NewsUCIPEM n. 772 – 22 settembre 2019

NewsUCIPEM n. 772 – 22 settembre 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse, di confronto e di stimolo per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
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I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono ripresi nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo. Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.

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01 ABUSI                                                    Violenze sui minori: la prima linea. Intervista a Karlijn Demasu

04 ASSEGNO MANTENIMEN. FIGLI Cassazione: è reato permanente non mantenere i figli

05 ASSOCIAZIONI-MOVIMENTI        Rete famiglie ignaziane. L’accompagnamento di coppie

05                                                                  Milano. Corsi Associazione OEFFE

05 CASA FAMILIARE                              Fino a tre anni di carcere per il marito che non se ne va da casa

06 CENTR. INTER. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – N. 34, 18 settembre 2019

08 CHIESA CATTOLICA                           Sinodo sull’Amazzonia. Il Papa indica un orizzonte profetico15

10                                                                  L’Amazzonia siamo noi. Una lettura emotiva dello Strumento

12                                                                  Don Davide e continuità con Vaticano II, AL e Sinodo su Amazzonia

13                                                                  Un cambiamento per dialogare con le scienze umane

14 CITAZIONI                                            Quali novità per i divorziati risposati in Amoris Lætitia?             

17 CITTÀ DEL VATICANO                     Tutela minori incorporata nella vita della Chiesa a livello mondiale

18 COMM. ADOZIONI INTERNAZ.    Nuovo calo delle adozioni internazionali in Cile.            

19 CONFERENZA EPISCOPALE ITAL.Fra Marco Vianelli, OFM, direttore dell’Ufficio Famiglia             

19 CONSULTORI UCIPEM                     Bologna. Dal Sogno al Progetto

20 DALLA NAVATA                                 XXV Domenica del tempo ordinario – Anno C – 22 settembre 2019

20 DETENUTI                                            Prime applicazioni D.lgs. 123/2018 materia affettività e sessualità

22 DIRITTO DI FAMIGLIA                     Obblighi dei nipoti verso i nonni

23 FERTILITÀ                                             Un problema per il 15% delle coppie. Il decalogo per proteggerla

24 FORUM ASSOCIAZ. FAMILIARI    Audizione presso l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza

27                                                                  Riforme fiscali. La Flat tax? Meglio aiutare le famiglie (con figli)

29 NASCITE                                               L’evento nascita in Italia: il rapporto Cedap 2016

30 VIOLENZA                                            Aumento su minori, senza prevenzione: a Stato costata 13 miliardi

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ABUSI

Violenze sui minori: la prima linea. Intervista a Karlijn Demasure

Dialogo con la professoressa Karlijn Demasure, direttrice per 4 anni del Center for Child Protection (CCP) dell’Università gregoriana. Questa teologa nata in Belgio – madre di 4 figli e nonna di 8 nipoti – ha fatto un lavoro incredibile: “Il mio ambito di ricerca è la teologia pratica: si inizia da un problema concreto, lo si studia e si tenta di trovare una soluzione. Può essere qualsiasi problema, io ho scelto gli abusi sessuali sui minori”. Insegnavo “in Belgio in una scuola secondaria quando una ragazza confidò a noi professori di essere vittima di abusi sessuali da parte del padre. Nessuno sapeva come comportarsi: dovevamo rivolgerci alla polizia? Eravamo obbligati a farlo? Dovevamo parlare con la madre? In Belgio esiste un servizio di sostegno psicologico che lavora principalmente con le scuole, ma nemmeno lo psichiatra che arrivò dopo la nostra segnalazione, aveva idea di come muoversi. Era assolutamente inaccettabile che nessuno sapesse cosa fare davanti a un problema talmente grave, così presi la mia decisione: sarei tornata a Lovanio per conseguire un dottorato sul tema”.

Così dopo il baccalaureato in filosofia, la licenza in teologia, il matrimonio, l’arrivo dei figli (i primi due nacquero in Congo, nella giungla senza elettricità – “quanta incoscienza!” ammette ora -, dove Demasure era andata con il marito, teologo anche lui, a formare catechisti laici) e alcuni anni passati a casa a occuparsi dei piccoli, Demasure è tornata a Lovanio per studiare un tema che poche persone avrebbero il coraggio di scegliere.

“Dapprincipio mi occupai d’incesto perché il mio professore non voleva che indagassi sugli abusi sessuali del clero”. Ma la belva da domare per Demasure era esattamente questa e una serie di telefonate ricevute hanno fatto il resto. “In quel periodo rilasciai un’intervista al giornale cattolico belga Tertio e parlai degli abusi nella Chiesa. Il giorno dopo la pubblicazione, ricevetti una telefonata dalla diocesi di Gent. Mi preoccupai. “Il vescovo Luysterman chiede se può venire a trovarlo: lui la pensa esattamente come lei”. Badi che eravamo alla fine degli anni Novanta, nessuno parlava di abusi in Belgio. Abbiamo lavorato tantissimo insieme, e siamo ancora amici: è un vescovo che non ha mai avuto paura di incontrare le vittime”.

L’anno dopo la discussione del dottorato, Demasure pubblica un libro, in cui integra la sua tesi con gli abusi compiuti dal clero. “Sapevo già che in Belgio ci sarebbero stati grandi problemi, ma allora nessuno credeva che lo scandalo avrebbe riguardato l’Europa. Diciamo che ero la sola nel mio paese a pensare che sarebbe successo”. Infatti di lì a poco – Demasure era intanto diventata docente di Teologia alla Saint Paul University di Ottawa – un vescovo belga convocò una conferenza stampa: “Ho abusato mio nipote”, rivelò agli attoniti media accorsi. Demasure riceve allora una telefonata da Peter Adriaenssens, per conto della Conferenza episcopale: essendo la sola in Belgio ad aver studiato il clero colpevole di abusi, le chiesero di rientrare. “Il rettore canadese mi diede l’ok e partii per alcuni mesi: in 6 settimane raccogliemmo più di 400 denunce. Fu durissimo”. Qualche anno dopo, nel 2012, a Monaco nasceva il CCP, che nel 2014 si sarebbe trasferito a Roma. “Quando mi contattarono, accettai”.

Prima d’entrare nel merito del vostro lavoro, ci definisca il termine “abuso”. “L’abuso avviene su tre livelli: potere, sessualità e fiducia.

  1. È sempre un abuso di potere, perché è sempre compiuto da qualcuno che ha potere su un altro, anche se si tratta semplicemente del potere di essere un adulto rispetto a un bambino.
  2. L’abuso ha a che fare con la sessualità: molte pubblicazioni e anche tanti nella Chiesa riconducono tutto l’abuso al potere perché si ha molta difficoltà a parlare di sesso. Ma l’abuso ha a che fare con il sesso.
  3. La violazione della fiducia: l’abuso è sempre compiuto da qualcuno di cui la vittima si fida (altrimenti può essere stupro). Sono più di 25 anni che accompagno le vittime e posso dire, senza ombra di dubbio, che la fiducia è la parte dell’abuso più difficile da sanare. C’è un detto belga che dice che la fiducia arriva a piedi e se ne va a cavallo.

Vi sono poi altre importanti precisazioni da fare: non dobbiamo confinare l’abuso solo al tatto, perché ad esempio si può obbligare un bimbo a spogliarsi nudo davanti alla telecamera, ed è un abuso. Ed è fondamentale non ritenere che queste forme siano meno gravi perché non c’è stata penetrazione. Ho conosciuto minori abusati con entrambe le modalità: la vittima soffre più nel secondo caso perché a livello emotivo i danni prodotti sono maggiori”.

Il CCP non è un centro di ascolto, ma lavora sulla prevenzione.

“Esatto. La formazione inizia dalla consapevolezza: quindi innanzitutto le persone devono accettare che il problema esiste nel loro paese. Secondo, bisogna ricordare che la prevenzione opera a livelli diversi. Perché non sia vulnerabile, ad esempio, il bambino deve sempre avere una persona che si prenda cura di lui – lasciarlo a lungo seduto fuori da scuola prima di andare a prenderlo, significa metterlo in una situazione sfavorevole. Sapere dove va, chi sono i suoi amici è fondamentale. Servono, inoltre, regole chiare e applicate, precisazione cruciale: sono infatti molte le scuole e le diocesi che hanno perfette linee guida che però restano nelle librerie. Al fondo di tutto, però, abbiamo bisogno di una cultura che non permetta gli abusi: papa Francesco lo ha detto molto chiaramente”.

Quali sono i progetti del CCP?

“Il principale è un programma di formazione on-line, chiamato E-Learning, disponibile in inglese, italiano, tedesco, francese e spagnolo (lo si sta traducendo anche in portoghese e abbiamo avviato contatti per il cinese) che fornisce moduli didattici adattabili ai diversi contesti locali, in modo da poter rispondere a specifici bisogni. Il programma ha già più di 4.000 studenti! Sono per lo più cattolici, ma non solo. Il programma si compone di moduli cattolici, cristiani e neutri: così se in India non sceglieranno il modulo sul diritto canonico, tutti invece vorranno quello dedicato a rischi e fattori di protezione. Dal 2016 c’è poi in sede un corso intensivo (Diploma): dura 6 mesi con classi quotidiane dalla mattina alla sera.

E in ottobre è partito The Licenciate, un percorso formativo di due anni. Gli studenti vengono da ogni parte del mondo, sono più uomini che donne, più preti e suore che laici. La speranza è che chi segue il corso in sede, torni poi a casa e formi – avvalendosi dell’e-learning [tele-apprendimento] – altre persone. Ci sono anche diversi docenti universitari che vengono a seguire il corso (ad esempio Hawlin, è docente nel seminario di Taiwan), responsabili delle congregazioni religiose (che debbono trattare i casi che scoppiano al loro interno) o persone che lavorano per le conferenze episcopali. Ovviamente più casi emergeranno nella Chiesa, più gente verrà: purtroppo spesso c’è bisogno dello scandalo perché una persona sia inviata al CCP. Operativamente per 4 anni ho lavorato con un’équipe, per lo più formata da donne: è stata una grande collaborazione!”.

La prevenzione sta dando frutti?

“Sicuramente il numero degli abusi diminuisce dove c’è la prevenzione. Ma i dati oggi – a mio avviso – sono troppo positivi: non si deve dimenticare la dinamica dell’abuso. Ci sono sempre barriere, innanzitutto psicologiche e culturali, nel denunciarlo. La sessualità è qualcosa legato all’intimità: ci vogliono anni perché la vittima parli. Quindi per avere dati affidabili sugli effetti della prevenzione ci vorrà tempo. Molti abusi sono venuti fuori tutti insieme grazie agli scandali: ma quelli che ne subiscono oggi? Parleranno oggi o tra 10 anni?”.

Ci sono differenze negli abusi a seconda del paese?

“I tre livelli di abuso sono universali, varia il tipo. I dati non sono ancora completi, ma se – parlando di abusi del clero – guardiano al mondo occidentale essi coinvolgono per lo più i maschi, mentre in Africa per lo più le bambine e le ragazze”.

E tra abusi nella Chiesa e in famiglia?

“Ci sono sia differenze sia punti di contatto. Una differenza fondamentale è a livello spirituale: tuo padre non si può occupare della tua salvezza, ma il prete sì perché ha i sacramenti. Immagini quanto la cosa si faccia ancora più complicata nelle famiglie protestanti dove il padre è anche un ministro. D’altro canto un dato è certo, dimostrato da studi scientifici: più la famiglia è patriarcale, maggiore è la probabilità che si verifichino abusi.

Se la donna non ha voce, non è istruita o non ha un suo reddito, le probabilità che il padre (o uno zio) compia abusi sui figli (o nipoti) sono molto più alte. Gli abusi intra-familiari e nella Chiesa hanno tratti che li differenziano dagli abusi avvenuti negli scout o nello sport: innanzitutto perché in entrambi i casi viene usata la parola “padre” (sia per il genitore sia per il sacerdote). Altissimo è in entrambi il livello di fiducia coinvolto – normalmente ti fidi di tuo padre perché per molti anni è stato amorevole e lo stesso vale per il sacerdote -, per questo alcuni ricercatori sostengono che, in presenza della stessa fiducia e della stessa struttura di potere, le conseguenze dell’incesto e dell’abuso del clero siano simili.

Ad esempio, se si è stati abusati dal padre o da un sacerdote è difficilissimo poi chiamare Dio “padre”. E se è importante che la donna abbia più peso all’interno della famiglia per evitare l’abuso, anche la cultura della Chiesa deve cambiare: lasciando il sacerdote sul piedistallo, l’abuso è più facile. Finora è stato pubblicato poco sulla necessità di un mutamento a livello di cultura, ma è un passaggio decisivo.

Papa Francesco è stato estremamente chiaro riferendosi ai casi cileni: non è solo una questione individuale, ma è un problema di struttura. Dobbiamo guardare alla struttura, e dobbiamo cambiarla. Non si tratta solo di considerare la teologia del sacerdozio e di lavorare sulla formazione dei preti: sono convinta, ad esempio, che se ci fosse stata una buona teologia dell’infanzia gli abusi del clero sarebbero stati molto più difficili”.

Quale terminologia dobbiamo usare quando parliamo di abusi?

“È un punto fondamentale: le parole dicono tutto (sono specializzata in ermeneutica!). Ad esempio se si afferma che la violenza sessuale è una patologia, la persona è malata e deve finire in un’istituzione psichiatrica, mentre se si sostiene che è un crimine, la sua destinazione sarà il carcere. È fondamentale ricordare che nel tempo è cambiata la definizione non solo di colui che compie l’abuso, ma anche di chi lo subisce. L’importante mutamento storico che si è avuto in queste definizioni è frutto di una riflessione cruciale: ci si è accorti che le categorie che utilizziamo possono creare molta e ulteriore sofferenza.

Solo negli anni Settanta, ad esempio, si è smesso di parlare di “psicopatico sessuale” per indicare l’autore dell’abuso per utilizzare invece quello di “molestatore di bambini”, definizione che ha reso le vittime finalmente visibili. Il femminismo ha avuto un grande merito nel decostruire un impianto che parlava di minori “sedotti” invece che di minori “vittime di abusi”. La parola vittima ha il grande merito di porre l’accento sul fatto che chi subisce l’abuso non ha partecipato e non è colpevole.

Alcuni però la contestano perché, per rientrarvi, chi subisce l’abuso deve presentare dei caratteri di debolezza, di passività, ed è una definizione che punta tutto sul momento dell’abuso subito: molti non vogliono più usare questa parola una volta cresciuti. Ecco perché è emerso il termine survivor (sopravvissuto). È una parola che viene dagli Stati Uniti, usata dalle vittime stesse. Con questo termine le persone vogliono sottolineare il fatto che non sono solo vittime, ma che hanno una loro identità; i sopravvissuti parlano per loro stessi, scrivono libri, testimoniano, raccontano, denunciano. Recentemente però è emersa una nuova parola: è thriver, viene dall’inglese to thrive, prosperare. La differenza con survivor è importante: per il survivor l’abuso è ancora la cosa più importante della vita (la loro storia è divisa tra il prima e il dopo l’abuso), mentre un thriver indica qualcuno che ha integrato nella sua storia l’abuso: è uno degli eventi che gli sono capitati nella vita, ma non la esaurisce. Il thriver sostiene di essere ben più che un sopravvissuto!”.

Un bilancio dei 4 anni al CCP?

In virtù della mia nomina, non potrò mai dire che le donne non sono chiamate a ruoli di rilievo nella Chiesa cattolica. Mi è stata offerta una posizione importante, e quando me la offrirono mi dissi che se avessi rifiutato, il mio no sarebbe stato incoerente con quanto avevo fatto fino ad allora. Sicuramente però non avrei mai immaginato che sarebbe stato così difficile: forse io ero pronta per il ruolo, ma l’istituzione no.

Giulia Galeotti                 Il regno attualità n. 16, 15 settembre 2019

www.ilregno.it/attualita/2019/16/chiesa-cattolica-violenze-sui-minori-la-prima-linea-giulia-galeotti

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI

Cassazione: è reato permanente non mantenere i figli

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 37090, 4 settembre 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_35817_1.pdf

La Corte rammenta che il reato di cui all’art. 3 della L. n. 54/8 febbraio 2006 è perseguibile d’ufficio e ha natura permanente. Dunque si procede contro l’imputato anche in caso di remissione di querela. L’intervenuta remissione di querela non consente di dichiarare il non doversi procedere nei confronti del padre che ha omesso di corrispondere l’assegno di mantenimento, disposto in sede di separazione, nei confronti dei figli minorenni. Il reato previsto dall’art. 3 della L. n. 54/2006), infatti, è reato perseguibile d’ufficio e ha natura permanente.                                       www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm

Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, pronunciandosi sul ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte d’appello. Oggetto dell’impugnazione è il provvedimento con cui il G.I.P. del Tribunale aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di un uomo. Quest’ultimo era imputato del reato di cui all’art. 3 della L. n. 54/2006, in relazione all’art. 12 sexies della L. n. 898/1 dicembre 1970, per essersi sottratto all’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento, disposto in sede di separazione, ai tre figli minori (di 14, 12 e 9 anni) e per diversi mesi.

www.altalex.com/documents/leggi/2012/06/27/disciplina-dei-casi-di-scioglimento-del-matrimonio

Tuttavia, secondo il giudice a quo il reato doveva considerarsi estinto a seguito dell’intervenuta remissione di querela. Una conclusione con cui non concorda il Procuratore ricorrente che, invece, ritiene che il reato per il quale di procede sia procedibile d’ufficio laddove, come nel caso di specie, sia commesso in danno di figli minori degli anni 18. La remissione di querela non salva il padre che non mantiene i figli

Il ricorso viene accolto dalla Corte di Cassazione che rammenta come la giurisprudenza di legittimità sia costantemente orientata nell’affermare che, in tema di reati contro la famiglia, la fattispecie di cui all’art. 12-sexies della legge n. 898/1970, richiamata dalla previsione di cui all’art. 3 della legge n. 54/8 febbraio 2006, che punisce il mero inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento stabilito dal giudice a favore dei figli (senza limitazione di età) economicamente non autonomi, è reato perseguibile d’ufficio a natura permanente.                        www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm

La consumazione di tale reato, dunque, termina con l’adempimento integrale dell’obbligo ovvero con la data di deliberazione della sentenza di primo grado quando dal giudizio emerga espressamente che l’omissione si è protratta anche dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio (cfr. Cass. n. 23794 del 2017). Secondo gli Ermellini, inoltre, non sussistono dubbi che, quanto ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del D. Lgs n. 21/1 marzo 2018, vi è continuità normativa tra la fattispecie prevista dall’art. 570-bis c.p. e quella prevista dall’art. 3 della legge n. 54/2006.

   www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/03/22/18G00046/sg

In conclusione, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale affinché proceda a nuovo giudizio facendo applicazione dei richiamati principi di diritto.

Lucia Izzo Newsletter giuridica 16 settembre 2019

www.studiocataldi.it/articoli/35817-cassazione-e-reato-permanente-non-mantenere-i-figli.asp

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ASSOCIAZIONI  MOVIMENTI

Rete famiglie ignaziane. L’accompagnamento di coppie

Bologna 12-13 ottobre 2019 – Villa S. Giuseppe

Seminario di approfondimento. Un’opportunità di racconto, condivisione e riflessione di pratiche, modalità e strategie per crescere nell’accompagnamento di coppie.

La rete delle famiglie ignaziane. La rete raccoglie ad oggi realtà già operative sul territorio italiano che propongono esperienze di spiritualità ignaziana in chiave laicale e domestica. Oltre a queste realtà già consolidate da tempo, la rete “mette in rete” famiglie presenti sul territorio, che in varie forme propongono gruppi e/o esperienze di spiritualità ignaziana per famiglie e coppie, in modo che possano collaborare, scambiarsi percorsi, materiale di formazione, idee ed esperienze. E’ organizzata in nodi locali/territoriali (domus), cui le persone si rivolgono direttamente per le proposte formulate.

www.retefamiglieignaziane.org

www.retefamiglieignaziane.org/2019/09/15/seminario-sullaccompagnamento-di-coppie

 

Milano. Corsi Associazione OEFFE

I corsi OEFFE attivi sono 9. Tre per accompagnare e rafforzare persone e coppie, di tutte le età.

Progetto personale. Il corso per pensare su quali basi costruire il proprio futuro

Amore & Matrimonio. Il corso per scegliere ogni giorno di essere innamorati

Non solo nonni! Per diventare nonni, restando coppia, genitori, figli

Gli altri sei aiutano le coppie ad affrontare i temi chiave della loro relazione e dell’educazione dei figli, nelle diverse fasce di età.

Primi passi. Il primo corso per genitori di bambini da 1 giorno a 3 anni

Prime conversazioni. Il primo corso per genitori di bambini da 3 a 6 anni

Prime lettere. Il primo corso per genitori di bambini da 6 a 8 anni

Prime decisioni. Il primo corso per genitori di bambini dagli 8 ai 10 anni

Preadolescenza. Il primo corso per genitori di ragazzi tra i 10 e i 14 anni

Adolescenza. Il primo corso per affrontare quel periodo della vita in cui i genitori diventano insopportabili

Ogni corso prevede un incontro al mese di circa 2 ore. Ti sembra tanto? Forse… ma quale altro tempo dedichi al farti – e risponderti – alle domande che ti stanno a cuore?

www.oeffe.it/corsi

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CASA FAMILIARE

Fino a tre anni di carcere per il marito che non se ne va da casa

Il nuovo art. 387-bis c.p. introdotto dalla Legge “Codice Rosso” punisce chi viola i provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare o si avvicina ai luoghi frequentati dalle vittime

A partire dallo scorso 9 agosto 2019 è entrato in vigore il c.d. Codice Rosso, nome con cui è stato identificato negli ultimi mesi il testo della Legge n. 69/19 luglio 2019 recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”.                                                   www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/07/25/19G00076/sg

Si tratta di un provvedimento che rappresenta un approdo importante e fondamentale sul percorso teso a contrastare la violenza domestica e di genere, che nella maggior parte dei casi (seppure non nella totalità di essi), statistiche alla mano, finisce per coinvolgere donne e minori.

Sono molte le novità contenute nel provvedimento e tra queste spiccano la previsione di una corsia preferenziale per le denunce di reati di violenza domestica e di genere, l’inasprimento delle pene per una serie di delitti, nonché l’introduzione di nuove fattispecie di reato, ad esempio quella in materia di c.d. “revenge porn” che tanto ha fatto discutere dentro e fuori le aule parlamentari.

Tra i nuovi reati di cui si è occupato il legislatore, ritenendo opportuno introdurli direttamente nel codice penale, emerge quello di cui si occuperà da ora in avanti il nuovo art. 387-bis, avente a oggetto la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Si è reso necessario, dunque, perseguire con una norma apposita la condotta di chi “essendovi legalmente sottoposto, violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari di cui agli articoli 282-bis e 282-ter del codice di procedura penale”.

La prima di queste due norme procedurali, l’art. 282-bis, si riferisce al provvedimento che prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede.

La seconda, l’art. 282-ter, invece, richiama il provvedimento con cui il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.

Ebbene, chi non rispetta le prescrizioni imposte dal giudice rischia la pena della reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace anche chi non rispetta quanto stabilito dall’ordine di cui all’art. 384-bis del codice di procedura penale.

Quest’ultima disposizione consente agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero (scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica) l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza di una serie di delitti (es. violazione degli obblighi di assistenza familiare, maltrattamenti di familiari e conviventi, ecc.), ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa.

Lucia Izzo Newsletter giuridica 16 settembre 2019 –

www.studiocataldi.it/articoli/35795-fino-a-tre-anni-di-carcere-per-il-marito-che-non-se-ne-va-da-casa.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 34, 18 settembre 2019

Roma 14-16 novembre 2019 – Conferenza Iccfr Cisf. Un appuntamento per confrontarsi sui fenomeni migratori a livello internazionale, e per riportare al centro l’importanza della famiglia come risorsa di integrazione e dialogo. Un’occasione unica per uno scambio di esperienze, di buone pratiche, per capire meglio la varietà dei problemi e le molteplici possibilità di accoglienza e di integrazione, in Italia e nel resto del mondo. Giornate da vivere insieme, per conoscersi, per incontrarsi, per discutere: tre sessioni in plenaria sugli aspetti demografici, giuridici, e di welfare, 12 workshop con esperienze dall’Italia e dall’estero (tra gli altri esperienze da Stati Uniti, Cina, Sud Africa, Regno Unito, Australia), e tanti spazi di incontro e dialogo in piccoli gruppi, per condividere le possibili strategie positive di intervento.

Tutto ciò nella 65.a Conferenza ICCFR – CISF, Roma, 14-16 novembre 2019. “Famiglie e minori rifugiati e migranti. Proteggere la vita familiare nelle difficoltà”.

A copertura dei costi organizzativi è previsto un costo di iscrizione di Euro 140 (per pasti, materiali, traduzione simultanea).

Programma completo in italiano

https://iccfr.org/iccfr-conference-2019-in-rome-italy-migrant-families-and-children/programma-roma-2019

Modulo di iscrizione in italiano

https://iccfr.org/iccfr-conference-2019-in-rome-italy-migrant-families-and-children/registrazione-roma

Crediti formativi per consulenti familiari, assistenti sociali e avvocati. Si ricorda che sono all’esame dei rispettivi ordini professionali le richieste di crediti per la formazione continua per:

– avvocati               (Ordine Avvocati Roma)

– assistenti sociali  (Ordine Assistenti Sociali – Consiglio Regionale Lazio)

Si segnala che A.I.C.C.e F. (Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari) ha stabilito, per i Soci che parteciperanno alla Conferenza, l’attribuzione di 60 crediti formativi Aiccef”.

Speciale matrimonio – Famiglia Cristiana. Due interventi del Cisf (Cuore, anima e corpo: il pensiero della Chiesa, F. Belletti, e La chiesa e i testimoni: scelte importanti, P. Boffi) sono presenti nell’interessante “speciale” di Famiglia Cristiana sul matrimonio: Il sì, scelta di gioia. (100 pagine).

www.edicolasanpaolo.it/speciale-matrimonio-P1680901.aspx?Referral=newsletter_cisf_20190918

“[…] Oggi gli uomini e le donne del mondo contemporaneo sembrano fare sempre più fatica a riscoprire la bellezza della coppia e della famiglia: alla Chiesa e alle coppie credenti tocca un rinnovato e più impegnativo compito di testimonianza, accompagnamento e prossimità, perché ogni persona possa riscoprire la bellezza del cercare la propria felicità in un progetto d’amore” (Francesco Belletti).

“[…]Non hanno molto senso scelte legate esclusivamente alla magnificenza di alcune chiese… rischia di mettere in ombra il vero significato del matrimonio cristiano, che non è una sceneggiata esteriore o un setting cinematografico[…]” (Pietro Boffi).

Lo speciale “Il sì, scelta di gioia” è stato realizzato e diffuso in occasione del XII Pellegrinaggio delle famiglie di Pompei, lo scorso 14 settembre 2019.

www.rns-italia.it/NuovoSito/page/standard/mop_all.php?p_id=00426

Messaggio del Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Cei.

https://agensir.it/quotidiano/2019/9/14/pellegrinaggio-famiglie-a-pompei-card-bassetti-consegnare-alla-madonna-il-grido-di-chi-vive-il-dramma-di-una-famiglia-ferita

USA. Come e dove si formano le coppie? Sempre più spesso ON LINE. Un interessante studio americano dell’Università di Stanford, ha rilevato l’evoluzione dagli anni ’40 ad oggi dei canali d’incontro attraverso i quali si formano le coppie. Una vera rivoluzione: mentre famiglia, chiesa, amici, colleghi di lavoro o di studio sono scese ai minimi termini, non rappresentando ormai che uno scarso 10%, gli incontri on line rappresentano oggi per circa il 40% delle coppie la modalità con cui i partner si sono incontrati.     Essere bambini e insieme caregiver: una condizione sottovalutata. Davvero prezioso il dossier proposto a fine agosto 2019 da Superabile.it, portale INAIL dedicato alle persone con disabilità e alla loro tutela.                                                                                        www.superabile.it/cs/superabile/home

Tre interventi ricchi di dati e riflessioni

  1. “Educare alla cura”, i caregiver bambini a scuola,
  2. La “trappola” del caregiver bambino,
  3. Le vite nascoste dei caregiver bambini.

Sul modo in cui prendersi cura di un proprio familiare diventa parte integrante della vita di ogni membro del nucleo familiare, anche dei bambini. La presenza di una persona fragile nel nucleo familiare diventa così, oltre che un oggettivo “carico di cura”, anche una potente occasione di educazione alla responsabilità reciproca, per adulti e minori.

https://mysuperabile.inail.it/cs/superabile/sportelli-e-associazioni/20190821-vite-nascoste-caregiver-bambini.html

Big (Business Intergenerational Game). Seconda edizione. BIG è il primo business game intergenerazionale di CFMT, un progetto innovativo che coinvolge attivamente giovani studenti o laureati e manager aziendali. L’obiettivo? Unire generazioni diverse per arricchire entrambe le parti. Da un lato i giovani hanno l’occasione di sperimentare la realtà aziendale e poter applicare nel concreto le nozioni che apprendono sui libri all’università, dall’altro i Senior invece, hanno l’occasione di acquisire dai nativi digitali le competenze che lo sviluppo incessante della tecnologia richiede di aggiornare ogni giorno. Durante il Business Game, ogni team rappresenterà un albergo che attraversa una fase poco profittevole in quanto a risultati di mercato. La sfida sta nel risanare l’azienda nel modo più efficace, sfruttando una piattaforma web 24h su cui sperimentare strategie senza limiti di tempo e di spazio.                                                                                                              www.cfmt.it/big

Specializzarsi per la famiglia. Roma, 19-21 settembre 2019. Summer School Value@Work: “La sfida umana nell’epoca della trasformazione digitale”, “scuola estiva di alta formazione culturale” organizzata dall’Istituto di Studi Superiori sulla donna dell’Università Pontifica Regina Apostolorum     www.upra.org/offerta-formativa/istituti/istituto-di-studi-superiori-sulla-donna

in collaborazione con la Fondazione Prioritalia, e grazie al supporto di ManagerItalia, Fasdac, ManagerItalia Lazio, Abruzzo, Molise, Sardegna e Umbria, Istituto Luigi Gatti -APAConfartigianato e Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti (UCID).

www.upra.org/wp-content/uploads/2019/06/Prioritalia_Summer-school.pdf

All’interno del percorso residenziale sono previste due “open sessions” (aperte al pubblico):

Da Agostino a Google. Dialogo tra Alberto Gambino e Paolo Messa” (19 settembre)

Come restare umani. Dialogo tra Marcella Mallen e Micheal Ryan L.C.” (20 settembre).

Sul tema affrontato in questa Summer School, la digitalizzazione delle relazioni interpersonali, e sul modo in cui il mondo digitale entra nelle relazioni familiari, come sfida ma anche come opportunità, vedi anche il Rapporto CISF 2017 “Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali”

www.sanpaolostore.it/relazioni-familiari-nell-era-delle-reti-digitali-nuovo-rapporto-cisf-2017-9788892213289.aspx?Referral=newsletter_cisf_20190918

Dalle case editrici

Cigoli Vittorio, Gennari Marialuisa, Quando non è per sempre. Lasciarsi come coppia, rimanere come genitori, San Paolo, Cinisello B. (MI), 2019, pp. 138, € 15,00.

Le coppie si legano in una prospettiva di “per sempre” che viene da molto lontano nel tempo ma, quando questa promessa si spezza, cosa ne è dei figli? Quali sono gli effetti del divorzio su di loro, che costituiscono la generazione successiva?

Sono le domande alla base di questo libro, che gli autori sviluppano facendo abbondante ricorso a storie di vita di coppia e familiari tratte dalla loro esperienza clinica, per mostrare non solo gli effetti del divorzio, ma anche le possibilità concrete di affrontare il dolore e di non restare impigliati nelle trappole che il dolore stesso dissemina lungo il percorso.

Ogni capitolo è corredato da una scheda di sintesi, in cui vengono proposte domande per la riflessione, riguardanti sia i genitori in quanto tali che le possibili problematiche dei figli. Perché – ed è questa la filosofia di fondo che guida il loro lavoro – si può smettere di essere coppia, ma genitori si rimane per sempre.

Save the date

  • Nord: I sabati dell’adozione. Ciclo di seminari, (I nostri ragazzi al tempo dei social; Origini e gestione dei contatti con i fratelli biologici, Ti racconto la tua storia), promossi da CIAI, Milano, 21 settembre, 26 ottobre, 23 novembre 2019.

www.ciai.it/wp-content/uploads/2019/07/Locandina-seminari-2019-Milano.pdf

  • Nord: L’anarchia dell’asino. Educazione tra regole, libertà e fantasia, convegno/workshop promosso dall’associazione La Bellotta ASD – APS, Oleggio (NO), 28 settembre 2019.

https://bellotta.jimdo.com/programma-convegno-e-workshop

  • Nord: Genitori responsabili, figli felici. Crescere insieme nell’educazione affettiva,promosso da “Educazione Responsabile”; Milano, 27 ottobre 2019.

https://educazioneresponsabile.com/genitori-responsabili-figli-felici-conferenza

  • Centro: Seminario con Lisa Parkinson: La Mediazione intergenerazionale, una visione ecosistemica delle relazioni familiari, promosso da Associazione Mediamente (in lingua inglese con traduzione in italiano), Firenze, 28 settembre 2019.

                www.aimef.it/data/eventi/632/allegato_c208b.pdf

  • Sud: Per ri-scoprire il sorriso. Povertà educativa, disturbi alimentari e nuove dipendenze: l’adolescenza alle corde. Aspetti giuridici e multidisciplinari, promosso Coordinamento Camere Minorili Calabresi, Catanzaro, 26-28 settembre 2019.

http://gruppocrc.net/wp-content/uploads/2019/07/Programma-completo-UNCM-2019-002.pdf

  • Sud: I miei occhi, le tue sensazioni: L’approccio Person-centred Care nella malattia di Alzheimer, promosso da Alzheimer Italia-Bari in occasione della XXVI Giornata Mondiale Alzheimer, Bari, 21 settembre 2019.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3419_allegato4.pdf

  • Estero: Putting Children First: New Frontiers in the Fight Against Child Poverty in Africa (I bambini al primo posto: nuove frontiere della lotta alla povertà infantile in Africa), promosso da Institute of Development Studies (IDS), Brighton (UK), 18 ottobre 2019.

www.eadi.org/typo3/fileadmin/WG_Documents/wg_poverty/Putting_Children_First_Event_-_INVITATION_v1_02-sep-19.pdf

  • Estero:Aging in [a] Place: Planning, Design & Spatial Justice in Aging Societies (Invecchiare in un posto: progettazione, design e giustizia degli spazi in una società che invecchia), simposio promosso dalla Harvard Joint Center for Housing Studies, Cambridge (USA), 18 ottobre 2019.                         www.jchs.harvard.edu/calendar/aging-in-a-place

Iscrizione                  http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio    http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/settembre2019/5139/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Sinodo sull’Amazzonia. Enzo Bianchi: “Il Papa indica un orizzonte profetico”

Periferie, migrazioni, sfruttamento delle risorse naturali, cambiamenti sociali e vulnerabilità familiare, corruzione, tutela dell’ambiente. Questi i temi al centro del prossimo Sinodo per la Regione Panamazzonica. Anche la cronaca recente conferma che “i problemi dell’Amazzonia sono i problemi del pianeta, riguardano tutti e non riguardano solo una terra o una cultura”, come sottolinea Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose.

Fratel Enzo Bianchi, per una serie di motivi, anche di cronaca recente, l’Amazzonia da luogo ben definito e a noi distante è diventato invece rappresentativo dell’intero mondo. Cosa possiamo aspettarci come Chiesa e come occidentali da questa Chiesa sorella convocata in Sinodo?

L’atteggiamento che i cristiani possono avere verso questa terra, verso queste popolazioni, verso questa cultura dev’essere di modello per tutti i rapporti tra la Chiesa e le culture.

In che senso?

Il fenomeno della fede che si deve inculturare nelle genti, nei popoli, è un fenomeno al quale nel passato abbiamo prestato poca attenzione. Il Papa ci chiede di fare una revisione e di chiederci davvero come un popolo può esprimere la sua fede, la sua liturgia, la sua vita cristiana in termini che le sono propri. È un’esaltazione della diversità nell’unità cattolica, è mettere l’accento sul fatto che lo Spirito Santo è sempre multiforme, come la Sapienza di Dio è multicolorata secondo quanto dice la Scrittura.

Si tratta di un bel cambiamento.

È una grande sfida, non è facile. Il Papa ha indicato questo orizzonte profetico, ci sono delle reazioni e delle contraddizioni a questo cammino, delle polemiche. Però credo che sia un cammino doveroso, cristiano. Nel Papa non c’è altro desiderio dell’evangelizzazione di tutte le genti, di tutte le culture. Noi dobbiamo metterci in questo cammino, seppur in ritardo e magari con difficoltà e fatica.

Anche nell’Instrumentum laboris si parla più volte di una “Chiesa profetica”. In che modo il Sinodo sull’Amazzonia potrà aiutarla ad assumere questo profilo?

Nella misura in cui saranno delineati, per esempio, la comunità cristiana, i ministeri, la diaconia al suo interno. Ma anche nella misura in cui saranno aperte strade di liturgia con modi di celebrare più adeguati alla cultura, al popolo. Questo è qualcosa che riguarda tutti. Anche noi in Italia dobbiamo chiederci cosa significhi celebrare la liturgia nel 2019. Avremo certamente delle revisioni da fare, dare una dinamica, un nuovo modo che possa incontrare gli uomini d’oggi.

Se là hanno il problema di quelli che non diventano cristiani, noi abbiamo quello delle nuove generazioni che alla messa non van più e non sentono nessuna attrattiva da parte della liturgia cattolica. Cosa vogliamo fare? Accettare il dato di fatto o ripensare per poter dialogare anche liturgicamente con le nuove generazioni.

Lei, che ha partecipato al Sinodo del 2018, conosce bene le dinamiche della discussione e del discernimento tra i partecipanti. Quali saranno, dal suo punto di vista, gli aspetti decisivi?

Il problema è il cammino delle Chiese, se sono o meno capaci ad un discernimento comunitario. Perché tutto richiama al discernimento: il Papa, il Sinodo, anche la letteratura teologica. Ma poi si aprono davvero dei cammini di discernimento comunitario, che sono una novità nella Chiesa? Perché su quello personale si è riflettuto e lo si è anche esercitato soprattutto negli ultimi secoli. Ma quello comunitario, ecclesiale, che poi è sempre un discernimento sinodale, è un cammino tutto da creare, da inventare. E quando un cammino dev’essere fatto da un popolo, è un cammino lungo, richiede tempi lunghi, educazione, maturazione, assunzione di nuove forme. È un nuovo cammino, il Papa ce lo ha indicato come la frontiera del terzo millennio.

Nel Sinodo sull’Amazzonia si parlerà ovviamente anche di ambiente e di “ecologia integrale”.

Questa è stata la profezia di Papa Francesco. Prima avevamo quelli che pensavano all’ecologia, i “verdi”, e non riuscivano a pensare ai poveri. E quelli che pensavano ai poveri e che avevano piuttosto delle linee sociali ma non mettevano in conto l’ecologia. Con la Laudato si’, il Papa è riuscito a far vedere che sono due facce della stessa medaglia.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

Il futuro della terra riguarda i poveri, il futuro dei poveri riguarda la terra. Nell’Amazzonia abbiamo questi due temi che si incrociano: da un lato la custodia della nostra terra, che è nostra Madre; dall’altro, come i poveri su questa terra possano trovare una dimora, un’abitazione nella giustizia e nella pace.

Temi sui quali il Santo Padre non manca di insistere.

È il grande orizzonte profetico indicato da Francesco. Il Papa, credo, ha indicato tre orizzonti: all’interno della Chiesa, la sinodalità; con tutta l’umanità, la fraternità; e il terzo, che riguarda tutto il mondo, tutta la creazione, tutta la Terra, è il problema ecologico e della giustizia. Sono le tre sfide, i tre orizzonti del terzo millennio, che il Papa con profezia ha saputo individuare e indicarci.

Saremo all’altezza della sfida?

Spero di sì. Il Papa ha una forza, credo che qualcuno cominci a capire anche ai bordi della Chiesa e pure fuori. Può darsi che si apra una sinergia, oserei dire, più ampia dei cattolici verso queste mete.

Alberto Baviera    Agenzia SIR   20 settembre 2019

https://agensir.it/chiesa/2019/09/20/sinodo-sullamazzonia-enzo-bianchi-il-papa-indica-un-orizzonte-profetico

 

L’Amazzonia siamo noi. Una lettura emotiva dello Strumento

Inaspettata sensazione leggendo lo Strumento di lavoro del Sinodo dell’Amazzonia pubblicato il 17 giugno 2019: che si parlasse di noi. Di noi cristiani europei sperduti nel gorgo secolare come quei nostri fratelli in quello vegetale. Chissà che da una Chiesa nascente – mi dicevo – possa venire un aiuto a una Chiesa che sente gli anni.

www.synod.va/content/synod/it/attualita/sinodo-sull-amazzonia–documento-preparatorio—amazonia–nuovi-.html

Racconto questa mia lettura selvaggia partendo da quattro brani dello Strumento: quello che propone l’ordinazione di anziani sposati “preferibilmente indigeni”, l’altro che tratta dei ministeri da affidare alle donne, uno sulla vita consacrata “inter-congregazionale”, uno che vuole assemblee di tutti i battezzati.

  1. 1.       Dell’ordinazione di anziani sposati parlano due paragrafi: il 126.c: “Le comunità hanno difficoltà a celebrare frequentemente l’eucaristia per la mancanza di sacerdoti”; e il 129.a.2: “Si chiede che, per le zone più remote della regione, si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile”.

Le Chiese giovani sono più libere. Tra una generazione avremo anche in Italia scarsità di preti. È bene tenere d’occhio quello che può venire a noi dalla fine del mondo. Quando si tratta di esplorare il nuovo, il terreno migliore è il meno coltivato e trincerato. “Le Chiese giovani hanno un atteggiamento più libero”, ha detto una volta Francesco conversando con Dominique Wolton (Dio è un poeta, Rizzoli, Milano 2018, 220).

Dell’ordinazione di anziani sposati per la celebrazione dei sacramenti (eucaristia, penitenza, unzione degli infermi), nelle comunità prive di sacerdoti, aveva parlato Francesco in aereo tornando da Panama lo scorso gennaio. I nostri vescovi fingono di non saperne nulla e intanto cercano preti in Polonia e in Nigeria. Se cercassero tra gli indigeni?

  1. “Identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che esse svolgono oggi nella Chiesa amazzonica” è un altro passaggio forte dello Strumento, al paragrafo 129.a.3. Nello stesso paragrafo, troviamo il capoverso C intitolato “Ruolo della donna“, dal quale prendo queste pagliuzze: “Viene chiesto il riconoscimento delle donne a partire dai loro carismi e talenti. Esse chiedono di recuperare lo spazio dato da Gesù alle donne, “dove tutti/tutte possiamo ritrovarci”; “Si propone inoltre di garantire alle donne la loro leadership, nonché spazi sempre più ampi e rilevanti nel campo della formazione: teologia, catechesi, liturgia, scuole di fede e di politica”; “Si chiede anche che la voce delle donne sia ascoltata, che siano consultate e partecipino ai processi decisionali”; “Che la Chiesa accolga sempre più lo stile femminile di agire e di comprendere gli avvenimenti”.

Ci stiamo dentro da capo a piedi. Ma che s’intende per “ministero ufficiale che può essere conferito alle donne”? Un punto in negativo è stato chiarito dal vescovo Fabio Fabene, sottosegretario del Sinodo, presentando lo Strumento: “Nel documento non si parla del diaconato femminile, dal momento che il papa si è già espresso in proposito nell’Assemblea delle Superiore generali, dichiarando che il tema necessita di ulteriore approfondimento”. Mi sono fatto l’idea che in verità nella preparazione del documento, tra la consultazione e la prima e la seconda bozza, si puntasse al diaconato femminile. Poi essendo arrivato il monito papale, l’hanno tolto dal testo. Ma hanno lasciato l’impianto, come quando togli una statua e lasci il piedistallo.

  1. La storicità dei ministeri è un cantiere in espansione. Ho la mente rutilante. Avvicinandosi il Sinodo e prevedendo tempesta, il papa – che una volta ha detto di sapersi muovere – abbozza un sì all’ordinazione di anziani sposati e un no al diaconato femminile. Dunque il “ministero ufficiale” di cui lo Strumento ci mette alla ricerca non è il diaconato femminile. Ma non può essere neanche quello di animatrice, o portavoce, o catechista, o “mamma” di comunità locali sprovviste di sacerdote: perché è vero che la maggioranza delle comunità amazzoniche sono guidate da donne, ma non sarebbe possibile – immagino – dare un riconoscimento ufficiale a tale ruolo di guida escludendone gli uomini.

Senza fare riferimento all’Amazzonia, un teologo romano solitario, don Giampaolo Centofanti, ha suggerito ultimamente – con un intervento del 21 agosto 2019 su Vaticaninsider – di prendere in esame “se i laici possano non consacrare gli oli sacri ma conferire quello degli infermi e magari quello dei catecumeni”. La storicità dei ministeri è un cantiere teologico aperto.

Sui consacrati lo Strumento ha parole di pregio: “Si propone quindi di promuovere una vita consacrata alternativa e profetica, inter-congregazionale, interistituzionale, con un senso di disponibilità a stare dove nessuno vuole stare e con chi nessuno vuole stare” (129.d.1).

Domani risulterà fuori luogo anche da noi proporre venti o quaranta vie di consacrazione, ma la vita consacrata sarà comunque essenziale e dunque occorre prepararsi a farne una nuova proposta. Il consacrato e la consacrata mostrano che è possibile seguire il Signore lasciando tutto. Meno rilevante è che tale possibilità sia proposta con intonazione francescana, o domenicana, o salesiana, o ignaziana.

L’Ordine delle vergini può fare da apripista. Non mancano, nello stesso paragrafo, altre scosse ai dormienti: “Sostenere l’inserimento e l’itineranza delle persone consacrate vicino ai più poveri ed esclusi e la partecipazione politica per trasformare la realtà. Proporre ai religiosi e alle religiose che vengono dall’estero di essere disponibili a condividere la vita locale con il cuore, la testa e le mani per disimparare modelli, ricette, schemi e strutture prefissate e per imparare lingue, culture, tradizioni di saggezza, cosmologie e mitologie autoctone (…) Dare priorità alle necessità delle popolazioni locali rispetto a quelle delle congregazioni religiose”.Ma il punto chiave mi pare quello della proposta “inter-congregazionale e interistituzionale”. Chiedo a chi sa di più che vogliano dire quelle parole: una vita consacrata promossa insieme da più famiglie religiose (congregazioni, istituti), o promossa in proprio dalle comunità diocesane? Qualcosa di simile all’Ordo virginum che mi pare stia dando buona prova qui da noi? Esiste, da noi, un analogo esperimento maschile? Come si risponde all’obiezione sull’oscuramento o la perdita del carisma fondazionale che ne seguirebbe?

  1. Come quarto elemento del testo che potrebbe darci insegnamento, da Chiesa giovane e Chiesa antica, segnalo il paragrafo 129.b.4 che invita ad “aprire nuove possibilità di processi sinodali, con la partecipazione di tutti i fedeli, in vista dell’organizzazione della comunità cristiana per la trasmissione della fede”.

Fratelli che ci riportano alla dimensione apostolica. Quando l’apostolo Paolo, spinto altrove dallo zelo del Vangelo, lasciava le comunità che aveva appena fondato, in esse la Chiesa era l’assemblea di tutti i battezzati. Quando invece si fa assemblea in una nostra parrocchia, dove magari i battezzati sono 5.000, a essere chiamati, o addirittura a saperlo, sono i 50 del Consiglio pastorale. Se c’è. Se non c’è, lo sanno i soli collaboratori del parroco sui quali grava ogni attività. I cristiani dell’Amazzonia ci riportano alla dimensione apostolica. Forse da loro – che sono costretti al vero dalla povertà di membri e di strutture – possiamo apprendere qualcosa per l’impresa di rifare vive le nostre comunità.

Al paragrafo 138 trovo un raro invito a imparare dagli evangelici la vicinanza al popolo: “Altri gruppi sono presenti in mezzo alla foresta amazzonica vicino ai più poveri, svolgendo un’attività di evangelizzazione e di educazione; sono molto capaci di attirare i popoli nonostante non valorizzino positivamente la loro cultura. L’essere presenti ha permesso loro d’insegnare e diffondere la Bibbia tradotta nelle lingue originarie. Per la maggior parte questi movimenti si sono diffusi a causa della mancanza di ministri cattolici. I loro pastori hanno formato piccole comunità dal volto umano, dove la gente si sente apprezzata personalmente (…) Sono persone come gli altri, facili da trovare, che vivono gli stessi problemi e diventano più “vicini”, e meno “diversi”, al resto della comunità. Ci mostrano un altro modo di essere Chiesa, dove il popolo si sente protagonista e dove i fedeli possono esprimersi liberamente senza censura, dogmatismo o discipline rituali”.

Quasi sempre i testi delle Chiese latino-americane parlano con deplorazione dei gruppi evangelici che tumultuosamente nascono e muoiono nell’umanità circostante. Qui abbiamo invece una disponibilità a imparare il buono di quei gruppi. Anche questa disponibilità io la leggo sulla base dell’accettata povertà delle comunità cattoliche.

Anche in Europa siamo pochi e dispersi. Siamo un resto d’Israele anche in Europa. Se continuiamo a ragionare sentendoci una grande Chiesa costituita, vuol dire che non accettiamo la verità di quello che siamo. Magari in una viuzza del nostro centro storico c’è una chiassosa comunità evangelica frequentata da immigrati e la guardiamo dall’alto in basso. I fratelli dell’Amazzonia ci stanno dicendo che dovremmo piuttosto imparare da chi magari fa confuse acclamazioni a Cristo ma ne diffonde il nome mentre noi – preparatissimi – lo custodiamo in un dotto silenzio.

Ho fatto una lettura grossolana dello Strumento di lavoro. Non ho neanche citato il tema sinodale: Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale. Ovvio che me ne vergogno. Sono andato alle parole che mi hanno segnalato che questo Sinodo parla anche di noi. Solo a questo miravo.

Luigi Accattoli                 Il Regno attualità       15 settembre 2019

www.ilregno.it/attualita/2019/16/lamazzonia-siamo-noi-luigi-accattoli

 

Don Davide e la continuità con il Vaticano II di Amoris Lætitia e del Sinodo sulla Amazzonia

Credo che si debba ringraziare l’Abbé Davide Pagliarani, Superiore Generale della FSPX [Fraternità Sacerdotale San Pio X (in latino: Fraternitas sacerdotalis Sancti Pii X, FSSPX), è una società di vita apostolica tradizionalista cattolica, fondata a Friburgo il 1º novembre 1970 dall’arcivescovo cattolico Marcel François Lefebvre], per la lunga intervista che si può leggere qui. La importanza di questo lungo testo può essere racchiusa in una frase: sia pure da un punto di vista radicalmente critico, e per me del tutto inaccettabile, apprezzo la chiarezza con cui Don Davide riconosce con estrema chiarezza la logica di continuità tra il Concilio Vaticano II e il magistero di papa Francesco, così come si è espresso in Amoris Lætitia e nel Sinodo sulla Amazzonia.

Ovviamente si tratta di una lettura “catastrofica”, che legge le tappe del pontificato di Francesco come “bombe atomiche”, come distruzioni della tradizione, come negazioni della identità cattolica. Ma il valore esemplare della intervista consiste nel ricondurre, con estrema linearità, tutta questa vicenda attuale alla sua vera radice, ossia al Vaticano II, alla sua ecclesiologia e alla sua teorizzazione del rapporto col mondo.  Non si tratta della stravaganza di un papa originale, ma della lineare conseguenza del Vaticano II.

Di qui deriva il tono reciso e duro di negazione di ogni pluralismo, di ogni dialogo, di ogni aggiornamento. Per questo, in Don Davide, appare del tutto comprensibile che il simbolo del Concilio e di tutti i suoi “errori” sia la Riforma Liturgica. Per questo, nella parte conclusiva della sua intervista, dopo aver enumerato tutte le catastrofi che discendono dalla ecclesiologia e dalla liturgia conciliare, egli fa della “Messa tridentina” il principio di una resistenza ad oltranza.

E dice così: “Concrètement, il faut passer à la Messe tridentine et à tout ce que cela signifie; il faut passer à la Messe catholique et en tirer toutes les conséquences; il faut passer à la Messe non œcuménique, à la Messe de toujours et laisser cette Messe régénérer la vie des fidèles, des communautés, des séminaires, et surtout la laisser transformer les prêtres. Il ne s’agit pas de rétablir la Messe tridentine, parce qu’elle est la meilleure option théorique; il s’agit de la rétablir, de la vivre et de la défendre jusqu’au martyre, parce qu’il n’y a que la Croix de Notre-Seigneur qui puisse sortir l’Eglise de la situation catastrophique dans laquelle elle se trouve.”

La lettura della intervista aiuta a comprendere in modo più chiaro la sequenza argomentativa: i disastri attuali hanno la loro radice nel Concilio Vaticano II, il cui emblema è la Riforma Liturgica. Perciò, per resistere nella “chiesa di sempre”, per contestare ogni pluralismo, ogni democrazia, per opporsi al cedimento al divorzio di Amoris Lætitia e per non cadere nel paganesimo del Sinodo sulla Amazzonia occorre “passare alla messa tridentina” e fare del Vetus Ordo la linea di resistenza contro il Concilio e contro la sua attuazione in mezzo a noi.

A leggere queste parole non si può non guardare alla ingenuità di una Chiesa così tiepidamente conciliare, da aver permesso di fare di questo programma reazionario una “possibilità pastorale” aperta ad ogni parrocchia. Solo quando avremo capito la gravità dell’errore commesso nel 2007, con una “liberalizzazione del rito di Pio V” sapremo correre ai ripari e rispettare quella riforma liturgica che costituisce parte integrante del nostro rispetto verso il Concilio Vaticano II.

Forse proprio questa intervista di Don Davide, con tutta la sua prepotente anticonciliarità, saprà aprire gli occhi di chi non vuol vedere e le orecchie di chi non vuol sentire. A Don Davide va dato atto di dire con estrema durezza le cose “da fuori”. Sorprende molto che le stesse parole noi stiamo ascoltando da 12 anni sulle bocche di uomini delle istituzioni, di preti giovani, di preti anziani dalla memoria corta, di qualche vescovo, addirittura di alcuni cardinali. La differenza è che Don Davide ha il coraggio di identificare nel Vaticano II il suo nemico, mentre gli altri preferiscono “dimenticarlo” o “rimuoverlo”. Credo che dopo Amoris Lætitia e Amoris Lætitia dopo il Sinodo sulla Amazzonia si dovrà fare chiarezza sulla liturgia. Il piede non si può tenere in due scarpe. Soprattutto il Magistero “dei sommi pontefici” non può restare ambiguo sul piano della liturgia. Perché questa ambiguità, questa imparzialità tra vecchio e nuovo, questa indifferenza verso le scelte conciliari, paralizza tutto il sistema. Per questo, in modo opposto e contrario rispetto a lui, apprezzo molto la lucidità consequenziale e senza fronzoli dell’Abbé Davide Pagliarani. La liturgia è davvero decisiva, come fonte e culmine del sistema. Se siamo ambigui sulla liturgia, tutto è compromesso. Una delle condizioni per l’attuazione di Amoris Lætitia e per la buona gestione del Sinodo sulla Amazzonia, è il superamento della ambiguità reazionaria e anticonciliare di Summorum pontificum [7 luglio 2007].

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/motu_proprio/documents/hf_ben-xvi_motu-proprio_20070707_summorum-pontificum.html

Ora questa evidenza, dopo le parole di Don Davide, è diventato molto più chiara.

Andrea Grillo       blog: Come se non      21 settembre 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/don-davide-e-la-continuita-con-il-vaticano-ii-di-amoris-laetitia-e-del-sinodo-sulla-amazzonia

 

Un cambiamento per dialogare con le scienze umane

Grande scalpore ha suscitato la recente vicenda dei cambiamenti intervenuti nell’ambito del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia con sede a Roma presso la Pontificia Università Lateranense. A venire sottoposto a revisione è stato anzitutto il piano di studi, con l’introduzione di nuove discipline; ma non sono mancati anche interventi di carattere strutturale relativi all’ordinamento dei vari livelli accademici e (nota dolente!) qualche piccola (e peraltro motivata) rotazione del personale docente.

Le reazioni di alcuni ambienti ecclesiastici particolarmente conservatori si sono fatte subito sentire, con la diffusione talora persino di notizie false e settarie, messe volutamente in circolazione per screditare i nuovi responsabili dell’Istituto, in particolare il Gran Cancelliere e il Direttore.

A suscitare le maggiori rimostranze, più ancora dei contenuti dottrinali o dell’impostazione generale dei corsi, è stato il licenziamento (così è stato inteso) di due Professori, José Noriega e Livio Melina, nonché la mancata conferma di corsi ad altri docenti.

In una lettera di protesta inviata ai responsabili dell’Istituto a firma dei collaboratori del Dizionario su Sesso, Amore e Fecondità (Cantagalli, Siena 2019) – dizionario di cui Padre Noriega è stato il principale curatore – parlano di “sollevamento dall’incarico” dei due professori, per i quali non risulta esservi “alcun motivo di carattere scientifico-accademico, tantomeno dottrinale e disciplinare”.

In realtà le cose non stanno proprio così. Padre Noriega è stato dimesso perché divenuto superiore generale della sua Congregazione, carica incompatibile per Statuto con la docenza in Istituto, mentre don Livio Melina ha perso il suo insegnamento semplicemente, perché la disciplina che insegnava, cioè la Teologia morale fondamentale, è stata tolta dall’ordinamento degli studi, in quanto presupposta come necessaria per l’ammissione ai corsi di Licenza e di Laurea.

Quanto agli altri docenti si è trattato di un falso allarme, visto che l’assenza della loro disciplina nei programmi di insegnamento si riferiva soltanto all’anno corrente, e che tali programmi (con relativi docenti) sarebbero stati inseriti negli anni successivi.

Ma, al di là delle polemiche sollevate, merita soprattutto di essere preso in considerazione il rinnovamento dell’impostazione data al piano di studi, tanto sul piano metodologico che dei contenuti.

La preoccupazione che sta alla base della riforma è ben espressa dal direttore mons. Pierangelo Sequeri, il quale, in una intervista rilasciata ad “Avvenire“, affermava che l’obiettivo perseguito era la “costituzione di un soggetto accademico in grado di interloquire, in modo competente e senza soggezione, con le nuove frontiere e le dialettiche interne agli sviluppi impetuosi delle scienze umane”.

La risposta a questa istanza viene in primo luogo fornita dalla rilevanza assegnata, a livello epistemologico, al rapporto con le scienze umane, che studiano il matrimonio e la famiglia. La concreta possibilità dell’attivazione di un vero dialogo, che introduca all’interno della riflessione antropologica e teologica, una forma di interdisciplinarità, è costituita dall’introduzione nel curriculum degli studi di discipline che fanno riferimento alle diverse scienze umane – dalla sociologia della famiglia e dell’infanzia alla storia e cultura delle istituzioni familiari; dal diritto comparato della famiglia e dalla demografia alla psicologia e psicopatologia dei legami familiari fino alla politica ed economia della famiglia (per non citare che i corsi principali) – destinate a fornire alla riflessione teologica nuovi strumenti interpretativi che le consentano di confrontarsi fruttuosamente con la cultura dell’attuale momento storico.

Giustamente gli attuali responsabili dell’Istituto insistono nel mettere l’accento sulla continuità dei programmi attuali con quelli del passato, rilevando come si tratti soltanto di allargamento della riflessione sulla famiglia. Non si può tuttavia negare che questa continuità ha un carattere aperto e dinamico – il che è del resto pienamente conforme al criterio interpretativo che deve guidare il confronto con la intera tradizione ecclesiale – , e che il modello di riferimento al quale la riforma si ispira è l’insegnamento magisteriale dell’Amoris Lætitia di papa Francesco; modello – è ancora Sequeri a sottolinearlo nell’intervista citata – “che deve orientare intelligenza teologica e pastorale della condizione familiare”.

L’adesione a quest’ultimo modello implica un indubbio passo avanti nell’approfondimento delle tematiche relative al matrimonio e alla famiglia. Pur nel rispetto della fedeltà nei confronti del magistero precedente, in particolare di quello di papa Giovanni Paolo II – fedeltà che non deve mai essere ripetitiva ma creativa – si danno senza dubbio nel documento papale importanti novità.

Nel testo della lettera con cui papa Francesco ha nominato l’Arcivescovo Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la vita, Gran Cancelliere dell’Istituto emergono con chiarezza tali novità. Oltre al confronto con “le sfide della cultura contemporanea” e all’apertura privilegiata nei confronti delle “frontiere”, il pontefice insiste sull’importanza che “nello studio teologico non venga mai meno la prospettiva pastorale e l’attenzione alle ferite dell’umanità”.

Un vero e proprio cambio di prospettiva, che non contraddice certo i valori, che sono stati posti, fin dall’inizio, alla base dei programmi dell’Istituto, ma che ne amplia l’orizzonte applicativo e fornisce indirizzi nuovi che papa Francesco non manca di segnalare sempre nella lettera indirizzata a mons. Paglia: dalla cura della dignità della persona umana nelle diverse età dell’esistenza al rispetto reciproco fra generi e generazioni; dalla difesa della dignità di ogni singolo essere umano alla promozione di una qualità della vita umana che integri il valore materiale e spirituale, nella prospettiva di un’autentica “ecologia umana”, che aiuti a ritrovare l’equilibrio originario della creazione tra la persona umana e l’intero universo.

E tutto questo assumendo come criterio prioritario l’opzione per i poveri e i sofferenti, nella consapevolezza che “chinarsi sulle ferite dell’uomo per comprenderle, curarle e guarirle è compito di una Chiesa fiduciosa nella luce e nella forza di Cristo risorto“.

Tornando alle pesanti reazioni, cui si è accennato all’inizio, risulta evidente, alla luce dei nuovi indirizzi programmatici, che il vero bersaglio delle critiche è il magistero di papa Francesco. Le polemiche sollevate attorno al capitolo ottavo dell’Esortazione apostolica Amoris Lætitia in ambienti conservatori hanno visto spesso allineati anche docenti dell’Istituto. Lo stesso Dizionario citato si inserisce nel contesto di una operazione a vasto raggio intesa a mettere sotto processo alcuni indirizzi dottrinali e pastorali dell’attuale pontefice.

La paura (ingiustificata) che vengano meno alcuni principi fondamentali della tradizione morale cristiana, l’eccesso di spazio dato alla misericordia, con il pericolo (anch’esso del tutto ingiustificato) che si indulga verso atteggiamenti lassisti e la diversità di posizioni nei confronti di alcuni interventi di papa Giovanni Paolo II sui temi del matrimonio e della famiglia sono altrettanti elementi chiamati in causa per giustificare il dissenso.

Mentre sono del tutto infondate le prime obiezioni – papa Francesco non mette certo in discussione i principi dottrinali tradizionali e non manca di proporre con radicalità l’ideale evangelico – più giustificata è invece l’obiezione sulla discontinuità del magistero del papa attuale rispetto al magistero di papa Giovanni Paolo II.

Affiorano qui sensibilità diverse che danno luogo ad accenti e sottolineature diverse nell’approccio alle questioni sul tappeto; accenti e sottolineature che, pur non intaccando la sostanza dottrinale, implicano tuttavia una certa svolta in campo pastorale. È questa la ragione vera della durezza degli attacchi, che si sono concentrati negli ultimi anni sulla stessa figura del pontefice.

Il rinnovamento dell’Istituto per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, che si muove – come già si è ricordato – nell’alveo del magistero di papa Francesco, è stato per questo preso di mira. La scelta di fare proprie le istanze di tale magistero non poteva che suscitare tensioni e irrigidimenti.

Si tratta in ogni caso di una scelta coraggiosa destinata a restituire alla Chiesa la capacità di una nuova azione evangelizzatrice. Un’azione in grado di ridare al messaggio cristiano sul matrimonio e sulla famiglia credibilità ed efficacia e di andare nel contempo incontro alle situazioni difficili facendo ricorso alla medicina della misericordia.

Giannino Piana                Viandanti        14 settembre 2019

www.viandanti.org/website/istituto-giovanni-paolo-ii-per-la-famiglia-un-cambiamento-per-dialogare-con-le-scienze-umane

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CITAZIONI

Quali novità per i divorziati risposati in Amoris Lætitia?

Due opportune premesse. La lettera apostolica intitolata “Amoris Lætitia” accanto alla fervida accoglienza da parte di molte comunità cristiane e soprattutto da parte del pensiero teologico più aperto, non sono mancate e non mancano voci dissenzienti. Queste voci riguardano principalmente due ambiti: l’ambito della tradizione e quello del cambio del paradigma etico.

L’ambito della tradizione. Questo documento sarebbe in contraddizione con la tradizione magisteriale. In questa posizione si collocano il Card. Cafarra e il Card. Paulo Joseph Coresi.

Il Card. Walter Kasper, in sintonia con il Card. Shonborn di Vienna, dichiara che per quanto riguarda i divorziati risposati c’è sì un cambiamento di dottrina, ma non è nella linea della contraddizione, ma dell’evoluzione. C’è una doverosa interpretazione della parola di Dio a contatto della vita e i suoi problemi. Vi si vuole far risaltare la misericordia che è il centro del Vangelo: “È inadeguata qualsiasi concezione teologica che metta in dubbio la misericordia di Dio” (311).

Nuovo paradigma etico. Secondo altri c’è un cambio di paradigma a livello etico, perché si mette in rilievo che è l’uomo soggetto della morale e non delle leggi. A questo riguardo c’è una sorprendente espressione di Papa Francesco: “È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una orma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano” (n. 304). Le leggi sono importanti ma sono indicative e orientative, perché sono la persona e la coppia chiamate a scegliere ciò che le fa crescere. Qui risuona l’innovativa espressione di Gesù: “Il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27). 2) Il valore della coscienza. Il Papa si rifà al Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes 16) e anche a una dichiarazione del comitato misto cattolico protestante dove si legge: “Non è nel potere della Chiesa sostituirsi nella pratica alla decisione ultima delle coscienze che rimangono sempre l’istanza suprema quando si tratta di un coinvolgimento etico”.  Al n. 37 il Papa infatti afferma: “Stentiamo a dare spazio alla coscienza dei fedeli. Siamo chiamati a formare le coscienze non a pretendere di sostituirle”. E qui, a parere di molti teologi moralisti (cfr. Antonio Autiero) il Papa abbraccia la concezione di Bernardo di Chiaravalle di fronte a quella di Abelardo. Seguendo il pensiero di San Bernardo e di S. Tommaso, attribuisce alla coscienza una funzione ermeneutica, cioè quella che si pone come il ponte tra le esigenze del Vangelo e la situazione concreta. La coscienza non è tanto applicativa delle leggi quanto interpretativa delle leggi stesse. Se c’è un’interpretazione di convenienza c’è il soggettivismo, se c’è un’interpretazione per il bene della persona e della coppia si parla di soggettività etica e creativa. Guardare sì l’ideale, ma non esservi schiavi.

Tre aperture di Papa Francesco. È veroche Papa Giovanni Paolo II ha affermato: “I divorziati… non si considerino separati dalla Chiesa, potendo anzi dovendo, in quanto battezzati partecipare alla sua vita” (Familiaris Consortium 84). È vero che essi fanno parte della Chiesa e non sono solo oggetto di attenzione, ma anche soggetto di partecipazione in vari ambiti e settori. Essi riconoscono il disgelo che è avvenuto in questi anni, ma riscontrano ancora il freddo che li circonda. Se l’Eucarestia è il centro della fede e della vita cristiana, come possono vivere la loro fede senza la forza che scaturisce da essa? Sì, è vero che essi possono accostarsi all’Eucarestia se non hanno rapporti sessuali, è una soluzione detta come “vivere come da fratello e sorella”. È stata usata da Papa Woytila, ma non è presente nella “Familiaris consortio” dove c’è invece la parola continenza. Antropologicamente è un disastro. È snaturare il matrimonio che è segnato da due elementi: l’amicizia e la sessualità. Dopo c’è stato il silenzio. Dal 1981 al 2016 nessuno è più andato avanti a riflettere e a interrogare la Parola di Dio su questo spinoso e umanissimo problema. Questo è avvenuto nel Sinodo della famiglia e nella esortazione “Amoris Lætitia” dove si sono incontrate tre grandi aperture.

  1. Una norma generale o una legge generale non può rispondere a tutti i problemi particolari (304). La legge generale o le norme generali racchiudono valori da non trascurare e con cui confrontarsi, ma ciascuna persona deve essere capace di usare il discernimento pratico davanti alla sua situazione particolare. E qui viene valorizzata la coscienza: “E i pastori non devono sostituirsi alle coscienze, ma risvegliarle” (n. 37). Coscienza non vuol dire fare ciò che si vuole, ma discernere ciò che giova al bene delle persone e della coppia. C’è un intreccio tra il generale e il particolare. Prima, per paura che il particolare, cioè la scelta personale, portasse al soggettivismo o al relativismo, si obbligava tutti alla norma generale, ma sacrificando le persone e soprattutto annullando doni e vissuti originali delle singole coppie.
  2.  “Il tempo è superiore allo spazio” (EG; AL 3). Nella AL si passa dall’idea di stato (situazione fissa) all’idea di processo, di cammino; la coppia ha un suo processo, una mescolanza di peccati e di grazia. La Chiesa deve occuparsi più che di “stato”, di “processi”. Accompagnare le coppie in questi processi per illuminare, capire, discernere. Non più spazi immobili, idealità fisse, ma accompagnare i processi. Il vescovo di Orano (Algeria) Jean Paul Vesco, commentando questa Esortazione sostiene: “Dopo Amoris Lætitia nessun parroco può dire: “Non ci posso far niente” di fronte a situazioni di divorziati risposati. Questo cambia le cose. Il cambiamento è che ogni parroco è responsabilizzato nell’entrare in cammino, il che non garantisce a nessuno diritti di Comunione, di Riconciliazione, ma non li esclude più per nessuno”. Mentre ancora per la Familiaris Consortio la logica oggettiva era una logica insuperabile, con Papa Francescola strada della Chiesa è sempre quella di Gesù, della misericordia e dell’integrazione. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno” (n. 296).
  3.  L’indissolubilità non è più vista come un giogo, ma come dono (n. 62). In queste due immagini possiamo individuare due concezioni diverse dell’indissolubilità. Nei primi secoli (fino al IV secolo) l’indissolubilità era vista come dono, come ideale etico verso cui tendere, nei secoli successivi l’indissolubilità è stata compresa come giogo, catena che lega per sempre due sposi. La prima è una concezione squisitamente teologica, la seconda è giuridica. La prima prevede che non sempre si possa arrivare alla meta a causa del peccato, ma il peccato ammette il perdono e l’assoluzione. La seconda, invece, una volta infranta l’indissolubilità non c’è più spazio per il perdono. Coloro che non sono riusciti a vivere nell’indissolubilità sono tutti peccatori e con quelli che danno vita a un secondo matrimonio sono in uno ‘stato definitivo di peccato’. Il Papa vuole ritornare alla prassi e alla disciplina della Chiesa dei primi secoli e dice: “Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo” (n. 297).

Tre verbi guidano questi cammini: accompagnare, discernere, integrare.

  1. Accompagnare. Papa Francesco ha detto ai vescovi austriaci, ma anche in altre occasioni: “Accompagnate, accompagnate (intervista di Spadaro al Card. Christoph Shonborn). È un verbo molto presente in tutta l’Esortazione (cfr. 300). Accompagnare è camminare insieme alla pari, senza pretendere di avere la verità ma disponibili a cercarla insieme. È l’espressione di una solidarietà che sostiene nelle difficoltà e nelle oscurità e che spinge a sperare dentro la propria fragilità e le proprie ferite. È mettersi accanto senza giudicare. Dovrebbe essere pure il costante atteggiamento della Chiesa nei riguardi del mondo e dell’uomo. Il mondo non è tanto un “oggetto” da ammaestrare, è anche un soggetto da cui imparare. Nella Costituzione Conciliare “La Chiesa nel mondo contemporaneo” si dice: “La Chiesa va al mondo per dare e per imparare” (Gaudium et Spes). Questo atteggiamento dovrebbe attuarsi nell’accompagnamento delle coppie che vivono in situazioni di fragilità e di imperfezione (293-296).
  2. Discernere. Il discernimento è la parola più presente nell’Amoris Lætitia: è citata 50 volte. Il discernimento è anzitutto la spinta a risvegliare le coscienze. “Stentiamo a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possono al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (37). Il Papa sostiene che vi possono essere circostanze che sminuiscono o annullano la responsabilità delle persone e non si può più parlare di una categoria astratta di persone e rinchiuderle in una unica regola: “Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione” (308). E tuttavia, quando ciò accade, “poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e questo è il modo peggiore di annacquare il Vangelo” (311). Il discernimento “salva” la misericordia e la fa brillare. Papa Francesco vede nel discernimento il modo di dare un impulso ad un cristianesimo adulto (Evangelii Gaudium: 23). Discernere significa ascoltare la voce dello Spirito e confrontarsi con la storia e con le sue esigenze e sfide, soprattutto con quelle che riguardano le singole persone. Il discernimento implica interrogarsi su ciò che è buono e che non è buono, in riferimento alla persona in tutte le sue dimensioni, soprattutto quella spirituale. Chiaramente il discernimento implica il seguire la propria coscienza con coraggio, e “questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che conviene, che mi piace” (Angelus 3 giugno 2013). La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità. È la strada che mi aiuta a discernere a comprendere la strada che devo percorrere. “Il discernimento deve aiutare a trovare le strade personali di risposta a Dio. Credendo che tutto sia bianco o nero a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita.” (305). E Papa Francesco ci ricorda: “Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare difficoltà” (304).
  3. Integrare: è il momento dell’inserimento delle coppie “ferite” nella vita ecclesiale. L’inserimento, a mio modo di pensare, non concerne primariamente l’accesso all’Eucarestia, ma riguarda il lento e progressivo cammino della comunione ecclesiale. Bisogna ridare spessore al primato del tempo sullo spazio. Questo primato brilla già in Evangelii Gaudium e viene ripreso in Amoris Lætitia: la comunione non è un fatto puntuale statico, è in continua e dinamica evoluzione. Non ci deve essere l’ossessione della uniformità di pensiero e di vita, ma il saper accettare l’evolversi e il crescere della comunione che non sarà mai perfetta e piena. La pastorale non va vista come il rispetto di una “legge astratta e generale” ma come “luogo di elaborazione e di apprendimento della comunione”. La riscoperta del valore del tempo mette in atto un dinamismo che va oltre lo “spazio ben definito”: mette in gioco non solo le coscienze, ma le forme del reciproco ascolto, della meditazione, della elaborazione della sofferenza. Si mettono in atto itinerari di nuova iniziazione alla comunione. Questi itinerari non mi sento di chiamarli penitenziali (anche se rispetto l’idea di molti amici che così li chiamano) perché molte coppie di divorziati vivono un amore di rispetto, di condivisione abitato da passione e da sentimenti, di cui non devono pentirsi, ma farli crescere dentro la comunità.

Si possono suggerire tre tappe

  1. 1.       Il discernimento con il presbitero per valutare la qualità della propria nuova relazione e la propria responsabilità del fallimento della precedente: “I divorziati risposati dovrebbero essere guidati a fare un esame di coscienza tramite momenti di riflessione e di verifica. Dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli. Se ci sono stati tentativi di riconciliazione com’è la situazione del partner abbandonato” (300). Aggiungiamo: se hanno avuto cura della relazione. “Il colloquio con il sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa” (300). Questo riferimento al foro interno, alla coscienza personale nel dialogo con il pastore costituisce una grande apertura. Questo fa sì che la via del foro interno del singolo apra implicitamente alla via del riconoscimento del nuovo legame e della sua piena comunione. Questo discernimento esige saggezza e umiltà da parte del presbitero nella ricerca sincera della volontà di Dio evitando favoritismi e superficiali valutazioni (cfr. 300).
  2. 2.       Inserire queste coppie nella vita della comunità cristiana. Ci sono vari modi di appartenenza alla Chiesa: l’ascolto della Parola di Dio, la partecipazione alla Messa, l’inserimento in qualche gruppo di sposi e di preghiera, dare incremento alle opere di carità, condividere iniziative a favore della giustizia. Vi sono molti ambiti in cui si può crescere nella fede e nella comunione ed esplicare la propria soggettività. Se queste coppie potranno inserirsi nei vari settori della vita comunitaria, e vivranno alla pari degli altri la condivisa responsabilità, l’accesso all’Eucarestia sarà l’approdo più naturale e atteso.
  3. 3.       La celebrazione festosa della comunità. Questa tappa non è contemplata nell’Esortazione, ma potrebbe indicare l’approdo nel futuro, perché è importante, secondo il mio sentire, che l’inserimento finale nella comunità, di cui l’Eucarestia è il segno massimo, non avvenga in modo clandestino, ma in maniera pubblicamente visibile. Avverrà così il riconoscimento che, per la grazia di Dio, c’è un bene nella seconda unione, nella seconda famiglia. La riconciliazione con la Chiesa, cioè, non dovrà essere un fatto privato dei due (foro interno), ma un evento comunitario (foro esterno) con una sua struttura e forma in modo che l’accoglienza sia piena e anche festosa. La Chiesa dovrà prendere atto che lo Spirito Santo trova la modalità di agire nel cuore di famiglie costruite con una seconda unione, e ci toccherà dire, come Pietro di fronte alla comunità che lo metteva a processo per aver dato il battesimo all’incirconciso Cornelio: “Chi ero io per porre impedimento a Dio? (At. 10,17). Conclusione aperta Il Papa riconosce, come precedentemente ricordato, che il discernimento delle situazioni può creare disagio e incertezza nei pastori, nelle guide spirituali e nelle comunità: “Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione (308)”, però Papa Francesco confida nella “gioia dell’amore”. L’amore sa trovare la via. È la bussola che ci indica la strada. Esso è il traguardo e il cammino stesso, perché Dio è l’amore e perché l’amore è da Dio. Niente è così esigente come l’amore. Esso non lo si può avere a buon mercato. Per questo nessuno deve temere che Papa Francesco ci inviti, con “ Amoris Lætitia, a un cammino troppo facile. Il cammino non è facile, ma è pieno di gioia!

Battista Borsato, sacerdote della diocesi di Vicenza, direttore dell’ufficio di Pastorale per il matrimonio e la famiglia e parroco, dottorato in teologia fondamentale e in teologia morale, insegnante presso l’Istituto teologico di Monte Berico.

Matrimonio in ascolto delle relazioni d’amore -n. 2/2018      pag. 19

https://rivista-matrimonio.org/images/filespdf/Articoli/Quali_novita_per_i_divorziati_risposati_in_AL.pdf

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CITTÀ DEL VATICANO

La tutela dei minori sia incorporata nella vita della Chiesa a livello mondiale

Si è conclusa ieri 15 settembre 2019 a Roma l’11ma Assemblea plenaria ordinaria, della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. Come nel passato, l’Assemblea ha dato l’inizio ai lavori con l’ascolto di una intensa esperienza di dolore, di trauma, di cura e di perdono, vissuta da un testimone del Brasile, che ha subìto abuso, clericale e familiare. I membri, presenti a Roma prima dell’inizio dei lavori dell’Assemblea Plenaria, hanno partecipato ad importanti incontri che hanno evidenziato come elemento chiave nel lavoro della Commissione, la costruzione di relazioni con i vari Dicasteri, Unioni e Uffici all’interno della Santa Sede, al fine di facilitare il lavoro a favore della tutela dei minori a tutti i livelli all’interno della Chiesa. Come riporta un comunicato al termine dei lavori della Commissione, c’è una necessità costante che la cultura e la missione a favore della protezione dei minori sia, e sia vista, incorporata sistematicamente nella vita della Chiesa a livello mondiale.

La Pontificia Commissione porta avanti i suoi sforzi all’interno di tre gruppi di lavoro:

  1. Dialogo con vittime e sopravvissuti,
  2. Educazione e formazione,
  3. Linee guida e norme per la promozione della tutela.

Il lavoro con le vittime e i sopravvissuti continua, attraverso una serie di strategie volte a sviluppare piattaforme attraverso le quali la Chiesa possa ascoltare le loro voci e integrarle all’interno della Sua vita e missione. I programmi pilota denominati “Survivors Advisory Panel” [Consiglio consultivo delle vittime sopravvissute] operano in tre continenti, con la futura attivazione di un altro in un quarto continente. Le Fazendas da Esperança [Famiglia della speranza] sono altresì utilizzate come fondamenta per tali Survivors Advisory Panels, così come veicoli di cura e riconciliazione per le vittime e i sopravvissuti.

I membri della Commissione continuano ad offrire formazione in diversi modi e luoghi del mondo, in risposta a richieste da parte di Conferenze Episcopali, singole diocesi, Istituti di vita consacrata, Società di vita apostolica, Movimenti Ecclesiali e Associazioni. La Pontificia Commissione sta anche preparando dei confronti tra esperti e conferenze di formazione ad alto livello.

Il lavoro sulle Linee guida e norme per la promozione della tutela dei minori (24 giugno 2019) ha condotto a diverse iniziative, tra le quali lo sviluppo e il costante perfezionamento di strumenti di verifica.

Linee-guida-per-la-tutela-dei-minori-e-delle-persone-vulnerabili.pdf

Inoltre, in linea con la recente legislazione, è stata data attenzione al significato emergente del concetto di adulto vulnerabile. Considerando questo particolare momento nella storia delle Chiese e il prossimo 30mo anniversario della Convenzione dei Diritti del Bambino, rinnoviamo il nostro fermo impegno per contribuire ad un mondo che sia sicuro per i minori e le persone vulnerabili.

Vatican news        16 settembre 2019

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-09/tutela-minori-incorporata-vita-chiesa.html

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Nuovo calo delle adozioni internazionali in Cile

Il Servizio Nazionale per i Minori del Cile (SENAME) che si occupa, tra gli altri compiti, di adozione nazionale e internazionale, ha appena pubblicato nella rubrica Anuarios Estadisticos de Sename il nuovo rapporto statistico annuale per il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2018.

www.commissioneadozioni.it/media/1645/anuario-estad%C3%ADstico-2018.pdf

Una lettura complessiva dei report statistici degli ultimi tre anni, consente di rilevare che i dati per le adozioni internazionali, come già riscontrato in altri paesi, sono in costante diminuzione. In termini assoluti, ciò significa che si è passati da 121 adozioni nel 2015 a 41 adozioni internazionali nel 2017, o in termini relativi dal 20% al 9,6% rispetto al totale dei minori dati in adozione in Cile. L’età media dei minori che hanno intrapreso il percorso dell’adozione internazionale è di circa otto anni (dati 2016-2017). Il trend si riconferma anche per le analisi del 2018 che vedono il 90% delle adozioni svolgersi sul territorio nazionale (n = 333) mentre solo il restante 10% (n= 37) viene riservato all’adozione internazionale.

Principalmente si tratta di coppie italiane, che rappresentano il 64,9% del totale dei casi di coppie straniere. Per quanto riguarda la fascia di età dei bambini adottati, si può vedere che il 70% dei richiedenti nazionali ha adottato bambini fino a tre anni (233 su 333 casi); mentre il 94,6% dei candidati stranieri ha adottato bambini di età superiore ai tre anni (35 casi su 37).

L’Italia rimane il primo paese per numero di azioni internazionali effettuate, grazie anche al buon lavoro che negli anni gli Enti autorizzati hanno saputo svolgere e alla proficua collaborazione tra le rispettive Autorità Centrali.

Comunicato stampa         16 settembre 2019

www.commissioneadozioni.it/notizie/nuovo-calo-delle-adozioni-internazionali-in-cile

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Fra Marco Vianelli, OFM, direttore dell’Ufficio Famiglia

Dal 1 ottobre 2019, fra Marco Vianelli, dei Frati Minori dell’Umbria, parroco di Santa Maria degli Angeli in Assisi, mediatore familiare e giudice presso il Tribunale Ecclesiastico Umbro, è il nuovo direttore per cinque anni dell’Ufficio Famiglia della Conferenza Episcopale Italiana.

Nato a Venezia nel 1966, ha conseguito la licenza in diritto canonico e dal 2005 è giudice presso il Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro (TERU).

Mediatore Familiare, collabora con don Carlo Rocchetta, alla Casa della Tenerezza, per la pastorale dei separati e divorziati e con don Renzo Bonetti per la pastorale di preparazione alla vita nuziale. È membro dell’ufficio diocesano di Pastorale familiare. Dal 2012 è parroco di Santa Maria degli Angeli.

Dopo 10 anni di direzione dell’Ufficio, don Paolo Gentili tornerà alla sua Chiesa di Grosseto.

https://agensir.it/quotidiano/2019/9/26/consiglio-permanente-comunicato-finale-nomine-di-nuovi-membri-di-commissioni-episcopali-e-responsabili-di-uffici-nazionali-cei

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Bologna. Dal Sogno al Progetto

Un workshop dedicato al contatto, alla valorizzazione ed alla realizzazione dei nostri sogni come sorgente di cambiamento ed evoluzione individuale, di coppia e di gruppo. Per chi desidera sviluppare dei sogni da concretizzare individualmente, in coppia o in gruppo.

Sabato 12 ottobre 2019 h. 9-18, domenica 13 ottobre 2019 h. 9-13.

Il modulo è condotto da Massimo Giorgini nel ramo formativo “Gruppi e Comunità” e fa parte del percorso formazione integrata alle relazioni, organizzato dal Servizio di Consulenza per la Vita Familiare per il 2019. La partecipazione è aperta a tutti, anche a chi non ha partecipato ai Moduli precedenti.

I sogni ed i desideri costituiscono un ingrediente fondamentale per l’energia, l’entusiasmo e la motivazione che portano nella nostra vita individuale, di coppia, in quella dei gruppi e delle comunità. Tuttavia trasformare i sogni che ci appassionano in progetti concreti non è facile e purtroppo tanti desideri rimangono soltanto belle potenzialità inespresse.

 La capacità di sognare e di immaginare qualcosa di nuovo è solo la prima fase di un processo creativo che richiede attenzione, disciplina, flessibilità, cura delle relazioni, fantasia, determinazione.

Fortunatamente oggi abbiamo a disposizione diverse conoscenze e metodi che ci possono aiutare durante questo processo creativo, individualmente, in coppia, in gruppo.

Innalzare la consapevolezza nelle varie fasi del percorso “dal sogno al progetto” ci consente di utilizzare al meglio le nostre potenzialità e di renderci conto di quali sono gli ostacoli che ci impediscono di realizzare ciò che abbiamo immaginato.

Inoltre, per le coppie e per i gruppi portare avanti dei progetti condivisi può essere una fonte di benessere che rafforza la coesione, la sintonia, l’empatia, l’armonia.

Obiettivi

  • Conoscere ed attuare l’approccio Testa, Cuore, Mani.
  • Curare le varie fasi del processo dal sogno alla realizzazione del progetto: Visione, Progettazione, Azione e Celebrazione (metodo Dragon Dreaming)

[www.fiorigialli.it/dossier/view/9_un-altro-mondo-possibile/2007_cosa-e-il-dragon-dreaming].

  • Mantenere un equilibrio dinamico tra obiettivi e relazioni, visione e azione.
  • Riconoscere ed integrare i bisogni individuali ed il progetto collettivo.
  • Fare attenzione alla sostenibilità del progetto in relazione ai contesti sociali, economici, ecologici.

Programma

  • Il sogno, i bisogni, la Visione”. Preparare il terreno del progetto creando uno spazio per il sogno individuale e collettivo, per i bisogni personali e per la Visione del gruppo.
  • Progettare ed entrare in azione”. Riflettere insieme per costruire il progetto condiviso.
  • Definire i compiti e le funzioni da sviluppare. Fare i primi passi.
  • Il feedback e la celebrazione”.  Accogliere i feedback e celebrare i primi risultati del lavoro.
  • Apprendere dalle esperienze per migliorare il progetto passo dopo passo.

www.consultoriobologna.it/modulo-formativo-dal-sogno-al-progetto-2019

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DALLA NAVATA

XXV Domenica del tempo ordinario – Anno C – 22 settembre 2019

Amos          08, 04. Il Signore mi disse: “Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese,

Salmo                   112, 07. Solleva dalla polvere il debole, dall’2mmondizia rialza il povero.

1 Timòteo  02, 03 . Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.

Luca           16, 10. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti.

 

Quanta vita avremo lasciato dietro di noi?

La sorpresa: il padrone loda chi l’ha derubato. Il resto è storia di tutti i giorni e di tutti i luoghi, di furbi disonesti è pieno il mondo. Quanto devi al mio padrone? Cento? Prendi la ricevuta e scrivi cinquanta. La truffa continua, eppure sta accadendo qualcosa che cambia il colore del denaro, ne rovescia il significato: l’amministratore trasforma i beni materiali in strumento di amicizia, regala pane, olio – vita – ai debitori.

      Il benessere di solito chiude le case, tira su muri, inserisce allarmi, sbarra porte; ora invece il dono le apre: mi accoglieranno in casa loro. E il padrone lo loda. Non per la disonestà, ma per il capovolgimento: il denaro messo a servizio dell’amicizia. Ci sono famiglie che riceveranno cinquanta inattesi barili d’olio, venti insperate misure di farina… e il padrone vede la loro gioia, vede porte che si spalancano, e ne è contento.

È bello questo padrone, non un ricco ma un signore, per il quale le persone contano più dell’olio e del grano. Gesù condensa la parabola in un detto finale: “Fatevi degli amici con la ricchezza”, la più umana delle soluzioni, la più consolante. Fatevi degli amici donando ciò che potete e più di ciò che potete, ciò che è giusto e perfino ciò che non lo è! Non c’è comandamento più umano. Affinché questi amici vi accolgano nella casa del cielo.

Essi apriranno le braccia, non Dio. Come se il cielo fosse casa loro, come se fossero loro a detenere le chiavi del paradiso. Come se ogni cosa fatta sulla terra degli uomini avesse la sua prosecuzione nel cielo di Dio. Perché io, amministratore poco onesto, che ho sprecato così tanti doni di Dio, dovrei essere accolto nella casa del cielo? Perché lo sguardo di Dio cerca in me non la zizzania ma la spiga di buon grano. Perché non guarderà a me, ma attorno a me: ai poveri aiutati, ai debitori perdonati, agli amici custoditi.

Perché la domanda decisiva dell’ultimo giorno non sarà: vediamo quanto pulite sono le tue mani, o se la tua vita è stata senza macchie; ma sarà dettata da un altro cuore: hai lasciato dietro di te più vita di prima? Mi piace tanto questo Signore al quale la felicità dei figli importa più della loro fedeltà; che accoglierà me, fedele solo nel poco e solo di tanto in tanto, proprio con le braccia degli amici, di coloro cui avrò dato un po’ di pane, un sorriso, una rosa. Siate fedeli nel poco.

Questa fedeltà nelle piccole cose è possibile a tutti, è l’insurrezione degli onesti, a partire da se stessi, dal mio lavoro, dai miei acquisti… Chi vince davvero, qui nel gioco della vita e poi nel gioco dell’eternità? Chi ha creato relazioni buone e non ricchezze, chi ha fatto di tutto ciò che possedeva un sacramento di comunione.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.cercoiltuovolto.it/vangelo-della-domenica/commento-al-vangelo-del-22-settembre-2019-p-ermes-ronchi

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DETENUTI                                 estratto

Riflessioni a margine delle prime applicazioni del D.lgs. 123/2018 in materia di affettività e sessualità

Con 60.254 detenuti presenti nelle carceri, la tutela dei diritti dei detenuti torna quanto mai un tema attualissimo: mancanza di spazio, inadeguati standard igienico-sanitari, insufficienti attività trattamentali, mancanza di risorse e di personale, sono tutti elementi che riportano alla mente la situazione di sovraffollamento endemico all’alba delle sentenze Sulejmanovic e Torreggiani.

In tale quadro, la tutela dell’affettività e la promozione di iniziative e campagne di sensibilizzazione rivestono un ruolo cruciale: dal legame con l’esterno e dalla costruzione di relazioni condivise passano necessariamente il recupero dell’individuo e la salvaguardia del benessere della società.

Dai diritti “ristretti” agli affetti “negati“. L’affettività è un termine molto ampio, a cui è possibile ricollegare numerose questioni: dalla genitorialità, al legame con i figli, alla presenza di bambini in carcere, al rapporto con il partner, all’accesso di terze persone, ai colloqui visivi, alle telefonate, ai permessi, ecc., tutti elementi associati alle relazioni, alla vicinanza e alle dinamiche con l’altro. L’opposto della carcerazione, che, di per sé, porta all’isolamento e alla alienazione del sé, di un sé passato, verso un’immagine nuova e necessariamente diversa, avulsa dalla società

Il carcere, in realtà, è un micro-cosmo fatto di relazioni, spesso fisiologiche, altre volte patologiche. Il sentimento di alienazione rispetto ad un contesto chiuso, totalizzante, così rigido permea la persona, sin dal primo suo ingresso. Un senso di profonda solitudine, accompagnato da confusione verso un mondo nuovo: la spoliazione del sé precedente, verso l’assunzione di un ruolo diverso, in dinamiche e ruoli già prestabiliti. Nella primissima fase, infatti, tanto è lo smarrimento che la preoccupazione di non poter vivere la propria intimità passa in secondo piano. Si diventa, quindi, “asessuati”, nell’estremo affanno di comprendere le ragioni della propria detenzione, la ricerca di un equilibrio con il proprio corpo, con i compagni di cella, la disperazione nel reperire i contatti dei propri familiari, le attese per le autorizzazioni, il primo colloquio con l’avvocato, l’infinita burocrazia, che attanaglia anche il più piccolo dei gesti … il tutto associato, nella mente, dal rumore martellante delle chiavi e dell’aprirsi e chiudersi dei blindati.

La relazione con l’altro e la famiglia, in questo senso l’altro “qualificato”, diviene la premessa essenziale per impostare un ragionamento costituzionalmente fondato sulla pena: un’esecuzione della pena costruita sulle dinamiche di relazione, solidale e umana.

[Sul punto, Gaetano Silvestri, in L’individuazione dei diritti della persona, Relazione al XXXII Convegno dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale “Prof. G.D. Pisapia”, intitolato “Diritti della persona e nuove sfide del processo penale”, che si è tenuto a Salerno dal 25 al 27 ottobre 2018, per cui:

La dignità umana, in quanto premessa dei diritti fondamentali, non è un diritto fondamentale a sé stante, ma sintesi di tutti i princìpi e diritti fondamentali costituzionalmente tutelati. Essa non è bilanciabile, in quanto è essa stessa la bilancia sulla quale disporre i beni costituzionalmente tutelati, che subiscono compressioni, e corrispondenti aumenti, entro i limiti di tutela della dignità, che nasce piena in ogni individuo e non si acquista per meriti e non si perde per demeriti. I diritti dei detenuti, ad esempio, non sono soltanto la concretizzazione e lo sviluppo del principio formulato nell’art. 27, terzo comma, Cost. ma sono, proprio in quanto collegati alla conservazione della dignità della persona, diritti inviolabili, non con-cessioni umanitarie”]

Solidarietà ed umanità sono i principi primi per una pena dignitosa: ecco, quindi, che l’affettività associata a valori come umanità e solidarietà acquista una rilevanza imprescindibile nelle dinamiche di relazione (specie se non di tipo orizzontale, ma tra Stato e cittadino)

[Così, del resto si è espresso Nicolò Amato, Direttore dell’Amministrazione penitenziaria, negli anni ’90, per cui: “Qualunque afflizione in più toglie agli uomini reclusi la dignità, la speranza, la stessa umanità, dunque, non castiga il delitto da essi commesso a favore di chi lo ha subito, ma è un delitto contro di essi che non avvantaggia nessuno”, in La formazione sui diritti dell’uomo. La dignità della persona al centro della legalità, Atti delle iniziative per la celebrazione del 50° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo]

Il tema, inoltre, è tornato nuovamente all’attenzione, tenuto conto il numero di suicidi in continuo aumento e il tasso di sovraffollamento carcerario (al 31 luglio del corrente anno, i detenuti presenti erano 60.254 per una capienza regolamentare di 50.480 unità; con 67 suicidi, nel corso del 2018, 30, ad agosto 2019). Con ciò non significa certo che si sta rinvenendo una diretta correlazione tra il sovraffollamento carcerario, il numero dei suicidi, e la tematica dell’affettività: è più verosimile affermare che, l’aumento esponenziale delle persone recluse, a fronte dalla esiguità di risorse umane e di possibilità di percorsi extramurari, renda più afflittiva la pena, sia per la mancanza di spazio fisico, per costruire relazioni condivise e non patologiche, sia per l’inadeguatezza di strumenti amministrativi e normativi, che siano idonei ad alleviare tale stato di sofferenza, predisponendo canali di contatto e di vicinanza con l’esterno, e, in particolar modo, con la famiglia, gli affetti “non ristretti”(e, tuttavia, parimenti vittima della dimensione “bilaterale” della pena).

[Finalità, queste, che potrebbero essere perseguite ricorrendo, anche in ambito penitenziario, alla cd. mediazione familiare, da intendersi quale processo collaborativo di risoluzione di un conflitto, che assume certamente forme peculiari tra le mura del carcere ed al di fuori di esse, in cui le famiglie sono sostenute da un terzo imparziale (il mediatore) nel processo di ripresa della comunicazione e dell’elaborazione di nuovi assetti di vita.]

Il carcere, in realtà, è un micro-cosmo fatto di relazioni, spesso fisiologiche, altre volte patologiche. Il sentimento di alienazione rispetto ad un contesto chiuso, totalizzante, così rigido permea la persona, sin dal primo suo ingresso. Un senso di profonda solitudine, accompagnato da confusione verso un mondo nuovo: la spoliazione del sé precedente, verso l’assunzione di un ruolo diverso, in dinamiche e ruoli già prestabiliti. Nella primissima fase, infatti, tanto è lo smarrimento che la preoccupazione di non poter vivere la propria intimità passa in secondo piano. Si diventa, quindi, “asessuati”, nell’estremo affanno di comprendere le ragioni della propria detenzione, la ricerca di un equilibrio con il proprio corpo, con i compagni di cella, la disperazione nel reperire i contatti dei propri familiari, le attese per le autorizzazioni, il primo colloquio con l’avvocato, l’infinita burocrazia, che attanaglia anche il più piccolo dei gesti … il tutto associato, nella mente, dal rumore martellante delle chiavi e dell’aprirsi e chiudersi dei blindati.

1.Dai diritti “ristretti” agli affetti “negati”. –

2.La micro-riforma: il D.lgs. n. 123/2018. –

2.1.Da Strasburgo al MdS di Spoleto: prima applicazione degli artt.  1 e 14 O.P.-

2.2.Il tabù della sessualità e sull’identità sessuale

Lucilla Amerio e Veronica Manca            Giurisprudenza Penale, 2019, 9 – 2 Settembre 2019

www.giurisprudenzapenale.com/2019/09/02/forma-attiva-passiva-del-verbo-amare-riflessioni-margine-delle-prime-applicazioni-del-d-lgs-n-123-2018-materia-affettivita-sessualita

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Obblighi dei nipoti verso i nonni

Dopo aver scoperto [newsUCIPEM n. 771] quali sono i doveri dei nonni verso i nipoti non ti resta che conoscere gli obblighi dei nipoti verso i nonni. Quando spetta aiutarli e in che misura? Cosa può fare un nonno solo e con una pensione al di sotto del minimo per costringere il nipote ingrato a sostenerlo e fargli la spesa, pagargli le medicine e un affitto?

La legge, in questo, è davvero scarna: l’intervento obbligatorio nei confronti delle persone anziane è rimesso allo Stato sociale, mentre la famiglia interviene solo in via eventuale ossia laddove anche gli strumenti di assistenza e previdenza sociale predisposti dalla legge dovessero risultare insufficienti a sfamare la persona bisognosa. In particolare gli obblighi dei nipoti verso i nonni scattano solo in due occasioni.

La prima norma che viene in soccorso dei nonni senza reddito o con una pensione molto bassa è l’articolo 433 del codice civile. La disposizione parla dell’obbligo agli alimenti cui sono soggetti tutti i familiari secondo un ordine cronologico dettato in base alla prossimità con il bisognoso. Gli alimenti sono costituiti da una prestazione economica, parametrata in base alle possibilità di chi è tenuto a versarli, volta a soddisfare solo le esigenze di sopravvivenza del destinatario. Si differenziano dal “mantenimento” (ad esempio quello che versa l’ex coniuge dopo la separazione) che mira invece a soddisfare tutte le esigenze di vita del mantenuto, anche quelle non strettamente necessarie alla sopravvivenza. Al contrario gli alimenti mirano a garantire solo il sostentamento e sono quindi una somma nettamente inferiore al mantenimento.

Chi deve versare gli alimenti? Il primo soggetto tenuto a garantire gli alimenti è il coniuge del beneficiario. Se quest’ultimo è deceduto o anch’esso versa in condizioni di bisogno, l’obbligo degli alimenti ricade sui figli (anche adottivi) e, solo in mancanza di questi ultimi, il dovere scatta in capo ai nipoti.

Dunque, se il nonno è ancora sposato e/o ha figli e uno qualsiasi di tali soggetti ha la capacità economica di provvedere a versargli gli alimenti, i nipoti non sono tenuti a farlo.

Marco ha un nonno molto povero, la cui pensione è di 300 euro e che spesso non riesce a mangiare. Di recente si è ammalato ma non ha i soldi per acquistare le medicine. Marco si chiede se il nonno potrebbe fargli causa per ottenere i soldi visto che i suoi genitori – figli del nonno povero – non vi vogliono provvedere per eccessivo egoismo. La risposta è negativa: se vi è un parente più stretto rispetto ai nipoti per provvedere al versamento degli alimenti nei confronti del nonno è quest’ultimo che vi deve provvedere. E se non vuole farlo spontaneamente, il richiedente dovrà fargli causa ma non per questo può pretendere gli alimenti dai nipoti.

Se anche il nonno fosse nelle condizioni per chiedere ai propri nipoti i soldi necessari alla propria sopravvivenza, non può farlo oltre i limiti di reddito di questi ultimi. Quindi dovrà innanzitutto formulare la domanda nei confronti di tutti i nipoti e non solo di uno. Poi, nei confronti di ciascuno di questi, potrà chiedere solo la somma che è in grado di pagare, tenendo conto della possibilità di agire anche contro gli altri.

Obblighi dei nipote donatario. Avviene spesso che un nonno regali al nipote, nel corso della propria vita, una casa, un’auto, una sostanziosa somma di denaro o altri beni di rilevante valore. La legge sulle donazioni impone al donatario di prestare gli alimenti al donante fino a ché questi è in vita. In particolare, l’articolo 437 del codice civile stabilisce che “il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro obbligato, a prestare gli alimenti al donante, a meno che si tratti di donazione fatta in riguardo di un matrimonio o di una donazione rimuneratoria”.

Il che significa che, anche in virtù di tale disposizione, il nipote ha un obbligo nei confronti del nonno; detto obbligo scatta automaticamente nel momento stesso in cui il nonno versa in stato di necessità e a prescindere dal fatto che vi siano parenti a quest’ultimo più vicini. Difatti il dovere di versare gli alimenti, in tale ipotesi, consegue alla donazione e non al grado di parentela.

Un altro caso emblematico è quello della donazione della casa (o della semplice nuda proprietà) dietro obbligo, da parte del nipote, di provvedere alle esigenze del nonno finché questo campi. È ciò che viene definito “contratto di rendita vitalizia”. [www.laleggepertutti.it/180958_casa-dietro-vitalizio].

A volte questa cessione avviene senza neanche la riserva di usufrutto: viene cioè trasferita la proprietà piena dell’immobile in cambio dell’assistenza all’anziano. La rendita vitalizia non è una donazione (anche se tale può sembrare), ma una sorta di baratto, o meglio una vendita. In altre parole, la controprestazione non è costituita dal denaro ma dall’impegno a provvedere alle cure morali e materiali del nonno. La violazione di tale dovere può comportare la restituzione della casa al nonno o, in caso di suo decesso, agli altri eredi.

La legge per tutti        17 settembre 2019

www.laleggepertutti.it/302283_obblighi-dei-nipoti-verso-i-nonni

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FERTILITÀ

In Italia un problema per il 15% delle coppie. Il decalogo per proteggerla

Più di 78 mila coppie nei centri Procreazione medicalmente assistita-PMA nel 2017 per avere un bambino. I consigli dell’Istituto Superiore di Sanità-ISS in occasione della Giornata nazionale dedicata alla fertilità, il 22 settembre 2019.

Non trascurare le infezioni, tenere sotto controllo il peso, fare sport, evitare fumo e droghe. Sono alcuni consigli per proteggere la fertilità contenuti nel decalogo curato dagli esperti del Registro nazionale procreazione assistita dell’Istituto superiore di Sanità, in occasione della Giornata nazionale della fertilità, in calendario domenica 22 settembre. Secondo la definizione dell’Organizzazione mondiale della Sanità “l’infertilità è una patologia che si manifesta con assenza di concepimento dopo 12/24 mesi di rapporti mirati non protetti. Si stima che in Italia le coppie che soffrono di infertilità sono il 15%”, si legge in una nota dell’Iss.

Tra coloro che in Italia hanno fatto ricorso a tecniche di procreazione assistita, secondo i dati del Registro, risulta che nel 2017 più di 78mila coppie infertili si sono rivolte a centri di Pma per avere un bambino. Nel 41% dei casi con una diagnosi di infertilità femminile, nel 23,6% a causa di un’infertilità maschile, nel 18,9% per un’infertilità sia maschile che femminile. Mentre per il restante 16,6% delle coppie la causa dell’infertilità è rimasta inspiegata.

Dieci consigli per preservare il bene prezioso della fertilità

  1. 1.       La fertilità va mantenuta con cura.
  2. 2.       Non trascurare mai una banale infezione, può portare a conseguenze irreversibili per la tua fertilità.
  3. 3.       Un eccesso o forte diminuzione del peso corporeo possono compromettere la fertilità: mantieni il tuo peso con una alimentazione corretta.
  4. 4.       Nel programmare una gravidanza considera che dopo i 30 anni per la donna e dopo i 40 per l’uomo peggiora la qualità genetica di ovociti e spermatozoi.
  5. 5.       Proteggiti dalle malattie sessualmente trasmissibili. Molte di loro, non curate, possono compromettere la fertilità.
  6. 6.       Se fai molto sport e vuoi sviluppare la tua massa muscolare, fallo solo allenandoti. Gli anabolizzanti assunti per aumentare velocemente la massa muscolare possono danneggiare per sempre la fertilità.
  7. 7.       Fumare tabacco, oltre ad aumentare il rischio di avere durante la vita una patologia al cuore o ai polmoni, riduce la fertilità. Non iniziare a fumare oppure rivolgiti ad un centro antifumo e fatti aiutare a smettere.
  8. 8.       L’uso anche saltuario di alcune droghe può interferire con la normale produzione di ormoni e nuocere alla fertilità.
  9. 9.       Fai sempre ogni giorno almeno trenta minuti di attività fisica all’aria aperta: migliora il tono dell’umore, la secrezione ormonale e mantiene il tuo peso in equilibrio.
  10. 10.   Per essere sicuro/sicura che tutto sia “in ordine” non aspettare, fai un controllo in un consultorio o da uno specialista.

www.iss.it/?p=4324

La Repubblica on-line                  21 settembre 2019

www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2019/09/21/news/giornata_nazionale_della_fertilita_il_decaogo_per_proteggerla-236577008

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Audizione presso l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza

In audizione il 17 luglio 2019 presso l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza-AGIA in rappresentanza del Forum, l’ing. Massimo Orselli ha ribadito quanto sia inestimabile il valore sociale e relazionale delle famiglie affidatarie.

Premessa Il Forum Nazionale delle Associazioni Familiari, per l’audizione promossa dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza per mercoledì 17 luglio 2019, prende spunto principalmente dall’esperienza vissuta in questi anni dalle associazioni che, all’interno del Forum, si occupano di accoglienza nelle forme dell’adozione e dell’affido familiare, tali associazioni sono: Associazione Famiglie per l’Accoglienza, Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini, Azione per Famiglie Nuove, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Progetto Famiglia.

Inoltre il Forum non può non avere come orizzonte tutto il lavoro fatto in questi ultimi anni e le richieste portate alle diverse istituzioni competenti e i progetti avviati, a diversi livelli, sulle problematiche che interessano la vita della famiglia e, quindi, dei bambini e degli adolescenti. Il contributo per l’audizione segue, per praticità espositiva, le tematiche ritenute necessarie di approfondimento da parte dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, che prendono spunto, secondo quanto comunicato dall’Autorità Garante dalle Osservazioni conclusive che il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ha comunicato all’Italia, in particolare quanto riportato al paragrafo 24.

www.unicef.it/doc/8858/rese-note-le-raccomandazioni-onu-allitalia-luci-e-ombre-sui-diritti-dei-bambini.htm

Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

www.unicef.it/doc/610/comitato-onu-diritti-infanzia.htm

Forme di sostegno necessario alle famiglie.

Come indicato in premessa si ritiene che sia sempre più opportuno che vengano finalmente avviate tutte le azioni politiche, con relativi finanziamenti, perché la famiglia sia sostenuta in tutte le sue fasi, rispondendo ai bisogni reali dalle stesse, in quanto oggi è sempre più evidente che la famiglia è ciò che permette al nostro Paese di non sprofondare, non solo perché le famiglie si autosostengono e, se aiutate, possono contrastare il deserto demografico legato alla denatalità, ma anche perché sono in grado di mettersi a disposizione di quante tra loro sono in difficoltà e condividere i bisogni che incontrano. Solo a titolo di “promemoria” si vogliono ricordare due iniziative promosse dal Forum, la prima riguardante il “Patto per la natalità” e la seconda “Assegno X Figlio” per contribuire sul tema del bene comune, dell’equità e del sostegno alle famiglie anche con la proposta di modifica degli assegni familiari. Un altro elemento di fondamentale importanza è l’aiuto che deve essere dato alle famiglie a vivere fino in fondo la loro capacità di essere famiglia e di consentire ai propri figli di vivere nel loro ambiente normale e naturale, per questo occorre mettere in campo tutti gli strumenti per aiutare le famiglie a vivere la piena capacità genitoriale, magari con azioni di tipo educativo, da mettere in atto a diversi livelli. Un punto importante su questo aspetto assume, tenendo conto delle tante situazioni di famiglie di emigrati, l’avvio di reali politiche di integrazione a tuti i livelli, incominciando dalla scuola e dalle relazioni in diverse situazioni in cui le famiglie, e quindi i bambini e gli adolescenti, si trovano a vivere. Il sostegno alle famiglie, pertanto, si rende necessario per evitare che i bambini, a fronte di difficoltà e limiti della propria famiglia, siano allontanati dalle stesse famiglie, mentre tutti.

Riconoscono che, per un bambino, nulla può sostituire l’esperienza di crescere in una famiglia, in particolare nella propria. Formazione e individuazione delle famiglie affidatarie. Per iniziare a dare un contributo su questa seconda tematica sembra importante affermare il ruolo fondamentale, ma ovviamente non esclusivo, delle associazioni familiari, che hanno come loro scopo e azione il compito di aiutare le famiglie ad avvicinarsi all’esperienza dell’accoglienza per poi aiutarle nelle loro decisioni, e accompagnarle durante tutto il percorso dell’affido familiare.

 Tutto questo anche in applicazione di quanto previsto dalle Linee di indirizzo per l’affidamento familiare del 2013 che nella raccomandazione 116.1 (Azione/raccomandazione 1) prevede “La collaborazione tra i servizi pubblici e le associazioni e le reti familiari è formalizzata – ad esempio attraverso protocolli di intesa o forme di convenzione – per le attività di: “informazione, sensibilizzazione e promozione dell’affidamento familiare sul territorio; “confronto e formazione, finalizzate anche al mantenimento della motivazione all’affidamento familiare nelle famiglie; “accompagnamento e sostegno alle famiglie nell’esperienza dell’affidamento familiare.” Un ulteriore elemento che descrive l’informazione sull’affido, o meglio come una famiglia si può avvicinare all’esperienza dell’affido familiare, è quello che può essere definita come “osmosi”, cioè di fronte all’esperienza della famiglia affidataria un’altra famiglia si pone la domanda “Perché questa famiglia vive l’esperienza dell’affido? Quale convenienza ne trae?” Ed allora per una bellezza ed un positivo incontrati, senza nascondere le difficoltà, la famiglia si muove ed inizia a mettersi in gioco.

Pertanto un primo aspetto “formativo” è dato di consentire alle famiglie di incontrare un’esperienza che comunica le ragioni per cui è fatta e le azioni che in tale esperienza vengono messe in atto. Non manca ovviamente poi tutta una serie di strumenti che le associazioni, a diversi livelli e con diverse modalità secondo le loro specifiche originalità, sono in grado di promuovere attivando, con una certa periodicità corsi di informazione e formazione sull’esperienza dell’affido familiare, descrivendo le principali caratteristiche dell’affido in tutti i suoi aspetti e indicando tutti i soggetti coinvolti nell’esperienza dell’affido familiare (servizi sociali, Tribunale per i Minorenni, associazioni, famiglia di origine e famiglia affidataria). In tante occasioni questi percorsi vengono avviati insieme tra le associazioni e, molto spesso, in piena collaborazione con i servizi sociali del territorio e, in alcune realtà, con il coinvolgimento del Tribunale per i Minorenni. Un altro momento di comunicazione è dato da interventi che le famiglie con esperienza di affido sono chiamati a fare in diverse situazioni in cui soggetti diversi vogliono promuovere l’esperienza dell’accoglienza in generale e dell’affido familiare in particolare.

Proprio per far conoscere ad una realtà più ampia la bellezza dell’accoglienza e l’utilità dell’esperienza dell’affido familiare, il Forum delle Associazioni Familiari, lo scorso anno ha avviato il progetto #dònàti con un evento nazionale svoltosi il 25 aprile 2018 e tanti altri eventi che ci sono stati in 15 regioni dal mese di gennaio 2019, con l’impegno di sviluppare il progetto anche nei prossimi 2 anni. La proposta del progetto #dònàti è stata rivolta alle altre associazioni aderenti al Forum, che non sono direttamente coinvolte nell’esperienza dell’accoglienza, ad altre grandi realtà associative e a tutte le famiglie desiderose di conoscere l’esperienza dell’affido e dell’adozione.

 Nel percorso di conoscenza dell’affido familiare le famiglie, accompagnate dalle associazioni, iniziano a verificare la loro disponibilità e, in una amicizia e in una compagnia, le famiglie disponibili vengono poi accompagnate ai servizi, che hanno il compito di valutarne l’idoneità ed, eventualmente, individuare per ogni singola famiglia un progetto di affido per il bambino che ne ha bisogno. Rapporto tra famiglie affidatarie, servizi sociali, comunità e Tribunale per i minorenni. Partendo da quanto indicato all’art. 1 della legge 184/83 “Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” e qualora questo viene giudicato che non stia accadendo, la legge prevede che “Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un’altra famiglia al fine di assicurargli il mantenimento, l’educazione e l’istruzione”, ma questo richiede un percorso e un coinvolgimento sinergico di tuti i soggetti coinvolti nell’esperienza dell’affido familiare: i servizi sociali, la famiglia affidataria e di origine, le associazioni e il sistema giudiziario in particolare con il Tribunale per i Minorenni.

Ognuno ha il suo compito e la sua responsabilità, ma nessuno può fare a meno degli altri, per consentire al bambino un’esperienza di crescita positiva, per poter poi ritornare nella sua famiglia di origine, che deve essere aiutata a fare tutto il suo necessario percorso di crescita. Nelle nostre esperienze associative tali relazioni sono sempre cercate e condotte con la massima precisione e responsabilità, come anche richiesto dalle Linee di indirizzo per l’affidamento familiare del 2013, per cui le associazioni familiari collaborano con l’Ente Pubblico su “un preciso spazio di collaborazione tra questo, le reti e le associazioni familiari: gruppi di famiglie volontarie aggregate, caratterizzati dalla spinta all’accoglienza di un bambino in difficoltà e al sostegno della famiglia che possono essere strutturate in varie forme.

La conservazione del rapporto del minorenne con la famiglia di origine e ruolo della famiglia affidataria. Per poter dare il proprio contributo su questo aspetto sembra necessario fare una premessa importante che parte da una difficoltà che si vede spesso nell’esperienza dell’affido familiare, la definizione del “progetto” che, se necessario, può essere adeguato al modificarsi e all’evolversi della situazione. Su questo aspetto così importante, ma così spesso disatteso, le Linee guida mettono particolare attenzione e dicono “Ogni affidamento familiare ha bisogno di un “Progetto Quadro”, che definisce la cornice complessiva nella quale si inseriscono l’affidamento familiare, ma anche la precedente scelta relativa all’allontanamento e tutti gli altri interventi a favore del bambino e della sua famiglia e che è comprensivo del “Progetto di Affidamento familiare”, che descrive quali siano gli obiettivi, le azioni, i tempi, gli impegni di ognuno all’interno dello specifico percorso di affidamento familiare.”

Come veniva accennato l’esperienza delle nostre realtà associative e delle famiglie rileva che, raramente, quanto previsto dalle linee guida, viene attuato e quando accade viene riscontrata una forte disomogenietà sull’impostazione e sul contenuto del “progetto”. Tutto questo conferma la necessità di percorsi comuni e condivisi tra i servizi nei diversi ambiti territoriali. Sembra importante che il servizio che, qualora sia stato predisposto, il progetto venga condiviso con la famiglia e con l’eventuale associazione di riferimento.

Da questa premessa fatta su il “progetto”, ne deriva come impostare e attivare il rapporto del minore con la sua famiglia di origine e, in questo rapporto, quale ruolo può svolgere la famiglia affidataria. Per le nostre realtà associative, e le nostre famiglie, tali relazioni sono indispensabili proprio per la natura dell’esperienza dell’affido familiare, consentendo al bambino di fare un’esperienza positiva pur in un momento difficile, e alla sua famiglia di fare un percorso perché possa recuperare le sue capacità genitoriali e vivere tutte le potenzialità in suo possesso, magari non vissute pienamente con l’adeguata coscienza. È proprio per questo che le nostre realtà parlano dell’esperienza dell’affido, vivendola, come un bene per il bambino, ma anche per le due famiglie, quella di origine e quella affidataria. Il reinserimento del minorenne nella famiglia di origine.

 Per tutto quanto detto nello sviluppo delle precedenti tematiche, è evidente che l’auspicato ritorno del bambino nella propria famiglia di origine è fortemente dipendente dalle azioni e dalle risorse che tutti i “soggetti implicati” nell’affido, e in precedenza indicati e descritti, riescono a svolgere, nell’interesse primario del minore. Diventa pertanto fondamentale il lavoro di recupero che i servizi, in modo particolare, riescono a fare con la famiglia di origine e dai risultati ottenuti. Purtroppo dobbiamo, su questo aspetto, riscontrare diverse difficoltà, che non sembra dipendere sostanzialmente dagli operatori, ma da una serie di circostanze e fattori che non favoriscono il recupero necessario. Per il ritorno del bambino nella sua famiglia di origine diventa poi decisivo il lavoro sul bambino e con il bambino, sia da parte dei servizi che della famiglia affidataria. Cosa si ritiene più urgente fare per migliorare il sistema di tutela dell’infanzia sia a livello normativo sia a livello di destinazione/ottimizzazione delle risorse.

 Sono diversi gli aspetti che possono essere migliorati per il pieno funzionamento dell’intero sistema di tutela dei minori. Occorre ricordare che le norme sull’affido, nate con lo scopo di evitare che i bambini, di fronte a difficoltà e limiti della propria famiglia di origine, dovessero vivere in un istituto, nella consapevolezza che nulla può sostituire la crescita in famiglia di un minore, ma la priorità del bambino di essere accolto in una famiglia rischia troppo spesso di essere trascurata a causa dell’emergenza degli interventi, o della scarsità e la precarietà delle risorse, sia economiche che di personale, o dei tempi non rispettati, definiti dagli eventuali progetti di affido. Anche su questi aspetti il sistema potrebbe essere migliorato. Sicuramente le legge 184/83 è perfettibile, ma nel suo complesso, se interamente e correttamente applicata sarebbe un ottimo punto di ri-partenza.

Altri aspetti che ci sembra urgente mettere a tema e a sistema sono: ” La piena applicazione delle linee guida nazionali che, come più volte citate in questo contributo, contengono già molte indicazioni importanti che, se venissero effettivamente applicate, migliorerebbero molto le prassi dell’affido familiare. ” La verifica dell’attuazione delle linee guida nazionali a livello territoriale, con l’approvazione delle linee guida regionali e successiva attuazione, tenendo conto che l’affido familiare ricade nelle competenze delle Regioni. ” La nomina del difensore dei minori, come previsto dalla vigente normativa, fin dall’inizio dei procedimenti. ” L’avvio in tutte le regioni di azioni comuni che favoriscano l’esperienza dell’affido familiare senza più discriminazioni tra le diverse regioni e all’interno delle stesse, come purtroppo sta ancora accadendo oggi, sia nella prassi sia nel rapporto tra istituzioni e famiglie, come ad esempio per quanto riguarda il contributo alle famiglie affidatarie, oggi non sempre corrisposto in modo omogeneo nelle diverse regioni, come invece indicato nella raccomandazione 114.2 delle linee guida nazionali. ” Il pieno riconoscimento del ruolo delle associazioni familiari, come un soggetto che sostiene le famiglie e collabora con gli altri soggetti in tutto il percorso dell’affido familiare. “

La piena integrazione, nell’esperienza dell’affido familiare, di politiche comuni di interesse sociale e sanitario nei confronti dei bambini, a differenza di quello che accade oggi. ” L’indicazione a tutte le Regioni per favorire l’istituzione di tavoli regionali sull’affido familiare con la partecipazione di tutti i soggetti interessati” L’istituzione di una Banca dati sui minori fuori famiglia e sulla loro “collocazione” e sui tempi di permanenza nelle varie situazioni. ” La verifica dei percorsi formativi degli operatori sociali affinché venga in essi adeguatamente proposto e valorizzata lo strumento dell’affido familiare.

 Proprio per migliorare il sistema di tutela sembra opportuno segnalare l’importanza della famiglia che sostiene l’esperienza della “Casa Famiglia” indicata già dal Forum nel 2015 come “un presidio di solidarietà sociale condotto da una famiglia costituita da due persone adulte, uomo e donna coniugati, con o senza figli, che pongono stabile dimora nella Casa Famiglia. In essa lo svolgimento della funzione genitoriale prevalente è a carico della coppia, benché possano essere previsti supporti di tipo educativo anche in base al numero e alla tipologia degli accolti.” Proprio per il ruolo che anche la Casa Famiglia ha nell’ambito della tutela dei minori, è necessario avviare il suo riconoscimento giuridico, anche con la possibilità di casa famiglia multiutenza, per favorire l’avvio di un processo di omogeneità, su tutto il territorio nazionale, attraverso le Regioni, con la definizione di tutti gli aspetti normativi e prestazionali.

Il Forum Nazionale delle Associazioni Familiari rimane a disposizione non solo per contribuire ad una positiva narrazione dell’affido, ma anche per continuare a portare contributi e proposte al fine di migliorare la legge 184/83 e le sue modifiche perché l’istituto dell’affido possa essere un vero strumento di tutela e di prevenzione dell’abbandono per i bambini e di sostegno alle famiglie in difficoltà.

Ing. Massimo Orselli (Membro del direttivo nazionale del Forum delle Associazioni Familiari)

11 settembre 2019

www.forumfamiglie.org/2019/09/11/audizione-presso-lautorita-garante-per-linfanzia-e-ladolescenza


Riforme fiscali. La Flat tax? Meglio aiutare le famiglie (con figli)

Detrazioni, Quoziente, Fattore o assegni. Se l’emergenza è il crollo demografico la politica deve porsi nuove priorità. Ne ha scritto su Avvenire il professor Matteo Rizzolli, docente di Economia presso l’Università LUMSA di Roma e esperto del Forum in politiche fiscali.

La proposta di riforma fiscale avanzata dalla Lega alla prova dell’equità “orizzontale”. La riforma del sistema fiscale incombe. Le direttrici indicate dalla maggioranza di governo sono due. La prima, la vera priorità dell’esecutivo soprattutto dopo le elezioni europee, è quella di sostituire l’attuale Irpef ad aliquote progressive con una Flat tax, una forma di tassazione piatta. La seconda e meno prioritaria direttrice concerne la possibilità di potenziare le politiche familiari. La necessità di rendere il fisco italiano più a misura di famiglia è sotto gli occhi di tutti, considerato il rapido declino demografico in atto nel nostro Paese. E sono solo le famiglie che stanno bene, e che guardano con fiducia al futuro, che possono tornare a fare figli.

Ma Flat tax e politiche familiari sono conciliabili? L’attuale Irpef rispetta il principio di equità verticale, secondo cui la signora Rossi, che ha un reddito maggiore del signor Bianchi, paga una tassa proporzionalmente più alta. Rispetta solo limitatamente il principio di equità orizzontale, secondo cui il signor Verdi che ha lo stesso reddito ma un carico familiare maggiore rispetto alla signora Neri paga una tassa più bassa. Questo perché, sì, sono previste delle detrazioni per i figli e familiari a carico nonché un sistema limitato di assegni familiari ma, al crescere del reddito, questi vantaggi fiscali tendono ad azzerarsi e anche per i redditi bassi sono insufficienti. Come ci ricorda l’Istat, infatti, l’arrivo del terzo figlio rende le famiglie più vulnerabili al rischio di povertà e di esclusione sociale.

Ma torniamo alle priorità del Governo. Una Flat tax pura prevede che tutti i contribuenti paghino la stessa aliquota e sebbene in una prima fase il Governo stia valutando di applicare la Flat tax solo ai redditi inferiori ai 55mila euro – mantenendo di fatto una tassazione progressiva – l’obiettivo di lungo periodo rimane quello di avere un’aliquota unica per tutti i redditi. La Flat tax non rispetta quindi il principio di equità verticale – la signora Rossi e il signor Bianchi pagano le stesse tasse anche se hanno redditi diversi – e neppure quello di equità orizzontale – il signor Verdi e la signora Neri pagano uguale benché abbiano carichi familiari diversi.

C’è un modo per rendere la Flat tax orizzontalmente equa? In realtà ce ne sono diversi. Il primo modo è quello di mantenere e potenziare le detrazioni attualmente in vigore: una volta calcolato l’imponibile e applicata la nuova aliquota piatta, si potrebbe abbattere l’imposta effettiva con le detrazioni oggi previste. Queste ammontano a 950 euro all’anno per ogni figlio a carico e aumentano leggermente se il figlio è minore di 3 anni, se è portatore di handicap e se i figli sono più di tre. Dell’importo cosi calcolato si può però effettivamente detrarre solo una certa proporzione che si annulla se il reddito arriva a 95mila euro più 15mila euro per ogni figlio dopo il primo. È un meccanismo abbastanza complesso che se venisse mantenuto inalterato in combinazione con la Flat tax, finirebbe con il reintrodurre una disparità paradossale tra single senza figli anche se ricchi, ai quali si applicherebbe una tassa piatta, e famiglie con figli della classe media alle quali si applicherebbe una tassazione progressiva. Un vero pasticcio.

Esiste poi la via ‘francese’ del quoziente familiare, che è del tutto compatibile con la Flat tax. L’idea è quella di applicare l’aliquota piatta al nucleo familiare dividendo l’imponibile totale per un quoziente che aumenta all’aumentare dei carichi familiari. Ogni figlio e familiare a carico di fatto abbatte l’aliquota media pagata dai percettori di reddito del nucleo. Un’altra strada passa dal Fattore Famiglia promosso per anni dal Forum delle associazioni familiari. Come dovrebbe funzionare? Nel sistema Irpef vigente coloro che hanno redditi da lavoro dipendente inferiori a 8.000 euro non pagano nessuna imposta. Si parla in questo caso di una ‘no-tax area’. Simili detrazioni esistono per autonomi e pensionati. Questa no-tax area è uguale per tutti e quindi prescinde dal carico familiare. Se invece si utilizzasse il numero di figli e familiari a carico per determinare l’ampiezza di questa detrazione si otterrebbe un sistema fiscale che di fatto ha due aliquote: la prima pari a zero e si applica ad una porzione di reddito che è via via più alta al crescere dei carichi familiari e la seconda è pari all’aliquota della Flat-tax e si applica alla parte rimanente del reddito.

Un ulteriore modo per rendere la Flat tax orizzontalmente equa è quello di riformare radicalmente il sistema degli assegni familiari che oggi esistono nel nostro ordinamento, ma sono degli strumenti molto limitati sia in termini di platea che per gli importi.

Il Forum delle associazioni familiari ha da qualche mese lanciato una campagna per l’introduzione di un assegno universale del valore di almeno 150 euro per ciascun figlio fino al ventiseiesimo anno di età se studente, che affianchi il meccanismo delle detrazioni già esistente. Altre proposte puntano a sostituire tutte le misure attuali quali le detrazioni per figli a carico, i bonus bebè, i bonus asilo nido e altre misure ancora con un assegno unico e indipendente dal reddito. Questo assegno ha due vantaggi: da una parte viene recepito anche dai nuclei familiari particolarmente poveri per i quali i meccanismi precedentemente illustrati non sono in grado di incidere, e dall’altro mantiene il principio di equità orizzontale anche per la famiglie con redditi elevati. Attorno alla proposta del Forum oggi sembra potersi coalizzare un ampio consenso politico, sia nei partiti di maggioranza sia in quelli di opposizione, anche se per ora questo consenso non si è ancora misurato con la prova dei fatti.

Detrazioni, quoziente, fattore famiglia o assegni familiari sono approcci diversi per arrivare allo stesso fine: rendere più equo il nostro sistema fiscale per le famiglie e le future generazioni. La vera differenza non la farà la scelta di quale tecnica utilizzare, ma piuttosto le risorse che il Governo ci vorrà mettere. E qui veniamo alla nota dolente. Se ad esempio si introducesse un assegno unico di 250 euro fino alla maggiore età e fino ai 26 anni per chi frequenta l’università, questo costerebbe circa 18 miliardi di euro: 35miliardi per i nuovi assegni meno 17 miliardi di tutte le misure che andrebbero sostituite. Ma la questione ci pare un’altra. Si consideri che il famoso Bonus 80 euro del 2014 costa circa 10 miliardi all’anno, il Reddito di cittadinanza a regime dovrebbe costare 9 miliardi all’anno e Quota 100 costerà 14 miliardi in tre anni.

Queste cifre ci danno l’idea che i Governi sono in grado di individuare le risorse sulle priorità della loro agenda politica e nulla ci sembra più prioritario che il promettere un avvenire demografico all’Italia. Già la trasformazione del Bonus 80 euro in assegni familiari permetterebbe di avvicinare di molto l’obiettivo. C erto, con il rigore di bilancio – che ci chiede non tanto l’Europa quanto la nostra discendenza, i nostri pochi figli sui quali graverà il nostro debito pubblico – gli spazi di manovra sono strettissimi. Sia la Flat tax sia le politiche familiari costano molto. La prima misura però diminuisce l’equità verticale del sistema fiscale mentre le seconde aumentano l’equità orizzontale dello stesso. Non abbiamo dubbi su quali dovrebbero essere le priorità di un sistema fiscale che permetta a questo Paese di guardare con serenità al futuro.

Matteo Rizzoli                  Avvenire         11 settembre 2019      

www.forumfamiglie.org/2019/09/11/riforme-fiscali-la-flat-tax-meglio-aiutare-le-famiglie-con-figli

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NASCITE

L’evento nascita in Italia: il rapporto Cedap 2016

È online il rapporto “Certificato di assistenza al parto (Cedap) Analisi dell’evento nascita – anno 2016”. Si tratta della più ampia e articolata fonte informativa sull’evento nascita disponibile a livello nazionale che raccoglie informazioni di carattere sanitario, epidemiologico e socio-demografico per ogni donna che partorisce nel Paese. La completezza del flusso Cedap è confermata dal confronto con i parti registrati dalle Schede di dimissione ospedaliera (Sdo) e dai nati vivi registrati dalle anagrafi comunali. Anche grazie al costante miglioramento della qualità dei dati raccolti, il Cedap è uno strumento essenziale per la programmazione sanitaria a livello nazionale e regionale.  

Il calo delle nascite nel Paese, legato alla modifica della struttura per età della popolazione femminile, alla diminuita propensione ad avere figli e alla diminuzione della fecondità delle cittadine straniere, continua anche nel 2016. Il tasso di natalità varia da 6,3 nati per mille in Liguria a 10,4 nella Provincia Autonoma di Bolzano rispetto a una media nazionale di 7,8 per mille. Nel 2016 il numero medio di figli per donna scende a 1,34 rispetto a 1,46 del 2010, confermando l’andamento decrescente della fecondità.

Il tasso nazionale di tagli cesarei (TC) nel 2016 è pari al 33,7%, con ampia variabilità tra Regioni (20% in Valle D’Aosta e il 56% in Campania). In confronto al 38% di TC registrato nel 2008, la riduzione attuale di 4 punti percentuali appare troppo contenuta rispetto all’atteso.

Dal 2013 il rapporto Cedap presenta i cesarei distinti in base alla classificazione di Robson che permette di suddividere in classi omogenee di rischio clinico le donne che effettuano un TC. Questa classificazione, raccomandata dall’Oms come standard globale, fornisce ai decisori e ai clinici informazioni affidabili per rilevare, monitorare nel tempo e valutare l’appropriatezza del ricorso al TC a livello locale, regionale e nazionale. Nel 2016, i parti classificabili secondo la classificazione di Robson sono stati complessivamente 450.400 (97% del totale). Dall’analisi dei dati emerge un’ampia variabilità regionale per tutte le classi di Robson. La 1° e la 3° classe, responsabili complessivamente del 54,2% dei TC, sono quelle maggiormente rappresentate e, pur comprendendo le donne teoricamente a minor rischio di cesareo, presentano anch’esse una forte variabilità tra Regioni. Gli interventi per il contenimento dei TC entro gli standard raccomandati per queste classi di Robson sono stati validati in numerosi punti nascita virtuosi del Paese; disponiamo quindi di ampi spazi di potenziale miglioramento che, anche attraverso auspicabili operazioni di benchmarking [confronto sistematico], possono promuovere una riduzione significativa dei TC inappropriati con l’obiettivo di garantire migliori esiti di salute per le madri e i neonati.

Alcuni numeri del rapporto. Alcuni dati sulle madri:

  • Il 21% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana, percentuale più elevata al Centro-Nord (oltre il 25%) e in particolare in Emilia-Romagna e Lombardia (32%). Africa e Unione europea sono le aree geografiche di provenienza più rappresentate (rispettivamente 25,9% e 25,4%), seguite da Asia (18,6%) e Sud America (7,6%),
  • L’età media della madre al momento del parto è 32,8 anni per le italiane e 30,2 anni per le cittadine straniere; l’età media al primo figlio è superiore a 31 anni per le donne italiane e 28,3 anni per le straniere,
  • Il 55,3% delle madri ha un’occupazione lavorativa e il 13,3% è disoccupata o in cerca di prima occupazione. Le casalinghe rappresentano il 29,3% delle italiane e il 51,7% delle straniere.
  • Alcuni dati sulla gravidanza:
  • Si è ricorso a una tecnica di procreazione medicalmente assistita in 1,93 gravidanze ogni 100
  • Durante la gravidanza l’85,3% delle donne si è sottoposta a più di quattro visite ostetriche e il 74,6% a più di 3 ecografie contro le 2 raccomandate dalla linea guida “gravidanza fisiologica” del Sul-Iss
  • La percentuale di italiane che ha effettuato la prima visita oltre il primo trimestre di gravidanza è pari al 2,5%, percentuale che sale al 11,2% nelle donne straniere e all’11,7%; inoltre, sia la bassa età che la bassa scolarità risultano associate a una prima visita tardiva: la percentuale di prime visite tardive è dell’11,7% per le donne con bassa scolarità (contro il 2,6% di chi ha scolarità alta) e del 13,8% per le madri con meno di 20 anni.

Alcuni dati sul luogo e le modalità del parto:

  • L’89,2% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici, il 10,4% in quelli privati accreditati e lo 0,1% nelle case di cura private
  • Il 63,9% dei parti è avvenuto in strutture dove vengono assistiti almeno 1.000 parti annui e il 5,8% in strutture che assistono meno di 500 parti annui
  • Nel 33,7% dei parti è stato eseguito il taglio cesareo, con ampia variabilità tra Regioni (range 20-56%) e tra punti nascita pubblici (31,7%) e case di cura accreditate (50,9%)
  • Il taglio cesareo è stato effettuato più frequentemente nelle donne con cittadinanza italiana rispetto alle donne straniere (rispettivamente 35,4% e 27,8%)

Alcuni dati sui neonati:

  • L’1% dei nati ha un peso inferiore a 1.500 grammi e il 6,4% compreso tra 1.500 e 2.500 grammi

Sono stati registrati 1.320 nati morti (corrispondenti a un tasso di natimortalità di 2,78 nati morti ogni 1000 nati) e 4.835 casi di malformazioni diagnosticate alla nascita.

Epicentro  Salute materno-infantile – News        19 settembre 2019

www.epicentro.iss.it/materno/dati-cedap-2016?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=19settembre2019

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VIOLENZA

Violenza sui minori in aumento, e senza prevenzione: allo Stato è già costata 13 miliardi

Cresce la violenza sui bambini, in un caso su cinque a essere maltrattati e uccisi sono neonati. Mancano monitoraggio e prevenzione. E i costi per lo Stato aumentano. (…) Vite, separate geograficamente, legate dal filo invisibile del maltrattamento e della violenza. In tutte e due i casi sono state accusate le madri. Come spesso accade, sono proprio i genitori ad abusare di minori inermi, arrivando poi a ucciderli.

Nel “Rapporto sugli omicidi in famiglia” realizzato dall’Istituto di ricerche economico-sociali (Eures), in Italia dal 2000 al 2018 473 bambini hanno perso la vita per mano dei genitori. Tutti avevano meno di un anno di età. In un’alta percentuale di casi, l’89,4%, ad assassinare bambini o neonati sono state le madri. Contro un 10,6% in cui a uccidere i figli sono stati invece i padri. E le vittime più numerose sono i neonati: un caso su cinque.

Risultati che devono fare riflettere sulla vita e il benessere delle donne. Fattori latenti, difficili da monitorare e sui cui quindi è più difficile fare attività di prevenzione, come l’isolamento, la solitudine, il senso di inadeguatezza, lo stress o forme di depressione post partum, si sommano a cause di natura sociale, economica e familiare, che svelano per il nostro Paese importanti differenze tra il Nord e il Sud. Così è stato anche per il 2018, ennesimo anno nero per i bambini, in base ai numeri forniti dall’Eures, che ha calcolato un aumento dei figlicidi pari all’31% rispetto all’anno precedente.

Aumentano i casi di maltrattamenti sui minori, la legislazione italiana non è né pervasiva né offre adeguati strumenti di prevenzione, ad esempio una banca dati nazionale per il monitoraggio delle violenze. A fornire altri numeri è la “Fondazione Terre des Hommes”, secondo la quale il quadro attuale è piuttosto allarmante. Solo tra il 2016 e il 2017, i casi di omicidio volontario consumato – le vittime avevano tutte meno di 18 anni – sono cresciuti del 5%. Mentre sono aumentati gli episodi di abbandono di minori o incapaci (+21%) o quelli di violenza sessuale (+18%). Cui si sommano i casi in cui i bambini maltrattati hanno assistito ad abusi intrafamiliari: un 19% – secondo le ultime stime dell’Istat – difficili da quantificare con esattezza e collegati al crescente fenomeno della violenza domestica.

A rimetterci sono i bambini, i più fragili, verso cui la legge italiana non è ancora abbastanza pervasiva né offre adeguati strumenti di prevenzione. A ribadirlo è l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza che, ricordando la raccomandazione del Comitato Onu rivolta all’Italia nel febbraio scorso, chiede allo Stato di provvedere a una serie d’interventi finalizzati alla prevenzione dei maltrattamenti sui minori.

Di fatto l’Italia, tenuta a rispettare la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è rimasta indietro. Ed è per questo che l’Autorità garante invita le istituzioni a muoversi per realizzare una chiara classificazione delle violenze, un sistema serio di monitoraggio dei casi di abuso, a puntare su un’adeguata formazione di insegnanti, assistenti sociali e personale sanitario. Per agire in tempo, è importante riconoscere quando un minore è esposto al rischio di subire violenza. Dall’ambito familiare alla scuola. Ambienti su cui pesa tanto l’omertà di parenti, amici, compagni di scuola.

Ma intanto la prevenzione resta incompiuta, messa ai margini, con costi sociali ed economici elevati. I servizi di protezione o cura delle vittime minori che hanno subìto maltrattamenti costano alle casse dello Stato oltre 13 miliardi di euro l’anno, pari quasi a un punto percentuale del Prodotto Interno Lordo (Pil). Una spesa che a guardare i dati sui maltrattamenti sembra destinato purtroppo a lievitare. Su questo aspetto insistono la Fondazione Terre des Hommes, il Coordinamento italiano servizio maltrattamento all’infanzia (Cismai) e l’Università Bocconi, che hanno condotto uno studio volto a far riflettere la politica sull’opportunità di nuovi e maggiori investimenti.

Il Premio Nobel dell’Economia, James Heckman, ha sempre ribadito quanto un solo dollaro investito nella prima infanzia a rischio è in grado di generare un risparmio futuro sei volte superiore. Ma al momento, in Parlamento resta solo una mozione presentata e approvata alla Camera dei deputati, in cui si prende atto della necessità e dell’urgenza di agire a difesa dei minori. Non di più.

Chiara Colangelo     linkiesta       19 settembre 2019

www.linkiesta.it/it/article/2019/09/19/maltrattamenti-minori-prevenzione-costi/43599

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