è dimensione costitutiva della chiesa, è la via costitutiva della comunità cristiana”.

Come da prassi consolidata il parroco ci è stato assegnato senza alcuna forma di previa consultazione, paracadutato dall’alto. Ci ha poi impressionato non favorevolmente il fatto che, prima ancora di insediarsi, il nuovo parroco non solo non si è messo nella disposizione di un ascolto attento e prolungato del cammino fatto dalla nostra comunità, ma ha richiesto l’intervento dell’autorità per interrompere, con motivazioni discutibili come prima si è accennato, quel poderoso lavoro di aggiornamento delle preghiere liturgiche iniziato con passione da don Giacomini nei primissimi anni ‘70 e proseguito successivamente da don Giuseppe per essere infine raccolto rivisto e riproposto da noi finché è stato possibile. Inoltre si è provveduto ad allontanare qualunque prete che in qualsiasi forma avesse condiviso il nostro cammino, addirittura esonerando per telefono un prete novantenne dal presiedere le nostre eucaristie. E, come facilmente è comprensibile, senza la presenza di un prete che favorisca o perlomeno non ostacoli il cammino, nella chiesa istituzione si chiudono tutti gli spazi. Rimangono aperti spazi di cammino comune fuori dalle chiese, nelle nostre case, anche col ricorso, favorito dalla pandemia, alle tecnologie digitali. Sono strade che da tempo stiamo percorrendo.

Nell’incontro della nostra comunità con il nuovo parroco, del 25 ottobre 2021, durante il quale la ventina di persone presenti aveva illustrato con semplicità e passione l’importanza dell’esperienza fatta, dell’essere stati sollecitati a diventare protagonisti, a prendere tra le mani la parola di Dio contenuta nelle Scritture, a prendere la parola per offrire un proprio insostituibile contributo durante la celebrazione, ci è stato detto che l’esperienza fatta è stata molto bella, ma che non è più possibile continuarla durante la celebrazione dell’eucaristia, in cui solo al ministro ordinato sono permesse alcune funzioni. L’aver messo in evidenza che il nostro prendere la parola non sostituiva ma precedeva l’omelia e come tale non contrastava con le norme vigenti, non ha modificato la posizione, presumibilmente concordata a più alti livelli.

Ci stupisce infine che la lettera che ci ha imposto di interrompere una lunga storia di rinnovamento del linguaggio liturgico, dei testi eucologici, sia stata scritta da chi, prima della nomina episcopale, sottoscrisse nel 1989 la lettera di 63 teologi italiani indirizzata ai cristiani di fronte al disagio per le spinte regressive che attraversavano la chiesa cattolica.

E ancor più ci stupisce per quanto scriveva, nel 2010, l’allora preside della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e vescovo ausiliare di Milano, a proposito delle eredità del concilio e cioè che “La prima eredità del Concilio è quella di una Chiesa che passa da una comunità del ‘sentir messa’ a una Chiesa ‘che celebra’.” (Franco Giulio Brambilla, Il Vaticano II, ‘bussola” per la chiesa, “Rivista del Clero Italiano” 6, 2010).

Sarebbe necessario un confronto aperto, ricco di ascolto e di parresia, sui grandi orientamenti che dovrebbero guidare il cammino di una comunità, sul modo di concepire la comunità e i ministeri (piramide rovesciata), sul persistente e inscalfibile clericalismo di preti e laici, sul modo di concepire e vivere la liturgia e la centralità delle Scritture, sul modo di concepire il rapporto tra comunità ecclesiale e la città in cui è inserita e di cui fa parte, per vivere e testimoniare l’essere con e per gli altri. Venti anni fa le nostre comunità avevano elaborato e approvato le “linee di progetto per una comunità cristiana”, nel solco dei grandi orientamenti conciliari, nella fedeltà al vangelo, in ascolto delle donne e degli uomini di oggi. E anche in seguito non abbiamo mai fatto mancare le nostre riflessioni. Don Giuseppe Masseroni, colui che ha presieduto le nostre celebrazioni eucaristiche per tanti anni, nel suo testamento letto durante la preghiera del funerale, scriveva: “c’è ancora oggi… una piccola comunità, sostenuta dalla parrocchia, che desidera portare avanti questi orientamenti. A questa comunità devo tanta riconoscenza e credo che saprà continuare con umiltà e con quella voglia di semplicità che ha saputo esprimere in tante esperienze”. Senza quel sostegno non è possibile la prosecuzione del cammino all’interno della chiesa istituzionale, ma solo ai margini. Ci è stata inferta una ferita, non rimarginata. Non è rimarginabile?

Giancarlo Martini                           “www.finesettimana.org”         del 15 ottobre 2022

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Il concilio e la timidezza nelle scelte determinanti

Nei giorni in cui si ricorda il sessantesimo anniversario del Concilio Vaticano II, un gruppo di battezzati e battezzate della Chiesa di Brindisi-Ostuni ha fatto un atto “conciliare”. Cioè non ha commemorato con celebrazioni di rito o con articoli omiletici e retorici quel grande evento dello Spirito, ma ha agito con stile conciliare: non parole sul Concilio, ma parole da figli e figlie del Concilio, camminando sulle vie del Concilio e per vivere veramente l’ecclesiologia conciliare. Ne è nata una Lettera che hanno scritto al Papa, che ha un valore almeno nazionale. A firmarla non sono giovani sprovveduti, ma donne e uomini maturi che, proprio fin da giovani, si sono impegnati nella Chiesa locale e sono perciò ben noti a chi conosca non superficialmente le vicende dei cattolici salentini dal Concilio ad oggi. Non a caso essi richiamano la evangelica figura di Tonino Bello: il simbolo incarnato di quanto di meglio le Chiese pugliesi hanno realizzato in termini di pastoralità secondo il Vaticano II. A fianco del grande vescovo salentino è pure idealmente presente (anche se non lo citano esplicitamente) la figura del laico Michele Di Schiena, che tanto si è impegnato per radicare il Concilio nel popolo cristiano salentino.

Che cosa, dunque, scrivono questi laici e laiche nella loro Lettera? A partire dalla contingenza della vicina nomina di un nuovo Arcivescovo per la diocesi di Brindisi-Ostuni, prendono la parola per esprimere – praticando la sinodalità e non solo parlandone – i loro voti sulle caratteristiche che, secondo la loro visione conciliare, sono richieste al nuovo Pastore e che, perciò, ne dovrebbero guidare la scelta. Non indicazioni di nomi, dunque, ma di criteri di discernimento. È una richiesta tanto responsabile e non velleitaria, quanto normale (normale ovviamente in una Chiesa che viva il Vaticano II: se non appare normale vuol dire che non siamo in presenza di una Chiesa conciliare). Normale e, direi, molto moderata (il “minimo sindacale”, per in maniera irrituale). È chiaro, comunque, che il problema più ampio che, con questa Lettera, essi richiamano e pongono riguarda le modalità di scelta dei vescovi nella Chiesa cattolica. Si tratta di una delle “cinque piaghe” della Chiesa, indicate nell’Ottocento (quasi duecento anni fa!), dal Beato Antonio Rosmini, allora condannato per la sua franca audacia, ma poi visto come un profeta anticipatore del Vaticano II, recentemente beatificato da papa Ratzinger e al quale anche papa Francesco si è più volte richiamato. Rosmini suggeriva di ispirarsi all’antica pratica della Chiesa dei primi secoli con l’elezione dei vescovi da parte di clero e popolo. Dopo il Concilio si è ripresa questa proposta di Rosmini e la discussione è continuata, con alti e bassi, fino ai nostri giorni.

Al di là del riferimento storico ai primi tempi delle comunità cristiane (grosso modo dalla predicazione di Gesù all’editto di Costantino), è evidente che, nel XXI secolo, in questo cambiamento d’epoca (e non solo epoca di cambiamenti) che stiamo vivendo, una riflessione e un cambiamento istituzionale, anche su questo aspetto, siano necessari e urgenti per la Chiesa cattolica, anzi sono già in grave ritardo. Non è il caso, dunque, di essere “moderati”: ci vogliono più coraggioe più radicalismo evangelico. E non si possono rimandare decisioni di cambiamento radicale.

Nel regime di cristianità, e limitiamoci all’ultimo periodo, dall’inizio dell’età moderna al Novecento, quando cioè si era in presenza di una società che si pensava tutta cristiana, i capi politici (imperatori, re, principi, governi, ministri) si ingerivano – in quanto si ritenevano detentori di un dovere/potere “cristiano” nei confronti della Chiesa – nella vita ecclesiale interna e condizionavano (o imponevano) la nomina dei vescovi. Per uscire da questa “piaga” si potevano seguire due vie, ciascuna analogicamente parallela ai due differenti processi in atto di modernizzazione del potere politico:

La prima è la via che si è effettivamente seguita (con il passaggio fondamentale del 1917, quando fu promulgato un Codice di tipo napoleonico per regolare il diritto canonico), centralizzando tutto il potere nel papa e nella Curia romana.

La seconda era la via a cui pensava Rosmini.

Tra le due guerre mondiali poi, in presenza della sfida mortale alla Chiesa che veniva dai regimi totalitari (soprattutto dal nazismo di Hitler e dal comunismo di Stalin, ma più sottilmente e nonostante i Patti Lateranensi anche dal fascismo, sempre più nazificato), anche la Chiesa assumeva, arroccandosi sulla difensiva, una forma totalitaria, con i pontificati di Pio XI e di Pio XII. Ma, dopo la caduta del fascismo e del nazismo, e con l’avvento di regimi democratici, questa struttura istituzionale centralizzata della Chiesa, che permaneva, creava disagio e produceva dinamiche contraddittorie. Il Concilio Vaticano II ha avviato il superamento del totalitarismo ecclesiale. Ma il processo ha avuto alti e bassi, non si è ancora compiuto e l’anacronismo (esistenziale prima ancora che istituzionale) di alcune permanenze totalitarie appare sempre più stridente e incomprensibile per le nuove generazioni. Poteva ancora essere accettato in presenza del comunismo. Ma dopo il crollo dell’Urss non si giustifica più. Anzi la Chiesa cattolica rischia di essere percepita – in modo esagerato, ma non completamente a torto – come l’ultimo dei totalitarismi. Fuori tempo massimo.

La lettera del gruppo brindisino, dunque, portando l’attenzione su uno dei più urgenti punti di necessario cambiamento, offre un grande servizio alla Chiesa cattolica. Forse ancora troppo moderato, per le necessità storiche. Ma forse fin troppo audace, per l’attuale timidezza (almeno a quel che appare) di gran parte del cattolicesimo italiano.

Fulvio De Giorgi                              “Quotidiano di Puglia”                                18 ottobre 2022

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[Aneddoto. Vescovo di Ivrea era dal 1960 mons. Albino Mensa; nato nel 1916 da oriundi in Argentina, rientrato in Italia per il seminario a Pinerolo, ordinato sacerdote nel 1939, licenziato a Roma in teologia, ritornato in Argentina nel 1947 per 10 anni per un servizio agli immigrati. Si interessò molto e bene dell’aperura del consultorio familiare e del rinnovamento liturgico in diocesi aiutato molto dall’Azione cattolica, di cui ero stato nominato Presidente di giunta e da don Gigi Rey, vocazione adulta, non tardiva come si diceva allora, che era laureato in architettura per il lay-out-disposizione nelle chiese soprattutto degli altari. Nel 1966 venne eletto arcivescovo  metropolita di Vercelli. ]

In quel frangente post-conciliare un gruppetto di laici eporediesi (ACI-ACLI-e altri che erano appena stati assunti dall’Olivetti, provenienti da tutti Italia) inviarono una lettera al Papa Montini, senza indicare nominativi, e il risultato auspicato fu che il 15 gennaio 1967 entrò a Ivrea mons. Luigi Bettazzi. Il 20 febbraio 1999 si dimise per limiti di età. Gli successe mons. Arrigo Miglio recentemente nominato cardinale.

                Fu un caso isolato? o, dato la segretezza richiesta ci sono state situazioni simili? Si voleva sperimentare? Con i pontefici che seguirono non se ne poteva nemmeno parlare. E c’erano i consigli pastorali diocesani adatti ad hoc. So solo che pochi anni dopo un alto prelato; anche lui vocazione adulta, mi apostrofò: Ora sarai contento! giemme]

CHIESAIN ITALIA

Perché serve un nuovo Concilio

Si fa memoria in questi giorni, a sessant’anni di distanza, dell’inizio di quel grande evento (definito da Giovanni Paolo IIla grazia più grande che il Signore ha fatto alla chiesa nel XX secolo”) che è stato il Concilio Vaticano II. Papa Francesco non lo ha soltanto ricordato in San Pietro, ma ancora una volta ha invitato la Chiesa a vivere dello spirito del Concilio, “a respingere la tentazione di chiudersi nei recinti delle proprie convinzioni”. La Chiesa, infatti, conosce divisioni e sconfessioni reciproche mentre sta con consapevolezza di fronte a sfide inedite, che la pongono nell’incertezza e nella confusione.

Si può attestare un generale consenso al Concilio Vaticano II anche se alcune frange non gli riconoscono l’autorità dovuta e anche se alcune intuizioni conciliari non sono state realizzate. Però le nuove generazioni non sanno né cosa sia né cosa abbia lasciato in eredità il Concilio, che appare un evento del passato, mentre la lettura del presente della Storia sembra richiedere ben altro.

Tra gli anni del Concilio e il nostro tempo sono intervenute diverse rivoluzioni, e sono molte le problematiche che si affacciano per la prima volta nella nostra storia. Così siamo consapevoli che, pur riferendoci al Concilio Vaticano II, dobbiamo rinnovare la dinamica conciliare vissuta durante quei tre anni di celebrazione. Il sinodo in corso è la strada adatta a questo “mutamento” richiesto da Papa Francesco, ma deve condurci – senza fretta – a un nuovo Concilio: un Vaticano III, o un concilio celebrato a Gerusalemme, o in altro luogo. Negli anni Novanta, nei quali mi incontravo con assiduità con il cardinal Martini, ascoltai più volte questa ipotesi dalle sue labbra. Nel Sinodo dei vescovi del 1999 Martini la manifestò arrivando a esplicitare alcune urgenze:

Sull’opportunità di radunare un concilio in quei tempi, io non ero d’accordo con Martini. Ma da allora è passato un ventennio e ci sono stati grandi cambiamenti nella Chiesa. Solo un concilio ecumenico può avere l’autorità di discernere e accogliere i mutamenti richiesti dal popolo di Dio e aiutare tutta la Chiesa a crescere. Il sinodo che si sta vivendo, e che ieri il Papa ha prolungato prevedendo una ulteriore sessione nel 2024, può essere una preparazione.

I problemi che diciamo “inediti” sovente in realtà non sono nuovi, ma in passato non abbiamo voluto prestarvi ascolto. Nel 1929, il 7 ottobre, Pierre Teilhard de Chardin scriveva in una lettera: “Mi sembra che nella chiesa attuale ci siano tre pietre d’inciampo e pericolose: la prima è un governo che esclude ogni forma di democrazia, la seconda è un sacerdozio che esclude la donna, la terza è una rivelazione che esclude per l’avvenire una profezia”. Teilhard, visionario e profeta, leggeva già cent’anni fa le urgenze che noi oggi ci troviamo ad affrontare.

Enzo Bianchi              La repubblica                   17 ottobre 2022

www.repubblica.it/rubriche/2022/10/17/news/altrimenti_perche_serve_un_nuovo_concilio-370316822

CONCILIO VATICANO II

1962, tra giovani christifideles

Incredibile: mi ha intervistato L’Osservatore romano per il 60° dell’apertura del Vaticano II. I giorni 11, 12, 13 ottobre il quotidiano vaticano ha ospitato testi sul 60° di Gianfranco Ravasi, Enrico Feroci, Paul Poupard, Pierbattista Pizzaballa, Piero Coda, Andrea Riccardi, Antonio Staglianó, Luigi Accattoli, così che fui ottavo tra cotanto senno. L’intervista è apparsa mercoledì 12 ottobre nella pagina III del secondo inserto che il quotidiano vaticano ha dedicato al 60° del Concilio. Titolo dell’intervista: «“Christifideles”, ovvero cristiani senza aggettivi. Il ricordo del vaticanista Luigi Accattoli». È firmata da Roberto Cetera, che ringrazio. Per evitare le complicazioni di accesso all’Osservatore online, riporto qui le domande e le risposte (dal blog di Luigi Accattoli).

                Nell’entusiasmo una spinta autentica

Dott. Accattoli, all’inizio del Concilio, lei era appena ventenne, e forse non immaginava neanche di divenire un giorno un noto vaticanista. Ma era già impegnato tra gli universitari della FUCI. Può raccontarci quale fosse la percezione di questo straordinario evento nel mondo cattolico giovanile e laico? E con essa, anche le aspettative e le speranze che il mondo laico di allora riponeva nell’assise conciliare?

                «Fu una stagione felice. Spero non m’inganni la nostalgia dei vent’anni. Felice per la primavera che si respirava e che riempiva di entusiasmo anche gli osservatori laici. La nostra Chiesa che ringiovaniva e le tre cerchie del dialogo proposte, anzi cantate da Paolo VI nella Ecclesiam suam, che ci facevano scoprire fratelli con gli altri cristiani, con gli ebrei, con i credenti delle altre religioni, con i cultori degli umanesimi contemporanei. Una speranza nuova spingeva all’incontro con i cristiani un po’ tutti gli uomini di buona volontà che finalmente guardavano alla Chiesa cattolica come a una compagna di viaggio. O almeno così noi ragazzi vedevamo la scena del mondo, certamente con molta ingenuità. Non ci volle un gran tempo perché si scoprisse che nulla era così facile. Ma la spinta in avanti era stata autentica».

www.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_06081964_ecclesiam.html

La novità dei «laici»

Da attento osservatore delle parole lei ha evidenziato un non marginale cambio lessicale. Il termine «laici» prevalente fino al Concilio esprimerebbe cioè una definizione in negativo: laico in quanto «non ordinato». I padri conciliari – e poi il nuovo Codice di diritto canonico – predilessero invece il termine più comprensivo di Christifideles, cioè semplicemente «cristiani». E i «cristiani» vengono ridefiniti anche nel ruolo: per la prima volta gli sono attribuiti precipui ruoli e responsabilità nell’evangelizzazione del mondo.

                «La considero una novità capitale, cuore e fondamento della promozione del laicato venuta dal Concilio. Ma ritengo che essa non sia stata ancora recepita davvero né dai laici né dai chierici. Al momento non è ancora accettata neanche come linguaggio, figuriamoci come realtà. Avendo fatto per una vita – in quanto vaticanista – il mediatore linguistico tra il mondo ecclesiastico e quello secolare, volendo tener conto di questa novità conciliare nell’uso delle parole mi sono visto costretto a ricorrere all’espressione “cristiano comune” per indicare il battezzato che non ha incarichi o ministeri nella Chiesa. Ma sono convinto che un giorno si dovrà arrivare a dire “cristiani” e basta, senza aggettivi per indicare quelli che ancora chiamiamo laici».

I chierici hanno ancora la precedenza

Lumen gentium apre un nuovo capitolo nella relazione tra laici e ministri ordinati attraverso la rivalutazione del sacerdozio battesimale. Tuttavia permane ancor oggi, sia tra i preti che tra i laici, l’idea di una sorta di diversità ontologica tra i due stati.

«Sono d’accordo e tale permanenza costituisce una fattuale smentita dell’innovazione conciliare. Il Concilio afferma la pari dignità tra tutti i battezzati ma questa non è quasi mai riconosciuta nella vita ordinaria della Chiesa. Cito solo la più paradossale delle smentite, quella che nelle canonizzazioni collettive vuole presentati i nuovi santi in ordine di dignità ecclesiastica: prima i vescovi, poi i sacerdoti e i religiosi non sacerdoti, per ultimi i laici. Per non restare nel vago: quando fu proclamata santa Gianna Beretta Molla, il 16 maggio 2004, prima furono elencati quattro sacerdoti, poi una consacrata e infine lei, madre di famiglia. Questa curiosa “precedenza” in cielo non è stata superata neanche nell’attuale pontificato, benché Francesco abbia aperto nuovi spazi un po’ dappertutto ai laici e alle donne: il 15 maggio scorso furono proclamati due santi martiri: Titus Brandsma carmelitano olandese e Devasahayam Pillai, laico indiano. E furono elencati in quest’ordine».

Resistenze e timidezze

                Un Sinodo sulla sinodalità è forse il passo più importante che la Chiesa compie dopo sei decenni per dare compimento alla nuova dimensione ecclesiologica uscita dal Concilio, e in parte disattesa. Qual è il problema prevalente oggi da affrontare? Il permanere di un atteggiamento delegante da parte dei laici, o la difficoltà dei preti a reinterpretare il proprio ruolo?

                «Credo che la resistenza degli ecclesiastici a fare un passo indietro sia pari – come problema – alla timidità laicale. Il protagonismo laicale comandato dal Vaticano II è arduo a realizzare, chiede una dedizione – poniamo a chi vive nel matrimonio – che può risultare più esigente di quella dei consacrati. La crescita di questo protagonismo sarà lenta. Quanto invece all’inerzia clericale, credo che sia ormai vicina alla resa. La mia esperienza di conferenziere e di informatore mi dice che le comunità italiane con il più alto tasso di governance ecclesiastica sono quelle più ricche di clero e più strutturate: Roma e Milano su tutte. Ma siccome ormai dappertutto galoppa il calo numerico del clero, è da prevedere che presto, ovunque, la necessità rimedierà alla scarsa volontà di cedere ruoli ai cristiani comuni.

                Re- blog               20 ottobre 2022

DALLA NAVATA

XXX Domenica del Tempo ordinario (Anno C)

Siracide                               35, 15. Il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone.

Salmo                                   33, 19. Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti.

Paolo a 2Timoteo            04, 08. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.

Luca                                      18, 09. Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:

                                               Commento di Ernesto Balducci

La preghiera dei poveri sale e, come è nel linguaggio di ispirazione biblica, la preghiera dei poveri quando arriva oltre le nubi si trasforma in collera di Dio. La collera di Dio non segue le nostre direttive, né i piani strategici dei nostri governanti, è una collera che viene come un uragano … Ne abbiamo avuto dei segni, ne abbiamo. Continua l’intreccio perfido tra la speranza dei poveri e l’astuzia dei ricchi. Potremmo spiegare con queste categorie, che non sono scientificamente pertinenti ma si collocano al livello di una lettura biblica della realtà, anche molte pagine della cronaca contemporanea. La pace in Medio Oriente, ad esempio. La pace non ci sarà concessa perché da una parte c’è la preghiera degli emarginati, dei derelitti, dei senza patria, dei senza tetto e dall’ altra parte c’è la potenza della diplomazia di coloro che hanno tutte queste cose e molto di più. Non torneranno mai i conti. La preghiera dei poveri non si contenta finché non è arrivata alla sua destinazione che – come è detto nella Sacra Scrittura – è «la soddisfazione ai giusti e il ristabilimento della equità». Dove troveremo salvezza, pace interiore? se non collocandoci in questa specie di corrente del golfo che è la preghiera dei poveri: inserirci lì e guardare le cose da quel punto di vista. Allora noi non saremo mai in pace, perché non possiamo sopportare che questa promessa ai poveri attraversi i millenni e non si realizzi. La delusione non vince però il nostro amore.

Paolo, parlando di quelli che hanno questa speranza, li chiama «coloro che attendono con amore la sua manifestazione». Noi non l’attendiamo tenendo gli occhi in alto ma l’attendiamo tenendo gli occhi su ciò che avviene. E questa manifestazione viene. La fede consiste anche nel saper cogliere l’anticipazione, scaglionata negli anni, della manifestazione della giustizia. La seconda barriera è quella costituita dagli ordinamenti. C’è un momento toccante nella pagina di Paolo, attraversata da una legittima fierezza della fedeltà alla sua missione; ed è là dove dice: «nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito, tutti mi hanno abbandonato». Ed era Paolo! Quando un uomo si trova di fronte al potere che ha concretezza nelle istituzioni, con dentro una carica di aspirazione alla giustizia, è un uomo rovinato! Non è possibile che le istituzioni rendano conto di questo amore della giustizia in modo compiuto: al più ti suggeriscono un compromesso; un piccolo compromesso per sopravvivere.

Ma chi ha amore per questa giustizia non si accontenta e perciò è solo. Questa solitudine dinanzi al tribunale – la prendo come simbolo – indica la nostra condizione dentro le istituzioni. Chi ha questo amore per quel valore ultimo che è la pace, in tutta la ricchezza delle sue implicazioni, sappia che si troverà solo perché le istituzioni sono nate con la finalità di realizzare questa pace, ma di realizzarla solo per coloro che ne sono i promotori e i custodi. Voi vedete come le leggi che vogliono distribuire sulle spalle dei cittadini la gravità dell’ora, lo fanno in modo non equo; il peso va a cadere sempre sui meno privilegiati, sui poveri. C’è una specie di genio segreto – che non è poi così misterioso, per la verità – che fa sì che la giustizia, sia nell’atto in cui si costituisce come legge sia nell’atto in cui si applica, non è giusta! E allora si è presi da un intimo sdegno. Quanta gente si trova disperata di fronte al meccanismo delle leggi e ai suoi responsabili: è una disperazione antica anche questa, è un luogo tipico del rapporto tra coscienza morale e istituzioni. Noi dobbiamo assumerla come pungolo interiore; perché è molto facile – specie quando non abbiamo la condizione di esistenza che ci mette dalla parte degli oppressi – identificare la giustizia con la giustizia istituzionalizzata. Allora ci facciamo responsabili dell’oppressione. E quante volte è successo così. Io penso – per fare un esempio che dia esplicita chiarificazione di quello che sottintendo – che nel mondo in cui ho particolarmente vissuto e lottato, quello cattolico, si dava come principio fondamentale di lotta sociale la difesa della proprietà privata. Era un cardine. Non veniva in mente ai buoni cattolici che questa difesa tornava bene per chi aveva la proprietà privata. Per la gran parte che non aveva nulla che significava questa difesa?

Siamo ora alla terza barriera, straordinariamente descritta da questa pagina del Vangelo che lacera come una lama tutte le nostre presunzioni morali. Questo fariseo parla con Dio. Il suo dramma è che egli è convinto – nessuno può mettere in dubbio la sua buona fede – di essere in regola con Dio perché fa tutto quello che è prescritto. Voi sentite come in questa fede in Dio – la chiamerò così – passa come un veleno che è il disprezzo per gli uomini. Il disprezzo è una categoria morale che andrebbe spiegata in tutte le sue prolificazioni. È grave, certo, la discriminazione economica, è grave la discriminazione giuridica, ma questa è la più grave di tutte. La potremo chiamare la discriminazione ideologica. In realtà questo Dio del fariseo non è Dio – Dio è al di là dei nomi che noi gli diamo – è il nome che lui dà a Dio e in questo nome c’ la sua immagine. Quando uno arriva a ritenere di essere dalla parte di Dio e a identificare quelli che sono dalla parte di Dio, accade qualcosa di grave, come la disintegrazione dell’atomo da cui viene l’esplosione atomica. È ideologica – cioè, nel mio linguaggio, falsa e demoniaca – la fede cristiana quando diventa un procedimento di autogiustificazione. In quel momento ciò che è sublime è diabolico. È facile caderci. Quando io penso a Dio secondo Gesù io sento in me la mia precarietà, la mia inadeguatezza, la mia condizione di uomo malvagio e complice del male. Il riferimento autentico a Dio invece di dare alla coscienza un sostegno per le sue sicurezze presuntuose, la proietta nell’insicurezza, nell’incertezza, nella precarietà. Dio mi chiederà conto del sangue di Abele, Dio mi chiederà conto di coloro che fuori dal tempio hanno qualcosa da chiedermi.

Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 3

DONNE NELLA (per la ) CHIESA

Tra resistenza e speranza, l’impegno delle donne per la pari dignità nella Chiesa

Le donne cattoliche lottano per “pari dignità e pari diritti” nella Chiesa: lo hanno dimostrato simbolicamente con un pellegrinaggio a Roma (1- 4 ottobre 2022), durante il quale una delegazione di membri del Consiglio direttivo del Catholic Women’s Council (CWC), rete globale che riunisce più di 60 organizzazioni di donne cattoliche nei cinque continenti, ha consegnato in Vaticano, per l’Ufficio del Sinodo, le conclusioni del processo sinodale svolto.

                Il lavoro di riflessione e discernimento si è dipanato tra marzo e giugno ed è stato condiviso in cinque incontri di ascolto internazionali. Fondamentali le questioni sul tappeto:

declinate con spirito inclusivo a partire dalla ricchezza di culture e di background che non compongono una unica voce femminile, bensì una pluralità di approcci, dispiegata anche nel cammino sinodale.

                Il rapporto si basa anche su un sondaggio (“International Survey of Catholic Women, ISCW), commissionato dall’organismo Catholic Women Speak e condotto da due ricercatrici australiane, Tracy McEwan e Kathleen McPhillips (Università di Newcastle) e dalla teologa e saggista inglese Tina Beattie (Università di Roehampton, Londra). Finanziato dalla Fidel Götz Foundation (fondazione con base in Liechtenstein attiva dal 1969 per l’uguaglianza di genere e la giustizia sociale), pubblicato in otto lingue e somministrato tra marzo e aprile 2022 scorsi, ha ottenuto 17mila risposte da 104 Paesi, fornendo un quadro sul sentire femminile nella Chiesa di ampiezza senza precedenti. Inoltrato alla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi lo scorso 20 settembre, nella persona della sottosegretaria suor Nathalie Becquart, costituirà la base di una pubblicazione che ne analizzerà i dati dal punto di vista sociologico e che vedrà la luce all’inizio del 2023.

«Malgrado le nostre differenze, la piena partecipazione delle donne alla Chiesa istituzionale e alla vita sacramentale è l’unico segno efficace dell’impegno dei vertici ecclesiali per la costruzione di una Chiesa veramente sinodale», afferma il rapporto del CWC, che rende conto della frustrazione e della sofferenza vissute dalle donne cattoliche di tutto il mondo rispetto all’abuso di potere, al clericalismo, alla discriminazione, al sessismo sperimentati all’interno della Chiesa: il trattamento di cui le donne sono oggetto, espressione di una cultura patriarcale ed esclusivamente maschile, argomenta il documento, è all’origine di violenze di genere e di abusi di ogni genere, da quelli sessuali a quelli spirituali e di coscienza, tanto nella Chiesa quanto nella società.

                Un “censimento” del sentire femminile. Quattro le macro-conclusioni cui il sondaggio (pubblicato integralmente sul sito di Catholic Women Speak), conduce;

Tra resistenza e speranza. Le sollecitazioni del Catholic Women’s Council si muovono nella tensione tra resistenza e speranza: nella difficoltà di essere parte di un’istituzione radicata in strutture discriminanti, le donne di tutto il mondo sperimentano nuovi modi di essere e vivere la Chiesa, dando un’impronta fortemente inclusiva alle comunità, e a partire dalla loro fede si impegnano affinché il raggiungimento di uguaglianza, dignità e piena partecipazione non resti solo una speranza, chiedendo alla gerarchia della Chiesa di informare tutti i processi elettorali e decisionali a un criterio di parità di diritti, di opportunità e di peso “politico”.

Ludovica Eugenio            Adista Notizie n° 35        15 ottobre 2022

www.adista.it/articolo/68810

ECUMENISMO

Il coraggio dei vescovi russi

Un vero peccato che la nota diffusa a firma di mons. Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca, a nome della Conferenza dei Vescovi Cattolici di Russia, non abbia ricevuto l’attenzione che meritava. Parole pronunciate non dal comodo salotto di una casa europea ma dal cuore stesso della capitale russa all’indomani della “mobilitazione parziale” che richiamava in servizio 300mila riservisti per mandarli sul fronte di guerra. Nel documento si legge che la partecipazione alle ostilità “è una questione di coscienza umana” che, come si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica, è “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio” e al cui “giusto giudizio deve sempre obbedire”.

La Chiesa – prosegue Mons. Pezzi – ricorda alle autorità statali che esse “devono provvedere equamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso delle armi”, pur restando “tenuti a prestare qualche altra forma di servizio alla comunità umana”. “Questo diritto – fanno notare i vescovi cattolici – è sancito dalla parte 3 dell’articolo 59 della Costituzione della Federazione Russa e chiediamo la sua costante osservanza”. “Lo scontro in Ucraina si è trasformato in un conflitto militare su vasta scala che ha già causato migliaia di vittime, minato la fiducia e l’unità tra Paesi e popoli e minacciato l’esistenza del mondo intero. Come sei mesi fa, vogliamo ripetere l’insegnamento della Chiesa, seguendo il Santo Vangelo e l’antica Tradizione: la guerra non è mai stata e non sarà mai un mezzo per risolvere i problemi che sorgono tra le nazioni”. E a noi non resta che esprimere tutta l’ammirazione possibile per il coraggio dei vescovi russi.

Tonio Dell’Olio                  “www.mosaicodipace.it”          20 ottobre 2022

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202210/221020dellolio.pdf

L’altro binario della chiesa europea: i vescovi mettono all’indice Putin

La conferenza degli episcopati europei denuncia la responsabilità del Cremlino nella guerra in Ucraina. E rivolgono un appello al dialogo a Mosca e Kiev per un negoziato nella cornice del diritto internazionale. Una pace giusta per uscire dal conflitto fra Russia e Ucraina: è quella che chiedono i vescovi dell’Ue riunitisi nei giorni scorsi a Bruxelles. L’assemblea della Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece), organismo che riunisce i delegati degli episcopati europei, svoltasi al 12 al 14 ottobre, si è chiusa con un appello per la pace «in Ucraina e nell’Europa intera».

Il testo parla esplicitamente di aggressione del Cremlino – stabilendo un’importante differenza fra popolo russo e leadership di Vladimir Putin – e ripropone il tema del rispetto dell’integrità territoriale ucraina e del diritto internazionale, già sollevato da papa Francesco, quale base per aprire un negoziato credibile. A partire da ciò si chiede anche all’Ucraina di aprirsi al dialogo secondo il principio di una «pace giusta». In definitiva i vescovi dell’Ue, sotto la guida del cardinale e gesuita Jean-Claude Hollerich, non hanno esitato ad attribuire al leader russo la responsabilità del conflitto; in questa presa di posizione netta e priva delle consuete prudenze, hanno avuto il loro peso gli episcopati dell’Europa orientale e continentale.

Accuse a Putin, non ai russi. D’altro canto, come ha spiegato il vicepresidente della Comece, monsignor Mariano Crociata, vescovo di Latina, al sito d’informazione vaticana Vatican news, «Il documento finale è stato analizzato parola per parola, per dire che c’è stata una condivisone convinta e motivata». «Noi, vescovi delegati delle conferenze episcopali dell’Unione europea, riuniti durante l’assemblea plenaria d’autunno – si legge nell’incipit dell’appello per la pace – ci sentiamo colmi di profonda tristezza per le orribili sofferenze umane inflitte ai nostri fratelli e sorelle in Ucraina dalla brutale aggressione militare dell’autorità politica russa». Non si chiama in causa un intero paese, ha sottolineato monsignor Crociata, ma il governo che attualmente guida la Russia; in tal modo evidentemente, i vescovi cercano di isolare le responsabilità politiche da quelle di un intero popolo con il quale si vuole tornare a costruire relazioni amichevoli. «In piena comunione con i numerosi appelli lanciati da papa Francesco e dalla Santa Sede – si affermano poi nel documento – anche noi rivolgiamo un forte appello ai responsabili dell’aggressione, affinché sospendano immediatamente le ostilità, e a tutte le parti affinché si aprano a serie proposte per una pace giusta, in vista di una soluzione sostenibile del conflitto nel pieno rispetto del diritto internazionale e dell’integrità territoriale dell’Ucraina».

D’altro canto, la posizione messa a punto dagli episcopati europei come quella della Santa Sede delle ultime settimane, è stata influenzata sempre di più dal prezzo che stanno pagando i civili vittime del conflitto e dalle notizie relative all’escalation di violazioni dei diritti umani; un aspetto, questo, che emergeva anche dalle parole pronunciate da Francesco al termine dell’udienza generale di ieri: «torniamo con il pensiero alla martoriata Ucraina e preghiamo per l’Ucraina: preghiamo per le cose brutte che stanno succedendo lì, le torture, le morti, la distruzione».

Diritto internazionale e visione profetica. Di fatto, l’impegno per la pace promosso dal Vaticano e dalle chiese europee, si muove ora lungo due binari. Da una parte c’è la forte richiesta rivolta a Mosca e a Kiev di cercare una via d’uscita negoziale al conflitto; un appello tuttavia che si precisa nel riconoscimento delle responsabilità dell’ «aggressione» militare russa all’Ucraina e soprattutto nel ripristino del diritto internazionale violato, punto di riferimento tradizionale nella diplomazia promossa dalla segreteria di Stato vaticana nelle crisi internazionale (fino a parlare, entro limiti etici ben precisi, di diritto alla difesa).

Allo stesso tempo, tuttavia, c’è la visione profetica di papa Francesco che, con radicalità evangelica, contesta la guerra in tutte le sue forme, denuncia la terza guerra mondiale a pezzi che si sta già combattendo sui tanti fronti caldi del mondo, chiede una moratoria della produzione e del traffico di armi che alimentano i conflitti. In tal modo la Santa sede, sia pure per approssimazioni successive e grazie a una pluralità di sensibilità continentali differenti, è approdata a una impostazione che la colloca, sulla scena internazionale, come uno dei pochi attori credibili nell’avanzare una proposta negoziale e di pace. Al medesimo tempo la chiesa di Roma, fra le tante divisioni e fratture che attraversano le chiese ortodosse da Mosca a Kiev a Istanbul, e che separano in generale il cristianesimo d’oriente e d’occidente, può giocare un ruolo di primo piano in un’eventuale futura ricucitura del dialogo ecumenico.

Francesco Peloso            “Domani”           20 ottobre 2022

www.editorialedomani.it/politica/mondo/laltro-binario-della-chiesa-europea-i-vescovi-mettono-allindice-putin-rfzrmbff

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202210/221020peloso.pdf

Le parole del Patriarca Kirill al Wcc  [World Council of Churches]

 “se una Chiesa inizia a sventolare una bandiera di guerra e ad invocare il confronto, agisce contro la sua natura”

“Non possiamo nemmeno immaginare quanto sia vicina una svolta pericolosa nei rapporti tra i popoli. Per questo, le Chiese oggi non devono gettare benzina sul fuoco. Al contrario, dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per spegnere il fuoco. A questo proposito, il Consiglio ecumenico delle Chiese e il movimento inter-cristiano in generale hanno una funzione molto importante. A mio parere, il Wcc oggi ha preso l’unica posizione adeguata – attiva, ma neutrale – senza schierarsi politicamente in questo conflitto. Le Chiese per natura hanno un potenziale pacificatore. E se una Chiesa inizia a sventolare una bandiera di guerra e ad invocare il confronto, agisce contro la sua natura”. Sono state ufficialmente pubblicate dal Patriarcato di Mosca, in russo e inglese, le parole pronunciate dal Patriarca Kirill al Rev. Ioan Sauca, segretario generale ad interim del Consiglio mondiale delle Chiese durante l’incontro che si è tenuto a Mosca lunedì scorso, 17 ottobre. Fino ad oggi, solo il Wcc aveva reso noto l’incontro e il suo contenuto. Oggi, è stato finalmente pubblicato da Mosca un comunicato.

    “Secondo meha detto Kirillla crisi internazionale in atto oggi è pericolosa, ma non più di tante altre crisi che abbiamo attraversato in passato. Le Chiese hanno esperienza nell’affrontare insieme le crisi. Credo che attraverso il dialogo, la fratellanza e la cooperazione dovremmo esercitare un’influenza positiva sulla situazione politica”. “Possa Dio aiutare le Chiese cristiane che hanno collaborato tra loro in passato, a continuare ancora oggi a portare la loro testimonianza congiunta davanti al mondo, resistendo alla tentazione di entrare a far parte di una forza politica”. Nel salutare il rappresentante dell’organismo ecumenico, il Patriarca Kirill ha detto: “Apprezzo che siate venuto in Russia in questi tempi difficili per incontrare me e i miei fratelli e parlare della situazione che si sta sviluppando nelle relazioni internazionali”. Facendo quindi riferimento all’XI Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle Chiese tenutasi a Karlsruhe, in Germania, dal 31 agosto all’8 settembre, il Patriarca stesso ha ricordato che tra le “questioni critiche”, c’era anche la richiesta che la Chiesa russa fosse espulsa dal Wcc per le posizioni prese dal Patriarcato rispetto alla crisi ucraina. “Tuttavia, durante l’Assemblea non si è verificato nulla del genere”, ha affermato il Patriarca Kirill che ha colto questa occasione per spiegare che in realtà la crisi è iniziata otto anni fa, nel 2014 e ricordare i suoi interventi. “Personalmente – ha detto il Patriarca russo – ho scritto in quegli anni tre lettere alle autorità politiche e religiose del mondo, compreso il Wcc, e ho chiesto di intervenire affinché i problemi fossero risolti attraverso il dialogo e la mediazione e per evitare uccisioni e distruzioni. Non ho ricevuto risposte concrete e tali richieste sono state accolte nel silenzio più totale. Eppure, la mia speranza era ed è tuttora che come Chiese dobbiamo andare oltre la logica e l’interesse dei politici e cercare una pace giusta”.

(M.C.B.)                              Agenzia SIR        20 ottobre 2022

www.agensir.it/quotidiano/2022/10/20/ucraina-le-parole-del-patriarca-kirill-al-wcc-se-una-chiesa-inizia-a-sventolare-una-bandiera-di-guerra-e-ad-invocare-il-confronto-agisce-contro-la-sua-natura

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

                Il papa sugli abusi: “la Chiesa non può giustificarsi dicendo che succedono in tutti gli ambienti”

Nel suo nuovo libro Ti supplico nel nome di Dio. Dieci preghiere per un futuro di speranza (Piemme) papa Francesco stigmatizza quanti, fra gli ecclesiastici più o meno a lui vicini, giustificano gli abusi sessuali commessi da preti sui minori con il ritornello “succede in tutti gli ambienti“: «Non possiamo giustificarci – dice – affermando che il flagello degli abusi sessuali sui minori è un fenomeno storicamente diffuso, purtroppo in tutte le culture e società». «Migliaia di vite» sono state rovinate da coloro che avrebbero dovuto prendersene cura e proteggerle. «Qualunque cosa facciamo per cercare di riparare il danno che abbiamo commesso, non sarà mai abbastanza», riconosce.

                Nel libro, frutto di conversazioni con il giornalista argentino Hernán Alcaide e il cui contenuto è stato anticipato da Europa Press, Francesco espone le sue «dieci preghiere» per la Chiesa cattolica, la prima delle quali rivela il suo desiderio di «estirpare» gli abusi sessuali, di potere e di coscienza che incorniciano «una vera cultura della morte». In questo senso, assicura che «un solo e unico caso è di per sé una realtà mostruosa» e afferma che esso non solo costituisce «un delitto efferato», ma diventa anche «una ferita inferta a Dio».

                Molti altri sono gli argomenti trattati, fra cui ruolo delle donne nella Chiesa, ambiente, guerra in Ucraina.

Riguardo alla presenza delle donne, Francesco chiede che sia «più incisiva», ma evitando la pretesa che debba «adattarsi», che non «rispetti il suo stile, la sua unicità». In questo senso, sottolinea che il dibattito sugli spazi delle donne «non può essere ridotto a una questione di funzioni, di statistiche delle loro proporzioni nelle posizioni di leadership o della loro presenza negli spazi di potere». «Veniamo da una lunga tradizione in cui tra le mura del Vaticano c’era diffidenza verso l’arrivo delle donne a posizioni gerarchiche, e quindi l’apertura deve essere accompagnata da una cultura che possa rappresentare un avanzamento definitivo».

In merito all’ambiente – «preghiera» messa al secondo posto nell’elenco del papa – Francesco ritiene che la Chiesa debba «introdurre nel catechismo il peccato contro l’ecologia» e chiede alle imprese minerarie, forestali, immobiliari e agroindustriali di «smetterla di distruggere foreste, zone umide e montagne; che smettano di inquinare fiumi e mari; smettere di inebriare persone e cibo». Il rammarico del papa è anche che siano «i più poveri» a subirne le conseguenze.

                Francesco fa poi riferimento alla guerra in Ucraina e fa un velato riferimento al patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill quando parla degli «atteggiamento di alcuni fratelli che cercano giustificazioni per atti di odio e pura violenza». «Non c’è posto per simili discorsi in nome di Dio», assicura ammettendo che nessuna religione è «immune dal rischio di deviazioni fondamentaliste o estremiste da parte di singoli o gruppi».

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MAGISTERO

Magistero ecclesiale… fallibile o infallibile?

Se si fa eccezione per alcune encicliche sociali, quali la Pacem in terris (1963) di Giovanni XXIII, la Populorum progressio (1967) di Paolo VI e la Laudato si’ (2015) di papa Francesco, che hanno avuto una larga risonanza anche nel mondo laico, i documenti del magistero ecclesiale non hanno rivestito (e non rivestono tuttora) un ruolo di particolare importanza nell’ambito delle comunità cristiane.

                Sia quelli più autorevoli, come le encicliche e le esortazioni apostoliche papali e gli interventi delle congregazioni romane, sia soprattutto quelli più legati a un territorio circoscritto come i progetti pastorali delle conferenze episcopali nazionali o le lettere pastorali dei singoli vescovi (peraltro sempre meno frequenti) godono di una scarsa attenzione presso il mondo dei fedeli laici praticanti. Del resto, gli stessi preti raramente fanno riferimento, nella predicazione e nella catechesi, a testi magisteriali, anche a quelli (e ve ne sono) particolarmente significativi.

                Un linguaggio fuori dal tempo. Le ragioni di questa omissione sono molte e di diversa natura. La prima (e la più immediata) riguarda la forma con cui tali documenti sono in genere redatti. Il linguaggio utilizzato è spesso un linguaggio paludato, per molti aspetti arcaico e dunque poco attraente, o un linguaggio cifrato di stretta natura teologica, perciò comprensibile ai soli addetti ai lavori. A questi limiti si è in realtà sottratto – è giusto ricordarlo – papa Francesco, i cui testi sono scritti in un linguaggio non solo comprensibile, ma persino avvincente anche per il ricorso frequente a figure evocative e a espressioni narrative che riflettono l’immaginario latino-americano.

                Un’ulteriore ragione della scarsa attenzione rilevata va poi ricercata nell’eccessiva moltiplicazione di tali documenti, che rischiano di essere largamente inflazionati e di non consentire a chi li accosta di distinguere la loro diversa importanza.

                Il cosiddetto magistero ordinario, sotto la cui etichetta tali documenti si collocano, è in realtà composto da una serie di interventi che non hanno (e non possono avere) lo stesso valore, sia per la fonte da cui provengono sia per l’oggetto a cui si riferiscono che è legato a un grado più o meno consistente di storicità, sia, infine, – ed è questo un elemento di notevole rilevanza – per il diverso carattere dottrinale e/o pastorale che li qualifica.

                Da ultimo (ma non in ordine di importanza) un ruolo decisivo nella scarsa considerazione rilevata va attribuito alla pretesa di dare a tali documenti un livello di assolutezza, tale da farli percepire dai comuni fedeli come contrassegnati da un carattere dogmatico.

                La dottrina ufficiale della chiesa non ha mancato di rilevare (anche se lo ha fatto con troppo poca insistenza) che si tratta di documenti il cui contenuto non è immutabile né, tanto meno, infallibile.

                Non sono infallibili. Non ha tuttavia torto Hans Küng nel rilevare, nel suo famoso Infallibile?, che, dopo la definizione dell’infallibilità papale da parte del concilio Vaticano I (1870), è venuta diffondendosi in una parte del mondo ecclesiale una forma di infallibilismo che nulla ha a che vedere con la definizione propria del Concilio, la quale mette in evidenza con precisione a quali condizioni l’infallibilità papale possa (debba) esercitarsi.

                Purtroppo la sottolineatura di tali condizioni non è sempre stata ribadita dalla stessa gerarchia, la quale, mentre è spesso intervenuta con rigidità a sconfessare chi assume posizioni critiche nei confronti di documenti magisteriali che contengono affermazioni datate e prese di posizione del tutto opinabili, non ha stigmatizzato con altrettanto rigore il comportamento di chi li considera infallibili, incorrendo di fatto in un grave errore dottrinale.

Il ricupero del significato dei testi del magistero, in particolare di quelli più significativi, è allora subordinato ad alcune condizioni. Al di là della necessità dell’uso di un linguaggio più attuale e più comprensibile e di una maggiore sobrietà negli interventi, due dati meritano di essere segnalati.

Il giudizio che si può dare di ogni singolo documento e il grado di adesione che a esso va riservato devono perciò essere messi in stretta relazione con la loro diversa natura e con la diversa importanza della fonte da cui provengono, nonché dall’area geografica alla quale fanno capo.

Criteri di lettura. A fornire utili indicazioni in proposito vi è stata in passato nella manualistica teologica l’introduzione della categoria di note teologiche che definiva la diversa rilevanza dei vari documenti a seconda del loro genere letterario, assegnando il primato alle encicliche papali e procedendo secondo una scala valoriale dalla quale discendeva il diverso grado di assenso richiesto. Oggi la situazione è più fluida, parlando di magistero ordinario non si fanno grandi distinzioni, anche se non mancano – come si è detto – criteri importanti che consentono di mettere in atto un corretto discernimento. La mancata attenzione di molti – preti e fedeli – ai documenti del magistero ordinario, va ricercata, da ultimo (ma non in ordine di importanza), nella eccessiva rilevanza a essi attribuita dalla gerarchia ecclesiastica e nella considerazione della caducità di molti di essi e talora della discutibilità delle argomentazioni addotte.

                Se si risale indietro nel tempo è facile riscontrare in molti casi lo stretto legame di alcuni interventi con una situazione storico-culturale oggi del tutto superata; in altri l’incapacità di leggere i segni del tempo o il prevalere di logiche di potere, che finiscono per offuscare il giudizio su eventi rivelatisi poi provvidenziali; in altri, infine, per condannare posizioni dottrinali che, pur con gli inevitabili limiti, contenevano i germi di una significativa attualizzazione dell’annuncio evangelico. Lunghissimo sarebbe l’elenco delle valutazioni storiche che si sono rivelate in seguito infondate o sbagliate.

                Affermazioni infondate. Limitando, tuttavia, la riflessione alle posizioni dottrinali, ci si può domandare quale continuità sia possibile riscontrare tra il Sillabo (un elenco degli errori condannati dalla Chiesa nel 1864, di fatto un rifiuto del pensiero moderno e della libertà di coscienza, ndr) e il decreto sulla libertà religiosa del Vaticano II (1965) o quale ritardo nell’aggiornamento dottrinale e pastorale della chiesa sia stato provocato dalla promulgazione dell’enciclica Pascendi (1907) di Pio X che condannava il modernismo (movimento filosofico-teologico che, a cavallo dei secoli XIX e XX, propone un rinnovamento del linguaggio e degli studi in ambito ecclesiastico, ndr).

                Questi esempi (e molti altri) evidenziano che – paradossalmente – la via per rivalutare il magistero ordinario e favorire lo sviluppo di una maggiore attenzione a esso da parte delle comunità cristiane, è di relativizzarlo storicizzandolo, riconducendolo cioè al contesto storico-culturale in cui è nato e riconoscendo con onestà i limiti e gli errori cui è andato soggetto, assumendo pertanto nei suoi confronti un atteggiamento rispettoso senza rinunciare tuttavia all’esercizio del discernimento e della critica.

Giannino Piana,¤ 1939 già docente di etica cristiana alla Libera Università di Urbino e di etica ed economia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino

     Scritto pubblicato (con il titolo “Magistero ecclesiale: quale identità?”) sul numero di maggio (5/2022) del mensile “Il Gallo”   ripreso da “viandanti”  12 ottobre 2022

www.viandanti.org/website/magistero-ecclesiale-fallibile-o-infallibile

P0LITICA

Politica e religione secondo Bettazzi, vescovo scrittore e controcorrente

Incontro con monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, domenica 23, alle 18, al Salone dei 2000-Officine Ico, in via Jervis 11, che, in dialogo con don Piero Agrano, già direttore del Risveglio popolare, si racconterà anche come scrittore, ricordando, in particolare i suoi due ultimi libri

  • , pubblicato da Edb nel 2021,
  • uscito recentemente da La Meridiana.

 «Il 9 dicembre 2019 – riporta la quarta di copertina di Sognare eresie –papa Francesco ha ricevuto in udienza il Seminario regionale di Bologna, che celebrava i suoi cent’anni. Il Papa, dopo aver salutato i presenti e ringraziato il cardinale Zuppi per il suo discorso, ha voluto ricordare monsignor Bettazzi, “quasi coetaneo del Seminario”». «In realtà, – continua – sono nato nel 1923, ed ero stato alunno di quel seminario dal 1938 al 1942, insegnante dal 1950 al 1963. Ho approfittato dell’incontro per offrire al Santo Padre una copia del mio ultimo libro Il mio concilio Vaticano II, essendo rimasto io l’ultimo Padre conciliare italiano vivente. Un vescovo importante del Vaticano ha commentato con una battuta sorridente: “Sarà una delle sue solite eresie!“. L’ho presa bene, pensando che la parola “eresia” originariamente, dal greco, significa “scelta, preferenza”».

Io e noi è il libro in cui, dopo la Dopo Lettera a Berlinguer, del 1978, e La sinistra di Dio, del 1996, monsignor Bettazzi torna a riflettere su politica e religione. «Fino ad alcuni anni fa – ricorda l’autore sulla copertina – ragionavamo tutti sulla contrapposizione “destra-sinistra”. Oggi sia per la politica che per la religione l’antitesi è tra una mentalità incentrata sull’io e una che parte invece dal noi».

Il vescovo emerito, che il mese prossimo compirà 99 anni, si è laureato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana e poi in filosofia all’Alma Mater di Bologna, è stato vescovo titolare(1963-1966) di Tagaste (Algeria), vescovo ausiliario di Bologna, quindi vescovo di Ivrea dal 1966 al 1999. È l’ultimo prelato italiano vivente ad aver partecipato al Concilio Vaticano II. Nel 1968, inoltre, fu nominato presidente nazionale di Pax Christi e nel 1978 presidente internazionale. Nello stesso anno chiese, senza successo, di potersi offrire prigioniero in cambio di Aldo Moro. Famosissimi i suoi scambi epistolari con Enrico Berlinguer, sulla conciliabilità o meno tra fede cattolica e marxismo, e quello con Carlo De Benedetti, sul rapporto tra redditività di impresa e licenziamento degli operai. Nel 1992 ha partecipato alla marcia pacifista nel mezzo della guerra civile in Bosnia ed Erzegovina. Nel 2007 si è espresso a favore delle unioni civili [I DICO della Bindi-governo Prodi] e ha manifestato nei confronti delle coppie omosessuali il riconoscimento di un fondamento d’amore non diverso da quello eterosessuale. Un anno prima della sua ufficializzazione pronosticò la rinuncia di Papa Benedetto XVI

La sentinella del Canavese.                       20 ottobre 2022
https://lasentinella.gelocal.it/cultura-e-spettacoli/2022/10/20/news/ivrea_politica_e_religione_secondo_bettazzi_vescovo_scrittore_e_controcorrente-12182815/?ref=SC-RT-3

SINODO

60 accademici sottoscrivono una costituzione democratica e inclusiva per la Chiesa

Una nuova Costituzione della Chiesa che costituisca il fondamento delle sue leggi rivoluzionandone la struttura: è questo il contributo al Sinodo sulla Sinodalità offerto dal Wijngaards Institute for Catholic Research (WICR), think tank internazionale cattolico indipendente fondato nel 1983 dal teologo John Wijngaards (allora docente al Missionary Institute London), impegnato sui temi dell’uguaglianza di genere, dell’etica sessuale e di una governance democratica e responsabile nella Chiesa cattolica.

                «Questa proposta di Costituzione è la migliore idea che la Chiesa cattolica abbia avuto da secoli», ha commentato Mary McAleese, ex Presidente dell’Irlanda, ora Cancelliera del Trinity College a Dublino. «Rispetta la dignità data da Dio a ogni membro, mette Cristo al centro, allenta la morsa soffocante e controllante dell’imperialismo e del clericalismo e fa respirare di nuovo la Chiesa, fa amare di nuovo, includere di nuovo. Abbiamo bisogno di questa Costituzione. È il nostro ponte verso il futuro».

Il testo della Costituzione, che si può leggere e scaricare anche in lingua italiana dal sito del Centro, è il risultato di un anno di lavoro di un gruppo internazionale e interdisciplinare di 25 accademici, coordinato dal Wijngaards Institute. La bozza di testo è stata poi ulteriormente vagliata da un gruppo più ampio di studiosi, fino alla redazione del testo definitivo, firmato da oltre 60 esperti internazionali.

                La riflessione parte dalla constatazione che la Chiesa cattolica è attualmente strutturata attorno a una casta sacerdotale di soli uomini, frutto di una selezione interna, che da sola esercita tutto il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Si tratta di una struttura ereditata dal centralismo dell’Impero Romano e dalla società feudale nel Medioevo, in forza della quale i laici, che rappresentano oltre il 99% dei membri della Chiesa, sono esclusi dal suo governo e le donne e le persone LGBTQ lo sono doppiamente a causa del loro genere o orientamento sessuale.

                La nuova Costituzione per la Chiesa cattolica proposta dal Wijngaards Institute – diretto da Luca Badini Confalonieri, autore di diversi libri sulle discriminazioni nella Chiesa e coordinatore di una ricerca interdisciplinari sulle teologie di genere – contempla un radicale ribaltamento di questa struttura, codificando quei tratti democratici coerenti con precedenti biblici e della storia della Chiesa, e i diritti umani fondamentali che i papi hanno incoraggiato gli Stati a rispettare, ma che l’attuale diritto ecclesiastico è ben lungi dall’applicare.

                La proposta di una nuova Costituzione non nasce dal nulla, ma parte dal precedente tentativo vaticano di aggiornamento, quella Lex ecclesiæ fundamentalis (“Legge fondamentale della Chiesa”) concepita durante il Concilio Vaticano II la cui bozza finale, dopo anni di lavoro, fu accantonata nel 1981. Essa tende a stabilire un quadro giuridico per i diritti, i principi e gli standard legali concordati a cui tutte le leggi della chiesa devono attenersi e rispetto ai quali devono essere valutate, e mostra come le proposte di riforma della Chiesa possano essere riunite in un quadro giuridico coerente, pragmatico e compatibile con gli studi biblici, la ricerca teologica e i dialoghi ecumenici.

                La Costituzione è stata sottoposta sia alle Conferenze episcopali nazionali dei Paesi di provenienza dei cofirmatari, sia alla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi; il 26 agosto una copia è stata consegnata a Thierry Bonaventura, responsabile della comunicazione dell’Ufficio sinodale di Roma.

Nove i principi fondanti:

Tra i firmatari e co-firmatari della Costituzione, oltre alla già citata Mary McAleese, numerosi teologi e biblisti, e figure di spicco a vario titolo del mondo cattolico internazionale: tra di essi, per non citare che i più noti, Paul Collins, storico e scrittore australiano, il teologo di Tubinga Dietmar Mieth, il vescovo emerito della diocesi australiana di Toowoomba (Australia) William Morris, mandato dal Vaticano in pensionamento forzato per il fatto di aver citato, in una lettera pastorale del 2006, il sacerdozio femminile come una tra le possibili soluzioni della grave carenza di sacerdoti, Todd Salzman, docente di Teologia cattolica alla Creighton University (Nebraska); Patricia Rumsey, docente all’Università di Nottingham e badessa della comunità monastica di Arkley, a nord di Londra, nonché membro del Consiglio della Federazione delle Clarisse di Gran Bretagna; Antonio Autiero, professore emerito di Teologia Morale all’Università di Münster, Germania; la religiosa benedettina Philippa Rath, teologa, storica e politologa, dell’Abbazia di S. Ildegarda a Rüdesheim-Eibingen, membro del Zentralkomitee der deutschen Katholiken (ZdK, “Comitato centrale dei cattolici tedeschi”); il teologo spagnolo José María Vigil, coordinatore della Commissione Teologica Latinoamericana dell’Associazione Ecumenica dei Teologi del Terzo Mondo.

Presenti, tra i co-firmatari, anche diversi rappresentanti di altre Chiese cristiane nonché alcune organizzazioni internazionali che hanno approvato la Costituzione: Rete internazionale di riforma della Chiesa (ICRN), l’organismo internazionale Noi siamo Chiesa (WAC International), la Rete dei laici scozzesi (Scottish Laity Network) e Root and Branch Synod, forum inglese di riforma della Chiesa.

Ludovica Eugenio    Adista Notizie n° 36      22ottobre 2022

www.adista.it/articolo/68854

Traduzione del Testo della Costituzione

www-wijngaardsinstitute-com.translate.goog/proposed-constitution-catholic-church/?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc

Testo coordinato dal Wijngaards Institute for Catholic Research – settembre 2022

Traduzione compiuterizzata

    Preambolo

    Principi per una nuova costituzione della Chiesa

    TITOLO 1. Natura e scopo della Chiesa

        Appartenenza alla Chiesa Cattolica

    TITOLO 2. Diritti dei cattolici

    TITOLO 3. Governo della Chiesa

        1. Principi generali

            1. Il legittimo esercizio dell’autorità è mediato dal consenso della Chiesa

            2. Consenso, accoglienza e consuetudine in materia di leggi e dottrine

            3. Sussidiarietà

            4. Separazione dei poteri

            5. Selezione dei Ministri della Chiesa

        2. Potere di governo

            1. Potere legislativo

            2. Assemblee legislative rappresentative (Consigli, Sinodi)

            3. Potere esecutivo

    TITOLO 4. Potere di insegnamento

            1. Compito, ambito e responsabilità dei consulenti esperti indipendenti e degli organi consultivi

            2. Responsabilità dei rappresentanti della chiesa e dei dirigenti della chiesa quando si utilizzano i consigli degli esperti

    TITOLO 5. Potere d’ordine

    TITOLO 6. Sistema giudiziario

    TITOLO 7. Amministrazione finanziaria

    TITOLO 8. Disposizioni finali

    Firmatari

        Autori collaboratori

        Cofirmatari

        Cofirmatari ecumenici

        Organizzazioni che approvano questa Costituzione

Preambolo

“Dio ha creato l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio l’ha creato; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Tutti gli esseri umani sono stati creati a somiglianza di Dio come agenti liberi e responsabili; hanno la stessa natura e origine, sono stati redenti da Cristo e godono della stessa vocazione e destino divini. Per questo tutti gli esseri umani sono uguali e possiedono una dignità e diritti umani inalienabili ( Dignitatis Humanæ 29).

            In quanto agenti razionali e responsabili, tutti gli esseri umani sono chiamati alla libertà. Seguire Cristo è vivere in libertà. «Dov’è lo Spirito di Dio, là c’è libertà» (2 Cor 3,17). Ancora: «È per la libertà che Cristo ci ha liberati. State saldi, dunque, e non lasciatevi gravare di nuovo dal giogo della schiavitù. […] Voi, fratelli e sorelle, siete stati chiamati ad essere liberi» (Gal 5,1.13).

La libertà cristiana si riassume nell’amare e nel servire «il prossimo tuo come te stesso» (Mt 19,19). Attraverso la sua vita e il suo insegnamento, Cristo ha rivelato che Dio è Amore e che tutti coloro che conoscono l’amore conoscono Dio (1 Gv 4,16).

Il più grande comandamento di Gesù, amare Dio con tutto il cuore, la mente e la forza, e amare il prossimo come se stessi (Mc 12,30-31, cfr Mt 7,12; cfr Dt 6,5; Lv 19,18 ), è stato al centro della sua predicazione della Buona Novella della venuta del Regno di Dio nella storia, che porta giustizia e pace a tutti gli esseri umani, e la liberazione agli oppressi (Lc 4,14-21; anche 1,52- 53). È anche al centro dell’insistenza di Gesù sull’importanza della cura degli ultimi nella società: «In verità vi dico che tutto ciò che avete fatto per uno solo di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto per me» (Matt 25:40).

Il più grande comandamento di Gesù era un appello alla conversione. Il suo carattere intimo e personale ha avuto anche conseguenze istituzionali: in particolare, Gesù ha incaricato chi ha l’autorità di servire coloro che guida, senza “padroneggiare” su di loro:

«Sapete che i capi delle genti le dominano, ei loro alti funzionari esercitano autorità su di esse. Non così con te. Chi invece vuole diventare grande tra voi deve essere vostro servitore, e chi vuole essere il primo deve essere vostro schiavo, così come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,25-28; cfr 1Pt 5,3).

Una differenza fondamentale tra l’autorità come «signore» e l’autorità come servizio è che la prima si basa sulla coercizione e sull’imposizione, mentre la seconda può essere veramente un servizio solo se è liberamente offerto e liberamente accettato: cioè se è sulla base del consenso.

Il principio di sussidiarietà non è che un’espressione più tecnica dell’insistenza di Gesù sul fatto che l’autorità sia un “servizio”: afferma che ogni livello decisionale nella Chiesa ha il diritto e la responsabilità inalienabili di determinare sia quali decisioni che azioni rientrino nella sua competenza, e ciò che invece dovrebbe essere deciso per delega o meglio realizzato in collaborazione con un livello superiore.

            Implica inoltre che ogni livello superiore può prendere solo quelle decisioni e azioni che un livello inferiore delega loro liberamente e non può imporre restrizioni ai livelli inferiori per quanto riguarda questioni di decisione o azione senza il loro consenso.

            Dal punto di vista della sussidiarietà, quindi, l’autorità è servizio: il servizio di potenziamento di aiutare i livelli inferiori a raggiungere, attraverso una cooperazione liberamente scelta, ciò che altrimenti non sarebbero in grado di ottenere da soli.

            Al principio fondamentale di Gesù che l’autorità deve essere un servizio (e quindi liberamente offerto e liberamente accettato), l’apostolo Paolo ne aggiunse alcuni altri, tra cui:

Le strutture della Chiesa possono aiutare o ostacolare la crescita umana e spirituale dei cristiani, a seconda che rispettino o meno i suddetti principi e le intuizioni bibliche sulla natura umana, e in particolare che «è per la libertà che Cristo ci ha liberati» (Gal 5:1).

            Una Chiesa la cui struttura organizzativa incarna i principi sopra menzionati consente ai suoi membri di prosperare, sia come esseri umani che come discepoli di Cristo, meglio di una strutturata come societas inæqualis (“società ineguale”) in cui una casta sacerdotale può guidare e governare esclusivamente Comunità. Darebbe un’espressione istituzionale alla chiesa come discepolato di eguali.

Al contrario, una comunità cristiana la cui struttura organizzativa consente o addirittura richiede ai leader di non rispettare l’uguaglianza e la libertà fondamentali dei suoi membri ostacolerebbe sia i leader stessi, che faticherebbero a seguire il comando di Gesù di esercitare l’autorità come servizio, sia l’altro membri della chiesa, la cui dignità, uguaglianza, libertà e talenti sarebbero soppressi. Impedirebbe ai suoi membri di poter beneficiare pienamente della vita dello Spirito interiore, seguire il più grande comandamento di Gesù e cooperare efficacemente con il Regno di Dio di uguaglianza, giustizia e liberazione per gli oppressi.

L’esperienza storica ci ha insegnato l’importanza di un quadro giuridico per sistematizzare quei principi fondamentali che stanno alla base della radicale uguaglianza di tutti coloro che «si sono rivestiti di Cristo» (Gal 3,27-28).

            Ispirato dal Vaticano II, Papa Paolo VI iniziò i lavori su una Lex Ecclesiæ Fundamentalis (“Diritto fondamentale della Chiesa”), una costituzione che avrebbe sostenuto tutto il diritto canonico nella Chiesa cattolica, ma tale sforzo cessò nel 1981 quando Giovanni Paolo II [!!!] decise accantonare la costituzione già compiuta.

            Quella che segue è una proposta di costituzione per una visione della chiesa che garantisca la libertà dei credenti di vivere coscienziosamente nella comunità ecclesiale e di ministrare efficacemente. Suggerisce un modo in cui le proposte di riforma della chiesa possono essere riunite in un insieme coerente, pragmatico e compatibile con gli studi biblici, la ricerca teologica e i dialoghi ecumenici. Prende in prestito da una varietà di fonti cattoliche, cristiane e laiche, le più importanti delle quali sono elencate qui (lo stesso documento include anche l’elenco dei membri del Gruppo di lavoro interdisciplinare degli accademici che hanno contribuito alla costituzione stessa, nonché come l’elenco degli attuali firmatari accademici).

            La costituzione è preceduta da un elenco di sette “Principi per una nuova costituzione della Chiesa” di cui offre una possibile espressione giuridica. Provengono da “Initiative für eine neue Kirchenverfassung” (“Initiative for a new Church Constitution”, Batschuns, giugno 2010) di Wir Sind Kirche (“ We Are Church ”), e dal Bristol Text (settembre 2021) di Root & Branch Sinodo (Regno Unito).

            Infine, il linguaggio giuridico e il focus esclusivo della costituzione sui rapporti ecclesiastici può dare l’impressione che essa sia ignara della vocazione e del destino divini di tutti gli esseri umani, e della dimensione spirituale del proprio rapporto con Dio.

            Questo non è il caso. Come notato, le stesse strutture della chiesa possono facilitare o contrastare quella dimensione spirituale, a seconda che supportino o meno la libertà data da Dio ai cristiani.

            Inoltre, la stessa interpretazione e determinazione delle esigenze del mandato di Gesù, e della missione e del fine di una Chiesa in un determinato tempo e luogo, sono responsabilità di ogni successiva generazione di cristiani: la costituzione evita volutamente di fornire un , risposta definitiva su ciò che sono, concentrandosi invece sul delineare le procedure strutturali necessarie per consentire il corretto esercizio della libertà cristiana nell’attuazione di tale discernimento.

Principi per una nuova costituzione della Chiesa

  1. Tutti i cristiani battezzati sono eguali in dignità e davanti al Diritto Canonico, e godono nella Chiesa degli stessi diritti fondamentali, senza distinzioni di razza, genere, sesso, orientamento sessuale, stato civile e condizione economica o sociale.
  2. : in virtù del loro comune battesimo, ogni cristiano condivide la responsabilità per l’intera comunità. Con questa responsabilità deriva il diritto di partecipare al processo decisionale. Tutti i cattolici adulti hanno il diritto fondamentale di partecipare e votare in tutte le decisioni su questioni di dottrina, valore, azione e qualsiasi altra questione riguardante il bene comune della loro comunità.
  3. : “Ciò che tocca tutti dovrebbe essere discusso e approvato da tutti”. Tutti i cattolici devono essere rappresentati democraticamente negli organi di governo e decisionali. Le decisioni vengono preparate attraverso un dialogo aperto e rispettoso al fine di raggiungere un’ampia unanimità, comprese le minoranze.
  4. : ogni cattolico adulto, indipendentemente da razza, sesso, sesso, orientamento sessuale, stato civile e condizione economica o sociale, ha il diritto di votare e di essere eleggibile come candidato per qualsiasi ministero ecclesiastico. “Colui che deve presiedere a tutti dovrebbe essere eletto da tutti”. Le autorità legittime nella chiesa devono basarsi sul consenso del popolo. Al fine di garantire la corresponsabilità, la comunità ecclesiale ha il diritto di eleggere i suoi dirigenti.
  5. : tutti i leader devono riferire regolarmente alla comunità ecclesiale sul loro lavoro, inclusa la presentazione di rendiconti finanziari sottoposti a revisione indipendente. I leader a tutti i livelli della chiesa sono eletti per un mandato limitato. In caso di gravi violazioni dei principi e delle leggi cristiane, un opportuno tribunale ecclesiastico può disporre la revoca dall’ufficio.
  6. ogni livello decisionale nella chiesa dovrebbe avere il diritto e la responsabilità inalienabili di determinare sia quali decisioni e azioni rientrino nella sua competenza, sia cosa invece dovrebbe essere deciso per delega al livello superiore o realizzato meglio in collaborazione con esso. Al contrario, ogni livello superiore può assumere solo quelle decisioni e azioni che il livello inferiore delega loro liberamente e non può imporre restrizioni ai livelli inferiori in materia di decisione o azione senza il loro consenso.
  7. : nella chiesa i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario devono essere separati. Saranno istituiti tribunali a tutti i livelli al di sopra della parrocchia le cui decisioni saranno indipendenti dagli uffici di direzione. Ciò garantirà procedure giudiziarie eque.

Una nuova costituzione per la Chiesa cattolica deve recepire pienamente la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: «Non resta dunque fondamento per alcuna teoria o pratica che porti a discriminazioni tra uomini o popoli, per quanto riguarda la loro dignità umana e i diritti che ne derivano ” (Nostra ætate §5).

TITOLO 1. Natura e scopo della Chiesa

TITOLO 2. Diritti dei cattolici

TITOLO 3. Governo della Chiesa

2. Consenso, accoglienza e consuetudine in materia di leggi e dottrine

3. Sussidiarietà

3.3 Rispetto reciproco tra le chiese

3.4. Separazione dei poteri

3.5. Selezione dei Ministri della Chiesa

3.6 Elezione dei rappresentanti della Chiesa e dei dirigenti della Chiesa

3.7. Potere di governo

A. Potere legislativo

B Assemblee legislative rappresentative (Consigli, Sinodi)

B.2 Ambito e mandato delle assemblee rappresentative

Parrocchia

Diocesi

Chiesa Nazionale

Chiesa multinazionale

Chiesa universale

Si raccomanda che:

B. Potere esecutivo

L’Ufficio del Papa e la Curia della Comunione Cattolica

TITOLO 4. Potere di insegnamento

1. Compito, ambito e responsabilità dei consulenti esperti indipendenti e degli organi consultivi

2. Responsabilità dei rappresentanti della chiesa e dei dirigenti della chiesa quando si utilizzano i consigli degli esperti

TITOLO 5. Potere d’ordine

TITOLO 6. Sistema giudiziario

TITOLO 7. Amministrazione finanziaria

Fiduciari ecclesiastici e amministratori dei beni ecclesiastici:

Investimenti

TITOLO 8. Disposizioni finali

https://www-wijngaardsinstitute-com.translate.goog/proposed-constitution-catholic-church/?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc

SINODO DEI VESCOVI

Il Sinodo si sdoppia in due sessioni

I frutti del processo sinodale avviato il 10 ottobre dello scorso anno sono «molti», ma perché giungano a «piena maturazione» è necessario «non avere fretta». Quindi per poter disporre di «un tempo di discernimento più disteso» Papa Francesco ha disposto che la prossima XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione , partecipazione, missione”, si svolga non in una ma in due sessioni, la prima dal 4 al 29 ottobre 2023 e la seconda nell’ottobre 2024. La decisione è stata annunciata dallo stesso Pontefice al termine dell’Angelus di domenica. «Confido – ha detto Francescoche questa decisione possa favorire la comprensione della sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa, e aiutare tutti a viverla in un cammino di fratelli e sorelle che testimoniano la gioia del Vangelo».

La decisione arriva dopo che venerdì il Papa ha ricevuto in udienza il cardinale Mario Grech, segretario generale della Segreteria generale del Sinodo, con il porporato gesuita Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Luxembourg e relatore generale del Sinodo, i sottosegretari Luis Marín de San Martín, vescovo titolare di Suliana e suor Nathalie Becquart, il consultore Giacomo Costa, gesuita.

Domenica, dopo l’annuncio all’Angelus, la Segreteria generale ha pubblicato una nota esplicativa in cui si osserva che papa Francesco si è richiamato alla Costituzione Apostolica Episcopalis Communio che nell’articolo 3 contempla questa possibilità. Il comunicato sottolinea che la decisione presa dal Pontefice «scaturisce dal desiderio che il tema della Chiesa sinodale, per la sua ampiezza e importanza, possa essere oggetto di un discernimento prolungato non solo da parte dei membri dell’Assemblea sinodale, ma di tutta la Chiesa». Oltretutto tale scelta «si situa in continuità con il percorso sinodale in atto». Infatti il Sinodo «non è un evento ma un processo, in cui tutto il popolo di Dio è chiamato a camminare insieme verso ciò che lo Spirito Santo lo aiuta a discernere come essere la volontà del Signore per la sua Chiesa». Quindi, sottolinea la Segreteria, l’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi «assumerà anch’essa una dimensione processuale, configurandosi come “un cammino nel cammino”, allo scopo di favorire una riflessione più matura per il maggior bene della Chiesa». La nota spiega che sin dall’inizio, la Segreteria generale ha scelto «la via dell’ascolto e del discernimento, anche nella fase di progettazione e di realizzazione del processo sinodale». E nelle prossime settimane continuerà il lavoro di discernimento «per meglio definire la celebrazione delle due sessioni» e «il tempo intermedio». Il comunicato infine ricorda che questo processo di ascolto è iniziato nel 2021 dalle Chiese locali – «cioè dal popolo di Dio raccolto attorno ai suoi Pastori» -, ha interpellato le Conferenze episcopali e i Sinodi delle Chiese Orientali Cattoliche. E sono state «ben 112 su 114 Conferenze episcopali e tutte le Chiese Orientali Cattoliche» che hanno realizzato «un discernimento da quanto emerso dalle Chiese particolari». Ora il processo prosegue con una Tappa continentale che culminerà con la celebrazione di Assemblee sinodali Continentali, tra gennaio e marzo 2023, convocate «per rileggere il cammino compiuto, per continuare l’ascolto, il discernimento a partire dal Documento della Tappa Continentale e secondo le specificità socioculturali delle loro rispettive regioni con lo scopo di realizzare un ultimo passo in questo cammino spirituale».

L’annuncio di papa Francesco, scrive il direttore editoriale dei media vaticani Andrea Tornielli, spiega che la sinodalità nella Chiesa «è un processo e non maquillage, cioè un frettoloso adeguamento di qualche struttura ecclesiale perché in realtà nulla cambi». Perciò «prolungare il tempo dell’assemblea ordinaria del Sinodo, portandolo da uno a due anni, significa, in fondo, ritenere più importante il metodo rispetto agli stessi singoli temi finora emersi, che pure andranno affrontati».

Gianni Cardinale                             “Avvenire”        18 ottobre 2022

www.avvenire.it/chiesa/pagine/due-sessioni-per-il-sinodo

Due Sinodi in due anni

Mentre continua a ricordare la tragedia ucraina, il papa attira l’attenzione dei fedeli sul processo ecclesiale in corso che, a partire dal prossimo anno, rifletterà sul «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione». Tema che, attuato, provoca dolorose divisioni anche tra i vescovi. Ieri, infatti, mentre di nuovo ha chiesto di pregare «per il martoriato popolo ucraino», Francesco ha annunciato che il prossimo Sinodo non si esaurirà l’anno prossimo, ma avrà due sessioni: la prima dal 4 al 29 ottobre 2023, la seconda un anno dopo. E perché? «Per disporre di un tempo di discernimento più disteso», ha spiegato.

Chi pensasse che il duplice Sinodo debba occuparsi di tranquilli problemi ecclesiali, ignorerebbe quanto, in vista di quell’appuntamento, sta accadendo nella Chiesa cattolica romana dove, a livello di scelte pastorali su temi delicati, si profilano profonde divergenze. Ù

Nella diocesi di La Spezia il vescovo ha sospeso a divinis (proibizione di dir messa) don Giulio, parroco di un paesino, perché, nelle sue omelie, si è espresso per il pieno riconoscimento delle coppie “arcobaleno”. Il prelato rafforzava la sua decisione ricordando che, nel 2021, la Congregazione per la dottrina della fede aveva dichiarato: «La Chiesa non dispone del potere di impartire la benedizione a unioni di persone dello stesso sesso». Ma il responso vaticano ha irritato molti vescovi della Mitteleuropa. E infine è stato pubblicamente contestato non solo da alcuni parroci, ma perfino da un episcopato. Un mese fa l’episcopato belga guidato dall’arcivescovo di Bruxelles, cardinale Jozef De Kesel, ha approntato un rito apposito per la benedizione in chiesa delle coppie omosessuali.

Quest’esempio, che probabilmente non rimarrà isolato, fa capire che nelle Assemblee del ’23 e del ’24, a Roma emergeranno opinioni contrastanti, e sarà assai difficile trovare una mediazione: la divergenza, infatti, non sarà teorica, sulle idee, ma sulla prassi, e dire “sì” o “no” cambierà moltissimo per le persone e le comunità interessate.

 Altri problemi divisivi che approderanno al Sinodo sono l’obbligo del celibato per il clero latino, e l’ammissione delle donne nei ministeri ecclesiali “alti”. Nel 2019 il Sinodo sull’Amazzonia aveva proposto, laggiù, l’ordinazione presbiterale di diaconi già sposati; ma il papa, riassumendo i lavori di quell’Assemblea, ha “dimenticato” questa proposta che, da più parti, ora viene ribadita. E così per il ruolo delle donne: nei “desiderata” che stanno arrivando in vista del duplice Sinodo, da più parti si invoca non solo l’ammissione di donne al diaconato (in senso stretto), ma anche al presbiterato: ipotesi, questa, che nel 1994 Giovanni Paolo II proclamò contraria alla volontà di Dio.

Su tutti questi temi la Conferenza episcopale italiana, per ora, ha glissato; ma arriverà presto il tempo delle scelte. Ed è una illusione pensare di “riformare” la Chiesa senza fare profondissimi cambiamenti. È vero, però, che alcune riforme provocheranno tempesta nella comunità ecclesiale.

Luigi Sandri        “L’Adige”            17 ottobre 2022

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202210/221017sandri.pdf

SINODO NEL MONDO

Abbiamo un’uguaglianza conflittuale; riconosciuta ma non praticata”

Questo sabato, 8 ottobre, l’ Associazione delle teologhe spagnole ha celebrato il suo primo Pintxo [stuzzichino] teológico dell’anno accademico 2022-2023, “Prospettive femminili sulla sinodalità“, con la presenza della religiosa francese Natalie Becquart , sociologa e laureata in filosofia e teologia, consultrice della Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi e sottosegretaria del prossimo Sinodo.

Becquart ha iniziato il suo intervento online, a cui hanno partecipato più di 70 persone, ricordando “gli uditori del Concilio Vaticano II di cui siamo eredi” e come “stiamo vivendo l’ora delle donne, visto che a 60 anni dal Concilio in tutte le commissioni del Sinodo ci sono oggi laiche, nubili, sposate, religiose”. A suo avviso, la vera evoluzione della presenza delle donne in tutti gli ambiti della società, che per lei è un segno dei tempi, «è visibile anche nella Chiesa» .

“Abbiamo un’uguaglianza conflittuale; riconosciuta ma non praticata”

.

Secondo la religiosa francese, la reale evoluzione della presenza della donna in tutti gli ambiti della società, che è per lei un segno dei tempi, «è visibile anche nella Chiesa». “La nostra sfida è partire dal punto in cui ci troviamo, che è quello di un’uguaglianza conflittuale, perché c’è riconoscimento dell’uguaglianza ma non viene messa in pratica”, ha detto. Per lei «la sfida di questo Sinodo della sinodalità è fare un passo nella conversione della Chiesa» e mette in evidenza gli elementi che per lei sono fondamentali per la sinodalità.

Nel suo intervento, la suora francese ha parlato di alcune delle sfide che la Chiesa deve affrontare in questo cammino sinodale. Il primo a cui ha fatto riferimento, come proposto da papa Francesco, è l’ascolto: ” ascoltare le donne e i giovani, ascoltare la diversità delle voci delle donne nel mondo”, ha detto.

Per lei, come nell’incontro tra Maria ed Elisabetta nella Visitazione, «le due donne si ascoltano e accolgono lo Spirito che è in entrambe. Le donne in questo processo sinodale sono il seme, il motore della sinodalità, e siamo anche le levatrici della sinodalità nella Chiesa”. Come ha spiegato, «in questa Chiesa in crisi, per vari motivi, sta emergendo qualcosa di nuovo. C’è qualcosa che è in atto e sta nascendo, anche se il cambiamento non avverrà dall’oggi al domani”.

Ha anche fatto riferimento al fatto che c’è “un appello affinché donne e uomini camminino insieme in questo processo“. In questo senso, ha affermato che, attraverso la lettura dei documenti sinodali, «abbiamo vissuto un’esperienza unica. L’esperienza della sinodalità invita la Chiesa ad allargare la sua tenda . Ciò che le donne chiedono, ma non solo loro, non è altro che uno spazio dove possono partecipare”.

Becquart:La nostra sfida è partire dal punto in cui siamo, che è un’uguaglianza conflittuale, perché c’è riconoscimento dell’uguaglianza ma non la si mette in pratica“. Per Becquart, ciò che questo sinodo sta illuminando è un appello a riconoscere ciò che Vaticano II aveva già detto, a viverlo e a metterlo in pratica a tutti i livelli della Chiesa. Ma, ha spiegato, “ereditiamo una mentalità patriarcale che antepone gli uomini alle donne. La nostra sfida è partire dal punto in cui siamo, che è un’uguaglianza conflittuale, perché c’è riconoscimento dell’uguaglianza ma non la si mette in pratica”.

Invito alla reciprocità. Per la suora, sia il Sinodo dei giovani che il Sinodo per l’Amazzonia sono stati un processo di ascolto che ha permesso di sentire il grido delle vittime, e soprattutto delle donne. Nel sinodo dei giovani si è sentita la richiesta a “un cambiamento ineluttabile”, in termini di una maggiore reciprocità tra donne e uomini nella società e nella Chiesa. In Christus Vivit,(25.3.2019) il documento conclusivo del Sinodo dei giovani,

www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20190325_christus-vivit.html

 il tema della reciprocità tra uomini e donne appare per la prima volta in un documento magisteriale, andando oltre il concetto di complementarietà, di cui finora si parlava. “Siamo in questa antropologia relazionale in cui viviamo in chiave di reciprocità”, ha detto.

Nel Sinodo dell’Amazzonia la questione è stata portata alla luce in modo più chiaro e concreto e si è parlato del riconoscimento della reciprocità tra uomini e donne nella Chiesa come dovere di giustizia, nonché della necessità di conferire equamente ministeri a uomini e donne.

www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20191026_sinodo-amazzonia_it.html

Becquart: Per lei «la sfida di questo Sinodo sulla sinodalità è fare un passo nella conversione della Chiesa . La sinodalità è la vocazione della Chiesa del Terzo Millennio e le donne sono le prime chiamate a rispondervi, “perché sono creatrici di sinodalità”. In questo senso ha affermato che, poiché «la sinodalità è una chiamata di Dio alla Chiesa, Egli ci darà la grazia di poterla realizzare».

L’eco delle voci delle donne. Nella sua presentazione, Becquart ha aggiunto che “le sintesi sinodali hanno permesso di dare un nome alla situazione e le donne sono state ascoltate“. Così la suora francese ha fatto riferimento al documento presentato la scorsa settimana in Vaticano dal Catholic Women Council. Da questo testo, che si basa su un’indagine condotta su più di 10.000 donne di tutto il mondo, emerge, a suo avviso, “che le donne non sono uguali, né lo sono le loro richieste, ma ciò che appare in comune è che, anche quando le donne hanno difficoltà con le strutture ecclesiali, affermano che la loro identità cattolica resta”.

Per Becquart «da questo sinodo si leva il grido di quanti si sentono emarginati nella Chiesa, che è fatto di molte grida insieme. Anche le consacrate, le donne del personale parrocchiale, la comunità LGBTI, i divorziati risposati, si sentono emarginati”, ha spiegato. I documenti preparatori al sinodo, giunti in Vaticano dalle diocesi, mostrano, tra l’altro, «una richiesta di accoglienza per coloro che sono ai margini della società e della Chiesa. La Chiesa è percepita come un ostacolo all’inclusione delle persone”.

Con le sue stesse parole: «la consultazione sinodale è servita a riconoscere le Chiesa. Il Sinodo ha già mosso qualcosa, poiché le donne e i laici hanno avuto responsabilità nelle commissioni preparatorie. Qualcosa sta succedendo… La voce delle donne viene ascoltata. La strada è lunga e penso che continuerà”, ha detto.

La sottosegretaria del Sinodo ha terminato il suo intervento evidenziando quelli che per lei sono i sei elementi chiave della sinodalità :

Infine Becquart, che viene, come ha raccontato, dal mondo degli affari, ha spiegato che nella Chiesa «dobbiamo continuare a trovare spazi per far risuonare la voce delle donne. Abbiamo bisogno di sguardi incrociati tra uomini e donne. Le aziende “più ricche” sono quelle che hanno tutte le voci. È necessario continuare e incoraggiare l’empowerment delle donne”.

[il termine empowerment indica un processo di crescita, sia dell’individuo sia del gruppo, basato sull’incremento dell’autostima, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale. In italiano termini simili possono essere “valorizzazione”, “potenziamento” o “riqualificazione” o “conferimento di responsabilità”.]

Donne per la Chiesa                      12 ottobre 2022

www.teologhe.org/wp-content/uploads/2022/10/all.2-Becquard.pdf

Donne in silenzio, nonostante il Concilio. Speriamo nel Sinodo

Cerimonia di chiusura dell’anno accademico in una facoltà di teologia greco-cattolica. Finisce il proprio percorso educativo un piccolo gruppo di studenti, metà femmine, metà maschi, di varie età, con varie missioni nella chiesa e nella società o magari desiderosi di assumerne. Durante la cerimonia nessuna donna apre la bocca. Nemmeno durante la liturgia che la precede.

                Il rito bizantino è teoricamente dialogico, alle varie preghiere dei preti e diaconi il “popolo” risponde per lo più tramite un “Signore, abbi pietà di noi!” (pure quando i “celebranti” pronunciano varie intercessioni o “Ringraziamo il Signore” e forse sarebbe adatto variare un po’ tale formula). La parte che spetta ai fedeli laici è la recita (o il canto) delle beatitudini e di più simboli di fede, e qualche preghiera prima e dopo la consacrazione, prima e dopo la comunione, di solito coprendo varie preghiere pronunciate “in segreto” (ricche di contenuti teologici) riservate al solo “clero”; ed ecco l’“iconostasi sonora” (secondo una formula di Evdokimov) che separa – accanto a quella tradizionalmente presente nei nostri spazi liturgici – “clero e popolo” (come recita del resto la liturgia stessa).

Meglio un uomo, meglio un seminarista. Quando però c’è un coro, il “resto” dell’assemblea di solito esita a coinvolgersi anche in questi momenti dove è possibile sentirsi minimamente compartecipe. E qui c’era quello dei seminaristi (oltretutto messosi in disparte, in un balcone situato più in alto rispetto agli altri), che ha riservato a sé praticamente tutto, inclusa la lettura dell’“apostolo”. In un altro anno accademico mi ero permessa di suggerire agli organizzatori di affidare quest’ultima a una delle alunne, perché i colleghi laici si sentissero inclusi. L’udire la voce di una donna in simile contesto produsse però grande sconcerto tra chi si trovava nell’altare, a cominciare con il vescovo di allora. Di fatti, a sessant’anni dal Vaticano II, la mentalità è ancora ferma all’idea che, nel caso in cui c’è un uomo (o a maggior ragione un “teologo”) che possa compiere l’ufficio di cantore, abbia precedenza nel farlo (e lì di nuovo c’era un gruppo di seminaristi).

Non è che non ci siano delle comunità dove le donne compiono tale ufficio, sia per una più grande apertura delle medesime, sia per necessità. Ma non sarebbe proprio la facoltà teologica chiamata a essere in prima linea nel portare le cose un po’ avanti nel senso del riconoscimento della dignità dei laici e specialmente delle donne e del loro rispettivo ruolo (anche) nella liturgia? E questo mi fa ricordare un’altra esperienza. Durante un team building [costruzione di un gruppo], celebrammo una messa con tutti i colleghi della facoltà. La maggioranza, presbiteri, erano al di là dell’iconostasi. Tra i pochi laici e laiche uno dei preti scelse un maschio per cantare l’“apostolo”. Siccome questi non si sentiva che di leggerlo, lo stesso prete pregò il parroco di fare il cantore; e costui cantò tutta la liturgia, con il risultato che nessuno riuscì a seguirlo. Avevamo sacrificato la comunione per il culto.

Questione di ecclesiologia. E di persone. Per tornare alla nostra cerimonia… Sul palco, accanto agli ormai ex-alunni, solo uomini. È vero, anche un laico (accanto a un vescovo e due preti, questi ultimi dirigenti), colui che propose l’ultima lezione. Il discorso degli studenti dell’ultimo anno è stato pronunciato da un seminarista; anche quello di addio a nome dei colleghi che finiranno gli studi solo l’anno prossimo. È stato sempre un seminarista a fare il moderatore. A differenza di altri anni, le donne non hanno nemmeno aperto bocca durante l’intera cerimonia, sebbene ci fosse fra loro chi avrebbe potuto trasmettere un messaggio consistente. Le ex-studentesse, presenze non di rado veramente arricchenti nei gruppi di studio, hanno fatto solo da comparse: e(dis)poste sul podio (insieme ai colleghi), sono state coinvolte solo nel passaggio delle chiavi e nell’offrire dei fiori a una parte dei prof.

                Si saranno ritirate per timidezza? Saranno state messe da parte a causa della prepotenza dei colleghi “teologi”? Il tutto sarà stato organizzato piuttosto con un certo spirito di inerzia e senza troppa attenzione ai “dettagli” (che in questo caso poi, come in tanti altri, significa scarsa attenzione ai nostri simili, alle nostre sorelle, ai nostri fratelli)? Sarà immaginabile un altro approccio alla cerimonia dell’inizio dell’anno accademico che si avvicina? Temo di no, se non prendiamo consapevolezza della necessità di recepire l’ecclesiologia del Vaticano II – una premessa anche per poter abbracciare la dinamica sinodale (comunionale, partecipativa, inclusiva) che ci propone papa Francesco – fin dentro all’ultima fibra del vissuto ecclesiale (incluse la liturgia e le mentalità) e non soltanto nelle nostre teologie.

                Oppure sarà proprio la nostra incapacità a distaccarci dall’ecclesiologia precedente che ci impedisce di cambiare qualcosa nel nostro modo di pensare e nelle nostre pratiche? Sarò idealista, ma io spero che – se non ebbe l’occasione di cogliere la novità del Vaticano II durante il periodo di entusiasmo postconciliare – la mia Chiesa coglierà l’occasione di farlo durante l’attuale sinodo.       10 note

Simona Zetea   Il regno,                              04 ottobre 2022

https://ilregno.it/regno-delle-donne/blog/donne-in-silenzio-nonostante-il-concilio-speriamo-nel-sinodo-simona-zetea

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