NewsUCIPEM n. 754 – 19 maggio 2019

NewsUCIPEM n. 754 – 19 maggio 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, 2019che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

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I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.

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01 ABUSI                                                            Atti sessuali abuso: ultime sentenze

03 ADOZIONE                                                   Nel giudizio di adozione è necessaria l’assistenza legale del minore

04 ADOZIONE INTERNAZIONALE              Solidarietà nel mirino. Adozioni, la minaccia razzismo

05 ADOZIONE INTERNAZIONALE              La Via della Seta tra Italia e Cina passa anche dai bambini

05 AFFIDO CONDIVISO                                 La madre risarcisce il figlio per avergli impedito di vedere il padre

06 AFFIDAMENTO DEI FIGLI                       Affidamento condiviso, congiunto, alternato ed esclusivo

08 ASSEGNO DIVORZILE                              Avvocati matrimonialisti: riforma assegno rivoluzione copernicana

09 ASSOCIAZIONI-MOVIMENTI                               Ai. Bi in Marocco fino al 2021 per formare gli Intermediari sociali

09 CASA CONIUGALE                                    Divorzio casa coniugale e figli maggiorenni

10 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 19, 15 maggio 2019.

12 CHIESA CATTOLICA                                  Anche noi eretici come te

14                                                                          Gli oppositori

16 CITTÀ DEL VATICANO                              Amoris Lætitia bussola per nuova ricerca sulle famiglie del mondo

17 COMM.ADOZIONI INTERNAZ.             La Cambogia riavvia la cooperazione bilaterale con l’Italia

17 CONFERENZA EPISCOPALE ITAL.        A che punto siamo sulla pedofilia del clero?

20 CONGRESSI–CONVEGNI–CORSI-       77° corso di studi cristiani alla Cittadella di Assisi. 21-25 agosto 2019

20 CONSULTORI UCIPEM                            Collegno. Famiglialcentro.Aggiornamento per consulenti familiari

21                                                                          Trento Siete in crisi? Il sindaco paga la “manutenzione di coppia”

21 COPPIE DI FATTO                                      Contratto di convivenza: la guida per le coppie non sposate

23                                                                          Ricongiungimento familiare da tutela ampia delle convivenze

24 DALLA NAVATA                                         5° Domenica di Pasqua – Anno C – 19 maggio 2019

24                                                                          Siamo tutti mendicanti di amore in cammino

24 DIVORZIO                                                    Ecco il corso (gratuito) per guidarti verso un addio ”amichevole”

26 DONNE NELLA CHIESA                            Sulle donne diacono il Papa vuole una discussione ampia.

27                                                       Donna e ministero: una soluzione inattesa dal Concilio di Trento?

30                                                                          Un cambiamento di paradigma “Vultum Dei Quaerere”

31 ENTI TERZO SETTORE                               Dal 20 maggio sanzioni per chi non applica il Gdpr

31 FIGLI                                                              La Chiesa oltre il tabù adesso apre le porte ai figli dei sacerdoti

32                                                                          Chiesa cattolica di Francia verso il riconoscimento dei figli di preti

33 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    Basta scontri, su tema-famiglia torni clima d’unità del Tavolo MISE

34 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA       Prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie su vocazione e santità

34 MINORI                                                        Bambini maltrattati. Cesvi: quasi 100mila ed è allarme al sud.

35 OBIEZIONE DI COSCIENZA                     Ai sanitari. Il Papa: sì all’obiezione, ma sia fatta con rispetto

36 PARLAMENTO                                            Camera Deputati. Assemblea. Approvato Pdl su Assegno divorzile

36 WELFARE                                                     Congedo maternità post parto: prime istruzioni

36                                                                          Assegno per il congedo matrimoniale

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ABUSI

Atti sessuali abuso: ultime sentenze

Quando si configura il reato di violenza sessuale? La condotta di coloro che inducono la vittima che versa in condizioni di inferiorità psichica o fisica, a subire atti sessuali, abusando del loro stato, integra il reato di violenza sessuale di gruppo. La violenza sessuale con l’abuso delle condizioni di inferiorità sussiste anche quando la persona offesa ha volontariamente assunto alcol o droghe.

  1. 1.     Protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. In tema di pornografia minorile, in virtù della modifica introdotta dall’art. 4, comma 1, lett. l), della legge n. 172 del 2012 (Ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale) – che ha sostituito il primo comma dell’art. 600-ter cod. pen. – costituisce materiale pedopornografico la rappresentazione, con qualsiasi mezzo atto alla conservazione, di atti sessuali espliciti coinvolgenti soggetti minori di età, oppure degli organi sessuali di minori con modalità tali da rendere manifesto il fine di causare concupiscenza od ogni altra pulsione di natura sessuale. Cassazione penale sez. V, 08/06/2018, n.33862.
  2. Violenza sessuale ai danni di infraquattordicenne. Il delitto di violenza sessuale commessa ai danni di persona infraquattordicenne di cui agli artt. 609-bis, comma secondo, n. 1 e 609-ter, comma primo, n. 1, cod. pen., si distingue dalla fattispecie a forma libera di atti sessuali con minorenne per la presenza di una condotta di induzione, ossia per l’attività di persuasione del minore succube e passivamente tollerante, che manca nel reato disciplinato dall’art. 609-quater cod. pen., nel quale il consenso del minore è viziato dalla condizione di inferiorità dovuta all’età.

Cassazione penale sez. III, 17/05/2018, n.44530

  1. 3.     Violenza sessuale di gruppo con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica. Integra il reato di violenza sessuale di gruppo, con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica, la condotta di coloro che inducano la persona offesa a subire atti sessuali in uno stato di infermità psichica determinato dall’assunzione di bevande alcoliche, essendo l’aggressione all’altrui sfera sessuale connotata da modalità insidiose e subdole, anche se la parte offesa ha volontariamente assunto alcol e droghe, rilevando solo la sua condizione di inferiorità psichica o fisica seguente all’assunzione delle dette sostanze. Cassazione penale sez. III, 19/01/2018, n.32462.
  2. Violenza sessuale e abuso di autorità. In tema di violenza sessuale, si parla di abuso di autorità ogniqualvolta un qualsiasi soggetto dotato di autorità pubblica o privata, abusi della propria posizione per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali, specificando come rientrano in tale categoria non solo i soggetti pubblici ufficiali che svolgono funzioni pubbliche ma anche soggetti che svolgono funzioni aventi natura privatistica, come ad esempio coloro che compiono funzioni d’ufficio, prestazioni d’opera, di coabitazione o di ospitalità (nella specie, la Corte ha ritenuto integrato l’abuso di autorità in capo ad un parroco accusato di atti sessuali su minori).

Cassazione penale sez. III, 15/12/2017, n.40301.

  1. 5.     Psichiatra e abuso dello stato d’inferiorità della vittima. In tema di reati sessuali ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale mediante abuso di persona che si trovi in uno stato d’inferiorità psichica o fisica, nel caso in cui le condotte siano compiute nell’ambito di una relazione stabile, non è sufficiente valorizzare il carattere sessuale della relazione, ma è necessaria la prova della persistenza della dolosa strumentalizzazione dell’inferiorità della vittima da parte dell’agente, dovendo altresì essere il giudizio circa la sussistenza del reato scevro da considerazioni di carattere morale. (Nella specie la S.C. ha escluso la configurabilità della condotta di abuso nel “ricatto morale” posto in essere da uno psichiatra nei confronti della propria paziente di porre fine alla loro relazione sentimentale, non costituendo di per sé una strumentalizzazione dell’inferiorità della vittima). Cassazione penale sez. III, 20/09/2017, n.15412.
  2. 6.     Atti sessuali con minorenne: la relazione di convivenza. In tema di atti sessuali con minorenne, la relazione di convivenza richiesta per l’integrazione del reato di cui all’art. 609-quater, comma primo n. 2) cod. pen., rileva a prescindere dall’abuso di una posizione dominante o autorevole sul convivente minore di anni sedici, elemento, quest’ultimo, previsto invece nell’ipotesi di soggetto passivo ultrasedicenne, di cui al comma secondo del medesimo articolo.

Cassazione penale sez. III, 31/05/2017, n.53135.

  1. 7.     Infermità psichica per assunzione di bevande alcoliche. Integra il reato di violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies c.p.), con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica, la condotta di coloro che inducano la persona offesa a subire atti sessuali in uno stato di infermità psichica determinato dall’assunzione di bevande alcooliche, essendo l’aggressione all’altrui sfera sessuale connotata da modalità insidiose e subdole. Cassazione penale sez. III, 11/01/2017, n.45589.
  2. 8.     Sacerdote: abuso di potere. È configurabile l’aggravante dell’abuso dei poteri o della violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro di un culto, non solo quando il reato sia commesso nella sfera tipica e ristretta delle funzioni e dei servizi propri del ministero, ma anche quando la posizione ricoperta abbia facilitato il reato stesso, essendo l’incarico religioso non limitato alle funzioni strettamente connesse al culto, ma comprensivo di tutte le attività prestate al servizio della comunità comunque riconducibili al mandato. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto corretta la configurazione dell’aggravante in un caso di violenze sessuali perpetrate, in occasione di momenti ludici, nei confronti di giovani parrocchiani da parte di sacerdote, approfittando del suo ministero e della fiducia risposta dalle vittime nella sua funzione di guida spirituale ed animatore della comunità religiosa). Cassazione penale sez. III, 28/09/2016, n.1949.
  3. 9.     Esercizio abusivo della professione medica e violenza sessuale. Il rapporto di connessione anche meramente investigativa tra esercizio abusivo della professione medica e violenza sessuale mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichica, rileva anzitutto anche sul piano della procedibilità d’ufficio di tutti i reati così connessi; inoltre la commissione di condotte sessuali nell’ambito di un rapporto di totale affidamento tra operatore/specialista medico e paziente, indipendentemente dalla metodologia seguita dal curante ed, a maggior ragione, se il curante è andato anche oltre le competenze della propria professione, proprio in virtù del rapporto di totale fiducia ingenerato nelle vittime, esclude ogni tipo di consenso idoneo a legittimare l’invasione della sfera sessuale della vittima e configura di per sé una violenza sessuale compiuta mediante induzione e abuso delle condizioni di inferiorità psichica. Cassazione penale sez. III, 18/05/2016, n.37166.

10. Costrizione della vittima. Non è configurabile il concorso del reato di violenza sessuale commesso mediante costrizione della vittima, previsto dal comma primo dell’art. 609-bis c.p., con quello di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater c.p., essendo logicamente incompatibile la condotta di “costrizione”, di cui alla prima fattispecie, con quella di “induzione”, prevista nella seconda. (Fattispecie di atti sessuali commessi dal cappellano del carcere con costrizione consistita in condotte repentine di toccamenti dei genitali e sfregamento del pene sul corpo dei detenuti e con abuso di autorità derivante dalla sua posizione). Cassazione penale sez. III, 17/05/2016, n.33049.

11. Concorso di reati: violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia. Il delitto di violenza sessuale concorre con quello di maltrattamenti in famiglia qualora, attesa la diversità dei beni giuridici offesi, le reiterate condotte di abuso sessuale, oltre a cagionare sofferenze psichiche alla vittima, ledano anche la sua libertà di autodeterminazione in materia sessuale, potendosi configurare l’assorbimento esclusivamente nel caso in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte, ovvero quando il delitto di maltrattamenti sia consistito nella mera reiterazione degli atti di violenza sessuale.

Cassazione penale sez. III, 23/09/2015, n.40663

L’esperto        La legge per tutti       16 maggio 2019

www.laleggepertutti.it/285181_atti-sessuali-abuso-ultime-sentenze

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ADOZIONE

Nel giudizio di adozione è necessaria l’assistenza legale del minore

Corte Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 12020, 7 maggio 2019

            Il procedimento volto all’accertamento dello stato di adottabilità del minore deve svolgersi con l’assistenza legale del minore o, se sussiste conflitto di interessi, con la presenza di un curatore speciale, a cui compete la nomina del difensore del minore.

            “In tema di adozione, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8, u.c., e art. 10, comma 2, come novellati dalla L. n. 149 del 2001, il procedimento volto all’accertamento dello stato di adottabilità deve svolgersi, fin dalla sua apertura, con l’assistenza legale del minore, il quale ne è parte, e, in mancanza di una disposizione specifica, sta in giudizio a mezzo di un rappresentante legale ovvero, se sussista conflitto di interessi, di un curatore speciale, soggetti cui compete la nomina del difensore tecnico.

Ne deriva, in caso di omessa nomina di quest’ultimo cui non segua la designazione di un difensore d’ufficio, la nullità del procedimento de quo, non avendo potuto il minore esercitare il contraddittorio su tutti gli atti processuali che hanno costituito il presupposto per la decisione del giudice di merito; in tal caso, va peraltro esclusa la rimessione del giudizio in primo grado, giacché tale rimessione, comunque contraria alle esigenze di speditezza del procedimento diretto all’accertamento dello stato di adottabilità, risulta preclusa dalla natura tassativa delle ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c., e il giudice di appello deve procedere, a norma dell’art. 354 c.p.c., comma 4, alla rinnovazione degli atti del procedimento che risultano viziati per il loro compimento in assenza della costituzione, a mezzo di difensore, del rappresentante legale o del curatore speciale del minore”.

Massima tratta da: Estratto della sentenza

Redazione –Mio legale                      16 maggio 2019

www.miolegale.it/giurisprudenza/nel-giudizio-di-adozione-necessaria-assistenza-legale-minore

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Solidarietà nel mirino. Adozioni, la minaccia razzismo

Per mettere al riparo le adozioni di bambini stranieri dai rigurgiti di razzismo alimentati dalla situazione sociale e politica dei nostri giorni che sembra soffocare la spinta verso il bene, servono tre azioni coraggiose: denunciare, diffondere consapevolezza, chiamare le cose con il loro nome.

            Lo sostiene Stefania Lorenzini, docente di pedagogia interculturale all’Università di Bologna, che nei giorni scorsi ha messo a punto uno studio originale per inquadrare il fenomeno. Quanto incidono gli episodi di razzismo sopportati dai ragazzi con la pelle nera che vivono in Italia sulla decisione delle famiglie di aprire le porte di casa a nuove accoglienze dai Paesi africani e asiatici? Una domanda tutt’altro che bizzarra alla luce del progressivo restringersi della disponibilità all’adozione internazionale. Dai 3.154 minori arrivati in Italia nel 2011 si è scesi a poco più di 1.500.

            Lo scorso anno (2018) sono stati solo 1.364 i bambini adottati nel nostro Paese. E ora, su numeri già tanto fragili, quanto peserà la cupa minaccia dell’intolleranza razziale? Difficile dirlo. La studiosa mette in fila gli episodi degli ultimi anni, intervista decine di ragazzi adottati, riferisce vicende di cronaca note e meno note. Un crescendo impressionante di situazioni di cui, soltanto negli ultimi mesi, si contano almeno dieci casi. Storie di sofferenza e di soprusi che spesso, per scelta o per distrazione, rimangono confinati nelle pagine delle cronache locali.

            Talvolta sono soltanto scambi di battute, insulti, piccole violenze verbali ma più sferzanti di una scudisciata. Nelle interviste i ragazzi di colore adottati in Italia li riferiscono con un misto di delusione e di dolore. «Diversi intervistati – scrive Lorenzini – riconducono al contesto scolastico le esperienze definite come particolarmente dolorose, perché avvenute davanti agli amici, in età precoce in cui è più difficile capire, rispondere, rielaborare. Si tratta di esperienze che vanno dalla derisione all’insulto, al rifiuto, in qualche caso a comportamenti definibili come persecutori».

            Che fare allora? «Prendere consapevolezza del fenomeno è un passaggio indispensabile e non scontato. Fino a non molto tempo fa – osserva la pedagogista – nel contesto italiano la parola ‘razzismo’ non era neppure pronunciabile. Ora è presente, persino ricorrente, nei discorsi pubblici e mediatici». A suo parere pesano in questa prospettiva situazioni che arrivano da lontano. La rappresentazione dell’italiano accogliente e non razzista sconta il fatto di non aver mai veramente riesaminato il nostro passato coloniale e la diffusa e persistente presenza di stereotipi e di diffidenze verso lo straniero specie, se di pelle scura. Ma ora il problema si acuisce, perché «nel contesto sociale attuale – riprende Lorenzini – si vive insoddisfazione e carenza di risorse e di opportunità, cosicché l’altro diviene una minaccia ancora più grande, non solo per quella che è sentita come la ‘propria identità’ ma anche per quelli che sono considerati i propri ‘diritti’».

            Come voltare pagina? «Consapevolezza e denuncia sono il primo passo per uscire dal tabù e dal silenzio che rifiuta di parlare di razzismo se non nei casi di aggressioni violente e distruttive». Un errore perché in questo modo si finisce per occultare tanti episodi gravi, solo apparentemente minori.

            «Occorre partire da qui per mettere in campo un impegno volto a favorire la trasformazione della mentalità comune e costruire percorsi educativi interculturali, che consentano la decostruzione di stereotipi e pregiudizi». E poi bisogna avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome: razzismo, intolleranza discriminazione. Non cedere alla tentazione di edulcorarne la gravità, pur senza esasperarla.

            «Dalle interviste con i giovani adottati di origini straniere – riprende l’esperta – emerge una tendenza molto diffusa a ridurre la gravità degli episodi di discriminazione, sia da parte dei giovani adottati stessi sia da parte dei loro interlocutori, in primo luogo i genitori. Se un bambino/a o ragazzina/o incorre in episodi di aggressione (anche ‘solo’ in forma verbale) di tipo razzista deve poter trovare ascolto aperto, supporto a livello emotivo, spiegazioni sul piano razionale che richiamino anche i contenuti culturali di un fenomeno dal volto più ampio e complicato».

            I giovani adottati intervistati che dichiarano di non aver parlato delle loro esperienze difficili con i genitori, offrono diverse spiegazioni. Il proposito di cavarsela da soli, il timore che papà e mamma non diano peso all’accaduto, ma anche il desiderio di non dare preoccupazioni.

            «Se vogliamo trovare un aspetto costruttivo, possiamo dire che proprio l’esacerbarsi di certi problemi dal volto razzista – conclude la pedagogista – sta sollecitando risposte attive e impegnate a contrastarli». Quasi impossibile ipotizzare però se questo basterà davvero a non scoraggiare le adozioni di bambini dalla pelle scura.

Luciano Moia             Avvenire                    15 maggio 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/adozioni-la-minaccia-razzismo

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ADOZIONI INTERNAZIONALI.

La Via della Seta tra Italia e Cina passa anche dai bambini

Partire per accogliere quel figlio tanto atteso e, dopo sole tre settimane di permanenza nel Paese straniero d’origine del bimbo, tornare con lui tra le braccia. È questa la positiva esperienza recentemente vissuta da cinque famiglie che, con Ai.Bi. – Amici dei Bambini, hanno scelto di adottare nella Repubblica Popolare Cinese. La Via della Seta, insomma, passa anche dalle adozioni. Che, in Cina, funzionano con più efficienza che altrove. Nel caso specifico di Ai.Bi. grazie anche all’esperienza e alla serietà del suo personale e dei volontari.

            Tutte le famiglie infatti, tranne una, sono rimaste in Cina per tre settimane, dove si sono recate con un viaggio unico. Viaggio che, di prassi, prevede prima una sosta nella provincia di destinazione e poi una permanenza a Pechino. “In 10 anni– spiega Cristina Legnani di Ai.Bi. – non mi è mai capitato che si prolungasse il viaggio. Per nessun motivo. Inoltre dal sito dell’ente preposto, il CCCWA, si possono scaricare schede dettagliate, foto e spesso video dei bimbi. Potendo definire noi la partenza, è inoltre possibile e molto frequente che le coppie partano in gruppo, condividendo così un’esperienza unica, ma anche fonte di ansie e paure. In più persone la paura spesso passa”.

            Le coppie godono inoltre di un accompagnamento personalizzato: Ai.Bi. mette a disposizione il volontario espatriato italiano che le accompagna, anche nelle faccende quotidiane come fare la spesa, sia in Provincia che a Pechino. In caso di compresenza di più coppie, il volontario ne segue solo una ovviamente, ma sulle altre Province si cercano, grazie all’aiuto del BLAS, guide esperte di adozioni internazionali parlanti italiano o inglese. Nel periodo di Pechino inoltre, sempre con Ai.Bi., i bambini vengono visitati dalla pediatra che raggiunge le famiglie in albergo per una visita accurata in camera. Non mancano, durante il viaggio, gite per conoscere anche la Cina, terra natia dei bimbi.

            Rispetto ad alcuni altri Paesi con i quali sono in essere accordi per le adozioni internazionali come la Russia (che prevede tre viaggi dove, tra il primo e il secondo, possono passare addirittura sei mesi), la Bulgaria (due viaggi con un intervallo di circa quattro mesi), la Moldova (anche qui tre viaggi) o il Brasile e altri paesi del Sudamerica con permanenze anche di 60 e più giorni la Cina dovrebbe essere un modello da seguire nella adozione internazionale

News Ai. Bi.    13 maggio 2019

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-la-via-della-seta-tra-italia-e-cina-passa-anche-dai-bambini

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AFFIDO CONDIVISO

La madre risarcisce il figlio per avergli impedito di vedere il padre

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 13400, 17 maggio 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_34660_1.pdf

Il genitore che, con atteggiamento ostruzionistico, impedisce all’altro di vedere il figlio nonostante gli accordi intervenuti prevedano una maggiore frequentazione, rischia di incorrere nella condanna a risarcire il figlio per aver leso il suo diritto alla presenza di entrambi i genitori nella sua vita.

            Il giudice, infatti, ha facoltà di applicare le misure previste dall’art. 709-ter c.p.c. nei confronti del genitore resosi gravemente inadempiente o responsabile di atti idonei ad arrecare pregiudizio al minore oppure a ostacolare il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento.

            Tanto ha chiarito la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una mamma che aveva permesso all’ex di vedere il figlio solo poche volte in due anni. In particolare, la Corte d’Appello aveva ampliato le modalità di incontro del padre con il minore, condannando la madre a risarcire ben 5mila euro al figlio per i danni a lui provocati, in forza dell’art. 709-ter, secondo comma, nr. 2, c.p.c., per lesione del diritto alla bigenitorialità a causa del clima di conflittualità esistente tra i coniugi a seguito della separazione.

            Un risarcimento che la signora ritiene ingiusto, affermando che era stato proprio il figlio a non voler vedere da solo il padre e a pretendere in ogni incontro con questi anche la presenza della madre. Per gli Ermellini, invece, tali doglianze appaiono infondate.

La Corte evidenzia come, dal provvedimento impugnato, si evince che il padre, in circa due anni e mezzo, aveva incontrato il figlio solo tre volte nonostante gli accordi intervenuti tra i genitori che prevedevano una più ampia frequentazione.

            I comportamenti ostativi contestati alla ricorrente hanno condotto alla condanna di risarcimento a favore del figlio con l’intenzione di censurare proprio la mancata frequentazione tra il padre e il figlio e il ruolo svolto dalla madre.

            Le misure previste dall’art. 709-ter c.p.c., spiega la Cassazione, in particolare la condanna al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, sono suscettibili di essere applicate facoltativamente dal giudice nei confronti del genitore responsabile di gravi inadempienze o di atti “che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento” (cfr. Cass. 16980/2018).

            Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto comprovato un atteggiamento ostruzionistico della madre e il condizionamento al corretto svolgimento delle modalità di affidamento del minore, nonché il disagio, le sofferenze e i conflitti derivati al minore dall’atteggiamento della madre. Il ricorso viene, pertanto, rigettato.

Lucia Izzo      Studio Cataldi                        20 maggio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/34660-la-madre-risarcisce-il-figlio-per-avergli-impedito-di-vedere-il-padre.asp

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                                                        AFFIDAMENTO DEI FIGLI

Affidamento condiviso, congiunto, alternato ed esclusivo

Stai per separarti da tua moglie. Si tratta di una decisione sulla quale entrambi siete d’accordo, consapevoli del fatto che la vostra unione non ha funzionato e che non vi è modo di ristabilire l’armonia di un tempo. Nonostante ciò, il pensiero dei contrasti che potrebbero sorgere tra voi durante la procedura, riguardo ai vari aspetti della separazione, ti provoca una certa ansia. Quello che più ti preoccupa riguarda l’affidamento dei vostri due bambini. Comprendi che essi hanno bisogno di tua moglie, che è sempre stata un’ottima madre, e quindi non ti opporresti al fatto che vivessero con lei, però li ami profondamente e sai che hanno bisogno anche di te. Vuoi quindi saperne di più su affidamento condiviso, congiunto, alternato ed esclusivo: termini che hai sentito tante volte, ma dei quali non conosci l’esatto significato.

Affidamento. Quando due persone si separano o divorziano, il giudice è chiamato a prendere decisioni molto delicate che incideranno sul loro futuro. La scelta più importante è quella riguardante l’affidamento dei figli minori d’età; quelli che hanno compiuto diciotto anni, naturalmente, possono liberamente scegliere con quale dei genitori stare.

La decisione del giudice riguardo ai figli della coppia coinvolge profondamente la sfera affettiva dei genitori che spesso litigano aspramente contendendosi il tempo da dividere con loro. Inoltre, quando ci sono contrasti, può succedere che la prole venga utilizzata dalle parti per farsi guerra tra loro e che ognuno dei genitori cerchi di allontanare i bambini dall’altro. Si comprende che, in simili situazioni, il giudice dovrà prima di ogni altra cosa considerare l’interesse dei minori e prendere una decisione che consenta loro di limitare il più possibile il trauma della separazione dei genitori.

Poiché, salvo eccezioni, la separazione tra i coniugi precede il divorzio, la prima decisione riguardante la prole viene presa dal tribunale al momento della separazione. Quando sopraggiunge il divorzio, spesso l’affidamento dei figli è confermato, a meno che non siano cambiate le condizioni che lo avevano determinato.

Succede anche che la separazione o il divorzio siano consensuali: i coniugi non litigano e concordano tutti gli aspetti che riguardano la fine della loro unione, sia dal punto di vista economico che da quello dell’affidamento della prole. Anche in questo caso, tuttavia, il tribunale esercita un controllo su ciò che le parti hanno stabilito riguardo ai loro figli, accertandosi che corrisponda all’interesse dei minori, che deve essere salvaguardato prima di ogni altra cosa.

I provvedimenti riguardanti i figli minori della coppia, oltre che nei procedimenti di separazione o di divorzio (che nel caso di persone sposate in chiesa viene denominato “cessazione degli effetti civili del matrimonio”), vengono pronunciati anche in caso di annullamento o dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale, nonché nelle separazioni delle coppie di fatto, che si rivolgono al giudice perché decida riguardo all’affidamento dei figli nati dalla loro unione [Art. 337-bis cod. civ.].

Le forme di affidamento che la legge prevede sono quattro: congiunto, condiviso, alternato ed esclusivo.

Affidamento congiunto. L’affidamento congiunto era una modalità, oggi superata, prevista dalla legge sul divorzio. Vi era infatti la possibilità di affidare i figli della coppia ad entrambi i coniugi che avrebbero continuato ad esercitare la potestà sugli stessi. La potestà consiste nel potere, attribuito ai genitori, di curare gli interessi dei figli minori e di prendere le decisioni che ritengono più opportune a tale scopo. Naturalmente, per procedere all’affidamento congiunto era necessario che vi fosse cooperazione tra i genitori, ma non sempre, quando in una coppia viene meno l’unione, vi è questa buona volontà. Pertanto, spesso il giudice si limitava ad affidare la prole ad uno dei due (di solito la madre), stabilendo in favore dell’altro i giorni e gli orari in cui avrebbe avuto la possibilità di vedere i figli. La norma sull’affidamento congiunto, benché prevista espressamente solo dalla legge sul divorzio, veniva applicata anche nei giudizi di separazione. La Cassazione, in diverse pronunce, ha rilevato che si tratta di situazioni analoghe, tali da giustificare l’utilizzo delle stesse norme [Cass. Sent. n.2210/2000; Cass. Sent. n. 127775/1995].

Affidamento condiviso. L’affidamento condiviso è stato introdotto con una legge del 2006 [L. n. 898/1970] che ha modificato il codice civile in materia di separazione dei coniugi. In tali procedimenti, in presenza di figli della coppia minori di età, il giudice deve adottare provvedimenti che tengano conto del loro esclusivo interesse morale e materiale [L. n. 54/2006]. In particolare, il figlio ha il diritto di mantenere buoni rapporti con entrambi i genitori, frequentandoli in maniera equilibrata e continuativa; ciò significa:

  • Che il minore deve poter condividere la sua vita allo stesso modo sia con il padre che con la madre;
  • Che entrambi i genitori devono, in ugual misura, occuparsi di lui, non soltanto mantenendolo dal punto di vista economico, ma anche dandogli istruzione, educazione ed assistenza morale. Questo comporta il trascorrere del tempo col figlio, così come avverrebbe in una famiglia in cui i genitori vivono insieme;
  • Che il minore ha anche il diritto di mantenere buoni rapporti con i nonni, con gli zii e con i cugini, sia da parte di padre che da parte di madre.

Per raggiungere tali obiettivi la legge stabilisce che il giudice deve valutare, innanzitutto, la possibilità che i figli vengano affidati ad entrambi i genitori, stabilendo le modalità pratiche perché ciò avvenga. Rispetto all’affidamento congiunto, la nuova legge ha operato un importante cambiamento, anche nella mentalità che sta alla base delle modifiche introdotte dal legislatore. Non si parla più di potestà, bensì di responsabilità genitoriale: i genitori non esercitano un potere sul figlio, ma sono responsabili della sua crescita serena ed equilibrata. Mentre in passato perché si disponesse l’affidamento congiunto era necessaria la cooperazione tra i genitori, con l’affidamento condiviso è il tribunale a stabilire le modalità precise in cui esso si deve svolgere.

Il giudice:

  1. Determina quanto tempo e in che modo i figli debbano stare presso ciascun genitore;
  2. Fissa come e in che misura ciascuno dei genitori debba contribuire a mantenerli, curarli, istruirli ed educarli.

Ogni genitore deve contribuire al mantenimento dei figli in proporzione al proprio reddito. Se lo reputa necessario, il giudice stabilisce a carico di ciascuno di essi un assegno periodico, di importo tale da rispettare questo criterio di proporzionalità. L’importo dell’assegno viene stabilito in base a diversi fattori:

  • Le esigenze attuali del figlio. Ogni età e ogni periodo della vita, infatti, sono diversi. Un bambino di pochi anni ha necessità differenti rispetto a un ragazzo che, oltre a studiare, conduce una vita sociale con i coetanei;
  • Il tenore di vita di cui il figlio godeva quando i genitori vivevano ancora insieme. Si vogliono, in tal modo, evitare traumi psicologici con bruschi passaggi da una condizione di benessere ad una di privazioni;
  • Le disponibilità economiche di entrambi i genitori;
  • L’entità del contributo dato da ciascun genitore in termini di lavori domestici e di cura del figlio. Può essere, infatti, che uno dei due abbia un reddito basso o inesistente, ma dedichi molto tempo ad occuparsi delle incombenze domestiche e delle necessità del figlio.

L’affidamento condiviso è stato esteso, nel 2013 [D. Lgs. n.154/2013], a tutti i casi in cui l’unione, matrimoniale o di fatto, tra due persone viene meno. Si tratta quindi della soluzione da preferire non solo in caso di separazione, ma anche di divorzio, cessazione degli effetti civili del matrimonio, annullamento o dichiarazione di nullità di quest’ultimo, separazione di persone conviventi con figli minori.

Affidamento esclusivo. L’affidamento esclusivo costituisce una soluzione di carattere eccezionale alla quale si ricorre quando non è possibile disporre l’affido condiviso [Art. 155-bis cod. civ.; art. 337-quater cod. civ.]; ciò può avvenire in due casi:

  • Quando lo stesso giudice si rende conto che frequentare assiduamente uno dei due genitori sia contrario all’interesse del minore. Si pensi al caso di un genitore violento o che tenga una condotta contraria alla legge o alla morale;
  • Quando l’altro genitore si oppone all’affidamento congiunto, spiegandone ovviamente le ragioni. Ad esempio, può essere che uno dei due, quando ancora perdurava la convivenza, si sia dimostrato irresponsabile nella gestione dei figli; oppure abbia commesso atti di violenza domestica particolarmente gravi o abbia tenuto, in presenza della prole, comportamenti diseducativi. Il genitore che afferma la sussistenza di un motivo del genere deve, ovviamente, darne dimostrazione. Quando il giudice dispone l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori, deve dare motivazione del suo provvedimento.

L’affidamento alternato. L’affidamento alternato è una soluzione poco utilizzata consistente nel disporre che il figlio minore di una coppia, la cui unione è venuta meno, abiti in maniera alternata presso ciascuno dei genitori: ad esempio, una settimana con la madre e una settimana col padre, e così via. Questa modalità di affidamento non è vista di buon occhio dalla Corte di Cassazione [Cass. Ord. n. 4060/2017]. La Suprema Corte, infatti, ha affermato che essa non dà buoni risultati, avendo un effetto destabilizzante sui minori. E’ facile, infatti, che un bambino, costretto a spostarsi con una certa frequenza tra due abitazioni, possa considerarsi un estraneo in entrambe. Pertanto, secondo la Cassazione, l’affidamento alternato può essere disposto quando ricorrono le seguenti condizioni:

  • Il contrasto tra i genitori è tale da non consentire in alcun modo l’affidamento condiviso della prole;
  • I genitori approvano la soluzione di disporre che il figlio risieda in maniera alternata con ciascuno di essi;
  • Il minore venga sentito e dichiari di essere d’accordo. Solo in questo caso, infatti, si ha la certezza che il frequente cambiamento di abitazione non venga da lui vissuto con disagio.

Nonostante la pronuncia della Cassazione, vi sono tribunali che hanno disposto l’affidamento alternato, ritenendo che esso costituisca un modo per consentire ai figli di dividere equamente il tempo tra entrambi i genitori [Trib. Rieti, sent. n.489/2018].

Tieni bene a mente che quando due genitori si separano devono cercare di accantonare i loro contrasti per pensare unicamente a soluzioni che realizzino pienamente gli interessi dei figli.

Adele Margherita Falcetta    La legge per tutti       14 maggio 2019

www.laleggepertutti.it/282025_affidamento-condiviso-congiunto-alternato-ed-esclusivo

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ASSEGNO DIVORZILE

Avvocati matrimonialisti: riforma assegno divorzio “rivoluzione copernicana”

“Una legge che ha riflessi non soltanto giuridici ma anche culturali. Esce definitivamente di scena il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Il legislatore ha ritenuto di codificare i recenti principi sanciti dalla Suprema Corte di Cassazione, adeguandosi peraltro a quasi tutti gli ordinamenti degli altri paesi europei nei quali l’assegno divorzile è quasi del tutto uscito di scena”. Con la riforma “bipartisan” si attua insomma “una rivoluzione copernicana del diritto di famiglia cambiando radicalmente i parametri di riconoscimento e quantificazione dell’assegno divorzile”. E’ questo il commento del presidente dei matrimonialisti italiani (Ami), Gian Ettore Gassani, sul Ddl approvato ieri alla Camera che cambia criteri dell’assegno divorzile.

            I nuovi criteri – prosegue il presidente Ami – “non escludono il diritto del coniuge economicamente più debole a ricevere l’assegno in sede di divorzio, bensì circoscrivono tale diritto a precise condizioni. In caso di matrimoni di breve durata, l’assegno di divorzio può essere concesso soltanto a tempo, ossia viene data una possibilità al coniuge economicamente più debole di inserirsi nel contesto del lavoro per raggiungere la propria indipendenza economica. Nel caso in cui il coniuge economicamente più debole sia autosufficiente dal punto di vita economico (stipendi, rendite, pensioni o proprietà immobiliari) l’assegno di divorzio non è riconosciuto”.

            La legge prevede peraltro – prosegue – “che l’assegno di divorzio non venga riconosciuto o venga successivamente revocato nel caso in cui il coniuge che lo riceve abbia allacciato una stabile relazione more uxorio con altro compagno/a. Tali principi si applicano anche alle coppie unite civilmente”.

L’assegno di divorzio, dunque, viene riconosciuto, seppur disancorato dal tenore di vita, dice ancora Gassani, “nel caso in cui si tratti di matrimoni di lungo corso (almeno venti anni), a condizione che il coniuge che avanza pretese in tal senso sia in grado di provare in giudizio di aver fornito un importante contributo alla crescita umana, sociale, economica e professionale dell’altro coniuge. O nel caso in cui, raggiunta una certa età che non gli consentirebbe un reinserimento nel mondo del lavoro, non possa godere di mezzi per il proprio sostentamento. Analogo principio vale per i coniugi inabili al lavoro, dichiarati tali da un’apposita commissione”. In sostanza, sarà “perequativo/compensativo nel pieno rispetto del principio della solidarietà, che consenta a chi lo riceve una esistenza tranquilla” ma sarà la giurisprudenza a dover sancire quali sono i parametri per stabilire l’ammontare dell’assegno”. Questa legge, insomma, conclude Gassani, “tende ad attribuire un significato diverso all’istituto del matrimonio che non può essere più considerato come l’automatico raggiungimento di una sicurezza economica a vita

Redazione Studio Cataldi      16 maggio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/34619-avvocati-matrimonialisti-riforma-assegno-divorzio-quotrivoluzione-copernicana-quot.asp

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ASSOCIAZIONI       MOVIMENTI

Amici dei Bambini in Marocco fino al 2021 per formare gli Intermediari sociali

Ai.Bi. – Amici dei Bambini è stata coinvolta per diversi anni nella tutela dei diritti dei care leavers e nella promozione della ricerca internazionale in questo campo. Nell’ambito di questi studi, effettuati a livello europeo grazie a progetti supportati dall’UE, è emersa l’importanza della presenza di un operatore specializzato, un Intermediario sociale appunto, interamente dedicato ai progetti di inclusione. Si tratta di una figura che rappresenta un elemento chiave per un adeguato supporto al raggiungimento dell’autonomia da parte di un care leaver e che è, peraltro, di fatto già contemplata dalle “Linee guida delle Nazioni Unite per assistenza alternativa per i bambini“, che invitano a fornire risorse umane specifiche in grado di seguire individualmente il neo-maggiorenne al momento dell’uscita dal sistema di protezione sociale, facilitando quindi la sua indipendenza.

            La figura dell’intermediario sociale viene, da un lato, gestita da un soggetto privato esterno al sistema di protezione ma, allo stesso tempo, chiamata a coordinarsi con soggetti e team multidisciplinari appartenente al settore pubblico. L’intermediario sociale deve essere in grado di proporre un rapporto educativo, basato su un forte “codice paterno” e finalizzato a stimolare, da parte del care leaver, l’attivazione di risorse per il raggiungimento dell’autonomia.

            Sulla base dell’esperienza sviluppata, il Ministero della Famiglia, della Solidarietà, dell’Uguaglianza e dello Sviluppo sociale del Regno del Marocco ha richiesto ad Ai.Bi. una consulenza per l’organizzazione e la formazione del personale pubblico locale, predisponendo anche gli strumenti di concertazione e collaborazione inter-istituzionale come piani e protocolli operativi tra amministrazioni a livello centrale e sui territori.

            L’obiettivo finale è quello di supportare il Ministero a dare avvio alla figura dell’intermediario sociale in cinque realtà territoriali, almeno all’esordio, perché possa poi supportare l’inclusione sociale e lavorativa dei ragazzi e ragazze in uscita dal sistema di tutela e protezione statale

News Ai. Bi.  15 maggio 2019

www.aibi.it/ita/amici-dei-bambini-in-marocco-fino-al-2021-per-formare-gli-intermediari-sociali

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CASA CONIUGALE

Divorzio casa coniugale e figli maggiorenni

Uno dei provvedimenti del giudice più importanti in occasione del divorzio (ma anche dello scioglimento della famiglia di fatto) è quello riguardante l’assegnazione – cioè l’attribuzione del diritto al godimento – della casa coniugale. Riguardo ai criteri di tale assegnazione, è opportuno fare alcune precisazioni. In primo luogo, la casa non viene assegnata necessariamente a chi ne è proprietario. Accade di frequente, anzi, che l’abitazione (spesso di proprietà del marito) venga assegnata alla moglie.

            Inoltre, l’immobile non viene assegnato obbligatoriamente al coniuge al quale non è addebitato il divorzio, quasi fosse un premio per il suo comportamento corretto, nei confronti dell’altro coniuge, durante il matrimonio. In realtà, il criterio da seguire nell’assegnazione della casa coniugale è esclusivamente quello dell’interesse della prole, soprattutto in presenza di figli minori [Art. 337 sexies, cod. civ.1]. È per questo motivo che l’abitazione viene assegnata al genitore affidatario, ossia il coniuge a cui siano stati affidati i figli. Si tratta di un criterio che tende a garantire, tra l’altro, il diritto dei figli – soprattutto minori – a quella stabilità emotiva e affettiva che scaturisce proprio dal fatto di continuare ad abitare nella casa nella quale sono cresciuti nonché a frequentare i propri amici e che potrebbe essere compromessa da un repentino e traumatico cambio di residenza.

Che cosa ne è della casa coniugale quando vi sono figli maggiorenni?

Se il figlio è maggiorenne, viene meno l’assegnazione della casa familiare? La presenza del figlio maggiorenne non incide, di per sé, sull’assegnazione della casa familiare. Infatti, se è vero che, in occasione del divorzio (ma lo stesso vale nel caso di scioglimento di un’unione di fatto), l’ordinamento si preoccupa di tutelare in modo particolare i figli minori – al cui esclusivo interesse devono essere ispirati i provvedimenti del giudice – ciò non significa che tale tutela scompaia con riferimento ai figli maggiorenni.

            In effetti, mentre l’assegnazione della casa di famiglia al coniuge affidatario è la regola in presenza di figli minorenni, tale assegnazione, nell’ipotesi di un figlio maggiorenne, dipende dall’autonomia finanziaria di quest’ultimo: se è indipendente dal punto di vista economico – e dunque può permettersi di andare a vivere altrove, salvo prova del contrario – viene meno nei suoi confronti l’esigenza di protezione, realizzata attraverso l’assegnazione dell’abitazione al coniuge affidatario.

            Pertanto, se la casa è stata assegnata a uno dei coniugi quando il figlio era ancora minorenne e, dopo aver raggiunto la maggiore età, questi diventa economicamente autonomo, il genitore non affidatario – proprietario dell’abitazione familiare – potrà richiedere la revoca del precedente provvedimento di assegnazione della stessa. Ciò in quanto, è bene ricordare, le decisioni del giudice in materia di separazione e divorzio hanno carattere provvisorio, sono cioè soggette a modifica nel caso in cui le circostanze che ne erano a fondamento siano mutate nel corso del tempo.

            Se, invece, tale autonomia finanziaria non è stata ancora raggiunta, riprendono il sopravvento le esigenze di tutela della stabilità abitativa della prole che abbiamo visto con riferimento ai figli minori, ma che valgono – sia pure con intensità e forme diverse – anche per i figli che abbiano raggiunto la maggiore età.

            Ovviamente, la non autosufficienza del figlio maggiorenne può determinare l’assegnazione della casa familiare solo se il coniuge affidatario dimostri che lo stesso figlio si stia dando da fare (per esempio, inviando curriculum o sostenendo colloqui di lavoro), per conseguire un impiego che gli consenta di rendersi indipendente.

Figlio maggiorenne che vive da solo per motivi di studio. Se il figlio maggiorenne va a vivere da solo perché lo stipendio che percepisce glielo consente, ciò potrà comportare la revoca del precedente provvedimento del giudice di assegnazione dell’abitazione familiare al coniuge affidatario (sempre che non vi siano anche figli minori di età, la cui tutela, come visto sopra, è sempre garantita).

            Se egli, invece, si trasferisce soltanto perché è un iscritto fuori sede all’università, è ovvio che questa sua condizione è, in sé, del tutto insufficiente per poter parlare di indipendenza economica e, dunque, per revocare l’originario provvedimento di assegnazione dell’appartamento [Cass. n. 25604 del 12/10/2018].

Figlio maggiorenne con contratto di lavoro a termine. Il figlio maggiorenne che lavora con un contratto a termine, anche se i suoi guadagni sono limitati, va considerato autosufficiente sotto il profilo economico, con la conseguente revoca dell’eventuale provvedimento di assegnazione della casa familiare in favore del coniuge affidatario [Cass. n. 13354 del 26/5/2017].

Massimo Coppin        La Legge per tutti      17 maggio 2019

www.laleggepertutti.it/282206_divorzio-casa-coniugale-e-figli-maggiorenni

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 19, 15 maggio 2019

Un video per iniziare la lettura della newsletter. Solidarietà tra ragazzi e anziani.  Un breve video che non ha bisogno di parole per descrivere la serenità e la bellezza del tempo passato insieme tra anziani e ragazzi, nell’ascolto, nella compagnia, perché “…basta un sorriso”. Video realizzato dalla 1A della scuola media Caprin di Trieste dopo una giornata assieme agli anziani della casa Verde di Servola (un quartiere di Trieste).                                                                            www.youtube.com/watch?v=Dr45w8Lz3dQ

Caltagirone: Convegno Internazionale in occasione del Centenario dell’Appello ai Liberi e Forti (18 gennaio 1919), “L’Attualità di un impegno nuovo” Caltagirone (CT), dal 14 al 16 giugno 2019. “Promosso da un Comitato Promotore e Scientifico composto da rilevanti esponenti del mondo cattolico, il convegno intende riproporre la sfida della partecipazione da cattolici alla vita pubblica del Paese, che nel 1919 don Luigi Sturzo lanciava con questo appello, che oggi, a cent’anni esatti di distanza, conserva tuttora la propria validità, pur nella novità delle sfide del terzo millennio”. Ai lavori preparatori hanno collaborato diversi esperti a livello nazionale, che animeranno anche le giornate di Caltagirone. In particolare alla voce “famiglia” ha contribuito anche il Direttore del Cisf (F. Belletti).

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1919_allegato0.pdf

Un’occasione per riflettere sul rapporto tra i media digitali e le relazioni in famiglia. L’annuale incontro di Sistema Famiglia – Conferenza permanente dei Centri di Orientamento Familiare si terrà quest’anno a Firenze, sabato 18 maggio 2019. In occasione dell’evento il direttore Cisf (F.Belletti) interverrà su Le relazioni familiari, tra reale e virtuale, a partire dai contenuti del Rapporto Cisf 2017

newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1919_allegato1.pdf

USA. Promuovere la resilienza di bambini e ragazzi. Il programma SPARK (Strategic Personal Resiliency for Kids, Resilienza Personale Strategica per Ragazzi) “è un programma utilizzabile da chiunque abbia a cuore il sano sviluppo dei bambini e la loro capacità di far fronte alle difficoltà della vita. I piccoli infatti inevitabilmente si trovano ad affrontare sfide a livello scolastico, sociale, anche spirituale, e SPARK ha l’obiettivo di aiutarli oggi a vincere queste sfide, per essere pronti un domani ad indirizzare sui giusti binari il corso della loro vita. Il programma fornisce libri e audio di storie educative, una guida per educatori, esercizi per il potenziamento delle proprie capacità, ed anche gadget come la “power stone” (la pietra della forza) come simbolo della forza interiore che ogni bambino ha”.                                                                           www.sparkprogram.com

Il programma SPARK è collegato alla Fondazione HIARC [Health Integration and Resiliency Center]                                                                          https://hiarcenter.org/ex-offenders-resiliency

Educazione finanziaria: un interessante sito per aiutare le famiglie a gestire i propri progetti di vita e le proprie scelte economiche. Promosso dalla Fondazione per l’educazione finanziaria ed il risparmio. In collaborazione con varie associazioni di consumatori. www.curaituoisoldi.it/progetto

“In questo sito troverai tutte le informazioni di base che devi conoscere, oltre a strumenti e consigli utili, per orientarti nelle scelte che riguardano i tuoi soldi. La prima regola d’oro che devi tenere presente è che bisogna sempre informarsi e confrontare le diverse possibilità prima di prendere qualsiasi decisione finanziaria. Saper amministrare bene il proprio denaro significa: controllare le spese, valutare se è possibile risparmiare in qualche modo, evitare inutili sprechi, costi non necessari e indebitamenti, avere un rapporto chiaro con la propria banca, avere un tenore di vita adeguato rispetto ai propri guadagni, valutare possibili investimenti per aumentare le proprie entrate, verificare le offerte delle banche e le varie possibilità di pagamento”. Video illustrativi delle “parole quotidiane dell’economia” (spread, previdenza integrativa, home banking, usura, ecc.)                                                www.curaituoisoldi.it/area-video

L’inclusione e la partecipazione delle nuove generazioni di origine immigrata. Focus sulla condizione femminile. “A tutela dei loro diritti di persone di minore età l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia) ha formulato una serie di raccomandazioni rivolte a ministeri, regioni, comuni, servizi sociali, assistenti sociali e giornalisti. A contenerle è un documento di studio e proposta “L’inclusione e la partecipazione delle nuove generazioni di origine immigrata. Focus sulla condizione femminile”, realizzato con il supporto tecnico dell’Istituto degli Innocenti di Firenze”.

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/nuove-generazioni-origine-immigrata-focus-condizione-femminile.pdf

Chioggia, festival della comunicazione 2019. “Un evento socio/culturale organizzato dalla Diocesi di Chioggia, attraverso la Fondazione “Santi Felice e Fortunato”, col patrocinio della Città di Chioggia, in collaborazione con l’Ufficio Nazionale Comunicazioni Sociali della C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana), e le Congregazioni dei Paolini e delle Paoline (che gestiscono importanti iniziative editoriali tra cui i periodici: Famiglia Cristiana, Jesus, il Giornalino, Credere, Vivere, BenEssere, le Edizioni San Paolo e Paoline, il Festival Biblico, ecc.). Ogni anno dal 2006 viene scelta una città e diocesi diversa”. La 14.a Edizione del Festival si svolgerà dal 17 maggio al 2 giugno 2019, a Chioggia, sul tema “Le belle notizie: dal virtuale al reale”

www.chioggia.org/public/cultura/PROGRAMMA%20Festival%20della%20Comunicazione.pdf

v  Chiavari. Festival della parola 2019. “Quattro giorni dedicati al genio e alla capacità di visione, ricordando Lucio Dalla e Leonardo. […] incontri, appuntamenti, parole, spettacoli, ospiti e sorprese, tra i portici del centro storico e le stupende piazze cittadine. […] a fare da filo rosso al cartellone degli appuntamenti sarà dialogo, password della 6° edizione, scelta per la sua etimologia greca ovvero dià = attraverso e logos = discorso. Il dialogo come il ponte ideale, costruito attraverso il confronto dialettico, che offre un trampolino di lancio per idee, progetti e sogni”. Chiavari, dal 30 maggio al 2 giugno 2019                                                                                                        www.festivaldellaparola.eu

Mettiamo mano al nostro futuro. Festival dello Sviluppo Sostenibile, terza edizione. “Si tratta della più grande iniziativa volta a sensibilizzare e mobilitare cittadini, giovani generazioni, imprese, associazioni e istituzioni sui temi della sostenibilità economica, sociale e ambientale. […] Il Festival prevede 17 eventi nazionali, dal 21 maggio al 6 giugno 2019, dedicati ai temi chiave dello sviluppo sostenibile e ai diversi Obiettivi dell’Agenda 2030, organizzati dagli aderenti all’associazione ASVIS e da collaboratori esterni. Genova, Napoli, Roma, Torino, Udine sono le città italiane che ospiteranno queste iniziative”                                              http://festivalsvilupposostenibile.it/2019

Save the date

  • Nord: striving for quality. From Quality of Care to Quality of Life (impegnarsi per la Qualità. Dalla qualità della Cura alla Qualità della vita), 27.a Conferenza Europea dei Servizi Sociali, promossa dallo European Social Network (sul sito programma in più lingue), Milano, 5-7 giugno 2019.

https://essc-eu.eu/programme/#italian

  • Nord: lavorare in ottica sistemica con le famiglie in cui c’è stato un problema di violenza: attaccamento, rischio e sicurezza, incontro DFI formazione con Arlene Vetere e Jan Cooper, promosso da Scuola di Psicoterapia IRIS, Milano, 25-26 maggio 2019.

www.centrocta.it/lavorare-in-ottica-sistemica-con-le-famiglie-in-cui-ce-stato-un-problema-di-violenza-attaccamento-rischio-e-sicurezza

  • Centro: Il mestiere di con-vivere: intrecciare vite, storie e destini, “Dialoghi sull’uomo” – festival dell’antropologia contemporanea, decima edizione, Pistoia, 24-26 maggio 2019.

www.dialoghisulluomo.it/docs/programma-2019-it.pdf

  • Centro: Educazione affettiva e sessuale. Il dovere d’informare, la capacità di educare, Convegno FISS (Federazione Italiana Sessuologia Scientifica), Roma, 24 maggio 2019.

www.fissonline.it/pdf/osservatorionazionalemaggio2019.pdf

  • Sud: La famiglia è viva! E si mette in cammino, unita nella preghiera, 12.o Pellegrinaggio nazionale delle famiglie per la famiglia, promosso da Rinnovamento nello Spirito Santo in collaborazione con altri soggetti ecclesiali e locali, Pompei (NA), 14 settembre 2019.
  • Estero: Children in Migrant or Ethnic Minorities: Demographic and Social Processes in a Comparative Perspective (Bambini nelle minoranze migranti o etniche. Una comparazione dei processi demografici e sociali), promosso da EAPS (Network Migrant and Minority Fertility in Europe), dalla Sezione ‘Migration and Ethnic Minorities’ (German Sociological Association-DGS), in collaborazione con il Max Planck Institute for Demographic Research, Rostock (D), 16-17 maggio 2019.
  • https://soziopolis.de/fileadmin/user_upload/redakteure/Veranstaltungen/Programm_Tagung_migrant_fertility_Koeln_16052019.pdf

Iscrizione                  http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/maggio2019/5122/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Anche noi eretici come te

            Caro papa Francesco,                                  lo sai bene visto che ci chiedi sempre di pregare per te. C’è chi vuole screditarti. Chi vuole zittirti. Chi vuole eliminarti. Chi ti vuole morto. Il problema non è criticarti visto che chiedi un linguaggio libero, anche a te contrario. Il problema non è la critica ma lo scatenarsi di una nuova inquisizione incalzante e cattiva. E’ l’attacco ossessivo. La polemica compulsiva. La condanna predeterminata.

            Una bella eresia. Gli ecclesiastici ora ipercritici (un tempo ossequienti ad ogni parola del papa) vogliono insegnarti la vera dottrina. Nel 2017 alcuni preti e studiosi ti hanno accusato di 7 eresie. Il 30 aprile 2019 scorso altri ecclesiastici hanno proposto di processarti per il “delitto canonico di eresia”. Da tempo alcuni prelati “dubitanti” hanno preparato il terreno. Ce l’hanno con quello che dici e che fai. Con i viaggi, gli incontri, i gesti. Ce l’hanno con Amoris lætitia o con Evangelii gaudium, Misericordiae vultus, Laudato si’ e con altri interventi che contengono indicazioni di sconvolgente e scomoda attuazione. Per noi di grande bellezza perché profumano di Vangelo. Testimoni con gesti concreti la presenza di Dio padre dall’infinito amore, di Gesù Cristo morto e risorto, dello Spirito Santo che vola fuori da ogni gabbia. Se questa è eresia, noi siamo con te. Vogliamo farne parte.

            Un movimento anticonciliare. Il vero bersaglio dei nuovi inquisitori è il Concilio Vaticano II. Sembrano cristiani senza Cristo. A disagio davanti alla carne e al sangue di Gesù Cristo (presente dentro e oltre ogni cultura). Ritengono pericoloso il dialogo ecumenico e interreligioso. Li hai definiti “testardi che vogliono addomesticare lo Spirito, stolti e lenti di cuore” oppure “restaurazionisti ideologici”. Vorrebbero esaltare la tradizione senza coglierne il valore dinamico (Dei Verbum 8, Gaudium et spes 44). Rifiutano una visione alta di tradizione: quella evangelica e apostolica, quella dei santi e dei martiri che hai ricordato nella Gaudete et exultate.

            Una triste compagnia. Quelli che ti attaccano non saranno tantissimi ma sono aggressivi e organizzati. Il loro assalto è avvolgente. Proviene da fronti diversi: quello tradizionalista ecclesiastico; quello nazionalista etno-religioso; quello reazionario di matrice neofascista; quello progressista o iperliberista legato alla religione della prosperità e alla cultura dello scarto. Alcuni si sentono “disorientati” forse perché preferiscono strutture imbalsamate, magari rosari sventolati sulla folla o crocifissi branditi come armi politiche. Altri sono nostalgici della cristianità basata sull’alleanza tra trono e altare. Ci sono anche i distratti, i tiepidi, i muti, i grigi o i furbi. Ci sono senz’altro quelli che hai chiamato pianificatori del terrore, organizzatori dello scontro, affaristi della guerra, mercanti di armi e di morte, imprenditori della paura, promotori dello scarto, poteri della finanza speculativa, povera gente criminale. Ci sono i siti e le agenzie d’assalto (maestre in fake news). Ci sono i negazionisti climatici e i primatisti bianchi. Stanno anche trasformando un’abbazia laziale in scuola per sovranisti guerrieri.

            Papa coraggio. Fin dai primi mesi sei stato accusato di essere populista, pauperista, comunista, demagogo, musulmano, relativista, quindi pericoloso, traditore, incolto, abusivo. Negli Stati Uniti qualcuno ti ha definito “l’uomo più pericoloso per il mondo”. Osi parlare di un sistema economico che scarta e uccide. Parli di pace, di giustizia e di cura del creato. Inviti al dialogo e all’incontro, alla misericordia e alla tenerezza. Insisti sulla riforma della Chiesa “in uscita”, sulla Chiesa povera e dei poveri, sulla Chiesa inquieta e gioiosa, aperta ai giovani. Nel dicembre 2014 hai elencato 15 grandi patologie curiali (tra esse il clericalismo, il carrierismo, la vanagloria, il denaro, l’arroganza, la tristezza). Hai poi affrontato con coraggio il tema degli “abusi di coscienza, di potere e sessuali”. Ci sembrano ipocriti coloro che, forse per coprire le loro complicità, ti accusano di essere debole proprio dove stai introducendo una forte innovazione dando sostegno alle vittime.

            Periferie e frontiere. In Italia hai visitato le tombe di Primo Mazzolari, Lorenzo Milani, Tonino Bello, Zeno Saltini, Pino Puglisi e altri, indicandoli come “preti non clericali”, “luminosi e scomodi”, “dono e profezia” da accogliere e imitare. Solo un papa giunto dalla periferia della terra poteva comprendere la bontà delle periferie di casa nostra. Te ne siamo grati.

            Amici e corresponsabili. Ricordiamo tutto questo per amore di verità e impulso di vicinanza anche se quanto ti capita non ci sorprende considerando cosa è accaduto a Gesù e alla Chiesa primitiva o contemplando le beatitudini dei poveri, dei miti, dei perseguitati, dei misericordiosi, degli affamati di giustizia e di pace. Vogliamo semplicemente dirti che siamo con te (anche in caso di opinioni diverse su alcune questioni). Che vogliamo aiutarti con la preghiera, la parola e l’azione. Che intendiamo accompagnarti. Che ci sentiamo corresponsabili della stagione ecclesiale che stiamo vivendo. Speriamo e preghiamo che non ti capiti qualcosa di male. Sei per noi una meraviglia coinvolgente. Testimone credibile del Signore. Profeta di nuova umanità. Ci fai respirare aria fresca. In noi non c’è alcuna mitizzazione. C’è una profonda spirituale amicizia. C’è il nostro affetto. C’è il desiderio di un impegno conviviale. C’è la realistica consapevolezza di un mondo violento bisognoso di ospedali da campo, di buone relazioni, di radicali riforme e di quotidiana profezia. 

            Con tutti i nostri limiti (e assieme a tanti altri) intendiamo sviluppare con te:

  • Il tema del dialogo interreligioso, alla luce del “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019
  • Il tema della pace nonviolenta, nel contesto del movimento per il disarmo, con ipotesi di intervento educativo nei luoghi di formazione, negli itinerari catechistici, nelle scuole
  • Il tema della riforma della Chiesa proposto dalla Evangelii gaudium e dalla Lettera al popolo di Dio mettendo a fuoco il contributo decisivo delle donne
  • Il tema della cura del creato rilanciando con i giovani in lotta la tua splendida Laudato sì.

Un grande abbraccio, un’intensa preghiera, un augurio di buon cammino (comune).

Pax Christi Verona, Centro Studi di Pax Christi Italia                  15 maggio 2019

www.settimananews.it/papa/anche-noi-eretici-come-te/

 

Gli oppositori

Forse mai nella storia della Chiesa un papa è stato oggetto di tanti attacchi e perfino di richieste di dimissioni come papa Francesco. Le accuse sono pesanti: errori dottrinali ed eresia. Ma chi sono queste persone o gruppi che lo avversano e che cosa li muove? Sonja Angelika Strube, docente di teologia e di pedagogia religiosa presso l’Istituto di teologia cattolica dell’Università di Osnabrück ed esperta di temi relativi al populismo di destra, pubblica su katholisch.de del 5 maggio 2019 scorso un’analisi in cui descrive il profilo psicologico e politico di queste persone e mostra quanto siano pericolose per la Chiesa e per la società.

 

Dall’elezione di papa Francesco soffia nella Chiesa cattolica un vento più fresco: sono di nuovo possibili le discussioni aperte dove per lungo tempo regnava soltanto un silenzio di piombo. Nello stesso tempo, però, papa Francesco è continuamente attaccato da piccoli gruppi reazionari in una maniera che lascia senza parole. Lo si accusa di ciò che mai era stato rimproverato da secoli ad un pontefice, cioè di diffondere false dottrine, di essere un “papa hæreticus”, per cui le sue riforme, decisioni ed encicliche non possono pretendere alcun assenso. Queste discussioni vengono promosse sui relativi forum internet privati presenti anche nella Chiesa cattolica romana, come pure nell’ambito della lingua tedesca, negli USA e in altri paesi. Attualmente circola online anche una petizione che invita papa Francesco a ritirarsi.

Un particolare appoggio mediatico questi circoli lo trovano nel campo delle destre politiche, dall’AfD (Alternative für Deutschland – partito politico euroscettico, ndr) ai media di destra, fino a Steve Bannon (ex capo stratega del presidente americano Donald Trump, ndr). Il rimprovero aggressivo, che degenera a volte fino allo scherno, proviene proprio da ambienti che con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si definivano gli unici “fedeli al papa”.

            Al centro dei rimproveri contro papa Francesco ci sono l’esortazione Amoris lætitia e ogni più lieve modifica della morale sessuale tradizionale della Chiesa. Ma vengono attaccate aspramente anche molte altre sue posizioni e bollate come “di estrema sinistra”, per esempio sui migranti, sulla giustizia e sul cambiamento globale del clima. Persino l’invito alla virtù cristiana così venerata della misericordia per questi circoli è una spina nell’occhio.

Il problema della dottrina e dell’eresia che, a prima vista, potrebbe sembrare una questione teologicamente molto complessa, sta a indicare due cose:

  1. L’esistenza di una piccola ma aggressiva corrente sotterranea, di carattere fondamentalista-autoritario nella Chiesa cattolica romana,
  2. Un interesse politico a impossessarsi o almeno a dividere questa Chiesa per mezzo di alcuni protagonisti dell’area della destra politica.

Chi sono questi “ex fedeli del papa” che avversano papa Francesco? Analizzando i forum internet che denunciano papa Francesco in modo così duro, si ottengono informazioni sul comportamento dei loro autori e dei loro utenti (informazioni che sono rivelatrici). Molti di coloro che pubblicano dei commenti sono persone chiaramente istruite, scrivono senza problemi lunghi testi elaborati, fanno riferimento agli antichi filosofi e ai padri della Chiesa, citano in latino. La semplicità mentale, la mancanza di istruzione e anche condizioni di vita precarie non sembrano essere problemi di queste persone. A predominare sono persone più anziane rispetto alla media. Inoltre, i media e i loro utenti manifestano spesso una vicinanza con i partiti e i gruppi politici a destra della CDU/CSU. Nonostante i livelli di istruzione, un forte rifiuto della teologia scientifica pervade i loro commenti, tanto che spesso sembrano contrari anche ad un discorso democratico.

La verità religiosa, Dio e la sua volontà sono considerati come un’affermazione ben definita e un solido possesso (uno “ha” la verità) e non come qualcosa di ineffabile e di molto più grande, che gli uomini possono solo presagire e a cui avvicinarsi a tentoni. In definitiva, la nostra prospettiva umanamente limitata è “scambiata” con la prospettiva di Dio – la propria posizione, la propria visione del mondo vengono “scambiate” per volontà di Dio. In generale, in questi ambienti si manifesta sempre più chiaramente un’opposizione globale al Vaticano II, cercando di annullare su tutta la linea le sue decisioni e le sue riforme e di rendere l’antimodernismo ecclesiastico della fine del secolo XIX e dell’inizio del XX l’unica forma vincolante del cattolicesimo romano.

            Anche lo stile dei discorsi e le presentazioni dei forum internet “critici verso Francesco” mostrano una serie di particolarità: una visione estremamente negativa del mondo abbinata a resoconti di indignazione e di scandali; una forte svalutazione verbale di chi la pensa diversamente, accompagnata spesso dalla derisione; la formulazione di idee morali rigide, quasi esclusivamente nel campo della sessualità, con la richiesta di rimproveri e di dure punizioni.

Ci sono esplicite proposte di punizioni da parte dei tribunali, a volte anche fantasie di vendetta di carattere apocalittico e retoriche di cospirazione, accompagnate da una marcata polemica contro la misericordia, contro le immagini di tenerezza di Dio e contro qualsiasi forma creativa di prassi religiosa.

L’autoritarismo come debolezza di coscienza. Tutto ciò che può essere osservato nei media cattolici di destra trova una probante spiegazione psicologica negli studi di Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno sulla “personalità autoritaria”. Negli anni ’40, di fronte al fascismo e al nazismo, Adorno esplorò la personalità antidemocratica autoritaria e la descrisse soprattutto come “sottomissione autoritaria” ad autorità esterne e a rigidi sistemi di norme associati ad un’“aggressione autoritaria” verso quelle persone che osano trasgredire queste norme. Tra le importanti caratteristiche che egli rileva, vi sono una forte «difesa del soggettivo, dell’immaginario, del sensibile», la superstizione e gli stereotipi, l’ambizione di potere, l’«ostentazione di forza fisica», la distruttività e il cinismo, la tendenza a credere «ad avvenimenti devastanti e pericolosi nel mondo», come pure la «proiezione degli impulsi inconsci verso il mondo esterno» unita ad una fissazione sull’insieme dei temi riguardanti la sessualità.

Nel modo vigoroso, forte e terrorizzante con cui agiscono e operano le persone autoritarie (che è la ragione per cui dev’essere posto loro un freno), Adorno diagnostica chiaramente alla base un’accentuata debolezza dell’“io” e della “coscienza”. Le persone autoritarie mancano di fiducia nel proprio modo di pensare, nel proprio mondo dei sentimenti e nella propria capacita di giudizio morale.

I surrogati sono dei punti esterni immobili e strutture predefinite, una rigida adesione a convenzioni e una sottomissione ad autorità “moralmente” rilevanti – siano queste leggi, dogmi, capi religiosi e politici.

Chi non si sottomette in pari misura alle autorità autoelette dimostra che si può vivere anche in maniera diversa mettendo così in discussione la loro sottomissione.

Il mondo circostante è considerato come ostile, malvagio, immorale, con venature di cospirazione, così che, di fronte ad esso, occorre armarsi e difendersi. Come orientamenti occorrono chiare gerarchie e un preciso ordinamento verso i poli “bene” o “male”. Siccome non è possibile fidarsi della propria vita interiore, viene rifiutato e svalutato tutto ciò che è critico-riflessivo e interiormente emotivo.

e come motivo dell’opposizione a Francesco. Così diventano plausibili i diversi aspetti della teologia e dell’agire di papa Francesco combattuti dai suoi avversari. Credenti con una struttura personale autoritaria richiedono una rigida osservanza di regole, norme e dogmi ritenuti eternamente immutabili e per compensare in tal modo la debolezza della loro coscienza e del loro “io” mediante un quadro normativo esterno.

L’idea di una misericordia donata gratuitamente mina la rigidità delle regole. Inoltre, richiede compassione, toccando così il “campo minato” delle emozioni, cosa da evitare accuratamente. La ragione per cui il cambiamento delle accentuazioni nel campo della morale sessuale è percepito come particolarmente minaccioso si spiega – secondo Adorno – con l’importanza che ha il loro modo di affrontare i propri bisogni sessuali personali.

Il rifiuto veemente della moderna teologia scientifica e del dialogo ecumenico e interreligioso si spiegano come una difesa contro l’insicurezza che nasce dalla molteplicità di possibili prospettive e dal riconoscimento di chi la pensa diversamente come partner alla pari del dialogo. Il pensiero teologico relazionale e contestualizzato – teologie contestuali e teologie della liberazione, ma anche le riflessioni sociali e le morali sociali – vengono rifiutati come “relativismo”.

La religione, in questa prospettiva, deve servire soprattutto alla stabilizzazione psichica interiore attraverso un universo di valori chiaramente strutturato di idee “eterne” e l’attenzione non deve essere focalizzata sull’ambivalenza del mondo.

Ogni volta che papa Francesco (o altri teologi e teologhe) ragionano sotto il profilo pastorale e contestuale, aprono spazi discrezionali o rafforzano la coscienza personale e provocano un processo di maturazione, i credenti dotati di una personalità autoritaria hanno i loro problemi nell’affrontare i dilemmi morali e le loro debolezze di coscienza. Dal papa, in quanto persona in autorità, questi credenti si aspettano che egli confermi il loro comportamento autoritario con delle norme, in quanto garante del loro quadro normativo, e propugni idee religiose rigide nella politica della Chiesa e che, in forza della sua funzione, le renda obbligatorie per tutti.

Siccome papa Francesco ha intenzionalmente deluso le aspettative autoritarie, egli si sarebbe screditato come oggetto di sottomissione autoritaria; inoltre, per il suo rifiuto di impersonare il ruolo che gli corrisponde, ha attirato su di sé di una duplice collera: “l’aggressione autoritaria” contro di lui in quanto “trasgressore di regole”, nel senso che egli ammette delle eccezioni, e l’indignazione perché ora il proprio rigido quadro normativo deve sbrigarsela senza più il papa come garante.

Un pericolo per la Chiesa e la società. L’autoritarismo nella forma descritta da Theodor W. Adorno possiede un forte potenziale chiarificatore quando si tratta di descrivere gruppi e correnti antimoderniste e fondamentaliste, ma anche strutture problematiche, tradizioni di pensiero e di azione in seno alla Chiesa, e di comprendere le loro dinamiche distruttive.

Inoltre, per quanto riguarda la violenza sessuale, il suo occultamento e anche l’abuso spirituale, fa attualmente problema il significato delle strutture autoritarie della Chiesa. L’autoritarismo costituisce anche una categoria centrale per spiegare le posizioni populiste ed estremiste di destra. Questo spiega la prossimità che esiste spesso tra i circoli religiosi autoritari e politici di destra. E sottolinea il pericolo che può derivare alla Chiesa dai gruppi strutturati in maniera autoritaria. Dal punto di vista ecclesiastico-politico, si pone l’esigenza di un chiaro rifiuto del populismo e dell’estremismo misantropo di destra come anche della supremazia dei gruppi strutturati in maniera autoritaria e del loro retroterra ideologico all’interno della Chiesa.

Sonja Angelika Strube                      17 maggio 2019

http://www.settimananews.it/papa/gli-oppositori/?print=pdf

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CITTÀ DEL VATICANO

Amoris Lætitia bussola per la nuova ricerca sulle famiglie del mondo

Intervista al presidente della Pontificia Accademia per la vita al termine dei lavori del primo meeting di esperti dell’osservatorio Internazionale sulla Famiglia: l’indagine durerà tre anni e coinvolgerà anche i nuclei familiari di altre religioni e culture

“E’ stata davvero un’esperienza positiva”. Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia, traccia il bilancio finale dei lavori del primo meeting di esperti dell’osservatorio internazionale sulla famiglia svoltosi a Roma per due intere giornate e conclusosi il 15 maggio 2019 scorso con l’udienza da Papa Francesco. Obiettivo dei lavori, al quale hanno preso parte più di 15 università di tutto il mondo: gettare le basi metodologiche per dare avvio alla realizzazione di una grande ricerca (che si dovrebbe concludere nel 2021), minuziosa e dettagliata, sulle potenzialità e le fragilità dell’istituto familiare.

Mons. Paglia, è la prima volta che si realizza un evento di questo spessore?

R. – Sì. Non c’era mai stato prima d’ora. Hanno partecipato alcune università di diverse parti del mondo, numerosi esperti di organizzazioni che hanno come interesse la famiglia. Tutti uniti dall’istituto Giovanni Paolo II che in questo modo fa proprie tutte le problematiche familiari: da quelle teologiche a quelle morali fino a quelle antropologiche e sociali. Riusciamo ad offrire quello che Papa Francesco, nel punto 2 di Amoris Lætitia, chiede: quando si parla di famiglia cerchiamo di stare con i piedi per terra.

            Dunque, l’esortazione apostolica del Papa sull’amore nella famiglia come bussola per i vostri lavori?

R. -Certamente. Il secondo capitolo è una grande lettura, una contemplazione, della realtà di tutte le famiglie del mondo con diverse condizioni, in modo tale da poter trare indicazioni e prospettive aderenti alla società. Senza dimenticare il patrimonio di sapienza della Chiesa. In fondo, sono duemila anni che la Chiesa Cattolica si occupa della famiglia. La prima Chiesa aveva una forma domestica anche in maniera strutturale mentre più recentemente con il Concilio Vaticano II è la costituzione pastorale Gaudium et Spes ad indicare la famiglia come territorio privilegiato per l’evangelizzazione.

Perché si è scelto di realizzare la ricerca con istituti internazionali anche di diversa estrazione culturale?

R. – Per ottenere dei risultati più affidabili, precisi. E per allargare gli orizzonti. In passato il Pontificio Consiglio per la Famiglia aveva già promosso qualche ricerca. Oggi, però, nel tempo della globalizzazione, anche la ricerca deve essere ‘globale’. E deve riguardare le famiglie di altre religioni e culture, non solo quelle cattoliche o cristiane. I sette miliardi di abitanti del pianeta corrispondono a miliardi di famiglie, non dimentichiamolo. Le famiglie sono il vero patrimonio dell’umanità e lo sono nella loro pluralità d’espressione.

            La ricerca non dimenticherà il rigore scientifico.

R. – E’ proprio così. Uno dei cardini dell’osservatorio è il rigore scientifico da utilizzare nella valutazione dei risultati della ricerca. Altrimenti essa sarebbe solo una scatola vuota. Però a noi non bastano solamente i numeri: sappiamo bene che dietro ogni numero c’è un volto, una storia, legami e sentimenti. Che vanno interpretati. Per questi primi tre anni di indagine, abbiamo scelto come temi delle domande da porre alle famiglie quelli legati alla povertà relazionale ed economica. Sono queste le due direttrici che ci guideranno.

Federico Piana- Città del Vaticano  16 maggio 2019

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-05/paglia-amoris-laetitia-bussola-nuova-ricerca-famiglie-mondo.html

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

La Cambogia riavvia la cooperazione bilaterale con l’Italia in materia di adozioni internazionali

A seguito di una missione a Phnom Penh che ha avuto luogo il 6 e 7 maggio la CAI, in persona del Ministro plenipotenziario Bardini a ciò delegato, e il Ministero degli Affari Sociali della Cambogia hanno concordato di dare ufficialmente inizio al riavvio della cooperazione bilaterale in materia di adozioni internazionali, sospese dalla Cambogia con tutti i paesi a partire dal 2011. L’autorità cambogiana ha ritenuto di mantenere la validità dell’accordo bilaterale sottoscritto con l’Italia il 17 settembre 2014 che prevedeva 8 Enti autorizzati ad operare nel paese, ancorché suddivisibili in due gruppi con modalità allo stato non meglio precisate. Gli enti potranno procedere all’accredito.

            Le due parti hanno altresì concordato sull’opportunità di limitare il numero dei depositi dei dossier delle coppie nella fase iniziale, allo scopo di assicurare un’ordinata e agevole messa in opera delle relative procedure, innovate in Cambogia rispetto al passato a seguito dell’entrata in vigore della Legge sulle Adozioni Internazionali nel 2009 e dei successivi 10 Decreti attuativi (Prakas).

In considerazione delle vicende pregresse che hanno portato alla chiusura delle adozioni internazionali nel Paese e del fatto che l’Italia sarebbe la prima a riavviare le procedure di adozione, la Commissione valuterà le modalità dell’eventuale ripresa del percorso adottivo a cui tutti gli enti dovranno attenersi, al fine di garantire al meglio la correttezza e trasparenza delle procedure, a seguito di ulteriori e necessari contatti e chiarimenti tra i rispettivi Paesi.

Comunicato stampa   16 maggio 2019

www.commissioneadozioni.it/notizie/la-cambogia-riavvia-la-cooperazione-bilaterale-con-litalia-in-materia-di-adozioni-internazionali

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

A che punto siamo sulla pedofilia del clero?

I vescovi italiani sono a una prova decisiva nella loro assemblea di lunedì 20 maggio 2019. Dopo l’incontro di febbraio in Vaticano dei Presidenti di tutte le Conferenze episcopali il   pedofilia del clero è rimasto più che mai aperto. Papa Francesco è intervenuto ora con un suo Motu Proprio ma interventi concreti sembrano essere affidati alle Conferenze episcopali nazionali. Ci sono però molti elementi per capire cosa stia avvenendo almeno per quanto riguarda il nostro paese.

La discussione tra i vescovi. In premessa bisogna sapere che siamo ora a conoscenza di quanto veramente discusso dai vescovi in febbraio. Ne fa un resoconto un libro curato da p. Federico Lombardi, “Consapevolezza e purificazione”, per la Libreria Editrice Vaticana. Vi si leggono affermazioni impegnative, per certi versi sorprendenti per la loro provenienza. Vi si parla con forza di “rompere e superare la cultura del silenzio”, di sviluppare “una positiva cultura della denuncia”, vi si parla di clericalismo per le “connessioni fra gli abusi di potere, di coscienza e sessuali”. “Le ferite profonde nelle vittime sono causate non solo dagli abusi ma anche in gran parte dall’esperienza del rifiuto di essere ascoltate”; esse dovrebbero avere un maggiore ruolo nel corso dei processi canonici. Si è parlato della maggiore partecipazione dei laici e delle donne su tutte le questioni inerenti la pedofilia, della formazione nei seminari, dei rapporti tra diocesi ed ordini religiosi, della necessità di norme vincolanti. Infine si è posto con forza il problema dell’abolizione del segreto pontificio in queste procedure. La conoscenza di queste discussioni mette in luce che c’è un’area vasta dei vertici ecclesiastici a livello internazionale che ha le idee chiare e ciò dovrebbe fare bene sperare.

I decreti di papa Francesco per la Curia romana e la Città del Vaticano. Il sostanziale rinvio alla periferia del problema è stato rotto, un po’ a sorpresa, il 26 marzo dal Papa che ha firmato tre documenti: una legge, delle “Linee Guida” ed una Lettera Apostolica, tutti “sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili”. Sono documenti che hanno vigore solo per gli abitanti del Vaticano, gli uffici della Curia romana e le nunziature. Essi dicono, nella loro diversa articolazione, cose importanti ed impegnative. La figura della vittima è centrale, deve essere ascoltata, accolta e accompagnata. È previsto per esse “un adeguato supporto spirituale, medico, psicologico e legale”. Idem per i suoi famigliari. Inoltre è istituito un referente a cui rivolgersi e c’è l’obbligo della denuncia (“salvo il sigillo sacramentale”) al Promotore di Giustizia (cioè al pubblico ministero), il reato è perseguibile d’ufficio. La prescrizione interviene dopo vent’anni (a partire dalla maggiore età della vittima), il condannato deve essere rimosso dai suoi incarichi. Le Linee Guida descrivono le persone coinvolte (canonici, parroci, cappellani, religiosi e chi abita in Vaticano le caratteristiche e i compiti del vari soggetti attivi (Referente ed operatori pastorali) ed il rapporto coi genitori dei minori (è previsto un rigido consenso informato). L’elenco delle prescrizioni pastorali per i comportamenti (compresi i divieti) per chi si occupa dei minori è molto analitico, impegnativo e fin troppo esigente. Ugualmente sono molto esplicite le indicazioni per le segnalazioni dei presunti casi di abuso o maltrattamento.

Questi decreti sono un messaggio per i vescovi. Questi documenti del Vaticano hanno suscitato una certa sorpresa, da una parte per la loro severità (del tutto al di fuori di quanto praticato usualmente nelle tantissime strutture giovanili che fanno capo alla Chiesa), dall’altra soprattutto perché riguardano un’area di persone interessate del tutto esigua, quasi inesistente (Quanti sono i bambini nella Città del Vaticano? è stata l’ovvia domanda che tutti si sono posti). L’unica interpretazione che ci sembra possibile di questi tre documenti, così fuori dal ritmo ordinario delle competenze curiali, è il messaggio che essi hanno voluto lanciare a tutti gli episcopati. Come potranno essi assumere posizioni più arretrate di quelle del Papa? D’altronde il summit di febbraio, a quanto si capisce, ha lasciato dei segni nei prelati soprattutto per quanto riguarda le testimonianze delle vittime e i tre interventi femminili inusuali e di insolita efficacia. Forse qualcosa si potrebbe muovere nella giusta direzione.

Il Motu ProprioVos estis lux mundi”. Dopo questo intervento, il 7 maggio 2019 papa Francesco ha emanato finalmente le norme che si aspettavano e che hanno ora vigore per tutta la Chiesa universale. Dovranno essere bene studiate, anche per capire come potranno essere interpretate ed usate concretamente dalle Conferenze episcopali. Ad un primo esame sono evidenti passaggi importanti nella direzione del superamento della situazione attuale. I reati considerati non sono solo quelli nei confronti dei minori o di “persona vulnerabile” (è una figura nuova), ma anche quelli consistenti nel “costringere qualcuno, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, a compiere o subire atti sessuali”. Come non ipotizzare in questa fattispecie la violenza nei confronti delle suore da parte di presbiteri se il concetto di abuso lo si vuole interpretare nel senso giusto? Si potrebbe così intervenire concretamente in situazioni che sono da lungo tempo state denunciate. L’altro reato previsto è quello commesso da “chierici” mediante “azioni od omissioni dirette a interferire o ad eludere le indagini” di qualsiasi tipo. Si interviene sui comportamenti di “copertura”, che sono stati quasi la regola fino ad ora nel sistema clericale. Poi il Motu Proprio obbliga tutte le strutture periferiche (le diocesi) a “stabilire, entro un anno, uno o più sistemi stabili e facilmente accessibili al pubblico a cui presentare segnalazioni, anche attraverso l’istituzione di un apposito ufficio ecclesiastico”. Successivamente si prescrive l’obbligo da parte di ogni “chierico” di segnalare al vescovo notizia documentata sui possibili reati sopra descritti (che possono essere perseguiti anche d’ufficio). Questo è un punto molto importante. La segnalazione può avvenire anche da parte di terzi. Il denunciante è tutelato, la sua iniziativa non costituisce una violazione del segreto d’ufficio, non può dare luogo a ritorsioni e non c’è alcun vincolo di silenzio riguardo al contenuto di essa.

Il sistema si modifica solo se intervengono soggetti esterni alla struttura clericale. Forse per la prima volta si dice qualcosa di importante sulle vittime nel Motu Proprio. Le autorità devono offrire ad esse “accoglienza, ascolto e accompagnamento, anche tramite specifici servizi: assistenza spirituale, assistenza medica, terapeutica e psicologica, a seconda del caso specifico”. Ma nulla si dice su possibili indennizzi di tipo economico e sappiamo che questa è una questione importante. Infine il documento prescrive la possibilità di intervenire nei confronti dei vescovi, mediante un complicato sistema di competenze distribuite tra il vescovo metropolita e la curia romana. In tutto il meccanismo può “essere offerta la cooperazione da parte dei laici”. Quanto ai rapporti con l’autorità civile, si dice: “Le presenti norme si applicano senza pregiudizio dei diritti e degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, particolarmente quelli riguardanti eventuali obblighi di segnalazione alle autorità civili competenti”. In linea generale ci sono, senza ahttp://www.cittadella.org/77-corso-di-studi-cristianilcun dubbio, dei passi in avanti importanti se saranno accolti e non accantonati dalle Conferenze episcopali che, dopo l’incontro di febbraio, dovrebbero farsi carico seriamente di una rigenerazione della Chiesa su questa questione. Essi non vanno però, in modo univoco, nella direzione che abbiamo ipotizzato e proposto da tempo. Il fenomeno della pedofilia ci è apparso così radicato e accettato nei fatti anche dalle tante aree sane dell’universo cattolico che ci siamo convinti che per la sua modifica possa essere efficace solo un intervento esterno al sistema clericale, che provenga o dai media e dalla magistratura oppure da soggetti interni alla Chiesa che siano credibili. Quindi l’affidare a “sistemi stabili” nominati a discrezione dal vescovo la raccolta delle segnalazioni, il non stabilire nei vari iter previsti una presenza generalizzata e con autorità decisionale delle vittime, di laici indipendenti e, soprattutto, di donne rende questo testo debole in partenza. Infine non viene risolto il problema del tutto centrale del rapporto con l’autorità civile che viene lasciato alle diverse situazioni locali.

La situazione in Italia. Chi ha seguito la situazione in Italia negli anni conosce bene le caratteristiche dell’approccio al problema della pedofilia nel nostro Paese da parte dei vescovi. “Noi Siamo Chiesa” è intervenuta in modo costante e documentato negli ultimi dieci anni. In sintesi si può dire che, mentre molti casi di pedofilia del clero venivano a galla con processi ed eco sui media, i vescovi hanno sempre sostenuto, e non troppo sottovoce, che in Italia le cose erano diverse dagli altri paesi, non hanno raccolto informazioni esatte sul fenomeno (tuttora non ci sono), non hanno predisposto alcun intervento a livello centrale o diocesano, si sono arroccati nella difesa delle procedure interne al sistema ecclesiastico, in particolare ricordando che le norme concordatarie e civili non obbligano il vescovo alla denuncia alla magistratura. Niente di niente è stato fatto nella direzione dell’attenzione alle vittime, non ascoltate e lasciate sole davanti alla decisione su una denuncia alle autorità civili, che spesso veniva scoraggiata. Infatti la prassi è stata quella di chiedere alle vittime di non denunciare pubblicamente i fatti a “tutela” del buon nome della Chiesa. Il sistema più comune è stato quello del trasferimento del prete accusato da una parrocchia ad un’altra (nel migliore dei casi di isolarlo in qualche struttura protetta) e di non avere il pudore di rinunciare alla prescrizione nel caso essa fosse intervenuta nei processi davanti alla magistratura civile. Nessun referente esterno e indipendente per l’ascolto delle vittime è stato a oggi istituito (salvo che nella diocesi di Bolzano). In sostanza tutto il contrario di quanto altri episcopati hanno cercato di fare, in qualche caso anche non pubbliche e solenni celebrazioni penitenziali.

Il nuovo “Servizio nazionale per la tutela dei minori”. Le Linee Guida del 2012 (corrette nel 2014, su intervento del Vaticano) sono state l’espressione di questa linea. Ma questa passiva ordinaria amministrazione nella gestione della questione non ha potuto continuare per l’irrompere degli scandali sui media internazionali (in particolare in Cile e in Pennsylvania), per altri casi emersi in Italia, ma soprattutto per la “Lettera al Popolo di Dio” del 20 agosto 2018 di papa Francesco e per altri interventi del Vaticano, che considera la situazione italiana del tutto arretrata rispetto al generale tentativo di organizzare seriamente la “tolleranza zero”. Il Consiglio Episcopale permanente di settembre e gennaio e anche l’assemblea generale dei vescovi di novembre hanno deciso di istituire un “Servizio nazionale per la tutela dei minori”. Esso prevede una struttura di 16 referenti vescovi, uno per ogni regione ecclesiastica a cui fanno capo referenti diocesani nominati dal vescovo che si giovano di esperti ed operatori pastorali. Questa macchina burocratica si è già messa in movimento, i referenti regionali si sono riuniti, esiste un Regolamento nazionale, il Presidente del Servizio è Mons. Ghizzoni, vescovo di Ravenna, esiste un Consiglio di Presidenza (7 preti, cinque donne, due laici), è prevista una Consulta nazionale, che non è ancora stata costituita. Gli scopi del Servizio sono quelli di impegnarsi nella prevenzione e nella formazione. I tempi dell’efficacia di questo intervento sono inevitabilmente molto lunghi. Una logica organizzativo-burocratico-gerarchica sembra essere inevitabile.

Vescovi e Motu Proprio. Questo percorso ha portato alla redazione di una bozza riservata di modifica delle Linee Guida del 2014 che sarà sottoposta ai vescovi nell’assemblea generale del 20 maggio2019. Essa dovrà tenere conto dei reati come definiti nel Motu Proprio, dell’obbligo di denuncia, dell’istituzione di “servizi stabili” per ricevere le segnalazioni (saranno, secondo logica, gli uffici o referenti diocesani previsti dal Servizio nazionale che si stanno istituendo). Quanto sia insufficiente la normativa del Motu Proprio (a cui sarà facile accondiscendere da parte delle nostre diocesi), lo testimonia la struttura diocesana della più importante diocesi italiana, quella di Milano, che è già stata costituita. Essa è composta da ben dieci preti, due donne e da un avvocato di fiducia della Curia. Ci chiediamo se sia credibile la composizione di questo ufficio. Essa è stata nominata dall’arcivescovo, che, tra l’altro, è ben noto essere stato coinvolto personalmente in una questione di copertura. L’altra questione, forse la più importante, che pone meritoriamente il Motu Proprio, è quella delle vittime. Potranno i nostri vescovi continuare, come in passato, ad ignorarle? Potranno escluderle dall’ascolto e dall’assistenza? Come ci si potrà continuare ad occuparsi del problema solo all’interno degli uffici delle curie? Chiediamo che la composizione dei nuovi uffici sia composta in modo paritetico da uomini e donne, che ci sia una rappresentanza delle vittime e che abbiano il segno della loro indipendenza dal vescovo.

La questione della denuncia all’autorità civile. L’altra questione aperta per i vescovi italiani è il possibile superamento dell’assenza dell’obbligo di denuncia alla magistratura del prete pedofilo. Il Motu proprio non dà indicazioni, lascia libere le Conferenze episcopali. Forse è una prudenza determinata dalle enormi differenze esistenti nel mondo nei rapporti tra Chiesa ed autorità civili. Detto questo, il problema si pone invece nel nostro paese in modo non rinviabile. Su questa questione, rispetto alla quale ci sono ancora tante resistenze, si gioca la prossima assemblea dei vescovi del 20 maggio. Modifiche alle Linee Guida del 2014 pare siano state apportate nella bozza in circolazione. Il Card. Bassetti ha ripetuto in sede pubblica (“Avvenire” del 10 marzo 2019) che “La Chiesa italiana assicura la massima collaborazione alla giustizia ordinaria” e mons. Russo, segretario della CEI, che la Chiesa “collabora con l’autorità civile fino in fondo” (intervista a “Radio anch’io”). In attesa di sapere cosa significhino in concreto queste dichiarazioni e se i vescovi sulla questione continueranno a prendere tempo o se, come chiediamo da tempo, riusciranno a rompere con un passato opaco e di comodo, ci permettiamo di esporre ancora una volta il nostro dissenso su come è stato affrontato tutto il problema.

Fare il secondo passo senza avere fatto il primo è un grave errore. Si decide di fare il secondo passo senza avere fatto il primo e così il secondo, pure necessario, quello della prevenzione e della formazione, perde credibilità, perché ha tempi lunghi e perché può essere visto come tentativo di eludere ciò che costa di più e che non può essere rinviato, essendo il ritardo nell’intervento già del tutto eccessivo. Abbiamo incalzato da molto tempo il sistema ecclesiastico, con la nostra voce dal basso poco ascoltata, su quello che deve essere il primo passaggio. Lo riassumiamo e ripetiamo: esso consiste nel prendere atto della gravità della situazione anche in Italia, nell’esprimere un pentimento collettivo organizzando atti penitenziali per il peccato del prete pedofilo e per la prassi diffusa di proteggerlo, nell’istituire una struttura di indagine per il passato e di monitoraggio per l’oggi (come fatto da altri episcopati), nel modificare le Linee Guida senza esitazioni e senza retropensieri prevedendo l’obbligo di denuncia alla magistratura del prete pedofilo e le rinuncia alla prescrizione nei processi, nell’istituire in ogni diocesi un’autorità veramente indipendente dal vescovo che accolga e ascolti le vittime, e  che offra loro accompagnamento sotto i diversi aspetti necessari ed opportuni. Si deciderà un nuovo corso nell’assemblea dei vescovi del 20 maggio? Se così non sarà, si rischia un di più di opacità, di gestione ancora (come ora) tutta interna al corpo ecclesiale che, senza la chiarezza di una confessione di colpa e di un immediato diverso percorso, farebbe male alla testimonianza dell’Evangelo.

Esplosioni periodiche del problema sui media da una parte, insieme a silenzi e insabbiamenti dall’altra, accrescerebbero nella vasta opinione pubblica diffidenza verso la Chiesa proprio nel momento in cui invece opera, su un altro versante del tutto diverso, in modo meritorio con tante realtà di base, ONG, ordini religiosi e parrocchie che in questi mesi cercano di fare argine alle nuove leggi e alle prassi che respingono gli “ultimi” nel mare o che li allontanano dai centri di accoglienza.

Noi siamo chiesa        Roma, 18 maggio 2019

www.noisiamochiesa.org/wordpress/wp-content/uploads/2019/05/La-pedofilia-del-clero-allassemblea-dei-vescovi-il-20-maggio-NSC.pdf

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CONGRESSI – CONVEGNI – CORSI – SEMINARI

77° corso di studi cristiani alla Cittadella di Assisi. 21→25 agosto 2019

Quando nell’umano irrompe la sete dell’oltre

Il desiderio e l’esigenza di proseguire l’approfondimento dell’umano alla prova, felicemente condiviso nella precedente esperienza, approda, con il 77° Corso di Studi Cristiani, alla sete dell’oltre.

Ci siamo chiesti se il codice, la cifra eccedente dell’umano, non consista in una connessione con il profondo, dove molto probabilmente lampeggia sotto traccia quel roveto ardente di biblica esperienza, denominata ‘spiritualità’.

Alcuni particolari eventi drammatici, come l’incendio di Notre-Dame a Parigi, seguito in diretta a livello mondiale, hanno avuto una risonanza interiore imprevedibile e straordinariamente diffusa nella coscienza di credenti e diversamente credenti, coinvolti non solo in un’emozione, ma anche in una indefinibile sete di riportare alla luce nella propria coscienza quella perla nascosta di evangelica memoria.

            Ci siamo chiesti ancora se non sia questo un segno dei tempi, una breccia più ampia e più profonda di quanto si possa empiricamente percepire, da verificare con il contributo di filosofi e di teologi, studiosi della modernità e della secolarizzazione.

Perciò riteniamo opportuno e significativo rivisitare l’esperienza di coloro che vivono cammini di inquieta speranza, di fede senza orpelli di sovrastrutture.

            In buona sostanza, ci chiediamo se non solo il credente, ma quanti vivono in sintonia con le attese più autenticamente umane la travagliata complessità del mondo globale, la sofferta profetica spiritualità di Papa Francesco, non debbano inverare tali attese in una spiritualità resistente e resiliente, oltre che solidale e fraterna.

www.cittadella.org/77-corso-di-studi-cristiani

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

                   Collegno. Famiglialcentro. Corso di aggiornamento per consulenti familiari

            Corso di aggiornamento per consulenti familiari, sabato 25 maggio 2019

  1. Teoria dalle ore 9.00 alle ore 13
  2. Laboratorio dalle ore 14 alle ore 18 per un totale di 8 ore

dott.ssa Giovanna Francesca Sacilot, psicopedagogista e consulente della coppia e della famiglia

Famiglialcentro è un’associazione mirata a supportare le persone in situazioni di difficoltà relazionali

L’ascolto come arte d’aiuto. La missione: Offrire un servizio qualificato di consulenza alla persona in situazione di difficoltà, secondo criteri di promozione umana e di aiuto, occupandoci delle relazioni tra le persone. Formazione, prevenzione, educazione per la crescita consapevole della persona, della coppia e della famiglia

Alessandra Milighet: Caro papà, la figura paterna in bilico fra tradizione e nuovi ruoli

www.famigliacentro.it/wp-content/uploads/2019/04/La-figura-del-padre-Alessandra-Milighetti.pdf

www.famigliacentro.it

 

Trento Siete in crisi? Il sindaco paga la “manutenzione di coppia”

Trento. Il Comune pensa a tutto. Alle coppie che stanno per scoppiare, o che hanno bisogno di un tagliando dopo anni di routine, ma anche ai giovani incollati allo schermo di un telefonino e letteralmente drogati di social media. Ed ecco che il servizio Attività sociali di palazzo Thun ha elaborato una proposta destinata sia alle nuove coppie sia a quelle che hanno qualche problemino. Ma non solo, per disintossicare i giovani torna anche il Mountain social detox, il campo estivo sul monte Bondone.

Al percorso per coppie in difficoltà hanno dato un nome evocativo, ma forse più adatto a una macchina che a un progetto di vita in comune: «Un tempo per noi due: dalla formazione alla manutenzione della coppia». Al di là della terminologia meccanica, l’assessora alle politiche sociali, nonché vice-sindaca Maria Chiara Franzoia, spiega che la proposta era nata come percorso di formazione per le giovani coppie ma che poi è virata verso la manutenzione delle coppie: «Ormai ci si sposa sempre meno e abbiamo pensato di adeguare la proposta alla nuova realtà. Così ecco che abbiamo elaborato un percorso di incontri destinato a quelle coppie che, dopo un po’ di tempo, hanno bisogno di tornare a parlarsi, di dedicare un po’ di tempo a se stessi, di confrontarsi».

Ed ecco quindi che il servizio Attività sociali in collaborazione con il Tavolo della formazione alle relazioni familiari hanno preparato una proposta per le coppie in difficoltà o che hanno bisogno di maggiore comunicazione sui temi come la sessualità, la relazione e gli aspetti giuridici della vita di coppia. Il percorso, seguito da professionisti, viene proposto due volte all’anno, in autunno e primavera ed è rivolto a tutte le coppie.

L’iniziativa è progettata insieme a varie realtà che offrono servizi alle famiglie, come Punto Famiglie, Ama, Associazione laica famiglie in difficoltà, Alfid, Consultorio familiare Ucipem, Consultorio dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari, Forum della associazioni familiari del Trentino e Led-laboratorio di educazione al dialogo. (…)

Giornale Trentino                                      15 maggio 2019

www.giornaletrentino.it/cronaca/trento/siete-in-crisi-il-sindaco-paga-la-manutenzione-di-coppia-1.2007616

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COPPIE DI FATTO

Contratto di convivenza: la guida per le coppie non sposate

Che piaccia o non piaccia agli ultraconservatori, da tempo le coppie di fatto non sono più un fenomeno sociale isolato ma una realtà consolidata. Molti giovani (e meno giovani, magari usciti da un matrimonio fallito e senza voglia di ripetere l’esperienza) decidono di adottare questa formula anziché passare dall’altare o dall’ufficiale dell’anagrafe per pronunciare il fatidico sì. Se lo dicono tra loro, mettono su casa e cominciano la loro vita insieme. Tuttavia, ci sono degli aspetti legali che portano necessariamente a stipulare un contratto di convivenza.

            Un elenco di diritti e doveri che, soprattutto all’inizio, può sembrare superfluo a chi ha i cuoricini al posto degli occhi ma che con il tempo, bene o male che vadano le cose, si rendono necessari. Può essere utile, allora, a chi sta per firmare o ancora non conosce il contratto di convivenza: la guida per le coppie non sposate. Questo accordo è l’unico documento che regola la convivenza di una coppia di fatto, non essendoci di mezzo un matrimonio. Deve essere fatto per iscritto con atto pubblico o scrittura privata ed autenticato da un notaio, pena la nullità.

Il contratto di convivenza approfondisce ulteriori diritti e doveri oltre a quelli già acquisiti quando la coppia di fatto si registra formalmente come tale all’ufficio anagrafe del Comune in cui risiede. Ma non concede ai partner tutti i diritti acquisiti dal matrimonio, come può essere quello che riguarda l’eredità.

Coppia di fatto: che cos’è? Conviene, forse, cominciare proprio da qui, dalla definizione di una coppia di fatto. Perché, contrariamente a ciò che si può pensare, non basta trasferire le proprie cose in una casa in comune, «andare a vivere insieme» per formalizzare una coppia di fatto.

            Non ci vuole necessariamente un contratto di convivenza ma un minimo di «nero su bianco» sì che ci vuole. Altrimenti, si parla di due persone che vivono insieme, che hanno la residenza insieme (se la stabiliscono entrambi in quella casa) e basta.

            Si può dire, dunque, che una coppia di fatto è quella formata da due persone maggiorenni, stabilmente legate da un vincolo sentimentale e di reciproca assistenza morale e materiale ma non da un legame matrimoniale o di unione civile. E, soprattutto, che hanno fatto un’apposita dichiarazione all’ufficio anagrafe del Comune di residenza di persona o tramite posta elettronica o fax. Solo così si diventa coppia di fatto e non semplici coinquilini, tanto per dire.

            Nessuno dei due deve avere un legame matrimoniale in corso. Significa che se uno dei partner è stato precedentemente sposato, per poter formare una coppia di fatto non basta la separazione legale: ci vuole il divorzio.

Coppia di fatto: quali diritti senza contratto di convivenza? Quando la coppia di fatto si registra all’anagrafe comunale, acquisisce alcuni diritti senza bisogno di sottoscrivere il contratto di convivenza, anche se quest’ultimo, come vedremo, offrirà maggiori garanzie.

            Il riconoscimento della convivenza di fatto, ad esempio, comporta il diritto di assistere il partner in caso di malattia o di ricovero. Significa che si ha diritto di visita e di accesso alle informazioni personali del paziente come previsto per i coniugi o per i parenti. Inoltre, il convivente ha la facoltà di decidere (se c’è un accordo previo nella coppia) che cosa fare quando l’altro è in punto di morte e, a decesso avvenuto, se donare o meno gli organi, come celebrare il funerale, se optare per la sepoltura tradizionale o per la cremazione, ecc.

            L’iscrizione della coppia di fatto all’anagrafe concede anche dei diritti per quanto riguarda la casa. Ad esempio, se muore il proprietario dell’abitazione in cui abitano i due partner, il convivente superstite può continuare a viverci per 2 anni o per un periodo uguale al tempo di convivenza se è durato più di 2 anni ma non per più di 5 anni. Se il superstite vive con un figlio minorenne o disabile, può continuare ad occupare la casa per un periodo non inferiore ai 3 anni.

            Se, invece, la coppia vive in affitto, in caso di morte della persona a cui è intestato il contratto il partner ha il diritto di succedergli nella locazione.

            Altri diritti della coppia di fatto sono:

  • Il diritto al risarcimento di un danno che spetta al coniuge superstite quando uno dei conviventi muore a causa di un fatto illecito di un terzo (un incidente stradale, un caso di malasanità, ecc.);
  • Il diritto a partecipare alla gestione e agli utili di impresa familiare del convivente, ai beni acquistati con quegli utili e agli incrementi dell’azienda in proporzione al lavoro svolto;
  • Il diritto di ricevere gli alimenti dall’ex convivente in caso di cessazione della convivenza, nel caso in cui il partner si trovi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento;
  • Il diritto di denunciare l’altro convivente per il reato di maltrattamenti in famiglia;
  • Il diritto di visita e di affidamento condiviso dei figli nel caso di rottura del rapporto;
  • Il diritto di ricevere dal partner il contributo economico necessario al mantenimento della coppia o della famiglia. In caso contrario, scatta la violazione degli obblighi familiari anche se non c’è di mezzo un legame matrimoniale.

Contratto di convivenza: che cos’è? Il contratto di convivenza è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla legge Cirinnà [Legge 20 maggio 2016, n. 76]. Presuppone un passo avanti rispetto al semplice rapporto di coppia di fatto. Si tratta di un vero e proprio contratto, appunto, in cui vengono fissati diritti e doveri dei due partner che decidono di vivere insieme senza sposarsi. Deve essere sottoscritto come atto pubblico a pena di nullità e può essere stipulato prima o durante la convivenza sia dalle coppie eterosessuali sia da quelle omosessuali.

Contratto di convivenza: che cosa stabilisce? Il contratto di convivenza sancisce aspetti come:

  • Il luogo di residenza della coppia;
  • Il modo in cui ciascuno dei partner contribuisce al mantenimento della coppia;
  • Il regime patrimoniale che regola il rapporto (comunione o separazione dei beni).

Più nel dettaglio, è possibile fissare attraverso questo documento le regole su:

  • Le modalità con cui si deve partecipare alle spese comuni o l’attività domestica ed extra-domestica;
  • L’attribuzione della proprietà dei beni acquistati durante la convivenza, a seconda del regime patrimoniale scelto;
  • Il modo in cui può essere utilizzata la casa in cui abita la coppia, indipendentemente dal fatto che sia di proprietà di uno dei due o di entrambi o che ci sia un contratto di affitto;
  • Il reciproco rapporto patrimoniale in caso di cessazione di convivenza per evitare di scomodare i tribunali;
  • La possibilità di assistenza reciproca in caso di malattia fisica o psichica;
  • L’eventuale designazione di un amministratore di sostegno per uno dei due partner;
  • Gli obblighi inerenti l’istruzione e l’educazione dei figli.

Contratto di convivenza: qual è il suo valore giuridico? Chi sottoscrive un contratto di convivenza deve accettare tutti gli obblighi giuridici che comporta tale accordo. Significa che violare una delle clausole del contratto può comportare una denuncia in tribunale da parte del partner per chiedere un risarcimento o per ottenere che vengano rispettati i suoi diritti.

Contratto di convivenza: quando è nullo? Affinché un contratto di convivenza sia legalmente valido, deve essere autenticato da un notaio o da un avvocato. Il professionista scelto dovrà iscriverlo entro 10 giorni dalla stipula presso l’anagrafe del Comune di residenza della coppia di persona, via fax o tramite posta ordinaria o elettronica. Altrimenti, sarà carta straccia.

            L’iscrizione, però, avverrà soltanto dopo che il notaio o l’avvocato abbia verificato che il contratto sia conforme alle norme e all’ordine pubblico e che non sia sottoposto a termini o condizioni.

            Il contratto può essere nullo anche quando viene sottoscritto:

  • Da un minorenne;
  • Da una persona interdetta;
  • Da una persona condannata per omicidio testato o consumato del coniuge del partner;
  • Da due persone non conviventi;
  • Da chi ha già un contratto di convivenza o di unione civile;
  • Da chi è ancora legalmente sposato.

Contratto di convivenza: quanto dura? Si potrebbe dire, anche se non si è sull’altare, «finché morte non ci separi»? Il contratto di convivenza non comporta un vincolo di legame come un matrimonio religioso ma il concetto è molto simile. La durata dell’accordo è pari a quella della convivenza stessa.

            Tuttavia, ci sono alcune clausole che entrano in vigore soltanto dopo che la vita insieme si è conclusa. Ad esempio, quelle che riguardano le questioni patrimoniali dopo la separazione, il rapporto con i figli, la divisione dei beni comuni, ecc.

            Il contratto può essere risolto in questi casi:

  • Per comune accordo dei due conviventi;
  • Per decisione di uno dei due partner;
  • In caso di matrimonio o di unione civile di uno dei conviventi o tra di loro;
  • In caso di morte di uno dei conviventi.

Anche in caso di risoluzione del contratto entra in gioco il notaio o l’avvocato: affinché abbia valore legale, deve essere sottoscritta tramite un professionista che provvederà ad autenticarla.

Segue             Modulo / Fac simile Contratto di convivenza

www.laleggepertutti.it/281012_contratto-di-convivenza-la-guida-per-le-coppie-non-sposate#Coppia_di_fatto_che_cose

 

Il ricongiungimento familiare non può prescindere da tutela ampia offerta alle convivenze more uxorio.

Accolto il ricorso avverso un provvedimento di diniego al ricongiungimento di un militare con la propria compagna convivente more uxorio. La questione verte sull’interpretazione da dare all’istituto del ricongiungimento familiare in ambito militare con riferimento, in particolare, alla possibilità di applicare tale istituto ai conviventi more uxorio. Osserva il Collegio come la Corte Costituzionale abbia ripetutamente chiarito come nessuna norma costituzionale o principio fondamentale possa cancellare le ontologiche differenze tra la famiglia di fatto e quella fondata sul matrimonio, legate ad una scelta delle stesse parti interessate (quella cioè di sposarsi o meno).

Cionondimeno, la stessa Consulta ha evidenziato la necessità di tutelare i diritti individuali dell’uomo in tutte le formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, specificando che “per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione” (Corte Costituzionale, 15 aprile 2010, n. 138), ponendo così le basi per il riconoscimento della rilevanza giuridica della famiglia di fatto.

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17508232/il-ricongiugimento-familiare-non-pu%C3%B2-prescindere-dalla-tutela-ampia-offerta-alle.html

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DALLA NAVATA

5° Domenica di Pasqua – Anno C – 19 maggio 2019

Atti Apostoli     14, 27. Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede.

Salmo              144, 09. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Apòcalisse        21, 05. E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

Giovanni           13, 35. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Siamo tutti mendicanti di amore in cammino

«Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate come io vi ho amato»: una di quelle frasi che portano il marchio di fabbrica di Gesù. Parole infinite, in cui ci addentriamo come in punta di cuore. Ma perché nuovo, se quel comando percorre tutta la Bibbia, fino ad abbracciare anche i nemici: «Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare, se ha sete, dagli acqua da bere» (Prov 25,21)? Se da sempre e dovunque nel mondo le persone amano? La legge tutta intera è preceduta da un «sei amato» e seguita da un «amerai». «Sei amato», fondazione della legge; «amerai», il suo compimento. Chiunque astrae la legge da questo fondamento amerà il contrario della vita (P. Beauchamp). Comandamento significa allora non già un obbligo, ma il fondamento del destino del mondo e della sorte di ognuno.

Il primo passo per noi è entrare in questa atmosfera in cui si respira Dio. E non è un premio per la mia buona condotta, ma un dono senza perché. Scriveva Angelo Silesio: «La rosa è senza perché, fiorisce perché fiorisce». L’amore di Dio è la rosa senza perché, Lui ama perché ama, è la sua natura. La realtà è che «siamo immersi in un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci).

            Il secondo passo lo indica un piccolo avverbio: Gesù non dice amate quanto me, il confronto ci schiaccerebbe. Ma: amate come me. Non basta amare, potrebbe essere anche una forma di possesso e di potere sull’altro, un amore che prende e pretende, e non dona niente; esistono anche amori violenti e disperati, tristi e perfino distruttivi. Gesù ama di «combattiva tenerezza» (Evangelii gaudium), alle volte coraggioso come un eroe, alle volte tenero come un innamorato o come una madre, che non si arrende, non si stanca, non si rassegna alla pecora perduta, la insegue per rovi e pietraie e trovatala se la carica sulle spalle, teneramente felice.

            Amore che non è buonismo, perché non gli va bene l’ipocrisia dei sepolcri imbiancati, perché se un potente aggredisce un piccolo, un bambino, un povero, Gesù tra vittima e colpevole non è imparziale, sta con la vittima, fino ad evocare immagini potenti e dure.

Terzo passo: amatevi gli uni gli altri. Espressione capitale, che ricorre decine di volte nel Nuovo Testamento e vuol dire: nella reciprocità, guardandovi negli occhi, faccia a faccia, a tu per tu. Non si ama l’umanità in generale; si ama quest’uomo, questo bambino, questo straniero, questo volto. Si amano le persone ad una ad una, volto per volto, corpo a corpo.

            Amatevi gli uni gli altri, uno scambio di doni, perché dare sempre, dare senza ritorno è molto duro, non ce la facciamo; siamo tutti mendicanti d’amore, di una felicità che si pesa sulla bilancia preziosa del dare e del ricevere amore.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=45880

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DIVORZIO

Divorzi? Ecco il corso (gratuito) per guidarti verso un addio ”amichevole”

Una pratica già sperimentata da molti vip d’oltreoceano – – per fare in modo che la separazione non si trasformi in un incubo. Sentimentale, ma anche economico. Ora arriva in Italia, copre ogni aspetto del divorzio ed è accessibile a tutti. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato il fondatore di Amazon Jeff Bezos. Per dire addio alla sua consorte, il multimilionario americano ha scelto la strada del divorzio amichevole. Una pratica già sperimentata da molti vip d’oltreoceano per fare in modo che la separazione non si trasformi in un incubo. Sentimentale, ma anche economico. Perché qualunque rottura porta con sé inevitabili problemi: liti infinite ed estenuanti, difficoltà a dividere immobili e conti correnti, impossibilità di trovare un accordo per la gestione dei figli. Proprio per questo negli ultimi anni sono nate agenzie e corsi che insegnano alle coppie a separarsi limitando il trauma. Proprio negli Usa in tanti decidono sempre più spesso di farsi seguire da esperti nel cosiddetto “negoziato amichevole”. E così sono diventati numerosi i coach specializzati proprio nella pianificazione del divorzio perfetto. Fra loro, a Chicago, c’è per esempio Deanna Conklin-Danao, psicologa clinica che segue in partner fino all’addio definitivo. Mentre in Danimarca è appena stato inaugurato un corso che insegna a lasciarsi nel modo più giusto.

Qualcosa di simile sta succedendo anche in Italia, dove è partito il primo corso dedicato al divorzio amichevole. A idearlo è stato Armando Cecatiello, avvocato milanese esperto di diritto di famiglia. Il legale ha creato un ciclo di tre lezioni – l’ultima è in programma a fine maggio – che, con l’ausilio di esperti in diverse materie, aiuta le coppie a intraprendere questo percorso doloroso arginando le difficoltà “Quando ci si sposa ci si prepara per mesi, a volte per anni, a questo momento” racconta. “In caso di separazione, invece, nessuno sa cosa fare. Spesso ci si muove in una tempesta emotiva. C’è chi la vede come una liberazione, c’è chi la subisce. Molto raramente si arriva preparati”. L’obiettivo è far capire che la decisione di dirsi addio può essere vissuta anche come una opportunità. “Innanzi tutto ribadiamo che i figli non devono in alcun modo divenire vittime del conflitto” suggerisce l’avvocato. Ma anche che ci sono diversi modi per separarsi, che gli aspetti economici devono essere ben ponderati e che non bisogna mai prendere decisioni affrettate o legate all’emozione del momento”.

            Il corso è gratuito ed è strutturato in tre incontri: nel primo è presente una pedagogista, nel secondo c’è un esperto di psicologia clinica, nel terzo viene coinvolto un commercialista. Gli iscritti sono al momento trenta. “Si tratta di uomini e donne di diversa estrazione. Molti arrivano da soli, non hanno ancora comunicato all’altro partner la volontà di separarsi o ci stanno ancora pensando. Altri vengono in coppia e a volte escono con uno sguardo complice”, prosegue Cecatiello. “Le lezioni si rivolgono non solo alle coppie in procinto di separarsi, ma anche a tutti i professionisti che si confrontano con la crisi della famiglia, come insegnanti, psicologi e assistenti sociali. Questa esperienza permette di avere delle indicazioni a 360 gradi, in modo da essere aiutati a riflettere e a programmare al meglio la propria vita futura”. Gli incontri sono organizzati come dialoghi aperti con l’avvocato, il pedagogista, l’esperto di psicologia clinica e il commercialista. “Ciascuno offre il proprio contributo in un’ottica multidisciplinare, spesso sono i partecipanti a fare domande e ad aprire un discorso che serve a tutti. L’obiettivo è spiegare che un accordo tra coniugi, o ex conviventi, è la soluzione migliore per se stessi e per i figli. La via giudiziale si deve percorrere solo se costretti dalla completa incomunicabilità o da situazioni gravi”.

            Naturalmente, le difficoltà restano. “La più grave sta nel fatto che a distanza di soli sei mesi dalla separazione consensuale, o un anno da quella giudiziale, si possono discutere le condizioni di divorzio. Si tratta di una situazione poco costruttiva” conclude l’esperto. “La nostra normativa non prevede ancora la possibilità di un divorzio diretto senza separazione, e questo impone di duplicare i procedimenti. In Italia è comunque possibile, quando ci sia un elemento di estraneità, come quando uno dei partner sia cittadino straniero, applicare il Regolamento europeo che prevede la possibilità di usare la legge straniera, In questo modo possiamo procedere direttamente con il divorzio”. Che è meno traumatico se si sceglie la pratica collaborativa. E se si applicano le regole contenute nel decalogo messo a punto da legale.

            I consigli per rendere il divorzio meno doloroso

  1. Bambini fuori dal conflitto. I figli non vanno coinvolti nei problemi tra mamma e papà. Potrebbero sentirsi in colpa e le conseguenze davvero rischiose. È meglio parlare della separazione ai figli insieme, dopo aver ben ponderato la decisione e sempre con tranquillità.
  2. Niente critiche. È possibile che un partner non sopporti più l’altro. Ma non bisogna mai parlarne male davanti ai figli. Loro hanno solo due genitori, e li amano entrambi.
  3. Papà e mamma per sempre. Ricordare che l’ex partner continua a essere l’altro genitore. È importante che i figli sentano che entrambi si occupino di loro e facciano scelte senza conflitti.
  4. Non usare i figli come messaggeri. Non utilizzare i figli per mandare messaggi difficili da comunicare.  Non costringerli mai a essere depositari di segreti.
  5. Cercate gli esperti. Rivolgersi ad avvocati specializzati in diritto di famiglia, che abbiano esperienza specifica anche sugli aspetti emotivi della separazione. Occorre anche un commercialista quando la situazione patrimoniale è particolarmente complessa.
  6. Chiedere aiuto. Quando i minori coinvolti nella separazione sono molto provati cercare un supporto pedagogico e psicologico. Il bambino può sembrare sereno ma spesso cerca di compiacere così i genitori.
  7. Non avere fretta. Bisogna fare molta attenzione alle soluzioni affrettate. Quando ci si separa occorre valutare con attenzione gli effetti nel medio e nel lungo periodo. Ci si può pentire per anni di decisioni avventate.
  8. Tutelare i bambini. Informare gli educatori, gli allenatori o tutte le figure importanti nella vita dei figli di ciò che sta succedendo in famiglia.
  9. Non dire menzogne. Non edulcorare mai la verità o addirittura dire bugie ai figli. Se ci sono incomprensioni, i ragazzi sono i primi a capire la situazione e a soffrirne.
  10. I nonni sono una risorsa. Farsi aiutare dai nonni: sono una risorsa fondamentale. A volte, se sono in grado di rimanere fuori dal conflitto, sanno essere dei bravi mediatori.

Daniela Uva   La repubblica             13 maggio       2019

https://d.repubblica.it/life/2019/05/13/news/corso_per_divorzio_amichevole_diritti_famiglia_decalogo_separazione-4403269/?ref=RHPPRT-BS-I0-C4-P1-S1.4-T1

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DONNE NELLA CHIESA

Phyllis Zagano: sulle donne diacono il Papa vuole una discussione ampia

Con la decisione di consegnare pubblicamente alla presidente dell’Unione internazionale delle Superiori generali (Uisg) il risultato a cui è giunta la Commissione sul diaconato femminile nonostante il «poco» su cui tutti i commissari concordassero, e la contestuale sottolineatura che è necessario approfondire ulteriormente la questione prima che egli possa fare un «decreto sacramentale» che abbia «fondamento teologico-storico», Papa Francesco sta cercando di allargare ai vescovi la discussione: è quanto pensa Phyllis Zagano, membro della commissione e professoressa della Hofstra University (Stati Uniti).

Se «molti hanno reagito con delusione, anche tra le sorelle», alle parole del Pontefice, «io sono in pace», ha detto la professoressa Zagano nel corso di un incontro con un gruppo di giornalisti. «Penso che il Papa sta cercando di portare fuori la discussione, penso che stia chiamando i vescovi a parlarne, li sta sfidando. Mi aspetto che ne venga fuori una ampia discussione, sia formale che informale». La studiosa, grande esperta del tema, favorevole alla reintroduzione del diaconato femminile, non ha tenuto conferenze pubbliche né ha rilasciato interviste nel periodo in cui la Commissione era in carica (agosto 2016-giugno 2018), né parla adesso di quanto accaduto in seno alla Commissione. «Il Santo Padre ci ha chiesto un rapporto», finalizzato alla sua «personale riflessione» e «non ho mai inteso che fosse qualcosa destinato alla pubblicazione», si limita a dire Zagano, «non so cosa il Papa abbia consegnato» alla presidente dell’Uisg.

Nella ricostruzione di Phyllis Zagano, Paolo VI chiese ad un membro della Commissione teologica internazionale, Cipriano Vagaggini, di approfondire la questione delle donne diacono, e il teologo, in un articolo poi pubblicato nel 1974 nel giornale del Pontificio Istituto Orientale, affermò che era possibile procedere a tale ordinazione. Orientamento confermato da una sottocommissione della stessa Commissione teologica internazionale (1992-1997), le cui conclusioni di 17 pagine, però – a quanto riferito da due membri – non vennero pubblicate poiché l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger, «si rifiutò di firmare», modificando poi la composizione della sottocommissione.

Nel 2002, la Commissione teologica internazionale pubblicò un documento su «evoluzione e prospettive» del diaconato, con molti passaggi analoghi a quelli di un libro sul tema del cardinale Gerhard Ludwig Müller, nel quale affermò che le diaconesse «non sono puramente e semplicemente assimilabili ai diaconi» e precisò che la decisione circa l’ordinazione delle donne spetta «al ministero di discernimento». Benedetto XVI, da parte sua, affermò, in un incontro con i sacerdoti della diocesi di Roma nel 2006, che «è giusto chiedersi se anche nel servizio ministeriale… non si possa offrire più spazio, più posizioni di responsabilità alle donne». Nel 2009, poi, il motu proprio Omnium in mentem del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi modificò il Diritto canonico per stabilire che «coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità».

Dalle ultime dichiarazioni di Papa Francesco si evince che «sta ai commissari continuare a fare ricerca e parlarne», afferma la professoressa, «io sento che mi è stato chiesto di pubblicare ancora sul tema, che è quanto sto facendo». Nel corso di questi anni, racconta, durante i suoi soggiorni a Casa Santa Marta ha incontrato «vescovi e cardinali che sarebbero contrari» all’ordinazione di donne diacono, mentre «molti vescovi del Centro e Sud America non avrebbero problemi, così come i vescovi dell’America del nord». E di recente, sempre nella residenza vaticana, un sacerdote italiano le è andato incontro chiedendole: «Quando arrivano le donne diacono? Ho molte donne nella mia parrocchia, ne ho bisogno!».

Zagano, però, non immagina «che possa essere presa una decisione che non valga per la Chiesa universale: posso immaginare che una decisione per la Chiesa universale venga applicata da singole Conferenze episcopali e quindi da singoli vescovi», afferma, convinta che il tema, ad esempio, verrà discusso in occasione del Sinodo sull’Amazzonia di ottobre. La Chiesa, ha detto la studiosa, «ha l’opportunità di mostrare al mondo che le donne sono fatte a immagine e somiglianza di Dio. Abbiamo 1,3 miliardi di cattolici, due miliardi di cristiani e cinque miliardi di altre persone e la metà del mondo sono donne, molte sono discriminate, vengono bruciate, picchiate perché non hanno cucinato bene il riso, soffrono. Se il Santo Padre fosse in grado di avere accanto a sé una donna che proclama il Vangelo a San Pietro, direbbe al mondo che le donne non sono lo stesso che gli uomini, ma sono uguali agli occhi di Dio: questo è l’importante, e per questo combatto

Iacopo Scaramuzzi    La Stampa Vatican Insider 16 maggio 2019

www.lastampa.it/2019/05/16/vaticaninsider/phyllis-zagano-sulle-donne-diacono-il-papa-vuole-una-discussione-ampia-8hKXHsmSoAag9jIKYX3FjL/pagina.html

 

Donna e ministero: da impedimento a risorsa. Una soluzione inattesa dal Concilio di Trento?

La evoluzione della riflessione intorno all’esercizio ministeriale della autorità femminile nella Chiesa chiede una rinnovata attenzione da parte dei teologi. Non mancano contributi di valore (ad es. qui), che mostrano come si possa aprire una nuova fase di riflessione, come preludio ad un esercizio della autorità ecclesiale, che spetta ai pastori e non ai teologi, ma alla quale i teologi possono offrire argomenti e motivazioni in parte nuove e in parte antiche.

            Un punto di evidenza del tutto chiaro, e che di recente è tornato anche nelle argomentazioni offerte da papa Francesco, nel riferire sul risultato interlocutorio della Commissione pontificia sul diaconato femminile, è la esigenza di fornire un adeguato “fondamento teologico-dogmatico” per giustificare la possibile nuova introduzione del diaconato femminile. Di per sé lo spazio è aperto, anche se in negativo, perché sia Inter Insigniores sia Ordinatio Sacerdotalis parlano de limiti solo di Episcopato e di Presbiterato, non del Diaconato. Quindi lo spazio istituzionale per una apertura del diaconato alla ordinazione anche di donne è già stato acquisito formalmente.

            Tuttavia, su questo punto specifico possiamo notare come, facilmente, il discorso teologico passi dal “contenuto” (la apertura del diaconato permanente al sesso femminile) alla “forma” (la mancanza di potere della Chiesa nel procedere a questo ampliamento). Come dire che la porta è aperta, ma non si ritiene di avere la autorizzazione a varcarla. In un certo senso, si passa facilmente dal “che cosa” al “come” con molta disinvoltura. E qui si può notare, sul piano sistematico, una interferenza profonda, tra logiche non coerenti, che meritano un chiarimento. Qui sta, a mio avviso, il punto di resistenza più delicato e che merita di essere meglio illuminato.

            Noto infatti una facile interferenza tra una acquisizione del tutto pacifica nella storia della teologia cristiana e cattolica – ossia il limite di potestas ecclesiale di fronte al contenuto rivelato della tradizione, su cui la Chiesa non ha potere – e la tendenziale estensione di questo limite, per garantire alla Chiesa una apparente condizione di sicurezza e assicurarle una strutturale immobilità nella storia. Poiché, se di fronte ad ogni aspetto della tradizione sacramentale la Chiesa ritenesse di avere a che fare con la “sostanza del sacramento”, si vedrebbe costretta a ripetere semplicemente il passato, sicura di essere, per questo, nell’ambito della autentica e indefettibile tradizione ecclesiale. Una estensione troppo disinvolta della “sostanza del sacramento” rischia di impedire l’accendersi della sensibilità per il mutare delle circostanza, dei luoghi e dei tempi.

            In altri contesti (ad es. qui) ho notato come questa argomentazione classica sia diventata, dopo il Concilio Vaticano II, una piccola e grande tentazione: la tentazione di “blocco della tradizione”, con cui la Chiesa, invocando una “mancanza di autorità”, mantiene esattamente lo stesso potere di prima, non si lascia interpellare dalla storia, non si mette in ascolto dei “segni dei tempi”, non si apre ad alcuna “conversione pastorale”. Il Concilio Vaticano II aveva aperto proprio su questo punto la Chiesa a un nuovo esercizio della autorità, dopo la lunga stagione dello scontro col modernismo, mentre dopo di esso, forse spaventati, si è tornati ad argomentazioni difensive e negativa: papa Francesco ha identificato, proprio in questo meccanismo di negazione di autorità, una delle fonti della “autoreferenzialità” e del “clericalismo”, in quanto rischi di degenerazione della tradizione, incapaci di apertura e di “uscita”. Assumere il “fatto” del sesso maschile del diacono come un “dovere per sempre” appare una forzatura, legata ad un eccesso del metodo storico rispetto al metodo sistematico. Come diceva Romano Guardini, la storia ci dice che cosa è stato, ma la sistematica ci dice che cosa deve essere. Questa differenza sembra oggi appannata, quasi dimenticata. E si preferisce spostare solo sul passato il compito di dirci che cosa debba essere il futuro. Ma per “primerear” [prendere l’iniziativa], per prendere l’iniziativa, il passato non basta mai.

            Sebbene questo “stile” abbia singolari caratteri di novità negli ultimi 40 anni, riposa però su evidenze che la tradizione ha già elaborato e su cui, in modo sorprendente, ha saputo “prendere l’iniziativa” in forma molto efficace. Vorrei per questo considerare un testo del Concilio di Trento dal quale si può desumere una soluzione delle questioni molto diversa da quella che oggi proponiamo in generale, e nel caso specifico del diaconato femminile.

            Comunione e potere della Chiesa. Come è noto, il Concilio di Trento ha affrontato con molta larghezza il tema del confronto con il protestantesimo in tema di eucaristia. In una delle Sessioni, la XXI, nel 1562, ha risolto il nodo della relazione tra “comunione sotto le due specie” e “comunione sotto una sola specie” invocando un principio generale che merita di essere riletto e considerato con cura: ecco il testo tratto dal Decreto della XXI sessione: Il potere della chiesa circa la distribuzione del sacramento dell’eucaristia.

“Il concilio dichiara, inoltre, che la chiesa ha sempre avuto il potere di stabilire e mutare nella distribuzione dei sacramenti, salva la loro sostanza, quegli elementi che ritenesse di maggiore utilità per chi li riceve o per la venerazione degli stessi sacramenti, a seconda delle circostanze, dei tempi e dei luoghi.

            Cosa che l’apostolo sembra accennare chiaramente, quando dice: La gente ci ritenga servi di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio. (1 Cor 4,1). Ed è abbastanza noto che egli stesso si è servito di questo potere, sia in molte altre circostanze (At 16,3; At 21,26-27) che in relazione a questo stesso sacramento, quando, date alcune disposizioni circa l’uso di esso: Il resto, dice, lo disporrò quando verrò. (1 Cor 11,34)

            Perciò la santa madre chiesa, consapevole di questo suo potere nell’amministrazione dei sacramenti, anche se all’inizio della religione cristiana l’uso delle due specie non era stato infrequente, col progredire del tempo, tuttavia, mutato in larghissima parte della chiesa quell’uso, spinta da gravi e giusti motivi, approvò la consuetudine di dare la comunione solo sotto una sola specie e credette bene farne una legge, che non è lecito riprovare o cambiare a proprio capriccio, senza l’autorità della stessa chiesa”.

            Questo testo propone una ricostruzione della tradizione in cui la limitazione del potere della Chiesa riguarda la “sostanza dei sacramenti”, mentre la Chiesa “ha sempre avuto” un potere di “adattamento” e di “aggiornamento” che viene così determinato: “il potere di stabilire e mutare nella distribuzione dei sacramenti, salva la loro sostanza, quegli elementi che ritenesse di maggiore utilità per chi li riceve o per la venerazione degli stessi sacramenti, a seconda delle circostanze, dei tempi e dei luoghi”. La “sacramentorum dispensatio” può conoscere un mutamento che è legato a due criteri fondamentali:

  1. La utilità di chi li riceve
  2. La venerazione dello stesso sacramento

e ciò può mutare “a seconda delle circostanze, dei tempi e dei luoghi” (pro rerum temporum et locorum varietate).

            Per giustificare la possibilità di “mutare” la prassi ecclesiale, così come era avvenuto con l’affermarsi della “comunione sotto una sola specie”, che sembrerebbe contraddire le parole di Gesù che chiede di mangiare del pane e di bere del vino, la Chiesa assume su di sé la responsabilità di una potestà, che muta la prassi ecclesiale – almeno per i laici – e la mantiene solo per coloro che presiedono la celebrazione, lasciando immutata la “sostanza del sacramento”.

            A questo principio, affermato dal Concilio di Trento, dovremmo aggiungere la prosecuzione di esso nel Concilio Vaticano II, che fa della autorità ecclesiale, che muta il “rivestimento” della sostanza della antica dottrina del depositum fidei, il cuore stesso della sua “indole pastorale”. Il passo in avanti consiste qui nel fatto che il mutare non è soltanto una possibilità di esercizio della autorità ecclesiale, ma anche una esigenza che sorge dal depositum fidei stesso, che esige di essere comunicato secondo le circostanze mutate, i diversi tempi e i diversi luoghi. La acquisizione della differenza storica e geografica della evangelizzazione diventa principio di identità ecclesiale.

            La diversità della domanda sulla comunione e sul ministero femminile. Il caso del “ministero femminile” sembra rientrare facilmente in questo ragionamento tridentino ripreso e ampliato dal Concilio Vaticano II. La Chiesa, cioè, non solo può, ma deve tener conto del mutare delle circostanze, dei tempi e dei luoghi. La Chiesa tridentina, pur confrontandosi duramente con una grande novità come la contestazione luterana e protestante, che chiedeva di tornare all’originaria forma della comunione, non recedeva dalla possibilità di “mutare la tradizione”, recependo la autorevolezza delle circostanze, dei luoghi e dei tempi. Dunque un primo guadagno importante, grazie al contributo de testo tridentino, è il superamento del pregiudizio secondo cui “assumere circostanze, tempi e luoghi”, nella loro variazione, sia un “cedimento allo spirito del mondo”. Piuttosto fa parte della costitutiva tradizione della Chiesa aprirsi alla novità e recepirla adeguatamente.

Vi è, però, un secondo livello di obiezione alla praticabilità di questa argomentazione. E’ facile infatti considerare che la espressione “sostanza del sacramento”, che delimita il campo della variazione storica, si adatti molto bene alla tradizione eucaristica, ma sia più complessa e accidentata quando si tratta del sacramento dell’ordine. Il modo di pensare la “ordinazione” infatti, storicamente, è avvenuta piuttosto con le categorie della “validità/impedimenti” che non mediante le categorie di “sostanza/uso”. Qui usiamo una analogia che non è lineare e che deve essere attentamente controllata.

            Questa diversità ha subito una certa accelerazione nell’ultimo secolo, a partire dal sorgere del Codice di Diritto Canonico nel 1917, che ha formalizzato una definizione della ordinazione, in cui il “vir” – dunque il sesso maschile – diventa “requisito sostanziale per la esistenza del sacramento”. Pur nella somiglianza del risultato, altra cosa è pensare la ordinazione come un procedimento ecclesiale che ha nel “sesso femminile” un impedimento, come faceva la tradizione medievale e moderna; altra cose è pensare la ordinazione come un fenomeno che abbia, originariamente, il sesso maschile come criterio sostanziale di esistenza.

            Se provassimo a tradurre, sul piano del ministero, il ragionamento tridentino sulla comunione, potremmo dire così: salva la sostanza del sacramento, che è la vocazione e il servizio diaconale di un soggetto battezzato, cresimato e in comunione, circa il diaconato permanente, come forma rinnovata del primo grado del ministero, può esservi una dispensatio sacramenti “nella forma unius sexus” oppure “nella forma utriusque sexus”. Pensare che l’uso del sacramento possa avvenire in una declinazione solo maschile, oppure maschile e femminile, lascerebbe immutata la sua sostanza, permettendo alla Chiesa, e alle singole Chiese, l’esercizio della autorità di adottare per il diaconato permanente una sola o entrambe le soluzioni, Ciò, ovviamente, dovrebbe essere trattato con grande cautela, ma avrebbe, quanto al come, un precedente storico chiaro. La analogia permetterebbe di giustificare la continuità della tradizione nel mutamento della prassi.

            Ma questa cautela, oltre che dalla differenza del sacramento dell’ordine rispetto al sacramento dell’eucaristia, discende anche dal modo con cui la tradizione ha argomentato intorno alla ragione dell’impedimentum sexus: esemplare è, da questo punto di vista, il nitido argomentare tomista, che radica la “necessitas sacramenti” dell’impedimento sessuale nella “assenza di eminenza di autorità della donna”, una differenza che Tommaso giustifica creaturalmente, antropologicamente, naturalmente, biologicamente, fisiologicamente. La radice della esclusione non è dogmatica, ma culturale. Per Tommaso il criterio di giustificazione dell’impedimento di ordinazione della donna trova il suo fondamento in un “ordine sociale strutturalmente inaequalis” che induce anche una rilettura biologica e antropologica “sbilanciata”. E’ legittimo chiedersi se, nel momento in cui le circostanze dei tempi, almeno in alcuni luoghi della esperienza ecclesiale, hanno elaborato un modello diverso di cultura, di società, di biologia e di fisiologia, non sia possibile far accedere anche le donne all’esercizio della autorità ecclesiale, introducendole nell’ambito del ministero ordinato, al grado del diaconato, su cui i pronunciamenti recenti non dicono nulla.

            Una seconda differenza: la parola e il silenzio. Vi è poi una seconda distinzione su cui occorre meditare: la potestà che la Chiesa si è riconosciuta a Trento, sulla prassi eucaristica, aveva a che fare con una esplicita parola di Gesù, che nei sinottici e in Giovanni, ma anche indirettamente nelle attestazioni paoline, si riferisce alla comunione come ad una azione “col pane e con il calice”, come un “mangiate e bevete”. Anche di fronte ad una parola esplicita di Gesù, grazie ad una serie di distinzioni sistematiche, la Chiesa ha potuto riconoscersi fedele al suo Signore, pur nella variazione rispetto alle sue parole letterali: essa infatti, distinguendo tra sostanza e uso, poi distinguendo tra chierici e laici, proprio mediante la elaborazione di queste due distinzioni, ha potuto garantire il permanere della tradizione intatta solo nella prassi dei chierici “celebranti” (che consumano sempre e pane e vino) e ha potuto giustificare la semplificazione della prassi per i laici (che si limitano al pane), in vista di un beneficio che era ritenuto di utilità soggettiva e di venerazione oggettiva. Questo non ha impedito, poi, al Concilio Vaticano II, di recuperare, invece, la pienezza del segno come criterio diverso di utilità soggettiva e di venerazione oggettiva.

            Ora, è possibile chiedersi se, in modo analogo, non si possa considerare “a fortiori” abilitata la Chiesa ad un mutamento della prassi di ordinazione che si confronta con una tradizione che:

  • Non è fondata su una parola esplicita di Gesù, che non ha detto nulla sul tema del ministero femminile;
  • È radicata in una prassi che ha giustificato la esclusione della donna con argomenti troppo deboli o addirittura irripetibili;
  • Può generare un beneficio soggettivo per le donne battezzate e un beneficio oggettivo per una autorevolezza più ampia, più articolata e più capillare del sacramento.

Una elaborazione di questa differenza potrebbe essere assai feconda. Sia perché il silenzio di Gesù non può essere elaborato con argomentazioni troppo congetturali. Non si può dire, ad es.: “se Gesù avesse voluto ordinare le donne, lo avrebbe fatto. Se non lo ha fatto è perché lo ha escluso”. L’argomento, nella sua struttura logica, si può capovolgere facilmente: “Se Gesù avesse voluto escludere le donne dalla ordinazione lo avrebbe detto. Se non lo ha detto, significa che non le ha escluse”. In altri termini, il silenzio sul tema della ordinazione apre la Chiesa ad un ambito di esercizio della potestà, che non può essere negato sulla base di una formulazione giuridica del 1917, che introduce il sesso maschile nella “sostanza” del sacramento dell’ordine.

            In questa svolta recentissima, le ragioni del passaggio dalla logica dell’impedimento, alla logica della sostanza, sono molteplici. Tra di esse si può sicuramente trovare una nuova interpretazione della “potestas ecclesiæ”, limitata all’interno delle leggi vigenti. E’ una tipica rappresentazione tardo-moderna, influenzata profondamente dal Codice Napoleone e dalla sua concezione della legge e del potere. Il recupero di una proposizione tridentina, con la sua antichità e nella sua differenza rispetto ai linguaggi dell’ultimo secolo, può contribuire a guardare all’esercizio della autorità ecclesiale come ad un atto che, fondato sulla tradizione, sa che il mutare delle circostanze, dei tempi e dei luoghi permette di configurare mutamenti in cui non è in gioco la sostanza del sacramento.

Servire da diaconi permanenti la Chiesa di Cristo non sembra esigere, come requisito sostanziale, il sesso maschile, cosa che può essere confermata anche da Inter Insigniores e da Ordinatio sacerdotalis: come si ricorda in sede giuridica il can. 1024 parla in generale di “sacra ordinazione” del maschio battezzato, ma la Sacra Congregazione per la dottrina della fede, nella dichiarazione Inter insigniores del 15 ottobre 1976, approvata da Paolo VI, ha precisato che per diritto divino il requisito del sesso maschile non riguarda tutti i gradi dell’ordine, ma segnatamente il presbiterato e l’episcopato. Questa affermazione, che non ha nulla di sorprendente, può essere giustificata se si evita di dogmatizzare il sesso maschile come “sostanza del sacramento dell’ordine” e si recupera una più elastica logica degli “impedimenti”, sottoponendola però alla critica accurata dovuta al mutare delle circostanze, dei tempi e dei luoghi. E’ sufficiente essere fedelmente tridentini per scoprire nuove possibilità per la tradizione ministeriale. Infatti nella società aperta l’impedimentum sexus subisce una profonda trasformazione, al punto da avere, come impedimentum, solo due alternative: o si dogmatizza o sparisce. Il sesso femminile, pensato nel ministero ecclesiale non più come impedimento, ma come risorsa, è il segno del sorgere di un mondo nuovo, che ecclesialmente dobbiamo ancora iniziare a comprendere e ad amministrare.

Andrea Grillo blog: Come se non     15 maggio 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/donna-e-ministero-da-impedimento-a-risorsa-una-soluzione-inattesa-dal-concilio-di-trento

 

                                   Un cambiamento di paradigma “Vultum Dei Quaerere”

È assolutamente indiscutibile che uno degli obiettivi del pontificato di Papa Francesco sia orientato al riconoscimento e alla valorizzazione della speciale vocazione e missione delle donne nella Chiesa. Tra i suoi molti gesti e parole, che confermano quest’indirizzo in modo chiaro e inequivocabile, va posta senza dubbio la Costituzione apostolica Vultum Dei Quaerere, dedicata alla vita contemplativa femminile e firmata il 29 giugno del 2016. Un documento singolare, per molte ragioni, che rappresenta un cambiamento di paradigma nella comprensione della vita contemplativa delle donne nella Chiesa.

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/07/22/0530/01195.html

È nostra intenzione sottolineare alcuni degli aspetti più significativi, che possano offrire una luce a tutti — perché la vocazione contemplativa è anticipo e annuncio del destino ultimo di ogni cristiano e della creazione intera, cioè la chiamata alla comunione sponsale con Cristo — e contemporaneamente un invito alla lettura integrale del testo.

            Esso è il punto culminante di un dialogo con le donne contemplative che la Santa Sede iniziò apertamente anni fa, attraverso diversi questionari, inviati a tutti i monasteri del mondo dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. Questa Costituzione nasce pertanto come risposta alla parola delle contemplative invitate a riflettere sulla loro identità, missione e forma vitae di fronte alle nuove sfide del XXI secolo. All’origine del documento vi è perciò un previo atteggiamento di ascolto, interesse e attenzione nei nostri riguardi, le donne contemplative, che viene espresso e restituito dal testo in forma di discernimento e consiglio, cura materna e accompagnamento ecclesiale.

            Già a partire dal suggestivo titolo, Cercare il volto di Dio, la vita contemplativa viene caratterizzata dall’attitudine alla ricerca mai conclusa, all’anelito, all’inquietudine del cuore, alla sete insaziabile, all’attrattiva e al desiderio di Dio — espressioni usate frequentemente nel documento per descrivere l’esperienza contemplativa. Una vita, dunque, ferita dall’apofatismo, [lontano dal dire, Dio inconoscibile] ossia squadernata nella coscienza vitale dell’abisso insondabile che è Dio, nel costante superamento di ogni tentazione idolatrica di conquista conoscitiva o volontaristica, al di là di ogni volgarizzazione o profanazione del Mistero, nella posizione di un’attesa piena d’amore, di una vigilia, di un vespro, di una preparazione in vista dell’arrivo dello Sposo, annunciato in mezzo alle realtà di questo mondo e aperto a quel compimento definitivo di cui il cuore ha fame, «fino a riposare in Te».

            Quest’atteggiamento di attesa sgorga paradossalmente dalla maggior vicinanza e intimità col Mistero di Dio. Usando un linguaggio e un metodo teologico proprio della tradizione spirituale monastica del Medioevo, la Costituzione Vultum Dei Quaerere fa della “ricerca mai conclusa di Dio” il segno e il criterio di autenticità della vita contemplativa. Via negativa di accostamento a Dio non per assenza o lontananza, ma, giustamente, per eccesso e sovrabbondanza della sua presenza, perché il Dio cristiano ha “rotto” per amore la sua trascendenza, rendendosi vicino, e la sua gloria si manifesta nella pienezza della sua vicinanza: in Gesù, «il più bello tra i figli dell’uomo».

            Da questa posizione vitale, le donne contemplative vivono in solidarietà con tutti gli uomini e le donne che esprimono un anelito di felicità, una ricerca dell’assoluto, un’insoddisfazione esistenziale che, pur incoscientemente, pur nel dramma e nella resistenza alla fede, muove verso Dio. Esse si trasformano così in madri di queste anime straziate, in punti di riferimento e segni profetici dell’amore di Dio, conducendo e orientando i passi di tutti all’incontro con lui. È la maternità spirituale, così propria dei monasteri che, separati dal mondo, sono — nel paradosso della distanza che permette l’incontro, una categoria che attraversa il documento del Papa come un cantus firmus — mediante la spiritualità dell’ospitalità e la continua intercessione, veri fari, torce, sentinelle dell’aurora, città sopra il monte, lampade sul candelabro, scale con cui Dio scende e si avvicina agli uomini e attraverso le quali essi salgono a lui. Tutte immagini presenti in Vultum Dei Quaerere in riferimento alla vita monastica.

            In definitiva, Papa Francesco sta invitando con grande profondità e audacia la vita contemplativa ad assumere, in comunione con tutta la Chiesa, un’esistenza “in uscita” come gesto tipico, inerente ed essenziale della propria vocazione. Nel porre l’accento sulla ricerca di Dio, la contemplazione si estende alla ricerca dell’uomo, sul cui volto è nascosto, a volte sfigurato — come in un’icona danneggiata — il volto di Cristo. E così la compassione, la maternità, l’accoglienza e l’accompagnamento, l’intercessione e la profezia formano intrinsecamente parte dell’esperienza claustrale.

            Carolina Blázquez Casado    Osservatore romano 18 maggio 2019

www.osservatoreromano.va/it/supplement/le-voci-delle-donne

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ENTI TERZ0 SETTORE

Dal 20 maggio sanzioni per chi non applica il Gdpr

Probabile un aumento dei controlli, a partire dal 20 maggio, sull’applicazione della normativa Gdpr sulla gestione dei dati personali. Il regolamento generale sulla protezione dei dati (in inglese General Data Protection Regulation).

            Il decreto legislativo 101 del 10 agosto 2018 di adeguamento della legislazione italiana al Gdpr è entrato in vigore il 19 settembre 2018 all’articolo 22 comma 13 recita: “Per i primi otto mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Garante per la protezione dei dati personali tiene conto, ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative e nei limiti in cui risulti compatibile con le disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679, della fase di prima applicazione delle disposizioni sanzionatorie”

www.uneba.org/tag/gdpr

            Trascorsi gli otto mesi, quindi da lunedì 20 maggio, il Garante potrà applicare appieno le sanzioni previste dal Gdpr. Il presidente del Collegio del Garante della protezione dei dati personali Antonello Soro ha annunciato che nelle ispezioni ”Ci si muoverà secondo il criterio: prima i grandi numeri e i settori più importanti. Nel pubblico, per esempio, si controllerà come sta funzionando Spid e le grandi banche dati. Nel privato, i grandi istituti di credito, chi fa profilazione con sistemi di fidelizzazione su larga scala, chi tratta i dati sulla salute”.

https://www.uneba.org/dal-20-maggio-sanzioni-per-chi-non-applica-il-gdpr/

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FIGLI

La Chiesa oltre il tabù adesso apre le porte ai figli dei sacerdoti

La questione dei figli dei preti è secolare e, nella storia della Chiesa, ci sono stati anche dei Papi con prole. Ma è con il pontificato di Francesco che il tema, da sempre tabù, comincia ad emergere. In Francia tre figli di sacerdoti — membri dell’associazione «Les Enfants du silence», che ne comprende una cinquantina — sono stati ricevuti per la prima volta da un rappresentante della conferenza episcopale, il segretario Olivier Ribadeau-Dumas, un’ora e mezzo di racconti. L’incontro è avvenuto il 4 febbraio 2019 a Parigi ed è stato rivelato dal quotidiano Le Monde: «Abbiamo sentito che la Chiesa ci apriva le porte, che non c’era più negazione, ma un ascolto e una presa di coscienza di ciò che abbiamo vissuto», ha spiegato Anne-Marie Jarzac, presidente dell’associazione. Non più «vergogna e segreto».

Alla fine di febbraio, sull’Osservatore Romano, era stato il cardinale Beniamino Stella a confermare l’esistenza di una «Nota relativa alla prassi della Congregazione per il Clero a proposito dei chierici con prole», linee-guida interne per i vescovi: il prete deve «assumersi le proprie responsabilità come genitore, dedicandosi esclusivamente al bambino», con relative incombenze «personali, legali, morali e finanziarie». Che fosse un tabù lo dimostra il fatto che il caso non sia previsto dal codice canonico. Ma le regole sono chiare: il sacerdote deve chiedere la «dispensa» e lasciare il sacerdozio, perché prima di tutto c’è «il bene dei bambini» e il loro diritto «ad avere accanto anche un padre». Ne parlò l’allora cardinale Bergoglio nel libro Il cielo e la terra del 2010: «La legge naturale viene prima dei suoi diritti come prete».

Gian Guido Vecchi                                  Corriere della Sera                         19 maggio 2019

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201905/190519vecchi.pdf

 

Apertura senza precedenti della Chiesa cattolica di Francia verso il riconoscimento dei figli di preti

Alcuni figli di preti sono stati ricevuti per la prima volta da un responsabile ecclesiastico francese, e in giugno parleranno davanti ai vescovi. Dopo secoli di rifiuto, la Chiesa cattolica di Francia fa un passo timido, ma senza precedenti, verso il riconoscimento dei figli di preti. Tre di loro, membri dell’associazione francese Les enfants du silence (i figli del silenzio), che conta una cinquantina di figli di ecclesiastici, sono stati ricevuti per la prima volta – su loro richiesta – da un responsabile ecclesiastico, secondo le informazioni di Le Monde.

L’incontro, rimasto fino a questo momento confidenziale, si è svolto il 4 febbraio 2019 a Parigi nei locali della Conferenza episcopale francese (CEF), che riunisce i vescovi e i cardinali del paese. Per un’ora e mezza, Olivier Ribadeau-Dumas, segretario generale della CEF, ha ascoltato la loro testimonianza su quell’argomento tabù. Una discussione “cordiale e costruttiva”, spiega l’interessato, che ha ascoltato le “sofferenze” di questi uomini e di queste donne considerati frutto del peccato, rifiutati e cresciuti nella vergogna e nel segreto.

Questo colloquio, Anne-Marie Jarzac, figlia di un prete e di una suora e presidente di Les enfants du silence, lo ha atteso a lungo. “È stato un momento molto commovente, racconta questa pensionata di 67 anni. Per la prima volta, abbiamo sentito che la Chiesa ci apriva le porte, che non c’era più un rifiuto ma un ascolto e una presa di coscienza di ciò che abbiamo vissuto”. È stata affrontata la delicata questione della sorte riservata ai preti che hanno un figlio nel corso del loro presbiterato, così come il riconoscimento di questi figli nelle comunità parrocchiali. Segno di un’evoluzione storica della Chiesa di Francia in materia, Olivier Ribadeau-Dumas ha proposto che alcuni figli di preti incontrino i vescovi incaricati della formazione in occasione delle prossime riunioni della commissione episcopale per i ministeri ordinati e i laici in missione ecclesiale (Cemoleme), affinché possano testimoniare. Il primo incontro si terrà il 13 giugno 2019. “È un grande passo, si rallegra la Signora Jarzac. Penso a tutti quei figli di preti che cercano disperatamente di sapere chi è il loro padre e che si scontrano col silenzio della Chiesa. Cominciavo a perdere la speranza”.

Questo gesto di apertura avviene dopo che il Vaticano ha riconosciuto, in febbraio, l’esistenza di un documento segreto, mai pubblicato, che fissa le direttive da applicare, riguardante coloro che vengono chiamati i “figli degli ordinati”. “È un documento confidenziale, tecnico e ad uso interno della congregazione per il clero [il dipartimento del Vaticano che soprintende ai circa 400 000 preti nel mondo], precisa a Le Monde Antonio Ammirati, portavoce del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa. Che cosa contiene esattamente? Contattata, la Congregazione per il clero rinvia all’intervista data in febbraio dal suo responsabile, il cardinale Beniamino Stella, a Vatican News, l’organo di comunicazione della Santa Sede. In tale intervista, il cardinale spiega che il criterio fondamentale è “il bene del bambino” e che la regola consiste nel permettere al prete di abbandonare lo stato clericale “nel più breve tempo possibile” affinché “possa rendersi disponibile presso la madre per crescere la sua progenitura”. Menziona tuttavia due eccezioni: quando, nella famiglia del neonato, “un altro genitore assume il ruolo del padre” e “quando si tratta di preti di età già avanzata, con figli adulti, di 20 o 30 anni”.

Vincent Doyle, un irlandese a capo di una rete mondiale di figli di preti, Coping international, che rivendica più di 500 membri, è uno dei pochissimi ad aver letto il famoso documento, redatto nel 2009. Lo ha potuto fare nell’ottobre 2017, in un incontro con Mons Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite (ONU) a Ginevra. Questo psicoterapeuta e teologo di 35 anni, anch’egli figlio di prete, è formale: “Il documento non suggerisce, non implica né indica da nessuna parte che il prete debba lasciare il presbiterato dopo aver avuto un figlio”. Sostenere il contrario, come fa il Vaticano, è una “menzogna”, assicura.

Questo aspetto è fondamentale, prosegue, infatti “i preti che hanno un figlio sono posti di fronte a due possibilità estreme: mantenere il segreto o ritrovarsi disoccupati”. Vincent Doyle chiede un chiarimento e invita la Santa Sede a pubblicare al più presto le direttive. Invano. “Se non le diffondono, è perché hanno paura”, è la sua analisi. La Conferenza episcopale francese assicura di non aver letto il documento né di averne copia. “Da Roma ho ricevuto delle indicazioni chiare sul comportamento da tenere in queste situazioni, comunque molto rare, quindi non ho bisogno di quel documento”, sostiene padre Ribadeau-Dumas. Le conferenze episcopali di tutti i paesi possono però chiedere di riceverlo: la congregazione per il clero, a Roma, sarà “più che lieta di inviarne loro una copia”, afferma il suo sottosegretario, Mons. Andrea Ripa, in una mail del 24 aprile 2019 inviata a Vincent Doyle e che Le Monde ha potuto consultare. Mons. Ribadeau-Dumas afferma di non essere stato informato della prima eccezione, che però era stata menzionata dal cardinale Stella, riguardante i preti che hanno appena avuto un figlio. Se si presentasse il caso, la applicherebbe? Il prelato assicura che la posizione dell’episcopato francese è la stessa di quella di Roma, pur rifiutando di rispondere su questo punto, e ripete che gli “è stata menzionata solo l’eccezione riguardante i figli abbastanza cresciuti per essere autonomi”.

Aggiunge di aver saputo dell’esistenza del documento solo alcune ore prima grazie a Le Monde, che gli ha inviato il link all’intervista del cardinal Stella che spiegava le direttive. “È un’ottima cosa che ci sia un documento interno, ma questo non cambia la posizione, da me conosciuta, dei responsabili della congregazione”, aggiunge. Di fronte a una crisi senza precedenti con la moltiplicazione degli scandali di pedofilia e di stupri su religiose, la Chiesa cattolica ha finalmente affrontato quegli scandali. Ma si mostra riluttante a fare la stessa cosa con lo scandalo dei figli di preti, il cui dialogo appena iniziato con le autorità religiose resta fragile. “Siamo percepiti come una minaccia”, deplora Anne-Marie Jarzac.

Riconoscere la loro esistenza potrebbe infatti rimettere in discussione il celibato dei preti. Questa regola, che la Chiesa cattolica romana è la sola religione al mondo ad applicare, è stata instaurata nel Medio Evo per evitare la dispersione dei beni del clero con l’eredità. Attento a non correre tale rischio, il cardinal Stella ha spazzato via questa possibilità nell’intervista a Vatican News: “Il fatto che certi preti abbiano vissuto delle relazioni e abbiano messo al mondo dei figli non rimette in discussione il celibato presbiterale che rappresenta un dono prezioso per la Chiesa latina e il cui valore, ancora attuale, è stato ricordato dagli ultimi papi, da Paolo VI fino a Francesco”. L’istituzione teme anche che i figli di preti le chiedano un risarcimento finanziario.

Vincent Doyle esprime un’ultima ipotesi per spiegare queste reticenze: “Un pedofilo o uno stupratore possono essere arrestati, ma non si può impedire ad un uomo di avere dei figli”. Fino ad oggi, la Chiesa ha fatto di tutto per nascondere l’esistenza di queste migliaia di uomini e di donne nel mondo, la cui stessa presenza tradisce le violazioni alla regola del celibato. Ha usato per questo principalmente tre metodi: il trasferimento dei preti per allontanarli dal figlio, gli accordi di confidenzialità (segretezza) imposti alle madri, e gli abbandoni forzati. Lo stesso Comitato dei diritti del bambino dell’Onu aveva attirato l’attenzione sulla sorte dei figli di preti, per la prima volta in un rapporto del 2014. Si diceva “preoccupato” per la situazione di queste persone che “in molti casi non conoscono l’identità del padre”, denunciava gli accordi di confidenzialità e chiedeva con forza al Vaticano di porvi fine. La Santa Sede non ha finora mai avuto né una parola né un gesto nei confronti di questi figli nascosti della Chiesa. “Abbiamo vissuto un tale rifiuto che abbiamo bisogno di questo riconoscimento”, sottolinea Anne-Marie Jarzac. Spera che la lettera da lei redatta da presentare a papa Francesco, e che Mons. Ribadeau-Dumas ha promesso di fargli pervenire, saprà convincerlo ad uscire dal silenzio.

Faustine Vincentin “Le Monde” 19 maggio 2019 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201905/190519vincent.pdf

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Famiglia, De Palo: “Basta scontri, sul tema-famiglia torni clima di unità del Tavolo MISE”

Sui giornali di oggi si legge di ‘scontri’ sul Decreto famiglia. Siamo sorpresi e dispiaciuti di questo clima, che non rispecchia quello unitario creato tra tutti i partiti al Tavolo convocato dal ministro Di Maio presso il MISE. Il miliardo di cui si parla è molto importante perché rappresenta il primo passo attraverso il quale poter creare le premesse affinché nella prossima Legge di stabilità possano essere inserite riforme strutturali per le famiglie”: così il presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo.

“Al Tavolo tecnico, insieme a tutte le forze politiche, si è convenuti nel destinare questo miliardo avanzato dal Reddito di cittadinanza alla proposta del Forum di #assegnoXfiglio. Ora chiediamo di evitare ulteriori polemiche e ci appelliamo a tutti i partiti: le famiglie hanno bisogno di unità, anche se siamo in campagna elettorale”, conclude De Palo.

                                                         Comunicato 19 maggio 2019

www.forumfamiglie.org/2019/05/19/famiglia-de-palo-basta-scontri-sul-tema-famiglia-torni-clima-di-unita-del-tavolo-mise

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie su vocazione e santità

“L’amore familiare: vocazione e via di santità” è il tema scelto da Papa Francesco per il prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie, che si svolgerà a Roma dal 23 al 27 giugno 2021.

            Nel quinto anniversario dell’Esortazione apostolica Amoris Lætitia e a tre anni dalla promulgazione di Gaudete et Exsultate, il tema scelto intende far risaltare l’amore familiare come vocazione e via di santità, per comprendere e condividere il senso profondo e salvifico delle relazioni familiari nella vita quotidiana. A tal fine, l’Incontro si propone di rileggere Amoris Lætitia alla luce della chiamata alla santità di Gaudete et Exsultate.

            L’amore coniugale e familiare rivela, infatti, il dono prezioso del vivere insieme, alimentando la comunione e prevenendo la cultura dell’individualismo, del consumo e dello scarto: “L’esperienza estetica dell’amore si esprime in uno sguardo che contempla l’altro come un fine in sé stesso” (AL 128) e che al tempo stesso riconosce l’altra persona nella sua sacra identità familiare, come marito, moglie, padre, madre, figlio/a, nonno/a.

            Nel dare forma all’esperienza concreta dell’amore, matrimonio e famiglia manifestano il valore alto delle relazioni umane, nella condivisione di gioie e fatiche, nello svolgersi della vita quotidiana, orientando le persone all’incontro con Dio. Questo cammino, quando vissuto con fedeltà e perseveranza, rafforza l’amore e realizza quella vocazione alla santità, propria di ogni persona, che si concretizza nei rapporti coniugali e familiari. In questo senso, la vita familiare cristiana è vocazione e via di santità, espressione del “volto più bello della Chiesa” (GE 9).

Vatican news 17 maggio 2019

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-05/prossimo-incontro-mondiale-famiglie-vocazione-santita.html

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MINORI

Bambini maltrattati. Cesvi: quasi 100mila ed è allarme al sud.

Quasi 100mila i bambini vittime di maltrattamento nel nostro Paese. Resta forte il divario tra Nord e Sud. Lo rivela oggi la seconda edizione dell’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia. Stretta la correlazione con povertà e disagio. Urgenti una legge quadro nazionale e il potenziamento del sistema informativo e dei servizi sul territorio

            In Italia sono quasi 100mila i bambini vittime di maltrattamenti – più della metà (52,5%) bambine – ma quasi 460mila minori sono in carico ai servizi sociali. La maggior parte di questi abusi, violenze e forme di trascuratezza avviene in famiglia, ma si tratta di un fenomeno sottostimato sul quale è difficile avere dati certi perché per ogni caso denunciato si ritiene che almeno altri nove non vengano alla luce. Un milione e 208mila minori vivono in una situazione di povertà assoluta, pur con rilevanti differenze territoriali, tanto che al Sud è a rischio povertà ed esclusione sociale il 44% della popolazione. Lo rivela il Cesvi che ha presentato oggi a Roma, presso la Camera dei deputati, la seconda edizione dell’Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia, intitolato “L’ombra della povertà”, risultato dell’aggregazione di 64 indicatori relativi ai fattori di rischio e all’offerta di servizi sul territorio e i cui dati sono validati da un comitato scientifico di cui fanno parte, tra gli altri, il Cnr, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e l’Istituto degli Innocenti di Firenze.

            Un titolo non casuale, ha spiegato l’amministratore delegato del Cesvi, Daniele Barbone “Anche se il maltrattamento avviene trasversalmente in tutte le classi sociali e la povertà nelle sue diverse forme – economica, educativa, di relazioni – non ne è di per sé motivo scatenante, una grave deprivazione può aumentare il livello di stress dei genitori al punto da mettere a rischio i figli che avranno molte probabilità di diventare a loro volta adulti maltrattanti”. Non solo povertà:

È ancora allarme nel Mezzogiorno, dove la Campania rimane in ultima posizione, sia per contesto sia per servizi sociali, preceduta da Sicilia, Calabria e Puglia, mentre si riconferma al primo posto come regione più virtuosa – bassi fattori di rischio e un buon livello di servizi sul territorio – l’Emilia Romagna, seguita da Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Toscana.

            Per Filomena Albano, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia), la parola chiave è “fiducia”. “Per quanto studi e ricerche abbiano dimostrato ampiamente il potere delle politiche preventive, come il sostegno alla genitorialità fragile, nel tutelare bambini e ragazzi dall’esperienza traumatica della violenza e nel promuoverne la crescita serena – avverte – non ci si crede abbastanza, altrimenti gli investimenti e le risorse destinate a questo tipo di intervento verrebbero considerati prioritari”. Invece, annota, alla base del report presentato oggi, c’è “una fiducia reale, un invito e investire nella fiducia di cambiare situazioni che sembrano compromesse in partenza”. All’inizio di maggio, l’Autorità garante ha sensibilizzato con una nota di segnalazione tutti gli attori coinvolti sul piano istituzionale sull’importanza di mettere in campo “una strategia comune in materia di maltrattamenti e violenze, misure di prevenzione prima che di cura”. A partire da un efficiente sistema di rilevazione – oggi inesistente – dell’abuso “classificabile in maltrattamento fisico, psicologico, violenza assistita, sessuale”.

            “Grazie a questo Indice le regioni possono migliorare il loro lavoro”, afferma Michela Di Biase, consigliere segretario della Regione Lazio, che per la propria regione parla di “dati allarmanti” e ricorda le azioni intraprese per contrastare una duplice violenza: contro i bambini e contro le donne”. “Far girare i dati colma in parte una forma di sottovalutazione del fenomeno. Non solo le istituzioni o la politica; anche l’italiano medio è distratto sul tema”, osserva da parte sua Carlo Borgomeo, presidente di Con i Bambini impresa sociale. E l’indignazione non basta: “Deve scattare una battaglia di convenienza perché disinvestire sull’infanzia, e quindi sul capitale umano, significa disinvestire sul proprio futuro”. Sulla stessa linea Gianmario Gazzi, presidente dell’Ordine degli assistenti sociali:

 “Non sono più tollerabili differenze territoriali”, prosegue ricordando che in Trentino Alto Adige, la sua regione, il rapporto tra cittadini e assistenti sociali è di uno a tremila, mentre in altre è addirittura di uno a quarantamila. Ed è qui che occorre investire perché un miglioramento dei servizi territoriali può contribuire a migliorare le condizioni dei contesti e incidere positivamente sui fattori di rischio.

            E’ Giovanna Badalassi, ricercatrice del Cesvi, a presentare i dati più significativi del report e a sintetizzarne le raccomandazioni: “E’ anzitutto necessario disporre di un sistema informativo puntuale e mirato; occorre affrontare in maniera più determinata e con nuovi sistemi di governance le rilevanti differenze territoriali; è opportuno sviluppare politiche dirette e indirette di prevenzione e di contrasto in un approccio multimediale”. Infine, conclude, “nonostante la volatilità della nostra politica, per affrontare il fenomeno in maniera efficace è indispensabile costruire politiche di medio e lungo termine”.

Giovanna Pasqualin Traversa          Agenzia SIR   14 maggio 2019

https://agensir.it/italia/2019/05/14/bambini-maltrattati-cesvi-quasi-100mila-ed-e-allarme-al-sud-servono-politiche-di-lungo-termine-sistema-informativo-efficace-e-servizi-sul-territorio

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OBIEZIONE DI COSCIENZA

Agli operatori sanitari. Il Papa: sì all’obiezione, ma sia fatta con rispetto

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/may/documents/papa-francesco_20190517_acos.html

Difendere e promuovere la vita, a partire dai più indifesi e bisognosi di assistenza perché malati, o anziani, o emarginati, o perché si affacciano all’esistenza e chiedono di essere accolti e accuditi. Nel discorso all’Associazione cattolica operatori sanitari (Acos) ricevuta stamani in udienza nel 40° di fondazione, il Papa ha indicato gli obiettivi del suo impegno ringraziando per le tante circostanze in cui viene realizzato.

Nel discorso del Pontefice anche una riflessione sul sistema di assistenza e cura radicalmente cambiato negli ultimi decenni portando a una trasformazione anche nel modo di intendere la medicina e il rapporto con il malato. In particolare – ha sottolineato Francesco – «la tecnologia ha raggiunto traguardi sensazionali e insperati e ha aperto la strada a nuove tecniche di diagnosi e di cura, ponendo però in modo sempre più forte problemi di carattere etico».

Non tutte le possibilità offerte dalla tecnica sono infatti moralmente accettabili ma vanno invece valutate prendendo come riferimento il rispetto o meno della vita e della dignità umana. Di qui il sì all’obiezione di coscienza, «nei casi estremi in cui sia messa in pericolo l’integrità della vita umana», una scelta che «si basa sulla personale esigenza di non agire in modo difforme dal proprio convincimento etico, ma che rappresenta anche un segno per l’ambiente sanitario nel quale ci si trova, oltre che nei confronti dei pazienti stessi e delle loro famiglie.

Tuttavia – ha aggiunto il Papa – la scelta dell’obiezione quando necessaria, va compiuta con rispetto, perché non diventi motivo di disprezzo o di orgoglio ciò che deve essere fatto con umiltà, per non generare in chi vi osserva un uguale disprezzo, che impedirebbe di comprendere le vere motivazioni che vi spingono. È bene invece cercare sempre il dialogo, soprattutto con coloro che hanno posizioni diverse, mettendosi in ascolto del loro punto di vista e cercando di trasmettere il proprio, non come chi sale in cattedra, ma come chi cerca il vero bene delle persone»

Riccardo Maccioni    Avvenire        17 maggio 2019

www.avvenire.it/papa/pagine/il-papa-si-all-obiezione-ma-sia-fatta-con-rispetto

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PARLAMENTO

Camera Deputati. Assemblea. Assegno divorzile

Pdl AC506-A. Alessia Morani, (avvocato civilista). Modifiche all’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile.

            http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.506.18PDL0010090.pdf

Presentata il 12 aprile 2018, assegnata 10 luglio 2018, relatore Alessia Morani

Parere delle Commissioni: I Affari Costituzionali, XI Lavoro e XII Affari sociali

Esame in Commissione iniziato il 31 gennaio 2019, terminato il 9 maggio 2019

                Iter                                  www.camera.it/leg18/126?tab=4&leg=18&idDocumento=506&sede=&tipo=

13 maggio 2019. Alessia Morani, relatrice (…) Pertanto, prima di procedere alla illustrazione del provvedimento, ritengo opportuno ricostruire brevemente il quadro normativo e giurisprudenziale in materia di assegno di divorzio. (…). Si esaminano gli articoli.

www.camera.it/leg18/410?idSeduta=0174&tipo=stenografico#sed0174.stenografico.tit00060

            14 maggio 2019. Esame degli ordini del giorno,- Dichiarazioni di voto finale

www.camera.it/leg18/410?idSeduta=0175&tipo=stenografico#sed0175.stenografico.tit00070.sub00020

Votazione finale: con 386 sì, 19 astensioni e nessun voto contrario l’assemblea di Montecitorio ha approvato la proposta di legge n. 506-A.-

www.camera.it/leg18/410?idSeduta=0175&tipo=stenografico#votazione.111

Il Testo approvato passa all’esame del Senato, si compone di due soli articoli, con i quali si introducono modifiche all’articolo 5 della Legge n. 898, 1° dicembre 1970, in tema di assegno disposto a seguito dello scioglimento del matrimonio o dell’unione civile, al fine di adattarlo ai più recenti orientamenti giurisprudenziali e, unitamente ad essi, ai più generali mutamenti sociali ed economici intercorsi negli ultimi anni.                                                                                www.altalex.com/documents/news/2019/05/04

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WELFARE

Congedo maternità post parto: prime istruzioni

https://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=20376:inps1738_19&catid=6&Itemid=137

            L’Inps ha emanato il Messaggio 6 maggio 2019, n.1738 sulle possibilità di astenersi dal lavoro nei 5 mesi dopo l’evento del parto, (articolo 1, comma 485, della legge 30 dicembre 2018, n.145 (legge di bilancio). A breve la circolare di istruzioni operative.

            In tema di congedo di maternità obbligatorio la legge di stabilità 2019 ha previsto la possibilità di utilizzare tutti e 5 i mesi di maternità obbligatoria dopo l’evento del parto ed entro i cinque mesi successivi a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o convenzionato, attestino che tale opzione non danneggia la salute della gestante e del nascituro.”

            A tal proposito, la domanda di maternità deve essere presentata prima dei due mesi che precedono la data prevista del parto e comunque mai oltre un anno dalla fine del periodo indennizzabile ed esclusivamente per via telematica o direttamente sul sito web istituzionale (con PIN dispositivo) o tramite patronato oppure tramite contact center.

Si ricorda, infine, che le documentazioni sanitarie necessarie per poter fruire del congedo di maternità esclusivamente dopo il parto devono essere prodotte, alla Sede competente, in originale ed in busta chiusa recante la dicitura “contiene dati sensibili”.

www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/26765-congedo-maternit-post-parto-prime-istruzioni.html?utm_campaign=Newsletter+Settimanale+del+Lavoro&utm_medium=email&utm_source=Rassegna+Lavoro&utm_content=Newsletter+Settimanale+del+Lavoro+2019-05-13

 

Assegno per il congedo matrimoniale

L’Inps fornisce un aiuto finanziario alle coppie che convolano a nozze. L’assegno per congedo matrimoniale è erogato in occasione del congedo straordinario concesso per matrimonio civile o concordatario, da utilizzare nei 30 giorni successivi alle nozze. Non viene erogato a chi contrae solamente il matrimonio religioso e può essere richiesto anche in caso di seconda cerimonia, ma solamente se vedovi o divorziati.

Assegno per congedo matrimoniale: chi può richiederlo? Tale beneficio spetta a operai, apprendisti, lavoratori a domicilio, ai marittimi di bassa forza, dipendenti da aziende industriali, artigiane, cooperative che: contraggono matrimonio civile o concordatario; possono far valere un rapporto di lavoro da almeno una settimana; fruiscono del congedo entro 30 giorni dalla celebrazione del matrimonio; se disoccupati, siano in grado di dimostrare che nei 90 giorni prima del matrimonio hanno lavorato per almeno 15 giorni alle dipendenze di aziende industriali, artigiane o cooperative; non siano in servizio per malattia, sospensione del lavoro, richiamo alle armi.

L’assegno spetta a entrambi i coniugi che non siano dipendenti di: aziende industriali, artigiane, cooperative e della lavorazione del tabacco come impiegati, apprendisti impiegati e dirigenti; aziende agricole; commercio, credito e assicurazioni; enti locali e statali; aziende che non versano il relativo contributo alla Casa Unicas Assegni Famigliari (CUAF).

Assegno per il congedo matrimoniale: a quanto ammonta? Per operai e apprendisti, la somma è pari a sette giorni di retribuzione. Dal pagamento giornaliero di detrae la percentuale a carico del lavoratore pari a 5,54%. Per quanto riguarda i lavoratori a domicilio, si parla di sette giornate di guadagno medio giornaliero e, come per operai apprendisti, anche in questo caso si detrae la percentuale a carico del lavoratore di 5,54%. Nel caso dei marittimi, la somma ammonta al salario medio giornaliero di otto giorni. Anche in questo caso, si detrae il 5,54% a carico del lavoratore. Infine, la somma è pari ai giorni di retribuzione che coincidono con quelli previsti dal contratto di lavoro part-time verticale, detraendo sempre la percentuale a carico del lavoratore. Altre informazioni L’assegno di congedo matrimoniale è cumulabile con l’indennità INAIL per infortunio sul lavoro, fino al raggiungimento dell’importo che sarebbe spettato a titolo di retribuzione. Di conseguenza, sarà corrisposta la differenza tra retribuzione spettante e importo dell’INAIL a titolo di inabilità temporanea. Inoltre, durante il congedo matrimoniale il lavoratore conserva il diritto all’assegno per il nucleo famigliare. Tuttavia, l’assegno non è cumulabile con le prestazioni di malattia, maternità, cassa integrazione ordinaria e straordinaria e disoccupazione NASpI. In questi casi, verrà corrisposto l’assegno per il congedo matrimoniale, poiché è la misura più favorevole.

È l’Inps a pagare l’assegno per congedo matrimoniale ai disoccupati o ai richiamati alle armi, mentre per i lavoratori occupati l’erogazione avviene tramite i datori di lavoro.

Assegno per congedo matrimoniale: quando e come fare domanda? I lavoratori occupati devono presentare la domanda al proprio datore di lavoro alla fine del congedo e non oltre i 60 giorni dal matrimonio. È necessario unire alla domanda il certificato di matrimonio o lo stato di famiglia con i dati delle nozze rilasciato dall’autorità comunale, oppure la dichiarazione sostitutiva comprovante lo stato di coniugato e gli estremi del matrimonio. I disoccupati e i richiamati agli armi devono presentare domanda online all’Inps entro un anno dalla data di matrimonio. È necessario altresì allegare la dichiarazione sostitutiva comprovante lo stato di disoccupato alla data di matrimonio; la dichiarazione comprovante lo stato di coniugato e gli estremi del matrimonio; l’ultima busta paga e, se in possesso, anche la dichiarazione sostitutiva relativa al rapporto di lavoro non impiegatizio di almeno 15 giorni nei 90 giorni precedenti il matrimonio

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