NewsUCIPEM n. 764 – 28 luglio 2019

NewsUCIPEM n. 764 – 28 luglio 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

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News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, 2019che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Sono così strutturate:

ü  Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

ü  Link diretti e link per download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.

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02 ADOZIONE INTERNAZIONALE              Sfiducia nell’adozione perché il Governo non investe

02 AFFIDI                                                           Divorzi troppo facili e figli vittime dei conflitti famigliari.

02 AFFIDO CONDIVISO                                 Il DDL Pillon, la competenza e la cittadinanza de panza

04 ASSOCIAZIONI-MOVIMENTI                                L’allontanamento d’urgenza dei minori dalla loro famiglia?

05                                                                          Avvocato del minore ottimo spunto di riflessione per tutti

05                                                                          Il Parlamento riconosca i diritti dei minori fuori famiglia

06                                                                          Come? Potere assoluto servizi sociali e affidamenti troppo lunghi

06                                                                           ONG straniere stanno trasformando la solidarietà in un prodotto

07                                                                           Perché un codice etico per le ONG non si può più rinviare

08 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 29, 24 luglio 2019

09 CENTRO ITALIANO di SESSUOLOGIA Festival della sessuologia

10 CHIESA CATTOLICA                                  I cristiani che fanno l’Italia

11                                                                          Un sistema che comporta sofferenza

13 CHIESE EVANGELICHE                            Un giorno una parola – commento a Matteo 9, 13

14 CONFERENZA EPISCOPALE ITAL.        Un cambio di passo per affido e adozione

14                                                                          Impegno contro gli abusi: formare, prevenire, cambiare la cultura

15 DALLA NAVATA                                         XVII Domenica del tempo ordinario – Anno C – 28 luglio 2019  

16                                                                          Padre Nostro, la preghiera che unisce terra e cielo                      

16 DIACONATO                                                               Diaconato femminile: una questione di statuto

20 DONNE NELLA CHIESA                            Chiesa in crisi con Maddalena

20                                                                          La teologia è prudente

21 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA       La prostituzione è una malattia dell’umanità

22 MATRIMONIO                                           Gesù non parla di famiglia, e nemmeno di matrimonio

24 PARLAMENTO                                            Senato. 2° Commissione Giustizia – Affido condiviso

24                                                                                                                                               Assegno divorzile

24 VIOLENZA                                                    La gelosia ossessiva è reato      

               

ADOZIONE INTERNAZIONALE

“Sfiducia nell’adozione internazionale perché il Governo non investe”

 “Adozioni in calo in Italia? C’è sfiducia nell’adozione internazionale, anche perché il Governo non investe e lascia sole le associazioni”. Lo ha detto il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini, intervenendo ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta” su Radio Cusano Campus, condotta da Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti.

“C’è sfiducia nell’adozione internazionale – ha spiegato il presidente Griffini – per come è stata bistrattata per molti anni dai governi. Anche il Governo attuale non sta facendo granché. Senza una spinta propulsiva a livello politico, se il governo non investe e non tiene rapporti con i Paesi esteri, è chiaro che lasciare noi povere associazioni sole solette fa sì che le famiglie che adottano siano molto poche. La migrazione dovrebbe essere una scelta, un diritto, non una necessità. Le adozioni internazionali servono anche a questo. Ci sono poi campagne fatte da multinazionali della solidarietà con delle modalità non consone a quelle delle associazioni italiane. Noi quando siamo nati venivamo coccolati dai media, non ho mai speso un euro in 35 anni di attività per comprare una campagna pubblicitaria”.

Dopo le polemiche dei giorni scorsi, Griffini è tornato sul tema delle “multinazionali della solidarietà”: “Quando sono arrivate queste multinazionali – ha spiegato – hanno iniziato a investire tanti soldi in pubblicità sui media. Le realtà italiane, non potendo e non volendo investire i soldi dei donatori in pubblicità, vengono penalizzate da ciò. Ci sono campagne in cui si tenta di far passare il sostegno a distanza come una lotta per arrivare alle adozioni delle omosessuali, mi chiedo cosa c’entrino le due cose. Stiamo cercando di ragionare se non sia necessario impostare un codice etico della raccolta fondi. La solidarietà non è un prodotto, non è un detersivo, altrimenti succede che chi investe più in pubblicità raccoglie più fondi, ma bisogna vedere come vengono spesi poi quei fondi. Bisognerebbe andare a vedere gli stipendi dei dirigenti di quelle multinazionali. Questa pornografia del dolore, utilizzando immagini di bambini moribondi e denutriti per portare a casa soldi, dovrebbe essere vietata”

AiBinews 25 luglio 2019

www.aibi.it/ita/griffini-ai-bi-a-radio-cusano-campus-sfiducia-nelladozione-internazionale-perche-il-governo-non-investe

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AFFIDI

Divorzi troppo facili e figli vittime dei conflitti familiari.

Danimarca. Il Parlamento fa un passo indietro. Introdotta una norma che prevede tre mesi obbligatori di riflessione per chi ha figli minorenni. I Paesi della Scandinavia e del freddo nord d’Europa sono sempre tra i più avanzati per le cosiddette libertà civili. Per questo sono considerati tra i più felici e progressisti. A volte, però, esiste un rovescio della medaglia. Un caso esemplificativo può, per esempio, essere quello della Danimarca, una delle nazioni appunto più felici e più… digitali del vecchio continente. Ma che ha anche uno dei più alti tassi di divorzio sul suolo europeo.

Colpa, anche, della sbrigatività delle pratiche: fino a poco tempo fa, quando i coniugi erano concordi, anche in presenza di figli, per rompere un matrimonio bastava compilare un modulo online al costo di 370 corone danesi e si poteva anche evitare di incontrare il futuro ex. Così facendo, nel 2018 si era arrivati a registrare ben 15mila divorzi, il 46,5% dei matrimoni contratti secondo Statistics Denmark!

            Una situazione in cui, a fare le spese di questa “liquidità” dei rapporti coniugali sono, come sempre accade, i bambini. Già, perché, in caso di divorzio, l’accordo sull’affidamento dei figli doveva essere preso in tempi rapidissimi, pochi giorni, con le conseguenti complicazioni. E allora, proprio per tutelare i minori dai conflitti famigliari, il parlamento danese ha deciso di fare un passo indietro. Con una legge introdotta nello scorso mese di aprile, per i genitori con figli minorenni sarà obbligatorio un “periodo di riflessione” di tre mesi.

“Vorremmo dare ai genitori un’opportunità per riflettere”, ha detto il ministro per i Bambini, Mai Mercado. Non solo, perché i genitori devono anche frequentare un corso online (o tramite app) prima che il divorzio possa diventare effettivo. Tra i moduli previsti quello sull’affidamento dei bambini. Che, in sempre più casi, è congiunto.

AiBinews 25 luglio 2019

www.aibi.it/ita/griffini-ai-bi-a-radio-cusano-campus-sfiducia-nelladozione-internazionale-perche-il-governo-non-investe

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AFFIDO CONDIVISO

Il DDL Pillon, la competenza e la cittadinanza de panza

         E alla fine tutto rimandato a settembre. In questo stillicidio che è diventato oramai il percorso istituzionale del DDL Pillon sull’affido condiviso, la prevista discussione alla Commissione Giustizia del Senato, che tanto ha messo in fibrillazione la comunità dell’associazionismo femminile, si terrà in autunno, e allora si ricomincerà con le barricate.

Perché il DDL Pillon sia un abominio per le donne e i bambini è già stato detto in lungo e in largo, in ogni modo, in ogni occasione e forma da ogni esperto/a impegnato/a su questo tema. Non aggiungeremo niente di più, se non rimandandovi ad alcuni dei contributi più precisi e puntuali che potete trovare qui

www.ingenere.it/articoli/perche-ddl-pillon-non-e-buona-idea

oppure qui    www.direcontrolaviolenza.it/perche-diciamo-no-al-disegno-di-legge-pillon

Di tutta questa vicenda, però, un aspetto che non è ancora stato messo nella dovuta evidenza riguarda

l’assoluto spregio del contributo che esperti/e, ricercatori/trici, operatori/trici del settore, attivi/e spesso da decenni in questo campo, hanno offerto per il DDL Pillon ai decisori politici in ogni sede, istituzionale e mediatica che hanno trovato.

Un contributo che è stato netto e inequivoco nel giudicare nel modo peggiore possibile questo DDL, al punto da non ritenerlo emendabile ma solo cestinabile. Ma tant’è, il percorso del DDL Pillon nei meandri parlamentari proseguirà imperterrito, magari un po’ rivisto e annacquato.

Non è la prima volta che il parere degli/delle esperti/e viene scacciato via come una mosca fastidiosa dalla spalla. Lo abbiamo già visto all’opera nell’approvazione del Codice Rosso, ma anche in molti altri settori, dalla questione no-vax fino al terrapiattismo e alle scie chimiche, tanto per citare le esperienze più pittoresche e paradossali.

Viene allora il lievissimo, ma proprio lievissimo dubbio, che questa nuova “moda” sia il combinato disposto di una buona dose di demagogia e di sensazionalismo che sdegna ogni rapporto con la realtà, accompagnato da una discreta dose di malafede, ideologia distorta, senza farci mancare le solite lobby di interessi, vedete voi in che dosi.

Ascoltare gli/le esperti/e significa infatti entrare in contatto con il mondo reale, mettere alla prova dei fatti le proprie idee ed opinioni, essere pronti a modificarle di fronte alla prova dell’evidenza empirica e dell’esperienza che, potrà anche condurre a qualche decisione sbagliata, ma, statisticamente, se un esperto/a ti dice che qualcosa non funziona, sai già che può solo finire male, molto male.

Questo tema del rifiuto del confronto con la realtà, che porta al disprezzo delle competenze, sembra esploso in quest’ultimo soffertissimo anno, ma è in realtà una tendenza culturale in atto da diverso tempo, e, purtroppo, è progressivamente crescente. Tra l’altro, non è farina del nostro sacco ma è il prodotto di una tendenza mondiale che vede gli USA come epicentro.

Un libro, “La conoscenza e i suoi nemici – l’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia” che sto leggendo adesso di un professore americano, Tom Nichols, ne traccia con chiarezza l’evoluzione e la genesi, partendo dal sistematico e strutturale indebolimento del sistema dell’istruzione americano che impedisce la formazione di una intelligenza critica nei cittadini/e, abbassa le soglie di protezione del raziocinio e porta dritti dritti verso una cittadinanza de panza e di rifiuto della realtà, con conseguente scempio del parere dei/delle competenti. Vi ricorda niente rispetto a quello che sta succedendo qui da noi?

Fosse solo una questione di prestigio degli/delle esperti/e, però, il discorso potrebbe fermarsi qui. Il problema è invece ben più grave. Vi è infatti un legame diretto tra il declino della competenza e del ruolo degli/delle esperti/e e il sistematico attacco al sistema democratico e soprattutto ai diritti delle donne e delle minoranze alle quali stiamo assistendo in questi mesi. Gli esperti/e rappresentano infatti il tramite per mettere in contatto il riconoscimento del reale con il riconoscimento dei diritti.

I diritti, tutti i diritti, di qualsiasi tipo, possono infatti affermarsi solo dopo essere passati attraverso il vaglio della realtà, superando gli stereotipi e le norme sociali imposti dal sistema patriarcale che ne impediscono la visione. L’esperto/a è infatti quello/a che, numeri alla mano, ti svela il reale oltre il simbolico e l’immaginario, e a quel punto il salto verso la verità e il diritto è un attimo.

Pensiamo ai diritti più recenti conquistati dalle donne:

  • Per riconoscere il diritto al voto delle donne è stato necessario prendere atto che il loro ruolo nella società e nell’economia era diventato tale da doverle rendere cittadine a pieno titolo,
  • Per riconoscere il diritto di aborto {non è un diritto, ma una scelta depenalizzata. Ndr} è stato necessario acquisire prima la consapevolezza che le donne abortivano in massa comunque e senza alcuna tutela sanitaria,
  • Per riconoscere il diritto al divorzio e alla separazione si è dovuti passare attraverso una lettura realistica del matrimonio, che in molti, troppi, casi non era quell’eden che l’agiografia tradizionale ci ha venduto per parecchio tempo.

Ma questo vale anche per tutti gli altri diritti:

  • Per arrivare ai diritti della comunità LGBT si è dovuto prima riconoscere che è una minoranza che, toh, davvero “esiste” nella nostra società e che viene sistematicamente discriminata,
  • Per riconoscere la cittadinanza ai ragazzi stranieri occorre prendere atto che sono pienamente italiani, inseriti nella nostra società, nelle nostre scuole e tifano per le nostre squadre.

E possiamo andare avanti così per tutti i diritti, fondamentali, storici o nuovi che ci vengono in mente. E quindi, sì, sappiatelo: ascoltare gli esperti/e, riconoscere le competenze di chi ne sa più di noi significa anche proteggere i diritti, tutelare quelli esistenti e aprire le braccia a quelli nuovi.

Sorprese, vero? Anche questo fa parte della #lungastradaperlaparità.

Giovanna Badalassi,  laureata a Genova in Economia e Commercio nel 1993, 23 luglio 2019

www.ladynomics.it/ddl-pillon-e-compenza

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ASSOCIAZIONI       MOVIMENTI

L’allontanamento d’urgenza dei minori dalla loro famiglia?

In un forum di Avvenire nel mirino l’articolo 403 del codice civile. Sembra assurdo ma tutto dipende da una norma scritta negli anni Quaranta.

Quando il minore si trova in una condizione di grave pericolo per la propria integrità fisica e psichica la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione (art.403 c.c.).

Quanti sono i bambini che rientrano in famiglia dopo un allontanamento? Chi ne tiene conto? Chi verifica le loro condizioni? Perché lasciare solo ai servizi sociali il potere di decidere degli interventi coatti di allontanamento in urgenza, come previsto dall’articolo 403 del Codice civile? Perché non imporre un tempo massimo per la convocazione della prima udienza di verifica dell’allontanamento? Nel penale, per esempio, un pubblico ministero ha 48 ore di tempo, mentre per i minori passano mesi.

            Le criticità dell’articolo 403 e del relativo strapotere dei servizi sociali sono state tra gli argomenti al centro di un dibattito sull’affido condotto, sulla scia dei fatti di Bibbiano, dai giornalisti di Avvenire. L’evento si è svolto nei giorni scorsi e lo hanno raccontato, sullo stesso quotidiano, Luciano Moia e Lucia Bellaspiga. Nel corso dell’incontro sono intervenuti diversi operatori e professionisti del settore.

www.avvenire.it/attualita/Pagine/bimbi-tolti-ai-genitori-ma-crudelt-o-tutela

            Professionisti e operatori che hanno, per l’appunto, messo nel mirino proprio l’articolo 403, che, per diversi relatori sarebbe da modificare. “La norma – ha spiegato il procuratore della Procura dei minorenni di Milano, Ciro Cascone – è del 1941 e non è mai stata modificata, varie proposte di riforma non hanno mai trovato le convergenze necessarie e alla fine tutto è rimasto ugual tps://www.avvenire.it/attualita/Pagine/affidi-illeciti-verifiche-e-sospetti e. Anche l’Associazione italiana dei magistrati minorili (AIMMF) ha presentato una proposta articolata per superare questo problema, ma siamo ancora fermi. Certo, ci sono situazioni che impongono all’autorità pubblica di intervenire in tempi rapidi per risolvere situazioni di emergenza e gli interventi non si possono rimandare: la legge non prescrive in quei casi di segnalare l’intervento alla Procura dei minorenni, così in alcuni casi avviene a Milano sempre in altri no”. Cascone ha aggiunto che per uniformare le procedure dei tribunali, con tempi certi, “occorre modificare la legge”.

“A me pare – ha detto invece l’avvocato di Reggio Emilia Patrizia Micà a proposito dei servizi sociali – che il loro potere sia fuori controllo. Un potere di fronte al quale le famiglie non hanno quasi possibilità di intervento. O meglio, la possibilità ci sarebbe, la querela di parte contro l’operato dei servizi stessi, ma per questo la famiglia deve pagare un avvocato, con costi e tempi tutt’altro che certi. Ricordo che non c’è un contraddittorio paritetico fin dall’inizio e questo mina alla base il diritto di difesa da parte della famiglia. Non si può rispondere ogni volta con una querela per falso e così i provvedimenti, anche quelli urgenti, sono in teoria provvisori ma diventano invece lunghissimi, anni e anni. Se nel diritto penale il pubblico ministero ha 48 ore per confermare il fermo, non si vede perché nel diritto minorile non si debba avere la stessa fretta: quando un errore riguardo a un bambino, la famiglia viene distrutta. Quindi possiamo dirlo: ci sono termini troppo discrezionali. Dobbiamo lavorare tutti insieme per modificarli”.

            Posizione praticamente identica per l’avvocato Rosanna Fanelli, di Bari, esponente del Movimento 15 maggio per i genitori separati: “L’articolo 403 del Codice civile va sicuramente modificato. Certo, la norma è assolutamente da cambiare. Quando un assistente sociale, o uno psicologo, stende una relazione e la manda a un giudice, quella diventa legge. E non c’è possibilità di cambiare le cose, se non a prezzo di sforzi terribili sul piano giudiziario e su quello economico. E intanto passano anni e le posizioni si consolidano”.

AiBinews 23 luglio 2019

www.aibi.it/ita/dopo-bibbiano-lallontanamento-durgenza-dei-minori-dalla-loro-famiglia-colpa-di-quel-maledetto-articolo-del-codice-civile

 

Il ministro della Famiglia Locatelli: “Avvocato del minore ottimo spunto di riflessione per tutti”

L’avvocato del minore, come ampiamente caldeggiato da Ai.Bi. – Amici dei Bambini e dal suo presidente, Marco Griffini, torna al centro del dibattito istituzionale. È infatti stata questa figura la protagonista della presentazione del protocollo d’intesa per azioni congiunte sulla tutela dei minori, intesi come soggetti di diritto, siglato dal vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini e dal ministro della Famiglia e della Disabilità, Alessandra Locatelli.

            “Il mio impegno – ha spiegato il ministro Locatelli – è quello di tutelare per prime le famiglie, i minori, i più fragili. Nel tentativo di fare questo ho fatto delle audizioni e ascoltato persone che hanno voce in capitolo sui temi che riguardano la tutela dei minori. (…) L’avvocato del minore è stato il fulcro dell’incontro con il CNF e con altre realtà che ci hanno ricordato quanto un bambino non sia solo oggetto di tutela ma anche oggetto di diritti, che possono essere tutelati da una terza persona che potrebbe essere una figura come quella dell’avvocato del minore, che si affianca a quella, che già esiste, del curatore e che possa veramente fare le parti del bambino e non le parti di chi litiga. È qualcosa che va approfondito, integrato e discusso, ma è un ottimo spunto di riflessione per tutti, per mettere al centro il bambino”.

            Tra le proposte arrivate al ministro Locatelli, che verranno riversate in un documento da consegnare al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede con un’ipotesi di riforma del sistema, sembra quindi che quella dell’avvocato del minore sia la più gettonata. Da notare che una mozione parlamentare in tal senso, sulla scia degli stimoli giunti da Ai.Bi. – Amici dei Bambini, era stata depositata nei giorni scorsi da Fratelli d’Italia, oltre a un Ddl dal contenuto similare sottoposto dalla senatrice Licia Ronzulli di Forza Italia.

“Finalmente – commenta il presidente di Ai.Bi., Marco Griffini – le istituzioni sembrano avere accolto il nostro appello. L’avvocato del minore è una figura fondamentale per garantire la tutela del bambino dal momento stesso in cui è soggetto a una qualsiasi forma di tutela istituzionale. Per garantirlo da possibili abusi da parte dei servizi sociali, certo, ma anche per tutelarlo con terzietà rispetto alla famiglia d’origine. Non bisogna infatti pensare solo al caso di Bibbiano. Il bambino, con l’avvocato del minore così configurato, diviene un soggetto a tutti gli effetti titolare di diritti propri, che valgono sempre. Questa è la nostra battaglia da anni, che abbiamo riproposto anche con la Carta dei Diritti degli Out of Family Children e non molleremo di un centimetro finché non avremo ottenuto il risultato”.

AiBinews 26 luglio 2019

www.aibi.it/ita/il-ministro-della-famiglia-locatelli-avvocato-del-minore-ottimo-spunto-di-riflessione-per-tutti

 

“Il Parlamento riconosca i diritti dei minori fuori famiglia”

Dopo i fatti di Bibbiano il presidente di Amici dei Bambini lancia la Carta degli OFC (Out of Family Children): “Minori assistiti per periodi prolungati in comunità o in affido a lungo termine mantengono il trauma dell’abbandono. Il loro diritto più importante è quello di non subire precariato affettivo”

“I minori che vengono assistiti per periodi prolungati in comunità o che vengono dati in affido a lungo termine mantengono intatto a livello psicologico il trauma dell’abbandono. Per questo con la nostra Carta dei diritti degli OFC (Out of Family Children) chiediamo che la politica e il Parlamento riconoscano i loro specifici diritti soggettivi. Tra cui il più importante è quello di essere sottratti al precariato affettivo”. A dichiararlo il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini.

            Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini è un’organizzazione non governativa costituita da un movimento di famiglie adottive e affidatarie, che da 35 anni è in prima linea in Italia e nel mondo per contrastare l’abbandono minorile. Una condizione che riguarda circa 168 milioni di bambini nel mondo. La Carta dei diritti degli OFC (Out of Family Children), in otto punti vuole far sì che i diritti dei bambini che vivono fuori dalla famiglia vengano messi al centro dell’agenda politica.

Ma chi sono gli OFC? “Si tratta – spiega Griffini – di tutti i ‘bambini fuori famiglia’: non solo quelli senza genitori, gli orfani, ma anche quelli istituzionalizzati o affidati a tempo indeterminato: privati per sempre del calore di un nucleo famigliare. Si tratta anche di quella categoria di minori che, in Italia, è balzata agli onori delle cronache per i tristi fatti di Bibbiano”.

Da qui l’urgenza di definire una Carta degli OFC che identifichi 8 fondamentali diritti innegabili ad ogni minore senza distinzione:

  1. diritto di essere accolto in una famiglia costituita da un padre e da una madre;
  2. diritto alla partecipazione e all’ascolto;
  3. diritto ad una chiara e universale definizione dello stato di abbandono;
  4. diritto alla nomina di un avvocato fin dall’ingresso nella categoria degli OFC;
  5.  diritto ad essere accompagnato da una equipe psico-socio-giuridica;
  6. diritto ad essere sostenuto da un’associazione che abbia come precisa finalità la tutela dei diritti dell’infanzia;
  7. diritto di rimanere nella condizione di OFC solo temporaneamente;
  8. diritto al risarcimento del danno quando il diritto ad una famiglia viene violato.

AiBinews 25 luglio 2019

www.aibi.it/ita/marco-griffini-ai-bi-il-parlamento-riconosca-i-diritti-dei-minori-fuori-famiglia

 

Parla l’esperto: “Come è stato possibile? Potere assoluto servizi sociali e affidamenti troppo lunghi”

Emergono nuovamente le necessità di una tutela legale dei minori in regime di protezione istituzionale e di una modifica dell’articolo 403 del Codice Civile.

“L’inchiesta di Bibbiano è ormai diventata un caso politico. Lega e Cinque stelle hanno proposto di istituire una Commissione di inchiesta (…) In questo flusso continuo di notizie, che spesso non ci permettono di distinguere le opinioni dai fatti, nessuno si è posto la domanda chiave: al di là delle responsabilità penali che saranno accertate dalla magistratura, come è stato possibile che nessuno controllasse l’iter degli affidamenti?”. Se lo chiede su Repubblica l’avvocato Alessandro Simeone, membro del Comitato Scientifico de Il Familiarista, portale interdisciplinare in materia di diritto di famiglia di Giuffrè Francis Lefebvre.

“La motivazione – spiega l’avvocato – va ricercata nel fatto che a oggi i servizi sociali hanno un potere assoluto di segnalazione di eventuali situazioni di disagio in cui si dovessero trovare i minori. La legge prevede infatti che i servizi sociali abbiano il dovere di approntare un piano di aiuto per le famiglie in difficoltà. Spesso, però, si salta questo passaggio che sarebbe fondamentale per affrontare situazioni molto delicate. La segnalazione arriva dunque direttamente al Giudice che, anche senza sentire i genitori e basandosi solo sulla versione dei servizi sociali, può allontanare un minore e decidere in quale casa famiglia mandarlo, a spese del Comune di residenza del minore. A questo punto il Giudice può decidere di convocare i genitori, ma, come accade più spesso, delegare sempre ai servizi sociali di effettuare, senza alcuna garanzia del diritto di difesa, tutti gli accertamenti del caso. Accertamenti che non hanno l’obbligo di essere documentati o videoregistrati, con la conseguenza che un genitore possa vedersi attribuire affermazioni che non ha mai fatto, senza alcuna possibilità di replicare”.

            Del presunto potere assoluto dei servizi sociali si è discusso anche in un forum condotto dai giornalisti di Avvenire, in cui è emersa la necessità di modificare l’ormai attempato articolo 403 del Codice Civile.

“Gli affidamenti fuori famiglia – prosegue Simeone – dovrebbero durare al massimo 24 mesi, ma anche su questa scelta il potere discrezionale degli operatori è assoluto: secondo i dati del Ministero del Welfare, nel 62% dei casi il limite dei due anni è ampiamente superato e nel 40% dei casi i bambini non fanno più ritorno a casa. È evidente dunque che le commissioni di inchiesta e gli agenti speciali saranno utili per far luce sulle responsabilità del caso di Bibbiano ma non potranno impedire che in futuro altri bambini siano allontanati dalle loro famiglie di origine, senza alcuna forma di controllo preventivo che giustifichi l’allontanamento o successivo che verifichi la situazione del minore dopo l’allontanamento”.

            “In Senato – conclude il legale – giace la proposta di legge della senatrice Ronzulli che potrebbe cambiare il sistema. Approvarla in tempi rapidi sarebbe il segnale che la politica tiene veramente ai diritti dei minori e che non li usa solo per fare propaganda politica”.

Una proposta, quella della Ronzulli (Forza Italia), che rimanda alla necessità di una tutela legale del minore dal momento in cui questo viene a trovarsi in regime di protezione istituzionale. Necessità più volte sottolineata anche da Ai.Bi. – Amici dei Bambini che ha chiesto di prevedere, in tutti questi casi, la figura dell’avvocato del minore. La proposta di Ai.Bi. è stata fatta propria dal gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia.

AiBinews 25 luglio 2019

www.aibi.it/ita/bibbiano-parla-lesperto-come-e-stato-possibile-potere-assoluto-servizi-sociali-e-affidamenti-troppo-lunghi

 

Griffini (Ai.Bi.) a Libero: “Alcune ONG straniere stanno trasformando la solidarietà in un prodotto”

Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, continua la sua battaglia. In un’intervista con Tiziana Lapelosa di Libero, Griffini ha nuovamente sottolineato il negativo impatto di immagine per il Terzo Settore derivante dal comportamento poco trasparenti di alcune ONG straniere in Italia. Comportamento che danneggia tutti gli altri.

www.liberoquotidiano.it/news/italia/13485846/ong-italiane-rivolta-contro-carola-rackete-organizzazioni-straniere-danneggiano-lavoro.html

Gli altri chi? Semplice, si tratta delle ONG italiane, “Quelle – si legge nell’articolo di Libero – che non hanno nulla a che vedere con le ‘multinazionali della solidarietà’, che non utilizzano la ‘pornografia del dolore’ (avete presente le pubblicità strappalacrime ad ore improbabili con i volti dei bimbi dilaniati dalla fame, che vengono strumentalizzati per raccogliere soldi?) per rimpinguare le casse, che non spendono e spandono in stipendi con i soldi delle donazioni destinati ai poverelli, che fanno carità ‘ma con la C maiuscola’. Organizzazioni che hanno fatto del volontariato parte della propria esistenza, senza per questo attingere dai fondi ai quali i donatori versano le proprie speranze per migliorare il mondo e che ora più che mai si sentono vessate dalle ONG straniere, che arrivano, prendono, se ne vanno, fanno quello che vogliono”.

“Ma perché? E perché – ha detto Griffini a Libero a proposito di queste ultime – spendono i soldi dei donatori per investire in pubblicità? La solidarietà è ben altro”. E ancora, sempre sulle “multinazionali della solidarietà”: “Hanno trasformato il sostegno (a distanza, nda) in un ‘detersivo’, più si investe più si portano a casa fondi. La solidarietà è un prodotto. Per non parlare degli stipendi assurdi. Chi lavora col non profit non dovrebbe guadagnare come se fosse in una impresa profit. Lavorare in una ONG dovrebbe essere una scelta di vita”.

Quando in Italia non c’erano queste realtà, spiega Griffini, “le ONG italiane erano ‘coccolate’ dai media, che mettevano a disposizione spazi gratuiti, poi sono arrivate loro”. E tutto è cambiato, anche in virtù delle enormi cifre spese. Ecco perché, spiega ancora il numero uno di Ai.Bi.: “Stiamo lavorando ad un codice etico, non si può più rinviare la definizione di regole chiare per stabilire quali siano i requisiti per operare nel mondo della solidarietà”.

Quali regole? Lo ha spiegato sempre Griffini, nei giorni scorsi: “L’assenza di un compenso al presidente e ai membri del Consiglio direttivo, tutti devono essere volontari; l’impossibilità per chi fa raccolta fondi a fini di solidarietà di retribuire i propri dirigenti e dipendenti con stipendi equivalenti a quelli del settore profit, con l’obbligo di pubblicare sui propri siti i vari livelli retributivi (come invece fa Ai.Bi. – Amici dei Bambini); il divieto assoluto di acquisire spazi pubblicitari a pagamento per la raccolta fondi; il divieto assoluto di fare ricorso alla ‘pornografia del dolore’ per attività di comunicazione”. Oltre, aggiunge ancora Griffini al divieto di ”far transitare soldi raccolti in Italia alle ‘case madri’ estere, con l’obbligo di inviarli direttamente nei Paesi di destinazione”.

AiBinews 22 luglio 2019

www.aibi.it/ita/griffini-ai-bi-a-libero-alcune-ong-straniere-stanno-trasformando-la-solidarieta-in-un-prodotto

 

Perché un codice etico per le ONG non si può più rinviare

Dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi di Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, sulla necessità di un codice etico per chi si occupa di raccolta fondi a fini solidali, tiene banco il tema della trasparenza e dell’utilizzo dei proventi delle donazioni da parte delle “multinazionali della solidarietà”. Ma esistono delle regole che normano questa prassi?

Attualmente la raccolta fondi sarebbe normata dall’articolo 7 del Codice del Terzo settore. Questo sancisce che “Gli enti del Terzo settore, possono realizzare attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa, anche mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, impiegando risorse proprie e di terzi, inclusi volontari e dipendenti, nel rispetto dei principi di verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico, in conformità a linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti la Cabina di regia di cui all’articolo 97 e il Consiglio nazionale del Terzo Settore”.

Purtroppo, citate dall’articolo 7, le linee guida del Ministero del Lavoro, cui la norma rimanda, non sono ancora state rese note. Linee guida che, chissà, potrebbero prendere ispirazione dal codice etico menzionato da Griffini. E che, nelle intenzioni del presidente di Ai.Bi., dovrebbe prevedere: “L’assenza di un compenso al presidente e ai membri del Consiglio direttivo, tutti devono essere volontari; l’impossibilità per chi fa raccolta fondi a fini di solidarietà di retribuire i propri dirigenti e dipendenti con stipendi equivalenti a quelli del settore profit, con l’obbligo di pubblicare sui propri siti i vari livelli retributivi, come già fa Ai.Bi.; il divieto assoluto di acquisire spazi pubblicitari a pagamento per la raccolta fondi; il divieto assoluto di fare ricorso alla ‘pornografia del dolore’ per attività di comunicazione”, oltre al divieto di “far transitare soldi raccolti in Italia alle ‘case madri’ estere, con l’obbligo di inviarli direttamente nei Paesi di destinazione”.

Il tema, comunque, non è più rinviabile. Basta rileggersi i passaggi presenti nel capitolo “Curriculum e carriere” del libro “L’industria della carità”, scritto da Valentina Furlanetto per Chiarelettere: “Se combatti la povertà, e per questo chiedi soldi ai donatori, ma poi ti attribuisci uno stipendio a cinque zeri, la tua credibilità rischia di incrinarsi”, spiega l’autrice quando racconta il caso della buonuscita miliardaria di Irene Khan, ex segretaria generale di Amnesty International. Nel 2011 si scoprì che la buonuscita accreditatale sul conto in banca ammontava a 500 mila sterline, quattro volte il suo stipendio annuale di 132.490 sterline. Anche la sua vice, Kate Gilmore, ricevette una liquidazione d’oro di 300mila sterline. Altri esempi? Il direttore di Save the Children USA con 365 mila dollari l’anno di stipendio o il direttore di Care, che prende 250 mila dollari l’anno.

www.italiaoggi.it/news/tra-stipendi-d-oro-nepotismi-e-fondi-imboscati-le-ong-non-fanno-una-bella-figura-nel-saggio-di-furlanetto-2310184

Anche in Italia, secondo un’indagine Hay Group, circa il 50% dei dirigenti e dei quadri del settore non profit proviene da aziende di stampo tradizionale. Secondo il CEO della società di cacciatori di teste Chaberton Partners, intervistato da Avvenire, la retribuzione annua di un “ONG Project Leader” arruolato da una delle multinazionali della solidarietà “si aggira intorno agli 85mila euro lordi. I consulenti chiamati per specifici progetti di breve durata, possono arrivare a un lordo mensile di 12.500 euro”.

www.avvenire.it/economia/pagine/arriva-il-manager-per-le-ong

Chiaro? 12.500 euro al mese. Così si capisce perché il Terzo Settore rischi, oggi, una crisi di credibilità. Ma, una volta, non era così… che tutto sia cambiato proprio con l’avvento delle “multinazionali della solidarietà” organizzate per realizzare campagne di raccolta fondi su modelli internazionali

                                                            AiBinews 24 luglio 2019

www.aibi.it/ita/stipendi-da-12-500-euro-al-mese-e-buonuscite-da-capogiro-perche-un-codice-etico-per-le-ong-non-si-puo-piu-rinviare

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 29, 24 luglio 2019

Lettura   i m p e r d i b i l e   per queste vacanze!!! In partenza per le vacanze si cerca sempre almeno un libro da leggere con calma, da godersi un po’, che sia capace di portarci in un mondo diverso, ma anche di farci pensare un po’. Approfittando di un momento, quello delle ferie e del periodo estivo, in cui il tempo rallenta, e i pensieri possono anche fermarsi un po’ di più nella nostra mente, senza scivolare via subito, ma arrivando lentamente anche al cuore.

Ci sono molti buoni titoli, per questo, vecchi e nuovi: ma un libro che mi sento di segnalare, sicuro di non deludere nessuno, è “La casa degli sguardi” (Mondadori), di Daniele Mencarelli. Un libro dalla scrittura asciutta e precisa, con un ritmo degno di un grande giallo (alla fine di ogni capitolo ti viene davvero la voglia di sapere come andrà a finire, nelle pagine successive). Ma soprattutto in libro che sa raccontare con spietata vicinanza alcune grandi sofferenze dell’umanità di oggi, dalla trappola della dipendenza da droghe e alcol, con il suo potenziale, folle e insieme molto lucido, di autodistruzione e di terra bruciata tutto attorno (genitori, fratelli, amici, relazioni di lavoro: tutto può essere incenerito) fino allo scandalo più terribile, la sofferenza e il dolore innocente dei bambini. Senza scorciatoie, senza sconti, ma anche in una prospettiva di speranza e di redenzione, che si rigenera nei luoghi e nelle persone più inaspettate.

Si sa, i gusti letterari sono strettamente personali, e il libro che ti ha entusiasmato magari delude il tuo amico più caro. Però, fidatevi, questo libro non vi lascerà indifferenti – e non dimenticherete facilmente alcune pagine. E alla fine sarete contenti di averlo letto (F. Belletti).

Sui fatti di Bibbiano. Per uscire dal frullatore dei media su “angeli e demoni”. La drammatica vicenda giudiziaria in corso in Val d’Enza in tema di tutela dei minori e di interventi dei servizi pubblici “contro” le famiglie esige, proprio per la sua gravità, un pensiero più riflessivo, che non arruoli subito i pareri in opposte tifoserie che si confrontano a colpi di tweet. Per questo rilanciamo qui con piacere l’intervista su Vita.it della prof. Rosa Rosnati, docente di psicologia presso l’Università Cattolica ed esperta di accoglienza familiare.

www.vita.it/it/article/2019/07/17/minori-fuori-famiglia-la-sfida-della-formazione-degli-operatori/152257

Vedi anche, sempre sullo stesso tema, ma dal punto di vista dell’assetto dei servizi socio-sanitari, l’intervista su Avvenire del 16 luglio 2019 del Prof. Fabio Folgheraiter, sociologo dell’Università Cattolica di Milano

www.avvenire.it/opinioni/pagine/sulla-protezione-dei-minori-la-crisi-c-ed-di-sistema

v  Unione Europea. Dati sulle politiche per l’infanzia. Pagina estremamente interessante, sui sito dell’Unione Europa, con una mappa interattiva dei Paesi europei, dove vengono elencati i diversi servizi per l’infanzia offerti in ciascun Paese. Utile per avere una visione aggiornata, rapida, puntuale ed affidabile della situazione. Pagine ricche di link a molte altre fonti di informazione

https://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=1248&langId=en

v  La XIX edizione del festival filosofia “Persona”, si terrà dal 13 al 15 settembre 2019 a Modena, Carpi e Sassuolo. Oltre a cinquanta interventi di protagonisti della scena culturale italiana e internazionale, è previsto un ampio programma di mostre e installazioni, spettacoli dal vivo e concerti, giochi e laboratori, film e cene filosofiche.                                                                                   www.festivalfilosofia.it/2019

www.festivalfilosofia.it/2019/index.php?mod=c_menu&id=programma-completo&gruppo=0

Dalle case editrici

  • Sanders Anna Maria, Non ci sto più dentro! Diario di un bambino con ADHD e dei suoi stremati compagni di viaggio, Erickson, Trento, 2019, pp. 282, € 17,00

   Per la prima volta, un bambino con ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder, Disturbo da deficit di attenzione e iperattività) parla in prima persona e si racconta attraverso gli occhi dei suoi genitori, dei suoi insegnanti e dei suoi compagni di vita. Con un linguaggio fresco e ironico, Max (questo il nome del bambino) descrive gli episodi più veri e divertenti (ma allo stesso tempo profondi) della sua quotidianità. In questo diario a più voci, l’autrice mette nero su bianco la quotidianità di suo figlio e delle persone che condividono assieme a lui questa esperienza unica. Un divertente scambio di prospettive che permette al lettore un approccio “dall’interno”, per comprendere le dinamiche, i processi motivazionali, le particolarità cognitive e il modo di reagire agli stimoli esterni dell’ADHD. Il volume presenta comunque in apertura un inquadramento teorico dell’ADHD, per offrire una chiave di lettura completa e trasparente a qualsiasi lettore, anche a chi non conosce questo disturbo.

Save the date

  • Nord: Genitori e figli, terapeuti e pazienti. La libertà di scegliere nelle relazioni educativa e terapeutica, convegno internazionale organizzato in collaborazione con Università degli Studi di Milano Bicocca, Fondazione Minotauro e Area G e con la partecipazione organizzativa di CSCP Centro Studi per la Cultura Psicologica, Milano, 21 settembre 2019.

www.cmp-spiweb.it/21-settembre-2019-convegno-genitori-e-figli-terapeuti-e-pazienti

  • Centro: Verso un patto tra generazioni: un presente giusto per tutti, III Forum di Etica Civile, Firenze, 16-17 novembre 2019.

https://forumeticacivile.com/2019/06/25/verso-il-forum-di-etica-civile-definito-il-programma

  • Sud: Il Giudice delle relazioni: tra disagio, devianza e nuove fragilità. Le ragioni della specializzazione nei percorsi della giustizia minorile e familiare, XXXVIII Convegno Nazionale dell’A.I.M.M.F. (Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia), Lecce, 11-12 ottobre 2019.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2919_allegato3.pdf

  • Estero: Early Years: Making it Count (I primi anni: rendiamoli importanti!), 29a conferenza annuale EECERA (European Early Childhood Education Research Association), organizzata dal Centre for Research in Early Childhood, in collaborazione con Diazoma Conferences and Events e con la Faculty of Education, Aristotle University, Tessalonica (Grecia), 20-23 agosto 2019.

www.eecera2019.org/programme/programme%20book%20final%20web.pdf

Iscrizione                  http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

                                                      newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/luglio2019/5134/index.html

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CENTRO ITALIANO di SESSUOLOGIA

Festival della sessuologia

Sabato 14 e domenica 15 settembre 2019 a partire dalle ore 10,00 ­ sino alle ore 20,00

Firenze · Villa La Loggia, via Bolognese 16

      Due giorni di incontri, tavole rotonde, laboratori interattivi e workshop gratuiti con tanti ospiti che, insieme al pubblico, affronteranno le principali tematiche riguardanti il cambiamento della sessualità al tempo dei social network, internet, app d’incontro e comunicazione istantanea. Una fotogra­fia aggiornata di come cambiano le relazioni sessuali e uno sguardo alle nuove tendenze della sessualità tipica, atipica e di alcune popolazioni specifiche.

    Un festival orientato a promuovere una cultura della sessualità e del benessere psico-sessuale-affettivo, in forma divulgativa ma scienti­ficamente valida e aggiornata, in un contesto piacevole e interattivo.

www.cisonline.net/wp-content/uploads/2019/08/FESTIVALSESSUOLOGIA-A4_compressed.pdf

            https://www.festivaldellasessuologia.it              

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CHIESA CATTOLICA

I cristiani che fanno l’Italia

   Che posto ha il discepolato cristiano nella moderna società democratica? Come possono i cristiani contribuire a una sana democrazia e a un governo veramente popolare della nostra Italia? Per affrontare queste domande si è sviluppato un interessante dibattito sull’eredità di don Sturzo in occasione dell’anniversario del suo appello «a tutti gli uomini liberi e forti» (1919). Per proseguire la riflessione, pensiamo sia necessario tornare al V Convegno della Chiesa italiana, che si è svolto a Firenze nel 2015: un evento sinodale.

    In quell’occasione papa Francesco ha pronunciato un discorso che potremmo definire «profetico» alla luce dell’oggi. Bisogna tirarlo fuori dai sussidi chiusi da tempo e tornare a meditare su quelle parole che pongono un legame forte tra fede e politica, perché «i credenti sono cittadini». «La nazione non è un museo – affermava Francesco -, ma è un’opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose». Ma soprattutto aggiungeva che è inutile cercare soluzioni in «condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative».

   Ed eccoci all’attuale crisi della democrazia. In un tempo in cui il bisogno di partecipazione si sta esprimendo in forme e modi nuovi, non è possibile tornare all’«usato garantito» o alle retoriche già sentite. Tantomeno, quindi, possiamo immaginare di risolvere la questione mettendo i cattolici tutti da una «parte» (considerando tutti «gli altri» dall’altra). Non basta più neanche una sola tradizione politica a risolvere i problemi del Paese. La forza propulsiva del cattolicesimo democratico ha bisogno di essere resistente in questi tempi confusi, ma anche di ascoltare e capire meglio, perfino coloro che oggi sono riusciti a intercettare umori e idee della gente. Agostino e Benedetto, davanti al crollo dell’Impero, hanno messo le basi del cristianesimo del Medioevo.

   Il cristianesimo non ha mai temuto i cambi di paradigma. Che fare, dunque? La Chiesa italiana saprà farsi interpellare dal mutamento in corso senza limitarsi ad attendere tempi migliori? E come? Abbiamo compreso che è impossibile pensare il futuro dell’Italia senza una partecipazione attiva di tutti i cittadini. Per questo prendiamo spunto da un passaggio del discorso introduttivo del card. Gualtiero Bassetti alla sessione invernale del Consiglio permanente della Cei: «Ripartiamo, fratelli, da questo stile sinodale, viviamolo sul campo, tra la gente…».

   Ecco il punto: soltanto un esercizio effettivo di sinodalità all’interno della Chiesa potrà aiutarci a leggere la nostra storia d’oggi e a fare discernimento. Che cos’è la sinodalità? Essa consiste nel coinvolgimento e nella partecipazione attiva di tutto il popolo di Dio alla vita e alla missione della Chiesa attraverso la discussione e il discernimento. Essa respinge ogni forma di clericalismo, incluso quello politico. La crisi della funzione storica delle élites – che fino a poco fa era riuscita a far dare alle democrazie occidentali il meglio di sé – deve aprirci gli occhi. La sinodalità è radicata nella natura popolare della Chiesa, «popolo di Dio».

   Perché la sinodalità? Perché questo ampio coinvolgimento? Perché innanzitutto dobbiamo capire che cosa ci è accaduto. Dopo anni in cui forse abbiamo dato per scontato il rapporto tra Chiesa e popolo, e abbiamo immaginato che il Vangelo fosse penetrato nella gente d’Italia, constatiamo invece che il messaggio di Cristo resta, talvolta almeno, ancora uno scandalo. Sentimenti di paura, diffidenza e persino odio del tutto alieni dalla coscienza cristiana hanno preso forma tra la nostra gente e si sono espressi nei social networks, oltre che nel broadcasting [teletrasmissione] personale di questo o di quel leader politico, finendo per inquinare il senso estetico ed etico del nostro popolo. Il fenomeno – sia chiaro – non riguarda solamente la nostra Italia. A questo si aggiunga il fatto che il potere politico oggi ha anche ambizioni «teologiche». Pure il crocifisso è usato come segno dal valore politico, ma in maniera inversa rispetto a quello che eravamo abituati: se prima si dava a Dio quel che invece sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare, adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio, a volte pure con la complicità dei chierici.

   Il «nemico», dunque, non è più solamente la secolarizzazione, come spesso abbiamo detto, ma è la paura, l’ostilità, il sentirsi minacciati, la frattura dei legami sociali e la perdita del senso di fratellanza umana e di solidarietà. Nella società sta venendo meno la fiducia: nei medici, negli insegnanti, nei politici, negli intellettuali, nei giornalisti, negli uomini del sacro… Risuonano su questa situazione confusa le parole che il Papa a Firenze ha rivolto alla Chiesa italiana: «Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa». E aveva chiesto alla Chiesa: «discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti». Francesco proseguiva raccomandando la ricostruzione dei legami per favorire «l’amicizia sociale». Quindi, compito della Chiesa italiana – diceva – è «dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune». È da fuggire, dunque, l’opzione tombale, cioè l’eresia che le nostre comunità non abbiano più nulla da dire nel fermento della nostra società.

   Quale deve essere, allora, il senso di questa risposta? Possiamo riconoscerlo nel discorso di fine anno 2018 del presidente Mattarella, il quale ha affermato l’importanza dell’impegno «per riconoscersi come una comunità di vita» che ha un «comune destino». Sentirsi comunità significa «condividere valori, prospettive, diritti e doveri», «”pensarsi” dentro un futuro comune, da costruire insieme»». D’altronde, la forza della Chiesa cattolica in politica è la sua cattolicità, cioè la sua capacità di ricordare l’universalità e di tenere insieme i pezzi lì dove tutto sembra andare in frantumi. E ciò vale anche per la nostra Chiesa italiana.

   A questo punto torniamo alla nostra domanda iniziale. Possiamo riconoscere il nostro compito oggi come discepoli di Cristo impegnati nelle tensioni della nostra moderna democrazia in due punti evidenziati dal Presidente:

  1. da una parte, contrastare le «tendenze alla regressione della storia»;
  2. dall’altra, fare la nostra parte per costruire il Paese come «comunità di vita», curando le ferite dei legami spezzati e della fiducia tradita.

 E questo potrà avvenire solamente g www.laciviltacattolica.it/articolo/ i-cristiani-che-fanno-litaliarazie a un largo coinvolgimento del popolo di Dio, in un processo sinodale non ristretto né alle élites del pensiero cattolico né ai contesti (specifici e importanti) di formazione. L’esercizio della sinodalità e quello della democrazia sono cose diverse come metodo. Ma si può facilmente cogliere quanto sia importante la sinodalità nella Chiesa per discernere le forme dell’impegno democratico dei cristiani affinché essi siano – come ci chiedeva Francesco alla fine del suo discorso di Firenze – «costruttori dell’Italia». Che dunque stia maturando il tempo per un sinodo della Chiesa italiana?

Antonio Spadaro SJ   Civiltà cattolica, Quaderno 4047 pag. 250-252 – Vol. I, 2 febbraio 2019

www.laciviltacattolica.it/articolo/i-cristiani-che-fanno-litalia/

 

Un sistema che comporta sofferenza

   “Jupiter tonans“, Giove tonante: è il titolo di un capitolo chiave del romanzo autobiografico Der Kaplan di Joseph Bernhart. Bernhart, nato nel 1881, a 23 anni era stato ordinato prete ad Augusta. Fu nominato dall’autorità ecclesiastica cappellano a Markt Wald nella regione Unterallgäu. Fu una caduta dalle altezze celesti della prima messa dopo l’ordinazione alla troppo terrena quotidianità di aiutante-parroco in una zona rurale. Il cappellano si sentiva sopraffatto e sfruttato. Voleva andar via, possibilmente in una città con una biblioteca e con persone istruite. Dopo un lungo periodo di sofferenza, il cappellano prese coraggio, andò ad Augusta al vescovado e chiese di parlare al vicario generale, rappresentante del vescovo.

   “La sala d’attesa era cupa. Mi feci coraggio e bussai alla porta marrone. Nessuna risposta. Bussai ancora e più forte. Nessuna risposta… Lasciai passare un minuto, poi bussai per la terza volta. Come un suono di collera e maledizione risuonò un “avanti!”. Una figura viola, capelli bianchi arruffati, occhiali con lenti spesse, sguardo collerico. Mi inchinai. “Chi è lei?”. Il cappellano riuscì con difficoltà a presentare la sua richiesta, tanto rudemente fu insultato. Se non sapeva obbedire, avrebbe semplicemente dovuto evitare di diventare prete”.

   Joseph Bernart venne comunque trasferito un anno dopo, nel 1906, in una città, a Neuburg sul Danubio. Alla lunga però non sopportò la continua dipendenza e la solitudine del celibato. Nel 1913si sposò, fu sospeso e scomunicato e per decenni escluso dall’accesso all’eucaristia. Però per tutta la vita rimase un convinto cattolico. Questa storia attira l’attenzione su un motivo centrale per il celibato di cui raramente si parla apertamente: la stabilizzazione del sistema gerarchico della Chiesa cattolica. Un uomo con moglie e figli non avrebbe potuto essere trasferito tutti gli anni senza indicazione dei motivi da un posto all’altro come una pedina su una scacchiera; avere come casa uno sgabuzzino nella casa parrocchiale sotto la severa sorveglianza di un parroco e della sua ancor più severa domestica, che era spesso anche la sorella maggiore del parroco; il sostegno di una famiglia avrebbe procurato al cappellano non solo contatti sociali all’esterno, ma permesso anche maggiore stabilità nei suoi rapporti dentro la Chiesa.

   Oggi l’obbedienza viene certo elevata spiritualmente, ma implicitamente continua ad essere la colonna portante del sistema della Chiesa cattolica. Nei documenti della Chiesa si dice spesso che solo il prete celibe può essere così simile a Cristo da avere mani e cuore libero per la Chiesa, intesa come mistico corpo di Cristo. Una simile totale dedizione a Cristo richiede assoluta obbedienza al papa e ai vescovi. Così il celibato diventa uno strumento di prim’ordine del mantenimento del potere episcopale e papale. Il cardinale segretario di Stato di Pio VI, Lazzaro Opizio Pallavicini, era ancora più esplicito degli scritti papali odierni, quando nel 1783 si esprimeva con enfasi per il mantenimento della disciplina del celibato: “Se si permette ai preti di sposarsi, la gerarchia papale romana è distrutta, la considerazione e la sublimità del papa di Roma sono perdute”.

   Più recenti studi di sociologia ecclesiastica hanno mostrato il rapporto esistente tra il potere vescovile e il celibato.

  1. In primo luogo il celibato permette un controllo sociale intensivo all’interno della gerarchia clericale. L’isolamento dei preti attraverso la rinuncia al matrimonio e alla famiglia li rende come pedine sulla scacchiera ecclesiastica, spostabili a piacimento. In parallelo si crea man mano una solidarietà con il gruppo del proprio status, il che alla lunga porta ad una coscienza clericale elitaria. A questo serve innanzi tutto l’istruzione in un seminario chiuso. È così delineata la strada verso una strutture di legame maschile, in cui dominano assoluta lealtà verso l’interno e dovere di segretezza verso l’esterno, in termini ecclesiastici “la disciplina arcana”.
  2. In secondo luogo, il celibato è alla base della distinzione tra lo status di dominio del clero e lo status sequela dei laici. O, per dirlo con le parole del primo rappresentante del capitolo del duomo di Limburg e studioso di diritto canonico Werner Böckenförde: “Nella sua forma legale, la Chiesa si presenta come un luogo di autorità fondata sul sacro, dove la libertà cristiana diventa obbedienza”.
  3. In terzo luogo il celibato obbligatorio è responsabile della tipica struttura sociale del clero cattolico. Devono essere reclutati sempre nuovi aspiranti. Comunque, in questo modo, per i candidati al presbiterato di umili origini è possibile una ascesa sociale, cosa che nella Germania del XIX secolo contribuiva ad una certa “vicinanza al popolo” dei preti.
  4. In quarto luogo il celibato obbligatorio poteva contribuire anche a consolidare il divario di potere tra uomini e donne nella Chiesa cattolica. Dirigenti donne disturbano. Il sociologo delle religioni e delle Chiese Franz Xaver Kaufmann ha definito la struttura sociale del clero “gerarchia patogena”. Egli vede nel mantenimento della disciplina del celibato una motivazione sistemica per la “strana reticenza” della Chiesa “nei confronti di cose ovvie dal punto di vista culturale, come lo stato di diritto e l’autonomia della personalità”. Non per niente anche studi più recenti sugli abusi sessuali del clero richiamano sempre l’attenzione su relazioni e cause di sistema.

   Il celibato è patogeno nel senso stretto della parola, cioè comporta sofferenza. Ma lo è anche in un altro senso: per le compagne dei preti, per i preti stessi e soprattutto per i figli che nascono da tali relazioni. Molti vengono negati o nascosti, si sentono indesiderati e colpevoli. Come figli illegittimi, nel diritto ecclesiastico del 1917 essi furono discriminati e, non essendo nati all’interno di un matrimonio, furono essi stessi esclusi dall’ordinazione presbiterale. Il celibato obbligatorio è un importante fattore del sistema clericale gerarchico della Chiesa cattolica, ma non l’unico. Svincolare il presbiterato dal celibato sarebbe emblematico della disponibilità della gerarchia alle riforme, ma non sarebbe ancora la riforma necessaria. Ci sarebbero, gli uni accanto agli altri, preti che vivono da sposati e preti che vivono da celibi. Il che da un lato risolverebbe dei problemi, dall’altro però ne creerebbe di nuovi. Potrebbe nascere un sistema a due classi, come nelle Chiese ortodosse, dove determinati incarichi come quello di vescovo resterebbero riservati a dei non-sposati. E anche dei presbiteri sposati non sarebbero a priori immuni dallo sviluppare comportamenti clericali, come si può osservare in alcuni casi per dei diaconi permanenti. E anche i matrimoni di preti cattolici sarebbero esposti, come tutti i matrimoni, al pericolo del fallimento; si porrebbe allora il tema di preti divorziati, e poi anche di preti divorziati e risposati.

   I fedeli accetterebbero in maggioranza i preti sposati, non solo, molti perfino si augurano la revoca della disciplina del celibato, come mostrano indagini in Europa e in Sudamerica. Nel febbraio 2013, in un’indagine dell’istituto Wahlen, l’88% del complesso delle persone interpellate e l’84% dei cattolici erano dell’opinione che i preti cattolici dovessero avere la possibilità di sposarsi, solo l’8% degli interpellati e il 12% dei cattolici lo rifiutava. Le percentuali sono simili anche in altri paesi. Ad esempio, in Italia il 57%, in Francia l’86%, in Spagna il 73%, in Polonia il 61%, in Argentina il 65%e in Brasile il 60% delle cattoliche e dei cattolici si sono espressi a favore del matrimonio dei preti. Un argomento forte dei difensori del celibato, e cioè che i cattolici non vorrebbero andare a messa da preti sposati, risulterebbe quindi indebolito, viste queste percentuali. Molti problemi della Chiesa cattolica, soprattutto nell’Europa centrale e nell’America Latina, si riferiscono inoltre a condizioni su cui la Chiesa stessa non è praticamente in grado di influire. Ad esempio nelle società moderne diminuisce la disponibilità a legarsi stabilmente in associazioni, partiti, sindacati e chiese. Bisogna anche riflettere sull’argomento standard contro i cambiamenti di sistema, secondo cui molte delle riforme richieste sono state da tempo realizzate nelle Chiese evangeliche e nonostante ciò queste ultime perdono più membri della Chiesa cattolica.

   Bisognerebbe anche rielaborare in maniera nuova il significato attribuito alla Chiesa come mediatrice tra Dio e l’uomo. Chi davvero persegue una riforma della Chiesa cattolica, deve mettere in discussione il sistema clericale nel suo complesso e non deve considerarlo una forma necessaria e immodificabile. La Chiesa cattolica come monarchia assoluta è un’invenzione del XIX secolo. Certe concezioni del XIX secolo, spacciate per verità eterne, sono una causa essenziale dell’attuale crisi della Chiesa. Oggi si tratta di creare strutture trasparenti e giuste in cui siano coinvolti tutti i credenti. Strutture che comprendono diritti fondamentali giuridicamente applicabili, una cultura dei diritti al passo con le esigenze di oggi, una magistratura amministrativa indipendente, una morale sessuale conforme allo spirito del tempo, l’equiparazione dei diritti delle donne, la scelta da parte dei fedeli di persone con incarichi ecclesiastici a tutti i livelli, l’introduzione del principio di sussidiarietà… L’elenco potrebbe continuare. Oppure, per dirlo con le parole dello studioso di etica sociale Gerhard Kruip: “Sarebbe illusorio credere che si possa vincere il clericalismo dominante senza cambiare il diritto canonico in punti centrali, compreso l’assolutistico primato di giurisdizione del papa. Sarebbe illusorio credere di poter vincere i lati maschilisti delle strutture ecclesiali di potere senza abolire il celibato e ammettere anche le donne al presbiterato”.

  Il bisogno di riforme della Chiesa cattolica è evidente. Ma uno sguardo alla storia della Chiesa mostra che le forze conservatrici del sistema sono sempre state così forti da impedire un cambiamento di rotta, anche andando contro il buon senso. Talvolta il modello attendista in una crisi ecclesiale da parte della gerarchia ha funzionato bene. Ma a volte l’attendere le si è ritorto contro. Poiché i papi procrastinarono a lungo i provvedimenti decisi dai concili di riforma del XV secolo e poiché dopo l’arrivo di Lutero sabotarono per tre decenni la convocazione di un concilio di riforma, si ritrovarono nel XVI secolo con la scissione della Chiesa. Talvolta fu sufficiente anche ridurre al silenzio eminenti riformatori, fossero essi cardinali, vescovi o teologi. L’indice dei libri proibiti e i processi disciplinari condotti dall’Inquisizione romana e dall’organismo che ne ha preso il posto, la Congregazione per la dottrina della fede, lo testimoniano ampiamente. Talvolta però la pressione nella pentola-Chiesa cattolica era così alta che si era costretti a far uscire almeno un po’ di pressione per impedire un’esplosione. Così ad esempio nel Concilio Vaticano II, quando le forze riformatrici nel campo della liturgia poterono sfogarsi, per affrontare il tema della costituzione della Chiesa. Talvolta bastava anche della semplice retorica ecclesiastica riformista, che non costa nulla. E talvolta la gerarchia segue la via della dogmatizzazione, sollevando una controversa questione su una verità di fede, cercando in questo modo di sottrarla alla discussione una volta per tutte, come per esempio con l’infallibilità del papa o l’impossibilità dell’ordinazione di donne. Quale strada prenderà la Chiesa questa volta?

   Questo testo è un estratto del nuovo libro dello storico della chiesa Hubert Wolf (Münster): “Zölibat. 16 Thesen”, uscito il 18 giugno 2019

   Hubert Wolfin “www.zeit.de” (Christ&Welt) 17 luglio 2019 (traduzione: www.finesettimana.org) per le edizioni C. H. Beck.

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201907/190721wolf.pdf

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CHIESE EVANGELICHE

Un giorno una parola – commento a Matteo 9, 13

«Tornate a me», dice il Signore degli eserciti, «e io tornerò a voi». Zaccaria 1, 3.

«Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori» Matteo 9, 13.

   La predicazione di Gesù è spesso diretta contro il perbenismo legalista, arrogante, politicante e corrotto dei capi religiosi del suo tempo. Mentre, tra i suoi seguaci troviamo proprio coloro che dai primi sono considerati irrecuperabilmente perduti: prostitute, emarginati, malati, peccatori e peccatrici che non conoscono la Legge e i profeti.

   Tra questi “cattivi amici e cattive amiche” troviamo Matteo, esattore delle tasse e per questo odiato dai Farisei come tutti quelli appartenenti alla sua classe sociale.

   L’invito di Gesù rivolto a Matteo – “seguimi” – e il comportamento di Gesù suscitano la rabbia e l’opposizione dei benpensanti farisei che, rivolgendosi ai discepoli, dicono: «Perché il vostro maestro mangia con i pubblicani e i peccatori?» (Mt. 9, 11).

   Gesù replica con un proverbio popolare: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Ora andate e imparate che cosa significhi: voglio misericordia e non sacrificio» (Mt. 9, 12-13).

   Già nell’VIII sec. a. C. il profeta Osea aveva affermato in modo lapidario: «Poiché io desidero bontà, non sacrificio» (Os. 6, 6). E Amos, contemporaneo di Osea, è ancora più severo: «Se mi offrite i vostri olocausti e le vostre offerte, io non le gradisco. (…) Scorra piuttosto il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne!» (Am. 5, 22-24). E Isaia: «Che m’importa dei vostri numerosi sacrifici? dice il Signore (…), cercate la giustizia, rialzate l’oppresso, fate giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova!» (Is. 1, 11-17). E le citazioni potrebbero moltiplicarsi.

   Ovviamente nella predicazione di Gesù non c’è alcuna intenzione di annullare il culto, ma di restituire al culto la sua giusta collocazione nell’esistenza umana. Gesù vuole affermare un corretto rapporto tra fede ed esistenza e impedire che il culto diventi uno spazio “sacro” per una alienante vita religiosa. La conclusione di Gesù è netta, chiara e inequivocabile: «poiché non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori» (Mt. 9, 13b).

Antonio Squitieri, pastore metodista       26 luglio 2019

https://riforma.it/it/articolo/2019/07/26/un-corretto-rapporto-tra-fede-ed-esistenza?utm_source=newsletter&utm_medium=email

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Un cambio di passo per affido e adozione.

     A chiederlo, con un bell’articolo apparso sul numero di luglio 2019 di Vita Pastorale, è anche don Paolo Gentili, responsabile della Pastorale Famiglia della CEI – Conferenza Episcopale Italiana.

    “Un solo sorriso miracolosamente strappato alla disperazione di un bambino abbandonato, che ricomincia a vivere, ci spiega l’agire di Dio nel mondo più di mille trattati teologici”. Così Francesco, in una catechesi, dava risalto alla generosità di un papà e una mamma che stringono in un abbraccio un bambino senza famiglia. Come sottolinea l’Amoris Lætitia, “la scelta dell’adozione e dell’affido esprime una particolare fecondità dell’esperienza coniugale, al di là dei casi in cui è dolorosamente segnata dalla sterilità”. In realtà, molti coniugi coltivano questo sogno nel cuore, che permane anche se cominciano a nascere i figli. Purtroppo i costi, le pastoie burocratiche e la scarsità di aiuti, hanno finito per mortificare un desiderio così bello. Gli iter nazionali di adozione sono una via crucis. E, anche per bambini piccolissimi negli orfanotrofi, si protraggono talmente a lungo da condannarli a restare senza una vera casa. I percorsi internazionali costano, fra viaggi e altri oneri, decine di migliaia di euro e per le famiglie sono percepiti come un’utopia.

    La scelta dell’affido è delicata ed esige distacco e disponibilità che pochi riescono ad avere. C’è da mantenere i contatti con i genitori biologici, e spesso si tratta di relazioni complicate. Può capitare di vedersi togliere il bambino, perché magari la mamma naturale è rientrata dal carcere, o sono mutate le condizioni. Qualche passo in più si è fatto, dando di recente la possibilità alla coppia affidataria di ottenere, in casi specifici, l’adozione definitiva del bimbo accolto. Tutti questi itinerari hanno bisogno di un cambio di passo e di un maggior gioco di squadra tra Tribunali minorili, assistenti sociali, psicologi e pedagogisti. Le stesse associazioni che accompagnano le famiglie avvertono un senso di scoraggiamento. Eppure, proprio con l’associazionismo, spunta qualche raggio di sole.

    A Milano nel 2015, grazie alla donazione di una vedova siciliana, a opera di Ai.Bi. è sorta la Family House, una sorta di “clinica per la cura dell’abbandono “. Oltre a due comunità mamma-figlio, c’è una culla per la vita, dove possono ricevere le prime cure i bambini abbandonati, insieme a una serie di servizi per le famiglie adottive. Interessante è l’innovativo Spazio neutro Beniamino, per l’incontro tra i genitori e i figli allontanati momentaneamente. Bambini e adulti hanno ingressi separati; gli operatori possono osservare tramite uno specchio unidirezionale i comportamenti dei genitori in contesti assolutamente quotidiani. Su adozione e affido occorre un impegno di tutti per un’inversione di tendenza.

    Come dice l’Amoris Lætitia, “coloro che affrontano la sfida di adottare e accolgono una persona in modo incondizionato e gratuito, diventano mediazione dell’amore di Dio che afferma: ‘Anche se tua madre ti dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai’“. E come dice Francesco, “un solo uomo e una sola donna, capaci di rischiare e di sacrificarsi per un figlio d’altri, e non solo per il proprio, ci spiegano cose dell’amore che molti scienziati non comprendono più”.

      NewsAIBI       22 luglio 2019

www.aibi.it/ita/adozione-e-affido-don-gentili-cei-chiede-un-cambio-di-passo-nello-spirito-di-amoris-laetitia

 

L’impegno della Chiesa italiana contro gli abusi: formare, prevenire, cambiare la cultura

     Dall’incontro del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili con i vescovi delegati regionali, si conferma la volontà di dare attuazione concreta sul territorio a strumenti e luoghi per il contrasto ad ogni tipo di abuso, attraverso la realizzazione di percorsi propositivi e predisposti all’accoglienza e all’ascolto.  Formazione, confronto, obiettivi condivisi, programmazione: questa la sintesi dell’incontro collegiale del Servizio nazionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della Cei con vescovi delegati regionali provenienti da tutta Italia svoltosi il 24 e 25 luglio 2019 a Roma.

    “Una tappa importante” ha detto mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, rivolgendosi ai vescovi convenuti, “perché, come Pastori, ci sono richieste un’attenzione e una cura ancora maggiori”. Per questo, ha spiegato, “essere qui oggi non è solo un venire ad acquisire informazioni, ma un ragionare tra noi, confrontandoci, per fare cultura e costruire una rete ecclesiale con uno stile di comunione, di ascolto e di vigilanza”.

    Linea condivisa e rilanciata da mons. Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna-Cervia e presidente nazionale del Servizio: “Un incontro fatto di comunicazioni, di spazi di dialogo, di domande”. Mons. Ghizzoni ha ricordato l’ampio consenso che ha accompagnato l’approvazione delle nuove Linee guida nel corso dell’assemblea generale di maggio – disposizioni “innovative” e “impegnative” – e ha ribadito il ruolo di aiuto e di supporto messo a disposizione dal Sntm verso i vescovi italiani.

   Nel corso dei lavori si è dato spazio anzitutto all’importanza della formazione e della prevenzione, attraverso la presentazione di strumenti formativi, metodi ed esperienze già in essere. Sullo sfondo, ma ben presenti nel dibattito, la “Lettera al popolo di Dio” di Papa Francesco e il motu proprio Vox estis lux mundi”.

   In particolare, padre Amedeo Cencini, religioso canossiano, formatore e psicoterapeuta, ha ricordato che “il tempo che stiamo vivendo nella Chiesa impone una revisione radicale e concreta delle nostre prassi formative all’ordinazione presbiterale come alla consacrazione religiosa”, ripensando “gli ambiti della formazione umana (e affettivo-sessuale) e dell’identità ministeriale all’interno d’una concezione integrale della formazione”. Don Gottfried Ugolini, sacerdote e psicologo, responsabile del Servizio specialistico per la prevenzione e la tutela dei minori, ha portato l’esperienza quasi decennale dello sportello diocesano di Bolzano-Bressanone per la tutela e prevenzione dei minori da abusi sessuali e altre forme di violenza. Un servizio nato con atteggiamento proattivo che, negli anni, ha saputo diventare un punto di riferimento positivo attraverso l’applicazione di un leitmotiv preciso: “passi piccoli, passi continui, passi verificabili”.

  La psicologa e formatrice Anna Deodato si è invece soffermata sulle modalità di ascolto e accoglienza delle persone abusate, rimarcando che “una persona ferita non è un ‘caso’: ne va sempre preservata la dignità e l’integrità” e che la domanda centrale delle vittime, anche se non esplicitata, “è sempre la stessa: mi credi?”.

   Nel corso della presentazione delle indicazioni operative per la costituzione dei Servizi diocesani e interdiocesani, sono state ricordate le iniziative già in essere sul territorio che dimostrano l’attenzione e la sensibilità in crescita su questi temi.

   L’illustrazione e il commento passo a passo delle Linee guida, è stato occasione di approfondimento su settori specifici e particolare attenzione è stata dedicata ai rapporti con le autorità civili, stante l’innovativa previsione di un obbligo morale di denuncia svolta l’indagine previa e accertata la credibilità dei fatti. “Obbligo morale e non coercizione del sistema giuridico – ha spiegato don Gian Luca Marchetti, cancelliere della curia di Bergamo –, perché deriva da una convinzione etica profonda il cui fine è il conseguimento della giustizia e della verità”.

   Da più parti, durante i momenti di confronto con i vescovi, è stata evidenziata l’importanza della finalità dell’ascolto e dell’accompagnamento, in un’ottica di crescita e rinnovamento, senza però nascondere criticità e resistenze, né la complessità dei molteplici obiettivi da tenere in considerazione che richiedono, sempre di più, competenze specifiche e operatori adeguatamente formati.

   Il convegno appena concluso, ricco di interazioni e di impulsi propositivi, è stato dunque un punto di partenza che apre ad orizzonti di interventi specifici, di approfondimenti mirati e di azioni concrete. Per questo è già in programma, per il prossimo novembre, un appuntamento di verifica e di programmazione ulteriore.

    Emanuela Vinai     Agenzia SIR   25 luglio 2019

https://agensir.it/italia/2019/07/25/limpegno-della-chiesa-italiana-contro-gli-abusi-formare-prevenire-cambiare-la-cultura

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DALLA NAVATA

XVII Domenica del tempo ordinario – Anno C – 28 luglio 2019

Gènesi               18, 32. Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».

Salmo              137, 01. Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore: hai ascoltato le parole della mia bocca.

Colossesi         02, 13. Con lui Dio ha dato vita anche a voi, perdonando tutte le colpe.

Luca                 11, 01. Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli

              gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».

 

Padre Nostro, la preghiera che unisce terra e cielo

   Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”». Signore insegnaci a pregare. Tutto prega nel mondo: gli alberi della foresta e i gigli del campo, monti e colline, fiumi e sorgenti, i cipressi sul colle e l’infinita pazienza della luce. Pregano senza parole: «ogni creatura prega cantando l’inno della sua esistenza, cantando il salmo della sua vita» (Conf. epis. giapponese).

   I discepoli non domandano al maestro una preghiera o delle formule da ripetere, ne conoscevano già molte, avevano un salterio intero a fare da stella polare. Ma chiedono: insegnaci a stare davanti a Dio come stai tu, nelle tue notti di veglia, nelle tue cascate di gioia, con cuore adulto e fanciullo insieme. «Pregare è riattaccare la terra al cielo» (M. Zundel): insegnaci a riattaccarci a Dio, come si attacca la bocca alla sorgente.

   Ed egli disse loro: quando pregate dite “padre”. Tutte le preghiere di Gesù che i Vangeli ci hanno tramandato iniziano con questo nome. È il nome della sorgente, parola degli inizi e dell’infanzia, il nome della vita. Pregare è dare del tu a Dio, chiamandolo “padre”, dicendogli “papà”, nella lingua dei bambini e non in quella dei rabbini, nel dialetto del cuore e non in quello degli scribi. È un Dio che sa di abbracci e di casa; un Dio affettuoso, vicino, caldo, da cui ricevere le poche cose indispensabili per vivere bene.

   Santificato sia il tuo nome. Il tuo nome è “amore”. Che l’amore sia santificato sulla terra, da tutti, in tutto il mondo. Che l’amore santifichi la terra, trasformi e trasfiguri questa storia di idoli feroci o indifferenti.

  Il tuo regno venga. Il tuo, quello dove i poveri sono principi e i bambini entrano per primi. E sia più bello di tutti i sogni, più intenso di tutte le lacrime di chi visse e morì nella notte per raggiungerlo.

  Continua ogni giorno a donarci il pane nostro quotidiano. Siamo qui, insieme, tutti quotidianamente dipendenti dal cielo. Donaci un pane che sia “nostro” e non solo “mio”, pane condiviso, perché se uno è sazio e uno muore di fame, quello non è il tuo pane. E se il pane fragrante, che ci attende al centro della tavola, è troppo per noi, donaci buon seme per la nostra terra; e se un pane già pronto non è cosa da figli adulti, fornisci lievito buono per la dura pasta dei giorni.

  E togli da noi i nostri peccati. Gettali via, lontano dal cuore. Abbraccia la nostra fragilità e noi, come te, abbracceremo l’imperfezione e la fragilità di tutti.

  Non abbandonarci alla tentazione. Non lasciarci soli a salmodiare le nostre paure. Ma prendici per mano, e tiraci fuori da tutto ciò che fa male, da tutto ciò che pesa sul cuore e lo invecchia e lo stordisce.

  Padre che ami, mostraci che amare è difendere ogni vita dalla morte, da ogni tipo di morte.

                   Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=46327

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DIACONATO

Diaconato femminile: una questione di statuto

     Che cosa dice il diritto e che cosa la prassi ecclesiale

      Dopo lo «Studio del mese» «Il tempo del noi» della teologa Serena Noceti sul diaconato alle donne pubblicato in Regno-att. 10, 2019,305, è utile riprendere il punto di vista giuridico sulla questione, e ribadire la necessità che si diano delle risposte ad alcuni quesiti irrisolti. Personalmente ritengo che esista la possibilità (almeno teorica) del diaconato alle donne. La legge ecclesiastica riflette sempre il contesto della vita pastorale ed è elaborata facendo appello alla dottrina teologica, interpretata in senso tuziorista [privilegia un atteggiamento fortemente prudente]. Percorriamo quindi alcuni passaggi della Scrittura, della Tradizione e della legislazione che sono significativi a comprendere la posta in gioco.

     I testi della Scrittura che fanno riferimento ai diaconi, accanto ai vescovi, sono tre: Filippesi 1,1, Romani 1,7, 1Timoteo 3, 8-13. Le voci sul diaconato delle prime comunità cristiane sono presenti nella Didaché – o Dottrina degli apostoli –, nella Lettera ai Corinti di Clemente Romano, negli scritti d’Ignazio d’Antiochia, di Policarpo di Smirne, nel Pastore di Erma, nella Prima apologia di Giustino.

     Da questi scritti risulta che il ministero diaconale, come quello episcopale, nasce dall’alto: è costituito dagli apostoli mandati da Cristo, come Cristo venne mandato dal Padre (Clemente). Risulta poi che i diaconi «sono scelti secondo il pensiero di Cristo», «stabiliti e confermati per mezzo dello Spirito» (Ignazio) e che, in quanto «incaricati del servizio di Gesù Cristo» (Ignazio), come «diaconi dei misteri di Cristo Gesù», «sono diaconi di Dio e di Cristo» (Ignazio) e quindi sono «al servizio della Chiesa di Dio» (Ignazio).

     Il ministero del diacono è liturgico–sacramentale: nell’eucaristia (Didaché) e nella comunione eucaristica (Giustino); nel servizio della Parola in aiuto al vescovo «nella predicazione della parola di Dio» (Ignazio). Ma anche nel campo caritativo, come amministratore di quanto è necessario per la vita delle vedove e degli orfani (Erma).

     La scelta dei candidati al diaconato è condizionata da una vita vissuta secondo le virtù morali (Policarpo). Inoltre si rende necessario trovare diaconi per accompagnare il vescovo-martire (Ignazio), per diventare scrivani- amanuensi e ambasciatori presso le Chiese.

     Con l’espansione del cristianesimo e l’organizzazione della Chiesa gerarchica, a fianco dei vescovi sono ordinati dei presbiteri (letteralmente «anziani») che celebrano l’eucaristia e il perdono dei peccati. Le funzioni diaconali rimangono a supporto dei vescovi, senza potere sacerdotale; sono a essi affiancate figure che rivestono ministeri inferiori: suddiaconi, lettori, ostiari… Nell’Alto Medioevo nascono gli arcidiaconi, e nel tempo diventano così influenti che alcuni di essi diventano sommi pontefici (Vigilio † 555; Bonifacio III † 661; Severino † 686…).

     A partire dall’elaborazione teologica del sacramento dell’ordine, san Tommaso aggrega il diaconato al sacramento dell’ordine (Summ. Th. III, q. 82, art. 3): a proposito della distribuzione dell’eucaristia, distingue tra «consacrazione» della materia e la sua «distribuzione». Il diacono può distribuirla essendo «prossimo all’ordine sacerdotale» perché «partecipa in qualcosa» dell’ufficio di quest’ultimo, cioè del sacerdote.

     Da Trento al Vaticano II. Successivamente, dal XIII secolo fino al concilio di Trento non si registrano significativi interventi del magistero sul diaconato, se non quelli che limitano i poteri di alcuni arcidiaconi. Il concilio di Trento conferma che al sacramento dell’ordine appartengono i vescovi e i presbiteri: indica che per accedere agli ordini maggiori occorre aver ricevuto gli ordini minori. Il can. 2 del decreto sul sacramento dell’ordine dichiara: «Se qualcuno dirà che oltre al sacerdozio non vi sono nella Chiesa altri ordini, maggiori e minori, attraverso i quali, come per gradi, si tenda al sacerdozio, sia anatema». (Denz. 1772). E il can. 6, definendo la gerarchia ecclesiastica, nomina i vescovi, i sacerdoti e i ministri. (Denz. 1776).

     Infine, il Codice di diritto canonico del 1917, al can. 949, tra gli ordini maggiori nomina il presbiterato, il diaconato e il suddiaconato.

     È evidente che nella legislazione – ma anche nella teologia – c’è una evoluzione che sottolinea la necessità di seguire un percorso verso il sacerdozio, ma il confine tra ordini maggiori e minori è labile e anche contraddittorio. Il suddiaconato – come noto – è stato soppresso (cf. Paolo VI, motu proprio Ministeria quædam, 15.8.1972); l’ingresso nello stato clericale è stato fissato con il diaconato.

     Per quanto riguarda invece la presenza delle diaconesse in Oriente la sua ricostruzione storica è problematica. I testi biblici che si riferiscono alle diaconesse sono due. Romani 16,1 – «Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio [diakonos nel testo greco] della Chiesa di Cencre» –; la Prima lettera a Timoteo (1Tm 3,11), nel contesto della quale mentre si parla dei diaconi si fa cenno alle donne e si dice: «Allo stesso modo le donne siano persone degne, non maldicenti, sobrie, fedeli in tutto».

     La voce dei padri della Chiesa e di alcuni concili parla di diaconesse (concili di Nicea, di Costantinopoli, di Calcedonia; Basilio, Gregorio di Nissa…). Nel prosieguo del tempo altri testi sottolineano che alle donne-diaconesse è proibito leggere le Scritture e amministrare il battesimo. Due tesi interpretative sono state elaborate a partire dall’analisi di alcuni reperti storici. La prima afferma che le diaconesse fossero veri e propri diaconi (Vagaggini); la seconda (Martimort) sostiene che si trattasse di titoli onorifici per sottolineare l’impegno delle donne nella liturgia e nella carità.

     Il concilio Vaticano II ha offerto due passaggi sul tema del diaconato: il primo è presente in Lumen gentium n. 29; il secondo in Ad gentes n. 16. Nel primo è scritto che ai diaconi sono imposte le mani «non per il sacerdozio, ma per il servizio» (EV 1/359): in questo contesto al diaconato è assegnata la funzione della «cura d’anime», cioè può ricoprire funzioni nella liturgia, nella catechesi, nel servizio della carità. Il diaconato non è dichiarato sacramento dell’ordine, anche a motivo dell’opposizione di alcuni padri conciliari.

     Nel passaggio di Ad gentes n. 16 si suggerisce che «siano fortificati per mezzo dell’imposizione delle mani» e «siano più strettamente uniti all’altare» coloro che di fatto esercitano il ministero diaconale nella catechesi, nella cura delle parrocchie, nelle azioni di carità (EV 1/1140).

     Infine con i motu proprio di Paolo VI Sacrum diaconatus ordinem (18.6.1967) e Ad pascendum (15.8. 1972) il diaconato viene esplicitamente annesso all’ordine sacro.

     In persona Christi e il ruolo del battezzato. Per quanto riguarda il Codice di diritto canonico del 1983, mentre nella primitiva stesura il can. 1008 faceva riferimento ai ministri sacri come destinati a pascere il popolo di Dio «nella persona di Cristo capo», ciascuno nel suo grado, in una seconda stesura, modificata dal motu proprio di Benedetto XVI Omnium in mentem (26.10.2009) il testo viene corretto e non c’è più il riferimento alla persona di Cristo. Il can 1.009, § 3 esplicita: «Coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità».

    Il Catechismo della Chiesa cattolica, segue pedissequamente il Codice e riserva ai vescovi e ai presbiteri il termine sacerdos. (nn. 1554-1547-1570).

     Le Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti e il Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti (22.2.1988) offrono una semplificazione dei compiti diaconali (cf. Direttorio n. 9): in riferimento al munus docendi i compiti diaconali sono espressi simbolicamente nella liturgia di ordinazione dal rito della consegna dei Vangeli. Il munus sanctificandi del diacono evidenzia come il ministero diaconale abbia il suo punto di partenza e d’arrivo nell’eucaristia. Il munus regendi del diacono viene identificato nell’esercizio delle opere di carità e d’assistenza e nell’animazione di comunità o settori della vita ecclesiale, specie per quanto riguarda la carità. Proprio questo ambito viene ravvisato come il ministero più tipico del diacono.

     Possiamo quindi affermare che dal punto di vista giuridico la condizione del diaconato è ambigua. Da un lato si dice che fa parte del sacramento dell’ordine, dall’altro si nega ogni potestà propria del sacerdozio. S’introduce il concetto di «grado» del sacerdozio, senza specificarne l’origine e le fondamenta. È chiaramente un’elaborazione teologica che non discende dal diritto divino.

    La figura del diacono rischia così di non avere una sua specificità, in quanto, anche il semplice battezzato, grazie al comune sacerdozio battesimale, può compiere le azioni affidate al diacono. Spesso, in terra di missione, per la cura d’anime, si ricorre al can. 517, §2.

     Questo non avviene solo nelle terre di missione, ma nella stessa Europa, con varietà di elaborazione. L’istituzione del diaconato permanente, lasciato nella disponibilità delle conferenze episcopali, si colloca quindi nell’ambito della dottrina esistente; è solo esteso agli uxorati.

     In base al Codice, il battezzato può svolgere le seguenti funzioni:

  • Nelle azioni liturgiche («i laici di sesso maschile […] possono essere assunti stabilmente ai ministeri […] di lettori e accoliti…» can. 230); ministro (o ministra) straordinario della sacra comunione (cf. can. 910, § 2); così per l’eucaristia in forma di viatico (cf. can. 911, § 2); e per l’esposizione della santa eucaristia (senza benedizione; cf. can. 943).
  • Nel «ministero della Parola», assieme ai vescovi e ai presbiteri (can. 759); infatti i «laici possono essere ammessi a predicare in una chiesa o in un oratorio, se in determinate circostanze lo richieda la necessità» (can. 766).
  • Nell’assistenza canonica ai matrimoni: «Dove mancano sacerdoti e diaconi il vescovo (…) può delegare dei laici perché assistano ai matrimoni» (can. 1.112, §1).
  • Nella cura pastorale delle parrocchie: «Nel caso che il vescovo diocesano, a motivo della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di dover affidare a un diacono o a una persona non insignita del carattere sacerdotale o a una comunità di persone una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca un sacerdote il quale, con la potestà e le facoltà di parroco, sia il moderatore della cura pastorale» (can. 517, § 2).

     Dalla missione sino alla potestà di governo

  • Nell’azione missionaria propriamente detta: «I membri degli istituti di vita consacrata, dal momento che si dedicano al servizio della Chiesa in forza della stessa consacrazione, sono tenuti all’obbligo di prestare l’opera loro in modo speciale all’azione missionaria» (can. 783).
  • In uffici e incarichi ecclesiastici vari: «I laici (…) sono giuridicamente abili ad essere assunti dai sacri pastori in quegli uffici ecclesiastici (…) che sono in grado di esercitare» e «sono idonei a prestare aiuto ai pastori della Chiesa come esperti o consiglieri» (can. 228, §§ 1s).
  • Nell’amministrazione dei beni ecclesiastici: «Tutti coloro, sia chierici sia laici che a titolo legittimo hanno parte nell’amministrazione dei beni ecclesiastici sono tenuti ad adempiere i loro compiti in nome della Chiesa, a norma del diritto» (can. 1.282).
  • Nella celebrazione del Sinodo diocesano: «Il Sinodo diocesano è l’assemblea dei sacerdoti e degli altri fedeli della Chiesa particolare» (can. 460); «Al Sinodo diocesano possono essere chiamati in qualità di membri anche altri, sia chierici, sia membri di istituti di vita consacrata, sia fedeli laici» (can. 463, § 2).
  • Nell’esercizio della potestà: «Sono abili alla potestà di governo (…) coloro che sono insigniti dell’ordine sacro» ma «nell’esercizio della medesima potestà, i fedeli laici possono cooperare a norma del diritto» (can. 129, §§ 1s).
  •  Nell’attività giudiziaria dei tribunali ecclesiastici: in qualità di giudici (cf. can. 1.421, § 2), come assessori-consulenti (cf. can. 1.424), come uditori (cf. can. 1.428, § 2), come promotori di giustizia e difensori del vincolo (cf. can. 1.435).

    A fronte di questo quadro, si può ragionevolmente dedurre che nell’azione pastorale si segua uno schema che prevede il vescovo che ha pieni poteri di santificare, insegnare e governare, al quale su eventuale delega, segue il sacerdote e, per ulteriore delega, il diacono e infine il fedele cristiano.

     In sostanza non c’è un passaggio di qualità tra le funzioni svolte dal diacono e dal fedele battezzato. Con un’unica particolarità: al fedele cristiano, al quale pure è concessa ad esempio la distribuzione dell’eucaristia anche in forma di viatico e l’esposizione eucaristica, non è concesso di dare la benedizione.

     Eppure il Rituale romano (Benedizionale), nelle sue Premesse generali, stabilisce che sia il vescovo a presiedere le celebrazioni solenni (cf. n. 18 A); ai presbiteri sono concesse, in assenza del vescovo, tutte le benedizioni (cf. n. 18 B). «Ai diaconi, quali aiutanti del vescovo e del suo presbiterio come ministri della Parola, dell’altare e della carità, spetta presiedere alcune celebrazioni, come indicato a suo luogo. Tutte le volte però che è presente un sacerdote, è più opportuno che proprio a lui venga affidato il compito di presiedere: il diacono gli presterà servizio, esercitando nell’azione liturgica le proprie mansioni» (n. 18 C).

    A seguire «agli accoliti e ai lettori, che in base alla loro “istituzione” svolgono nella Chiesa un ufficio particolare, viene giustamente conferita, a giudizio dell’ordinario del luogo, la facoltà d’impartire di diritto, a preferenza degli altri laici, alcune benedizioni» (n. 18 D).

     Infine: «Anche altri laici, uomini e donne, in forza del sacerdozio comune, di cui sono stati insigniti nel battesimo e nella confermazione, – a condizione che esista un compito specifico (quello, per esempio, dei genitori verso i figli), o l’esercizio di un ministero straordinario, o lo svolgimento di altri uffici particolari nella Chiesa, come avviene in alcune regioni per i religiosi o i catechisti — a determinate condizioni e a giudizio dell’Ordinario del luogo e purché sia notoria la loro necessaria preparazione pastorale e la loro prudenza nel compimento della mansione loro affidata, possono celebrare alcune benedizioni con il rito e il formulario per essi previsto, come indicato nel rituale di ogni benedizione. Se però è presente un sacerdote o un diacono, si deve lasciare a lui il compito di presiedere».

     «La Chiesa si pronunci». Ma in definitiva, se le funzioni sono le medesime, in che consiste la differenza di status tra diacono e battezzato?

    Tutto questo ragionamento ci porta a dire che solo dopo che si sarà chiarita la teologia del diaconato e la sua funzione nella Chiesa si potrà affrontare il tema del diaconato femminile.

     Torniamo all’interrogativo sulla possibilità del diaconato femminile. La domanda sul diaconato alle donne è stata posta dalla Commissione teologica internazionale nel documento Il diaconato: evoluzione e prospettive del 2003. Nelle sue conclusioni, la Commissione afferma: «Per quel che riguarda l’ordinazione delle donne al diaconato, conviene notare due indicazioni importanti che emergono da quanto è stato sin qui esposto:

  1. Le diaconesse di cui si fa menzione nella Tradizione della Chiesa primitiva – secondo ciò che suggeriscono il rito di istituzione e le funzioni esercitate – non sono puramente e semplicemente assimilabili ai diaconi;
  2. L’unità del sacramento dell’ordine, nella chiara distinzione tra i ministeri del vescovo e dei presbiteri da una parte, e il ministero diaconale dall’altra, è fortemente sottolineata dalla Tradizione ecclesiale, soprattutto nella dottrina del concilio Vaticano II e nell’insegnamento postconciliare del Magistero. Alla luce di tali elementi posti in evidenza dalla presente ricerca storico-teologica, spetterà al ministero di discernimento che il Signore ha stabilito nella sua Chiesa pronunciarsi con autorità sulla questione» (Regno-doc. 9,2003,301).

    La Commissione istituita da papa Francesco il 2 agosto del 2016 per affrontare il tema della prassi ecclesiale sul diaconato delle donne nel I millennio, non è giunta a una dichiarazione condivisa. Lo ha comunicato il papa nell’udienza del 10 maggio 2019 scorso concessa all’Unione internazionale delle superiore generali (Regno-att. 10,2019,309; 12,2019,346).

    La ricerca continua: il cuore del problema è capire se il ministero del diaconato è specifico in quanto propedeutico al sacramento dell’ordine (cosa vera per chi aspira al sacerdozio, ma non vera per il diaconato permanente) o se ha una sua collocazione di servizio al vescovo e alla Chiesa a prescindere dal legame (finora non specificato) al sacramento dell’ordine.

    La dottrina teologica e giuridica esprime la prima posizione, escludendo il diaconato alle donne; la prassi autorizza funzioni simili al diaconato, permettendo la cura d’anime anche alle donne. Per alcuni territori addirittura si auspica un particolare ministero per chi è catechista, opera per la pastorale, agisce nelle iniziative di carità, senza riferimenti al diaconato.

    Ancora più recentemente l’Instrumentum laboris in vista del Sinodo panamazzonico (cf. qui a p. 391) s’interroga sul «tipo di ministero che può essere conferito alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che esse svolgono oggi nella Chiesa amazzonica» (n. 129).

    La discussione si riaprirà a ottobre prossimo.

Vinicio Albanesi

www.ilregno.it/attualita/2019/14/diritto-canonico-diaconato-femminile-una-questione-di-statuto-vinicio-albanesi

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DONNE NELLA CHIESA

Chiesa in crisi con Maddalena

     Festa liturgica di santa Maria Maddalena, oggi: ricorrenza che ai “laici”, e ai cattolici distratti, dice poco; molto, invece, a quanti sanno che un ripensamento della Chiesa a partire dal compito che Gesù affidò a quella donna comporterà una autentica rivoluzione nel modo di organizzarsi del Cristianesimo nella storia. Fondendo in una sola persona le varie Marie di cui parla il Vangelo, si è venuti a ritenere la Maddalena come la peccatrice redenta dal Signore; oggi, però, gli esegeti mettono in guardia da questa semplificazione. Qui ci riferiamo a quella Maria di Magdala che corse al sepolcro dove era stato deposto il Crocifisso, e, vedendo la tomba vuota, domandò all’uomo che lei riteneva il giardiniere dove avessero posto il corpo di Gesù. E, quando Questi si fece da lei riconoscere chiamandola con estrema dolcezza “Maria!“, Lui gli affidò la missione di annunciare agli apostoli la sua risurrezione.

      Le Scritture cristiane testimoniano, dunque, che alle origini della Chiesa, per annunciare il nucleo centrale del suo messaggio Gesù volle una donna. Ella non era, perciò, “sotto” gli apostoli, ma sullo stesso livello. Di fatto, però, poi le comunità cristiane – questa la storia, salvo eccezioni, raccontata fino ad oggi – si sarebbero strutturate tutte escludendo la donna dai ministeri del presbiterato e dell’episcopato, riservati agli uomini. Ma all’inizio di questo mese Ally Kateusz, una studiosa statunitense, in un convegno all’Università Gregoriana di Roma (retta dai gesuiti), apportando un’ampia documentazione storica e archeologica, ha sostenuto che una serie di mosaici dei primi secoli, per tanto tempo occultati deliberatamente, dimostrerebbero che la Madonna era vestita con paramenti riservati, a quel che si sapeva finora, ai vescovi. Altre donne sarebbero rivestite con abiti presbiterali. Antichi documenti – aggiungiamo – rappresentano la Maddalena come “corrispettiva” a Pietro.

     Anche se essi non sono stati inseriti nei libri canonici (cioè ritenuti ispirati da Dio) aprono degli spiragli su quella che poteva essere la Chiesa primitiva. Da alcuni decenni a questa parte le Chiese legate alla Riforma, e quelle anglicane, hanno quasi tutte aperto al pastorato femminile e, molte, all’episcopato anche per le donne. Le Chiese ortodosse, invece, e la Chiesa cattolica romana, persistono nel negare questa possibilità, rilevando che tra i dodici apostoli Gesù non volle donne, e che esse mai presiedettero l’Eucaristia. Quali che siano le conseguenze degli studi della Kateusz, è evidente che il “no” alle donne nei più alti ministeri ecclesiali viene minato alla radice proprio dalla “mission” che Gesù affidò alla Maddalena.

     Accoglierla, comporterà ovviamente cambiamenti profondissimi nella struttura della Chiesa romana e dell’Ortodossia. Ma rifiutare, ora, il cambiamento, non fa che ritardare un rivoluzionamento che prima o poi sarà inevitabile. È quello che propongono movimenti femminili e femministi, e molte voci provenienti dal mondo teologico. L’ammissione della donna-diacono sarebbe solo un primo timido passo verso un più ampio rinnovamento. Negarlo è davvero arduo, però, se quanto il Vangelo racconta di Gesù e della Maddalena si prende con la serietà che merita. Una commissione vaticana, voluta nel 2016 da papa Francesco per discutere sulla possibilità della donna-diacono, non è riuscita, dopo anni di lavoro, a dare un responso. Figurarsi, allora, l’ipotesi della donna nel presbiterato e nell’episcopato. Solo un Concilio, aperto a “padri” e “madri”, potrebbe osare tanto. Forse.

Luigi Sandri      “L’Adige”    22 luglio 2019

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201907/190722sandri.pdf

 

La teologia è prudente

     Nella graduatoria delle parole dotate di ambiguità, prudenza sicuramente   è   in   alto, dal   momento che può indicare almeno due cose   decisamente   antitetiche.  Frequentemente infatti è utilizzata, anche nelle comunità ecclesiali, nel suo significato comune e banale: è imprudente chi si espone, chi prende la parola su questioni in discussione, chi si oppone a comandi che ritiene ingiusti prima che la storia li definisca tali. In questo senso, ad esempio, imprudente Sophie Scholl della Rosa Bianca, imprudente e inopportuno Lorenzo Milani: almeno finché la cronaca, sempre tardiva, non ne faccia post mortem i famosi profeti cui costruire le tombe.  A questa concezione ben si applicano, a secoli di distanza, le parole con cui Manzoni descrive don Abbondio, che oltre a scansare i contrasti o casomai mettersi dalla parte del più forte, così stigmatizzava chi si comportava diversamente: «Era poi un rigido censore degli uomini che non si regolavano come lui, quando però la censura potesse esercitarsi senza alcuno, anche lontano, pericolo.  Il battuto era almeno un imprudente; l’ammazzato era sempre stato un uomo torbido.  A chi, messosi a sostenere le sue ragioni contro un potente rimaneva col   capo   rotto, don   Abbondio   sapeva   trovar sempre qualche torto. Soprattutto poi, declamava contro quei suoi confratelli che, a loro rischio, prendevano le parti d’un debole oppresso, contro un soverchiatore potente».

      Quanto possa adattarsi tutto questo alla contemporaneità e anche alla stretta attualità, credo sia cosa tanto evidente da non richiedere glossa. Diversa tuttavia la forma classica della phronesis, che è intelligenza pratica che scruta, vaglia, progetta.  In questo modo è ripresa anche nella Scrittura: non a caso il testo evangelico (Matteo 10,16) chiede di essere phronimoi, intelligenti/prudenti come il serpente (anche ’arum di Genesi 3,1 è reso nel greco con lo stesso termine, anche se preferiamo tradurlo come astuto) oltreché   semplici   come   le   colombe.   La   prudenza evangelica   è   dunque   discernimento   pacato   e franchezza audace, con l’aggiunta di una dote particolare e feriale che è il senso del limite, la capacità del penultimo: prendere parola e assumere posizioni implica infatti l’uscita dall’assoluto, perché non parla di essenze eteree, immutabili e impalpabili, ma di questioni storiche, di corpi e di vite, di soluzioni da adottare e di vie da percorrere.  Si potrebbe  richiamare  a  questo proposito  la  coppia  urgenza/pazienza,  che  attraversa  i  principali  documenti  dell’attuale  pontificato:  in Laudato  si’ si  tratta  di  prendere  provvedimenti  senza  tardare  ma  nello  stesso  tempo  di avere  occhi  per  vedere  anche  la  bellezza  delle periferie;  in Gaudete  et  exsultate la  santità  della porta  accanto  con  l’attenzione  ai  piccoli  particolari e  la forma esigente del  martirio; in Evangelii gaudium l’indicazione   di   attivare   processi   più che  di  occupare  spazi,  senza  accidia  spirituale. Non è immediato per la teologia, viziata da uno statuto che la pretendeva perenne, entrare in questa dinamica, mantenendo tuttavia il  servizio  suo  proprio,  legato  all’istanza  critica  e  al pensiero.  Una  forma  esemplare  è  stata  raggiunta nella   Facoltà   teologica   dell’Italia   Meridionale col  convegno  La  Teologia  dopo  Veritatis  Gaudium nel  contesto  del  Mediterraneo,  cui  non  è  mancata profondità  e  franchezza,  anche  rispetto  al  ruolo dei   laici   e   fra   questi   delle   donne.   Così   si   è espressa, fra gli altri, la collega Anna Carfora: «Bisogna decostruire quelle narrazioni del femminile che storicamente non hanno fatto bene a nessuno.  Esaltare la donna, magnificare le virtù dell’eterno femminino non è stato un buon servizio reso nel tempo agli uomini così come alle donne.  Non è questione di sapere chi esse sono ma ammettere e permettere che ci siano, nel mondo come nella Chiesa, riconoscendo il loro essere soggetti, persone.  Il femminile, inoltre, non va declinato al singolare nemmeno in teologia: non la donna, ma le donne concrete e le opportunità per loro e che vengono da loro.  La metafora del poliedro può essere applicata al mondo femminile: è poliedrico, infatti, anche l’universo delle donne».  Prudenza audace che mette in moto processi: le studentesse (12 donne un ragazzo, per la precisione) hanno a propria volta scritto una lettera al Papa su questi temi, intitolandola “prima che gridino le pietre”.  Sarà importante diffonderla e leggerla.

Cristina Simonelli Docente di Antichità cristiane, presidente del coordinamento delle teologhe italiane

L’Osservatore Romano   Donne Chiesa Mondo n. 81 luglio 2019

Pag. 33      www.osservatoreromano.va/vaticanresources/pdf_supplement/Donne_luglio_2019.pdf

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

La prostituzione è una malattia dell’umanità

   Questo testo è la prefazione che il Pontefice ha scritto al libro “Donne crocifisse. La vergogna della tratta raccontata dalla strada” (Rubettino) di don Aldo Buonaiuto, sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII.

   Quando in uno dei Venerdì della Misericordia durante l’Anno Santo Straordinario sono entrato nella casa di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII, non pensavo che lì dentro avrei trovato donne così umiliate, affrante, provate. Realmente donne crocifisse. Nella stanza in cui ho incontrato le ragazze liberate dalla tratta della prostituzione coatta, ho respirato tutto il dolore, l’ingiustizia e l’effetto della sopraffazione. Un’opportunità per rivivere le ferite di Cristo.

   Dopo aver ascoltato i racconti commoventi e umanissimi di queste povere donne, alcune delle quali con il bambino in braccio, ho sentito forte desiderio, quasi l’esigenza di chiedere loro perdono per le vere e proprie torture che hanno dovuto sopportare a causa dei clienti, molti dei quali si definiscono cristiani. Una spinta in più a pregare per l’accoglienza delle vittime della tratta della prostituzione forzata e della violenza.

   Una persona non può mai essere messa in vendita. Per questo sono felice di poter far conoscere l’opera preziosa e coraggiosa di soccorso e di riabilitazione che don Aldo Buonaiuto, svolge da tanti anni, seguendo il carisma di Oreste Benzi. Ciò comporta anche la disponibilità ad esporsi ai pericoli e alle ritorsioni della criminalità che di queste ragazze ha fatto un’inesauribile fonte di guadagni illeciti e vergognosi.

   Vorrei che questo libro trovasse ascolto nel più ampio ambito possibile affinché, conoscendo le storie che sono dietro i numeri sconvolgenti della tratta, si possa capire che senza fermare una così alta domanda dei clienti non si potrà efficacemente contrastare lo sfruttamento e l’umiliazione di vite innocenti.

   La corruzione è una malattia che non si ferma da sola, serve una presa di coscienza a livello individuale e collettivo, anche come Chiesa, per aiutare veramente queste nostre sfortunate sorelle e per impedire che l’iniquità del mondo ricada sulle più fragili e indifese creature. Qualsiasi forma di prostituzione è una riduzione in schiavitù, un atto criminale, un vizio schifoso che confonde il fare l’amore con lo sfogare i propri istinti torturando una donna inerme.

   È una ferita alla coscienza collettiva, una deviazione all’immaginario corrente. È patologica la mentalità per cui una donna vada sfruttata come se fosse una merce da usare e poi gettare. È una malattia dell’umanità, un modo sbagliato di pensare della società. Liberare queste povere schiave è un gesto di misericordia e un dovere per tutti gli uomini di buona volontà. Il loro grido di dolore non può lasciare indifferenti né i singoli individui né le istituzioni. Nessuno deve voltarsi dall’altra parte o lavarsi le mani del sangue innocente che viene versato sulle strade del mondo.

La repubblica 28 luglio 2019

www.repubblica.it/vaticano/2019/07/28/news/la_prostituzione_e_una_malattia_dell_umanita_-232259467/?ref=RHPPLF-BH-I232267496-C8-P6-S1.8-T1

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MATRIMONIO

Gesù non parla di famiglia, e nemmeno di matrimonio

   Ai vescovi presenti in sala al Congresso di Verona sulla famiglia, ricordiamo che Gesù non ha mai trattato il tema della famiglia, che il suo messaggio e i suoi costumi abituali (ethos) sono a-familiari, sino al micidiale «Chi non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle… non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). Come mai allora tanta insistenza sulla famiglia?

   Agli episcopi ci permettiamo di spiegare… il vangelo (Marco 10,6-9 e i due passi della Genesi che Gesù ivi cita). Non ci interessa l’introduzione (2-5 sul ripudio) poiché è solo un mezzo redazionale molto dotto per introdurre la citazione della Genesi, una costruzione letteraria raffinata in polemica col giudaismo farisaico. Tale disputa colta è un prodotto della Chiesa primitiva. Essa infatti segue lo schema classico dei dialoghi didattici, nei quali viene posta una domanda al maestro (v. 2: «è lecito ripudiare la moglie?»), alla quale egli replica di regola con un’altra (contro) domanda (v. 3: «cosa vi ha ordinato Mosè?»); e solo dopo la risposta a quest’ultima, il maestro trae le conclusioni, esattamente come nel successivo racconto del (cosiddetto giovane) ricco. La «durezza di cuore» è un escamotage ben studiato per salvare capra e cavoli: da una parte modificare la normativa mosaica (cosa indigesta per un giudeo-cristiano) e dall’altra giustificare Mosè per la sua concessione.

   Poi, dopo la citazione di Gesù, in Marco 10,10-12 la scena prosegue rientrando a casa, con ulteriori delucidazioni sul ripudio, che sono anch’esse una creazione della chiesa antica con la tipica tecnica della spiegazione in separata sede (come dopo la parabola del seminatore in Mc 4,14-20, la cui interpretazione in termini allegorici non è di Gesù). Con tale sandwich la trappola è scattata: anche le parole centrali di Gesù (il succo prelibato all’interno del tramezzino) sono state intese in senso matrimoniale; ma così non è.

     La spinta della carne (basar). Gesù cita sbrigativamente Gen 1,27: parecchi [fra cui il già citato nel n. 460 Carlo Enzo in «Servitium» III 228 (2016) p. 58s], non traducono zakar uneqabah con «maschio e femmina», bensì con «maschile e femminile li creò» (in ciò confortati anche dalla traduzione dei LXX, arsen kai thêlu, sia qui che in 5,2; il che non è poco). A Dio «non interessa progettare i sessi, da cui sarà costituita biologicamente la specie umana, ma indicare i caratteri psicologici e morali che solitamente vengono attribuiti a ciascun sesso… caratteri che dovranno essere propri a ciascun individuo, sia esso maschio o femmina» [«chi vuol capire capisca» (Mc 4,9), secondo la variante aggiuntiva del manoscritto veronese a due passi dal mega-raduno euganeo, un network ultra-cattolico che demonizza l’omosessualità e la cura della disforia di genere nel 3% degli adolescenti; cfr le due endocrinologhe sulla «Stampa» del 10 aprile 2019].

   Carlo Enzo (57) scrive inoltre: «Dico “creazione”, ma dovrei dire “progetto”; infatti la voce verbale bara’ non significa, come si crede comunemente, inventare una cosa nuova e farla, ma soltanto pensarla e progettarla». Di conseguenza si potrebbe anche tradurre l’intero versetto 27 «Dio progettò l’Uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo architettò, maschile e femminile li pensò».

   Ai prelati, cattolici e ortodossi, di Verona ricordiamo che dono di Dio è l’essere maschio-femmina o maschile-femminile, mentre invece le acquisizioni socio-culturali, comprese le istituzioni tra cui il matrimonio, sono opera umana, non un dono di Dio [così Westermann 84-86, sempre nel Biblischer Kommentar]; il suo dono unitivo è l’essere maschi e femmine che sboccerà (il secondo passo della Genesi citato da Gesù) nell’amore uomo-donna. Infatti Gen 2,24 suona: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna, e saranno basar ‘hd (in ebraico, ed eis sarka mian in greco)». Balza agli occhi l’aspetto dinamico e progressivo reso da Westermann in tedesco sempre con «zu einem Fleisch» [«verso (ad) una carne», senza il «sola»; la preposizione zu + il dativo, che corrisponde all’eis + l’accusativo dei LXX].

    Parafrasando la p. 318 di Westermann, anzitutto i due verbi «lascerà e si unirà» non possono essere intesi come una descrizione di strutture istituzionali matrimoniali: il matrimonio è fuori quadro, coi suoi elementi familiari e socio-economici insiti nella sua stipulazione, determinata dal pesante intervento dei genitori. Questo passo non coincide con la concezione dei rapporti familiari patriarcali dell’antico Israele, nel quale col matrimonio è più la donna che l’uomo a staccarsi dalla propria famiglia (come da noi sino a non molto tempo fa); perciò, se qui si trattasse di matrimonio, sarebbe più la donna a lasciare i genitori. Rammentiamo ai vescovi di Verona che forse il matrimonio sta sullo sfondo, ma come parallelismo di contrasto: «a differenza delle istituzioni vigenti, e in parte persino in opposizione ad esse, si fa leva sull’elementare forza dell’amore fra uomo e donna», che provengono da famiglie diverse e forse si erano a malapena conosciuti. «Qui non si parla del matrimonio come istituzione per la prosecuzione della specie, bensì della comunione di uomo e donna in quanto tale». Qui tira l’aria del Cantico dei cantici, in cui i due si sono scelti (esulando dalle nozze combinate o forzate) per un’unità spirituale; «qui si tratta della più onnicomprensiva delle comunioni personali. L’uomo appartiene ora alla sua donna, cioè entra in una solida comunione di vita con lei in forza dell’amore per lei».

     Ciò che Dio unisce è l’attrazione amorosa. Il «zu einem Fleisch» (verso, ad una carne) indica un processo assolutamente personale di affetto, attaccamento, attrazione, che prescinde dalla posizione-collocazione sociale. L’uomo, per amore della donna, lascia persino il padre e la madre, allentando dunque i fortissimi legami corporei e psichici.

     Rammentiamo ai prelati veronesi il fatto sorprendente e straordinario che qui sia la pulsione basilare della reciproca attrazione a essere data e fondata sull’essere-creati, e non primariamente la procreazione e neppure l’istituzione del matrimonio come tale. È un dato creaturale, progettuale e benedicente di origine divina, che fa certo riferimento a un nucleo domestico (quindi, modernamente parlando, pure alle convivenze), ma non al matrimonio coi suoi vincoli. Perciò, in relazione alla (passata) durezza delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti delle convivenze [ma non dell’Amoris lætitia e nelle esperienze di convivenza accolte in sede pastorale negli incontri di coppie], varrebbe invece l’opposto: semmai è la convivenza che fa parte del progetto di Dio, ma non (direttamente) il matrimonio.

     Gesù, nel citare Genesi 2,24, “si permette” un’omissione vistosa: dopo «l’Uomo [anthropos, sia uomo che donna] lascerà suo padre e sua madre», non c’è «e si unirà alla sua donna» (che fra l’altro in Marco striderebbe col suo soggetto anthropos, genere umano; cosa di cui non si sono resi conto i copisti posteriori quando l’hanno aggiunta). Il che rende ancor più chiaro che nel vangelo non si parla di marito e moglie. «E si unirà alla sua donna» è scartata da tutte le edizioni critiche perché manca nei codici più antichi e autorevoli come il Sinaitico e il Vaticano, comprese le versioni della Cei del secolo scorso; ma «e si unirà a sua moglie (sic)» è ricomparsa nella versione del 2008 [c’è una manina anche alla Cei?], e pure nell’ultima versione (2018) delle Edizioni Paoline. Il testo ebraico e il testo di Marco concordano: non c’entra, o è molto secondaria, la prospettiva del matrimonio e della prole. Il punto di vista di Gesù è extra-matrimoniale. Questo ricordiamo ai prelati cattolici e ortodossi del network veronese, come pure che la conclusione: «Dunque ciò che Dio ha unito, l’uomo non separi» è un ammonimento sapienziale, non un dogma: e comunque l’accento non è posto sulla rottura di un contratto. D’altronde come potrebbe esserci una legge “non negoziabile” nell’unico vangelo in cui non ricorre mai la parola “legge” (nomos)!

     Il Gesù di Marco interpreta correttamente le parole della Genesi senza far riferimento al matrimonio e a un suo presunto vincolo (considerato) indissolubile. Quindi la suddetta massima conclusiva di valore esortativo, opportunamente introdotta da oun (dunque), intende preservare il più possibile l’unione amorosa dell’uomo e della donna, e farla crescere verso una carne. L’uomo non deve interferire, ostacolare, interrompere o distruggere tale relazione d’amore, fondata nella Genesi ed elemento costitutivo del progetto creativo divino: questo è quel che Dio ha congiunto e continua a riunire.

     La vita costruisce la relazione di coppia. Se quindi ciò che Dio unisce è la relazione d’amore verso una carne, le alte sfere gerarchiche [non mi riferisco a Papa Francesco, semmai ai suoi “oppositori” presenti a Verona] non dovrebbero interferire nei rapporti di coppia, poiché le eventuali accuse nei confronti dei conviventi e dei risposati andrebbero contro l’ammonimento di Gesù: ossia in un senso diametralmente opposto alla dottrina tradizionale, per la quale quel che Dio ha unito sarebbe il matrimonio “rato e consumato”, e non tanto il rapporto d’amore. Ma anche noi «siamo chiesa» come quella di Marco, e possiamo esprimerci: colpevolizzare ed escludere l’amore dei risposati andrebbe contro l’ammonimento sapienziale di Gesù, anziché applicarlo! Siamo consapevoli del significato di questo rovesciamento a cui ci ha portato il metodo storico-critico; non c’è da salvaguardare un vincolo di indissolubilità, bensì da salvare l’amore dell’uomo e della donna, compreso ovviamente quello del primo matrimonio (senza derive divorziste all’americana).

     Secondo le belle parole di Eduard Schweizer (Il Vangelo di Marco, Collana «Nuovo Testamento», Paideia-Brescia 1971, p. 217) «Non si può chiedere: che cos’è proibito dalla legge, e dove c’è per me un luogo di scampo dalla legge? Invece di porre questo dilemma, Gesù dirige gli sguardi dei suoi ascoltatori al dono del Creatore ed esorta a viverne. In questa libertà dalle considerazioni esclusivamente legali, che è dono di Dio, si realizza dunque il fine della creazione».

      Dalla nostra indagine biblica possiamo quindi arguire che Dio oggi congiunga anche le convivenze, nonché i secondi amori, con o senza matrimonio. Occorre trovare una soluzione pastorale per i divorziati risposati: l’attuale prassi, che prevede la riammissione all’Eucarestia solo nel caso essi vivano come fratello e sorella, è in palese contraddizione col forte slancio verso una carne unanime (basar ‘hd, in carnem unam nella «Nova Vulgata» del 1998).

Mauro Pedrazzoli       Il foglio (Torino) n. 462

www.ilfoglio.info/default.asp?id=17&ACT=5&content=782&mnu=17

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PARLAMENTO

Senato. 2° Commissione Giustizia – Affido condiviso

    16 luglio 2019. Seguito dell’esame congiunto in sede referente dei disegni di legge nn. 45, 118, 735, 768 e 837, congiunzione con l’esame del disegno di legge n. 1224 e rinvio.

   (1224) Licia Ronzulli e Maria Alessandra Gallone – Modifiche al codice civile in materia di affido condiviso www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1107542/index.html?part=ddlpres_ddlpres1

   Il relatore Pillon illustra il disegno di legge n. 1224 che reca, anche esso, modifiche alla disciplina civilistica dell’affido condiviso.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=18&id=1118758&part=doc_dc-sedetit_isr

Assegno divorzile

(1293) Deputato Alessia Morani.  –  Modifiche alla legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile, approvato dalla Camera dei deputati 

(167) Julia Unterberger.  –  Modifiche all’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile

16 luglio 2019 Seguito dell’esame congiunto in sede referente e rinvio. Prosegue l’esame congiunto, sospeso nella seconda seduta pomeridiana del 2 luglio 2019.

      Il relatore Pillon propone di procedere con un ciclo di audizioni sull’argomento. La Commissione conviene. Il senatore Caliendo auspica che gli approfondimenti abbiamo un profilo eminentemente tecnico.

La senatrice Unterberger ritiene superfluo l’intervento legislativo in questione essendosi sull’argomento pronunciate in misura largamente chiarificatrice le sezioni unite della Corte di cassazione.

Il senatore Cucca evidenzia l’importanza della centralità del Parlamento e ritiene pertanto necessario un intervento legislativo.

            Il seguito dell’esame congiunto è quindi rinviato.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=18&id=1118758&part=doc_dc-sedetit_isr

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VIOLENZA

                                                          La gelosia ossessiva è reato

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 32781, 22 luglio 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_35402_1.pdf

   Integra reato di maltrattamenti controllare ossessivamente la vita intima e sociale della compagna, denigrandola e mostrando disprezzo davanti alle figlie. La sentenza della Cassazione analizza nel profondo atteggiamenti abitualmente tollerati come normali perché appartenenti all’uomo medio e considerati come scriminanti del reato di maltrattamenti. Gli Ermellini accolgono la tesi del PM ricorrente, per il quale il Tribunale ha errato nell’assolvere l’imputato dal reato di cui all’art 572 c.p. solo perché le sue condotte sarebbero da ricondurre alla normale gelosia che caratterizza la vita di coppia. Quando la gelosia si traduce in comportamenti controllanti lesivi della vita intima e sociale della compagna non si può trascurare il carico di violenza e offensività insite in tali condotte, che denotano un chiaro intento prevaricatorio, che mira all’assoggettamento della persona offesa e che è tipico proprio del reato di maltrattamenti.

   Ricorre in Cassazione il PM avverso la sentenza che ha assolto l’imputato, con la formula “perché il fatto non sussiste” dal reato previsto dall’art 572 c.p., commesso ai danni della convivente, per erronea applicazione della legge penale, relativamente alla nozione di maltrattamenti. Le condotte, secondo il PM, sono state qualificate in modo riduttivo e frazionato, trascurandone il contenuto violento, le minacce e il controllo maniacale della compagna con telefonate, controlli GPS, telecamere nascoste, interrogatori notturni, ispezione dell’igiene personale, oltre ad atteggiamenti di disprezzo in cui sono state coinvolte anche le figlie minori.

   La gelosia ossessiva integra reato di maltrattamento. La Cassazione accoglie il ricorso del PM perché fondato. Erra il giudice di merito nel momento in cui riconduce a semplice gelosia tipica di un rapporto sentimentale le azioni dell’imputato. Telefonate, messaggi, chiamate video per verificare dove e con chi si trovasse la compagna, minacce di morte indirizzate alla stessa e all’amante immaginato dall’imputato, sono condotte ingiustificabili, anche se collocate temporalmente in un periodo di crisi della coppia. Questi comportamenti hanno caratterizzato e influenzato l’intera vita famigliare a causa del coinvolgimento delle figlie, spettatrici involontarie delle offese rivolte alla madre.

   “Anche comportamenti fisicamente non violenti, che si arrestano alla soglia della minaccia, raggiungono la soglia della rilevanza penale ai fini del reato di cui all’art. 572 c.p., quando si collochino in una più ampia e unitaria condotta abituale idonea ad imporre alla vittima un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile. E’ dunque essenziale, ai fini della ricostruzione del reato di maltrattamenti di cui all’art 572 cod. penale, l’accertamento della abitualità e ripetitività della condotta lungo un ambito temporale rilevante senza che la valutazione di offensività possa arrestarsi a fronte di condotte che non culminino in veri e propri atti di aggressione fisica”.

   Il giudizio del Tribunale è assolutamente superficiale, perché non tiene conto della tensione e della violenza accumulata “che denota la carica criminogena dell’agente per l’ineludibile riflesso che tale carico produce nella vita della vittima” e la vessatorietà tipica del reato di maltrattamenti. I comportati improntati al controllo della vita sociale e intima della donna non perdono la loro offensività e la carica vessatoria per il sentimento di gelosia provato dall’imputato. Essi denotano infatti un chiaro intento offensivo e prevaricatore perché gravemente lesivi della privacy della persona, che caratterizza il reato di maltrattamenti.

Annamaria Villafrate Studio Cataldi 24 luglio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/35402-cassazione-la-gelosia-ossessiva-e-reato.asp

 

Art. 572 codice penale. Maltrattamenti contro familiari e conviventi.

   Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

 

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