NewsUCIPEM n. 795 – 1 MARZO 2020

NewsUCIPEM n. 795 – 1 MARZO 2020

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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 “Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento online. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse, d’aggiornamento, di documentazione, di confronto e di stimolo per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

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02 ABUSI                                                            Salvaguardia dei minori. Una task force contro gli abusi

03                                                                          Irlanda: Giornata di preghiera per le vittime e i sopravvissuti

03 ADOZIONE                                                   Straniera di minore a coppia omosessuale va riconosciuta?

04 ADOZIONE A DISTANZA                         Posso adottare il bambino che sostengo a distanza?

05 ADOZIONE INTERNAZIONALE              Federazione Russa

05 AFFIDO CONDIVISO                                 Non è vero che il figlio deve stare per forza con la madre

06                                                                          Spetta al padre spostarsi se vuole vedere la figlia

07 AFFIDO ESCLUSIVO                                  Affido esclusivo al padre se la madre induce la figlia a mentire

08 ASSEGNO DIVORZILE                               Assegno a moglie che lascia paese per dedicarsi alla famiglia

09 AUTORITÀ GARANTE PER I MINORI  Sì alla cittadinanza per i minorenni di nuova generazione         

11 CARTA DI SOGGIORNO                          Rilascio a padre di minore nato da relazione more uxorio

12 CENTRO INTER.STUDI FAMIGLIA       Newsletter CISF – n. 8, 26 febbraio 2020

14 CERTIFICATO MEDICO                            Suoi requisiti e le tipologie più diffuse

16 CHIESA CATTOLICA                                  Il papa della riforma”. I primi sette anni di Francesco

18                                                                          Querida Amazonia: troppe critiche!

20 CHIESE EVANGELICHE                            Albiano d’Ivrea. Una vita di fraternità

21 CITAZIONI                                                    Gesù non parla di famiglia, e nemmeno di matrimonio

23                                                                          L’inferno esiste?

25 CONSULTORI UCIPEM                             Mantova. Etica Salute Famiglia marzo-aprile 2020

24                                                                          Caravaggio, Cremona, Viadana: Covid-19

                                                                               servizio di ascolto a distanza contro la paura

25                                                                          Pescara. “Lontani ma vicini”.                   

26 DALLA NAVATA                                        I Domenica di quaresima – Anno A -01 marzo 2020

26                                                                          Gli angeli inviati dal Signore per sorreggerci

26 DIRITTI                                                          I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza verso il futuro                  

29 ENTI TERZO SETTORE                              GDPR, troppi errori sul consenso: come evitarli

30 ETICA                                                             L’imago Dei non abita più in noi?

31 PASTORALE                                                 Che speranza diamo agli uomini di oggi?

33 SESSUOLOGIA                                            Fluidità di genere negativa. Spinge a trascurare il disagio          

34 SINODO PANAMAZZONICO                 QA. Un documento che ha uno spessore profetico speciale

35                                                                          Dopo QA. La riforma non arretra ma la chiesa deve maturare  

36                                                                          Roma non locuta, causa non finita

39 SOCIOLOGIA                                               Culle vuote. Un fenomeno allarmante                                                

41                                                                          Il Cnel: “Più donne che lavorano significa più crescita

41 VIOLENZE                                                     Violenza sulle donne, l’importanza del linguaggio

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ABUSI

Salvaguardia dei minori. Una task force contro gli abusi

La Santa Sede ha istituito un gruppo di lavoro operativo, una “task force” [unità operativa], con la missione di assistere le Conferenze episcopali, gli Istituti religiosi e le Società di vita apostolica nella preparazione e nell’aggiornamento delle linee guida in materia di tutela dei minori. Papa Francesco al termine dell’Incontro “La protezione dei minori nella Chiesa”, svoltosi in Vaticano dal 21 al 24 febbraio 2019 aveva annunciato l’intenzione di costituirlo. Ora, a distanza di un anno dal Summit, nel quale sono stati definiti i dettagli del progetto, il Pontefice ha disposto i passi concreti per la costituzione di questa task force.

            In pratica quindi viene stabilito che la sovrintendenza al gruppo di lavoro è affidata all’arcivescovo Sostituto Edgar Peña Parra, insieme ai cardinali Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay, Blase J. Cupich, arcivescovo di Chicago, all’arcivescovo Charles J. Scicluna, arcivescovo di Malta e Segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede (Cdf), e al gesuita Hans Zollner, preside dell’Istituto di Psicologia della Gregoriana e membro della Pontificia Commissione per la tutela dei minori.

            Compito della task force sarà quello di assistere gli episcopati e gli ordini religiosi – su loro richiesta – nella preparazione e nell’aggiornamento delle linee guida in materia di tutela dei minori, in conformità con gli indirizzi emanati dalla Cdf, nonché con quanto stabilito dalla vigente legislazione canonica in materia di abusi e, in particolare, con il motu proprio “Vos estis lux mundi” del 7 maggio 2019. Fermo restando che la preparazione delle linee guida rimarrà sempre nella competenza e sotto la responsabilità delle rispettive Conferenze episcopali e delle congregazioni religiose. Il gruppo di lavoro, specifica una nota della Sala Stampa vaticana, avrà una durata di due anni, a partire dal 24 febbraio 2020.

Esso è composto da un coordinatore, Andrew Azzopardi, responsabile della Safeguarding Commission per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili della Chiesa maltese, e da alcuni esperti in diritto canonico di diverse nazionalità. Il Coordinatore riferirà trimestralmente sulle attività svolte dalla task force al Sostituto, mentre le attività del gruppo di lavoro sono sostenute da un apposito fondo costituito da benefattori e le domande di richiesta di assistenza potranno pervenire all’apposito indirizzo e-mail (taskforce@org.va).

            Ieri in Sala Stampa vaticana si è svolto un meeting point per presentare la task force. Presenti il coordinatore Azzopardi, padre Federico Lombardi, moderatore del Summit sugli abusi di un anno fa e il vescovo Juan Ignacio Arrieta, segretario del pontificio Consiglio per i testi legislativi. Per padre Lombardi l’istituzione della task force è «un primo passo per mettere in moto un processo di aiuto alle Chiese che vogliono preparare o aggiornare le loro Linee guida, e possono contare su persone competenti che le aiutino».

Il gruppo di lavoro istituito dalla Santa Sede in applicazione a quanto deciso nel summit vaticano del 2019 sarà coordinato dal maltese Azzopardi responsabile nel suo Paese della Commissione per la salvaguardia dei minori. «Solo alcune decine, nel mondo, le Conferenze episcopali che non hanno ancora elaborato le Linee guida sugli abusi», ha precisato il gesuita, spiegando che «si tratta di pochissime eccezioni, alcune delle quali comprensibili perché provengono da Paesi che si trovano in situazioni di guerra o di povertà estrema, o che non hanno casi urgenti o impellenti». Padre Lombardi ha anche annunciato l’«imminente» pubblicazione del “vademecum” annunciato alla fine del Summit del 2019: sarà uno strumento, curato dalla Cdf, agile a disposizione dei vescovi che tiene conto anche delle «grosse novità» in materia di disposizioni sulla lotta agli abusi intervenute proprio in questo ultimo anno.

La «più importante» delle quali è il motu proprioVos estis lux mundi”, che, tra l’altro, prevede l’obbligo di denuncia nelle cause canoniche, lo “sportello” per accogliere le denunce in tutte le diocesi, e norme stringenti sulla “accountability” (responsabilità) dei vescovi e dei superiori religiosi. Quanto all’obbligo di denuncia alle autorità civili, padre Lombardi, sollecitato dalle domande dei giornalisti, ha ricordato che «non c’è una linea generale: si seguono le leggi dei rispettivi Paesi». «Sarebbe un abuso di potere che la Chiesa debba dire: ‘si deve fare così”», ha puntualizzato. Infatti «sono le rispettive Conferenze episcopali che devono tener conto di quale sia il loro rapporto con le autorità civili. Non c’è una norma generale».

Gianni Cardinale                             Avvenire 29 febbraio 2020

www.avvenire.it/chiesa/pagine/una-task-force-contro-gli-abusi

 

Irlanda: oggi la “Giornata di preghiera per le vittime e i sopravvissuti” degli abusi sessuali

“Chiediamo perdono per tutti i casi di abuso che sono stati commessi in Irlanda, abuso di potere, abuso di coscienza e abuso sessuale, da parte dei rappresentanti della Chiesa. Chiediamo perdono per tutte quelle volte in cui, come Chiesa, non abbiamo offerto ai sopravvissuti, compassione e ricerca della giustizia e della verità mediante azioni concrete. Chiediamo perdono per quei membri della gerarchia che non si sono assunti alcuna responsabilità per queste situazioni dolorose e sono rimasti in silenzio. Chiediamo perdono. Cristo abbia pietà”. Questa la preghiera che viene letta in tutte le Chiese di Irlanda dove oggi, primo venerdì di Quaresima, si celebra – secondo le indicazioni di Papa Francesco a tutte le Conferenze episcopali del mondo – la “Giornata di preghiera per i sopravvissuti e le vittime di abuso”.

L’Irlanda è stato uno dei Paesi nel mondo più travolti dallo scandalo degli abusi. Era il 2009 quando dopo anni di lavoro da parte di specifiche Commissioni governative, vengono pubblicati il Rapporto Ryan, sugli abusi avvenuti nel sistema scolastico, e il Rapporto Murphy, sugli abusi su minori compiuti da trent’anni da membri dell’arcidiocesi di Dublino.

La vasta eco suscitata dai rapporti, che evidenziano le carenze con cui la Chiesa ha gestito i casi, spingono Benedetto XVI prima a convocare a Roma i vescovi irlandesi; poi IL 19 marzo 2010 a pubblicare una “Lettera pastorale” rivolta a tutti i cattolici del Paese e a disporre una visita apostolica in Irlanda, da novembre 2010 a marzo 2012.

www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/letters/2010/documents/hf_ben-xvi_let_20100319_church-ireland.html

La Chiesa irlandese fu travolta e molti vescovi si dovettero dimettere. Dallo scorso anno, si celebra la Giornata di preghiera e di perdono: per l’occasione in tutte le Chiese del Paese vengono accese delle candele, in segno di preghiera, memoria e guarigione per tutte quelle persone e le loro famiglie, che sono state abbandonate in una sofferenza permanente causata dagli abusi. “Ho avuto il privilegio in questi anni – confida l’arcivescovo di Armagh e presidente dei vescovi irlandesi, mons. Eamon Martin – di incontrare vittime e sopravvissuti ad abusi e membri delle loro famiglie nelle quattro province dell’Irlanda. Molti mi hanno parlato dell’importanza della preghiera e della necessità che la Chiesa sia aperta alla giustizia, per espiare e non dimenticarli mai. Sono stato umiliato dal loro coraggio e sopraffatto dalla loro generosità di spirito”.

M. Chiara Biagioni     AgenziaSIR    28 febbraio 2020

www.agensir.it/quotidiano/2020/2/28/irlanda-oggi-la-giornata-di-preghiera-per-le-vittime-e-i-sopravvissuti-degli-abusi-sessuali-i-vescovi-chiediamo-perdono-per-essere-rimasti-in-silenzio

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ADOZIONE

Adozione straniera di minore a coppia omosessuale va riconosciuta?

Il riconoscimento di una sentenza straniera di adozione piena a una coppia omosessuale non può prescindere da una analisi di compatibilità con i principi di ordine pubblico, in relazione ai quali si deve, altresì, tener conto dell’art. 24 Convenzione dell’Aja del 1993, per la tutela dei minori. Tale valutazione integra una questione di particolare importanza da sottoporre alle Sezioni unite della Cassazione

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza interlocutoria n. 29071, 11 novembre 2019

https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-29071-del-11-11-2019

Una coppia omosessuale composta da un cittadino italiano e uno statunitense, residenti negli Stati Uniti da oltre dieci anni, adotta un bambino secondo le leggi dello Stato di New York. Il genitore adottivo italiano propone, in proprio e in rappresentanza del minore da lui adottato all’estero, ricorso innanzi alla Corte d’Appello per ottenere il riconoscimento ad ogni effetto dell’adozione piena e legittimamente pronunciata dalla Corte statunitense, e sentire ordinare all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Samarate la trascrizione dell’atto di nascita del minore e del provvedimento di adozione.

            La Corte d’appello di Milano dichiara l’efficacia del provvedimento di adozione ordinando all’Ufficiale dello Stato Civile di procedere alla trascrizione del provvedimento, unitamente all’atto di nascita dell’adottato contenente le sue nuove generalità, nonché le generalità dei genitori adottivi in luogo di quelli naturali.

            Contro il decreto ha proposto ricorso per Cassazione il Sindaco di Samarate, secondo il quale, in primis, la Corte milanese avrebbe errato nel non attribuirgli legittimazione passiva per partecipare al procedimento. Nel merito del riconoscimento di efficacia del provvedimento straniero di adozione legittimante, il ricorrente lamenta la violazione delle norme italiane sull’adozione, e l’incompatibilità della sentenza straniera con i principi desumibili dalla Costituzione italiana e all’ordine pubblico internazionale.

La Corte di Cassazione ha chiesto la rimessione alle Sezioni Unite, per la risoluzione della questione di massima particolare importanza: «se sia contrario all’ordine pubblico e quindi non trascrivibile nei registri dello Stato Civile italiano, il provvedimento dell’autorità giudiziaria straniera, che ha disposto l’adozione di un minore in favore di una coppia dello stesso sesso, ove nessuno degli adottanti risulti legato da vincoli genitoriali biologici con l’adottato».

            Ai sensi della L. n. 184, 4 maggio 1983, art. 6, comma 1, l’adozione piena è consentita solo ai coniugi uniti in matrimonio, il quale, nell’ordinamento italiano è, a sua volta, consentito solo a persone di sesso diverso.

www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm

            La legge 20 maggio 2016, n. 76, art. 1, comma 20, che ha istituito le unioni civili omosessuali equiparandole al matrimonio, ha escluso l’applicazione delle disposizioni contenute nella legge n. 184/1983, fermo restando quanto previsto e già consentito in materia di adozione dalle norme vigenti.

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/05/21/16G00082/sg

La giurisprudenza ha riconosciuto alla coppia omosessuale l’adozione in casi particolari ex art 44 della legge 184/1983 lett. D), la così detta stepchild adoption, o adozione del figlio del partner, che ha lo scopo di favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore e le persone che già si prendono cura di lui (genitore sociale), prevedendo effetti più limitati ma presupposti meno rigidi.

La Cassazione, prima Sezione civile con l’ordinanza n. 14007/31 maggio 2018 – si è occupata di un altro caso di riconoscimento di adozione piena riguardante due donne omossessuali francesi coniugate all’estero, residenti in Italia, che chiedevano il riconoscimento al giudice italiano di una sentenza francese che aveva disposto a favore di ciascuna l’adozione del figlio biologico dell’altra.

www.altalex.com/documents/news/2018/06/05/stepchild-adoption

In tale fattispecie l’adozione legittimante era stata riconosciuta, poiché riguardava un contesto familiare caratterizzato dalla presenza di un genitore biologico, mentre il caso in esame è caratterizzato dall’assenza di un qualunque legame biologico di entrambi i genitori di sesso maschile con il minore.

            La giurisprudenza di legittimità in materia, ha affermato che il riconoscimento di un provvedimento straniero in materia di adozione deve passare il giudizio di compatibilità con i principi di ordine pubblico.

Un recente arresto della Corte di legittimità (Cass. Civ. Sezioni Unite. n. 12193/8 maggio 2019) ha definito la nozione di ordine pubblico, come l’insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico.                                                     www.neldiritto.it/public/pdf/s.u._12193_2019.pdf

Appare evidente lo sfavore del legislatore italiano per l’adozione legittimante per le coppie dello stesso sesso. Tale scelta rappresenta tuttavia il legittimo esercizio della potestà discrezionale del nostro Stato di regolare i rapporti giuridici in una determinata materia. Pur dovendosi considerare il concetto di ordine pubblico alla luce delle fonti di diritto anche internazionali e della giurisprudenza della CEDU, rimane legittima la riserva agli stati sulla modalità di garanzia dei principi fondamentali individuati (art. 9 Carta di Nizza e art. 12 Convenzione EDU).

            Dall’altro lato occorre tener conto dell’art. 24 Convenzione dell’Aja del 1993, per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, ratificata in Italia con L. n. 476 del 1998, secondo cui il riconoscimento dell’adozione può essere rifiutato dagli Stati membri solo se esso sia manifestamente contrario all’ordine pubblico, tenuto conto dell’interesse superiore del minore.

http://www.commissioneadozioni.it/media/1435/convenzione-dellaja-1993.pdf

www.anfaa.it/famiglia-come-diritto/adozione/adozione-internazionale/convenzione-dellaja

Poiché la questione, a parere della Corte, rientra tra quelle di particolare importanza, a norma dell’art. 374 c.p.c., comma 2, gli atti sono stati rimessi al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite Civili.

Giuseppina Vassallo   Altalex      28 febbraio 2020

www.altalex.com/documents/news/2020/02/28/adozione-straniera-di-minore-a-coppia-omosessuale-va-riconosciuta

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ADOZIONE A DISTANZA

Posso adottare il bambino che sostengo a distanza?

Cara Ai.Bi., è mio desiderio attivare un’Adozione a Distanza con voi. Leggo spesso sul vostro sito le storie e gli appelli dei bimbi del progetto Sostegno a Distanza in particolare difficoltà e sono curiosa di sapere se fosse possibile, in un futuro, adottare a tutti gli effetti il bambino inizialmente sostenuto a distanza.      Iside

Gentile Iside, la ringraziamo per averci scritto perché è merito di persone come lei se molti bambini possono, finalmente, tornare a sperare in un futuro migliore.

L’Adozione a Distanza con Amici dei Bambini permette di aiutare a distanza un bambino in difficoltà e prevede una donazione mensile di 50 euro. Subito dopo l’attivazione, riceverà immediatamente la scheda di presentazione e la foto del minore da lei sostenuto e, in seguito, gli aggiornamenti sulla sua crescita. Potrà scrivere al bambino e il piccolo, se già scolarizzato, potrà risponderle. Inoltre, avrà la possibilità di far visita al centro d’accoglienza che accoglie il bambino e conoscerlo personalmente.

            Per quanto riguarda invece la possibilità di adottare i bambini beneficiari dei progetti di Sostegno a Distanza, la informiamo che non tutti i minori che vengono sostenuti sono abbandonati. Sono tanti i progetti che riguardano bimbi che hanno una famiglia, fosse pure composta solo dalla madre, che per diversi motivi non può prendersi cura dei figli. I nostri interventi di sostegno a distanza mirano proprio a prevenire l’abbandono e, laddove possibile, a favorire il reinserimento familiare.

            Ci sono poi i minori abbandonati che purtroppo non sono più bambini, ma adolescenti. Per loro l’adozione è una chance caduta nel nulla: chi è disposto ad adottare un 16enne o 17enne? Infine ci sono bambini dichiarati adottabili, che magari potranno trovare una famiglia, ma il Sostegno a Distanza non costituisce certo un percorso preferenziale per adottarli.

Staff Ai.Bi.      28 febbraio 2020

www.aibi.it/ita/posso-adottare-il-bambino-che-sostengo-a-distanza

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Federazione Russa

Cara Ai.Bi., sul vostro sito ho letto dell’esistenza, per i bimbi adottabili dalla Federazione Russa, di una serie di “fasce”, identificate con un numero, con cui vengono classificati. Ho, per esempio, letto un articolo che parlava di “bambini in fascia 3”. Cosa significa?                    Martina

Cara Martina, le fasce sono identificative dello stato di salute dei bambini.

  1. Nella prima fascia (o gruppo di salute) si trovano minori che non hanno difetti fisici per nessuno dei criteri di valutazione, che non hanno avuto malattie o raramente durante il periodo di controllo, con un complesso nervoso e psichico normale, con non più di un episodio di epicrisi, con lievi anomalie morfologiche (anomalia delle gambe, delle braccia lievi o simili e delle orecchie) e che non influenzano lo stato di salute del minore.
  2. Nella seconda si trovano minori a rischio di formazione di patologie croniche.
  3. Nella terza minori con frequenti malattie e acute o croniche senza implicazioni sullo stato di salute del complesso o in compensazione, ritardi lievi dello sviluppo e sviluppo irregolare degli organi interni senza ritardi clinici degli altri organi o del sistema nel suo complesso.
  4. Nella quarta fascia ci sono minori con malattie croniche, difetti funzionali dello sviluppo e alla nascita che provocano la modifica funzionale non solo degli organi interessati ma del sistema nel suo complesso. Frequenti periodi di malattia e influenza nel complesso generale e periodi di convalescenza di solito lunghi.
  5. Nella quinta fascia troviamo invece bambini con gravi malattie croniche, con problemi alla nascita di grado grave e senza compensazione che caratterizzano l`appartenenza al gruppo permanente degli invalidi.

Staff Ai.Bi.

www.aibi.it/ita/russia-cosa-sono-le-fasce-o-gruppi-di-salute-dei-bimbi-adottabili

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AFFIDO CONDIVISO

Coppia separata: non è vero che il figlio deve stare per forza con la madre

A Bari una coppia con un figlio decide di separarsi e, come spesso accade, i due finiscono per litigare su chi deve ottenere l’affidamento del figlio e sulla casa, lite che finisce in Tribunale. Intervengono, immancabilmente, i Servizi Sociali e uno psicologo, nominato consulente del Giudice, che chiede di far vivere il bambino con la mamma, nonostante fossero entrambi buoni genitori e il papà – che aveva smesso di lavorare – avesse più tempo a disposizione rispetto alla donna, occupata nella professione.

Il giudice barese, davvero illuminato, ha però ribaltato le conclusioni dello psicologo: il piccolo può rimanere a vivere con il papà che ha più tempo da dedicare a lui e che, soprattutto, è perfettamente in grado di farlo: questo perché le decisioni sull’affidamento devono avere come unica coordinata l’interesse del figlio e non il narcisismo dei genitori o la battaglia dei sessi.

Quella pugliese non è una decisione isolata ma non è neppure una regola condivisa nei Tribunali italiani. Spesso, troppo spesso, capita ancora di leggere, magari solo tra le righe di una sentenza ma soprattutto dei pareri degli psicologi che, in fondo, la mamma è sempre la mamma e che, come tale, deve essere aprioristicamente privilegiata rispetto al papà, come figura di riferimento del figlio (si tratta della c.d. teoria della maternal preference, che ha trovato il suo avallo anche in qualche vecchia sentenza della Cassazione).

            Nella scelta del genitore di riferimento, invece che inseguire desuete teorie, sarebbe necessario valutare caso per caso e situazione per situazione, senza partire dal presupposto che il genitore di un sesso è sempre meglio di quello del sesso opposto. Certamente, in buona parte dei casi, sarà così, anche considerato la condizione di lavoro femminile, ma da lì a farne una regola immutabile e valida per tutte le famiglie ce ne corre.

            La speranza è che altri giudici seguano (alcuni di loro già lo fanno) il ragionamento dei colleghi pugliesi, anche perché l’alternativa rischia di essere quella di dare ragione ai sostenitori dell’ormai affossato Ddl Pillon, secondo i quali i bambini devono essere divisi, salomonicamente, a metà.

Alessandro Simeone, Avvocato del Comitato Scientifico de Il Familiarista       26 febbraio 2020

https://www.repubblica.it/economia/diritti-e-consumi/famiglia/2020/02/26/news/coppia_separata_non_e_vero_che_il_figlio_deve_stare_per_forza_con_la_madre-248517054/?ref=RHPF-VE-I0-C6-P1-S4.2-T1

                                                                     

Cassazione: Spetta al padre spostarsi se vuole vedere la figlia

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 4258, 19 febbraio 2020

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_37453_1.pdf

Respinto il ricorso di un padre che, pur non avendo un’occupazione e avendo a disposizione un appartamento fornito dalla ex moglie per stare con la figlia, si oppone alla decisione della Corte d’Appello che, tenendo conto delle esigenze primarie della bambina stabilisce che sia il genitore a spostarsi, disponendo la residenza prevalente della minore presso la madre. Questo quanto sancito dall’ordinanza n. 4258/2020 della Cassazione, la quale ha precisato inoltre che, se il padre dovesse rifiutarsi di rispettare le modalità di affido della figlia, si provvederà a disporre la stabile convivenza della bambina con la madre.

Affido condiviso e residenza prevalente presso la madre. La Corte d’Appello conferma l’affido condiviso di una minore, disponendone la residenza prevalente presso la madre, visto che quest’ultima ha messo a disposizione dell’ex marito un appartamento, per consentirgli di occuparlo insieme alla figlia nei periodi in cui, come indicato dalla CTU, costui deve stare con la bambina, ossia dalla domenica sera fino alle 13.30 del giovedì seguente. La CTU motiva questa decisione ritenendola preferibile a quella adottata in precedenza che prevedeva la residenza della minore presso l’appartamento messo a disposizione del padre, con le stesse disposizioni per quanto riguarda orari e giorni. Questa nuova decisione è stata adottata tenendo conto dell’occupazione lavorativa della madre e della non occupazione del padre, che quindi non subisce alcun danno di tipo economico od esistenziale per il fatto che la residenza della bambina viene fissata presso la ex moglie, visto che dispone dell’appartamento preso in locazione per lui dalla ex.

Il ricorso: violazione libertà personale e domicilio forzato. Il padre della bambina però non soddisfatto della decisione di merito ricorre in Cassazione lamentando con il primo motivo il fatto che la Corte d’Appello non abbia considerato la valutazione negativa della CTU relativa al trasferimento della minore.

            Con il secondo motivo il padre invece lamenta la violazione:

  • dell’art. 337 bis c.c. che impone, nell’adottare provvedimenti nei confronti dei minori, di tenere conto del loro primario interesse morale e materiale;
  • dell’art. 13 della Costituzione che sancisce la inviolabilità della libertà personale;
  • dell’art. 13 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sulla libertà di movimento e di residenza nei confini dello Stato;
  • della CEDU perché il giudice di seconde cure in pratica ha subordinato la frequentazione della figlia a un domicilio forzato.

Spetta al padre spostarsi se vuole stare con la figlia. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso del padre per le seguenti ragioni. Per quanto riguarda il primo motivo di doglianza, in cui il padre evidenzia la negatività del trasferimento della bambina, la Cassazione rileva come invece la corte d’Appello abbia valutato gli aspetti negativi e positivi di tale modifica, tenendo conto del fatto che il Ctu si sia espresso nel senso che “non svolgerebbe certamente una funzione migliorativa, a meno che tale trasferimento non venga effettuato da entrambi i genitori così che il cambiamento di ambiente scolastico, relazionale, ambientale (della bambina) in un contesto di continuità affettiva, relazionale parentale, potrebbe assumere anche una valenza positiva in quanto ulteriore stimolo a favorire il coping e lo sviluppo psico emotivo.” Per gli Ermellini quindi la Corte ha tenuto conto delle valutazioni del Ctu, ma mettendo al primo posto l’interesse della cura e dello sviluppo della minore, senza comprimere le esigenze dei genitori.

            All’esito dell’esame del primo motivo del ricorso la Cassazione ritiene quindi infondato il secondo visto che la Corte d’appello, sempre in base alle valutazioni del Ctu, ha tenuto conto dell’esclusivo interesse della minore. Per quanto riguarda la ritenuta violazione della libertà personale e l’imposizione di un domicilio forzato la Corte, in presenza di due diversi e distanti luoghi di residenza dei genitori, ha infatti solo evitato a una bambina una vita da pendolare, nel rispetto anche degli impegni scolastici di quest’ultima, preferendo una soluzione che imponga al padre in particolare di spostarsi, per i minori impegni lavorativi di quest’ultimo e per la disponibilità dell’appartamento preso appositamente in locazione dalla donna.

            “Non può quindi condividersi la valutazione del provvedimento come restrittivo della personale e di residenza del padre in quanto esso è stato adottato per rispondere alle esigenze di una piena frequentazione della figlia con entrambi i genitori. Si tratta con evidenza di un provvedimento che non è coercibile nei confronti del padre e che nell’ipotesi di un suo rifiuto a risiedere insieme alla figlia imporrà di fatto la stabile residenza di quest’ultima presso la madre in attesa della eventuale revisione del collocamento da valutare sempre alla luce del preminente e migliore interesse della minore.”

 Annamaria Villafrate Studio Cataldi 23 febbraio 2020

www.studiocataldi.it/visualizza_allegati_news.asp?id_notizia=37453

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AFFIDO ESCLUSIVO

Affido esclusivo al padre se la madre induce la figlia a mentire

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 3028, 10 febbraio 2020

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_37337_1.pdf

Va affidata al padre la figlia minore che viene indotta dalla madre a mentire e a farle sostenere che la stessa si rifiutava di andare a vivere con il papà perché questi le avrebbe mosso delle minacce. Per la Cassazione però hanno rilievo anche le conclusioni della Ctu da cui è emerso il perfetto inserimento della minore nel contesto familiare paterno, valutazione positiva che, al contrario, non è stata espressa nei confronti della famiglia materna, visto che la stessa, quando aveva la bambina, la affidava a estranei.

Affido esclusivo della figlia minore al padre. La Corte d’Appello conferma il provvedimento del Tribunale che ha disposto l’affido esclusivo della figlia al padre, con collocazione presso lo stesso e regolamentazione del regime di visita della madre, con conferimento del potere di vigilanza sul rispetto di queste condizioni ai servizi sociali locali. A carico della madre l’obbligo di versare 200 euro al mese come contributo al mantenimento della figlia e di partecipare alle spese straordinarie nella misura del 50%.

Il ricorso in Cassazione della madre. La madre ricorre in sede di legittimità lamentando principalmente con il secondo motivo l’omesso motivazione ed esame delle censure mosse alle contraddizioni presenti nella CTU. Omissione che ha condotto, a parere della ricorrente, alla conferma dell’accusa avanzata nei suoi confronti di aver manipolato e tenuto condotte coercitive nei confronti della figlia minore e di conseguenza alla modifica del regime, disponendo l’affidamento esclusivo al padre. La corte non ha colto gli evidenti segnali d’inattendibilità emerse dalle dichiarazioni della figlia in relazione alla preferenza di volersi trasferire da padre e al giudizio negativo espresso dalla stessa nei confronti della figura materna.

Con il terzo motivo lamenta inoltre l’assenza nel decreto che ha disposto l’affidamento esclusivo della minore al padre, di qualsiasi determinazione finalizzata a tutelare il rapporto con la madre, nonostante questa esigenza fosse stata evidenziata anche dalla CTU.

Affido esclusivo della figlia al padre se la ex la manipola. La Cassazione rigetta il ricorso per le motivazioni che si vanno a esporre. Prima di tutto, per quanto riguarda la doglianza esposta dalla ricorrente nel secondo motivo, in cui denuncia le conclusioni contraddittorie della CTU, la Corte lo dichiara inammissibile perché non coglie la ratio della decisione contestata. La Corte territoriale ha infatti tenuto conto dell’accurato e approfondito esame delle dinamiche familiari di cui è stata protagonista la minore, sottoposta a ripetute consulenze tecniche, ascolti e, su richiesta della ricorrente, a ripetuti esami delle registrazioni audio. Da tutto il materiale raccolto è emerso che la tesi della madre, secondo la quale la minore rifiutava di andare a vivere con il padre per minacce che questi le avrebbe mosso, deve considerarsi smentita. La minore infatti è risultata attendibile nel momento in cui ha dichiarato che in realtà è stata la madre a indurla a mentire.

            La decisione di affidare la minore al padre infine è stata presa, a prescindere dalle preferenze espresse dalla stessa, quanto piuttosto dal perfetto inserimento della figlia nella famiglia paterna e dalla relazione positiva con il papà. Conclusioni non altrettanto positive quelle a cui è giunto il CTU nell’esaminare il contesto familiare materno, visto che di fatto la bambina, quando si trovava presso la madre, veniva affidata perlopiù a estranei. Inammissibile anche il terzo motivo del ricorso con cui la madre denuncia l’assenza nel provvedimento giudiziale di determinazioni adeguate a salvaguardare il suo rapporto con la figlia.

            La madre non ha riprodotto nel motivo del ricorso i passaggi dettagliati e significativi da cui si è possibile evincere le ragioni della sua rimostranza.

Annamaria Villafrate    studio Cataldi           15 febbraio 2020

www.studiocataldi.it/articoli/37337-affido-esclusivo-al-padre-se-la-madre-induce-la-figlia-a-mentire.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Assegno divorzile a moglie che lascia paese per dedicarsi alla famiglia

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 765, 16 gennaio 2020

https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-765-del-16-01-2020

Il diritto all’assegno divorzile è riconosciuto non allo scopo di assicurare il pregresso tenore di vita all’ex coniuge, ma per mantenere un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative sacrificate. La Corte di Cassazione ha confermato la natura non meramente assistenziale dell’assegno di divorzio, dando rilevanza alle rinunce della ex moglie in favore del marito e della famiglia.

Nel giudizio per lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, la Corte d’appello di Venezia aveva confermato le statuizioni economiche poste a carico del marito, consistenti nell’assegno divorzile in favore della moglie di Euro 350 mensili, e nell’assegno di mantenimento per il figlio di Euro 850 mensili, oltre alla partecipazione alle spese straordinarie nella misura del 70%.

            L’uomo ricorre in Cassazione sostenendo, col primo motivo, che la sentenza ha errato nel riconoscere il diritto all’assegno come forma di protezione del coniuge economicamente più debole a fronte del deterioramento delle proprie condizioni personali di vita, dipendenti dallo scioglimento del matrimonio. A parere del ricorrente, il giudice del gravame, omettendo ogni verifica circa l’an debeatur, si sarebbe discostato dei principi enunciati in sede di legittimità con la sentenza n. 11504/10 maggio 2017.

www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=14634#.Xm9BH3J7kQA

La Cassazione dichiara infondato il ricorso. Nell’interpretare l’art. 5 comma 6 della legge sul divorzio, la Corte d’Appello ha correttamente tenuto conto delle risorse economiche e reddituali di entrambe le parti, non avendo come obiettivo la mera perequazione reddituale, ma valutando le circostanze del caso concreto al fine di perseguire la finalità assistenziale – perequativa/compensativa attribuita a detto assegno, in linea con i principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18287/11 luglio 2018.

https://www.altalex.com/documents/altalex/massimario/cassazione-civile/2018/18287/matrimonio-e-divorzio-divorzio-assegno-di-divorzio.

https://giuricivile.it/assegno-di-divorzio-autosufficienza-economica

L’attribuzione e la determinazione dell’assegno, è avvenuta non allo scopo di assicurare il pregresso tenore di vita, ma per mantenere le condizioni di vita adeguate e consone al progetto familiare e sociale che la cessazione del matrimonio aveva interrotto. Nel caso di specie gli elementi presi in considerazione, alla luce della natura composita dell’assegno di divorzio, erano determinati:

  • dall’attività lavorativa svolta dalla moglie, con reddito nettamente inferiore a quello del marito;
  • dalla circostanza che la donna aveva lasciato il Perù nel 1999 per trasferirsi in Italia con il marito;
  • dal fatto che la donna si era dedicata alla famiglia nei primi anni di matrimonio in ragione della nascita del figlio e fino al 2008, anno in cui la coppia si era separata;
  • dall’aver intrapreso la moglie, in seguito alla separazione, un’attività lavorativa ed aver reperito un alloggio dove vivere con il figlio minore, versando un canone di locazione e poi successivamente, una rata di mutuo;
  • dall’aver contribuito anche al mantenimento del figlio poi divenuto maggiorenne ma non economicamente autosufficiente.

La Corte, pertanto, ribadisce che la natura assistenziale, e perequativo-compensativa, che proviene direttamente dal principio costituzionale di solidarietà, porta al riconoscimento di un contributo finalizzato non al raggiungimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma all’ottenimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo dato durante la vita familiare, anche tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

Il ricorrente, col secondo motivo, ha denunciato anche la violazione dell’art. 337 ter, comma 4 c.c., in tema di ripartizione delle spese straordinarie, avvenuta, a suo dire, senza raffrontare le diverse capacità reddituali dei genitori.

            La Corte ha ritenuto infondato anche questo motivo di ricorso, ritenendo che la Corte territoriale avesse correttamente svolto la comparazione, e che non si potevano considerare le dazioni economiche (nemmeno quantificate) direttamente elargite al figlio, poiché frutto di liberalità spontanee, non rientranti nella categoria della partecipazione alle spese.

Giuseppina Vassallo   Altalex                        24 febbraio 2020

www.altalex.com/documents/news/2020/02/24/assegno-divorzile-a-moglie-che-lascia-paese-per-dedicarsi-alla-famiglia

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AUTORITÀ GARANTE PER I MINORI

Sì alla cittadinanza per i minorenni di nuova generazione

Parere favorevole alle proposte all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera per l’introduzione dello ius soli o dello ius culturæ. Un minorenne su dieci è figlio di genitori di origini immigrate

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia) si è dichiarata a favore del riconoscimento della cittadinanza italiana ai minorenni figli di genitori di origini immigrate. La Garante Filomena Albano ha inviato una nota a Giuseppe Brescia, presidente della Prima Commissione Affari costituzionali della Camera, presso la quale si stanno esaminando le proposte di legge n. 105, 920 e 717 di modifica dell’attuale legge di cittadinanza italiana, la n. 91 del 1992.

La Commissione, unite le proposte, svolge attività conoscitiva dal 12 dicembre 1999 al 25 febbraio 2020.

https://documenti.camera.it/apps/commonServices/getDocumento.ashx?idLegislatura=18&sezione=bollettini&tipoDoc=pdf&anno=2020&mese=02&giorno=25&file=leg.18.bol0332.data20200225.com01

 

     Con essa l’Autorità, dopo aver ascoltato la Consulta delle ragazze e dei ragazzi dell’Agia, ha espresso parere favorevole tanto alle iniziative che prevedono il criterio dello ius soli temperato quanto a quella che intende introdurre il cosiddetto ius *

“Tutte le proposte di legge – dichiara Filomena Albano – rappresentano un passo importante sul piano dell’integrazione e sono diretta espressione del principio di uguaglianza sancito dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Oggi, nel nostro Paese, un minorenne su 10 ha genitori di origini immigrate. Fino a qualche anno fa la gran parte di questi bambini e ragazzi era nata all’estero. Oggi, invece, la grande maggioranza, più di sette su 10, è nata in Italia. Sono cresciuti qui, parlano in italiano come prima lingua, frequentano scuole italiane e riconoscono l’Italia come il proprio Paese”.

“A questi bambini e ragazzi – che crescono, giocano, sognano e studiano come gli altri – è riconosciuto uno status diverso, in applicazione del principio dello ius sanguinis. Crescono in Italia da stranieri e, nei fatti, finiscono per esser stranieri anche nella patria dei loro genitori. Risulta ad esempio difficile, se non incomprensibile, per uno di questi bambini capire perché non gli siano riconosciute le stesse opportunità dei coetanei, come praticare lo sport a livello agonistico o partecipare alle gite scolastiche all’estero” osserva la Garante. “Una riforma della legge sulla cittadinanza costituisce dunque un passo in avanti per il raggiungimento di un’integrazione effettiva tra tutte le componenti della società. La cittadinanza conferisce infatti senso di appartenenza a una comunità e tale sentimento va coltivato e valorizzato”.

Nel 2019 l’Autorità garante ha pubblicato uno studio intitolato L’inclusione e la partecipazione delle nuove generazioni di origine immigrata. Focus sulla condizione femminile che contiene le raccomandazioni dell’Autorità in argomento.

www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwin2O2g6p7oAhU4zMQBHSeNCCUQFjAAegQIBBAB&url=https%3A%2F%2Fwww.garanteinfanzia.org%2Fsites%2Fdefault%2Ffiles%2Fnuove-generazioni-origine-immigrata-focus-condizione-femminile.pdf&usg=AOvVaw2H7RHR5DpWSmtpB5kFJHap

L’inclusione e la partecipazione delle nuove generazioni di origine immigrata. Focus sulla condizione femminile.

AGIA  28 febbraio 2020

www.garanteinfanzia.org/news/lautorita-garante-si-cittadinanza-minorenni-nuova-generazione

Parere alla I Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati sui disegni di legge n. 105, 920 e 717 (cittadinanza)

Al Presidente della I Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati

Egregio Presidente,                  desidero innanzitutto ringraziare per l’opportunità offertami di esprimere il parere ai sensi dell’art. 3, legge 12 luglio 2011, n. 112 in merito alle proposte di legge n. 105, 920 e 717 recante Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91 in materia di cittadinanza, attualmente sottoposte all’esame della Commissione da Lei presieduta.

Questa Autorità garante è stata istituita con la finalità di promuovere la cultura dell’infanzia e dell’adolescenza e di assicurare la piena attuazione e la tutela dei diritti e degli interessi delle persone di minore età, in conformità con quanto previsto dalle convenzioni internazionali, ed in particolare la Convenzione ONU, approvata a New York il 20 novembre 1989 (a seguire Convenzione ONU).

La Convenzione ONU sottolinea all’art. 2 il principio di pari opportunità riconosciuto alle persone di minore età a prescindere da ogni considerazione e all’art. 3 il principio del superiore interesse del minore, criterio guida di tutte le scelte che lo riguardano.

Recentemente su questo tema, il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nelle Osservazioni conclusive al V e al VI rapporto periodico rivolte all’Italia nel 2019 ha raccomandato di garantire piena protezione contro tutte le forme di discriminazione mediante il potenziamento di attività preventive e, se necessario, l’esecuzione di azioni positive a beneficio dei minori e in particolare dei minori in situazioni svantaggiate e di emarginazione.

Oggi in Italia un minorenne su dieci ha genitori di origini immigrate. Secondo i dati Istat, aggiornati al 1° gennaio 2018, in Italia gli under 18 con genitori di origine immigrata sono 1.041.177 su un totale di popolazione minorile di 9.806.357 ragazzi. Dal 1993 al 2014, sempre secondo l’Istat, sono nati nel nostro Paese quasi 971 mila bambini da genitori stranieri; si tratta di quasi il 15% delle nascite complessive, con marcate sperequazioni territoriali: si va da punte superiori al 20% nelle regioni settentrionali a un 5% nel Mezzogiorno e nelle Isole.

Fino a qualche anno fa, la maggioranza di questi bambini e ragazzi era nata all’estero e poi ricongiunta. Oggi invece la grande maggioranza è nata in Italia: oltre 7 su 10. Nell’anno scolastico 2016-2017, secondo i dati del Ministero dell’istruzione, la parte più ampia degli studenti stranieri si concentra nella scuola primaria con 302.122 alunni stranieri, seguita dalla scuola secondaria di II grado con 191.663 studenti stranieri e, con una presenza ancor più contenuta, dalla scuola secondaria di I grado con 167.486 allievi stranieri. È nato in Italia il 30,4% degli studenti stranieri delle scuole secondarie di I e II grado; il 23,5% è arrivato prima dei 6 anni, il 26,2% è entrato in Italia tra i 6 e i 10 anni e il 19,9% è arrivato a 11 anni e più.

In particolare, nella scuola secondaria di I grado, oltre il 43% dei ragazzi stranieri è nato in Italia e poco più dell’11% è entrato a 11 anni e più, mentre in quella di II grado la percentuale di nativi scende al 18% e la quota di ragazzi stranieri entrati tra 6 e 10 anni arriva al 30%. Quasi il 25% dei ragazzi nati in Italia parla in famiglia una lingua diversa dall’italiano, il 24% parla solo italiano mentre gli altri parlano entrambe le lingue. Tra i nati in Italia o arrivati in età prescolare la quota di coloro che dichiarano di pensare in italiano è del 75%. Per i ragazzi arrivati nel nostro Paese tra i 6 e i 10 anni, la quota si riduce al 62% e scende al 36% per quelli giunti a 11 anni o più.

Si tratta di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, nati in Italia o arrivati nel nostro Paese quando erano piccoli: sono cresciuti qui, parlano in italiano come prima lingua, frequentano scuole italiane e riconoscono l’Italia come il proprio Paese. Oggi ai bambini e ragazzi che crescono, giocano, sognano e studiano insieme, che frequentano gli stessi luoghi, che sono seguiti dagli stessi insegnanti, è riconosciuto uno status diverso a seconda delle origini dei genitori, in risposta al principio dello ius sanguinis. Essi crescono in Italia da stranieri e, nei fatti, finiscono per essere stranieri anche nella patria dei loro genitori.

In attuazione dei diritti sanciti dalla Convenzione ONU e, in particolare, del diritto alla non discriminazione (art. 2) e all’ascolto (art. 12), l’Autorità garante nel corso del 2018 ha ascoltato la voce dei ragazzi di nuova generazione di origine immigrata per comprendere meglio la realtà della loro inclusione. Per fare ciò si è avvalsa di un gruppo di lavoro attivato nell’ambito della Consulta delle associazioni e delle organizzazioni preposte alla promozione e alla tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, organismo permanente di consultazione dell’Autorità.

Il gruppo ha esplorato il livello di soddisfazione dei ragazzi di nuova generazione rispetto all’inserimento, più o meno positivo, in una società con caratteristiche assolutamente diverse da quelle dei Paesi di provenienza dei propri genitori. Ne ha compreso i bisogni e le problematicità potenzialmente insite non solo nella differenza culturale, ma nella differenza di genere e nella faticosa comunicazione con genitori i cui stili educativi sono talvolta diversi rispetto a quelli dei genitori dei coetanei italiani. L’obiettivo finale è stato quello di formulare suggerimenti e raccomandazioni tesi a stimolare la riflessione da parte di tutte le agenzie di socializzazione che si confrontano con le persone straniere di minore età (scuole, servizi socio-sanitari, forze politiche, mondo della giustizia).

All’esito è stato quindi elaborato un documento di studio e proposta “L’inclusione e la partecipazione delle nuove generazioni di origine immigrata. Focus sulla condizione femminile” (allegato alla presente) che contiene anche le raccomandazioni alle istituzioni competenti, quali per esempio la sensibilizzazione del personale che entra in contatto con bambini e ragazzi di nuova generazione sulle loro specificità culturali, in particolare a scuola; la presenza di mediatori linguistici e culturali ai colloqui dei genitori con gli insegnanti.

Sulle proposte di legge. Nell’attuale contesto storico una riforma della legge sulla cittadinanza, che ne faciliti l’acquisizione per i minorenni di origine straniera nati o cresciuti in Italia, costituisce una necessità per il raggiungimento di un’integrazione effettiva fra tutte le componenti della società. Le nuove generazioni di origine immigrata si trovano all’incrocio di due mondi: quello della famiglia e quello della società. Si tratta di un milione di under 18, equamente ripartiti tra maschi e femmine. Certamente oggi rappresentano una realtà in evoluzione e crescita nel nostro Paese, una risorsa, che può essere messa a frutto garantendo loro l’inclusione e la partecipazione nella comunità in cui vivono e di cui fanno parte.

Risulta difficile, se non incomprensibile, per un bambino o una bambina, nati e cresciuti in Italia, capire il perché di un loro diverso trattamento che non riconosca loro le stesse opportunità dei loro coetanei, come per esempio la pratica di sport a livello agonistico, la partecipazione a gite scolastiche all’estero. Si esprime quindi parere favorevole sulla proposta di introdurre il cosiddetto ius soli temperato per i minorenni nati in Italia da un genitore non cittadino ma regolarmente presente sul territorio dello Stato da un certo numero di anni, che potranno diventare cittadini su istanza di un genitore o da chi eserciti la responsabilità genitoriale.

Si esprime parimenti giudizio positivo sul riconoscimento del cosiddetto ius culturæ, ovvero sulla possibilità di acquisire la cittadinanza anche per i minorenni figli di cittadini di stranieri che, sebbene non siano nati in Italia, siano comunque entrati nel Paese in tenera età e vi abbiano regolarmente soggiornato fino alla maggiore età oppure vi abbiano seguito un regolare percorso di istruzione e/o formazione professionale per un determinato numero di anni.

In vista dell’espressione del presente parere, questa Autorità garante ha ascoltato sul tema la Consulta delle ragazze e dei ragazzi, organo di consultazione, composto da ragazzi di età compresa tra i 15 e i 17 anni.

La Consulta ha ritenuto auspicabile l’introduzione di norme che favoriscano la concessione della cittadinanza italiana alle persone di minore età, anche tenendo conto del completamento di un ciclo di studi nel sistema educativo italiano. I ragazzi si sono mostrati sensibili al tema riferendo di esperienze di compagni di scuola che, per non essere in possesso della cittadinanza italiana, sono stati esclusi dalla partecipazione a gite scolastiche e a campionati sportivi italiani. Hanno discusso della necessità di applicare il principio di pari opportunità sancito dall’art. 2 della Convenzione ONU a tutti i bambini e ragazzi presenti sul territorio.

Conclusioni. Le proposte di modifica della attuale legge in materia di cittadinanza, la legge n. 91 del 1992, rappresentano un passo importante sul piano dell’integrazione e sono diretta espressione del principio di uguaglianza di bambini e adolescenti sancito dalla Convenzione ONU.

La cittadinanza conferisce senso di appartenenza ad una comunità, allo Stato-Nazione e incarna un sentimento alto, un sentire comune. Il sentimento di appartenenza delle nuove generazioni verso l’Italia va coltivato e valorizzato. I bambini e i ragazzi delle nuove generazioni di origine immigrata sono bambini e ragazzi per i quali i diritti della Convenzione di New York valgono come per tutti i loro coetanei.

Cordiali saluti                                      Filomena Albano       AGIA

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/parere-proposte-legge-cittadinanza.pdf

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CARTA DI SOGGIORNO

Rilascio della carta per congiunti della UE a padre di minore nato da relazione more uxorio

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 3876, 17 febbraio 2020

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17508761/presupposti-del-riconoscimento-del-titolo-di-soggiorno-per-motivi-di-coesione-fa.html

La Corte d’Appello di Genova rigettava la richiesta di rilascio della carta di soggiorno per congiunti di cittadini della UE avanzata da un cittadino dell’Ecuador, padre di un minore nato in Italia da una relazione more uxorio da madre cittadina dell’Unione Europea, regolarmente residente in Italia.

Avverso la pronuncia della Corte d’Appello il richiedente la carta di soggiorno propone ricorso in Cassazione lamentando sia la violazione degli artt. 2, 3, 7 e 14 del d.lgs. n. 30/2007, e artt. 5, comma 5, 28 e 30 T.U.I., anche in relazione all’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, sia l’omesso esame dei fatti decisivi rappresentati dal diritto di soggiorno illimitato della madre e del figlio minore, dovendo ritenersi illogico non assicurare al padre, non cittadino dell’Unione Europea, il diritto di continuare a risiedere nel territorio nazionale insieme la figlio.

La Cassazione, ritenendo fondato il motivo di ricorso, afferma il seguente principio di diritto: “in materia di riconoscimento del titolo di soggiorno per motivi di coesione familiare, ai sensi del d.lgs. n. 30 del 2007, artt. 2, 3 e 10, ai fini del rilascio della carta di soggiorno ad un genitore, non appartenente all’Unione Europea, di minore, cittadino dell’Unione, e convivente con cittadina dell’Unione, pur costituendo un presupposto la convivenza tra familiare non appartenente all’UE e la cittadina dell’Unione, residente in Italia, non trattandosi di coniugi, la relazione stabile di fatto tra il partner richiedente la carta ed il cittadino dell’Unione “debitamente attestata” con “documentazioni ufficiale”, ai sensi dell’art. 3, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 30/2007, nel testo introdotto dalla legge europea n. 97/2013, può essere documentata non esclusivamente attraverso gli strumenti previsti dalla legge n. 76/2016, in materia di unioni civili, nella specie inoperanti, attesa l’epoca di presentazione dell’istanza, e quindi vagliando anche l’atto di nascita del minore o altra documentazione idonea”.

Dunque, i Giudici accolgono il motivo di ricorso e cassano la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Genova.

Redazione Scientifica il familiarista  26 febbraio 2020

ilfamiliarista.it/articoli/news/rilascio-della-carta-di-soggiorno-congiunti-della-ue-padre-di-minore-nato-da-relazione

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 8, 26 febbraio 2020

Il coronavirus. Una sfida per la società e per ogni persona. Riteniamo doveroso tenere insieme “normalità” e “eccezionalità”, in questo momento di grande preoccupazione per la salute di tutti e di ciascuno, Per questo inviamo una edizione “normale” della Newsletter, compresa la sezione sul “Save the Date”, anche se molti degli eventi indicati (o forse tutti) potranno risultare cancellati. Ma ci teniamo a segnalare “l’eccezionalità” del momento presente, che chiede all’intero Paese (al mondo, in effetti) e a ciascuno di noi un sussulto di responsabilità e di senso del bene comune. Sarebbe sbagliato aggiungere parole e commenti a quanto oggi già circola sui vari media (spesso a sproposito, ma grazie al cielo in gran parte con un buon senso di responsabilità). Abbiamo però rintracciato in un messaggio del vescovo della diocesi di Pavia Mons. Camillo Sanguineti, alcune riflessioni che ci sentiamo di condividere, perché in ogni circostanza, “nella buona e nella cattiva sorte”, ciascuno di noi possa intravvedere “lo straordinario nel quotidiano”.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf0820_allegato1.pdf

San Valentino 2020 per persone con sindrome di Down. Le parole dell’amore. Anche se con qualche giorno di ritardo sul classico “14 febbraio”, vale sempre la pena di ritornare sulla bellezza dell’esperienza amorosa. “AIPD (Associazione Italiana Persone Down) Nazionale ha dato via al progetto ‘Amore, amicizia, sesso: parliamone adesso’, che si pone proprio l’obiettivo di dar vita a un intervento educativo per 180 adolescenti, giovani e adulti con sindrome di Down e loro famiglie e 36 operatori di 18 territori. Come? Attraverso incontri di formazione rivolti a operatori locali, percorsi di orientamento per persone con la sindrome di Down e familiari e esperienze di convivenza breve denominate “Star bene insieme”. Concluderanno il progetto un incontro finale sul tema “Siamo uomini e donne” e un percorso formativo sull’uso consapevole dei social network”.

www.anffas.net/it/news/13898/aipd-celebra-san-valentino-storie-damore-oltre-la-sindrome-di-down

Alcune coppie della rete AIPD inoltre si sono raccontate, attraverso un “album fotografico” e i loro “pensieri d’amore”, che potete vedere in questo breve video

www.youtube.com/watch?v=olcKOJ6UWYo&feature=youtu.be

Qatar. Child well-being in the gulf countries (Il benessere dei minori nei Paesi del Golfo). Rapporto di ricerca (pubblicato in inglese nel 2018). (This report provides a systematic review of child well-being and programs and policies related to child well-being in the six Gulf countries (i.e., Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Saudi Arabia, and the United Arab Emirates), with special emphasis on the State of Qatar). Il Rapporto offre una rassegna sistematica delle politiche e degli interventi per il benessere dei minori nei sei Paesi del Golfo (Barhein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi), con particolare attenzione al Qatar. Il Rapporto offre in primo luogo una serie di indicatori sul benessere dei minori, su sette ambiti di riferimento […] Segue una rassegna degli interventi e delle politiche a livello nazionale ed internazionale […] vengono quindi individuate le principali sfide e carenze, per poi proporre alcune raccomandazioni di azione.

www.difi.org.qa/publications/child-well-being-in-the-gulf-countries

Tutela dei minori, famiglie vulnerabili e interventi dei servizi. La tutela dei minori è uno dei nodi più drammatici e complessi del nostro sistema di welfare, costantemente sfidato a trovare il giusto punto di equilibrio tra benessere del bambino, ruolo e responsabilità dei genitori naturali, strumenti di sostituzione (temporanea o permanente) da parte della società. Meglio un approccio più specifico, capace di affrontare la complessità degli intrecci relazionali delle mille storie familiari in gioco, come quello proposto nell’ottobre 2019 dal Tavolo nazionale dell’affido nel documento “Cinque principi per rimettere al centro il diritto dei bambini a crescere in famiglia”.

www.tavolonazionaleaffido.it/wp-content/uploads/2019/11/Cinque-principi-per-il-diritto-dei-bambini-a-crescere-in-famiglia.pdf

L’incandescente dibattito attorno ai gravi “fatti di Bibbiano” ha ulteriormente evidenziato la necessità di un pensiero serio e pragmatico, non ideologico, che ci faccia uscire dalle tifoserie e dai pregiudizi. Il dibattito si è riaperto ad esempio in occasione della presentazione da parte della Giunta Regionale del Piemonte, del Disegno di legge Regionale “Allontanamento Zero”: Interventi a sostegno della genitorialità e norme per la prevenzione degli allontanamenti” (novembre 2019)

www.questionegiustizia.it/doc/DDLR–ALLONTANAMENTOZERO-7-11-19.pdf

Molti i punti interessanti del disegno di legge, che tenta di spostare risorse e attenzioni a sostegno delle famiglie di origine, troppo spesso poco accompagnate. Tuttavia l’espressione stessa “Allontanamento Zero” pare prefigurare la eccessiva penalizzazione degli interventi di sostituzione della famiglia, quando necessari. Per un dettagliato approfondimento, vedi le osservazioni a tale proposta, da cinque associazioni del territorio.

www.tavolonazionaleaffido.it/wp-content/uploads/2020/01/2020.Osservazioni-su-ddl-Allontanamento-0-Associazioni-Piemonte-.pdf

Dalle case editrici

  • Christian-M. Steiner, Non sapevate? Verso un sapere coniugale a partire dal Vangelo di Luca, San Paolo, Cinisello B. (MI), 2019, pp. 237. «Non sapevate che è necessario per me essere in ciò che è del Padre mio?» (2,49) è la domanda di un adolescente (Gesù), rimproverato per essersi allontanato dai suoi genitori (Maria e Giuseppe) senza permesso. Il culmine della narrazione dell’infanzia di Gesù ci proietta quindi nel cuore della vita familiare: il confronto-scontro con il figlio adolescente. A prima vista, infatti, appare come una domanda impertinente, degna di un altro rimprovero. Ma se prendessimo sul serio la domanda del Figlio dell’Altissimo fatto adolescente? Se Gesù dodicenne volesse rivelare a Maria, Giuseppe e al lettore un nuovo sapere coniugale e genitoriale? Le pagine di questo libro fanno proprio questo: prendere alla lettera la domanda di Gesù adolescente. E di fatto in questo volume, di grande spessore biblico e teologico, i primi due capitoli di Luca si schiudono come una graduale iniziazione a una consapevolezza familiare pasquale, evidenziando la profonda unione e sinergia tra vita familiare, vita liturgica e storia della salvezza.

Facciamo festival! Festival Biblico 16a edizione. Logos. Parlare pensare agire (dal 6 al 31 maggio 2020). Vicenza, Verona, Padova, Rovigo, Vittorio Veneto (TV), Treviso (FuoriFestival: Alba (CN) dal 27 aprile al 3 maggio 2020).  “Dal 6 al 31 maggio 2020 le città e le province di Vicenza, Verona, Padova, Rovigo, Vittorio Veneto e Treviso – e il FuoriFestival di Alba dal 27 aprile al 3 maggio – declineranno in una serie di appuntamenti e attraverso una molteplicità di modi e linguaggi, muovendo sempre dalla dimensione del testo-messaggio biblico, il tema Parlare Pensare Agire che ha come fondamentale riferimento quello del 12

v  Logos, concetto centrale nell’universo biblico e nella tradizione filosofica e culturale dell’Occidente […] Il tema è, inoltre, in continuità con quello della Polis che ha caratterizzato la scorsa edizione: tutto della vita delle polis e dell’umana convivenza ha, infatti, a che fare con il Logos”           www.festivalbiblico.it

Specializzarsi per la famiglia.

  • Milano. Università Cattolica Del Sacro Cuore. Conduttore di gruppi di parola – percorso formativo 2020-2021. “Il percorso è finalizzato a conoscere le dimensioni psico-sociali delle transizioni familiari critiche con particolare attenzione alla separazione e al divorzio all’interno del paradigma “relazionale-simbolico”; riflettere sulle dinamiche dei gruppi tra pari; approfondire i bisogni dei figli delle famiglie divise tra i 6 e 12 anni, oppure tra i 13 e 17 anni; apprendere la metodologia e le tecniche specifiche per la conduzione del Gruppo di Parola e la loro promozione operativa nel proprio territorio”. Il corso si svilupperà su 9 incontri, tra marzo 2020 e marzo 2021. Iscrizione entro il 13 marzo 2020

https://asag.unicatt.it/asag-corsi-di-perfezionamento-e-alta-formazione-conduttore-di-gruppi-di-parola

  • Firenze. Regime patrimoniale delle famiglie ed effetti economici della crisi di coppia: Nuovi Orientamenti Giurisprudenziali, I Edizione del Corso di Perfezionamento in Diritto di Famiglia e delle Successioni, FIRENZE, 19 marzo – 23 aprile 2020 [5 incontri – vai al programma].

https://aiaf-avvocati.it/files/2020/02/FIRENZE-con-UNIFI-19-marzo-2020.pdf

“Il Corso analizza la giurisprudenza sugli aspetti più controversi del regime patrimoniale delle famiglie e ne indaga i riflessi sulla sistemazione economica della crisi tra coniugi, uniti civilmente e conviventi di fatto che abbiano scelto la comunione legale. Tra essi vi sono: il regime della proprietà e dell’utilizzo delle quote e delle azioni societarie, il rifiuto del co-acquisto, la gestione dei conti correnti bancari cointestati, la disciplina dei rimborsi e delle restituzioni, le dinamiche dell’impresa familiare e l’amministrazione/scioglimento del fondo patrimoniale. […]  Il Corso ha l’obiettivo di fornire o di incrementare le conoscenze necessarie al professionista per affrontare, in modo puntuale, le complesse questioni patrimoniali che interessano le coppie in crisi. Ciò al fine di favorire il raggiungimento di un accordo sugli effetti economici della separazione e dello scioglimento del matrimonio nonché dell’unione civile”. Il Corso ha il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze e si svolge in collaborazione con la Struttura didattica territoriale di Firenze della Scuola Superiore della Magistratura, la Fondazione per la Formazione Forense dell’Ordine egli Avvocati di Firenze, la Camera Civile di Firenze e L’AIAF Toscana. Il Corso è valido ai fini della formazione continua degli avvocati.

Save the date

  • Estero: Harcelement Scolaire (Bullismo a scuola), incontro promosso dall’ ISF (L’institut des Sciences de la Famille) dell’Università Cattolica, di Lione, Lione, 1 aprile 2020.

/www.ucly.fr/l-ucly/agenda/colloque-le-harcelement-scolaire

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/febbraio2020/5161/index.html

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CERTIFICATO MEDICO

Suoi requisiti e le tipologie più diffuse

Il certificato medico è un’attestazione scritta, realizzata per l’appunto da un medico, inerente la condizione di salute o malattia di un soggetto. Tale documento è particolarmente importante in quanto ha carattere medico-legale ed esula da una valutazione strettamente clinica, inserendosi in una dimensione più ampia che coinvolge un ampio spettro di diritti e doveri.

Cos’è il certificato medico? In via più generale, molti Ordini dei Medici, definiscono il certificato medico come “la testimonianza scritta su fatti e comportamenti tecnicamente apprezzabili e valutabili, la cui dimostrazione può produrre affermazione di particolari diritti soggettivi previsti dalla legge, ovvero determinare particolari conseguenze a carico dell’individuo o della collettività aventi rilevanza giuridica e/o amministrativa”.

            Pertanto, si ritiene che il certificato medico possa contenere, non solo, dichiarazioni circa lo stato di salute o di malattia, bensì ogni fatto di natura tecnico-sanitaria che il medico ha potuto riscontrare direttamente nell’esercizio della sua professione (ad esempio, la sottoposizione a vaccinazioni, l’idoneità al lavoro, l’idoneità alla pratica sportiva, la salubrità degli ambienti di lavoro, ecc.).

            L’incentivo alla dematerializzazione che ha coinvolto la Pubblica Amministrazione e ha visto l’introduzione del CAD (Codice della amministrazione Digitale) ha avuto riflessi anche per quanto riguarda i certificati medici in quanto molti di questi, in particolare quelli relativi ai settori previdenziali e assistenziali, sono compilati e inviati in via telematica.

Cosa deve contenere il certificato medico. Nel certificato devono essere riportati alcuni dati essenziali ovvero: le generalità del medico certificatore (nome, cognome, qualifica, recapito, eventuale struttura sanitaria di appartenenza), le generalità del paziente/richiedente, l’oggetto della certificazione (diagnosi o prognosi), il luogo e la data del rilascio, sottoscrizione, timbro e firma del medico.

            L’art. 24 del Codice di Deontologia medica prevede che il medico sia tenuto a rilasciare alla persona assistita certificazioni relative allo stato di salute che attestino in modo puntuale e diligente i dati anamnestici raccolti e/o i rilievi clinici direttamente constatati od oggettivamente documentati.

            Il testo dovrà dunque essere redatto in maniera chiara, precisa, completa e soprattutto attestare fatti rispondenti al vero che il medico ha potuto rilevare personalmente. Il requisito della veridicità tra quanto osservato e quanto asserito non significa certezza assoluta, bensì corrispondenza veritiera, dunque possibile, reale e correlata, riscontrata personalmente dal medico che ne attesta l’esistenza.

            Ovviamente, il medico certifica dati che rientrano nella sua sfera di competenza professionali, senza spingersi in dichiarazioni o affermazioni che riguardano altre sfere di competenze non attinenti la scienza medica.

La responsabilità del medico. Il Codice Deontologico impone al medico di rilasciare i certificati medici ai pazienti, tuttavia, egli potrà rifiutarsi di certificare fatti che non ha personalmente constatato o privi di riscontri oggettivi, nonché quei fatti che sa non corrispondere al vero, oppure quegli attestati che richiedono particolare qualifiche mediche.

            Le condotte del medico saranno rilevanti anche dal punto di vista penale in quanto all’atto della certificazione il medico può operare come pubblico ufficiale o come incaricato di pubblico servizio e, dunque, a seconda della qualifica giuridica che assume nell’atto certificativo, in caso di non veridicità degli atti, il medico certificante incorrerà nei reati che sono elencati negli artt. dal 476 al 484 del codice penale, ovvero le diverse declinazioni dei reati di falsità materiale e falsità ideologica.

            Di norma, si ritiene che il certificato redatto da un pubblico ufficiale ha natura di pubblico atto, mentre la certificazione redatta dal libero professionista ha natura di scrittura privata. In base all’identificazione del certificante (come pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio) varia anche la reazione del Codice Penale.

Tipi di certificato medico. I certificati sono di varia tipologia ed è possibile distinguere tra obbligatori e facoltativi, non in base all’obbligo del medico di rilasciarli, bensì in relazione alle esigenze dei richiedenti.

I certificati obbligatori sono tali in quanto il cittadino ne ha bisogno per esercitare un diritto o tutelare un proprio interesse, ad esempio per accedere a determinate prestazioni di sicurezza, assicurazione sociale o a benefici economici. Si tratta, ad esempio, del certificato di vaccinazione o esenzione dalla vaccinazione, del certificato di morte, del certificato di assistenza al parto e così via.

            Altri certificati, invece, sono facoltativi in quanto redatti a richiesta dell’interessato che se ne serve a proprio vantaggio esibendoli ad Enti pubblici e/o a privati. Di fatto sono obbligatori da rilasciare per il medico.

Certificato di malattia.  (…)

Certificato medico sportivo (…)

Il certificato di gravidanza. Il certificato di gravidanza viene utilizzato, a fini legali, per tutta una serie di previsioni, ad esempio per comunicare lo stato di gravidanza, per l’astensione obbligatoria dal lavoro, per l’esenzione dall’uso delle cinture in auto e così via. I medici (ad esempio ginecologo di struttura pubblica o privata) compilano e trasmettono online all’INPS i certificati medici di gravidanza o interruzione attraverso il servizio dedicato. In fase di compilazione, andranno inseriti una serie di dati, ovvero: le generalità della lavoratrice; la settimana di gestazione alla data della visita; la data presunta del parto. Grazie alla trasmissione online del certificato all’INPS a cura del medico, l’interessata non è più tenuta a presentare all’Istituto il certificato di gravidanza o di interruzione della gravidanza in formato cartaceo, assicurando alla lavoratrice in gravidanza e al datore di lavoro la possibilità di consultare il certificato trasmesso mediante il servizio dedicato.

Lucia Izzo                   Studio Cataldi             22 febbraio 2020

www.studiocataldi.it/articoli/37473-certificato-medico.asp

 

{La legge n. 194, 22 maggio 1978 all’art. 5, comma 3 prevede: «Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza».(Questo è propriamente un certificato).

Invece Il comma 4 recita: «Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all’articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate.»

(Questo non è un certificato, ma è un attestato che testimonia gli avvenuti compiti e attività preventivi del medico e della struttura previste dagli artt. 4 e 5.)

Art.4. Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità’ comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975, n. 405, o a una struttura sociosanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.

Art.5. 1°comma. «Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto.»

 Purtroppo il modello D12 dell’ISTAT unifica al suo punto 12 documento e certificazione creando difficoltà ai medici pro-life che svolgono attività di prevenzione dell’ivg ex art. 4 e l’attestano con la controfirma della donna.}        www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1978-05-22;194

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CHIESA CATTOLICA

Il papa della riforma”. I primi sette anni di Francesco

Tra i contributi bibliografici pubblicati in occasione del settimo anniversario dell’elezione al soglio pontificio di papa Francesco (13 marzo 2013), ci preme segnalare Francesco il papa della riforma. La conversione non può lasciare le cose come stanno, volume edito dalle Paoline (2020, pp. 256, 17€), con la prefazione del giornalista vaticanista e saggista Marco Politi. Il libro è di Franco Ferrari, fondatore e animatore dell’Associazione Viandanti (www.viandanti.org), caporedattore del bimestrale dei Saveriani Missione Oggi e del trimestrale della Comunità d’Accoglienza Betania, Shalom. Da lui ci siamo fatti raccontare questi 7 anni di cammino della Chiesa di Francesco.

 Sette anni di Francesco: la ricorrenza offre l’occasione per un bilancio. Secondo te la riforma è più nella proposta di un diverso stile di Chiesa o è più profonda, in riferimento alla Dottrina e alla Tradizione?

Francesco, ha rimesso in cammino la Chiesa sulla via del Concilio, lasciando cadere la discussione su continuità/discontinuità. Oggi «La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento», dichiara Francesco, quando indice il giubileo straordinario della misericordia. L’elemento che il papa argentino ritiene debba essere valorizzato e assunto come modello di Chiesa è il sinodo. Attraverso la sinodalità a tutti i livelli si potrà ridare voce al Popolo di Dio. In questi sette anni di pontificato sono stati convocati quattro sinodi (due sulla famiglia, giovani e Amazzonia), inoltre nel 2018 ne è stata varata una significativa riforma con la Costituzione apostolica Episcopalis communio. Il Sinodo, che dopo cinquant’anni di vita si era ormai ingrigito nella routine, ha assunto un nuovo vigore suscitando grande attenzione attorno ai temi che affronta. È lo strumento scelto da Francesco per il rinnovamento, soprattutto pastorale, della Chiesa. Pur se lentamente qualcosa in questa direzione si sta muovendo anche alla periferia se dobbiamo giudicare dalle convocazioni dei Sinodi tedesco e australiano.

Il discorso è più complesso se ci si riferisce alla Dottrina o alla Tradizione. Qui Francesco avvia processi e lascia che vi sia il tempo per dibattere e maturare senza la fretta di definire le questioni con atti magisteriali che potrebbero risultare inadeguati o prematuri. È quanto è avvenuto con la recentissima Querida Amazonia e prima ancora con Amoris lætitia (cap. VIII).

Quali sono i passaggi principali di quella che nel libro viene chiamata “conversione” della Chiesa?

Individuerei almeno cinque ambiti sui quali il papa insiste in modo particolare.

  1. Il primo è sicuramente la conversione al Vangelo di uomini e strutture. Ogni riforma per essere efficace dice Francesco si attua con «uomini “rinnovati” e non semplicemente con “nuovi” uomini». Le omelie quasi quotidiane di santa Marta non cessano di ricordare a tutta la Chiesa (dai cardinali ai battezzati laici) l’esigenza di un ritorno al Vangelo.
  2. Altro tema importante è la proposta di una pastorale improntata alla misericordia. Dopo la celebrazione del giubileo straordinario (2015) il papa, nella Lettera Misericordia et misera, presenta una sorta di vademecum con il quale chiede di rimodellare tutta la vita della Chiesa, dai sacramenti alla pastorale, nel segno della misericordia.
  3. Un terzo elemento riguarda la dimensione sociale dell’evangelizzazione. Il magistero di Bergoglio pone grande attenzione al cambiamento sociale e del modello di sviluppo. Non basta fare la carità occorre impegnarsi anche per cambiare le cause delle disuguaglianze sociali, della povertà e dello sfruttamento sconsiderato delle risorse della terra. Gli Incontri con i Movimenti popolari, i meeting “The Economy of Francesco” (Assisi, 21 novembre 2020) e per un “Patto educativo globale” (Roma, 11-18 ottobre 2020) sono un esempio di questo impegno.
  4. Ancora, è importante il costante richiamo alla questione dell’inculturazione. Un tema ritenuto fondamentale per l’evangelizzazione futura, che viene ripreso in molti documenti (si veda ultimamente anche Querida Amazonia, nn. 66-90).
  5. Infine, il modello della sinodalità di cui ho già detto e del quale conviene sottolineare il passaggio da una Chiesa che già sa e ha solo bisogno di insegnare ad una Chiesa che ascolta e nella quale ci si ascolta.

Per altri aspetti, invece, si può dire che alcune speranze di cambiamento sono rimaste deluse oppure rinviate. Basti pensare alle reazioni di fronte all’Esortazione Querida Amazonia. Quali secondo te?

Anche se può sembrare fastidiosamente ripetitivo, non si possono non ricordare i duecento anni di ritardo richiamati da Carlo Maria Martini, ai quali ha fatto riferimento anche Francesco nel recente discorso per gli auguri natalizi alla Curia.

I temi che attendono una mise à jour [aggiornare] sono tali e tanti che incutono paura invece che coraggio. Ne cito sinteticamente alcuni:

  • La figura del presbitero (formazione, celibato, ruolo nella comunità e in rapporto alla ministerialità laicale);
  • La posizione della donna (ministerialità, ruoli di responsabilità da rivestire);
  • La riforma degli organi di partecipazione (consigli pastorali, affari economici, sinodi locali) per l’attribuzione di autentica responsabilità ai battezzati- laici;
  • La parrocchia che difficilmente si può ritenere strumento adeguato alla richiesta della conversione missionaria e soprattutto adeguata all’indicazione di essere una «comunità di comunità» (EG, 28);
  • Il confronto con le categorie del pensiero moderno e contemporaneo (qui sta anche la causa delle difficoltà della trasmissione dei contenuti della fede ai giovani).
  • {La riforma del Collegio cardinalizio: nomine ed incarichi ad tempus (con scadenze): i presidenti in carica delle 14 Federazioni delle Conferenze episcopali; quelli degli ordine episcopale, ordine presbiterale e ordine diaconale (questi laici) nominati dal papa con scadenza decennali e revocabili anche prima.
  • La nomina dei Vescovi, con forme di consultazione (consiglio pastorale diocesano, i vescovi del Consiglio episcopale regionali, alcuni laici;  il redattore negli anni subito dopo il Concilio (papa Paolo VI)  fu interpellato con vincolo del segreto per la nomina di 3 sacerdoti diocesani. Ndr}

Dobbiamo perciò considerare che l’esigenza di riforme investe temporalmente non solo questo pontificato, inoltre dobbiamo forse imparare ad avere consuetudine con il fatto che Francesco nella sua azione tiene come centrale il principio dell’avviare processi più che giungere subito a definizioni quando coglie che la complessità delle questioni richiede una maturazione. Insomma un riformismo che punta sul tempo lungo.

Nel libro parli anche degli oppositori di Francesco. Non credi che il partito della conservazione e della tradizione possa riscuotere consensi tra numerosi fedeli, anche in virtù dell'”alleanza” tra destra cattolica e destre sovraniste?

Il clima, indubbiamente, sembra essere quello di una saldatura tra destra ecclesiale e destra politica. In particolare negli Stati Uniti, ne è un esempio l’operazione “Berrette Rosse”.

 [www.terredamerica.com/2018/10/03/pagelle-ai-cardinali-un-sedicente-gruppo-per-un-migliore-governo-della-chiesa-di-origine-statunitense-finanziera-il-progetto-red-hat-report-per-riunire-informazioni-sui-porporati/].

Restando ancorato a dati certi che riguardano il dibattito interno alla Chiesa credo che si debba prestare attenzione al fatto che, al di là della classificazione conservatori e progressisti, in tutti e quattro i sinodi tenuti fino ad oggi, che non si sono svolti sotto la tutela della Curia e ai quali è stata garantita una reale libertà di confronto, si è manifestata una consistente e trasversale minoranza di vescovi contraria al cambiamento.

Cosa avverrà dopo Francesco? La storia potrebbe ripresentare un percorso involutivo. Che esito prevedi di questa “guerra” di Curia (ma purtroppo anche di popolo)?

Credo che anche per osservatori molto collegati a certi terminali informativi riservati sia difficile rispondere. Farei alcune considerazioni, che possono essere derubricate alla categoria del buon senso. Nelle istituzioni dopo ogni slancio in avanti c’è sempre una sosta o un passo indietro. In un’istituzione come la Chiesa ancor più, ma un’inversione a U come spera dal Vaticano II in poi l’ala conservatrice è difficile se non impossibile. Il Vaticano II pur investito da un fenomeno carsico è ritornato in superficie. Anche un futuro successore di Pietro dovrà fare i conti con il “cambiamento di epoca” e con il fatto che «non siamo più in un regime di cristianità», come ha “svelato” Francesco alla Curia nell’ultimo discorso natalizio. Cioè, per dirla con la favola, il re è nudo e se un futuro pontefice non ne vorrà prendere atto avrà la responsabilità di consegnare la Chiesa ad un museo.

Ancora, Francesco con le diverse nomine di nuovi cardinali ha profondamente modificato la composizione del Collegio cardinalizio. Un cambiamento che, si può prevedere, continuerà con nuove nomine e che renderà difficile ipotecare un futuro Conclave. Infine, per i credenti c’è una variabile che si dimentica facilmente, è la variabile Spirito Santo che si manifesta in tutta la vita della Chiesa e anche nel Conclave.

Intervista a Franco Ferrari di Giampaolo Petrucci  “Adista”Segni Nuovi – n. 8, 29 febbraio 2020

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202002/200229ferraripetrucci.pdf

 

 

Bogdan Solomenco, ritratto a matita di papa Francesco di (2013)

 

Querida Amazonia: troppe critiche!

Cari amici di cui solitamente condivido lo spirito critico, anch’io vorrei la cancellazione formale di articoli interni al Catechismo della Chiesa Cattolica o al Codice di Diritto canonico. Tuttavia non mi sfuggono le manovre dell’ala conservatrice vaticana che ha dichiarato guerra al “papa eretico“. Se controllate sui siti web è abbastanza impressionante la serie di dichiarazioni e interventi che alimentano il conservatorismo dei cattolici abituati alla pratica tradizionale che, come vanno in pellegrinaggio da padre Pio, così ascoltano Ruini, poi Salvini con o senza rosario. A rincalzo, pezzi della gerarchia reazionaria ogni tanto mandano messaggi intimidatori: il cardinal Sarah, proprio in vista del Sinodo amazzonico, ha inviato l’ultimo intervento minatorio sostenendo il legame ontologico che vincolerebbe il sacramento dell’ordine al celibato, come se citare l’ontologia a questo proposito non fosse uno svarione filosofico e teologico strumentale e imperdonabile.

            Vi rammaricate perché le richieste del Sinodo amazzonico (ricorso ai presbiteri sposati, estensione del diaconato, presbiterato femminile) sono state “respinte”. Ho letto da cima a fondo l’esortazione, note comprese (interessanti perché sono citati poeti e intellettuali come Eduardo Galeano, Pablo Neruda, Vargas Llosas che i fondamentalisti non hanno mai letto e se li leggessero sarebbero occasione di anatema); ma le richieste votate dalla cattolicità amazzonica non sono nemmeno nominate. Secondo me non conviene far pronunciare uno che non si pronuncia. Noi laici possiamo denunciare l’assurdo di un sacramento che esclude la libertà a causa di una sessuofobia storica che non ha mai impedito gli “scandali”, pedofilia compresa, mentre mette in contraddizione l’ordine e il matrimonio che sarebbero santificanti solo perché contra sextum. Purtroppo all’orizzonte clericale non si vede apparire nessuna “sardina coraggiosa” che si faccia portavoce di una posizione critica a proposito dell’amore – che è certamente dono di Dio – negato a priori al clero che sarebbe contento di mantenere il celibato se lo potesse esercitare nella libertà dei figli di Dio. Come autrice di un libro un po’ femminista contro il celibato, mi sono sempre domandata perché un presbitero preferisca andare dal vescovo a chiedere la dispensa piuttosto che scrivere un documento teologico e coinvolgere tanti colleghi più o meno autorevoli a sostenerlo.

            Ma, per chiarire il mio convincimento, aggiungo qualche citazione dall’Esortazione per dimostrare che Francesco ha usato il fioretto gesuitico tenendo l’occhio sulla clava dei suoi avversari che, amabilmente mantenendo l’obbedienza al santo soglio, gli suggeriscono che cosa non deve fare. Infatti già con il titolo (Querida Amazonia) le suore comboniane sottolineano l’importanza di aver abbandonato il latino; ma subito dice: «Voglio presentare ufficialmente quel documento… a cui hanno collaborato tante persone che conoscono meglio di me e della Curia romana la problematica dell’Amazzonia»; tuttavia, subito dopo aggiunge, un po’ stranamente «Ho preferito non citare tale Documento in questa Esortazione, perché invito a leggerlo integralmente… Dio voglia che tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare da questo lavoro, che i pastori, i consacrati, le consacrate e i fedeli laici dell’Amazzonia si impegnino nella sua applicazione». Poi racconta i suoi sogni: il papa conferma di sognare cose fattibili, senza dire chi o che cosa glielo impedisce e senza chiedere esplicitamente aiuto al popolo di Dio di aiutarlo: «Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa. Sogno un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana. Sogno un’Amazzonia che custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna, la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste. Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici».

            Soprattutto nell’ultimo sogno non sembra che ci siano esclusioni a verifiche sulle vie che lo Spirito può scegliere per confermare i doni dei nuovi volti se l’Amazzonia procederà sul cammino sinodale che non viene bloccato e dovrà andare avanti.

            Poi l’esortazione si diffonde sulle tematiche che conosciamo bene e che da sette anni Eugenio Scalfari devotamente trascrive su Repubblica: arriva alla storia dei popoli indigeni, delle loro vicissitudini, fatte di dominazione, stragi, devastazioni per arrivare specificamente all’attualità del cattolicesimo locale Occorre far sì che la ministerialità si configuri in modo tale da essere al servizio di una maggiore frequenza della celebrazione dell’Eucaristia, anche nelle comunità più remote e nascoste. Ad Aparecida si invitò ad ascoltare il lamento di tante comunità dell’Amazzonia private dell’Eucaristia domenicale per lunghi periodi di tempo.

 

La Basilica di Nostra Signora di Aparecida è il più grande santuario mariano del mondo: è in grado di contenere fino a 45.000 persone ed è anche il quarto santuario più visitato del mondo. Tre papi si sono recati in pellegrinaggio al santuario di Nostra Signora di Aparecida: Giovanni Paolo II, nel luglio 1980, Benedetto XVI, il 12 e 13 maggio 2007, recando al santuario la Rosa d’Oro, e Francesco, il 24 luglio 2013.           

www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130724_gmg-omelia-aparecida.html   

La V Conferenza generale dell’episcopato latino-americano e dei Caraibi, che si è svolta ad Aparecida, in Brasile, dal 13 al 31 maggio 2007, ha prodotto un documento conclusivo che si rivela fondamentale per interpretare lo stile di papa Francesco e il suo sguardo sulla Chiesa. In qualità di arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio guidò i lavori per la redazione del testo. Ne è scaturita un’ampia riflessione ricca di indicazioni pastorali per l’annuncio del vangelo e la comprensione del compito che le comunità cristiane sono invitate a svolgere nel mondo contemporaneo.

https://it.zenit.org/articles/conferenza-di-aparecida-riassunto-del-documento-finale

ww.ilregno.it/documenti/2007/15/aparecida-documento-conclusivo-prima-parte

http://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2007/may/documents/hf_ben-xvi_spe_20070513_conference-aparecida.html

E qui inserisce la figura del presbitero e ribadisce il vincolo celibatario. Ribadendo anche l’importanza del laicato – cita anche le Comunità di base – aggiunge che viene lasciato “spazio alla molteplicità di doni che lo Spirito Santo semina in tutti. Infatti, lì dove c’è una necessità particolare, lo Spirito ha già effuso carismi che permettano di rispondervi. Ciò richiede nella Chiesa una capacità di aprire strade all’audacia dello Spirito, di avere fiducia e concretamente di permettere lo sviluppo di una cultura ecclesiale propria, marcatamente laicale. Le sfide dell’Amazzonia esigono dalla Chiesa uno sforzo speciale per realizzare una presenza capillare che è possibile solo attraverso un incisivo protagonismo dei laici”.

            Non sono persona che si fa illusioni e capisco che sia giustificata l’interpretazione deludente. Ma – forse mi preoccupano troppo le ossessioni dei denigratori – credo che non potesse prendere la spada e dire a Sarah: «Mio caro, all’Amazzonia non sta a cuore l’ontologia ma guarda le sette protestanti – che non piacciono nemmeno ai protestanti italiani – prive di problemi e di diocesi desertificate: i loro ministri sono ammogliati e un padre di famiglia e di testimonianza provata presiede la loro santa cena. Se però tu non puoi uscire dal Tridentino e non riesci a leggere il Vangelo e ad incarnare la Chiesa nel 2020, non puoi impedirmi di sognare i “segni dei tempi” del solo predecessore che non ho nominato nell’Esortazione perché la citazione di Benedetto e Giovanni Paolo II era dedicata a te, inguaribile oppositore del Concilio Vaticano II. Ma sogno anche che il popolo di Dio – che a quei tempi era ancora fragile e non si rese conto che gli veniva scippato dagli stessi curiali che si oppongono a miei interventi il contenuto di verità di un Concilio subito accusato di essere finalmente pastorale e non dogmatico – oggi sia così responsabile da impedire a te e ai tuoi sodali di desertificare il cattolicesimo condizionando i valori cristiani universali e non settari». Per cui, cari amici, sarei del parere di essere meno esigenti e di avere più tempestività nell’iniziativa: se la Chiesa è in uscita, significa che è tra noi. Probabilmente qualcuno di noi è anche sognatore. Ma con un po’ di coraggio potremmo dare una mano.

            Sembra fuori contesto, ma il 28 febbraio 2020 verrà presentata in iniziativa pubblica – presente il presidente del Parlamento europeo, il direttore della Fao, il presidente di Microsoft e di Ibm, oltre a mons. Vincenzo Paglia – la Rome call for AIEthics, la “Carta etica sull’intelligenza artificiale”, necessaria per un uso della scienza a beneficio del mondo. Spero che se ne parli a lungo, ma intendevo solo sottolineare il coraggio di affrontare tempestivamente l’argomento prima che non sia più sottraibile agli interessi di mercato e, peggio, di dominio. Mi ha colpito che l’iniziativa esce dalla Pontificia Accademia per la Vita, che contraddice le iniziative “pro vita” degli integralisti che pregano alle porte delle cliniche ginecologiche.

Giancarla Codrignani                        26 febbraio 2020
www.adista.it/articolo/62997

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CHIESE EVANGELICHE

Albiano d’Ivrea. Una vita di fraternità

La Fraternità di Albiano è una delle espressioni della Cisv (Comunità Impegno Servizio volontariato), associazione fondata nel 1961 da don G. Riva e diventata presto una Ong impegnata nel sud del mondo in progetti di cooperazione in appoggio alle organizzazioni contadine e alla società civile per favorire l’auto-sviluppo delle comunità locali. Accanto all’impegno nel sud del mondo si diede inizio a esperienze di vita comune, nel tentativo di condividere i valori evangelici fondanti delle prime comunità cristiane.

Ben presto la vita comune si arricchisce anticipando la visione del Concilio Vaticano II e proponendo la condivisione di una spiritualità laicale e di comunione, in cui l’ecumenismo e il dialogo interreligioso assumono un significato rilevante nella vita quotidiana. In particolare l’attenzione ai rapporti ecumenici sono sempre stati al centro dell’esperienza Cisv fin dagli incontri tra il suo fondatore e il pastore Enrico Paschetto, impegno coltivato con passione da Federico Munari e dalla sua famiglia fino a rendere possibile, da ormai sei anni, la vita comune con la nostra famiglia.

 Ad Albiano d’Ivrea l’esperienza di fraternità è stata accolta nel 1999 da mons. Luigi Bettazzi, che da molti anni vive con noi. Ogni anno passano molti gruppi giovanili e scout con i quali condividiamo vita e momenti di riflessione; ospitiamo e organizziamo campi per bambini e adulti anche in collaborazione con altre realtà e da più di dieci anni abbiamo scelto di vivere con un gruppo di richiedenti asilo, che attualmente sono sette. Il nostro è uno stile di vita sobrio improntato sull’accoglienza, sulla condivisione di beni, spazi e tempo e sulla condivisione di un cammino di spiritualità comune, tutto questo con un atteggiamento attento e critico rispetto alle tendenze sociali basate sull’individualismo, sul consumismo e sul desiderio di accumulo. La fraternità ha nel Vangelo il proprio fondamento. Nell’ascolto della Parola e nel dialogo quotidiano cerchiamo di portare avanti questo sogno.

La comunità è un laboratorio, continuamente in ridefinizione, viviamo all’interno tutte le fragilità di qualunque altra forma di vita, la sfida è uscirne insieme, valorizzare le differenze, trasformare i conflitti in momenti di crescita, imparare gli uni dagli altri. Questa è una sfida spirituale e politica insieme. Tra i tanti il momento privilegiato per vivere questa sfida è il pasto, cuore della vita comunitaria. Non capita mai che manchi un posto a tavola per qualcuno, l’ospite è sempre atteso e gradito. La preghiera apre il pasto comune, è il nostro modo di ri-conoscerci come fratelli e sorelle, ringraziare per i doni ricevuti, ricordarci che la tavola è un luogo di comunione e non solo di consumo. Si cerca di non dare nulla per scontato. Intorno alla tavola siamo tutti diversi, per genere, per età, per provenienza, per cultura; insieme tentiamo di valorizzare le differenze per crescere insieme.

La sfida della Fraternità resta quella di essere “casa” per quanti vi passano, non ci sono operatori o persone che hanno ruoli educativi su altri, ma semplici fratelli e sorelle con cui fare un tratto di strada. Questa è una delle caratteristiche che più ci contraddistingue. Il sogno è che chi passa di qui possa portarsi dietro un’esperienza di accoglienza autentica da vivere a sua volta nei confronti di altri. La fraternità è uno spazio aperto a chiunque lo desideri. Si può partecipare agli incontri di preghiera settimanali, si può condividere qualche attività o semplicemente venirci a trovare. La natura in cui siamo immersi aiuta a gettare sguardi di meraviglia e di stupore su tutti e tutto ciò che ci circonda. I tanti ragazzi e ragazze che frequentano questo luogo, i loro sorrisi, i sogni condivisi, le riflessioni fatte con amici e ospiti

https://www.finesettimana.org/ Francesca Giaccone

“Riforma”, settimanale delle chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi   28 febbraio 2020

pmwiki/uploads/RaSt202002/200225giaccone.pdf

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CITAZIONI

Gesù non parla di famiglia, e nemmeno di matrimonio

Ai vescovi presenti in sala al Congresso di Verona (marzo 2019) sulla famiglia, ricordiamo che Gesù non ha mai trattato il tema della famiglia, che il suo messaggio e i suoi costumi abituali (ethos) sono a familiari, sino al micidiale «Chi non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle… non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). Come mai allora tanta insistenza sulla famiglia?

            Agli episcopi ci permettiamo di spiegare… il vangelo (Marco 10,6-9 e i due passi della Genesi che Gesù ivi cita). Non ci interessa l’introduzione (2-5 sul ripudio) poiché è solo un mezzo redazionale molto dotto per introdurre la citazione della Genesi, una costruzione letteraria raffinata in polemica col giudaismo farisaico. Tale disputa colta è un prodotto della Chiesa primitiva. Essa infatti segue lo schema classico dei dialoghi didattici, nei quali viene posta una domanda al maestro (v. 2: «è lecito ripudiare la moglie?»), alla quale egli replica di regola con un’altra (contro)domanda (v. 3: «cosa vi ha ordinato Mosè?»); e solo dopo la risposta a quest’ultima, il maestro trae le conclusioni, esattamente come nel successivo racconto del (cosiddetto giovane) ricco. La «durezza di cuore» è un escamotage ben studiato per salvare capra e cavoli: da una parte modificare la normativa mosaica (cosa indigesta per un giudeo-cristiano) e dall’altra giustificare Mosè per la sua concessione.

            Poi, dopo la citazione di Gesù, in Marco 10,10-12 la scena prosegue rientrando a casa, con ulteriori delucidazioni sul ripudio, che sono anch’esse una creazione della chiesa antica con la tipica tecnica della spiegazione in separata sede (come dopo la parabola del seminatore in Mc 4,14-20, la cui interpretazione in termini allegorici non è di Gesù). Con tale sandwich la trappola è scattata: anche le parole centrali di Gesù (il succo prelibato all’interno del tramezzino) sono state intese in senso matrimoniale; ma così non è.

La spinta della carne (basar). Gesù cita sbrigativamente Gen 1,27: parecchi non traducono zakar uneqabah con «maschio e femmina», bensì con «maschile e femminile li creò» (in ciò confortati anche dalla traduzione dei LXX, arsen kai thêlu, sia qui che in 5,2; il che non è poco). A Dio «non interessa progettare i sessi, da cui sarà costituita biologicamente la specie umana, ma indicare i caratteri psicologici e morali che solitamente vengono attribuiti a ciascun sesso… caratteri che dovranno essere propri a ciascun individuo, sia esso maschio o femmina» [«chi vuol capire capisca» (Mc 4,9), secondo la variante aggiuntiva del manoscritto veronese a due passi dal mega-raduno euganeo, un network ultra-cattolico che demonizza l’omosessualità e la cura della disforia di genere nel 3% degli adolescenti; cfr le due endocrinologhe sulla «Stampa» del 10 aprile 2019].

            Carlo Enzo (biblista e filosofo) scrive inoltre: «Dico “creazione”, ma dovrei dire “progetto”; infatti la voce verbale bara’ non significa, come si crede comunemente, inventare una cosa nuova e farla, ma soltanto pensarla e progettarla». Di conseguenza si potrebbe anche tradurre l’intero versetto 27 «Dio progettò l’Uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo architettò, maschile e femminile li pensò».

            Ai prelati, cattolici e ortodossi, di Verona ricordiamo che dono di Dio è l’essere maschio-femmina o maschile-femminile, mentre invece le acquisizioni socio-culturali, comprese le istituzioni tra cui il matrimonio, sono opera umana, non un dono di Dio [così Claus Westermann, biblista]; il suo dono unitivo è l’essere maschi e femmine che sboccerà (il secondo passo della Genesi citato da Gesù) nell’amore uomo-donna. Infatti Genesi 2,24 suona: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna, e saranno basar ‘hd (in ebraico, ed eis sarka mian in greco)». Balza agli occhi l’aspetto dinamico e progressivo reso da Westermann in tedesco sempre con «zu einem Fleisch» [«verso (ad) una carne», senza il «sola»; la preposizione zu + il dativo, che corrisponde all’eis + l’accusativo dei LXX].

            Parafrasando la p. 318 di Westermann, anzitutto i due verbi «lascerà e si unirà» non possono essere intesi come una descrizione di strutture istituzionali matrimoniali: il matrimonio è fuori quadro, coi suoi elementi familiari e socio-economici insiti nella sua stipulazione, determinata dal pesante intervento dei genitori. Questo passo non coincide con la concezione dei rapporti familiari patriarcali dell’antico Israele, nel quale col matrimonio è più la donna che l’uomo a staccarsi dalla propria famiglia (come da noi sino a non molto tempo fa); perciò, se qui si trattasse di matrimonio, sarebbe più la donna a lasciare i genitori. Rammentiamo ai vescovi di Verona che forse il matrimonio sta sullo sfondo, ma come parallelismo di contrasto: «a differenza delle istituzioni vigenti, e in parte persino in opposizione ad esse, si fa leva sull’elementare forza dell’amore fra uomo e donna», che provengono da famiglie diverse e forse si erano a malapena conosciuti. «Qui non si parla del matrimonio come istituzione per la prosecuzione della specie, bensì della comunione di uomo e donna in quanto tale». Qui tira l’aria del Cantico dei cantici, in cui i due si sono scelti (esulando dalle nozze combinate o forzate) per un’unità spirituale; «qui si tratta della più onnicomprensiva delle comunioni personali. L’uomo appartiene ora alla sua donna, cioè entra in una solida comunione di vita con lei in forza dell’amore per lei».

Ciò che Dio unisce è l’attrazione amorosa. Il «zu einem Fleisch» (verso, ad una carne) indica un processo assolutamente personale di affetto, attaccamento, attrazione, che prescinde dalla posizione-collocazione sociale. L’uomo, per amore della donna, lascia persino il padre e la madre, allentando dunque i fortissimi legami corporei e psichici. Rammentiamo ai prelati veronesi il fatto sorprendente e straordinario che qui sia la pulsione basilare della reciproca attrazione a essere data e fondata sull’essere-creati, e non primariamente la procreazione e neppure l’istituzione del matrimonio come tale. È un dato creaturale, progettuale e benedicente di origine divina, che fa certo riferimento a un nucleo domestico (quindi, modernamente parlando, pure alle convivenze), ma non al matrimonio coi suoi vincoli. Perciò, in relazione alla (passata) durezza delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti delle convivenze [ma non dell’Amoris lætitia e nelle esperienze di convivenza accolte in sede pastorale negli incontri di coppie], varrebbe invece l’opposto: semmai è la convivenza che fa parte del progetto di Dio, ma non (direttamente) il matrimonio.

            Gesù, nel citare Genesi 2,24, “si permette” un’omissione vistosa: dopo «l’Uomo [anthropos, sia uomo che donna] lascerà suo padre e sua madre», non c’è «e si unirà alla sua donna» (che fra l’altro in Marco striderebbe col suo soggetto anthropos, genere umano; cosa di cui non si sono resi conto i copisti posteriori quando l’hanno aggiunta). Il che rende ancor più chiaro che nel vangelo non si parla di marito e moglie. «E si unirà alla sua donna» è scartata da tutte le edizioni critiche perché manca nei codici più antichi e autorevoli come il Sinaitico e il Vaticano, comprese le versioni della Cei del secolo scorso; ma «e si unirà a sua moglie (sic)» è ricomparsa nella versione del 2008 [c’è una manina anche alla Cei?], e pure nell’ultima versione (2018) delle Edizioni Paoline. Il testo ebraico e il testo di Marco concordano: non c’entra, o è molto secondaria, la prospettiva del matrimonio e della prole. Il punto di vista di Gesù è extra-matrimoniale. Questo ricordiamo ai prelati cattolici e ortodossi del network veronese, come pure che la conclusione: «Dunque ciò che Dio ha unito, l’uomo non separi» è un ammonimento sapienziale, non un dogma: e comunque l’accento non è posto sulla rottura di un contratto. D’altronde come potrebbe esserci una legge “non negoziabile” nell’unico vangelo in cui non ricorre mai la parola “legge” (nomos)!

Il Gesù di Marco interpreta correttamente le parole della Genesi senza far riferimento al matrimonio e a un suo presunto vincolo (considerato) indissolubile. Quindi la suddetta massima conclusiva di valore esortativo, opportunamente introdotta da oun (dunque), intende preservare il più possibile l’unione amorosa dell’uomo e della donna, e farla crescere verso una carne. L’uomo non deve interferire, ostacolare, interrompere o distruggere tale relazione d’amore, fondata nella Genesi ed elemento costitutivo del progetto creativo divino: questo è quel che Dio ha congiunto e continua a riunire.

La vita costruisce la relazione di coppia. Se quindi ciò che Dio unisce è la relazione d’amore verso una carne, le alte sfere gerarchiche [non mi riferisco a Papa Francesco, semmai ai suoi “oppositori” presenti a Verona] non dovrebbero interferire nei rapporti di coppia, poiché le eventuali accuse nei confronti dei conviventi e dei risposati andrebbero contro l’ammonimento di Gesù: ossia in un senso diametralmente opposto alla dottrina tradizionale, per la quale quel che Dio ha unito sarebbe il matrimonio “rato e consumato”, e non tanto il rapporto d’amore. Ma anche noi «siamo chiesa» come quella di Marco, e possiamo esprimerci: colpevolizzare ed escludere l’amore dei risposati andrebbe contro l’ammonimento sapienziale di Gesù, anziché applicarlo! Siamo consapevoli del significato di questo rovesciamento a cui ci ha portato il metodo storico-critico; non c’è da salvaguardare un vincolo di indissolubilità, bensì da salvare l’amore dell’uomo e della donna, compreso ovviamente quello del primo matrimonio (senza derive divorziste all’americana). Secondo le belle parole di Eduard Schweizer (Il Vangelo di Marco, Collana «Nuovo Testamento», Paideia-Brescia 1971, p. 217) «Non si può chiedere: che cos’è proibito dalla legge, e dove c’è per me un luogo di scampo dalla legge? Invece di porre questo dilemma, Gesù dirige gli sguardi dei suoi ascoltatori al dono del Creatore ed esorta a viverne. In questa libertà dalle considerazioni esclusivamente legali, che è dono di Dio, si realizza dunque il fine della creazione».

Dalla nostra indagine biblica possiamo quindi arguire che Dio oggi congiunga anche le convivenze, nonché i secondi amori, con o senza matrimonio. Occorre trovare una soluzione pastorale per i divorziati risposati: l’attuale prassi, che prevede la riammissione all’Eucarestia solo nel caso essi vivano come fratello e sorella, è in palese contraddizione col forte slancio verso una carne unanime (basar ‘hd, in carnem unam nella «Nova Vulgata» del 1998).

Mauro Pedrazzoli                  Il foglio (Torino) n. 462

www.ilfoglio.info/default.asp?id=17&ACT=5&content=782&mnu=17

 

L’inferno esiste?

Rispetto a sessant’anni fa, mi sembra di vivere in un altro pianeta. Allora, si credeva ancora all’inferno e ogni tanto i preti ne parlavano in tono minaccioso. E ora? Ufficialmente, la dottrina rimane valida. Su Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) leggiamo: «Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, “il fuoco eterno”». In nota, un elenco di fonti autorevolissime: Sinodo di Costantinopoli, Concilio Lateranense IV, Concilio di Lione II, Benedetto XII, Cost. Benedictus Deus, Concilio di Firenze, Concilio di Trento, Paolo VI Credo del popolo di Dio.

Ero all’inferno e mi avete soccorso. In questi ultimi mesi, mi sono riletto la Divina Commedia. Certo, non è precisamente un “Catechismo”, non è una dichiarazione dogmatica formulata da un Papa o da un Concilio. È un poema meraviglioso, scritto in un linguaggio poetico, dalle forti tinte. Per comprenderlo occorre calarci nella civiltà medievale in cui Dante ha vissuto, lottato, sofferto. Ma, tenuto conto del contesto storico e culturale e della complessa figura dell’autore, la visione dell’aldilà dantesco risulta vicina a quella che era la dottrina dominante, fino a pochi decenni fa.

Confesso che la mia prima impressione, da lettore del Terzo Millennio, è stata di una «immensa pietà» e un forte desiderio di «soccorrere i dannati». E’ vero, Dante mostra interesse e un po’ di pietà nei confronti di alcuni personaggi incontrati nei gironi infernali, come Francesca, Farinata, Brunetto Latini, Ulisse, Ugolino. I brani che li concernono sono quelli che a suo tempo avevo dovuto imparare a memoria. Ma mi hanno emotivamente colpito soprattutto le descrizioni di quei dannati che Dante non giudicava degni di pietà.

            Gli iracondi si percuotono tra di loro «troncandosi coi denti a brano a brano». Viene da dire: «Uscite dalla palude, fate pace tra di voi». E in fondo allo Stige sono completamente immersi i cosiddetti accidiosi, che si “attristano” nel nero fango. Si dovrebbe tirarli su e sottoporli a un’energica cura antidepressiva. Gli eresiarchi, chiusi in una tomba infuocata? «Venite fuori, preghiamo insieme». La selva dei suicidi? «Non fronda verde, ma di color fosco». Invece li festeggeremo insieme in un bosco colorato e profumato, mentre la voce di De Andrè canterà: «Dio di misericordia, il tuo bel Paradiso, l’hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso… l’Inferno esiste solo per chi ne ha paura». E che cosa potremmo dire agli sventurati papi simoniaci, confitti all’ingiù, coi piedi arrosto? «Uscite, il vostro castigo sia l’orrore di avere costruito un “Dio d’oro e d’argento”». E similmente al povero Caifa, crocifisso per l’eternità e calpestato dai colpevoli di ipocrisia: «Il Gesù che avevi condannato è pronto a perdonarti». E, all’orribile vista di Maometto con le budella che pendono tra le gambe e «il tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia» potremmo gridare: «Corriamo in una moschea e invochiamo Allah, Clemente e Misericordioso».

Al fondo dell’Inferno, nel ghiacciato lago Cocito, «eran l’ombre dolenti nella ghiaccia» battendo i denti. «Lo pianto stesso lì pianger non lascia… ché le lacrime prime fanno groppo e sì come visiere di cristallo, riempion sotto il ciglio tutto il coppo» (le lacrime impediscono il pianto, gelando e riempiendo di ghiaccio la cavità dell’occhiaia). Dante promette a un “traditore” di liberare i suoi occhi dal ghiaccio ma non mantiene la parola: «e cortesia fu lui esser villano». I traditori non meritano alcuna “cortesia”! Altrove Dante dovette subire i rimproveri di Virgilio: «Ancor se’ tu degli altri sciocchi? Qui vive la pietà quand’è ben morta», cioè qui è pietoso l’essere spietati. Questa crudele mancanza di pietà fa ricordare il detto sprezzante di Salvini, a proposito del terrorista Battisti: «Dovrà marcire in prigione». Ma il Dio di Gesù è l’opposto di Salvini e del dio di Dante.

Inferno, anni Cinquanta. L’inferno di Dante è senz’altro legato alla visione non solo teologica, ma anche cosmica del mondo medievale. La sua inesauribile fantasia ci ha lasciato un’eredità culturale unica in tutto il mondo. Le sue costruzioni iperboliche sollecitano ancora la nostra sensibilità. Il tutto è dunque da attribuirsi alla visione di un letterato eccezionale? La paura dell’inferno, l’incombente possibilità di una dannazione eterna appartengono al Medio Evo, a un lontanissimo passato?

Negli anni Cinquanta i gesuiti erano soliti imporre agli alunni dei loro collegi tre giorni di Esercizi Spirituali, durante la Quaresima. Molte delle proposte di meditazione e di “conversione” sono finite nel dimenticatoio. Chissà perché sono proprio gli argomenti riguardanti il peccato e l’Inferno gli unici rimasti impressi nella mia memoria. Ad esempio, si immagina un adolescente, gravemente malato, in punto di morte. È cosciente, ma non può parlare. Vorrebbe tanto confessarsi, ma non può. Lo viene a trovare un amico, proprio quello che lo aveva messo sulla cattiva strada. Vorrebbe dirgli: “Pentiti e confessati, tu che puoi ancora parlare”. Ma il ragazzo è in agonia e non può comunicare. Non ricordo la conclusione. Sarà riuscito a evitare la dannazione?

            Altro esempio proposto. L’Inferno è come uno che sta per affogare, annaspa, annaspa, finalmente vede qualcosa che galleggia. Vi si aggrappa con tutte le forze ma qualcuno batte sulle sue dita fino a costringerlo a mollare la presa. Questa scena si ripete per tutta l’eternità. Forse il predicatore si era ispirato a un episodio della Commedia, riguardante “l’iracondo” Filippo Argenti: «Allor distese al legno ambo le mani / per che il maestro accorto lo sospinse / dicendo: “via costà con li altri cani”».

            Infine, in un questionario che veniva distribuito, figurava la domanda: «Riconosci di essere peggiore del Diavolo?». La motivazione consisteva nel fatto che, mentre Lucifero aveva commesso un solo peccato («contra ‘l suo fattore alzò le ciglia» scriveva Dante), noi, quanti peccati mortali (atti impuri!) avevamo commesso! E se Lucifero era condannato a rimanere per l’eternità conficcato nel ghiaccio, che cosa spetterà a noi? Ma per fortuna potevamo ancora ricorrere ai buoni Padri Gesuiti, confessarci e guadagnare il Paradiso!

            Ma io ripagavo i miei “Maestri” con la stessa moneta. Così scrivevo al termine del Liceo: «Che cosa ho imparato? Soprattutto una cosa: che oltre ai molteplici pericoli del mondo, vi è anche quello di incontrare preti incapaci, preti rincretiniti; fra le varie forme in cui il diavolo si nasconde vi è anche quella del prete». Certamente la mia “morale” appariva più “progressista” rispetto a quella dei preti. Per me il peccato peggiore era l’egoismo dei ricchi. A proposito della parabola del ricco epulone, scagliavo la mia maledizione: «Gesù perdona alla peccatrice e all’adultera e non concede al ricco epulone neppure il refrigerio di una goccia d’acqua sulla lingua infuocata!». Da diciottenne contestavo l’insegnamento dei preti ma non mi accorgevo di essermi messo sullo stesso piano: un’etica della condanna, non un’etica del perdono. I Gesuiti almeno contemplavano la possibilità del perdono (Ego te absolvo).

            Ma anche nella più aperta Fuci, alla sera si recitava compieta con le parole della prima Epistola di Pietro: «quia adversarius vester diabulus tamquam leo rugiens circuit quærens quem devoret». Chissà perché pregavamo così prima di coricarci!

L’inferno è vuoto? Mi avevano detto che se c’era qualcuno all’inferno, questo era sicuramente Giuda, «il figlio della perdizione» (Giovanni. 17,12). Fece perciò impressione una predica tenuta il Giovedì santo del 1957 da don Primo Mazzolari, Ma io voglio bene anche a Giuda: «Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola “amico” che gli ha detto il Signore mentre lo baciava per tradirlo, io non posso non pensare che questa parola abbia fatto strada nel suo povero cuore; e forse all’ultimo momento io credo che anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva bene e lo riceveva tra i suoi, di là, forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni». Questo discorso era stato riprodotto in un disco. Le sue parole erano pronunciate con un tono fortemente emotivo.

Qualche anno prima (1953) aveva fatto molto più scalpore un libro di Giovanni Papini, Il Diavolo. Chi era Papini? Nei primi decenni dal Novecento aveva collaborato a varie riviste di avanguardia ed era stato anche processato per “oltraggio alla religione”. Acceso interventista, così si esprimeva: «Ci voleva un caldo bagno di sangue dopo tanti tiepidumi di latte materno e lacrime fraterne. La guerra è spaventosa e proprio per questo dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi». Negli anni Trenta Papini si convertì e in seguito si ritirò in un convento divenendo terziario francescano. In che cosa costituiva lo “scandalo” della sua ultima opera? «Il disegno salvifico di Dio non si può compiere se mancasse anche una sola creatura. La bontà di Dio, attraverso la mediazione di Cristo, porterà tutte le creature ad una stessa fine». Il libro fu stroncato dall’«Osservatore Romano», boicottato dalle librerie cattoliche. Ma non finì all’Indice, per rispetto dovuto al “grande convertito”.

E ora? Don Ferrero nel suo corso biblico in parrocchia (1995), dopo avere affermato che l’inferno è «uno stato possibile nell’aldilà, la possibilità reale di un fallimento totale della propria esistenza», così conclude: «L’inferno esiste, ma potrebbe essere “vuoto”». In tempi più recenti, ho più volte sentito affacciare tale ipotesi, anche da parte di teologi scrupolosamente ortodossi. Inferno vuoto? Un brillante escamotage? Un tentativo di proporre una teologia diversa, senza una clamorosa rottura con una venerabile tradizione?

            Ma “l’abolizione dell’inferno”, non può portarci a una mancanza di serietà e di responsabilità nei confronti della nostra vita e dell’umanità? In un articolo su il foglio 319 (febbraio 2005), dal significativo titolo Orfani del peccato Massimiliano Fortuna così si esprimeva: «La grande sfida degli illuministi è stata quella di liberarci dal senso di colpa. Il male è solamente un errore; e se così è, l’uomo può individuarne la causa ed estirparne persino le radici. Se il male è errore, il suo corrispettivo è una soluzione, ma proprio la pretesa di individuare la soluzione giusta è la tentazione da evitare. Le chiese cristiane hanno il merito di tenere ancora vivo il senso della differenza tra Dio e l’uomo e di cercare di ricordare a quest’ultimo la sua finitezza per impedirgli di eleggersi a manipolatore illimitato delle cose».

            «Inferno, diavolo» sono costruzioni mitologiche difficili da accettare per l’uomo d’oggi. Ma la negazione pura e semplice di tali miti e la pretesa di avere trovato la “soluzione” al mistero del male può condurci a miti ben più devastanti. Non si tratta solo del nazismo e dello stalinismo. Si tratta della fede incrollabile nell’onnipotenza del dio denaro. L’inferno è vuoto… finora. Il mondo continua ad esistere, malgrado gli arsenali atomici… finora.

            Dario Oitana

www.ilfoglio.info/default.asp?id=5&ACT=5&content=829&mnu=5

Secondo alcuni teologi l’inferno esiste, ma è vuoto. Gesù ha salvato tutti

La tesi di von Balthasar afferma che sperare la salvezza eterna di tutti gli uomini non è contrario alla fede. Essa si avvale dell’autorità di alcuni Padri della Chiesa, tra i quali Origene e Gregorio Nisseno, ed è condivisa da non pochi teologi contemporanei, tra i quali Guardini e Daniélou, de Lubac, Ratzinger e Kasper, e da scrittori cattolici come Claudel, Marcel e Bloy (Famiglia Cristiana, 10 ottobre 2018).

www.famigliacristiana.it/articolo/la-dannazione-eterna-e-una-possibilita-reale.aspx

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Mantova.            Etica Salute Famiglia marzo-aprile 2020

Editoriali

– – Bambini terminali. No all’accanimento terapeutico A. Savignano

– – Testa e cuore Anna Orlandi Pincella

Primo piano

— ” Un tempo per tacere e un tempo per parlare” Paolo Gibelli

Attualità

–Scautismo e solidarietà internazionale G. Belfanti, B. Spallanzani

–Culle vuote. Prospettive Anna Orlandi Pincella

Il libro

–Guardare e capire il bambino Laura Brutti

Ostetrica mi dica

— Il figlio ad ogni costo e la fecondazione assistita A. Venegoni

Psicologo mi dica

– – Obesità ed integrazione dell’approccio terapeutico G. Cesa

Il post del mese

– – In ospedale …su un comodino Paola Sampietri

www.consultorioucipemmantova.it/consultorio/index.php/pubblicazioni/etica-salute-famiglia/160-etica-salute-famiglia-anno-xxiv-n-02-marzo-aprile-2020

Covid-19, Ucipem: attivo il servizio di ascolto a distanza contro la paura

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Caravaggio                                                                            segreteria@centrofamiglia.org

Viadana ore 9-12   15-19        ( 0375 781436                      ccfviadana@libero.it

www.diocesidicremona.it/blog/emergenza-coronavirus-progetti-della-diocesi-di-cremona-a-sostegno-degli-operatori-sanitari-15-03-2020.html

Pescara. Si chiama “Lontani ma vicini” il nuovo servizio di ascolto a distanza gratuito istituito dal Consultorio familiare Ucipem di Pescara, per affrontare un silenzio che fa rumore come quello prodotto dall’isolamento sociale casalingo che ognuno di noi, responsabilmente, si è dovuto imporre nel rispetto del decreto governativo arginare il contagio da Coronavirus Covid-19.

            Un silenzio che, attraverso il lento incedere delle ore e dei giorni, può tirare fuori inquietudini e malesseri soprattutto nelle persone più sole e fragili: «Abbiamo pensato di offrire questo contributo – premette don Cristiano Marcucci, presidente del Consultorio Ucipem – per gestire le situazioni emotive d’emergenza di tutte quelle persone che, con il passare del tempo, si accorgono di fare fatica attraverso la manifestazione di elementi e condizioni emotive faticose, com’è anche normale che sia. Parliamo di difficoltà come ansia, paura e fatica nella gestione delle relazioni in spazi ristretti. Situazioni non sempre visibili, ma che posso essere affrontate grazie ad un supporto telefonico».

Sarà così possibile contattare, dalle 16 alle 18 dal lunedì al sabato, il numero  ( 328 8719111 al quale si alterneranno nella risposta fino a 50 operatori tra medici, consulenti familiari e psicologi: «In situazioni di questo genere s’innesca il meccanismo di una paura che diventa collettiva, sistemica, mondiale e questa dinamica ci coinvolge tutti profondamente. Ci scava dentro, tirando fuori tutte le nostre paure sulla base della nostra storia personale. È un meccanismo psichico inconsapevole, inevitabile, che tende a far emergere in noi tutte quelle situazioni faticose, nascoste, spaventose, che normalmente blocchiamo e che invece, adesso, vengono a galla».

Insomma, il problema è dentro di noi, non fuori: «Razionalmente non sappiamo in quali tempi e con quali danni, di fatto ne usciremo». Non a caso, il servizio sarà attivo all’imbrunire: «Di giorno, finché c’è il sole – osserva il presbitero – anche stando in casa, tra balcone, giardino e garage, qualcosa si fa sempre. Il disagio, invece, emerge nelle ore serali quando tutto ciò viene meno».

Insomma, la paura unita al silenzio può far affiorare un senso di angoscia e smarrimento in ognuno di noi, ma si può e si deve chiedere aiuto: «Ci può stare tranquillamente – rassicura don Cristiano -, l’importante è saperlo e laddove emerge la fatica di gestire questi sintomi, ci si può far aiutare».

Per spiegare ancora meglio la finalità di questo servizio, il Consultorio Ucipem si è affidato alle parole dello psicologo statunitense Carl Rogers: “Quando qualcuno ti ascolta davvero senza giudicarti, senza cercare di prendersi la responsabilità per te, senza cercare di plasmarti, ti senti tremendamente bene. Quando sei stato ascoltato ed udito, sei in grado di percepire il tuo mondo in modo nuovo ed andare avanti. È sorprendente il modo in cui problemi che sembravano insolubili diventano risolvibili quando qualcuno ti ascolta”

www.laporzione.it/2020/03/16/covid-19-ucipem-attivo-il-servizio-di-ascolto-a-distanza-contro-la-paura

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DALLA NAVATA

I Domenica di quaresima – Anno A – 01 marzo 2020

Gènesi             02, 07. Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.

Salmo              50, 13 Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito.

Romani           05, 15. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti.

Matteo            04, 01. In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo

 

Gli angeli inviati dal Signore per sorreggerci

È bella la Quaresima. Non si impone come la stagione penitenziale, ma si propone come quella dei ricominciamenti: della primavera che riparte, della vita che punta diritta verso la luce di Pasqua. Un tempo di novità, di nuovi, semplici, solidali, concreti stili di vita, a cura della “Casa comune” e di tutti i suoi abitanti. Dì che queste pietre diventino pane! Il pane è un bene, un valore indubitabile, santo perché conserva la cosa più santa, la vita. Cosa c’è di male nel pane? Ma Gesù non ha mai cercato il pane a suo vantaggio, si è fatto pane a vantaggio di tutti. Non ha mai usato il suo potere per sé, ma per moltiplicare il pane per la fame di tutti. Gesù risponde alla prima sfida giocando al rialzo, offrendo più vita: «Non di solo pane vivrà l’uomo».

Il pane dà vita, ma più vita viene dalla bocca di Dio. Dalla sua bocca è venuta la luce, il cosmo, la creazione. È venuto il soffio che ci fa vivi, sei venuto tu fratello, amico, amore mio, che sei parola pronunciata dalla bocca di Dio per me e che mi fa vivere. Seconda tentazione: Buttati giù dal pinnacolo del tempio, e Dio manderà un volo d’angeli. La risposta di Gesù suona severa: non tentare Dio, non farlo attraverso ciò che sembra il massimo della fiducia in lui, e invece ne è la caricatura, esclusiva ricerca del proprio vantaggio.

Il più astuto degli spiriti non si presenta a Gesù come un avversario, ma come un amico che vuole aiutarlo a fare meglio il messia. E in più la tentazione è fatta con la Bibbia in mano: fai un bel miracolo, segno che Dio è con te, la gente ama i miracoli, e ti verranno dietro. E invece Gesù rimanderà a casa loro i guariti dalla sua mano con una raccomandazione sorprendente: bada di non dire niente a nessuno. Lui non cerca il successo, è contento di uomini ritornati completi, liberi e felici. Nella terza tentazione il diavolo alza la posta: Adorami e ti darò tutto il potere del mondo. Adora me, segui la mia logica, la mia politica. Prendi il potere, occupa i posti chiave, imponiti. Così risolverai i problemi, e non con la croce. La storia si piega con la forza, non con la tenerezza. Vuoi avere gli uomini dalla tua parte, Gesù? Assicuragli tre cose: pane, spettacoli e un leader, e li avrai in pugno.

Ma per Gesù ogni potere è idolatria. Lui non cerca uomini da dominare, vuole figli che diventino liberi e amanti. Allora angeli si avvicinarono e lo servivano. Il Signore manda angeli ancora, in ogni casa, a chiunque non voglia accumulare e dominare: sono quelli che sanno inventare una nuova carezza, hanno occhi di luce, e non scappano. Sono quelli che mi sorreggeranno con le loro mani, instancabili e leggere, tutte le volte che inciamperò

p. Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=48037

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DIRITTI

I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza verso il futuro

Ogni bambino e ogni ragazzo deve sapere che è titolare di diritti. A riconoscerli è la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che quest’anno compie 30 anni. Un buon modo per celebrare la ricorrenza è leggerla. Scoprila nella versione in linguaggio semplice

www.garanteinfanzia.org/diritti-in-crescita/convenzione-onu-child-friendly.pdf

o in quella originale.

www.garanteinfanzia.org/diritti-in-crescita/convenzione_diritti_infanzia_adolescenza_autorita.pdf

Dal 1989 il mondo, i bambini e i ragazzi sono però cambiati. Per capire come, abbiamo chiesto ai bambini di riscrivere la Convenzione. Ecco come sentono, interpretano e vorrebbero che fossero declinati, al giorno d’oggi, i principi posti a loro tutela.

  • Diritto al tempo con i genitori. Tutti i bambini e i ragazzi hanno diritto a essere considerati e ascoltati da chi si occupa di loro. Gli adulti devono garantire loro tempo di qualità da passare insieme, evitando che l’eccessivo uso di strumenti tecnologici, social e telefonini, sottragga attenzioni e momenti di condivisione. Per crescere bene, tutti i bambini e le bambine hanno diritto a vivere in una famiglia in cui i genitori li ascoltino, li sostengano e li aiutino a prendere le decisioni più importanti. Hanno, inoltre, il diritto a trascorrere più tempo con i propri genitori, parlando e giocando insieme, in un clima sereno.
  • Diritto al gioco, alla lentezza e al sogno. Ogni bambino ha diritto a non doversi vergognare delle sue paure, a non capire subito le cose e a partecipare alla scelta dei libri che studierà a scuola. Ha diritto a prendersi tutto il tempo necessario, e anche perdere del tempo. Ogni bambino ha diritto al tempo libero per poter giocare all’aria aperta da solo o in compagnia, per poter fantasticare e crescere. Gli insegnanti e i genitori devono evitare di “riempire” i bambini di compiti e attività. Tutti i bambini hanno diritto a coltivare i propri sogni e avere la possibilità di realizzarli. Gli adulti devono sostenerli e incoraggiarli a non mollare mai, affinché credano sempre nelle loro potenzialità. Un bambino felice, domani sarà un adulto migliore.
  • Diritto a non essere lasciati soli. Tutti i bambini hanno diritto a non essere lasciati in solitudine. Ogni bambino ha bisogno di vivere la presenza effettiva dei genitori: deve poter condividere con loro le sue esperienze di vita, di studio, di gioco e le scoperte quotidiane. Tutti i bambini hanno diritto a essere felici e trovare negli adulti ogni forma di aiuto per allontanare la tristezza, la sfiducia e la rabbia.
  • Diritto a essere rispettati. Ogni bambino ha diritto a crescere senza dover essere costretto ad ascoltare discussioni o litigi da parte dei genitori che possano preoccuparli. Ogni bambino ha diritto ad avere una famiglia e stare con i genitori anche se non vivono più insieme. I genitori non dovrebbero sgridare i propri figli senza motivo e anche loro dovrebbero andare in Lavagna interattiva multimediale punizione quando sbagliano.
  • Diritto a scuole accoglienti. Tutti i bambini hanno diritto a scuole pubbliche pulite, dignitose e dove si possa mangiare sano ma allo stesso tempo gustoso. Tutti i bambini hanno diritto ad avere una classe ordinata, con banchi nuovi, sedie confortevoli, una lim [lavagna interattiva multimediale], le pareti pulite e colorate. In classe tutti i bambini devono vivere insieme in armonia e tutti devono impegnarsi a non dire parolacce, bugie e insulti. I bambini si impegnano a non farsi i dispetti, a non litigare, a non picchiarsi e a rispettare gli altri. I grandi si impegnano a prendersi cura dei piccoli e li aiutano a crescere e lavorare bene. Tutti i bambini hanno diritto a frequentare scuole sicure, attrezzate, spaziose, dove esser educati, istruiti, gratificati, per sviluppare al massimo le loro potenzialità, senza essere valutati con voti per tutta la durata dell’istruzione.
  • Diritto all’ascolto e a esprimere le proprie idee. Ogni bambino ha diritto a essere ascoltato quando ha bisogno di sfogarsi, confidarsi, proporre le sue idee, raccontare le sue esperienze. Questo quando è con gli amici, in famiglia e a scuola, senza essere giudicato. Non è bello essere ignorati o interrotti quando si parla. Quando gli altri lo ascoltano, gli danno importanza e valore. Se non lo fanno, lo fanno sentire escluso, come se non esistesse. Tutti i bambini hanno diritto a esprimere le proprie emozioni. Gli adulti si impegnano a rispettare i bambini quando hanno bisogno di piangere, essere tristi o malinconici. Tutti i bambini hanno diritto a esprimersi perché tutti sono uguali, ma meravigliosamente diversi al tempo stesso. Nessun bambino deve avere paura di esprimere il proprio parere, senza avere timore di essere preso in giro o escluso dagli altri.
  • Diritto alla cultura e alla memoria. Ogni bambino ha diritto a conoscere gli usi, i costumi e le tradizioni dei luoghi di appartenenza. A scuola si dovrebbe studiare la storia del proprio Paese, perché non c’è futuro senza passato. Tutti i bambini hanno diritto a non dimenticare. Ciò significa che nessuno può cancellare o nascondere a una società libera, nel rispetto dei diritti delle bambine, dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi, la verità storica degli sbagli commessi dall’umanità nei confronti dei loro simili. Tutti gli edifici storici, che hanno subito danni a causa del tempo o per calamità naturali, devono essere tutelati e restaurati, affinché la memoria culturale, sociale e artistica venga tramandata alle nuove generazioni.
  • Diritto alla protezione e a vivere in un ambiente sano. I bambini devono essere protetti da ogni tipo di conflitto. Occorre assicurare all’infanzia una vita dove prevalga sempre il rosso dell’amore e non quello della violenza. Tutti noi abbiamo il diritto di non arrenderci. Nessuno si deve arrendere quando è in difficoltà, deve avere il coraggio di sconfiggere le proprie paure: basta chiedere aiuto e unire le forze! Tutti i bambini hanno il diritto di vivere in un ambiente sano e pulito: tuffarsi in un mare pulito, respirare un’aria ossigenata dagli alberi, guardare non solo palazzi e cemento, ma anche prati pieni di fiori colorati dove poter giocare e correre spensierati.
  • Diritto a essere protetti dai bulli. Ogni bambino ha il diritto di essere se stesso, di credere nei propri sogni e di svolgere le attività ricreative che preferisce senza aver paura di essere frenato, umiliato o bullizzato. Tutti i bambini hanno il diritto di vivere la scuola come un luogo di pace. Nessuno può prevalere sulla vita dell’altro e imporre ai coetanei la propria volontà attraverso atti di bullismo. Gli insegnanti, gli educatori e tutti gli adulti devono vigilare affinché i bambini giochino e siano liberi di esprimersi senza essere condizionati: per combattere i prepotenti bisogna essere uniti.
  • Diritto a partecipare e a sbagliare. Tutti i bambini hanno diritto a sbagliare e fare degli errori. I bambini devono poter partecipare ad attività ed esperienze di qualsiasi genere, anche sportive, senza esclusioni per motivi legati all’età, alla razza, al sesso, alla “bravura”. Bisogna offrire a tutti l’opportunità di mettersi in gioco a prescindere dai risultati. Ogni bambino deve avere diritto all’occasione di sperimentare, mettersi alla prova, fare nuove esperienze oppure ritentare e cimentarsi in ciò in cui non è riuscito in passato.
  • Diritto all’uguaglianza e all’istruzione. Tutti i bambini hanno diritto a vestirsi in modo semplice e senza marchi, e non sentirsi per questo diversi. Ogni bambino ha diritto a vivere la propria infanzia serenamente e proiettarsi nel futuro. Ha il diritto-dovere di dare e ricevere amore. Deve essere educato all’accettazione dell’altro indipendentemente dal colore, dal sesso, dalla religione, dalla disabilità. La famiglia e la scuola devono collaborare affinché gli atteggiamenti di disuguaglianza non prendano il sopravvento e insegnare che esistono altri popoli, con altre tradizioni, altri modi di vivere altrettanto validi. La diversità deve essere una ricchezza e non una limitazione. Il sapere rende liberi. Tutti i bambini hanno diritto a un’istruzione, con maggiore attenzione per quelli in difficoltà. Perché tutti possano raggiungere gli stessi traguardi.
  • Diritto alla diversità e all’unicità. Tutti i bambini hanno diritto a non essere presi in giro per le loro diversità o problemi. Ogni bambino si impegna a giocare con tutti e a esprimere le proprie opinioni con qualsiasi altro bambino. Nessuno deve sentirsi escluso perché la vita di ognuno è speciale e va rispettata. Ogni bambino ha diritto a sentirsi unico, senza mai sentirsi dire che deve essere come tutti gli altri bambini. Ha il diritto di guardare il mondo salendo sulle spalle dei genitori e non dal basso tenuto per mano. Ogni bambino ha diritto a essere rispettato indipendentemente dal carattere riservato o per le sue diversità. Lo stesso ha il diritto di vivere sereno senza essere deriso dagli altri.
  • Diritto alla salute e al sorriso. Tutti i bambini hanno diritto a non essere presi in giro per le loro diversità o problemi. Ogni bambino si impegna a giocare con tutti e a esprimere le proprie opinioni con qualsiasi altro bambino. Nessuno deve sentirsi escluso perché la vita di ognuno è speciale e va rispettata. Ogni bambino ha diritto a sentirsi unico, senza mai sentirsi dire che deve essere come tutti gli altri bambini. Ha il diritto di guardare il mondo salendo sulle spalle dei genitori e non dal basso tenuto per mano. Ogni bambino ha diritto a essere rispettato indipendentemente dal carattere riservato o per le sue diversità. Lo stesso ha il diritto di vivere sereno senza essere deriso dagli altri.
  • Diritto alla riservatezza e alla privacy. I bambini hanno diritto alla riservatezza delle proprie immagini. Gli adulti o i coetanei non devono diffondere immagini che possano offendere o creare imbarazzo. I bambini hanno il diritto di utilizzare i nuovi media in modo sicuro, per questo gli adulti devono guidarli e accompagnarli verso un uso consapevole. Tempi, rischi e pericoli della rete devono essere disciplinati e ammoniti.
  • Diritto alla bellezza. Ogni bambino ha diritto ad avere una bella città, non inquinata, per vivere bene e in salute in un paesaggio che lo aiuti ad apprezzare il bello in tutte le sue forme. Tutti i bambini hanno diritto all’educazione alle cose belle come i monumenti o i beni culturali che sono patrimonio dell’umanità, e ad avere una bella scuola, dove poter studiare con serenità e diligenza per riuscire a vedere il bello in ciò che li circonda.

AGIA              Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza

www.garanteinfanzia.org/diritti-in-crescita/index.html

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ENTI TERZO SETTORE

GDPR, troppi errori sul consenso: come evitarli

A quasi due anni dall’applicazione del Regolamento Europeo 679/2016 (GDPR) sulla protezione dei dati personali, risultano ancora molto frequenti gli errori nell’utilizzo del consenso.

GDPR General Data Protection Regulation – Regolamento generale sulla protezione dei dati

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex%3A32016R0679

Spesso i Titolari lo scelgono come unica base legittima del trattamento, quando evidentemente dovrebbero optare per una delle altre condizioni di liceità previste dall’articolo 5. Si riscontrano spesso numerose inesattezze nelle formule impiegate per chiedere il consenso, anche quando è effettivamente la base giuridica corretta (es. si chiede un consenso unico per finalità diverse).

5.   L’adesione da parte del responsabile del trattamento a un codice di condotta approvato di cui all’articolo 40 o a un meccanismo di certificazione approvato di cui all’articolo 42 può essere utilizzata come elemento per dimostrare le garanzie sufficienti di cui ai paragrafi 1 e 4 del presente articolo.

Lo strumento del consenso generò ambiguità fin dai tempi delle prime normative privacy (la Direttiva UE 95/46 e la legge italiana 675 del 1996 per esempio), quando moltissime organizzazioni adottarono un approccio puramente formale e per nulla ragionato, richiedendo un consenso per qualunque tipo di trattamento, pensando così di porsi al riparo da possibili illeciti. Ancora oggi, in pieno periodo GDPR, agli interessati vengono sottoposte richieste di consenso inutili, accompagnate da informative generiche, errate se non addirittura intenzionalmente ingannevoli, o comunque per nulla rispettose dei requisiti di semplicità, trasparenza e chiarezza presenti nell’articolo 12 del Regolamento.

            Una delle prime attività quindi che le organizzazioni dovrebbero programmare, in ottica di Accountability – il principio di responsabilizzazione che funge da motore del Regolamento – dovrebbe essere una attenta revisione delle proprie informative e dei relativi consensi già richiesti, quelli da chiedere ex-novo e quelli da non chiedere più, per evitare conseguenze negative, anche ad elevato impatto (es. controlli, sanzioni, blocco di trattamenti, perdite di immagine).

Le Linee guida dell’authority Ue. A supporto di questa analisi interna all’organizzazione, può essere utile ripercorrere le Linee guida sul consenso pubblicate dall’Autorità europea WP29 il 10 aprile 2018 (WP29 nr. 259), un documento di estrema utilità per comprendere meglio il concetto di consenso in ambito GDPR e il suo corretto utilizzo.                                                  www.garanteprivacy.it/regolamentoue/consenso

Partiamo innanzi tutto dall’articolo 4 del GDPR che al paragrafo 1, numero 11 ci fornisce la definizione di consenso: “Qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento”.

            È evidente già dalla definizione che il consenso può essere una base legittima appropriata solo se l’interessato può realmente effettuare una libera scelta (accettare o meno quanto viene proposto), senza subire un pregiudizio, un disservizio o altro impedimento. Quindi, quando richiede il consenso, il Titolare del trattamento deve valutare se soddisferà tutti i requisiti per essere valido, diversamente l’attività di trattamento sarà considerata illecita.

            Uno degli errori più frequenti e pericolosi, è l’inserimento del consenso come parte delle condizioni generali di un contratto per l’acquisto di beni o servizi. Non potrà essere considerato libero, visto che l’interessato non potrà rifiutarlo o revocarlo senza subire conseguenze negative (es. mancata conclusione del contratto).

Consenso e lavoro: l’errore da evitare. Anche in ambito occupazionale, dunque nei contratti di lavoro, non è in linea di massima corretto richiedere un consenso al dipendente o al candidato, in quanto si verifica una situazione di “squilibrio di potere” per cui difficilmente la risposta del lavoratore potrà essere libera da pressioni, che siano reali o solo percepite. Le basi di legittimità dei trattamenti che riguardano il dipendente o collaboratore saranno pertanto altre, dagli adempimenti contrattuali al rispetto di obblighi legali e normativi da parte dell’azienda, fino anche al legittimo interesse dell’impresa (interessante a tal proposito il caso della sanzione da parte del Garante Greco a PWC nel luglio 2019).

            Possono comunque esserci dei casi da gestire con la richiesta di consenso, perché relativi a trattamenti che non riguardano strettamente la prestazione lavorativa e il rapporto tra datore di lavoro e dipendente. Uno di questi è per esempio la ripresa e l’utilizzo di immagini (foto o video) in occasione di eventi aziendali, attività formative, produzione di materiale pubblicitario, ecc. Il lavoratore potrebbe anche rifiutare di essere ripreso ma senza avere ripercussioni sui suoi diritti e sulla sua posizione in azienda. (…)

            Non ci occupiamo in questa circostanza di approfondire gli elementi dell’informativa e le modalità per renderla nota agli Interessati – argomenti molti ampi e da trattare in modo specifico – ma riportiamo solamente le informazioni indispensabili per ottenere un consenso valido:

  • Identità e contatti del Titolare
  • Finalità di ogni trattamento per il quale si chiede il consenso
  • Tipologie di dati raccolti e trattati
  • Diritto di revocare il consenso
  • Esistenza o meno di un processo decisionale automatizzato
  • Eventuale trasferimento all’estero e relativi rischi in caso di assenza di garanzie adeguate

Importanza del linguaggio adottato. Per costruire una informativa a regola d’arte, va ricordato soprattutto di utilizzare un linguaggio chiaro e semplice. Il messaggio deve essere facilmente comprensibile per una persona di media cultura, mentre spesso si trovano documenti scritti con terminologie strettamente giuridiche, lunghi preamboli e introduzioni, testi troppo prolissi sulla politica privacy dell’organizzazione. Importanza ancora maggiore riveste la chiarezza della richiesta di consenso: deve essere distinguibile dagli altri argomenti e deve essere presentata in una forma intelligibile e facilmente accessibile. L’interessato deve poter comprendere rapidamente a cosa sta dando il consenso (finalità) e a chi lo sta fornendo (identità del Titolare). (…)

Flavia Fornasiero       Consulente Privacy                              24 febbraio 2020

www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/gdpr-troppi-errori-sul-consenso-come-evitarli

Contratto di Consulenza e consenso informato AICCeF

www.aiccef.it/downloads/files/CONTRATTO%20consulenza%20e%20consenso%20i.%20x%20Liberi%20profess.2018.pdf

Consultorio familiare

www.consultoriokolbe.it/assets/page_files/45/Informativa%20al%20trattamento%20dei%20dati%20art.13%20del%20Regolamento%20EU.pdf

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ETICA

L’imago Dei non abita più in noi?

Che ne è della persona in questo scorcio del nuovo secolo? Possiamo ancora fare ricorso a essa, e al concetto ricchissimo che la esprime, oppure è divenuta un richiamo usurato e da lasciare da parte, perché non possiede più un senso? È un evento su cui meditare che nel corso dell’ultimo secolo il riferimento alla persona sia diventato universale, “ecumenico”, nella cultura filosofica, teologica e nelle scienze umane e sociali in Occidente, e poi in contesti assai più ampi. Sempre più si ricorre, spesso solo in modo retorico, all’idea di persona, ma con il risultato che i suoi contorni sono diventati plurimi, sfuggenti, irriconoscibili, e quella che non pochi hanno considerato un passepartout universale o una chiave d’oro che apre tutte le porte, solleva invece immensi problemi che toccano in profondità la condizione umana. L’esser–persona concerne tutti indistintamente, e secondo l’idea che ne viene formata vita e civiltà prendono cammini molto diversi, e anche il nostro destino singolo ne è segnato.

            Per un certo tempo la poderosa diffusione dell’idea di persona ha potuto costituire un elemento di cui rallegrarsi per coloro che l’avevano adottata e coltivata assiduamente, senza però perdere la capacità di un attento discernimento che diventa ogni giorno più necessario. In effetti il diffondersi del termine “persona” e del lessico personalistico è andato di pari passo con una preoccupante vaghezza del loro contenuto; discorso analogo vale per l’idea di “dignità della persona” cui si fa un richiamo tanto inflazionato quanto confuso. Ma l’orecchio esperto riesce a udire nel frastuono sulla persona un’altra musica: l’intento di decostruirne la nozione, intendendola quasi solo come una finzione giuridica, oppure più radicalmente di dissolverne la sua stessa realtà, riportando la persona a una maschera dell’impersonale. Decostruzione che prende origine in Francia dove, secondo l’antiumanesimo di Michel Foucault, l’uomo è solo un’invenzione delle scienze umane, destinato a sparire molto presto. E da lì si è diffusa in vari contesti, Italia compresa: nell’assunto si annida quella che spesso ho chiamato “filosofia del Neutro”, una delle massime espressioni del nichilismo moderno–contemporaneo.

            La dialettica in corso tra umanesimo e antiumanesimo comporta l’esplosione della “questione antropologica” che si è prepotentemente affiancata alle questioni pubbliche che prendono il nome di “questione istituzionale democratica” e “questione sociale”: esse hanno dato almeno in Occidente il tono a due secoli di storia. Rispetto a queste problematiche la questione antropologica presenta caratteri più radicali ed è destinata a diventare sempre più pervasiva. L’uomo è messo in questione tanto nella sua base biologica e corporea quanto nella coscienza che forma di se stesso. E ciò non sol- tanto astrattamente, ma praticamente, perché le nuove tecnologie, e non solo quelle della vita, incidono sul soggetto, lo trasformano, tendono a operare un mutamento nel modo di intendere nozioni centrali dell’esperienza di ognuno: essere generato oppure prodotto, nascere, vivere, procreare, cercare la salute, invecchiare, morire ecc. Si tratta di trasformazioni di nuclei sensibilissimi che hanno interessato migliaia di generazioni e che costituiscono il tessuto fondamentale dell’esperienza umana in tutti i luoghi e tempi. La generazione umana rischia di passare dal procreare al fare, andando verso un soggetto progettato in serie, fabbricato, col rischio di non avere volto proprio. La controversia sull’humanum è incandescente e onnipresente. Oltre quarant’anni fa Giovanni Paolo II sosteneva qualcosa che vale tuttora: «La verità che dobbiamo all’uomo è innanzi tutto una verità sull’uomo stesso» (Puebla, 28 gennaio 1979). La verità sull’uomo non può essere soggetta a votazione ma pazientemente rimeditata e fatta circolare nella cultura.

            Oggi gli orizzonti prevalenti nella cultura in ordine alla persona sono soprattutto il funzionalismo e il riduzionismo. Nel primo essa è vista e ricondotta a un insieme di funzioni e/o di capacità, di cui ci si contenta di stendere vari elenchi senza andare al nucleo intimo che fa la persona. Nel riduzionismo essa è intesa come una parte, sia pure rilevante ma sempre parte, della madre–natura, secondo una posizione di esplicito naturalismo in cui l’essere umano non sporge oltre il suo grembo. Bisogna certo fare pace con la natura, senza però pensarci solo come risolti nella madre–terra, ma come esseri che abitano il mondo simbolico: linguaggio, mito, religione, arte. Ma anche l’antropocentrismo moderno, che aveva alzato l’uomo al di sopra del cielo, conserva posizioni. In questo incandescente crocevia storico–spirituale a condurre il gioco è la rivoluzione tecnologica che domina il mondo: robotica, mediatica, digitale e informatica, biopolitica, intelligenza artificiale, potenziamento umano. Essa impone i suoi ritmi forsennati che non consentono momenti meditativi. Siamo trascinati senza requie da un vento che spira da ogni luogo e trascina ogni contesto, senza pause e moratorie, e coinvolti in processi giganteschi, mentre diversi sostengono che occorre abbattere le barriere tra l’umano, l’animale, la macchina.

            A mio avviso il settore in cui la situazione risulta maggiormente compromessa è quello bioetico–biopolitico dove il tecnicamente possibile tende a diventare moralmente lecito a priori: si può pensare alla nuova legge bioetica in discussione in Francia, di cui è appariscente il carattere fortemente libertario e centrato sulle pretese degli adulti. Tutto ciò accade proprio quando vi è più alto bisogno di una nozione non mistificata di persona, della verità sulla persona cui non si può rinunciare. Per non essere trascinati passivamente dalla tempesta del “progresso” e dalle insidie del nichilismo è necessario riprendere contatto con una visione integra dell’esser–persona, che può provenire dal pensiero ontologico e dalla religione. In merito si ergono come irti ostacoli la pregiudiziale post-metafisica e la progressiva cancellazione dell’imago Dei dal perimetro dell’umano: essa nega all’essere umano la sua costitutiva apertura verso l’alto. Si avverte dolorosamente la carenza di un atteggiamento contemplativo, particolarmente arduo in un’epoca dominata dalla fretta e da un’ansia (ansia di prestazione e ansia di consumo) che colpisce tutti, e che annienta lo spazio meditativo e contemplativo, da cui può sorgere un orientamento sapiente. Non rinunciamo alla persona, rimettiamola al centro secondo tutta la verità che essa include.

Vittorio Possenti         Avvenire         29 febbraio 2020

www.avvenire.it/agora/pagine/limago-dei-non-abita-pi-in-noi

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PASTORALE

Che speranza diamo agli uomini di oggi?

Il precedente articolo di questa rubrica ha destato molte reazioni, peraltro positive, al mio grido sull’urgenza di una nuova forma del “vivere la Chiesa”.

www.monasterodibose.it/lavoro/gusto/1273-italiano/priore/articoli/articoli-su-riviste/13631-un-cambio-radicale-del-vivere-la-chiesa

Mi è parso, dunque, doveroso continuare quel discorso, con alcune proposizioni o proposte per l’evangelizzazione oggi. Grazie alla rivelazione di Dio fatta da Gesù Cristo, la nostra fede è arrivata a dire, attraverso l’apostolo Giovanni, che «Dio è amore, carità» (1Gv 4,8.16). Dunque, la fede cristiana ha sempre come volto la carità, l’amore che i cristiani devono vivere nel mondo in mezzo agli altri uomini e donne. E la Chiesa deve essere il sito della carità visibile di Dio tra gli umani. È significativo che Gesù non abbia mai cercato il riconoscimento della sua missione e della missione dei discepoli, ma ha offerto un criterio molto semplice e fondamentale: «Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

L’unico segno, l’unico sigillo dell’essere discepoli e discepole di Gesù è dato non da atteggiamenti religiosi e cultuali, liturgici, non da dichiarazioni di fede, ma semplicemente dal “comandamento nuovo” dell’amore verso gli altri. Questo è il comandamento ultimo e definitivo: «Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 13,34; 15,12). La logica di queste parole è paradossale. Gesù non dice: «Come io ho amato voi, voi amate me». No, dice: «Amatevi tra di voi perché, così facendo, amerete me». Non basta invocare il Signore, non basta invocare la sua Parola, non basta mangiare e bere con lui nell’eucaristia per essere cristiani; occorre vivere la carità come l’ha vissuta Gesù, fino all’estremo, fino al dono della propria vita nel servizio degli altri. Una carità praticata mai in modo ripetitivo e schematico, ma sempre reinventata e rinnovata nei gesti e nelle azioni. Proprio per questo il giudizio del Figlio dell’uomo sull’umanità di ogni tempo sarà fondato sulle azioni che ogni essere umano avrà vissuto nei confronti degli altri.

Gesù non ci ammonisce con un giudizio che riguarda le nostre debolezze, ma sulle nostre omissioni, quando incontriamo (o non incontriamo) l’altro, il bisognoso, l’affamato, l’assetato, lo straniero, il povero, il malato, il carcerato. Si tratta di andare incontro all’altro cercando di discernere il suo bisogno, ascoltando la sua sofferenza, la sua invocazione, fino a prendercene cura in una relazione ospitale all’insegna della gratuità. Questa carità vissuta decide la verità dell’appartenenza a Cristo.

Certo, i cristiani sono chiamati a dare una forma pratica, concreta alla solidarietà, all’uguaglianza, alla giustizia. La carità cristiana esige sempre un’opzione per l’umanizzazione in assoluta gratuità, senza ansie di evangelizzazione o di autoconservazione della Chiesa. La concezione cristiana della carità è eversiva e può essere “anormale” (parole di Paul Valadier, gesuita ex direttore della rivista Études), nel senso che resta sorda alle voci mondane, al miraggio dell’audience, e si distacca da ciò che nella storia è vincente e più facilmente attestato. Non dunque dei cristiani fuori del mondo, ma nel mondo altrimenti, nel mondo senza essere del mondo; senza paure e senza esigere di essere vincitori. La Buona notizia che i cristiani sono chiamati a dare all’umanità è solo quella dell’amore offerto in modo incondizionato, un amore che non va mai meritato.

Ma nella missione, quale speranza? Forse, questa è la cosa più difficile oggi per il cristianesimo. Tutta la storia della Chiesa, infatti, è segnata dalla testimonianza della carità, in particolare verso i poveri e i malati.

Mai nessuno ha dubitato di questa capacità della carità, anche oggi e anche nelle nostre Chiese. Ma quale speranza diamo agli uomini e alle donne di oggi? Viviamo in un tempo segnato da molte paure, un tempo in cui si sono spente e anestetizzate le grandi speranze delle ideologie e delle utopie secolarizzate. Il nostro tempo è spesso posto sotto il segno della crisi, o addirittura della fine. La precarietà del presente e l’incertezza del futuro alimentano paure che abitano la nostra convivenza — “nuove paure”, come ha scritto il sociologo Marc Augé — indeboliscono la fiducia, paralizzano l’insurrezione delle coscienze. Papa Francesco chiede con insistenza di combattere e di vincere le paure come decisivo antidoto al rinchiudersi in un orizzonte individualistico, asfittico, ripiegato su di sé, e quindi assorbito in un vortice di egoismo. Immerso in questa situazione, il cristiano subisce oggi la tentazione di rifugiarsi innanzitutto in una spiritualità seducente, accattivante ed efficace, una spiritualità che consiste nel presentare la salvezza come benessere individuale.

            Siamo di fronte a un teismo etico, terapeutico, che cerca armonia e benessere quotidiano e aspira al conforto interiore. Il primato viene accordato a un Dio “Energia”, all’offerta di un moralismo dettato dall’antropologia, alla salvezza come pace e calma interiore. Ed è così che la speranza, proprio perché è rinchiusa in dimensioni individuali, non è più speranza, tanto meno quella cristiana: o si spera per tutti, o non si spera! Ma allora quale speranza annunciare nella missione cristiana?

Sono sempre più convinto che dobbiamo partire dalla narrazione cristiana per eccellenza: l’amore vince la morte. Nelle diverse culture umane si è sempre giunti a pensare, in varie forme, a un duello tra amore e morte, eros e thanatos, i due nemici per eccellenza. Non è un caso che l’Antico Testamento nel Cantico dei cantici arrivi ad affermare che l’amore può combattere la morte, anche se non si spinge fino a dire che ne è vincitore. Si ferma all’espressione: «Forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6). Ma l’annuncio cristiano testimonia esattamente l’inaudita novità di Gesù Cristo: avendo amato fino all’estremo, essendo vissuto operando il bene e spendendo la vita per i poveri, i sofferenti, gli oppressi, gli scarti della società e i peccatori, non è restato preda della morte. Dio lo ha resuscitato perché non era possibile che quell’amore vissuto andasse perduto.

Forte come la morte è l’amore, più forte della morte è stato l’amore vissuto da Gesù. Questo è l’annuncio cristiano, che possiamo rivolgere anche ai non credenti, facendo loro capire che la resurrezione è davvero il nucleo incandescente di tutta la nostra fede in Gesù Cristo. La morte non è l’ultima parola, è questo che noi dobbiamo saper comunicare all’interno del nostro annuncio evangelizzatore. Solo così rendiamo ancora Cristo non un maestro di umanità o di spiritualità, ma colui che è capace di salvare realmente le nostre vite.

Ecco alcuni tratti radicali di cosa dovrebbero essere la nostra fede, la nostra carità e la nostra speranza, affinché possa germinare lo slancio missionario. I problemi sono molti: la città è sempre più post-cristiana, noi siamo una minoranza nella società, avvolti dal regno dell’indifferenza nei confronti di Dio e della Chiesa. Il mondo è cambiato. E la mia speranza è che il Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia dello scorso ottobre, unitamente a quello che si sta celebrando in Germania, possa fornire delle tracce per tutte le Chiese. Il problema, infatti, non riguarda solo quelle Chiese, ma riguarda noi: come inculturare la fede in questo mondo globalizzato e post-cristiano? Rispondere a questa domanda richiede di mettere a fuoco gli elementi essenziali del cristianesimo, senza timori né paure.

Enzo Bianchi  “Vita Pastorale”          marzo 2020

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SESSUOLOGIA

Lo psichiatra: fluidità di genere negativa. Spinge a trascurare il disagio

La rappresentazione positiva della cosiddetta fluidità di genere è in realtà uno stereotipo, una costruzione quasi soltanto mediatica, che però può indurre ragazzi già in difficoltà per la fatica di far chiarezza nella propria identità, a non interrogarsi, a non approfondire le ragioni del proprio disagio. E questa eventualità è sicuramente negativa, perché ogni situazione di incertezza può innescare malessere e disturbi. Ne parliamo con Paolo Rigliano, psichiatra e psicoterapeuta sistemico-relazionale, autore di vari studi su omosessualità e genere.

Davvero può essere così indifferente e motivo di serenità vivere in modo alternato omosessuali o eterosessualità?

La bisessualità è un pianeta ancora tutto da indagare. Nulla vieta di pensare che dimensione eterosessuale e omosessuale possano coesistere, ma è molto difficile possano risultare della stessa portata. Nel senso che la persona può essere sollecitata da strutture diverse nel corso della vita, ma è difficile pensare che tutte abbiano la stessa valenza per il soggetto e siano perfettamente sovrapponibili. Ogni struttura ha qualità che sono diverse. E diverse sono le implicazioni. Ora, all’interno di questo tentativo di far chiarezza c’è la possibilità che una persona avverta sensazioni di disagio e di malessere e abbia bisogno di aiuto.

            Non c’è una dimensione profonda dell’orientamento sessuale che rende impossibile questa ‘convivenza interiore’?

Certo, ma può essere che una persona, per assumere la consapevolezza del proprio orientamento, sia costretto a fare un percorso lungo e com- plesso. Ora, il fatto che Elly Schlein spieghi tranquillamente queste sue esperienze indica un cambiamento di paradigma sociale in cui ci si sente liberi di interpretare e valutare la propria omosessualità. Sono situazioni tutt’altro che inconsuete. Anzi, nella realtà succede molto spesso. Ma, per la maggior parte, questi casi rimangono silenti. Ora, il tentativo di far chiarezza dentro di sé può portare a diverse esperienze ma sarebbe sbagliato parlare di bisessualità e, soprattutto mettere due dimensioni sessuali sullo stesso piano.

Ma il fatto che se ne parli più apertamente non rischia di trasformare la cosiddetta fluidità di genere in un modello accattivante, soprattutto per tanti ragazzi che lottano per capire qualcosa della propria identità?

Innanzi tutto bisogna ricordare che ogni situazione è diversa. Poi va detto che la fluidità di genere è quasi sempre una rappresentazione mediatica molto lontana dalla realtà. Spesso si pensa alla fluidità guardando alcuni modelli che nelle sfilate di moda mescolano simboli maschili e femminili. Ma questa è solo una contaminazione di genere, sono solo accrocchi di stereotipi scelti per stupire. Possiamo confondere l’identità di genere con l’orientamento sessuale profondo che è parte costitutiva della persona e che nessuno può determinare con una scelta volontaristica.

C’è quindi un reale rischio educativo che ci porta a considerare negativamente queste rappresentazioni?

Se la rappresentazione della fluidità come scelta positiva non aiuta la persona a interrogarsi sulla differenza, evidentemente si tratta di una situazione negativa. Questo mondo cioè rischia di diventare una nebulosa che alimenta l’incertezza. Ma se questa incertezza viene potenziata e banalizzata può contribuire a far stare male le persone. La confusione non è mai rasserenante.

Luciano Moia             Avvenire                    mercoledì 26 febbraio 2020

www.avvenire.it/attualita/pagine/fluidit-di-genere-negativa-spinge-a-trascurare-il-disagio

Anche il redattore, circa 30 anni fa, ha seguito per una decina di incontri un bisessuale (preferiva i maschi), di religione luterana. Seguiva anche un corso di teologia cattolica in un seminario, lavorava in un call center, proveniva da una sede lontana circa 100 km. Voleva parlare della sua vita, ma il suo problema è che si sentiva portato a “seguire” come maestro di vita degli adolescenti.

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SINODO PANAMAZZONICO

QA “Un documento che ha uno spessore profetico speciale”

 “Un documento equilibrato, che mette al centro lo sguardo contemplativo”. Mons. Filippo Santoro, dal 2012 arcivescovo della diocesi di Taranto e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei, ha partecipato come padre sinodale al Sinodo sull’Amazzonia dell’ottobre scorso. Santoro ha vissuto in Brasile 27 anni, molti dei quali da vescovo.

            Eccellenza, alla luce della sua esperienza, in cosa questa Esortazione è diversa?

            “Questo documento ha uno spessore profetico speciale, perché insieme con l’analisi e la denuncia della violazione dei diritti umani in Amazzonia, del problema ambientale e di quello sociale e culturale, mette in evidenza, con uguale ardore, la dimensione ecclesiale. Una visione che è chiara già a partire dai numeri”.

Dai numeri?

 “Certamente. Nella proporzione tra i quattro sogni che cita (sociale, culturale, ambientale ed ecclesiale, ndr) quello ecclesiale è composto di 50 numeri su 111. Quasi la metà del testo. Al numero 62 dice: “Pur volendoci impegnare con tutti, fianco a fianco, non ci vergogniamo di Gesù Cristo”. È lapidario. Per coloro che lo hanno incontrato, è inevitabile parlare di Cristo e portare agli altri la sua proposta di vita nuova”.

            Dove si coglie di più la tenerezza di Francesco?

“Il Papa usa una parola splendida: querida. In italiano lo traduciamo con l’aggettivo cara ma è di più. Significa amata, desiderata. Questa esortazione è, prima di ogni cosa, una lettera d’amore per l’Amazzonia, perché i suoi sogni di rinascita si possano realizzare”.

            Al di là della questione amazzonica, l’esortazione lancia un messaggio anche al mondo occidentale?

“Ci racconta la cosmo visione amazzonica. Loro hanno una idea della vita incentrata sul legame che esiste tra l’essere umano e le piante, l’acqua, la terra.  È un unicum rispetto alla relazione con gli altri esseri umani. Noi invece accumuliamo beni senza cura della Terra. Si basa tutto sulla produzione, sul consumo di cose e persone. Nella visione dell’Enciclica Laudato Si’ e nell’esortazione, ritorna invece, il concetto del vivere felici con l’essenziale. In fondo, qui c’è sotto un problema: come riempire un vuoto di felicità. I cattolici hanno in questo senso una responsabilità in più: mostrare che quel vuoto lo riempie Qualcuno che si fa vicino a noi, ci vuole bene. E questo tema lo svilupperemo nella Settimana Sociale a Taranto”.

            Non è facile, c’è un mondo intorno che racconta un’altra verità. Ed il Papa ricorda che a farne le spese rischiano di essere proprio i giovani indios.

            Ovviamente ci vuole un lavoro sull’educazione. Io l’ho sperimentato in Brasile: quando i giovani indios arrivano nella grande città sono sedotti, non badano più alla loro storia, distruggono se stessi, la loro cultura. Nel capitolo sul sogno ecclesiale, si parla dell’inculturazione, cioè del Vangelo che deve assumere i valori delle culture. Dice il Papa: “il Vangelo eleva e purifica tutte le culture”.

            C’è un messaggio che secondo Lei questa esortazione lancia anche alle altre periferie del mondo, compresa Taranto?

“Amare il luogo in cui si è. Dobbiamo amarla, Taranto. Ciascuno di noi deve farsi ferire dai problemi, dalla situazione ambientale ed occupazionale che ci affligge, dai giovani che se ne vanno. E poi in questa terra amata, torna centrale l’annuncio del Vangelo come possibilità di una vita nuova”.

            Perché per delineare lo scenario, il Papa fa così ricorso alla poesia?

“Perché lo sguardo sul Mistero si prende dai poeti, dagli scrittori. Lui si richiama maggiormente a quelli latino americani. Non è un’esortazione scritta da un’analista sociale. Fa vedere il dramma ma anche la luce che può venire fuori dalla crisi”.

            La stampa si aspettava nell’esortazione una risposta chiara su temi come l’introduzione dei viri probati e le donne diacono. Partiamo dalle donne?

“In Amazzonia le donne riuniscono la comunità, predicano, fanno la liturgia della Parola. Il Papa ribadisce che “Per tanti anni le donne hanno mantenuto la fede senza i presbiteri”. Il ruolo della donna come animatrice di comunità è riconosciuto. Clericalizzarla non vuol dire valorizzarla. Invece la donna deve sviluppare i propri carismi: la maternità, la cura, il dono.  Nella Chiesa c’è san Pietro e c’è Maria. E Maria è più importante di san Pietro”.

Sui viri probati? Non vengono proprio nominati.

“Il vero problema, e l’ho detto nel mio intervento al Sinodo, non è trovare un modo per riparare la scarsità di preti, è domandarci perché non siamo capaci di suscitare l’entusiasmo al dono totale della vita a Cristo. E poi serve una distribuzione più equa dei preti nel mondo. Lui lo ribadisce”.

In Puglia la penuria di vocazioni è meno avvertita. Perché?

“Perché c’è una pietà popolare sviluppata ed una cura maggiore alla formazione dei futuri preti, anche con il seminario regionale maggiore di Molfetta. La secolarizzazione non è arrivata del tutto e si crede al Mistero. La via d’uscita si trova per traboccamento, come dice il Papa al n. 105, trascendendo la dialettica, che limita la visione, per poter riconoscere qualcosa di più grande che Dio ci sta offrendo”

            Ma come l’hanno presa in Sud America questa esortazione?

“I miei amici vescovi mi raccontano della gioia della gente, che si è sentita considerata, querida, appunto. Tra gli intellettuali, invece, c’è chi dice a denti stretti che il Papa avrebbe dovuto parlare dei viri probati ma non era quello il tema, non aveva senso inserirlo”.

Marina Luzzi  agenziaSIR     25 febbraio 2020

www.agensir.it/chiesa/2020/02/25/querida-amazonia-mons-santoro-un-documento-che-ha-uno-spessore-profetico-speciale

 

Dopo la “Querida Amazonia”. La riforma non arretra ma la chiesa deve maturare

Il silenzio sui preti sposati e le donne diacone non implica una scelta conservatrice, il processo riformatore e sinodale continua. C’è un arresto provocato dal blocco tradizionalista ma il suo progetto di neo-cristianità è definitivamente tramontato. Si è a un limite del pontificato francescano?

Un giudizio molto equilibrato sull’Esortazione apostolica “Querida Amazonia” e sul silenzio da essa mantenuto riguardo alla questione dei preti sposati e del diaconato femminile sollevate dal Sinodo dei vescovi, è contenuto in questa conversazione pubblicata da Adista con lo storico Daniele Menozzi, di cui riportiamo qui di seguito le risposte.

Sulla possibilità di ordinare preti dei diaconi permanenti sposati, proposta dal Sinodo dei vescovi dell’Amazzonia.

«L’esortazione fin dalle battute iniziali avverte che non intende affrontare tutte le questioni presenti nel documento sinodale, ma trattare quelle che riflettono le principali preoccupazioni attuali del papa. Il silenzio sul celibato significa solo che Bergoglio non ritiene che il tema del celibato sia una questione centrale nell’odierna situazione della Chiesa universale. Al contempo l’esortazione insiste sulla specificità delle molteplici inculturazioni che il messaggio della Chiesa assume nello spazio e nel tempo. È il riconoscimento della grande varietà di assetti che le Chiese locali possono assumere in relazione ai loro peculiari contesti. In tal modo si lascia aperta la porta ad un futuro mutamento disciplinare in materia».

Sulla centralità dell’Eucaristia per le comunità cristiane e la riproposizione dell’Eucaristia come prerogativa esclusiva del prete.

«L’esortazione parte dal riconoscimento che i vescovi dell’Amazzonia conoscono la situazione molto meglio del papa e della curia romana. Sul tema si limita ad affermare che un mutamento in ordine al nesso tra sacramento dell’ordine e presidenza dell’eucarestia costituirebbe un cambiamento che non sarebbe recepito a livello della Chiesa universale. Pur mostrandosi consapevole del problema, intende avvertire che la soluzione proposta nel documento sinodale in questo momento metterebbe in questione l’unità ecclesiale».

Sulla questione delle donne.

«La chiusura sull’ordinazione femminile si accompagna a due aperture. Sono aperture presenti nel precedente insegnamento del papa, ma vengono ribadite e se ne sollecita l’attuazione.

  1. In primo luogo si raccomanda che le donne accedano alla responsabilità del governo delle comunità ecclesiali, mentre ora svolgono prevalentemente ruoli di servizio.
  2. In secondo luogo si invita all’approfondimento teologico perché si trovino nuove funzioni ad esse riservate in grado di valorizzare pienamente la loro presenza ecclesiale».

Sul rapporto tra l’esortazione post-sinodale di papa Francesco e il magistero dei predecessori papa Ratzinger e papa Wojtyla.

Non si registrano arretramenti rispetto alle posizioni riformiste espresse in precedenza; non vengono però sviluppate e tradotte in misure concrete. Di fronte al montare di un’opposizione che la presenza di un papa emerito, abilmente strumentalizzato anche da settori della curia romana, rende pericolosa per l’unità della Chiesa, Francesco si dilunga a spiegare agli oppositori le ragioni che giustificano le scelte compiute. Si può dire che i tradizionalisti hanno ottenuto il loro scopo: impedire al processo riformatore di avanzare; ma il progetto di neo-cristianità alimentato da Giovanni Paolo II e, ancora più, da Benedetto XVI è definitivamente tramontato.

Ai numeri 104-105 dell’esortazione si spiega che il conflitto sulle questioni controverse si supera ad un livello superiore, in una nuova realtà. Emerge dal testo questa sintesi superiore?

«Non c’è alcuna sintesi superiore; ma non c’è nemmeno una scelta conservatrice. Penso che il papa prenda atto che in questo momento gli equilibri ecclesiali non consentono, per evitare una lacerazione all’interno della Chiesa, di realizzare i mutamenti che gli hanno chiesto i settori ecclesiali cui pure si mostra simpatetico. Quel passo significa un invito a lavorare per superare le opposizioni e trovare una soluzione. Probabilmente è la constatazione del limite invalicabile cui è giunto il suo governo e un passaggio di consegne al successore».

Sulla questione della sinodalità. Una proposta sinodale non è stata accolta, come fece Paolo VI con la “Humanæ vitæ”, ma allora Montini ignorò solo il parere di una commissione.

«Il Sinodo della Chiesa tedesca è in cammino; penso che sul suo esempio altri Sinodi si faranno. Il problema cui, fin dal Concilio Vaticano II, la Chiesa si trova di fronte è la modalità di trasmettere il messaggio evangelico agli uomini d’oggi. Sono uomini che vivono in uno spazio e in un tempo determinati. Il governo di Francesco ha mostrato che il percorso sinodale appare la via più adeguata per incontrarli sul piano pastorale. A meno di volersi rinchiudere nei confini della setta, le gerarchie locali dovranno intraprendere questa strada. Solo al termine di questo percorso si potrà sapere come si riconfigurerà il ministero petrino cui è affidata la tutela dell’unità ecclesiale. Ai suoi tempi Paolo VI poteva ancora immaginare un’unità ecclesiale garantita dalla monarchia papale, oggi si può solo prospettarla come una sinfonia di Chiese diverse».

Quali saranno le reazioni in America Latina e tra i “sostenitori” del papa?

Immagino che l’Esortazione venga letta come un invito ad impegnarsi per superare il ritardo teologico, gli interessi clericali e le resistenze politiche che hanno impedito la ricezione del documento sinodale a livello della Chiesa universale.

Si tratta di una vittoria dei fautori della tradizione e di una sconfitta dei riformatori?

No. I tradizionalisti hanno ottenuto di bloccare lo sviluppo del processo riformatore, ma i presupposti culturali del processo sono pienamente ribaditi nel documento. Penso che il papa sia convinto che occorra una lenta opera di maturazione all’interno della Chiesa perché la riforma possa riprendere il suo corso.

Luca Kocci      Adista n.7        22 febbraio 2020

Daniele Menozzi, emerito Scuola Normale Superiore di Pisa

Chiesa di tutti 28 febbraio 2020

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/la-riforma-non-arretra-ma-la-chiesa-deve-maturare

 

Roma non locuta, causa non finita

            «Non svilupperò qui tutte le questioni abbondantemente esposte nel Documento conclusivo», afferma il Papa al n. 2 di Querida Amazonía, l’Esortazione apostolica che segue (viene denominata come “post-sinodale” infatti; “post”, non “ante”) la celebrazione della recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi e che è stata questa mattina presentata in Vaticano.

            Ora, subito, ex abrupto come si dice, la domanda. Il numero 111 del Documento Finale della medesima Assemblea Sinodale ha posto la seguente questione, testualmente (va letto nella sua interezza): «Molte comunità ecclesiali del territorio amazzonico hanno enormi difficoltà di accesso all’Eucaristia. A volte non passano solo mesi, ma anche diversi anni prima che un sacerdote possa tornare in una comunità per celebrare l’Eucaristia, offrire il sacramento della riconciliazione o ungere i malati nella comunità. Apprezziamo il celibato come un dono di Dio (Sacerdotalis Cælibatus, 1) nella misura in cui questo dono consente al discepolo missionario, ordinato al presbiterato, di dedicarsi pienamente al servizio del Santo Popolo di Dio. Stimola la carità pastorale e preghiamo che ci siano molte vocazioni che vivono il sacerdozio celibe. Sappiamo che questa disciplina “non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio … sebbene abbia molte ragioni di convenienza con esso” (PO 16). Nella sua enciclica sul celibato sacerdotale, San Paolo VI sostenne questa legge e presentò motivazioni teologiche, spirituali e pastorali che la sostengono. Nel 1992, l’esortazione post-sinodale di San Giovanni Paolo II sulla formazione sacerdotale ha confermato questa tradizione nella Chiesa latina (PDV 29). Considerando che la legittima diversità non danneggia la comunione e l’unità della Chiesa, ma piuttosto la manifesta e la serve (LG 13; OE 6) dando testimonianza della pluralità di riti e discipline esistenti, proponiamo di stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente, nell’ambito delle previsioni di Lumen Gentium 26, per ordinare sacerdoti uomini adatti e riconosciuti dalla comunità, che abbiano esercitato un proficuo diaconato permanente e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, così da sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle aree più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni si sono pronunciati per un approccio universale alla questione.»

www.sinodoamazonico.va/content/sinodoamazonico/it/documenti/documento-finale-del-sinodo-per-l-amazzonia.html

            Domanda: la questione viene “sviluppata” dal Papa in Querida Amazonía (QA)? No. Non viene né affrontata, né sviluppata. La proposta di “stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente per ordinare sacerdoti uomini adatti e riconosciuti dalla comunità, che abbiano esercitato un proficuo diaconato permanente e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile” non viene riscontrata, come se – almeno apparentemente – non fosse il Papa il suo destinatario. Allo stesso tempo, tuttavia, in tutto il testo dell’Esortazione Apostolica non compare neppure una sola volta il sostantivo “celibato” o l’aggettivo “celibe”. Non si dice alcunché né di celibato né di matrimonio congiunti al sacerdozio.

E Lumen Gentium 26, cui il n. 111 del Documento Finale si richiama, di cosa tratta? La Costituzione dogmatica del Concilio sulla Chiesa descrive quanto segue (anche questo è un testo lungo ma va letto): «Il vescovo, insignito della pienezza del sacramento dell’ordine, è «l’economo della grazia del supremo sacerdozio» specialmente nell’eucaristia, che offre egli stesso o fa offrire e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce. Questa Chiesa di Cristo è veramente presente nelle legittime comunità locali di fedeli, le quali, unite ai loro pastori, sono anch’esse chiamate Chiese nel Nuovo Testamento. Esse infatti sono, ciascuna nel proprio territorio, il popolo nuovo chiamato da Dio nello Spirito Santo e in una grande fiducia (cfr. 1Th 1,5). In esse con la predicazione del Vangelo di Cristo vengono radunati i fedeli e si celebra il mistero della Cena del Signore, «affinché per mezzo della carne e del sangue del Signore siano strettamente uniti tutti i fratelli della comunità». In ogni comunità che partecipa all’altare, sotto la sacra presidenza del Vescovo viene offerto il simbolo di quella carità e «unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza». In queste comunità, sebbene spesso piccole e povere e disperse, è presente Cristo, per virtù del quale si costituisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Infatti «la partecipazione del corpo e del sangue di Cristo altro non fa, se non che ci mutiamo in ciò che riceviamo».

Ogni legittima celebrazione dell’eucaristia è diretta dal vescovo, al quale è demandato il compito di prestare e regolare il culto della religione cristiana alla divina Maestà, secondo i precetti del Signore e le leggi della Chiesa, dal suo particolare giudizio ulteriormente determinante per la propria diocesi. In questo modo i vescovi, con la preghiera e il lavoro per il popolo, in varie forme effondono abbondantemente la pienezza della santità di Cristo. Col ministero della parola comunicano la forza di Dio per la salvezza dei credenti (cfr. Rm 1,16), e con i sacramenti, dei quali con la loro autorità organizzano la regolare e fruttuosa distribuzione santificano i fedeli. Regolano l’amministrazione del battesimo, col quale è concesso partecipare al regale sacerdozio di Cristo. Sono i ministri originari della confermazione, dispensatori degli ordini sacri e moderatori della disciplina penitenziale, e con sollecitudine esortano e istruiscono le loro popolazioni, affinché nella liturgia e specialmente nel santo sacrificio della messa compiano la loro parte con fede e devozione. Devono, infine, coll’esempio della loro vita aiutare quelli a cui presiedono, serbando i loro costumi immuni da ogni male, e per quanto possono, con l’aiuto di Dio mutandoli in bene, onde possano, insieme col gregge loro affidato, giungere alla vita eterna.»

www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html

Del vescovo dunque si occupa il n. 26 di Lumen Gentium, non del Papa (di cui s’era occupata al n. 22). Del vescovo locale, che certo anche il Papa è in quanto vescovo di Roma. Che infatti firma da San Giovanni in Laterano e non da San Pietro il suo testo.

            E scrive Francesco al n. 3 di QA: «Nello stesso tempo voglio presentare ufficialmente quel Documento, che ci offre le conclusioni del Sinodo e a cui hanno collaborato tante persone che conoscono meglio di me e della Curia romana la problematica dell’Amazzonia, perché ci vivono, ci soffrono e la amano con passione. Ho preferito non citare tale Documento in questa Esortazione, perché invito a leggerlo integralmente

http://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20200202_querida-amazonia.html

Presentazione ufficiale e invito alla lettura non sono propriamente sinonimi. Ed alla odierna conferenza stampa di presentazione dell’Esortazione Apostolica, il Segretario Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica, il cardinale gesuita Michael Czerny, ha voluto precisare che «Così abbiamo due documenti di diverso tenore. Il Documento Conclusivo è il risultato del cammino sinodale, mentre l’Esortazione Querida Amazonía contiene le riflessioni del Santo Padre sul cammino sinodale e il documento conclusivo. Il primo contiene le proposte presentate e votate dai Padri Sinodali ed ha il peso di un documento sinodale conclusivo. Il secondo, che riflette l’intero cammino e il suo documento conclusivo, ha l’autorità del magistero ordinario del Successore di Pietro», precisando poco prima che «a parte l’autorità magisteriale formale, la presentazione ufficiale e l’incoraggiamento conferiscono al documento conclusivo una certa autorità morale. Ignorarla sarebbe una mancanza di obbedienza alla legittima autorità del Santo Padre, mentre trovare difficili alcuni punti non sarebbe considerata una mancanza di fede.»

            Dunque il Documento Finale non ha autorità magisteriale bensì “una certa autorità morale” e dunque, però, è pure vero che sua presentazione ufficiale e incoraggiamento alla sua lettura non sono di spessore equivalente. Ed è pure vero, ancora, che viene in causa la cosiddetta “obbedienza di fede”, mediata oppure no dalla autorità del Papa. Del resto che vi sia qualcuno che conosce meglio del Papa e della Curia romana l’Amazzonia è adesso finalmente un’affermazione tutta magisteriale, secondo quanto appena riportato.

            In uno dei primissimi commenti, apparsi da poche ore, Antonio Spadaro S.J., su Civiltà Cattolica, oggi stesso scrive: «L’Esortazione dunque non supera il Documento finale, né intende dargli semplicemente il suo sigillo. Francesco lo assume tutto e lo accompagna, guidandone la ricezione all’interno del percorso sinodale, che è in divenire e non può certamente dirsi concluso. Il Papa si esprime perché vuole dare impulso al processo sinodale. Addirittura, Francesco decide questa volta di non citare affatto il Documento perché questo avrebbe dato l’impressione di una selezione dei contenuti. Invece il suo obiettivo è quello di invitare a una lettura completa perché esso arricchisca, sfidi e ispiri la Chiesa: proprio questi sono i tre verbi usati dal Pontefice.»

E prosegue Spadaro: «Resta l’appello aperto alla riflessione ulteriore: «è urgente fare in modo che i popoli amazzonici non siano privati del Cibo di nuova vita e del Sacramento del perdono» (n. 89). Non si offrono ricette. Il Papa assume il documento sinodale e le sue istanze offrendo varie opzioni di riflessione, ma lascia alla riflessione post-sinodale l’approfondimento e la proposta.»

            “Non si offrono ricette”. E non si danno sigilli, il che – in assoluta franchezza – non è un contributo di grandissima chiarezza. Ci si chiede quale sia infatti l’autorità compente, come si esprime il Documento Finale, che deve “stabilire criteri e disposizioni (…) nell’ambito delle previsioni di Lumen Gentium 26” per procedere all’ordinazione di candidati presbiteri già viventi in matrimonio. QA non risponde.

Ma non risponde perché non vuole rispondere oppure perché le competenze sono già chiare e non c’è bisogno di risposta? Sostenere quest’ultima ipotesi è di certo un azzardo ed anche un errore, dal momento che il requisito del celibato per l’ordinazione presbiterale è di diritto comune nella Chiesa Latina.

            E però QA prevede forse restrizioni alla possibilità per la Santa Sede di dispensare dall’impedimento di matrimonio per diventare preti? No. Prevede “allargamenti”? Neppure.

            Prevede dunque che cosa? Con molta semplicità bisogna concludere che non prevede al riguardo nulla, con ciò lasciando non risolta la questione e mantenendo tuttavia la forza “morale” della proposta di cui al n. 111 del Documento Finale.

Resta, insomma, una domanda, molto precisa ed esplicita, che in QA non riceve risposta di alcun tipo.

Resta una domanda dal Papa ora, è indubitabile, “presentata ufficialmente” assieme all’intero Documento Finale, che non avrà forza magisteriale – ammesso e non concesso che i nn. 2 e 3 di QA non abbiano “pontificalizzato” i contenuti del Documento Finale -, ma che ha di sicuro, per stesso riconoscimento cardinalizio odierno, “una certa autorità morale”. E questa autorità morale impegna chi?

            Ecco. L’aspetto cruciale, problematico, a tratti anche drammatico se si vuole, è che tale domanda – merita ribadirlo, senza pedanteria – non riceve risposte in QA.

            E tuttavia, di nuovo: vi sono esperienze istituzionali che a quella proposta, formulata nell’ottobre dell’anno di grazia 2019, hanno fornito riscontro forse già da qualche tempo? Sì, da circa duemila anni, l’hanno raccolta e sviluppata le Chiese dell’Oriente, non “dell’Oriente” in senso onirico e poetico, ma “dell’Oriente” in precisissimo senso giuridico e disciplinare.

            Che poi, stando alla formulazione del n. 111 del Documento Finale, sia così tanto destabilizzante pensare all’ordinazione presbiterale di un già ordinato diacono per il solo fatto che abbia una moglie pare, sempre in tutta franchezza, al limite dell’insostenibile. Non si è mai parlato di concedere il matrimonio ai preti ma di ordinare gli sposati.

            Permettiamoci una boutade, che potrebbe non essere poi così strana: e se Vescovi di rito orientale raccogliessero l’esortazione, rivolta dal Papa al n. 90 di QA a “tutti i Vescovi”, a scegliere l’Amazzonia per inviarvi propri preti, nel loro caso legittimamente sposati? È solo una suggestione surreale, ovviamente, ma la questione “rituale” è un’altra di quelle non sviluppate in QA.

            Il Papa, per sua amissione, lo si è annotato, non ha sviluppato “tutte” le questioni “abbondantemente esposte” nel Documento finale. Non sembra di poter concludere che perciò le abbia senz’altro rigettate; piuttosto, appunto, “non sviluppate”. Era il caso di svilupparle? Sì. La sinodalità questo comporterebbe, finché parliamo di Chiesa Cattolica.

            Perché ora chi e quando le potrà sviluppare? Non lo si sa: il tema è sempre, affannosamente, questo e non è di poca importanza. Quelle questioni urgono, premono, esigono di essere considerate e, se non vengono “sviluppate”, non si risolvono. E, per farlo in modo efficace e non solo, diciamo, “affettivo”, c’è bisogno, rigoroso bisogno, impellente bisogno, di individuare le precise competenze.

            Roma non locuta, causa non finita.

Stefano Sodaro           Il giornale di Rodafà  12 febbraio 2020

https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20201/edizione-straordinaria—12-febbraio-2020/roma-non-locuta-causa-non-finita

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SOCIOLOGIA

Culle vuote. Un fenomeno allarmante

Il 2019 è stato per il nostro Paese l’anno del ricambio naturale più basso degli ultimi centodue anni: sono nati 435mila bambini, con una diminuzione di 116mila nascite dal 2018, il massimo calo dei nati con un divario mai così accentuato rispetto all’aumento di chi invecchia (per 100 persone decedute sono nati soltanto 67 bambini, mentre dieci anni fa erano 96). Sono questi i dati più rilevanti di un recente rapporto dell’Istat, che denuncia un declino demografico preoccupante – vi è chi parla di «inverno demografico» – con connotati decisamente strutturali. L’allarme provocato da tale situazione è stato denunciato con apprensione dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale ha insistito perché venga assunta «ogni iniziativa per contrastare questo fenomeno», rilevando come esso rischi di indebolire «il tessuto del nostro Paese».

L’Istat non ha mancato di fornire poi una serie di altri dati di processi in qualche modo collegati con il calo delle nascite e, più in generale, con la diminuzione complessiva della popolazione. Tra questi meritano una particolare segnalazione il fatto che l’età media delle madri italiane è fra le più alte dell’Ue, 32,1 anni – con tassi di fecondità sempre più bassi nelle donne in età giovanile (fino a circa trent’anni) e un progressivo rialzo nelle donne più anziane (oltre i trent’anni) – , e la considerazione che al calo delle nascite si contrappone l’aumento della speranza di vita, che è cresciuta nel 2019 di un mese, giungendo a 85,3 anni per le donne e a 81 per gli uomini.

Alla ricerca delle cause. Il declino rilevato, il quale risulterebbe peraltro ancor più consistente se non vi fosse il contributo positivo delle donne immigrate – circa un quinto dei bambini nati nel 2019 ha una madre straniera – ha pesanti ricadute negative sul sistema di welfare del Paese: è sufficiente richiamare qui l’attenzione sulle spese pensionistiche e su quelle della sanità. L’urgenza di intervenire per invertire la rotta attuale è dunque evidente. Ma per dare efficacia all’intervento non si può prescindere da un’analisi accurata delle cause di ordine sociale e culturale che sono all’origine del prodursi del fenomeno della denatalità.

Non va certo sottovalutata, al riguardo, l’insicurezza economica che ha ripercussioni immediate sugli stili di vita – il progressivo impoverimento del ceto medio provoca inevitabilmente un ridimensionamento del tenore di vita, di abitudini inveterate e di comodità acquisite – e che si manifesta soprattutto nell’assenza di prospettive lavorative: la inoccupazione giovanile ha raggiunto da noi livelli drammatici. E tuttavia non possono essere sottaciute anche cause più profonde di carattere culturale, come ha giustamente rilevato commentando i dati dell’Istat, il sociologo Giuseppe De Rita, fondatore del Censis ed ex Presidente del Cnel, il quale attribuisce il crollo delle nascite a «una dinamica culturale malata», risultato di un Paese impaurito, ripiegato sul presente e incapace di pensare al futuro.

De Rita aggiunge inoltre una serie di osservazioni di carattere più generale, che ruotano attorno alla crescita dell’individualismo, all’avanzare cioè di una società in cui – come egli osserva con acutezza – il sopravvento dell’io è giunto al punto che non si sa più dire «noi». Questa accentuata egolatria, che si traduce in una forma di autoreferenzialità di coppia, la quale tende a soddisfare in modo esclusivo i propri desideri edonistici di evasione e di divertimento, conduce a concepire il figlio come un impedimento alla propria autorealizzazione, come portatore di una svolta nella vita dei due, la quale comporta inevitabili limitazioni nell’impiego del proprio tempo e delle proprie energie e costringe all’assunzione di precise e gravose responsabilità. Il che, ovviamente, si traduce – è ancora De Rita a ricordarlo – nella indisponibilità «a fare sacrifici per proiettare in avanti, attraverso i figli, le proprie speranze».

Ma c’è di più. La mancanza di speranza, che è alla base del calo della natalità, non è legata soltanto alla cattiva volontà della coppia proiettata totalmente su se stessa e sui propri interessi; ha anche radici profonde nell’assenza di un’idea di futuro, e di conseguenza nel farsi strada di un atteggiamento di ripiegamento sul presente e di apprensione e di paura nei confronti dell’avvenire. La rapidità dei cambiamenti in corso in tutti gli ambiti della vita – l’accelerazione del tempo è un fattore in permanente divenire – impedisce che si facciano previsioni seriamente fondate su ciò che avverrà e che si possano programmare, in modo efficace, le proprie scelte. A questo si aggiunge – e non è cosa di poco conto – l’assenza di prospettive positive per una serie di fenomeni, che vanno dall’insicurezza economica e occupazionale già ricordata al venir meno di certezze religiose e morali, che costituivano in passato una garanzia rassicurante. Il futuro rischia di essere, per queste ragioni, più temuto che atteso, fatto oggetto più di paura che di speranza.

Questo stato di cose rifluisce immediatamente su una scelta come quella di mettere al mondo un figlio, nella quale è implicato un modo di atteggiarsi complessivo nei confronti della vita. Al di là delle motivazioni già addotte, vengono allora qui in primo piano altre motivazioni più strettamente legate allo stato di grande precarietà in cui il mondo giovanile versa e al disagio che nasce dall’assenza di radici e di precisi riferimenti valoriali, nonché dal timore per i pericoli in cui i giovani di domani possono incorrere. La rapidità con cui si producono i salti generazionali – il passaggio da una generazione all’altra è ormai calcolabile in cinque/sei anni – con l’affermarsi di visioni del mondo assai differenti e la crisi dell’autorità paterna (e in senso più generale di quella genitoriale) rendono sempre più difficile la messa in atto di un processo educativo efficace. Si oscilla tra imposizione, del tutto improduttiva, e libertà assoluta senza alcuna norma di condotta.

Ad alimentare ulteriormente il disagio vi è poi anche – ritorna qui, sia pure in termini meno banali, la prospettiva autoreferenziale – la difesa da parte della coppia del proprio futuro il quale rischia di venire compromesso dall’arrivo del figlio, che può rappresentare un’ipoteca nei confronti di esso, sia per l’impegno lavorativo e professionale – si pensi alle donne in carriera in assenza di servizi adeguati – sia per la programmazione del tempo libero in ordine alla fruizione di attività culturali e sociali. Questo spiega perché in molti casi la prospettiva del figlio non è a priori pregiudizialmente esclusa, ma rinviata al momento in cui si verificheranno precise condizioni, che spesso non trovano poi riscontro. O spiega il perché del ricorso sempre più frequente a tecniche riproduttive artificiali – la cosiddetta procreazione medicalmente assistita (Pma) – per esaudire il desiderio di genitorialità quando ci si trova in età ormai avanzata e si rende impossibile l’accesso alla maternità per via naturale.

Quali vie di uscita? Il quadro descritto non è rassicurante. L’intreccio delle cause, che coinvolgono fattori di natura diversa di carattere socioculturale e di costume lascia intravedere uno scenario destinato a protrarsi nel tempo, con gravi conseguenze per la vita delle giovani generazioni di oggi e di domani. Vi è dunque la necessità di interventi urgenti di natura sociale, che non possono (e non devono) tuttavia ridursi a forme di assistenzialismo momentaneo ed effimero, ma vanno inseriti in una visione integrata ed organica, che si traduca in un sistema di politiche per la famiglia tale da fornire solide garanzie alle coppie che si impegnano a mettere al mondo un figlio.

La situazione dell’Italia è, da questo punto di vista, ancor oggi parecchio arretrata rispetto ai Paesi più avanzati di Europa. Alla voce «famiglia e figlio» è destinato nel nostro Paese l’1,8% del Pil contro il 3% della Svezia e il 2,5% della Francia. Un divario che, nonostante le promesse, i governi degli ultimi decenni non si sono finora impegnati in modo serio a colmare. La possibilità di invertire, o quanto meno di frenare, la tendenza alla denatalità è dunque anzitutto legata all’offerta di una maggiore quantità di servizi e al miglioramento della loro qualità: dai bonus bebè agli asili nido e materni; dai congedi di maternità e di paternità per le donne lavoratrici agli assegni familiari, fino alle detrazioni e alle deduzioni sulle tasse.

Questo insieme di interventi costituisce la base necessaria per mettere in condizione le coppie di dare responsabilmente spazio nelle loro decisioni alla fecondità procreativa. Ma la questione della diminuzione della natalità non è risolvibile soltanto sul terreno economico; presenta aspetti non secondari di ordine culturale ed etico che esigono un approccio specifico di rilevante importanza. Sul versante culturale la possibilità di superare la tentazione del ripiegamento su posizioni autocentrate e chiuse è strettamente connessa alla ricostruzione di un tessuto di comunità, che renda percepibile il senso dell’appartenenza comune e solleciti l’attivazione di forme di partecipazione ispirate al modello della cittadinanza attiva. Mettere al mondo un figlio non è infatti un atto del tutto privato; riveste un importante significato sociale che va ricuperato. L’invecchiamento della società non ha soltanto le pesanti conseguenze negative di carattere finanziario già ricordate; ha anche gravi riflessi a livello del costume e dell’innovazione, in quanto favorisce processi involutivi, che frenano o arrestano lo sviluppo della vita associata.

Tutto quanto fin qui delineato rischierebbe di non produrre tuttavia i risultati sperati se non si accompagnasse a un profondo cambiamento di mentalità, che comporta l’adozione di una scala di valori alternativa rispetto a quella oggi prevalente. Si tratta di fare proprio un modo di concepire la vita nel quale a contare non è soltanto la propria autorealizzazione – individuale e di coppia – o la soddisfazione dei propri desideri – da quelli superflui a quelli più seri come la carriera lavorativa o professionale – ma è l’impegno a rispondere, con senso di responsabilità, alla propria vocazione, recependo le istanze che vengono dal mondo in cui si è inseriti e cercando di dare ad esse soddisfazione. Il valore della trasmissione della vita non può che occupare, in questo quadro, un posto di primo piano nella scala gerarchica. La consapevolezza dell’importanza che riveste il figlio e l’assegnazione a lui del primato nelle scelte di coppia è, in definitiva, una condizione essenziale per uscire dall’attuale situazione, e ridare alla società italiana una speranza di futuro.

Giannino Piana           “Rocca” n. 5 del 1 marzo 2020

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202002/200227piana.pdf

 

Il Cnel: “Più donne che lavorano significa più crescita”

Le pari opportunità nel mondo del lavoro come volano allo sviluppo dell’economia. È l’obiettivo da raggiungere per il presidente del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) Tiziano Treu e la consigliera Paola Vacchina, intervenuti oggi alla Camera. Lo riporta una nota dell’agenzia di stampa Adnkronos, che ci mette al corrente di come, per Treu e Vacchina “incrementare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro sia una misura essenziale per la crescita”.

            Il presidente del Cnel e la consigliera lo hanno dichiarato all’audizione in commissione Lavoro alla Camera, durante l’esame delle abbinate proposte di legge, tra cui quella avanzata proprio dal Cnel sulle ‘Modifiche all’articolo 46 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, in materia di rapporto sulla situazione del personale’.

            “La partecipazione dei generi – si legge nel documento presentato alla Camera, riportato da Adnkronos – al mercato del lavoro è talmente diversa da configurare due diversi mercati, caratterizzati da diverse entità quantitative, da diverse tipologie contrattuali, forme di occupazione e relativo livello di stabilità, da differenti settori economici di occupazione e, al loro interno, anche da ruoli, professioni e qualifiche ricoperte”.

            “Le forze sociali rappresentate al Cnel – continua il documento – segnalano che uno strumento particolarmente versatile, idoneo a ridurre le disuguaglianze di genere e a identificare strumenti condivisi di conciliazione tempi di vita-tempi di lavoro è la contrattazione collettiva, con particolare riferimento a quella aziendale. Occorre uscire dalla logica della rivendicazione e affrontare, con decisione e con misure fra loro coerenti, la questione della condizione occupazionale femminile”.

            Per Treu e Vacchina la valorizzazione professionale delle donne passa anche per una serie di interventi che spingano verso “sostegno alla natalità e al lavoro di qualità“. “Non va sottaciuto, infatti – continuano – che la crescita della partecipazione delle donne al mercato del lavoro non può realizzarsi a discapito della qualità dello stesso, come purtroppo si è verificato nei lunghi anni della crisi attraverso una crescita delle occupazioni a bassa retribuzione e l’aumento incontrollato del part time involontario“.

            Per il Cnel, riporta l’Adnkronos, c’è bisogno di un “salto culturale” che ridefinisca il ruolo della donna anche all’interno della famiglia, nell’ottica di una più equa ripartizione delle responsabilità con il partner.  Treu e Vacchina parlano di “affermazione del principio di co-genitorialità e di condivisione delle responsabilità del lavoro di cura in tutte le fasi della vita familiare, muovendo da azioni che contrastino la perdita economica determinata dal mancato pieno apporto della componente femminile alla crescita e alla competitività, e che intendano il lavoro di cura un investimento di cui beneficia l’intera società”. Ma ammettono che la strada è lunga. “Non si tratta di un percorso facile: occorre soprattutto tener conto che il Paese sconta una drammatica disomogeneità sociale, economica e culturale sul territorio”.

Redazione       La Legge per tutti       27 febbraio 2020

www.laleggepertutti.it/371916_il-cnel-piu-donne-che-lavorano-significa-piu-crescita

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VIOLENZE

Violenza sulle donne, l’importanza del linguaggio

Per cambiare occorre insegnare agli uomini un linguaggio per affrontare e snidare il vittimismo maschile. Che cosa serve adesso in Italia per il cambiamento?

Può sembrare paradossale, ma la discussione costante sul tema del “femminicidio” rischia di lasciare in ombra il fenomeno della violenza domestica perché il cicaleggio mediatico sugli omicidi femminili crea disinformazione e alimenta falsi stereotipi sulla violenza.

Chiunque, uomo o donna, che senta di un caso efferato di cronaca lo condanna e ne rimane indignato. Eppure fra quelle donne e uomini ce n’è uno che fra due giorni diventerà un assassino e una che sarà uccisa. Ma se tutti condanniamo la violenza come mai non riusciamo ad interromperla?

Perché continuiamo a parlare del problema in modo che ne oscura le reali caratteristiche. Invece di parlare delle storie di normalità e della quotidianità che attraversano le esperienze di tutti/e noi, guardiamo al “Mostro assassino” ed alla “Vittima sacrificale”. La retorica dei buoni sentimenti ed il moralismo superficiale prevale sulla riflessione che, secondi i dati ISTAT, il 17% degli uomini e delle donne vivono con la violenza. Quasi tre famiglie su dieci combattono silenziose battaglie quotidiane per contrastare la violenza. Le donne che la subiscono, i bambini, testimoni silenziosi, ma anche gli uomini che la agiscono, che sono qualche volta uomini che cercano di gestire il proprio malessere, ingoiando bocconi che sentono sempre più amari e che finiscono per sputare in forma violenta. Anche loro combattono solitarie lotte interiori, che perdono regolarmente, aumentando il loro senso di fallimento, per resistere alle “provocazioni” e non trovarsi di nuovo in situazioni di violenza.

Ma chi sono gli uomini che agiscono violenza e cosa raccontano dei loro vissuti?

Sono uomini che raccontano di una “loro” sofferenza e che si percepiscono spesso come “vittime” di atteggiamenti vissuti come deliberatamente ostili (“provocazioni”). Uno degli elementi alla base di questo atteggiamento è una socializzazione maschile a non riconoscere le emozioni ed a rispondere alle emozioni come la paura, la vulnerabilità, l’incertezza con la rabbia e l’aggressività. Gli uomini sono socializzati fin da piccoli a non mostrare i propri sentimenti soprattutto se rivelano fragilità: “sii forte, non piangere” si ripete loro fin dall’infanzia! E questi bambini, fragili e vulnerabili, imparano a distaccarsi da tali sentimenti e a reagire a queste sensazioni con ciò che invece viene incoraggiata: la rabbia. Essere un ragazzo/uomo forte, che non si fa mettere i piedi in testa, che risponde con determinazione/aggressività è un tratto che viene valorizzato nell’ambiente dei coetanei e talvolta familiare. La rabbia diventa quindi la risposta socialmente accettabile ai sentimenti di vulnerabilità e fragilità. Questo, combinato ad un modello sociale che incoraggia la dominanza, insegna la superiorità maschile ed un senso di aver diritto all’accudimento e cura da parte delle donne porta ad una miscela esplosiva che legittimerà in futuro l’uso della violenza.

            Occorre quindi, per creare cambiamento, insegnare agli uomini un linguaggio per affrontare la sofferenza, riconoscere la fragilità e la vulnerabilità come aspetti imprescindibili della crescita e della vita, snidare le idee di “vittimismo maschile” spesso frutto di una delega del proprio benessere emotivo a figure femminili ed incoraggiare una assunzione di responsabilità rispetto alla propria cura di sé emotiva e fisica. Occorre trovare un linguaggio che smascheri gli stereotipi sulla mascolinità e femminilità e restituisca uno scenario meno stereotipato e più autentico.

            Allora forse la strada è cominciare a parlare alle persone con un linguaggio che avvicini la violenza. Significa cominciare a domandarci se il nostro linguaggio nelle nostre relazioni affettive è rispettoso. Se, senza neanche pensarci, svalorizziamo il nostro compagno/a con malcelata supponenza. Se dietro l’idea che sia “giusto” non stiamo imponendo all’altro la nostra visione del mondo, piuttosto che riconoscere la differenza e cercare strade diverse per aprire alle mediazioni. Se cediamo o spingiamo ad avere rapporti sessuali che non nascono dalla reciprocità del desiderio.

            Soprattutto dobbiamo cercare un linguaggio che espliciti il problema della violenza maschile contro le donne come una questione degli uomini usando un linguaggio che nomini e non minimizzi tutte le forme di violenza – non solo quella fisica – ma anche quella psicologica, economica, sessuale ed emotiva. Solo attraverso l’uso di un linguaggio diverso sulla violenza che ci permetta di riconoscerlo nella nostra quotidianità possiamo sperare in un cambiamento culturale e sociale.

Alessandra Pauncz, psicologa, presidente del Centro di ascolto Uomini maltrattanti Firenze

Riforma                      28 febbraio 2020

https://riforma.it/it/articolo/2020/02/28/violenza-sulle-donne-limportanza-del-linguaggio?utm_source=newsletter&utm_medium=email

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