NewsUCIPEM n. 778 – 3 novembre 2019

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02 ABBANDONO DEI FIGLI                          Quando è configurabile

03 ADOZIONE INTERNAZIONALE              Nasce “Adozione 3.0”: 49 enti autorizzati e una cabina di regia

03 ADOZIONI NAZIONALI                            Il mistero della banca dati dei bambini adottabili non è risolto

04 AFFIDAMENTO DEI MINORI                 Il caso Bibbiano non contagia il Veneto

05 AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO     Volontà presuntiva legittima il rifiuto delle cure?

07 ASSEGNO DIVORZILE                               Squilibrio economico non è elemento decisivo

08                                                                          Revocato all’ex moglie che lascia lavoro e torna a casa dai genitori

08 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 40, 30 ottobre 2019

10 CENTRO IT. SESSUOLOGIA                    Psicofarmaci e sessualità maschile: storia d’un rapporto complesso

10 CHIESA CATTOLICA                                   Quæstio de mulierum similitudine: T. D’Aquino, donna e schiavo

13                                                                          Ministro, donna, schiavo: la visione tomista e Inter insigniores

14 CHIESE EVANGELICHE                            Dialogo con Fulvio Ferrario sulla ordinazione di uomini sposati

15                                                                          Sinodo amazzonico. Preti sposati? L’analisi del professor Ferrario

17 CONGRESSI –  CONVEGN                       Convegno C.I.C.R.N.F.  Sessualità…… che piacere!?”

17 CONSULTORI FAMILIARI ASL               Consultori a 40 anni da nascita tra passato, presente e futuro 

18 CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI  Consultori Familiari Oggi, anno 27. n.2, 2019   

18 CONSULTORI UCIPEM                            Mantova. Etica, salute e famiglia novembre 2019

18                                                                          Roma. Il Centro La Famiglia, al servizio di genitori e ragazzi

19 DALLA NAVATA                                         XXXI Domenica del Tempo ordinario- Anno C – 3 novembre 2019

19                                                                          Zaccheo e la scoperta d’essere amati senza meriti

20 FAMIGLIA                                                    La costituzione della famiglia nella nostra Costituzione

22 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA        Nel discorso al Sinodo. La frase scritta da Péguy e la sua citazione

22 SINODO PANAMAZZONICO                 “I sacerdoti sposati avvicineranno la Chiesa a tutti”

23                                                                          Due buone una cattiva

25                                                                          I tre vescovi italiani, “conversione” è la parola chiave

26                                                                          Amazzonia e dottrina ecclesiale: sviluppo vero e quello apparente

27                                                                          Un Sinodo positivo, migliore degli altri

29                                                                          La nostra riflessione sul documento finale del Sinodo

30 UCIPEM                                                        Abusi sessuali sui minori e sugli adulti fragili

305 VIOLENZA                                                 Nel rapporto di coppia non esiste un diritto all’amplesso

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ABBANDONO DEI FIGLI

Abbandono dei figli: quando è configurabile

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 4493, 23 febbraio 2018

https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-4493-del-23-02-2018

La Corte di Cassazione ha esaminato una vicenda giudiziaria riguardante un minore la cui madre, durante la gravidanza, aveva abbandonato la Comunità per donne in difficoltà, mettendo a rischio la salute del nascituro. Portata a termine la gravidanza, il minore veniva sottoposto a tutela presso la Comunità. La madre, dapprima si mostrava presente, per un breve periodo, cominciando poi a ridurre le visite fino ad assentarsi in modo prolungato, per poi ripresentarsi saltuariamente.

La sentenza in esame, quindi, si trova, ancora una volta, ad affrontare la delicata questione della comparazione, tutta incentrata sul benessere del minore, tra l’interesse appunto di quest’ultimo, a mantenere un legame con la propria madre naturale, ed il diverso esito di conquistare una nuova famiglia, attraverso l’adozione, che porta alla rescissione totale e definitiva di ogni legame con la prima.

Il diritto del minore ad una famiglia. Come si evince dall’art. 1 della L. 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto del minore ad una famiglia, lo stesso ha il diritto di crescere ed essere educato nell’ambito del proprio nucleo familiare.              www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm

L’art. 8, inoltre, precisa che, nel caso in cui sussista una condizione di abbandono e di mancata assistenza morale e materiale da parte dei genitori, interviene la dichiarazione di adottabilità. L’abbandono si configura nell’art. 30 della Costituzione come una grave ed irreversibile violazione, da parte del genitore, al rispetto degli obblighi volti alla educazione ed istruzione dei figli.

Gli artt. 147 e 315 bis c.c., inoltre, individuano i doveri dei genitori verso i figli. Il matrimonio, infatti, impone ad entrambi i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità e delle loro inclinazioni naturali e spirituali.

Adozione quale extrema ratio. Nel caso in esame, la sentenza della Corte di Appello, revocava lo stato di adottabilità del minore, in quanto la prerogativa delle istituzioni deve essere quella di tutelare la genitorialità applicando, solo in estrema ratio, la soluzione dell’adozione, precisando, pertanto, che una mera espressione di volontà dei genitori al recupero delle capacità genitoriali non è idonea al superamento dell’abbandono, ma va valutata con la condizione di irreversibilità della violazione agli obblighi genitoriali, “solo fino a quando ciò non comporti un’incidenza grave ed irreparabile sul piano dello sviluppo psicofisico del minore”, art. 1, L. 184/1983.

Tale irreversibilità, dunque, deve essere correlata alle esigenze di sviluppo del minore e alla concreta possibilità di pregiudizio, ad esso arrecato, dovuto alla incertezza o alla durata del percorso del recupero genitoriale (Cass. nn. 1837/2011 e 9609/2011).

Legame “ambivalente”. Tale richiamata valutazione sulla tempistica, infine, ipotizza anche una superabilità del “legame ambivalente” esistente tra madre e figlio, questo, infatti, deve valutarsi come circostanza che premia l’importanza dell’interesse del minore ad ottenere, nell’ambiente più idoneo, un sano sviluppo psico-fisico, interesse che trascende e nei casi estremi comporta la rescissione dei legami biologici, nonché il superamento delle relazioni affettive non compatibili con un armonioso sviluppo psico-fisico del minore stesso, come affermato dalle ultime sentenze di Cassazione in merito (Cass. Civ. n. 10721 dell’8/5/2013 e n. 1837 del 26/1/2011).

Le considerazioni innanzi esposte, confermate in via definitiva dalla Cassazione, fanno, quindi, apparire di immediata evidenza come, una mera espressione di volontà dei genitori, cioè una speranza di recupero delle capacità genitoriali, non sia idonea al superamento dell’abbandono ma va valutata, volta per volta, la concreta possibilità di pregiudizio del minore e la irreversibilità dell’abbandono da parte del genitore naturale.

Avv. Adriana Scamarcio        news letter Studio Cataldi 28 ottobre 2029

www.studiocataldi.it/articoli/36178-abbandono-dei-figli-quando-e-configurabile.asp

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Nasce “Adozione 3.0”: 49 enti autorizzati e una cabina di regia per rilanciare l’adozione internazionale

“Il sistema che deve accompagnare bambini e coppie, protagonisti della meravigliosa avventura dell’adozione internazionale, ha bisogno di unità di intenti, di azioni e di collaborazione fra gli attori. E tutti gli Enti, uniti, ci sono”. 49 Enti Autorizzati all’adozione internazionale in Italia, sui 51 totali, sono tornati a radunarsi in un’assemblea autoconvocata a Roma, per chiedere a gran voce il rilancio del settore, colpito da una crisi drammatica negli ultimi otto anni, provocata anche dalla continua distrazione dei Governi che si sono susseguiti alla guida del Paese.

            Dopo un primo decennio, dal 2000 al 2010, all’insegna di una forte crescita, con il raggiungimento del tetto di 4.300 adozioni annuali, i nove anni successivi hanno infatti fatto segnare un vertiginoso calo fino a toccare le attuali mille adozioni scarse all’anno.

            Così, la consapevolezza che le adozioni internazionali sono un bene per la collettività, i bambini, le famiglie e la società e che hanno bisogno di un chiaro e deciso rilancio, sia operativo che culturale, perché non vada perduta la positività che portano con sé, ha spinto gli Enti Autorizzati a incontrarsi in forma autonoma, in mancanza di altra possibilità. In virtù di questa stessa consapevolezza gli Enti hanno inoltre istituito una “cabina di regia”, denominata “Adozione 3.0”, perché il terzo decennio dell’adozione internazionale possa essere quello del rilancio.

            “Certamente – fanno sapere gli Enti Autorizzati in una nota congiunta – le adozioni internazionali hanno subito cambiamenti, ne siamo profondamente consapevoli. Ma il sistema italiano, ancora secondo nel mondo, non va trascurato con il pericolo che lentamente si paralizzi e si spenga. Le coppie italiane sono una grande risorsa per i bambini che aspettano una famiglia, ma urge sostenerle e concretamente ridare loro la speranza che il percorso verso la genitorialità adottiva è possibile”.

            “Dopo due anni, finalmente – notano ancora gli Enti – la CAI – Commissione Adozioni Internazionali ha un nuovo Presidente con cui gli Enti Autorizzati chiederanno subito di interloquire con volontà di collaborazione e con proposte per il rilancio delle adozioni internazionali. Il sistema italiano a tutt’oggi ha quattro attori principali: la stessa CAI, gli Enti Autorizzati, i Tribunali per i Minorenni e i Servizi Sociali. Il sistema che deve accompagnare bambini e coppie, protagonisti della meravigliosa avventura dell’adozione internazionale, ha bisogno di unità di intenti, di azioni e di collaborazione fra gli attori. E tutti gli Enti, uniti, ci sono”

Segue elenco degli Enti, tra cui ISTITUTO LA CASA

AiBinews        31 ottobre 2019

www.aibi.it/ita/nasce-adozione-3-0-49-enti-autorizzati-e-una-cabina-di-regia-per-rilanciare-ladozione-internazionale

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ADOZIONI NAZIONALI

Il mistero della banca dati dei bambini adottabili non è ancora stato risolto… dopo 20 anni

 “L’Italia non è un Paese per famiglie adottive”. Comincia così il terzo episodio dell’inchiesta del giornalista Igor Traboni sul mondo dell’adozione per Orwell.it. Un episodio che, a differenza dei due precedenti, nei quali si era eviscerato il tema dell’adozione internazionale, si concentra sulle adozioni nazionali.

            “Per ogni bambino italiano potenzialmente adottabile – spiega Traboni – ci sono circa 10 coppie disponibili a farlo. Eppure, ogni anno, le sentenze di adozione sono di meno”. Inoltre, prosegue il giornalista, “l’Italia (…) nel 1998 ha ratificato la convenzione dell’Aja, punto di riferimento pressoché mondiale per la tutela dei minori e la cooperazione internazionale. Eppure i bambini italiani non sono adottabili da una coppia straniera! E qui si rasenta l’assurdo, perché: o fai parte di certe regole e, quindi, le applichi tutte, oppure sei inadempiente rispetto a queste”.

            Traboni ha, su questo tema, intervistato il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini. Il quale ha spiegato: “Diciamo subito che, come Enti autorizzati non abbiamo competenza sulle adozioni nazionali, la cui materia è di pertinenza dei Tribunali dei minori. Però, c’è questo problema dei bambini italiani che, di fatto, non sono adottabili da cittadini di altre nazioni. A noi è capitato più volte che proprio dall’estero, per esempio da coppie italo-americane, ci venga richiesto di poter adottare in Italia, ma… non si può. Come Ai.Bi. portiamo avanti questa battaglia da molti anni, ma le nostre richieste sono sempre state respinte dalla CAI, la Commissione adozioni, con la motivazione che, in pratica, finché non ci sarà una banca-dati delle adozioni nazionali, non è possibile applicare il principio della reciprocità”.

            “La realtà italiana – prosegue a ruota Traboni – insomma, è quella di una grande precarietà che persiste, perché la banca dati, sulla carta, è prevista da una Legge specifica (la numero 149 del 28 marzo 2001 all’articolo 40)                                                               www.camera.it/parlam/leggi/01149l.htm

poi, però, è servito più di un decennio successivo (e tutta l’ostinazione dell’Aibi) per arrivare a una sentenza del Tar di Roma che (nel febbraio 2013) ha obbligato il Ministero della Giustizia a istituirla. Tutto risolto? Neanche per sogno, perché solo nel 2017 il Ministero ha fatto sapere che, finalmente, i 29 Tribunali per i minori sono collegati tra loro. In pratica, tutto questo tempo (16 anni…) è stato necessario per mettere in rete 29 computer!”

“Anche noi Enti autorizzati – chiosa il presidente dell’Ai.Bi. – potremmo dare una grossa mano, collaborando con i Tribunali, nell’interesse del minore, ma…”. Ma la banca dati ancora non funziona…

AiBinews        28 ottobre 2019:

www.aibi.it/ita/adozione-nazionale-griffini-ai-bi-il-mistero-della-banca-dati-dei-bambini-adottabili-non-e-ancora-stato-risolto-dopo-20-anni

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AFFIDAMENTO DEI MINORI

Il caso Bibbiano non contagia il Veneto

Il terremoto Bibbiano – tra tante conseguenze negative – sta producendo anche non pochi effetti positivi. Mentre l’inchiesta della procura di Reggio Emilia – 16 ai domiciliari e 27 indagati – è in dirittura di arrivo, sta per concludersi anche il lavoro della Commissione regionale d’inchiesta in Emilia Romagna, con la richiesta alla Regione di costituirsi parte civile. E intanto nascono comitati dal basso con l’obiettivo di fare pulizia in un settore con troppe ombre. Ieri a Milano prima uscita del Comitato ‘Contro l’ingiustizia familiare e personale’ presieduto dall’ex sindaco Gabriele Albertini. Già operativo quello delle ‘Madri unite contro la violenza istituzionale’: centinaia di mamme vittime dell’alienazione parentale.

Benvenuti a Bassano, dove l’affido non è parola da pronunciare con imbarazzo ma rimane, come dovrebbe essere, strumento solidale per aiutare un bambino in difficoltà. Qui il caso Bibbiano non ha inciso in alcun modo nelle scelta delle famiglie che si aprono all’accoglienza. I corsi formativi per le coppie fanno registrare il tutto esaurito, le richieste sono in aumento e si realizzano strategie vincenti che coinvolgono strutture pubbliche, privato sociale e parrocchie.

            Nessun miracolo in questa terra a cavallo tra le province di Vicenza, Treviso, Padova e Trento, dove il servizio affidi della Asl 7 coinvolge 23 Comuni per una popolazione di circa 180mila persone. Solo ordinaria efficienza di un gruppo di professioniste degne di questo nome. A dimostrazione che anche per l’assistenza ai minori in difficoltà si può lavorare bene e onestamente. Con benefici che si allargano a tutta la società. «Lavoriamo insieme da vent’anni e il nostro è un territorio storicamente accogliente. Abbiamo testimonianze di solidarietà con i pellegrini che passavano di qui per raggiungere Roma, fin dall’anno mille», minimizza Sonia Scalco, pedagogista che con un gruppo di colleghe – Sabrina Passuello (educatrice), Nancy Zanardello (psicologa) e Silvia Gazzola (assistente sociale) – manda avanti questa struttura direttamente legata al Consultorio familiare Asl diretto da Simonetta Marinangeli.

Tutto pubblico. Ma da queste parti la definizione vale proprio nel suo significato originale, cioè di tutti. L’esempio del ponte degli alpini noto in tutto il mondo, costruito e ricostruito più volte con il concorso di tutta la popolazione, sembra quasi banale. Ma serve per capire che, sia per le opere pubbliche sia per quelle che riguardano le relazioni umane, la comunità respira insieme. E la costruzione del bene comune diventa reale anche con il corretto funzionamento del servizio affidi. A cominciare dalle fondazioni storiche, come la ‘Pirani-Cremona’, intitolata a due sacerdoti lungimiranti, oltre che profondamente impegnati nelle opere di carità, che nell’Ottocento crearono due orfanotrofi e oggi, chi ne ha raccolto l’eredità, prosegue quell’impegno con le comunità d’accoglienza. Non sono nostalgie del passato. Quella fantasia del bene oggi investe, senza soluzione di continuità, l’impegno per i minori. E il motivo per cui l’effetto Bibbiano qui non ha avuto ricadute ha una spiegazione ben precisa che si può sintetizzare in due parole: professionalità e fiducia reciproca.

«Nel 2017 – prosegue Sonia Sclaco – abbiamo lanciato una nuova campagna affidi. Abbiamo creato un personaggio, una bambina di nome Mirta, e attorno a lei abbiamo inventato una storia. Alla bambina abbiamo regalato una famiglia che abbiamo chiamato Bottoni, perché i bottoni servono appunto a collegare due parti. E poi da lì è cominciato il diluvio». Che, da queste parti, vuol dire successo. La storia di Mirta e della famiglia Bottoni è diventata un libro regalato a tutte le famiglie affidatarie, e poi raccontato come filastrocca, con l’aiuto di un cantastorie, nella Biblioteca comunale.

Ai bambini delle scuole è stato chiesto di trovare un nome per gli altri personaggi che sono andati via via aggiungendosi alla narrazione. E dal libro si è passati al teatro con lo spettacolo ‘Mirta sulla coperta’ (altro simbolo di protezione e di calore). E poi allo spot messo in onda dalle tv locali. Ma se a Bassano e dintorni Mirta e la famiglia Bottoni sono più amate di Peppa Pig e sono diventate sinonimo di famiglia accogliente e solidale, sarebbe un po’ semplicistico concludere che il buon funzionamento del servizio affidi sia legato solo a questa simpatica invenzione. «Sappiamo che per seminare una cultura della generatività – riprende l’esperta – servono certamente i simboli, ma è determinante la testimonianza delle famiglie. E più famiglie abbiamo più sarà possibile fare abbinamenti con i bambini che hanno bisogno di due genitori aggiuntivi».

A Bassano la qualità delle relazioni conta più dei numeri. Che pure non mancano: 129 le famiglie disponibili in banca dati. A fine 2018 c’erano 13 affidi diurni, 5 semiresidenziali, 43 residenziali e 2 di pronta accoglienza, a cui vanno aggiunti gli affiancamenti (affidi diurni un po’ più blandi), una quindicina. Tipologie diverse, come previsto dalla legge, per cercare di dare risposte alle diverse esigenze. Sonia Scalco, con le colleghe, è la prima a sapere che non tutti i bambini possono andare in affido. Ci sono anche piccoli che, a causa di quello che hanno vissuto nelle famiglie d’origine, è meglio siano assistiti in una comunità.

«Ma – fa osservare la pedagogista – il nostro obiettivo è sempre quello di salvaguardare per quanto possibile il rapporto con la famiglia di origine. E spesso ci riusciamo». Importante anche la collaborazione con le parrocchie. Nel 2018 il centro affidi di Bassano ha aderito al progetto ‘Terre ferme’ 2018 (Unicef, città di Palermo, Cnca) per sostenere i minori stranieri non accompagnati. «Due ragazzi sono stati accolti nel nostro territorio. Uno nella canonica di Cassola alle porte di Bassano dove il parroco don Stefano Calchiolo, con don Vittorio Gnoato e don Adriano Tessarolo hanno potuto contare sulla collaborazione di Comune, realtà locali e volontariato». Della serie insieme è meglio. Anche per l’aiuto ai minori in difficoltà

Luciano Moia Avvenire         30 ottobre 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/affidi-il-caso-bibbiano-non-contagia-il-veneto

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AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO

Volontà presuntiva legittima il rifiuto delle cure?

Per il Tribunale di Roma la risposta è affermativa ma solo se l’amministratore di sostegno ha poteri di rappresentanza esclusiva in ambito sanitario e in difetto di contrasto tra questi e il medico: è il solo legittimato ad esprimere il relativo consenso informato in materia.

Ne consegue che, in assenza di parere contrastante del medico ai sensi dell’art. 3, quinto comma della Legge n. 219/22 dicembre 2017, l’amministratore di sostegno può rifiutare le cure proposte all’amministrata quando, pur in assenza di DAT [Disposizione Anticipata di Trattamento], sia stata accertata (anche alla luce delle dichiarazioni rese dall’interessata nel corso delle propria vita) una volontà presuntiva di quest’ultima orientata in tal senso.

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/1/16/18G00006/sg

Questa la rivoluzionaria pronuncia resa dal Giudice Tutelare del Tribunale di Roma, IX Sezione Civile, con la decisione 23 settembre 2019 (testo in calce).

 

www.dirittoegiustizia.it/allegati/9/0000086193/Tribunale_di_Roma_sez_IX_Civile_decreto_23_settembre_2019.html

La decisione dichiara il non luogo a provvedere sull’istanza presentata dall’amministratore di sostegno (nonché compagno) di una signora in stato vegetativo irreversibile da alcuni anni, allo scopo di essere autorizzato al rifiuto delle cure per l’amministrata. A tal proposito l’amministratore riferiva che quando aveva appreso di casi analoghi a quello che poi le era effettivamente occorso, la compagna aveva manifestato, a lui ma anche a familiari ed amici più stretti, l’avversione a concludere così i propri giorni. Indicava quindi una cerchia di persone in grado di ricostruire e confermare la volontà dell’amministrata, chiedendo che fosse provata ed accertata la sua intenzione in modo da poter procedere, previe cure palliative e sedazione profonda, al distacco dai trattamenti così come previsto dalla Legge n. 219/2017.

La Legge in questione contiene la disciplina in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento (DAT), ovvero disposizioni in materia di trattamenti sanitari, rese dalla persona in caso di futura incapacità di autodeterminarsi. In ossequio ai principi costituzionali ed internazionali di tutela della vita, della salute, della dignità e di autodeterminazione della persona (artt. 2, 13 e 32 della Costituzione e artt. 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) la legge stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito in difetto del consenso libero e informato dell’interessato, salvo i casi espressamente previsti dalla legge.

Fulcro del provvedimento normativo è la promozione e la valorizzazione della relazione di cura e fiducia intercorrente tra medico e paziente. Una relazione basata sul consenso informato e sull’incontro tra l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico, a cui contribuiscono, potendovi essere coinvolti, i sanitari che compongono l’equipe medica ed eventuali familiari del paziente. Il consenso informato presuppone che il paziente sia stato adeguatamente edotto circa le proprie condizioni di salute e le cure che il medico reputa opportuno o necessario effettuare.

L’art. 1, terzo comma della legge prevede a tal proposito che la persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata, in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile, della diagnosi, della prognosi, dei rischi e benefici degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché delle possibili alternative e delle conseguenze del loro eventuale rifiuto o rinuncia. Il consenso manifestato dal paziente è acquisito e documentato nei modi e con gli strumenti più consoni alle sue condizioni di vita (in forma scritta, attraverso videoregistrazioni o con programmi di videoscrittura, se si tratta di paziente con disabilità) ed è inserito e conservato nella sua cartella clinica o nel fascicolo sanitario elettronico.

La volontà di rifiuto e la revoca dei trattamenti sanitari

            L’art. 1, comma 5 della Legge n. 219/2017 prevede che ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la propria patologia, o anche singoli atti del trattamento stesso, nonché di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche se la revoca comporta l’interruzione del trattamento. La norma chiarisce a tal fine che sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione su prescrizione medica di nutrienti mediante dispositivi medici.

            Il rifiuto o la revoca sono manifestati con le stesse forme e modalità previste per l’acquisizione e documentazione del consenso informato. Se il paziente esprime la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico gli prospetta le conseguenze di tale scelta e le possibili alternative, riferendone, se il paziente acconsente, anche ai suoi familiari. L’accettazione, la revoca o il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico del paziente, ferma restando la possibilità per quest’ultimo di modificare la propria volontà.

L’art. 3 della Legge n. 219/17 disciplina le ipotesi in cui la persona chiamata ad esprimere il consenso informato non sia pienamente capace di agire (interdetto, inabilitato o minore di età), ribadendone il diritto, anche in tal caso, a veder valorizzate le proprie capacità di comprensione e decisione e ad essere adeguatamente informata circa le propria salute, così da manifestare un consenso libero e consapevole.

            Il quarto comma dell’art. 3 chiarisce in particolare che la persona inabilitata può esprimere direttamente il consenso informato, mentre se è stato nominato un amministratore di sostegno con poteri di assistenza necessaria o di rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno, ovvero solo da quest’ultimo, tenendo comunque conto della volontà del beneficiario in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere.

            Il successivo quinto comma prevede inoltre che se il paziente non ha rilasciato le disposizioni anticipate di trattamento (disciplinate all’articolo 4 della legge) e l’amministratore di sostegno rifiuta le cure proposte, mentre il medico le reputa appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare. La norma si pone in linea con la finalità e le caratteristiche dell’amministrazione di sostegno, che come è noto ha come scopo la tutela dell’amministrato, consentendogli il compimento di tutti quegli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore.

            Uno dei tratti caratteristici dell’istituto è la flessibilità, essendo plasmato sulla concreta e specifica situazione dell’amministrato, sulla cui base è delineato anche l’ambito di operatività ed i poteri spettanti all’amministratore indicati nel decreto di nomina del giudice tutelare.

La decisione del Tribunale di Roma. Nel caso di specie, il giudice tutelare ha rilevato l’assenza del contrasto tra medico ed amministratore di sostegno richiamato all’art. 3, quinto comma della Legge n. 219/17.

Ciò premesso e posto che all’amministratore era stato conferito un potere di rappresentanza esclusivo dell’amministrata in ambito sanitario, il giudice ha affermato che questi è il solo titolato ad esprimere il consenso informato nell’interesse della beneficiaria.

L’assenza di DAT da parte di quest’ultima non è inoltre preclusiva in tal senso: l’amministratore ha infatti accertato (anche alla luce di dichiarazioni rese direttamente in sua presenza) la volontà dell’amministrata di autodeterminarsi al rifiuto dei trattamenti ove si fosse trovata nella situazione in cui attualmente versa. Ne consegue, ha concluso il giudice, che l’amministratore di sostegno è pienamente abilitato a rifiutare le cure proposte.

Irene Marconi            altalex 25 ottobre 2019

www.altalex.com/documents/news/2019/10/25/amministrazione-di-sostegno-volonta-presuntiva-legittima-rifiuto-cure?utm_medium=email&utm_source=WKIT_NSL_Altalex-00009267&utm_campaign=WKIT_NSL_AltalexFree27.10.2019_LFM&utm_source_system=Eloqua&utm_econtactid=CWOLT000004487746&elqTrackId=49709afdc4894baf88072feead6156a7&elq=25b241e6ea494d1c89c4237496622554&elqaid=38173&elqat=1&elqCampaignId=20387

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ASSEGNO DIVORZILE

Squilibrio economico non è elemento decisivo

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 24934, 7 ottobre 2019

https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-24934-del-07-10-2019

I parametri validi sono la non autosufficienza economica e/o necessità di compensazione del particolare contributo dato da un coniuge durante la vita matrimoniale.

Lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda non costituiscono elementi decisivi per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno divorzile.

I parametri su cui fondare l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio sono la non autosufficienza economica e/o necessità di compensazione del particolare contributo dato da un coniuge durante la vita matrimoniale.

Con l’ordinanza la Corte di Cassazione ha ribadito la natura assistenziale dell’assegno divorzile di cui all’articolo 5 della L. 1° dicembre 1970, n 898, escludendone la funzione riequilibratrice dei redditi dei coniugi, in quanto collegata al principio, ormai superato, del tenore di vita goduto.

Il Tribunale di Milano, decidendo sulla domanda di divorzio, aveva disposto che la madre contribuisse al mantenimento della figlia minore, affidata ad entrambi i genitori ma collocata prevalentemente presso il padre, solo mediante il rimborso del 50% delle spese straordinarie, con esclusione, dunque, di un importo mensile ordinario. La sentenza, inoltre imponeva al marito di corrispondere all’ex moglie l’assegno divorzile nella misura di euro 680,00 mensili.

Anche la Corte d’appello, confermava la decisione di primo grado, facendo riferimento alla conservazione del tenore di vita matrimoniale della coppia, tenuto conto della disparità economica tra gli ex coniugi. Il marito aveva un reddito di lavoro molto più elevato della ex moglie e disponeva di un rilevante patrimonio immobiliare, in parte di origine ereditaria, e dei vantaggi economici derivanti dall’unione con un nuovo compagno.

            La donna, invece percepiva una retribuzione di euro 2000,00 mensili da lavoro impiegatizio, aveva acquistato un appartamento con i ricavi della vendita della casa coniugale in comproprietà con l’ex marito e con un mutuo, ed era titolare di assegno di mantenimento ottenuto in sede di separazione consensuale.

L’uomo ricorre in Cassazione, e ottiene ragione dalla Corte suprema. Superato il criterio della disparità reddituale tra i coniugi ai fini del mantenimento.

            In primo luogo, quanto alla contribuzione del mantenimento per la figlia minore (diventata maggiorenne in corso di causa), la Corte milanese ha errato perché ha ignorato i parametri normativi per la determinazione del contributo, la proporzionalità di esso ai redditi, ma anche ai compiti di cura assolti da ogni genitore, trascurando che il padre conviveva con la ragazza e provvedeva da solo al suo mantenimento. Ogni genitore è tenuto al mantenimento dei figli, anche maggiorenni, nei limiti delle proprie disponibilità, non essendo consentito a uno di essi di essere totalmente o parzialmente esonerato solo perché l’altro genitore abbia migliori condizioni reddituali.

        Il secondo e il terzo motivo di ricorso riguardano l’assegno di divorzio. Come confermato dalle Sezioni Unite:

    a) il parametro della conservazione del tenore di vita è stato sostituito dal criterio dell’autosufficienza economica seppure con qualche correzione;

    b) l’onere di provare l’esistenza delle condizioni che giustificano l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno, grava sul coniuge richiedente, mentre in passato si poneva l’onere di provare l’insussistenza delle relative condizioni a carico del coniuge potenzialmente obbligato;

    c) l’assegno svolge una finalità principalmente assistenziale con la quale può concorrere, in determinati casi, quella compensativa.

            Lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale del coniuge destinatario della domanda, non costituiscono, da soli, elementi decisivi per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno. Il parametro dell’adeguatezza dei mezzi o della possibilità di procurarseli per ragioni oggettive va riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente, sia all’esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate, per avere dato, su accordo delle parti, un decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge (cfr. Cass. Civ. n. 6386 del 2019).

Ha errato pertanto la Corte di merito omettendo di valutare l’adeguatezza dei redditi della ex moglie, sufficienti, nel caso specifico, a garantirle un tenore di vita autonomo e dignitoso, e non omettendo la contribuzione del mantenimento ordinario nei confronti della figlia convivente col padre.

Giuseppina Vassallo   Altalex 28 ottobre 2019

www.altalex.com/documents/news/2019/10/28/assegno-divorzile-squilibrio-economico-non-e-elemento-decisivo

 

Revocato l’assegno di divorzio alla ex moglie che lascia il lavoro e torna a casa dai genitori

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 26594, 18 ottobre 2019

www.miolegale.it/sentenze/cassazione-civile-vi-26594-2019

                  Va revocato l’assegno di divorzio già riconosciuto alla ex moglie che decide di lasciare il lavoro e di tornare a vivere con i genitori. Confermata dalla Suprema Corte la decisione adottata in appello, laddove i giudici hanno osservato che “il marito, maresciallo dei Carabinieri, percepisce uno stipendio annuo netto di 37mila euro mentre la moglie percepiva 10mila euro annui dal suo lavoro di commessa‚ “quando ha deciso di trasferirsi da Verbania in Calabria, presso i suoi genitori, dove è rimasta priva di occupazione lavorativa”.

                  Tale decisione di rinunciare al posto di lavoro è stata considerata decisiva ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile in quanto la ex moglie, ancora giovane e dotata di piena capacità lavorativa, ha causato volontariamente il proprio stato di bisogno che non dipende da incapacità lavorativa o da fattori esterni indipendenti dalla volontà del coniuge richiedente l’assegno, bensì dalla libera scelta di quest’ultimo.

Redazione Miolegale 20 ottobre 2019

www.miolegale.it/massime/revoca-assegno-divorzio-ex-moglie

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 40, 30 ottobre 2019

  • Se proprio non riuscite a venire al convegno CISF/ICCFR a Roma (Famiglie e minori rifugiati e migranti. Proteggere la vita familiare nelle difficoltà), almeno leggete questo libro! Ho scoperto una perla preziosa, nel consueto lavoro di documentazione che faccio prima di un convegno. Mi è infatti capitato per le mani questo agile e breve libretto (solo 88 pagine) dal titolo intrigante, “Consigli per essere una bravo immigrato” di Elvira Mujcic (edito da Elliot, aprile 2019

www.elliotedizioni.com/prodotto/consigli-per-essere-un-bravo-immigrato

e me lo sono divorato in due o tre viaggi in metropolitana. Un vero gioiello! È la storia dell’incontro tra due persone immigrate nel nostro Paese (a Roma): una donna adulta, proveniente dalla Bosnia e dal massacro di Srebenica, in Italia ormai da oltre vent’anni (un alter ego dell’autrice, in qualche modo), e un giovane immigrato, Ismail, che arriva dal Gambia con una storia di persecuzione politica e di sofferenze e a cui è appena stata rifiutata la domanda e la protezione di rifugiato. Il cuore del volume è anzi proprio la difficoltà di poter e saper narrare la propria storia, quelle sofferenze incise nella carne viva, davanti ad una commissione che segue criteri burocratici e che pretende storie coerenti, riscontri documentali, precisione di date, ore e nomi, da persone travolte dalla vita e dalle emozioni.  Il libro è splendido, l’autrice ha un vero dono di scrittura: ha ritmo, è insieme commovente ed ironico, le persone descritte prendono vita e verità dopo poche righe. Da regalare a chiunque, ben oltre le tifoserie tra “porti chiusi e porti aperti”, per ricordarci che ancora una volta, ben prima delle scelte dei Governi, qui sono in gioco “le vite degli altri”.

  • “Carta bimbi”: «così la montagna ha partorito un topolino». Dopo i grandi proclami sull’assegno unico per i figli e le grandi smentite immediatamente successive (il tutto nello spazio di brevi giorni, in questo mese di ottobre), all’interno della manovra sembra essere emerso solo un “piccolo” intervento. Ecco i punti critici di questa proposta. Leggi il commento del Direttore Cisf (F.Belletti) su Famiglia Cristiana on line.

www.famigliacristiana.it/articolo/carta-bimbi-la-montagna-ha-partorito-un-toplino.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_30_10_2019

  • Vedi anche, in merito, le puntuali riflessioni sull’assegno unico per famiglie/figli da lavoce.info. Interessante e ben argomentato questo contributo sulla proposta dell’assegno unico dove si analizzano i costi complessivi di tale provvedimento e le possibili (e anche un po’ incerte) fonti di finanziamento. Al di là della reale intenzione del Governo di adottare davvero un provvedimento così strategico, il testo almeno propone alcune riflessioni “evidence based” (non necessariamente tutte condivisibili), per favorire una discussione non solo retorica. [Quanto costa e che benefici dà l’assegno unico per i figli, di Francesco Figari e Carlo Fiorio]

www.lavoce.info/archives/61806/quanto-costa-e-che-benefici-da-lassegno-unico-per-i-figli/?fbclid=IwAR3nwa4Tao0QuYL89lihV4xNP68hHXQ3PZWgzgopwZ7ZIxVbhfW6twslLOY

  • Europa dell’est. Buone pratiche per il rientro in famiglia di minori in famiglia. Di estremo interesse questo sintetico report frutto di una indagine promossa da Save the Children e realizzata da ICDI (International Child Development Initiatives), che contiene la descrizione di numerose buone pratiche di interventi di “rafforzamento familiare” (Family Strengthening), attraverso cui proteggere i bambini dalla mancanza della famiglia, attuati nei Paesi dell’Europa dell’Est. In particolare sono stati analizzati progetti incentrati su due principali condizioni

a) la prevenzione della/nella separazione (Preventing Separation), interventi cioè orientati ad impedire l’abbandono dei bambini nei processi di separazione di coppia;

b) rientro in famiglia (Family Reintegration), interventi finalizzati a favorire il rientro nella propria famiglia di origine per bambini presi in carico da servizi residenziali (familiari e/o comunitari).

https://resourcecentre.savethechildren.net/

  • UE. A new deal for families in Europe (Un nuovo piano strategico per le famiglie in Europa). La COFACE (rete internazionale di associazioni familiari attiva a livello europeo) ha recentemente presentato una sintetica Piattaforma delle priorità 2020-2024 (Key 2020-2024 priorities for COFACE Families Europe), con dieci punti specifici da inserire nell’agenda delle istituzionali nazionali ed internazionali a livello europeo. Documento di sicuro interesse, ispirato peraltro ad un controverso “modello interpretativo plurale” delle famiglie e dei loro più recenti mutamenti.

NewDealFamiliesofToday.pdf

  • Rapporto migrantes su “italiani nel mondo”. 128 mila partenze nell’ultimo anno. Quasi 5,3 milioni di residenti all’estero. È stata presentata a Roma (25 ottobre 2019) la XIV edizione del “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes. Con il contribuito di circa 70 studiosi italiani e non, la mobilità dall’Italia e nell’Italia è analizzata partendo dai dati quantitativi (socio-statistici). L’approfondimento di questa edizione è dedicato alla percezione delle comunità italiane nel mondo: “Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiudizi all’amore per il made in Italy”.

www.migrantes.it/2019/10/25/la-mobilita-italiana-il-tempo-delle-scelte-rapporto-italiani-nel-mondo-2019

  • Piano nazionale per la non autosufficienza 2019-2021. Ad inizio ottobre 2019 il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali (Nunzia Catalfo) ha presentato il “Piano per la non Autosufficienza 2019-2021” alle parti sociali e alle organizzazioni del Terzo Settore, rappresentative in particolare delle persone con disabilità. Alla riunione della Rete per la protezione e l’inclusione sociale hanno preso parte gli assessori competenti per le politiche sociali delle Regioni e dei Comuni, oltre a rappresentanti del Ministero della Salute. “Il Piano è anche un’occasione per fare il punto sul Fondo per le Non Autosufficienze FNA, a circa 13 anni dalla sua istituzione, avvenuta con la Legge finanziaria per il 2007. Dalla dotazione iniziale – 100 milioni di euro per l’anno 2007 – il Fondo è via via cresciuto fino a oltre 573 milioni di euro nel 2019, di cui 550 strutturali”.

Piano-non-autosufficienza-2019-2021.pdf

Dalle case editrici

  • Bramanti Donatella, Marzotto Costanza (a cura di), Ascoltare lasciando traccia: buone prassi di mediazione relazionale simbolica, Vita e Pensiero, Milano, 2019, pp. 160, € 16,00. Il Quaderno riporta alcuni dei più significativi contributi di un Convegno internazionale svoltosi in Università Cattolica nell’ottobre del 2017. L’iniziativa ha posto l’attenzione su un momento del processo di mediazione: l’ascolto, che spesso è poco considerato, a vantaggio della fase di negoziazione, considerata peculiare nel processo stesso. A partire da esperienze pratiche, il volume intende introdurre il lettore in un mondo “tutto orecchie”, in cui il professionista presta ascolto ai figli di genitori separati all’interno di un Gruppo di parola, o aiuta gli allievi a gestire i conflitti nelle classi, o addirittura si mette all’ascolto di ex sequestrati o ex guerriglieri e dei loro famigliari al termine della guerra civile in Colombia.  In contesti diversi, quindi, e con obiettivi molto differenti, un “certo modo” di ascoltare lascia una traccia, sia in chi prende parola sia in chi la riceve, affinché la qualità delle relazioni possa cambiare e ciascun soggetto possa accedere alla dimensione simbolica della parola detta o del gesto compiuto, e diventi più competente sulla propria vita.

Save the date.

  • Nord: Proteggere i bambini nelle situazioni di violenza familiare. Spunti per l’intervento, seminario promosso dal Centro di Terapia dell’Adolescenza in collaborazione con la Scuola di Psicoterapia IRIS, Milano, 25 novembre 2019.            VolantinoSeminarioCTA 25nov2019.pdf
  • Nord:Io e l’altro. La relazione come luogo di incontro, ciclo di conferenze promosso da PsicheVarese, Varese, 15 novembre, 29 novembre, 13 dicembre 2019.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf4019_allegato3.pdf

  • Nord: I disturbi del comportamento in età evolutiva: modelli di intervento, evento promosso dal Centro per l’Età Evolutiva, Bergamo, 21 novembre 2019.

www.centrocongressibergamo.com/wp-content/uploads/2019/06/convegno_21.11.19_promo.pdf

  • Nord: Creatività ed efficacia nella clinica e nella ricerca sistemica, congresso internazionale promosso da SIRTS (Società Italiana per la Ricerca e la Terapia Sistemica), Milano, 22-23 novembre 2019.

www.sirts.org/index.php?option=com_content&view=article&id=86:congresso-internazionale-creativita-ed-efficacia-nella-clinica-e-nella-ricerca-sistemica&catid=14:eventi-programma-elenco&Itemid=101

  • Centro: Autonomia, parità e libertà di scelta educativa in Italia e in Europa, seminario promosso da CISM e USMI, Roma, 14 novembre 2019.

https://educazione.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/6/2019/10/15/Libert%C3%A0-di-scelta-educativa-in-Italia-e-in-Europa.pdf

  • Sud: Infanzia violata. Aspetti giuridici, cura e protezione, La violenza non è un destino, intervento formativo (evento ripetuto in due sedi diverse, con crediti per assistenti sociali) promosso da Associazione Focus Familia A.P.S., Acireale (CT), 20 novembre 2019                          newscisf4119_allegato4a.pdf
  • Sant’Agata Li Battiati (CT), 22 novembre 2019.                                       newscisf4119_allegato4b.pdf
  • Sud: Processi di socialità e apprendimento nei servizi educativi per i bambini dalla nascita a sei anni, seminario organizzato dal Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, con FA.C.E, Fondazione Reggio Children e Con I Bambini, Teramo, 16 novembre 2019.

Seminario-TERAMO-16.11.19-GNNI.pdf

Iscrizione                           http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio                http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

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CENTRO ITALIANO di SESSUOLOGIA

Psicofarmaci e sessualità maschile: storia di un rapporto complesso e contraddittorio

Sabato 23 novembre, 9.00-13.00 Casa Matha, piazza Andrea Costa 3, Ravenna

       Eros e siche: approccio psichiatrico alle disfunzioni sessuali                         prof. Michele Sanza

      La sessualità maschile tra chirurgia e falsi motivi                                              dr Salvatore Voce

       Le pene del pene                                                                                        dr Elena Alessandrini

       Psicofarmaci e sessualità maschile: il punto di vista del neuropsicofarmacologo dr Stefano Comai

       Psicodiagnostica nelle disfunzioni sessuali maschili                                        dr Giorgia Pittavini

       Il dolore genitale e sessuale femminile: dalla diagnosi alla terapia per migliorare l’equilibrio sessuale di coppia                                                                                   dr Tiziana Bartolotti

      L’andrologo e la disfunzione erettile: oggi una soluzione è sempre possibile dr Edoardo Pescatori

      Pornografia e disfunzioni sessuali maschili                                                    dr Margherita Zana

       Conclusioni e dibattito                                                                                   prof. Michele Sanza

www.cisonline.net/eventi/psicofarmaci-e-sessualita-maschile

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CHIESA CATTOLICA

Quæstio de mulierum similitudine: Tommaso d’Aquino, la donna e lo schiavo

Su gentile segnalazione di Paola Lazzarini Orrù, riprendo la domanda sollevata da una teologa inglese, alla quale provo a dare una mia risposta, con qualche fondamento testuale e riflessivo.

La questione, Tina Beattie (*1955) scrive: “Come altri teologi cattolici che hanno apertamente sostenuto le donne sacerdote, sono stata ripetutamente messa a tacere e messa al bando dai vescovi e dalla Congregazione per la dottrina della fede. Con l’influenza di Papa Francesco è ora possibile discutere di questi problemi senza timore della censura draconiana. Al Sinodo state sollevate domande sul diaconato delle donne in Amazzonia che dieci anni fa non avrebbero potuto essere sussurrate nei corridoi.

Tuttavia, non ho mai avuto risposta da alcun prete, vescovo o teologo a una domanda che ho posto in modo persistente e ripetuto in contesti diversi. Non c’è nessuno disposto ad accettarla, perché sto dicendo che c’è un’eresia in un documento ufficiale di insegnamento cattolico, vale a dire, Inter Insigniores (1976)

www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19761015_inter-insigniores_it.html

Ecco qui: “«I segni sacramentali, dice S. Tommaso, rappresentano ciò che significano per una naturale rassomiglianza». Ora, questo criterio di rassomiglianza vale, come per le cose, così per le persone: allorché occorre esprimere sacramentalmente il ruolo del Cristo nell’Eucaristia, non si avrebbe questa «naturale rassomiglianza», che deve esistere tra il Cristo e il suo ministro, se il ruolo del Cristo non fosse tenuto da un uomo: in caso contrario, si vedrebbe difficilmente in chi è ministro l’immagine di Cristo. In effetti, il Cristo stesso fu e resta un uomo.”

            Quindi, se sei un prete, un membro del CDF [Congregazione per la dottrina della fede] o un teologo migliore di me, puoi spiegarlo? Le donne sono fatte a immagine di Cristo o no? In caso contrario, l’intera tradizione dell’insegnamento cattolico è sbagliata e Genesi 1 è sbagliata? Oppure l’Inter Insigniores ha torto? E infine, cosa vedono gli uomini a messa quando guardano una donna, se trovano difficile vedere l’immagine di Cristo in lei? Questa è davvero una domanda che mi preoccupa. Sono sicura che esista una spiegazione, ma non sono riuscita a vederla perché sono un orso di cervello molto piccolo. Sono sicura che alcuni di voi conoscono i teologi cattolici geniali e dottrinalmente puri che potrebbero aiutarmi a quadrare il cerchio. Grazie.”

            Una risposta. La prima osservazione che voglio fare riguarda in generale l’uso delle citazioni dalle opere di S. Tommaso. Bisogna per lo più diffidare dell’assunzione di un “principio” tratto da un’opera di S. Tommaso, perché frequentemente si tratta di una apparenza di principio, che non corrisponde alla intenzione dell’autore. Anche in questo caso, il documento Inter insigniores utilizza un testo di Tommaso, senza approfondirne né la fonte né il contesto. Ad un esame più attento, infatti, risulta facile riconoscere la debolezza della argomentazione magisteriale, che ricorre ad un testo il cui contenuto reale, di fatto, smentisce le premesse stesse del documento magisteriale. Cerco di esporre con semplicità il frutto della mia breve ricerca:

a)       La espressione di Tommaso citata da Inter insigniores appare nel Commentario alle sentenze di Pietro Lombardo (Super Sent., lib. 4 d. 25 q. 2 a. 2 qc. 1 ad 4) ed è parte di una risposta alla discussione, che non riguarda la ordinazione della donna, ma quella dello schiavo (l’articolo 2 si intitola infatti “Se la schiavitù sia impedimento alla ricezione dell’ordine”)! Il testo della citazione integrale, che è molto breve, suona così: “Ad quartum dicendum, quod signa sacramentalia ex naturali similitudine repraesentant; mulier autem ex natura habet subjectionem, et non servus; et ideo non est simile.”

b)      Come è evidente, il riferimento alla “similitudo” non riguarda di per sé la “somiglianza maschile/femminile” rispetto al Signore, ma la somiglianza nella “condizione di schiavitù”, che lo schiavo ha per contratto o per convenzione, mentre la donna ha “per natura”. Per capire meglio questa risposta, tuttavia, bisogna leggere la obiezione cui risponde, che si trova qualche pagina prima;

c)       La posizione che viene confutata nel “ad quartum” citato è la seguente, che sostiene la non ordinabilità dello schiavo, che sarebbe caso “più grave” rispetto alla donna: “Sed contra, videtur quod (servitus) impediat quantum ad necessitatem sacramenti. Quia mulier non potest suscipere sacramentum ratione subjectionis. Sed major subjectio est in servo; quia mulier non datur viro in ancillam, propter quod non est de pedibus sumpta. Ergo et servus sacramentum non suscipit.”

Questo testo, che costituisce l’oggetto della confutazione di Tommaso, richiama un passo di interpretazione della creazione della donna dalla costola di Adamo che Tommaso presenta così nella Summa Theologiæ.

“Era conveniente che la donna fosse formata dalla costola dell’uomo. Primo, per indicare che tra l’uomo e la donna ci deve essere un vincolo di amore. D’altra parte la donna “non deve dominare sull’uomo” [1 Tm 2, 12], e per questo non fu formata dalla testa. Né deve essere disprezzata dall’uomo come una schiava: perciò non fu formata dai piedi. Secondo, per una ragione mistica: poiché dal costato di Cristo dormiente sulla croce dovevano scaturire i sacramenti, cioè il sangue e l’acqua, con i quali sarebbe stata edificata la Chiesa.” (S. Th. q92 a3 co)

            Possiamo dunque scoprire che la “similitudo” di cui si parla, nel testo di Tommaso riguarda non il rapporto tra Cristo e il suo ministro ordinato, come la intende Inter insigniores, ma la somiglianza tra la condizione di schiavo e la condizione di donna. La “similitudo” negata da Tommaso è la relazione tra lo schiavo e la donna circa il “defectus eminentiæ gradus”. E viene contestata proprio per il fatto che la “carenza di autorità” per lo schiavo è reversibile, ma per la donna no. La natura, per Tommaso, pone la donna in una soggezione insuperabile.

d) La controprova della non pertinenza del presunto principio tomista invocato da Inter Insigniores si ha leggendo i testi, che precedono quelli a cui abbiamo fatto riferimento, ossia quelli dell’articolo 1, dedicato specificamente alla questione “Se il sesso femminile sia un impedimento alla ricezione dell’ordine”. In questa parte del commento il principio invocato da Inter insigniores appare in forma diversa, ossia con un ragionamento leggermente più ampio, ma che chiarisce ancora meglio la “mens” di Tommaso e la sua profonda differenza dalla intenzione con cui Inter insigniores lo assume, in una prospettiva profondamente diversa.

e) Anche in questo caso la citazione utilizza la logica della “similitudo”, allegando anche un esempio, tratto dal sacramento della unzione degli infermi. Leggiamo il passo: “Unde etsi mulieri exhibeantur omnia quae in ordinibus fiunt, ordinem non suscipit: quia cum sacramentum sit signum, in his quae in sacramento aguntur, requiritur non solum res, sed significatio rei; sicut dictum est, quod in extrema unctione exigitur quod sit infirmus, ut significetur curatione indigens. Cum ergo in sexu femineo non possit significari aliqua eminentia gradus, quia mulier statum subjectionis habet; ideo non potest ordinis sacramentum suscipere.” (Super Sent., lib. 4 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 1 co.)

Come è evidente dal ragionamento proposto da Tommaso, la domanda non solo della “res”, ma della “significatio rei”, che in qualche modo equivale a quanto sostenuto a proposito della “similitudo” nel caso precedente, viene argomentata esclusivamente in rapporto alla “significatio” della “eminentia gradus”: il sesso femminile è escluso dalla ordinazione perché incapace di “significare ed esercitare la autorità”.

f) E’ chiaro che la citazione utilizzata da Inter insigniores riconduce la argomentazione di Tommaso non alla somiglianza maschile, potremmo dire intesa nel suo lato oggettivo e formale, ma alla somiglianza di autorità e di assenza di schiavitù. Così pare evidente la debolezza della argomentazione, che non fa altro che ribadire proprio quella impostazione classica che assume la relazione tra uomo e donna segnata non solo da una legittima differenza, ma da una strutturale subordinazione della seconda al primo.

            Credo che questa breve indagine su una fonte di Inter insigniores possa concludersi con alcune affermazioni più generali: – Come accade non raramente, anche in questo caso un testo di Tommaso, sganciato dal suo contesto originario, serve a dare autorevolezza ad una posizione obiettivamente assai debole, e comunque molto diversa da quella sostenuta dal Dottore angelico. Tommaso non utilizza mai nella discussione sugli impedimenti alla ordinazione l’argomento della somiglianza, se non riferendola al “difetto di autorità”. In altri termini, lo schiavo non può essere ordinato perché privo di autorità. Ma lo schiavo può superare questo impedimento, che non gli deriva dalla natura, ma dalla tradizione. Invece la donna “ha la schiavitù per natura” e per questo non può essere ordinata. La ragione della dissomiglianza non è la “forma” o la “struttura” femminile, ma il “defectus eminentiæ gradus”.

 Se letta nel suo contesto, quindi, la affermazione sulla “somiglianza” – riproposta dal documento del 1976, riafferma soltanto la prospettiva che per Tommaso risultava decisiva: ossia la “mancanza di autorità della donna” come principio antropologico e sociologico del suo tempo e che si imponeva anche alla discussione teologica, che si lascia istruire da questa evidenza culturale. Che però noi abbiamo superato.

 Essendo Inter insigniores introdotto dalla citazione con cui Papa Giovanni XXXIII segnala in Pacem in terris la acquisizione della “donna nello spazio pubblico” come “segno dei tempi, sembra davvero paradossale che per dar seguito a questa nuova affermazione, si fondi la soluzione su un testo medievale che conferma precisamente ciò di cui dobbiamo oggi liberarci. Se si ribadisce in premessa che “per natura la donna non può comandare”, ogni discussione teologica risulta superata e senza alcuno spazio.

            Una semplice esegesi tomista, condotta nel contesto da cui Inter insigniores trae la affermazione di Tommaso, libera il campo per argomentazioni davvero convincenti, che debbono essere nuove, giacché scaturiscono da un mondo trasformato dalla libertà e dalla eguaglianza. La debolezza obiettiva delle argomentazioni del magistero, di cui il teologo deve fare accurata rassegna, liberano il campo per una ricerca di argomentazioni più forti e più convincenti, che rispondano davvero alla questione sollevata da Giovanni XXIII e accettino che, in rapporto al femminile, qualcosa di decisivo è accaduto tra XIX e XX secolo, di cui il XXI secolo deve dar conto, senza ambiguità. La somiglianza richiesta da Tommaso è la “assenza di schiavitù”: possibile per lo schiavo, ma impossibile per la donna. Il suo testo, dunque, assume un orizzonte che non è più il nostro. Le “insigniores notas” che il mondo da 60 anni ci offre, dalle quali la Chiesa dovrebbe disporsi ad imparare qualcosa, e tra le quali sta la partecipazione delle donne alla “cosa pubblica”, esigono dal magistero e dai teologi “insigniores cogitationes”. Che dobbiamo saper elaborare, con una audacia tanto paziente quanto esigente.

Andrea Grillo blog come se non          30 ottobre 2019
www.cittadellaeditrice.com/munera/quaestio-de-mulierum-similitudine-tommaso-daquino-la-donna-e-lo-schiavo

           

Ministro, donna, schiavo: la visione tomista e la impasse di “Inter insigniores”

Un breve riepilogo del mio percorso argomentativo può permettere al lettore di comprendere meglio la questione in gioco, che qui voglio approfondire. Nel momento in cui papa Francesco ha aperto un percorso ecclesiale di riflessione sulla possibile ordinazione diaconale della donna, ho notato che le argomentazioni sostenute anche da autorevoli membri della Commissione istituita dal papa utilizzavano “luoghi comuni” della teologia tomista (necessitas sacramenti, defectus eminentiæ gradus) che non venivano compresi secondo la loro versione originale, ma distorti e piegati a nuove esigenze. Rimando per questo a quanto scritto su questo blog a proposito degli studi di Menke e di Mueller, con testi confluiti poi nel volume “Diacone” curato da Serena Noceti, per i tipi di Queriniana. Successivamente, su segnalazione del prof. Komonchak, ho riletto anche ciò che, su altro registro, Tommaso scriveva proposito della donna nel battesimo, traendone alcune conclusioni sul “metodo tomista”.  Da tutte queste letture emerge, in modo prepotente, che la “condizione femminile” viene letta esclusivamente sul piano della recezione culturale e sociale della “donna come segno di autorità”: “quod mulier statum subjectionis habet”. Va detto, però, che Tommaso è molto attento a non teologizzare queste conclusioni, che derivano da evidenze “di ragione”, della ragione del suo tempo, dalla biologia, dalla antropologia e dalla sociologia del XIII secolo. Su questo punto possiamo anche ammirare una teologia tanto lontana da noi, ma rigorosa nel distingue i livelli delle proprie analisi.

            Con la fine del Sinodo sulla Amazzonia, e con la notizia della riapertura dei lavori della Commissione e con il suo ampliamento, riemergeva una questione di fondo: ossia la esigenza di coniugare lo studio storico con un approccio sistematico nuovo. Infatti, nessuno storico sarebbe in grado di leggere davvero la storia antica e moderna se mantenesse in testa le idee sistematiche di Tommaso.

A favorire questo lavoro di ripensamento è intervenuta anche la sollecitazione di una teologa inglese, Tina Beattie, che ha sollevato una domanda sul documento “Inter insigniores” (1976), fondata su una espressione tomista, la cui esegesi, tuttavia, ha confermato come gran parte della riflessione attuale sulla questione della “ordinazione della donna”, anche in sede ufficiale, si fondi su letture sbagliate dei testi tomisti. E interpreti in senso indebitamente teologico e cristologico, considerazioni biologiche, antropologiche e sociologiche di Tommaso.

Un passaggio ulteriore. Proprio in occasione dell’ultimo testo, suscitato dalla domanda di Tina Beattie, un’altra teologa, Selene Zorzi, commentando il testo della mia risposta, aggiungeva un riferimento di grande forza argomentativa e che conferma, in modo ancora più netto, la implausibilità delle risposte ecclesiali che utilizzino le proposizioni tomiste per escludere per principio la ordinazione diaconale della donna. Si tratta, in sostanza, di portare alla luce, non soltanto la fragilità degli argomenti che Tommaso utilizza a proposito degli “impedimenti alla ordinazione”, dove come abbiamo visto appare prepotentemente una correlazione tra “donna” e “schiavo”, ma di riconoscere che questa correlazione è strutturale nella concezione che Tommaso offre sul tema “de productione mulieris”, ossia sulla creazione della donna. La concezione della donna, diremmo sul piano originario, è articolata secondo una “parallelismo servile” che non riesce neppure lontanamente a immaginare come funzioni un mondo nel quale si dischiuda una “autocomprensione femminile” senza soggezione e quindi anche un suo “ruolo pubblico” reso possibile dal riconoscimento della sua autorità.

            Il testo della Summa Theologiæ su cui voglio soffermarmi si trova all’interno della questione 92 della prima parte, che è dedicata alla “creazione della donna”. Vorrei citare, dell’articolo 1, soltanto la risposta alla seconda obiezione (S. Th. I q. 92 a. 1 ad 2)

“Ad secundum dicendum quod duplex est subiectio. Una servilis, secundum quam praesidens utitur subiecto ad sui ipsius utilitatem et talis subiectio introducta est post peccatum. Est autem alia subiectio œconomica vel civilis, secundum quam praesidens utitur subiectis ad eorum utilitatem et bonum. Et ista subiectio fuisset etiam ante peccatum, defuisset enim bonum ordinis in humana multitudine, si quidam per alios sapientiores gubernati non fuissent. Et sic ex tali subiectione naturaliter femina subiecta est viro, quia naturaliter in homine magis abundat discretio rationis. Nec inæqualitas hominum excluditur per innocentiae statum, ut infra dicetur”

            Eccone una traduzione, con alcune sottolineature: “Alla seconda obiezione si deve rispondere che ci sono due specie di sudditanza. La prima, servile, quella per cui chi è a capo si serve dei sottoposti per il proprio interesse; tale dipendenza sopravvenne dopo il peccato. Ma vi è una seconda sudditanza, economica o civile, in forza della quale chi è a capo, si serve dei sottoposti per il loro interesse e per il loro bene. Una tale sudditanza ci sarebbe stata anche prima del peccato; poiché senza il governo dei più saggi, sarebbe mancato il bene dell’ordine nella società umana. E in questa sudditanza la donna è naturalmente soggetta all’uomo; perché l’uomo ha per natura un più vigoroso discernimento di ragione. – Del resto lo stato di innocenza non esclude la disuguaglianza tra gli uomini, come diremo in seguito.”

            La logica di Tommaso e lo “stato di minorità”. Non vi è dubbio che questo testo, in modo assai chiaro, espliciti ancora meglio l’ultimo orizzonte della riflessione di Tommaso. La donna si inserisce in una struttura mondana in cui è “per natura soggetta all’uomo”.  E la analogia con lo “schiavo” è il criterio di comprensione della assenza di autorità femminile. Con una duplice aggravante:

  • Lo schiavo è tale “per interesse altrui”, mentre la donna è soggetta “per il suo bene”;
  • Lo schiavo è tale “per tradizione e per convenzione”, mentre la donna è soggetta “per natura”.

Per questi motivi “razionali”, lo schiavo può emanciparsi, e l’impedimento contro di lui funziona “necessitate praecepti”, mentre la donna, in questo sistema, non può emanciparsi, e quindi l’impedimento alla ordinazione risulta per lei “necessitate sacramenti”, ossia insuperabile.

            La nascita del soggetto e la fine della “subiectio naturalis”. Questa lettura della creazione, che dipende da una comprensione della Parola profondamente alterata da concezioni biologiche, antropologiche e culturali contingenti, condiziona e comanda in modo decisivo la “teoria degli impedimenti alla ordinazione”, che risulta perciò gravemente unilaterale, perché dedotta da una comprensione razionale e strutturale priva di fondamento rivelato indiscutibile.

            Quando nascerà la cultura del “soggetto”, dotato in quanto tale di una coscienza e una storia singolare e senza una “subiectio” naturale, la donna uscirà dallo stato di minorità in cui era stata costretta da queste visioni inadeguate. Subiectum subiectionem vincit. E la donna passa da “soggetta” a “soggetto”. Di fronte a tale sviluppo la acquisizione ecclesiale decisiva sta nel superare il sospetto verso questa evoluzione, ed assumerne responsabilmente le conseguenze sul piano della comprensione della Parola e della struttura ecclesiale. Questo attesta, in modo luminoso, seppur embrionale, il testo di Pacem in terris. Riconoscere la donna come “soggetto pubblico” significa superare radicalmente la impostazione “assoggettante” di Tommaso.

            Viceversa, con Inter insigniores si tenta di rilanciare la lettura tomista, trasferendola però dal piano “antropologico” al piano “formale”, “teologico” o “estetico”. Tuttavia qui si pone una questione centrale. Se la Chiesa dichiara di “non avere autorità” per modificare la tradizione che esclude la donna da ogni autorità ecclesiale, deve portare argomentazioni convincenti.  Quelle di Tommaso non lo sono più. Né la loro risignificazione indiretta, che le sposta su un livello di “somiglianza” di cui Tommaso non ha mai parlato, appare più convincente. Infatti, ciò che Inter insigniores crede di poter dedurre dalla citazione di Tommaso, è una ricostruzione moderna senza alcun fondamento nel testo di Tommaso, che non parla mai di “somiglianza sessuale tra il ministro e il Signore”. Questo procedimento disinvolto, come abbiamo visto, ricade nelle stesse evidenze di un mondo che non c’è più, con l’aggravante di nascondere la vera motivazione, sotto nuovi pregiudizi, forse ancora più insidiosi. Tommaso, in tutta questa vicenda, conserva un primato: parla chiaro, non nasconde i suoi argomenti e comunque distingue accuratamente discorso antropologico e discorso teologico. Cosa che invece manca al testo di “Inter insigniores” che confonde i piani a tal punto, da non comprendere più neppure i testi tomisti che cita, fornendone una lettura decisamente fuorviante.

            Credo che uno dei compiti della Nuova Commissione sul Diaconato femminile sarebbe quello di prendere atto di questa “impasse” e produrre argomentazioni adeguate alla comprensione di una “natura umana” che non ricorra più a metafore servili, né verso gli schiavi né verso le donne. D’altra parte usare il discernimento, per uscire da pericolose “teologizzazioni” dell’Ancien régime, è un compito che compete non solo al magistero della cattedra magistrale, ma anche e soprattutto al magistero della cattedra pastorale.

Andrea Grillo blog come se non         2 Novembre 2019

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CHIESE EVANGELICHE

Dialogo con Fulvio Ferrario sulla ordinazione di uomini sposati: domandina e rispostina

Con stile leggero, ma con passione, Fulvio Ferrario [decano della Facoltà valdese di teologia di Roma,] pone una questione intorno al “presbiterato uxorato” che merita di essere considerata. Ripropongo la sua domanda e faccio seguire la mia breve risposta.

“Preti sposati”? Una domandina (Fulvio Ferrario)

Hanno un bel dire gli esponenti ufficiali della Chiesa cattolica, che la questione dell’ordinazione di uomini sposati non esaurisce il documento del Sinodo amazzonico: le ragioni per le quali l’attenzione si accentra su tale aspetto non richiedono nemmeno di essere menzionate. E’ vero che il linguaggio è più ricco di periodi ipotetici di quello di Renzi quando parla di lotta all’evasione fiscale, ma insomma la “cosa” è menzionata. So che questo elemento fa felici alcune amiche e amici cattolici e, per elementare solidarietà, mi rallegro con loro. C’è anche un accenno al diaconato femminile (un gradino al di sotto, ci mancherebbe altro…) che “Avvenire” si affretta a catalogare come “un’ipotesi, comunque eccezionale”, ma che a me ricorda appassionate battaglie condotte da persone che mi sono care.

La questione dell’ordinazione di uomini sposati già inseriti nel diaconato permanente (quello maschile, com’è noto, non è “eccezionale”) era già stata accennata da Francesco, e associata a paesi remoti e situazioni estreme. Ora è esplicitamente motivata con il ridotto numero di sacerdoti in un territorio immenso.

Il primo punto, però, non è un problema solo amazzonico, anzi. Come osservatore interessato, mi permetto una domanda critica. Se è lecito: perché vedo in circolazione esponenti di una specie di sant’uffizio catto-progressista e “franceschista”, i quali bollano come “inutile”, “superato” e in definitiva antiecumenico ogni interrogativo del genere, specie se da parte protestante. Secondo loro, essere ecumenici significa scodinzolare e basta. Ma veniamo alla domanda, che non è teologica, ma semplicemente logica.

Rispetto alla proclamazione dell’evangelo nella sua autenticità, che è il compito di tutte le chiese, l’ordinazione di uomini (per quel che mi riguarda anche donne, naturalmente, ma restiamo sul punto) sposati può essere:

a) negativa, cioè contraria all’autenticità del messaggio;

b) positiva, cioè conforme a tale messaggio, così come oggi lo comprendiamo.

In teoria, potrebbe anche essere “indifferente”, in quanto legata a semplici considerazioni di opportunità, ma in tal caso non si capirebbe l’accanimento nella discussione.

Nell’ipotesi a), la scelta andrebbe ovviamente rifiutata; se invece vale b), evidentemente accettata. Senza restrizioni, in Amazzonia come in Norvegia, come un’occasione e non come una specie di terapia d’urto per malattie gravi. Così aveva fatto la Riforma protestante, offrendo motivazioni chiare: non tutte precisamente teologiche (ad esempio: il celibato ecclesiastico, comunque, è largamente disatteso), ma precise. La domanda è: aveva ragione o torto?

P.S. Ovviamente, tutto ciò non ha nulla a che vedere con il significato carismatico del celibato “per il regno di Dio”, come si esprime Gesù. La questione riguarda soltanto il carattere obbligatorio del celibato in relazione al ministero della parola e dei sacramenti.

           

Una rispostina: la tradizione sa camminare (Andrea Grillo)

La domanda del prof. Fulvio Ferrario è, come lui stesso dice, più logica che teologica. Riguarda la correlazione tra annuncio del Vangelo e ordinazione di uomini sposati. E si concentra in un giudizio che il cattolicesimo, valutando la propria tradizione in relazione a quella dei fratelli della Riforma protestante, potrebbe dare sulle loro buone o cattive ragioni. Ma, come si sa, la logica, che di per sé ha autorità diversa, ha essa pure una sua bella teologia. Non vi è dubbio, infatti, che la questione sollevata, e messa in questo modo, non sia facilmente aggirabile. Né che debba per forza giungere ad una sconfessione della posizione cattolica classica.

            Può essere utile concentrare l’attenzione sul mutamento che la condizione dei battezzati “uxorati” ha conosciuto nel corso degli ultimi due secoli. E che il cattolicesimo ha gradualmente recepito, fino ad arrivare, oggi, a porre in questione, seppure in modo limitato, la assolutezza “latina” del legame tra ordinazione presbiterale e vita celibataria. Legame che, peraltro, aveva già conosciuto, all’interno dello stesso cattolicesimo, chiare forme di “eccezione” non solo per le modalità di comprensione e di esperienza “orientale” della vita ministeriale, ma anche per la novità recente della ammissione al diaconato permanente di uomini, per l’appunto, sposati.

            Ma più interessante, nella domanda sollevata da Fulvio, mi pare la differenza, sostanziale, tra la comprensione della nuova prassi cattolica come “caso di necessità” piuttosto che come “occasione”. Qui, evidentemente, il passaggio della tradizione non è facile. Io ritengo, mi pare in bella sintonia con Fulvio, che ciò che appare oggi ammesso come “caso di necessità” si debba comprendere come “occasione”, per ampliare esperienzialmente e culturalmente la “forma cattolica” del ministero ordinato. Il fatto che oggi il cattolicesimo possa accingersi a riconoscere, gradualmente, un presbiterato di ministri uxorati e un diaconato esercitato da donne, ciò costituisce una grande occasione non solo per capire meglio se stessi, ma anche per riconoscere in modo più lucido e più onesto le fatiche e i pregi del cammino altrui. Forse abbiamo caricato troppo peso sulle spalle del celibato “senza vincoli” e troppo poco abbiamo valorizzato le vite “vincolate” degli sposi.

Come ha detto in uno splendido articolo sull’Osservatore Romano, Mons. Jean-Paul Vesco [*1962 vocazione adulta OP, vescovo di Orano], il celibato può certo essere compreso come un “tenere per sempre la porta socchiusa” e restare disponibili ad ogni incontro. Chi si sposa, invece, chiude la porta. Ma non è detto che la porta socchiusa possa davvero caratterizzare una stanza capace di accogliere tutti e che, invece, la porta chiusa possa non essere il segno di una vita definitivamente “sprangata”. Un confronto tra gli universi cristiani di relazione tra celibato, matrimonio e ministero farà bene al cammino della chiesa, di ogni chiesa.

 Tale cammino permette di scoprire nuove regioni della esperienza umana e cristiana, arrivando a trasformare anche le parole stesse con cui parliamo. Da ieri l’altro, infatti, dal momento in cui abbiamo conosciuto il testo del documento finale del Sinodo, abbiamo iniziato a poter almeno immaginare che il diaconato “permanente” di un coniugato possa diventare, almeno in qualche caso, “diaconato impermanente”. E che vi sia, almeno per alcuni coniugati, dopo un diaconato permanente, anche un accesso al presbiterato. Queste sorprese riserva la tradizione: anche nella sua versione cattolica. Con piccoli o grandi smarrimenti, ma non senza più grandi e più fondate speranze.

Andrea Grillo blog come se non         28 ottobre 2019

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Sinodo amazzonico. Preti sposati? L’analisi del professor Fulvio Ferrario

Il pastore e teologo valdese Fulvio Ferrario, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma, sollecita un vivace dibattito su Facebook a partire da un suo post intitolato “domandina” in cui scrive: «Hanno un bel dire gli esponenti ufficiali della Chiesa cattolica che la questione dell’ordinazione di uomini sposati non esaurisce il documento del Sinodo amazzonico: le ragioni per le quali l’attenzione si accentra su tale aspetto non richiedono nemmeno di essere menzionate».

            Il documento finale del Sinodo consta di 120 paragrafi votati singolarmente dai padri sinodali e i cui risultati delle votazioni sono stati resi noti. Esso si articola in quattro capitoli: nuovi percorsi di conversione pastorale, nuovi percorsi di conversione culturale, nuovi percorsi di conversione ecologica, nuovi percorsi di conversione sinodale. Fra i suoi temi, il rapporto con le culture locali, il dialogo ecumenico, interreligioso e culturale, la crisi socio ambientale e l’ecologia integrale, il ruolo della donna e nuovi ministeri. Ferrario propone la sua “domandina” a partire dal paragrafo 111, approvato con 128 voti favorevoli e 41 contrari (è il paragrafo con maggiore divergenza di tutto il documento).

            «La questione dell’ordinazione di uomini sposati già inseriti nel diaconato permanente era già stata accennata da Francesco, e associata a paesi remoti e situazioni estreme – scrive ancora Ferrario –. Ora è esplicitamente motivata con il ridotto numero di sacerdoti in un territorio immenso. Il primo punto, però, non è un problema solo amazzonico, anzi».

            Il teologo valdese, che si definisce un osservatore interessato, avanza quindi «una domanda critica» che alcuni potrebbero bollare come «inutile», «superata» e in definitiva «antiecumenica, specie se da parte protestante». «Ma veniamo alla domanda, che non è teologica, ma semplicemente logica. Rispetto alla proclamazione dell’evangelo nella sua autenticità, che è il compito di tutte le chiese, l’ordinazione di uomini (per quel che mi riguarda anche donne, naturalmente, ma restiamo sul punto) sposati può essere: a) negativa, cioè contraria all’autenticità del messaggio; b) positiva, cioè conforme a tale messaggio, così come oggi lo comprendiamo. In teoria, potrebbe anche essere “indifferente”, in quanto legata a semplici considerazioni di opportunità, ma in tal caso non si capirebbe l’accanimento nella discussione. Nell’ipotesi a), la scelta andrebbe ovviamente rifiutata; se invece vale b), evidentemente accettata. Senza restrizioni, in Amazzonia come in Norvegia, come un’occasione e non come una specie di terapia d’urto per malattie gravi. Così aveva fatto la Riforma protestante, offrendo motivazioni chiare: non tutte precisamente teologiche (ad esempio: il celibato ecclesiastico, comunque, è largamente disatteso), ma precise. La domanda è: aveva ragione o torto?».

            Il post di Fulvio Ferrario si conclude con un Post Scriptum: «Ovviamente, tutto ciò non ha nulla a che vedere con il significato carismatico del celibato “per il regno di Dio”, come si esprime Gesù. La questione riguarda soltanto il carattere obbligatorio del celibato in relazione al ministero della parola e dei sacramenti».

La pubblicazione di questa domanda ha suscitato molte reazioni e condivisioni sul social network, e una “rispostina” del teologo cattolico Andrea Grillo, che in parte conferma l’approccio di Ferrario e in parte lo pone in discussione, concludendo però che «Un confronto tra gli universi cristiani di relazione tra celibato, matrimonio e ministero farà bene al cammino della chiesa, di ogni chiesa». A Grillo giunge il ringraziamento, sempre via social di Ferrario: «Grazie al prof. Andrea Grillo che risponde per esteso alla mia “domandina” di ieri. La persona che da qualche mese guida la Chiesa della quale faccio parte mi diceva una volta: “Evviva il dissenso, purché circoli il pensiero“. È quanto succede, sempre, con Andrea Grillo. La controreplica sarà per la prossima volta!».

Notizie evangeliche 31 ottobre 2019

https://riforma.it/it/articolo/2019/10/31/sinodo-amazzonico-preti-sposati-lanalisi-del-professor-fulvio- ?utm_source=newsletter&utm_medium=email

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CONGRESSI –  CONVEGNI

Convegno C.I.C.R.N.F.  Sessualità…… che piacere!?”

La C.I.C.R.N.F.  – Confederazione Italiana dei Centri per la Regolazione Naturale della Fertilità organizza a Roma dal 29 novembre al 1 dicembre 2019 il convegno dal titolo “Sessualità…… che piacere!?”. Si cercherà di mettere a fuoco perché si cerca e che cosa desidera, significa, promette e realizza il piacere sessuale. L’obiettivo è quello di analizzare i meccanismi connessi al piacere nella sessualità umana; e svelare come essi possono creare dipendenze e infelicità, oppure donare all’uomo e alla donna unione e felicità

Tra i relatori: dr Maria Boerci sessuologa, vicepresidente della Confederazione, dr Piergiorgio Casaccia sessuologo, Mariolina Ceriotti Migliarese neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta; Melania Fiore attrice, mons. Claudio Giuliodori vescovo, assistente ecclesiastico dell’UCSC; Sara Gozzini sessuologa, dr Giuseppe Grande andrologo, Roberto Marchesini psicologo e psicoterapeuta, ing. Luca Marelli fondatore e presidente di Puri di Cuore; Angela Mongelli sociologa, padre José Noriega Bastos,già docente di teologia moraleIstituto Giovanni Paolo II; Valentina Pasqualetti  psicologa e sessuologa, Giuseppe Spimpolo, filosofo insegnante dei metodi naturali, Giancarla Stevanella presidente della Confederazione, don Gino Zampieri consulente etico.

www.confederazionemetodinaturali.it/userfiles/News/files/pieghevole_A5-sessaulita_-OK-08.pdf

www.confederazionemetodinaturali.it

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CONSULTORI FAMILIARI ASL

 I Consultori Familiari a 40 anni dalla loro nascita tra passato, presente e futuro

12 dicembre 2019 organizzato da Istituto Superiore Di Sanità

 Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute (CNaPPS)

Viale Regina Elena 299 – Roma –  Aula Pocchiari (200 posti)

 

Segreteria organizzativa: Silvia Andreozzi, Mauro Bucciarelli, Claudia Ferraro, Marina Pediconi  CNaPPS – Istituto Superiore di Sanità Tel. 06 49904311; 06 49904312; 06 49904163; 06 49904315;

 e-mail: silvia.andreozzi@iss.it; mauro.bucciarelli@iss.it; claudia.ferraro@iss.it; marina.pediconi@iss.it

Sono trascorsi 40 anni dall’istituzione dei Consultori Familiari (CF), servizi a tutela della salute della donna, dei giovani, della coppia e della famiglia. Straordinariamente innovativi nei principi istitutivi quali l’approccio olistico alla salute, la multidisciplinarietà e l’offerta attiva, i CF rappresentano un esempio unico e ancora attuale, di servizio volto alla promozione della salute ed in grado di cogliere i nuovi bisogni di una società in trasformazione. Nonostante le enormi potenzialità, i CF hanno avuto uno sviluppo non lineare nel tempo e non omogeneo sul territorio nazionale.

Il riconoscimento dell’importanza di questi servizi è documentato da numerosi riferimenti istituzionali tra i quali, recentemente, figurano i nuovi LEA 2017, il Piano Nazionale Fertilità, il IV Piano nazionale infanzia e adolescenza e l’Atto di indirizzo per il 2017 e il 2018 del Ministero della Salute che ha riconosciuto l’esigenza di una riqualificazione e un potenziamento dei CF. Come fase conoscitiva propedeutica al perseguimento di questo obiettivo, il Ministero della Salute ha inserito, tra le Azioni Centrali/CCM 2017, il progetto “Analisi delle attività della rete dei consultori familiari per una rivalutazione del loro ruolo con riferimento anche alle problematiche relative all’endometriosi”, affidandone il coordinamento all’Istituto Superiore di Sanità.

Con l’obiettivo di rilevare modelli organizzativi e buone pratiche, sono state condotte una prima indagine sul contesto regionale, una seconda sulle attività di coordinamento dei CF a livello di ASL/Distretto e una terza sulle attività delle sedi consultoriali attive sul territorio nazionale.

Il convegno ha lo scopo di restituire e discutere le informazioni rese disponibili dalle indagini con l’obiettivo di identificare strategie e modalità organizzative per il miglioramento dei servizi consultoriali. La distribuzione di una sintesi dei principali risultati dell’indagine faciliterà la disseminazione delle informazioni raccolte sulle diverse aree tematiche (modelli organizzativi dei CF, salute della donna, percorso nascita, adolescenti, coppie e famiglie). Al termine del convegno, i partecipanti saranno in grado di descrivere e discutere i dati raccolti dall’indagine coordinata dall’ISS e di discutere le ricadute di tali conoscenze sul modello organizzativo dei loro consultori di appartenenza.

Relatori – Moderatori

 Silvana Borsari – Regione Emilia Romagna – Modena 

Renata Bortolus – Ministero della Salute – Roma 

Grazia Colombo – Sociologa – Milano

Marina D’Amato – Università degli Studi Roma 3 – Roma

Serena Donati – Istituto Superiore di Sanità – Roma

Giovanni Fattorini – Associazione Ginecologi Territoriali – affiliata alla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia

Gianmario Gazzi – Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali

Fulvio Giardina – Consiglio Nazionale Ordine Psicologi

Michele Grandolfo – già Istituto Superiore di Sanità – Roma 

Laura Lauria – Istituto Superiore di Sanità – Roma 

Ilaria Lega – Istituto Superiore di Sanità – Roma

 Marina Mauro Piazza – Sociologa – Milano

 Enrica Pizzi – Istituto Superiore di Sanità – Roma

Chiara Saraceno – Università di Torino – Torino

Angela Spinelli – Istituto Superiore di Sanità – Roma 

Cristina Tamburini – Ministero della Salute – Roma

Maria Vicario – Federazione Nazionale degli Ordini della Professione Ostetrica

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CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI

Consultori Familiari Oggi, anno 27. n.2, 2019

Livia Cadei                 L’amicizia (editoriale)

Contributi alla vita consultoriale

Giovanni Salonia        Il modello teorico e clinico della Family Gestalt Therapy

Elena Tommolini        Maternità paternità e aborto volontario secondo l’etica dell’alterità di Lévinas

Claudia Spina             Una lettura pedagogica-educativa

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CONSULTORI UCIPEM

Mantova. Etica, salute e famiglia novembre 2019

  • Armando Savignano      Suicidio assistito, ma a determinate condizioni                                                                                                      
  • Aldo Basso                      La vita spirituale dei bambini, oggi 
  •  Maurizio Tedoli             La relazione in medicina
  • Gabrio Zacchè                Unità specializzata di neonatologia a Bukavu nel tormentato Congo
  • Joseph Mibi Kakisingi    Congo. Salva un neonato ammalato di Ebola e abbandonato
  • Maria A. Sali Colpan     Un saluto. Il saluto agli operatori del Consultorio della signora Maria Antonietta Sali Colpani che termina la sua collaborazione iniziata fin dalla nostra fondazione (1967). Sono passati tanti anni e i limiti imposti dall’età prevalgono sugli entusiasmi. La vita familiare di Antonietta, già insegnante, e del marito Gianmaria, psicologo, è stata esemplare. Li festeggiano quattro figli, 18 nipoti e 2 pronipoti.
  • Alessandra Venegoni       Massaggio neonatale, un tocco gentile con molteplici benefici
  • James Martin                   La porta dell’Umiltà                                 

www.consultorioucipemmantova.it/consultorio/index.php/pubblicazioni/etica-salute-famiglia

ETICA SALUTE_FAMIGLIA – 2019 anno XXIII n°06 – novembre.pdf

www.consultorioucipemmantova.it/consultorio

 

Roma. Il Centro La Famiglia, al servizio di genitori e ragazzi

Percorsi di crescita spirituale per coppie, iniziative per persone separate o divorziate, corsi prematrimoniali, itinerari per migliorare il rapporto tra genitori e figli. Il Consultorio familiare socio-educativo Centro La Famiglia conferma anche per questo nuovo anno il proprio impegno e il coinvolgimento di sempre nell’ascolto. Tante le iniziative in programma, come “Amici del Giogo. Famiglie al Centro. Per-corso di crescita spirituale e discernimento per coppie e famiglie”, che prevede un incontro al mese da ottobre a giugno. La sede è la Sala del Giogo, sala per ascolto, dialogo e formazione dell’associazione Centro La Famiglia: «Un’oasi per le famiglie – la definisce il direttore del Consultorio padre Alberto Feretti -, un nido caldo con una chiesa dove poter pregare e una tavola dove riunirsi aperta nella casa dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, in via dei Prefetti 34, con il desiderio di creare un punto di riferimento, un luogo di pace e di confronto».

Ancora, tra le proposte c’è “Achor. Porta di speranza. Cammino per persone separate, divorziate, in nuova unione”, particolare percorso di accompagnamento per chi è stato segnato da un amore ferito e finito. Dedicato ai genitori “Scialla: verso il piacere per la relazione con i figli”, mentre per gli anziani ci sono gli “Incontri over 60. La forza dell’età”, per aiutare chi è avanti con gli anni a trovare dentro di sé le risorse necessarie per affrontare con successo una fase della vita di grande cambiamento. «Il Consultorio conferma, altresì, il proprio impegno e coinvolgimento di sempre nell’ascolto anche attraverso l’attività consulenziale», sottolinea padre Feretti; in questo senso, lo scorso anno i 117 operatori hanno seguito 1.280 persone. Il Centro collabora inoltre all’itinerario di catecumenato per fidanzati “A sposarsi s’impara”, promosso dalla diocesi di Roma.                                                                                                                www.centrolafamiglia.org.

R.S.                 RomaSette 22 ottobre 2019
www.romasette.it/il-centro-la-famiglia-al-servizio-di-genitori-e-ragazzi/

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DALLA NAVATA

XXXI Domenica del Tempo ordinario- Anno C – 3 novembre 2019

GènesiSapienza            11  14, 23.  Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento.

18Salmo          144, 14. Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto.

2Tessalocinesi   01, 11. Fratelli, preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.

Luca                 19, 10.  Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

                                   

Zaccheo e la scoperta d’essere amati senza meriti

Il Vangelo ci trasmette, nella storia di Zaccheo, l’arte dell’incontro, la sorpresa e la potenza creativa del Gesù degli incontri.

Prima scena: personaggi in ricerca. C’è un rabbi che riempie le strade di gente e un piccolo uomo curioso, ladro come ammette lui stesso, impuro e capo degli impuri di Gerico, un esattore delle tasse, per di più ricco. Il che voleva dire: soldi, bustarelle, favori, furti…Si direbbe un caso disperato. Ma non ci sono casi disperati per il Vangelo. Ed ecco che il suo limite fisico, La bassa statura, diventa la sua fortuna, «una ferita che diventa feritoia» (L. Verdi). Zaccheo non si piange addosso, non si arrende, cerca la soluzione e la trova, l’albero: «Corse avanti e salì su un sicomoro». Tre pennellate precise: non cammina, corre; in avanti, non all’indietro; sale sull’albero, cambia prospettiva.

Seconda scena: l’incontro e il dialogo. Gesù passa, alza lo sguardo, ed è tenerezza che chiama per nome: Zaccheo, scendi. Non giudica, non condanna, non umilia; tra l’albero e la strada uno scambio di sguardi che va diritto al cuore di Zaccheo e ne raggiunge la parte migliore (il nome), frammento d’oro fino che niente può cancellare. Poi, la sorpresa delle parole: devo fermarmi a casa tua. Devo, dice Gesù. Dio viene perché deve, per un bisogno che gli urge in cuore; perché lo spinge un desiderio, un’ansia: a Dio manca qualcosa, manca Zaccheo, manca l’ultima pecora, manco io. Devo fermarmi, non semplicemente passare oltre, ma stare con te. L’incontro da intervallo diventa traguardo; la casa da tappa diventa meta. Perché il Vangelo non è cominciato al tempio ma in una casa, a Nazaret; e ricomincia in un’altra casa a Gerico, e oggi ancora inizia di nuovo nelle case, là dove siamo noi stessi, autentici, dove accadono le cose più importanti: la nascita, la morte, l’amore.

Terza scena: il cambiamento. «Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia». Zaccheo non deve prima

Cambiare vita, dare la metà dei beni ai poveri, e dopo il Signore entrerà da lui. No. Gesù entra nella casa, ed entrando la trasforma. L’amicizia anticipa la conversione. Perché incontrare un uomo come Gesù fa credere nell’uomo; incontrare un amore senza condizioni fa amare; incontrare un Dio che non fa prediche ma si fa amico, fa rinascere. Gesù non ha indicato sbagli, non ha puntato il dito o alzato la voce.

Ha sbalordito Zaccheo offrendogli se stesso in amicizia, gli ha dato credito, un credito immeritato. E il peccatore si scopre amato. Amato senza meriti, senza un perché. Semplicemente amato. Il cristianesimo tutto è preceduto da un “sei amato” e seguito da un “amerai”. Chiunque esce da questo fondamento amerà il contrario della vita.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.cercoiltuovolto.it/vangelo-della-domenica/commento-al-vangelo-del-3-novembre-2019-p-ermes-ronchi

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FAMIGLIA

La costituzione della famiglia nella nostra Costituzione

Una radiografia della comunità familiare scandagliata nella sua importanza socio-economico-culturale alla luce del quadro giuridico della Carta fondamentale.

            Oggi molte famiglie sono in crisi, lacerate o distrutte da vari eventi. La famiglia può fallire ma non finire perché è la costituzione della persona, di ogni persona.

            Il bioeticista Paolo Marino Cattorini si chiede: “Che cos’è la famiglia? Qual è la famiglia vera? Che cosa la tiene unita? Il passato comune, gli affetti, oppure la speranza in che cosa? Nel successo, nella salute, in figli sani e intelligenti? Oppure in una comunità aperta e accogliente, in una società che sia famiglia delle famiglie e che trasformi i clan avversari in alleati affidabili e generosi? […] una famiglia affettiva, dove i legami di sangue contano ben poco rispetto alla scelta di stare assieme. È un’apologia dei rapporti d’elezione, non subìti per imposizioni genetiche, ma disegnati dal caso e poi confermati nella libertà. Non è sempre l’amore che cementa queste relazioni, ma una complicità furbesca e goffa, e un gusto testardo di reinventarsi ogni giorno da capo, costruendo un riparo dall’invadenza sociale e trasmettendosi reciprocamente le astute arti della sopravvivenza”[maggio 2019].

È risaputo che la famiglia odierna non è più “tradizionale” e “normativa” ma “affettiva”, ovvero un gruppo di persone legate da affetto e che trasmette affetto. Per quanto oggi ci siano varie conformazioni o configurazioni familiari, la famiglia deve avere almeno i tratti identitari essenziali che si ricavano dalla Costituzione. Nella Carta costituzionale la famiglia è disciplinata sotto la rubrica “Rapporti etico-sociali” (artt. 29-31), quelli che formano la persona nella sua interezza. Rapporti, pertanto, che non possono chiudersi agli altri. Non solo: i rapporti etico-sociali sono collocati tra quelli civili, che riguardano il cittadino, e quelli economici, che riguardano il lavoratore. La famiglia, perciò, deve avere delle regole e deve educare alle regole e non essere solo culla d’amore e conforto dal mondo esterno. Un altro indice normativo interessante è quello della locuzione “diritti della famiglia” da cui si può arguire che la famiglia è anche soggetto di situazioni giuridiche passive, confermato dall’art. 31 comma 1 Cost. ove si legge “adempimento dei compiti relativi”.

            Le api hanno tanto da insegnare a ogni famiglia: un capo quale punto di riferimento, organizzazione, impiego del tempo, ruoli e compiti, rispetto e solidarietà, fasi della vita, economia ed ecologia. La famiglia ha bisogno di recuperare la propria naturalezza: “[…] famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” (dall’art. 29 Costituzione). Si ha bisogno di sapere quello che si deve fare, di avere delle regole (la “regula” era un’asticella per tirare linee dritte), dei ruoli (etimologicamente da “rotolo”, pertanto qualcosa di scritto), per l’unità familiare (di cui all’art. 29 comma 2 Cost.) e per la propria stabilità, così la famiglia diventa ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). In tal modo la famiglia torna a identificarsi con la casa così com’era nelle sue origini antropologiche e etimologiche, perché l’etimologia della parola famiglia è da ricondursi al termine osco “faam” (o voce simile), “casa“, da cui è disceso il latino “familia“, cioè l’insieme dei famuli (moglie, figli, servi e schiavi, con a capo il “pater familias“). Quella casa – non solo luogo fisico – che è innanzitutto un diritto dei figli in età minore (art. 316 comma 1 cod. civ.), che è oggetto di contesa nelle liti familiari o è covo di violenza domestica o di altre relazioni disfunzionali. In questi casi la famiglia perde i suoi connotati e non diviene la formazione sociale ove si svolge la personalità (art. 2 Cost.), non è fonte di salute (art. 32 Cost.) né scuola di vita (art. 33 Cost.).

            Il bioeticista Cattorini continua: “Che cos’è la famiglia? Perché avere un figlio? Ci sono dei «fini» che la coppia persegue? A quali condizioni ci affidiamo a quell’amore che ci ha sorpresi e affascinati come un dono gradito? Chi crede ai valori di una tradizione, sa che per difendere la famiglia occorre promuoverla. Per liberare la verità, ancora nascosta, che essa custodisce, bisogna contestare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze (soprattutto verso le donne e i bambini), che la soffocano dall’esterno e la corrodono dall’interno”. L’aggettivo più attribuito dalle legislazioni alla famiglia è “naturale” (art. 29 comma 1 Cost.), perché la famiglia dovrebbe sottostare solo alle leggi dell’amore e l’ordinamento giuridico la riconosce e garantisce. Quando, purtroppo, si arriva alla tutela penale (per esempio l’art. 570 cod. pen.) significa che è rimasto ben poco della famiglia.

L’economista Stefano Zamagni scandaglia la famiglia d’oggi: “I figli. Quante volte sentiamo dire “non ho avuto tempo per stare con i figli perché dovevo fare le compere”. […] Quante volte sentiamo dire che non possiamo generare un secondo o terzo figlio perché non possiamo assicurare a essi i livelli di consumo che dedichiamo a un solo figlio? È un ragionamento che mette la generazione della vita sullo stesso piano di beni materiali e di merci da consumare, di cui si potrebbe tranquillamente fare a meno. […] Ma bisogna investirci. E il neoconsumismo offre questa sostituzione: anziché favorire investimento di tempo nelle relazioni, ci porta a sostituirlo con l’acquisto di oggetti. Da qui la disperazione esistenziale di famiglie circondate da oggetti ma sempre più sole e sfiduciate. Ecco perché c’è un collegamento tra amare e difendere la vita e il consumo. […] I bambini non vogliono tutti quei giochi che i genitori acquistano per loro. Se potessero scegliere, preferirebbero il rapporto pieno con gli adulti cui vogliono bene”. La famiglia è chiamata a essere “società naturale”, basata sulla naturalezza dell’essere genitori e, ancor di più, sulla naturalezza dei bambini che la compongono.

            L’aspetto economico e sociale della famiglia è evidenziato anche dall’economista ceco Lubomir Mlococh: “Visto che la costruzione della fiducia e l’insegnamento ai figli del comportamento pro-sociale sono una funzione specifica della famiglia, la famiglia non può essere trattata come una qualsiasi istituzione privata, ma come un’istituzione che svolge un ruolo gigantesco, e sicuramente indispensabile, nella produzione di beni pubblici di una nazione. Così, il mio libro si basa sull’ipotesi che la funzione di produzione della famiglia contribuisca non solo alla produzione di beni privati, ma sia anche un’importante – e forse la più importante – generatrice di valore aggiunto nella produzione di beni pubblici”[Come la famiglia può salvare il cuore dell’economia].

            La famiglia realizza economie, è scuola di economia, è fonte di economia: è anche questo il senso di “società naturale” di cui all’art. 29 comma 1 Costituzione. È anche la prima “società” in senso economico, come previsto nell’art. 2247 cod. civ.: “Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Ricordando il significato etimologico di “economia”, “amministrazione delle cose domestiche, distribuzione, ordine”, si evince come dalla crescente fragilità delle famiglie scaturiscano gli elevati costi individuali, economici e sociali.

            Lo psicologo e psicoterapeuta Fabrizio Fantoni sottolinea: “È necessario, però, aiutare gli adolescenti a capire le ragioni dei propri comportamenti, riflettendo su come entrano in relazione tra loro. A essere uomo e donna si impara prima in famiglia e, poi, nella società. Penso ci siano due strade maestre. Dobbiamo pensare a un’educazione familiare che offra modelli ai ragazzi per imparare a gestire ruoli e conflitti. Occorre, poi, proporre iniziative per un’adeguata educazione affettiva e sessuale, nelle scuole dall’infanzia alle superiori, che rifugga dagli stereotipi vecchi e nuovi e insegni ai bambini e ai ragazzi a dare un nome alle loro emozioni, per poterle controllare meglio e capire sé stessi più in profondità. Molte sono le iniziative possibili per attivare processi. Al centro ci siamo noi, uomini e donne, con la nostra vita concreta, che dobbiamo imparare a riconoscerci e rispettarci nelle differenze”. I doveri dei genitori verso i figli (art. 147 cod. civ.) cominciano con l’obbligo di mantenere che letteralmente significa tenere per mano: quella mano che deve condurre, tirare, indicare, fare e dare esempio. Le relazioni in famiglia sono fondamentali per le relazioni tra i sessi. Famiglia deriva dal latino “famul, famulus“, servitore: non significa che in famiglia ci si deve rendere servitori o asservire, ma mettersi al servizio l’uno dell’altra. Così si sperimenta, si costruisce, si vive la relazione tra i sessi: anche in questo la famiglia si realizza quale “società naturale”. Da ricordare che nella Costituzione l’aggettivo “naturale” è usato anche nell’art. 25 comma 1 riferito al giudice naturale, quasi a indicare la medesima importanza della giustizia e della famiglia nella vita di un uomo.

            Simone Bruno, psicologo dei legami familiari, osserva: “Le famiglie non hanno solo problemi che sfociano in crisi preoccupanti o in rotture inevitabili. Al loro interno, sono presenti tante risorse, preziose potenzialità ed energie. Le difficoltà quotidiane, però, tendono a offuscarle, tanto da farle passare in secondo ordine. Anzi, spesso, si crede di non averle più”. Tanto la definizione di famiglia quale “società naturale” (art. 29 comma 1 Cost.) quanto quella di “cellula fondamentale” (Parte I n. 16 Carta sociale europea, riveduta nel 1996) mettono in evidenza la naturalità dei processi di trasformazione (come quelli di qualsiasi cellula o tessuto) cui è sottoposta la famiglia. Occorre, pertanto, consapevolezza da parte di coloro che “mettono su famiglia” per non andare subito incontro a cedimenti o fallimenti. Le crisi di coppia sono naturali e rientrano nella naturalezza della famiglia e naturale dovrebbe essere il modo di affrontarle. Non a caso il legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975 ha aggiunto all’obbligo coniugale dell’assistenza gli aggettivi “materiale e morale”.

“Nella vita di coppia, come nella vita personale, le crisi non sono un incidente di percorso, ma le soglie da cui passare per andare più lontano. La coppia entra in crisi perché le fasi della vita amorosa sono diverse. Vi sono crisi comuni a pressoché tutte le coppie, quali per esempio quelle degli inizi, legate al reciproco adattamento, e le crisi dovute ai figli, alla loro nascita, crescita e distacco dal nido familiare. Vi sono inoltre le crisi personali di ciascuno, non di rado dovute a vicende antecedenti la vita comune. Vi sono poi tensioni particolari connesse alle diverse vicende di vita di ciascuna coppia. […] Per affrontare una crisi occorre creare spazi di comunicazione, da cuore a cuore, nei quali, soprattutto, apprendere e vivere l’esperienza decisiva di perdonare ed essere perdonati” (don Aristide Fumagalli, teologo, autore di vari saggi su sessualità e matrimonio).

            Secondo Fulvio Scaparro (cofondatore della mediazione familiare in Italia) “[…] quando l’ostinazione del sognatore che lavora di fantasia si incontra con quella di altri sognatori con i piedi per terra, scocca la scintilla che accende il fuoco dell’entusiasmo, e qualcosa che prima era soltanto sognato e pensato, prende forma. Non è frequente ed è difficile e faticoso, ma ogni tanto capita”. Fare famiglia: sognare e faticare insieme. Anche questo è “società naturale”, in altre parole vivere e rendere tutto naturale in famiglia, a cominciare da sacrifici e rinunce che hanno un alto valore materiale e spirituale, perché denotano libertà interiore e comportano miglioramento della vita propria e altrui.

Margherita Marzario             Studio Cataldi             28 ottobre 2019

www.studiocataldi.it/articoli/36249-la-costituzione-della-famiglia-nella-nostra-costituzione.asp

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Nel discorso al Sinodo. La frase scritta da Péguy e la citazione di Francesco

Le parole sul “partito dei devoti” usate dal grande poeta cristiano sono state riprese da papa Francesco nel suo intervento di chiusura dei lavori del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia.

«Poiché non hanno la forza (e la grazia) di essere della natura, credono di essere della grazia. Poiché non hanno il coraggio del temporale, credono d essere entrati nella sfera d’influenza dell’eterno. Poiché non hanno il coraggio di essere del mondo, credono di essere di Dio. Poiché non hanno il coraggio di essere di un partito dell’uomo, credono di essere del partito di Dio. Poiché non sono dell’uomo, credono di essere di Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio».

Lo scriveva nel 1914 Charles Péguy, nella sua Note conjointe su Cartesio e la phliosophie cartesienne, la sua ultima opera rimasta incompiuta e pubblicata postuma. Con queste parole, il grande scrittore francese autore dei Cahiers stigmatizzava il grave «errore di calcolo» che sta «al centro del sistema devoto», compiuto da quelli che lui definiva il “partito dei devoti”: coloro che pensano che si possa «amare Dio contro il prossimo», che «disprezzano il mondo» e credono di ergersi sopra il mondo abbassandolo, dimenticando che «anche Gesù è stato dell’uomo». Ma soprattutto sono coloro che dentro la corazza delle loro sclerosi e la schiavitù delle loro rigidezze si rendono lontani e impermeabili alla grazia, che è il cuore e il germoglio della novità cristiana.

            Proprio queste parole sul “partito dei devoti” usate dal grande poeta cristiano sono state riprese da papa Francesco nel suo intervento di chiusura dei lavori del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia. Il Papa le ha applicate a certi «media», «gruppi di cristiani, di élite… oggi, soprattutto cattolici» che nei loro irrigidimenti trattano anche le assemblee sinodali alla stregua di congressi di partito, e dove le singole disposizioni assembleari servono solo a misurare i rapporti di forza tra cordate antagoniste.

            Nella Note conjointe Peguy affonda su ciò che è il mondo moderno incristiano «dove per la prima volta nella storia il denaro è il signore senza limite né misura» e le sue sclerosi, le cristallizzazioni, le ossificazioni, le abitudini della «morale rigida» e gli indurimenti di ogni tipo sono l’esatto contrario della vita e quindi sono il contrario esatto anche della grazia. Continuamente Peguy ritorna qui sul punto di riflessione dell’abitudine, del «bell’e fatto», di come le rigidezze offrono meno presa all’opera della grazia nella quale «nessuno verrà diminuito per far sembrare gli altri più grandi. Nessuno sarà diminuito per lasciare il passo agli altri». «E Dio comunque passerà. Da dove deve passare».

Stefania Falasca         Avvenire         3 novembre 2019

www.avvenire.it/chiesa/pagine/la-frase-scritta-da-pguy-e-la-citazione-di-francesco

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SINODO PANAMAZZONICO

Vedi inoltre newsUCIPEM n. 777, pagg. 23-26

“I sacerdoti sposati avvicineranno la Chiesa a tutti” intervista a Christoph Schönborn,

La Chiesa non può essere solo «in visita», con un prete che passa a distanza di mesi. Deve avere una «presenza fissa». Essere «vicina alla gente». Da questa esigenza delle «zone remote dell’Amazzonia» è nata la richiesta dei vescovi di ordinare sacerdoti i diaconi con famiglia. Però l’apertura ai preti sposati è «solo uno dei risultati del Sinodo». Non vanno trascurati i «passi avanti» sul «ruolo delle donne».

 E sarebbe uno sbaglio irrecuperabile tralasciare il principale obiettivo dell’Assemblea: lanciare un grido di allarme al mondo, perché la devastazione della regione panamazzonica mette in pericolo il pianeta intero. E dunque l’umanità. E questo è un tema cristiano, non solo ambientalista.

 Parola del cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, teologo domenicano, considerato uno dei porporati più influenti e autorevoli del collegio cardinalizio.

Eminenza, come si è svolto il Sinodo?

 «Il clima è stato sereno e fraterno. Ci si è ascoltati, condividendo le esperienze e le preoccupazioni. È stato uno dei migliori che ho vissuto, per l’atmosfera e l’efficacia».

 Quali erano gli obiettivi generali?

«Innanzitutto la questione ecologica, con la drammatica situazione dell’Amazzonia che per il clima mondiale ha un’importanza cruciale».

 Fino a che punto c’è da preoccuparsi?

«Un grande esperto climatico tedesco, il professor Hans Joachim Schellnhuber, ha descritta l’emergenza così: la morte della selva amazzonica è la morte del mondo. Ecco, è l’emergenza che ha portato a questo Sinodo, perché il Papa e i padri sinodali volevano lanciare un grido di allarme al mondo».

Le urgenze sono limitate all’aspetto ambientale?

«No. I partecipanti al Sinodo hanno fatto sentire la voce degli indigeni, una delle popolazioni più povere e sfruttate del pianeta».

Qual è l’importanza dell’apertura all’ordinazione sacerdotale di diaconi sposati?

«Innanzitutto va fatta una precisazione: la pastorale in Amazzonia era uno dei compiti del Sinodo, e la mancanza di sacerdoti era un elemento tra tanti altri, non si deve parlare solo dei preti sposati. Per esempio va affrontato il ruolo pericoloso delle sette. Poi la diffusione delle chiese pentecostali, che hanno un influsso tale per cui si stima che già più del 50% dei fedeli siano passati alle correnti evangeliche. Le riflessioni sui diaconi sono partite dal rilevamento di una necessità: la pastorale cattolica non deve più essere solo “di visita”, ma di presenza».

 Ci spiega che cosa significa?

«A volte occorrono mesi, se non anni, prima che un prete possa tornare – in visita – in una comunità per celebrare messa. Invece il diacono, persona con famiglia e lavoro, è un uomo vicino, che ha una presenza fissa».

Ci aiuta a fare chiarezza sui vari passaggi?

«Nella Chiesa cattolica per essere presbitero (sacerdote, ndr) bisogna prima ricevere l’ordinazione diaconale. Da 50 anni abbiamo l’apertura stabilita al Concilio Vaticano II di uomini sposati che possono ricevere il sacramento dell’ordine nel quadro del diaconato. Sono diventati diaconi permanenti sposati, che hanno famiglia, vita professionale e servono la Chiesa. Molte conferenze episcopali hanno già utilizzato questa possibilità».

Quale per esempio?

 «La nostra arcidiocesi di Vienna. Abbiamo una lunga e fruttuosa esperienza di diaconi permanenti, a servizio nelle parrocchie».

Dunque come potrà funzionare in Amazzonia?

«Nelle zone remote, dove c’è una grave mancanza di preti, la comunità potrà chiedere al vescovo, che avrà ricevuto la facoltà dal Papa, di ordinare sacerdote il diacono lì presente. Questo è il cammino che ha proposto il Sinodo e che ha sottoposto al giudizio del Pontefice».

Intervista cura di Domenico Agasso jr           “La Stampa” 28 ottobre 2019

i-sacerdoti-sposati-avvicineranno-la-chiesa-a-tutti-int-ch.-schonborn-last.pdf

 

Due buone una cattiva

La nuova forma di sinodalità che ha messo insieme le Chiese della regione amazzonica con tutti i loro vescovi ed ausiliari, i missionari, i ministri, le dirigenti di comunità e altri laici e laiche, insieme alle rappresentanze dei popoli amazzonici, una sinodalità così profondamente pensata “che riconosca l’interazione di tutto il creato”, come recita il documento finale del Sinodo che ha avuto termine il 26 ottobre 2019 a Roma, ha mostrato di essere in grado di innescare processi di vera riforma della Chiesa e di poter dare molti frutti. Vedremo ora che conseguenze ne trarrà il papa, ma la strada è aperta.

Delle conclusioni del Sinodo vorremmo citarne due molto positive, ricche di futuro, e una terza che sul futuro lascia aperta invece una gravissima incognita.

  1. La prima cosa di straordinaria importanza è l’apertura all’introduzione nella Chiesa latina di sacerdoti sposati (già presenti nelle Chiese di altri riti). Lasciamo stare tutte le cautele, le ragioni più o meno persuasive che ne sono state addotte, la strettoia di limitarne il reclutamento tra i diaconi permanenti già sposati, la circoscrizione del loro servizio “alla regioni remote dell’Amazzonia”. Tutto questo è il pedaggio che si deve pagare ai custodi imbalsamati del passato, ai prelati infedeli che minacciano scismi ad ogni passo, alla gradualità necessaria a ogni processo di riforma. Ma è chiaro che, come hanno invocato molti vescovi, si dovrà passare a un “approccio universale del tema” del celibato obbligatorio per i preti nella Chiesa, e poiché, come dice il Concilio, nella Chiesa cattolica romana, “sussiste la Chiesa di Cristo” (pur senza esaurirvisi), la cosa è della massima portata.

Che questa porta si apra, e magari all’inizio solo si socchiuda, ha un valore di principio che va ben oltre l’emergenza della scarsezza di clero e lo stesso statuto del ministero presbiterale. Riguarda l’antropologia e il messaggio stesso della fede. Non si può infatti ignorare che, al di là di tutte le ragioni pastorali e teologiche addotte a favore del celibato, alla radice della tesi dell’inconciliabilità tra matrimonio e sacerdozio c’è il vituperio del sesso, il cui esercizio è considerato ragione di impurità, antitetico al sacro, e anzi un peccato riscattato solo dalla finalità della procreazione nelle forme stabilite. E non solo la sessualità è stata bollata come peccato, ma come “primo peccato”, peccato originale onde tutti gli uomini e le donne (tranne Gesù e la Madonna) sarebbero nati contaminati e destinati alla perdizione, salvo il lavacro del battesimo fuori del quale, nemmeno per i bambini, ci sarebbe stata salvezza. Oggi non si osa più dirlo, ma per secoli questo è stato l’insegnamento che a partire da Agostino ha infestato tutta la Chiesa.

E’ chiaro che il suo universale diffondersi non si può imputare solo ad Agostino, ma certo lui ha fatto passare l’idea che il peccato di Adamo, propagatosi poi in tutti i suoi discendenti non per imitazione ma per procreazione, fosse un peccato di concupiscenza carnale. Come dice nel «De Peccatorum Meritis Et Remissione Et De Baptismo Parvulorum ad Marcellinum)», a causa della sua disobbedienza il corpo di Adamo perse la grazia di obbedire alla sua anima, “e ne sortì fuori quel movimento bestiale e vergognoso per gli uomini che fece arrossire Adamo per la propria nudità”: in sostanza l’orgasmo. Ne derivò che gli uomini per “una specie di malattia scoppiata da una repentina e pestifera infezione” persero il loro privilegio di non mutare d’età e “si incamminarono alla morte”, tutti poi morendo in Adamo che ha “corrotto in sé per la marcia segreta della sua concupiscenza carnale” tutti coloro che sarebbero venuti “dalla sua stirpe”.

È a partire da questa antropologia che amore sessualità e morte hanno viaggiato insieme, dilaniati tra peccato e legge, tra libertà e grazia, e quella benedizione ineffabile per cui uomo e donna furono creati diversi, ma in una sola carne, è diventata maledizione e ha informato etiche e mistiche; un monaco ricordava in questi giorni l’ossessiva presenza della tomba nell’insegnamento dell’eremita camaldolese san Pier Damiani, che incitava alla lotta contro gli istinti sessuali con digiuni veglie preghiere lacrime flagellazioni e perfino “un’augurata evirazione”, portata in dono da un angelo di Dio nella notte, drastico rimedio al rischio dell’impurità.

C’è tutto questo dietro l’idea che il sacerdote non dovesse contaminare con mani impure il pane dell’eucaristia, nel fatto che i coniugi vivessero le loro notti nel rischio continuo di peccare, sotto lo sguardo inquisitorio di Ogino, che la donna fosse agognata e temuta nella Chiesa, e la Chiesa stessa pensata come maschile e celibataria. Ma se la Chiesa esce dai suoi recinti per divenire, come Dio l’ha pensata, l’umanità stessa in cammino nella storia, ciò diviene insensato.

Perciò il Sinodo dell’Amazzonia porta una buona notizia quando, per risolvere il problema di chiese senza eucaristia, presuppone un’altra antropologia, un’altra responsabile e gioiosa ricezione della parola: e saranno due in una carne sola. Fare l’amore (legittimo!) e poi consacrare l’eucaristia: che meraviglia!

  1. La seconda buona notizia, vera riforma, è lo sdoganamento dei ministeri ordinati nella Chiesa. Tutta la Chiesa è ministeriale (al servizio di tutti) e nuovi ministeri devono far fronte a esigenze nuove. Perciò non solo si rinvigoriscono ministeri antichi (il lettorato e l’accolitato) e per le donne si rilanciano la ricerca e il percorso già avviato per il loro accesso al diaconato permanente, ma si introducono nuovi ministeri: ministeri speciali nelle parrocchie e a tutti i livelli di Chiesa per la cura della “casa comune”, in particolare del territorio e delle acque, e la promozione di una ecologia integrale, il ministero di “donne dirigenti di comunità”, e quello per l’accoglienza dei migranti che dalla selva si inurbano in città.
  • La notizia non buona è che ancora non si vede la luce su come far fronte alla distruzione del sistema fisico e umano che minaccia la Terra e rischia di interrompere la storia. Chiarissima ne è la consapevolezza, determinata è la volontà di farvi fronte, forte la fede che l’uscita si troverà. In ciò il Sinodo è stato esemplare: l’Amazzonia rischia di essere distrutta dall’egoismo predatorio del sistema economico e produttivo dominante, ma l’Amazzonia si fa figura ed epitome [compendio agile e di larga divulgazione] di tutta la Terra, e le Chiese amazzoniche se ne fanno carico all’interno però di una responsabilità condivisa di tutte le Chiese per tutta la Terra. Ma da qui all’attuazione politica di misure atte a invertire la corsa verso la fine c’è un abisso che ancora non si sa come colmare.

Come passare dalla “Laudato sì”, alla salvezza effettiva del sistema? Le proposte del Sinodo, pur generose e lungimiranti, sono irrisorie dinanzi alla gravità della sfida. Certo, bisogna difendere le acque, e le foreste, e il respiro dell’Amazzonia, “cuore biologico della Terra sempre più minacciata”. Ma per la Terra intera la sola cosa che si propone alla Chiesa è di “animare la comunità internazionale a mettere risorse per un modello di sviluppo giusto e solidale”. Ma intanto? Basta questo a salvare la vita e la storia sulla Terra? Questo è compito della politica, è compito nostro, qui fede e politica si incontrano

Raniero La Valle        29 ottobre 2019

http://ranierolavalle.blogspot.com/2019/10/due-buone-una-cattiva.html

 

I tre vescovi italiani, “conversione” è la parola chiave

Parlano al Sir tre vescovi italiani che hanno partecipato ai lavori del Sinodo per l’Amazzonia. Nelle loro parole un bilancio dell’assise svoltasi in Vaticano da cui emerge anzitutto la preoccupazione per la “casa comune”. Sulle questioni relative all’ordinazione sacerdotale per i diaconi permanenti, anche sposati, e l’accesso per le donne al ministero del lettorato e dell’accolitatol’ultima parola spetta al Santo Padre”.

 “Un Sinodo profetico”. Così mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, definisce il Sinodo per l’Amazzonia che si è appena concluso. “Oggi si parla tanto dell’Amazzonia perché finalmente il mondo, grazie all’iniziativa di Papa Francesco, si è accorto che la deforestazione è una minaccia per tutta l’umanità”. Per mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti e presidente della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, le tre settimane di lavori sono state “un viaggio non fisico ma reale all’interno di un continente per noi sconosciuto, che non è tanto il polmone del mondo, ma la prova di quanto la relazione tra l’uomo e l’ambiente sia determinante per il futuro dell’umanità”. “Ciò che mi resta nel cuore – rivela mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace – è l’immagine di vescovi, pastori, ma anche laici, uomini e donne, tutti uniti intorno a Pietro. È stata un’esperienza di sinodalità in atto”. Ecco il racconto a caldo del Sinodo ad opera di tre vescovi italiani che vi hanno partecipato.

Parola d’ordine: “conversione”. Un’occasione per scoprire “la bellezza ma anche la drammaticità di un territorio che è vittima di un saccheggio sistematico delle risorse naturali, con il rischio di compromettere non solo l’intero eco-sistema, ma anche la qualità della vita delle persone”. È il ritratto dell’aula sinodale filtrato dal vissuto di mons. Pompili, secondo il quale “al primo posto del Sinodo c’è stato il tema della casa comune” e l’imperativo alla “conversione”, in materia di ecologia integrale, proposta dalla Laudato si’. Dall’Amazzonia ad Amatrice, dove si trova oggi, e alle zone terremotate del Centro Italia, secondo il vescovo, il passo è breve: “Quello che hanno in comune realtà così diverse – spiega – è la scarsa attenzione alla dinamica della natura. In un territorio ‘ballerino’ come l’Italia, facciamo fatica a fare qualcosa di ecosostenibile, anche in questa fase in cui sembra ci si stia avviando alla ricostruzione. In Amazzonia domina la logica spietata delle multinazionali che non si curano delle conseguenze che provocano sul territorio, e quando succede un evento negativo piangono magari per qualche giorno ma ricominciano”.

    “Il messaggio ecologico è il vero e unico messaggio del Sinodo”, la tesi di Pompili, avvalorata dall’invito del Papa, in chiusura, a guardare all’interno percorso sinodale e a non fermarsi sulle “cosette”. Imparare dalle differenze. Una profezia, quella di Bergoglio, che la comunità ecclesiale fa ancora fatica a recepire, osserva mons. Spreafico, lamentando “la scarsa preoccupazione che si registra ancora, a livello ecclesiale, per la cura del creato e la salvaguardia dell’ambiente”, al centro della Laudato si’. “Il creato soffre, viene violentato quotidianamente”, fa notare il vescovo, nel cui territorio diocesano è inserito uno dei 41 punti più inquinati di interesse nazionale. “Conoscere e capire il bioma dell’Amazzonia, la sua biodiversità, può aiutarci a capire che siamo all’interno di un ecosistema che, con tutte le sue ricchezze e le sue sofferenze, appartiene a tutti gli uomini e a tutte le donne”. Il Sinodo, in altre parole, “ci suggerisce che dobbiamo vivere nelle nostre differenze, ognuno con la sua diversità, ma nello stesso tempo coscienti dell’appartenenza comune al creato”, come la Chiesa italiana sta facendo in ambito ecumenico. “Il patriarca Bartolomeo, come ha ricordato il Papa nel suo discorso di chiusura, ci ha preceduto, e anche il mondo evangelico protestante ha riflettuto su questo tema prima di noi”, osserva Spreafico: “La collaborazione nella responsabilità per il creato è un tema che già unisce i cristiani”.

Donne e diaconi permanenti. “Il ruolo delle donne nella Chiesa va molto oltre il riconoscimento di una funzione”. A commentare uno dei temi più dibattuti del Sinodo per l’Amazzonia è mons. Santoro, che tra i frutti dell’assise che si è appena conclusa cita l’aver appreso come, in Amazzonia, “le donne siano molto presenti e in maniera molto significativa per la vita delle loro comunità”. Vanno in questo senso le proposte, contenute nel documento finale, a favore di ministeri come il lettorato e l’accolitato e la creazione della nuova figura pastorale di donne “dirigenti di comunità”. Tali proposte, secondo Santoro, “rivelano la ricchezza del mondo femminile, ma anche un aspetto di fondo che poteva essere maggiormente sviluppato: c’è una ricchezza delle donne che va molto oltre il riconoscimento di una funzione. Basti pensare, ad esempio, alle catechiste: le donne svolgono questo compito perché lo sentono, lo fanno con amore, con cura, considerano i bambini come figli loro”. Quanto al tema sinodale che ha richiamato maggiormente l’attenzione dei media – la proposta dell’ordinazione sacerdotale dei diaconi permanente, anche sposati –, Santoro fa notare che “non si tratta di laici indigeni, ma di persone che già fanno parte dell’ordine del diaconato, che è il primo livello dell’ordine sacro”. “Ma vista la delicatezza del tema – conclude Santoro – sul documento finale l’ultima parola spetta comunque al Santo Padre”.

https://agensir.it/chiesa/2019/10/28/sinodo-per-lamazzonia-i-tre-vescovi-italiani-conversione-e-la-parola-chiave

 

L’Amazzonia e la dottrina ecclesiale: sviluppo vero e sviluppo apparente

Il documento che ha chiuso l’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi dedicata alla Amazzonia ha suscitato un diffuso interesse intorno allo sviluppo della dottrina e della disciplina ecclesiale. Rispetto alle posizioni più oltranziste, di coloro che non possono concepire alcuna variazione della disciplina e della dottrina ecclesiale, senza gridare subito allo scandalo e al tradimento, è giusto sottolineare, anche con forza, che la tradizione prevede, strutturalmente, un aggiornamento delle norme disciplinari e anche delle formulazioni dottrinali. La continuità della tradizione esige, in modo strutturale, un aggiornamento. La continuità include e reclama sempre alcune necessarie discontinuità.

Anche le testate giornalistiche ufficiali, come è il caso di VaticanNews, possono svolgere un ruolo prezioso in questa opera di informazione. In tal senso si è mosso oggi anche l’articolo di S. Centofanti, dal titolo Lo sviluppo della dottrina è un popolo che cammina unito.

www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019-10/vaticano-sinodo-amazzonia-papa-francesco-sviluppo-dottrina.html

 Fa parte anche delle strategie comunicative più affermate tentare di citare testi dei “predecessori di Francesco” per avvalorare le scelte dell’attuale pontefice. Anche questo, ripeto, è possibile, talora opportuno e talvolta anche necessario. Dipende solo da quali sono le fonti che si scelgono. In questo caso, leggendo il testo dell’articolo, mi sono imbattuto in una citazione tanto curiosa quanto male assortita. Riporto qui di seguito le parole dell’articolo, che si possono leggere proprio nelle sue righe iniziali: “Significative, a questo riguardo, le parole di Benedetto XVI nella Lettera scritta nel 2009 sulla vicenda della remissione della scomunica dei 4 vescovi consacrati dall’arcivescovo Lefebvre, fondatore della Fraternità sacerdotale San Pio X: ‘Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive’”.

Se si vuole sostenere il cammino di un Sinodo e l’opera di aggiornamento di un papa, non si può citare un testo così condizionato da una difficile e paradossale mediazione con coloro che proprio negano ogni possibile cambiamento. In quel testo, che qui viene citato con troppa disinvoltura, papa Benedetto XVI tentava di assicurare una via di uscita, e sperava in una riconciliazione, con coloro che sostenevano apertamente la negazione del Concilio Vaticano II, come appunto i 4 vescovi lefebvriani cui aveva rimesso la scomunica. Ma, mentre negava la possibilità di congelare la attività magisteriale al 1962, insieme contribuiva a tale congelamento, affermando la contemporanea vigenza di due riti tra loro non armonizzabili.

Lo sviluppo della dottrina, al quale si ispira la elaborazione sinodale e la interpretazione papale di oggi non è in nessun modo confrontabile con questa ardita mediazione diplomatica voluta da papa Benedetto nei confronti dei vescovi scismatici e che aveva sollevato tante giuste perplessità nella comunione episcopale, già presaga allora della inefficacia di quel gesto. In effetti, non si può garantire la tradizione della Chiesa dicendo, contemporaneamente, due cose opposte: se si dice che non si può congelare il magistero, ma poi lo stesso magistero apre il congelatore e pretende di conservare, a -20 gradi, il rito che il Concilio ha chiesto esplicitamente di riformare, non si ottiene altro risultato se non quello di paralizzare la tradizione liturgica e di esautorare il magistero postconciliare.

Molti altri testi di Benedetto XVI avrebbero potuto essere citati per giustificare, ragionevolmente e cristianamente, la evoluzione della disciplina e della dottrina ecclesiale. In questo senso si è mosso a ragione anche l’autore dell’articolo, che dopo questo esordio infelice, ha provveduto a citare tanti altri esempi, molto più convincenti, traendoli dalla lunga storia della dottrina cristiana. Sembra invece piuttosto curioso che all’inizio – con una ripresa che compare anche alla fine – si sia voluto citare proprio un testo che, già per il suo tenore letterale, introduce di fatto una immobilità formale nella tradizione. E se per una lettera scritta a giustificazione della remissione di 4 scomuniche quelle parole potevano anche risultare parzialmente ammissibili, non vedo proprio come si possano utilizzare quelle stesse parole per commentare l’attuale cammino di apertura a nuovi orizzonti della evangelizzazione, del servizio e della celebrazione ecclesiale.

La questione è oggi totalmente diversa. Qui non ci si deve vergognare per la riforma compiuta, come se fosse quasi da emarginare, bensì per quella mancata, da recuperare con urgenza. Il magistero deve tornare autorevole non solo a parole, ma con i fatti. E soprattutto con la coerenza tra le prime e i secondi. Per queste grandi differenze concordo in pieno con l’idea di proporre riflessioni sullo sviluppo della dottrina e della disciplina ecclesiale, ma dissento con decisione sulla contraddittorietà della fonte che apre e chiude il discorso. Perché abbiamo bisogno di sviluppi veri, non di sviluppi apparenti.

Andrea Grillo blog come se non         28 ottobre 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/lamazzonia-e-la-dottrina-ecclesiale-sviluppo-vero-e-sviluppo-apparente

 

“Un Sinodo positivo, migliore degli altri”

Da un articolo di Vittorio Bellavite pubblicato sul sito di “Noi siamo Chiesa” riprendiamo questa analisi del Documento finale della Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica tenutasi a Roma dal 6 al 27 ottobre 2019 sul tema: “Amazzonia: Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia Integrale”

Nella prima parte del testo si fa un’analisi della situazione, che è molto complessa, differenziata, plurietnica. Si parla delle migrazioni interne verso le città e di quelle che arrivano in Amazzonia dall’esterno (i profughi dal Venezuela, per esempio), della difficile condizione delle donne, dei giovani coinvolti spesso in modelli di vita giunti da fuori, soprattutto dell’irrompere ormai da tanto tempo degli interessi predatori che tendono a distruggere e a rapinare (agrobusiness, multinazionali per le materie prime), delle offese all’ambiente che interessano tutta l’umanità, della mala gestione del potere, delle tante diffuse povertà. Si parla poi della cultura coloniale che è stata però seguita e si è poi intrecciata con la presenza dei missionari che dall’Europa hanno cercato di evangelizzare; di loro si ricordano i tanti martiri. Complessivamente il testo si fa portavoce delle tante periferie esistenziali dell’Amazzonia, facendosi eco del magistero di papa Francesco.

Per una Chiesa indigena. Detto ciò, il documento si impegna a fondo per una Chiesa indigena, con i suoi valori, lingue, cosmovisioni, rapporto con l’ambiente e con la Pachamama (la Madre Terra). Mi piace trascrivere il passaggio centrale del testo su questo punto: “Tale comprensione della vita si caratterizza per la connessione e l’armonia di relazioni tra l’acqua, il territorio e la natura, la vita comunitaria e la cultura, Dio e le diverse forze spirituali. Per esse, “buen vivir” significa comprendere la centralità del carattere relazionale trascendente degli esseri umani e della creazione, e suppone un “buen hacer” (ben fare). Questa concezione generale si manifesta nel modo di organizzarsi che parte dalla famiglia e dalla comunità, e che abbraccia un uso responsabile di tutti i beni della creazione”. Quindi la teologia deve essere «indigena», deve avere un “rostro” (volto) amazzonico, deve raccogliere «i semi della Parola» che sono contenuti nella cultura antica dei popoli, densa di religiosità, deve differenziarsi dai modelli di vita occidentali. Ciò non significa però una chiusura identitaria, l’inculturazione del Vangelo deve comprendere il dialogo ecumenico, interreligioso ed interculturale e ciò differenzia molto questa sensibilità di Chiesa dalle confessioni pentecostali che crescono continuamente in America latina ed anche in Amazzonia. Non significa neanche l’abbandono o la sottovalutazione delle diffuse forme della religiosità popolare. Si danno indicazioni su interventi nell’educazione, nella sanità (i farmaci tradizionali), si ipotizza una “rete di comunicazione ecclesiale panamazzonica”.

            Contro il neocolonialismo. Il documento continua con analisi e giudizi sulla situazione ambientale e sociale. Da una parte c’è una forte denuncia (par. 70) del modello “distruttivo ed estrattivista imperante” con parole molto pesanti contro il neocolonialismo, dall’altra si fa proprio, fino in fondo, il percorso che porta a uno sviluppo sostenibile che permetta di salvare la “casa comùn”, si parla di economia circolare, si propone la creazione di un “Fondo mondiale per coprire parte dei costi delle comunità presenti in Amazzonia che promuovono il loro sviluppo integrale ed autosostenibile”. Ed inoltre si propone l’istituzione di un “Observatorio Socio Pastoral Amazónico” e anche un Ufficio a Roma per l’Amazzonia presso il Dicastero dello sviluppo umano integrale, che collabori con le altre strutture di Chiesa già esistenti, la REPAM (Rete Ecclesiale Panamazzonica), il CELAM (Consiglio Episcopale Latinoamericano), la CLAR (Conferenza Latinoamericana dei religiosi), la Caritas, le Università cattoliche. Questo ufficio romano non sarà organo di controllo che intralci buone iniziative? Nel paragrafo 82 poi si parla esplicitamente di “peccato ecologico” che è “un’azione od omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l’ambiente”. È un peccato contro le future generazioni. Di seguito si propone di creare ministeri speciali per la cura della casa comune e l’ecologia integrale a livello parrocchiale ed in ogni giurisdizione ecclesiastica e per tutelare il territorio, le acque e promuovere la Laudato Si’.

            Sulle donne si resta fermi. La parte finale del testo è stata la più combattuta. Sulla presenza delle donne si era partiti male. Ancora una volta una presenza esigua (35 non votanti su 184 membri votanti) nonostante le ragionate e pacate assemblee pre-sinodali svoltesi a Roma nei giorni precedenti l’inizio da parte di organizzazioni internazionali di donne come “Voices of the Faith” che chiedevano che potessero votare almeno le rappresentanti dell’organizzazione mondiale delle religiose per rompere il meccanismo di esclusione, che invece è stato ancora una volta praticato. Però, da sicure informazioni che ho avuto, i padri sinodali, a sorpresa, si sono impegnati molto perché il ruolo delle donne fosse formalmente riconosciuto prendendo atto di quello che tutti sanno, cioè che almeno due terzi delle attività delle comunità parrocchiali in Amazzonia sono gestite da donne, dai battesimi, ai matrimoni, alle esequie. Particolarmente attive le poche suore presenti. Dopo aver detto che “la Madre Terra ha un volto femminile” e oltre a tante belle parole di riconoscimento del loro ruolo e di auspicio per loro ruoli decisionali i risultati sono negativi soprattutto, a quanto si può facilmente intuire, per le resistenze della Curia romana. Il diaconato consacrato non è passato. Papa Francesco si è impegnato a riconvocare la vecchia Commissione sul problema che non aveva concluso niente, integrandola. Il testo prevede che le donne possano ricevere i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato (ma a cosa servono se già ora sono soprattutto le donne a spiegare il Vangelo?) e che sia istituito il ministero “della donna dirigente della comunità”. È qualcosa di ambiguo. Perché deve essere solo di genere? Che autorità ecclesiale conferisce? Che cosa dà in più rispetto a quello che c’è già ora in modo non codificato? Mi sembra una invenzione per venire incontro alla pressione dei padri ma senza intervenire sul vero problema, quello dei ministeri femminili, che sempre più frequentemente viene auspicato siano estesi fino al presbiterato. In un altro punto del testo (paragrafo 96) si dice che “il vescovo può affidare, con un mandato a tempo, a causa della scarsità del clero, l’esercizio della cura pastorale della comunità a una persona non investita del carattere sacerdotale che sia membro della comunità stessa”. In questo caso non si fa una questione di genere. Mi pare che ci sia una certa confusione in queste proposte. Necessitano di una maggiore riflessione e specificazione.

Sì ai sacerdoti sposati. Invece la proposta dei viri probati è passata ma per pochissimo ed è stata quella su cui si sono soffermati tutti i media trascurando il messaggio sociale e politico del Sinodo. Il quorum necessario per l’approvazione era quello dei due terzi del Sinodo, cioè 124 voti. La proposta è stata approvata con 128 voti e 41 contrari. Ciò significa che non avrà vita facile se i vescovi che l’hanno proposta non si impegneranno a fondo. Essa prevede che il vir probatus debba seguire un corso di formazione, debba prima essere ordinato diacono e che sia espressione della comunità in cui vive; per fortuna non è previsto che sia anziano. Inoltre, naturalmente, deve essere l’autorità competente a dare il nulla osta. A logica questo benestare dovrebbe essere del vescovo (appunto “autorità competente”) ma l’espressione ambigua potrebbe essere usata dalla Curia, fortemente ostile, per cercare di frenare, dopo che avrà cercato di premere per un no di papa Francesco, che però, allo stato attuale delle cose, è ben difficile che non dia il via libera.

Le altre proposte. Ci sono altre proposte concrete uscite dal Sinodo, dall’istituzione di una Università Cattolica Amazzonica, a un Organismo Ecclesiale Regionale Postsinodale che promuova la solidarietà tra le Chiese e che segua l’attuazione delle decisioni del Sinodo fino a un Fondo che supporti l’Evangelizzazione. Si ipotizza la riduzione delle aree delle circoscrizioni ecclesiastiche, si auspica che le agenzie internazionali di cooperazione cattolica appoggino di più, oltre ai progetti sociali, le attività di evangelizzazione. La linea portante che percorre queste proposte è quella di praticare la sinodalità che è un’altra delle idee forza del documento conclusivo. Probabilmente l’esperienza del Sinodo, che è stato dialogante e arricchente, a quanto molti hanno affermato, ha facilitato la riflessione su forme nuove di collaborazione tra le diverse realtà ecclesiali che sono ora abbastanza separate tra di loro, anche per motivi oggettivi (si pensi alle distanze ed alle grandi diversità di realtà socioculturali). Molte discussioni ha richiesto la proposta di un rito amazzonico per adottare la liturgia alla sensibilità, alla cultura, e alla religiosità proprie dei popoli indigeni. Con 29 voti contrari è passata l’idea di una Commissione per studiare, sulla base degli usi e dei costumi dei popoli ancestrali un rito che esprima il patrimonio liturgico, teologico e spirituale amazzonico. Alcuni avrebbero voluto che fossero allentati solo i rigidi vincoli attuali in modo che ogni realtà fosse libera di esprimersi più liberamente nella liturgia, a partire dalle tante diversità dei tanti popoli/comunità che a centinaia sono presenti in Amazzonia.

La REPAM, in un suo testo, si dice preoccupata soprattutto della fase postsinodale. Essa dice “Es tiempo de cambiar”, ma si rende conto delle possibili resistenze per i cambiamenti all’interno della Chiesa. Comunque resta il fatto che la linea di questo sinodo, ben più di quella di tanti altri episcopati, condivide il magistero di Francesco sulla pace, l’ambiente, le disuguaglianze e che ragiona in termini di ecologia integrale.

Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa

29 ottobre 2019

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/cosa-dice-il-documento-finale-del-sinodo-per-lamazzonia

 

La nostra riflessione sul documento finale del Sinodo Regione Panamazzonica

Come Donne per la Chiesa abbiamo seguito il Sinodo appena concluso con grande attenzione, nella preghiera e nella mobilitazione, grate che la Chiesa abbia scelto l’Amazzonia e la sinodalità per rispondere alle sfide del nostro tempo, anche se convinte che l’impossibilità per le madri sinodali di partecipare alle votazioni abbia rappresentato un vulnus nell’intero processo. Il documento finale che è stato reso noto nei giorni scorsi parla di una Chiesa che vuole con tutte le sue forze porsi dietro ai passi del Maestro, scegliendo i poveri e facendo proprio il loro volto: volto indigeno, campesino, afrodiscendente, migrante.

Ci lasciamo toccare profondamente dall’ammissione che “spesso l’annuncio di Cristo è stato fatto in collusione con i poteri che hanno sfruttato le risorse e oppresso le popolazioni. Attualmente, la Chiesa ha l’opportunità storica di differenziarsi dai nuovi poteri colonizzanti ascoltando i popoli amazzonici per poter esercitare la loro attività profetica con trasparenza” e ci sentiamo chiamate anche individualmente, come madri, mogli, amiche, educatrici, docenti, professioniste ad “agire di fronte a una crisi socio-ambientale senza precedenti” con “una conversione ecologica”.

Nella gratitudine per il cammino sinodale compiuto, un solo punto ci lascia amareggiate e riguarda proprio le donne. Ancora una volta a grandi proclami sulla necessità che la donna “assuma più fortemente la sua leadership all’interno della Chiesa” e al riconoscimento della “ministerialità che Gesù ha riservato alle donne” non fanno seguito passi concreti. Da un lato si chiede esplicitamente che uomini sposati di provata fede ed esperienza, in particolare gli attuali diaconi permanenti, possano accedere all’ordinazione presbiterale; invece per le donne si domanda l’invenzione di un ministero “ad hoc”, quello delle leader di comunità, che non fa che enfatizzare una discriminazione. I ministeri ordinati e in particolare il diaconato restano inaccessibili alle donne, senza considerare che se è vero che lo Spirito soffia dove vuole, la vocazione al servizio ministeriale può e di fatto raggiunge anche le battezzate. L’instrumentum laboris conteneva una coraggiosa proposta di cambiamento nella visione dell’evangelizzazione, ma il documento finale sembra più connotato da calcoli di necessità (riguardo ai viri probati) e prudenza (riguardo alle donne). Ora si rimanda a ulteriori lavori della commissione sul diaconato istituita nel 2016 e questo nonostante molti vescovi e almeno un circolo minore si fossero espressi chiaramente per la sua restituzione. Parliamo di restituzione perché le evidenze storiche del diaconato delle donne sono molteplici e altrettante sono le esigenze concrete da parte delle comunità, soprattutto in Amazzonia. Eppure non basta. Quando si tratta delle donne sembra che non ci siano mai abbastanza ragioni per rompere il muro della diseguaglianza, come se il comune Battesimo non fosse sufficiente. Non si riesce a credere che la dignità delle donne stia davvero a cuore alla Chiesa, quando si teme di condividere il ministero, facendone di fatto un privilegio maschile.

È di pochi giorni fa la notizia che in Italia ormai le donne stanno lasciando la pratica religiosa più degli uomini, così avviene anche in altri paesi dell’occidente, e questo in gran parte per il mancato riconoscimento di uno status paritario. Speravamo che “dalla fine del mondo” e grazie alle nostre coraggiose sorelle dell’Amazzonia, arrivasse un vento nuovo anche per noi, il vento fresco della corresponsabilità e del camminare insieme, le une accanto agli altri. Così non è stato, una ennesima occasione mancata. E a quanti ci dicono che occorre pazientare rispondiamo che etimologicamente la pazienza rimanda a una situazione patologica, malata, che provoca sofferenza. Una situazione dalla quale è legittimo desiderare di uscire.

            Amando la Chiesa, continuiamo anche a interrogarla: perché una Chiesa che non riconosce uguale dignità ai propri figli e figlie, inesorabilmente perde di credibilità quando si appella al riconoscimento della dignità dei popoli e del creato.

            Admin             30 ottobre 2019

http://www.donneperlachiesa.it/category/nostri_documenti

 

Il 28 settembre 2019 la Presidente Paola Lazzarini aveva inviato un lettera resa pubblica

Ai Padri sinodali nostri fratelli in Cristo, agli esperti e agli uditori e uditrici

Come donne credenti guardiamo con attenzione e grande speranza al Sinodo per la Regione Pan-Amazzonica che si apre in questi giorni a Roma. Riconosciamo la portata storica e rivoluzionaria di questo sinodo che si lascia interrogare contemporaneamente dalle sfide pastorali e di salvaguardia del pianeta che si stanno ponendo oggi in Amazzonia, con la consapevolezza che, per rispondere a così grandi e gravi urgenze, è necessario partire dal riconoscimento della sapienza dei popoli che ancora oggi mantengono uno stretto e diretto contatto con la natura.

Accompagniamo i lavori dei padri sinodali e di tutti i partecipanti ed esperti con la nostra preghiera e l’offerta del nostro quotidiano impegno per una Chiesa sempre più evangelica e al servizio dei popoli, nella concretezza dei luoghi e dei tempi in cui questi popoli vivono.

L’autenticità della nostra vicinanza e preghiera non nasconde però l’amarezza per il perpetrarsi dell’ingiusto impedimento, alle donne che prenderanno parte ai lavori, di votare il documento finale che pure avranno collaborato a elaborare. Ancora una volta le decisioni che riguarderanno un’enorme regione composta da uomini e donne, verranno prese da soli uomini, e sentiamo ancora risuonare le parole del cardinale Léon-Joseph Suenens al Concilio Vaticano II quando disse “dov’è l’altra metà della Chiesa?”. Oggi è presente, ma minoritaria, aggiunta e senza diritto di voto.

Siamo comunque fiduciose nell’azione dello Spirito e interessate in particolare a quanto emergerà rispetto alla questione aperta nel documento preparatorio laddove si dice: “occorre individuare quale tipo di ministero ufficiale possa essere conferito alla donna, tenendo conto del ruolo centrale che le donne rivestono oggi nella Chiesa amazzonica”.

Pur consapevoli delle difformità dei contesti, siamo convinte che in tutto il mondo le donne rivestano un ruolo centrale nella Chiesa, pur non avendo un ministero ufficiale, e pertanto confidiamo nella creatività dello Spirito e nella docile e coraggiosa obbedienza a quanto suggerirà.

E che quanto si farà per l’Amazzonia possa, nei giusti tempi e modi, giungere fino a noi.

Attendiamo con cuore aperto, ma senza timore di guardare negli occhi e chiedere ragione delle scelte che verranno prese dai fratelli vescovi, in unione con il vescovo di Roma.

Buon lavoro, buon discernimento.

Le vostre sorelle in Cristo.   

Catholic women speak           Donne per la Chiesa               Voices of Faith        Women’s ordination conference

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

Abusi sessuali sui minori e sugli adulti fragili, i casi seguiti da Don Ermanno D’Onofrio

Oltre al fondatore del “Il giardino delle rose blu” e presidente del consultorio familiare “Anatolè” al congresso dell’Ucipem a Termoli hanno partecipato tre vescovi e la terapista Christiane Sanderson

Più di 100 i partecipanti, tre vescovi tra cui Mons Ghizzoni presidente ufficio della CEI tutela minori; relatori illustri e di fama internazionale come la Prof. ssa Malacrea e la Prof. ssa Sanderson hanno contribuito all’ eccellente riuscita del congresso nazionale XXVI UCIPEM (Unione consultori italiani prematrimoniali e matrimoniali) che si è tenuto nei giorni scorsi a Termoli e che si è aperto con la relazione del presidente  del consultorio familiare “Anatolè” di Frosinone don Ermanno D’Onofrio.

            Il presule ha dibattuto sulla presa in carico degli adulti sopravvissuti ad abusi sessuali infantili. Nel corso del congresso ha anche presentato i dati di una ricerca da lui condotta sul delicato tema. La storia testimonianza di un caso ha commosso tutta la platea ed ha rappresentato un’esperienza formativa unica.

L’attenzione di Papa Francesco su queste problematiche è stata portata a congresso dal vescovo di Lanciano monsignor Emidio Cipollone e da monsignor Gianfranco De Luca vescovo di Termoli-Larino dove si è tenuta la manifestazione. Tornando agli abusi sessuali, una ragazza su quattro sarebbe vittima di violenza sessuale mentre secondo la documentazione raccolta i maschi subiscono ancora di più gli stupri. Infatti rispetto alle ragazze la percentuale è uno su sei. Altro elemento che è stato segnalato nel corso del congresso è che la violenza sessuale non riguarda un ceto specifico: anno, classe, cultura e comunità. E non sempre va demonizzata la famiglia.

Quelli maggiormente a rischio sono i bambini spesso soggiogati da persone che si presentano ai loro occhi come persone gentili ed affidabili. Questi ultimi sovente riuscendo a conquistare la fiducia dei genitori e mettono in atto comportamenti da pedofili. Lo scoglio più grande è quello poi di far parlare le piccole vittime degli abusi subìti. Altra affermazione da sfatare è quella che gli abusati a loro volta diventeranno abusatori. Da ricerche portate avanti in tal senso soltanto l’uno per cento dei soggetti che hanno subito una violenza sessuale diventeranno a loro volta abusatori

Marina Mingarelli Frosinonetoday    3 novembre 2019

www.frosinonetoday.it/attualita/Convegno-abusi-minori-don-ermanno.html

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VIOLENZA

Cassazione: nel rapporto di coppia non esiste un “diritto all’amplesso”

Corte di Cassazione, terza Sezione penale, sentenza n. 42118, 15 ott0bre 2019

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L’assenza di consenso rappresenta un esplicito requisito della fattispecie di violenza sessuale e dunque un errore sul dissenso deve ritenersi “inescusabile”. In particolare, per la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che un consenso non sia stato chiaramente manifestato dal partner. In particolare, poiché non vi sono indici chiari e univoci atti a dimostrare l’esistenza di un inequivoco consenso, il dissenso deve ritenersi sempre presunto.

Tanto si desume dalla sentenza n. 42118/2019 (sotto allegata) con cui la Corte di Cassazione, terza sezione penale, ha respinto il ricorso di un uomo imputato di lesioni, maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti della sua ex, convivente all’epoca dei fatti.

            In particolare, per quanto riguarda il reato di cui all’art. 609-bis c.p., l’uomo sottolinea come che il dissenso al rapporto era stato manifestato dalla controparte solamente al termine e dopo l’atto sessuale. Inoltre, dati i rapporti tra le parti, egli non sarebbe stato nella condizione di percepire l’eventuale dissenso della donna con la quale peraltro, nonostante il turbolento rapporto, vi erano ancora saltuarie relazioni sessuali.

Gli Ermellini rammentano come l’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è costituito dal dolo generico e, pertanto, dalla coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona non consenziente, restando irrilevante l’eventuale fine ulteriore propostosi dal soggetto agente.

            La mancanza del consenso, inoltre, costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale. Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo, inoltre, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico.

Non è, infatti, è ravvisabile alcun indice normativo che possa imporre, a carico della vittima del reato, un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso all’intromissione di soggetti terzi all’interno della sua sfera di intimità sessuale. Al contrario, si deve piuttosto ritenere che tale dissenso sia da presumersi, laddove non sussistano indici chiari e univoci volti a dimostrare l’esistenza di un, sia pur tacito ma in ogni caso inequivoco, consenso (così, in motivazione, Sez. 3 n. 49597 cit).

Nel caso in esame, i provvedimenti di merito hanno dato atto delle non equivoche dichiarazioni rese dalla donna, del suo pianto durante il rapporto, dell’attitudine sprezzante del ricorrente alla conclusione del medesimo. Gli espressi dinieghi all’atto sessuale che la donna aveva ormai ripetutamente ribadito all’ex partner e l’atteggiamento mantenuto in occasione della violenza non fanno altro che confermare quanto doveva essere chiaro all’imputato, che alcuna giustificazione poteva così al riguardo accampare. E neppure questi poteva evocare la circostanza attenuante della minore gravità di cui all’art. 609-bis, terzo comma, del codice penale.

            Correttamente, il provvedimento impugnato ha negato l’attenuante stante l’oggettiva invasività della condotta dell’uomo, il quale aveva costretto la compagna a un rapporto sessuale completo; anzi, vi è una maggiore gravità della condotta proprio in considerazione del contesto di convivenza e di consuetudine al rapporto intimo.

            A nulla rileva, infatti, l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, atteso che non esiste all’interno di un tale rapporto un “diritto all’amplesso”, né conseguentemente il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale.

Lucia Izzo       newsletter Studio Cataldi       28 ottobre 2019

www.studiocataldi.it/articoli/36168-cassazione-nel-rapporto-di-coppia-non-esiste-un-diritto-all-amplesso.asp

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