NewsUCIPEM n. 724 – 21 ottobre 2018

NewsUCIPEM n. 724 – 21 ottobre 2018

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

ucipem@istitutolacasa.it www.ucipem.com

 

“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

  • Link diretti e link per download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.

La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.

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02 ABORTO VOLONTARIO La tutela della maternità

04 ADOZIONE INTERNAZIONALE “motore” dell’adozione internazionale si sta rimettendo in moto

05 ADOZIONI INTERNAZIONALI Haiti. Ai.Bi. tra i 7 enti italiani riaccreditati.

06 AFFIDO CONDIVISO al pernotto dal papà anche se la mamma non vuole.

07 ASSEGNO DIVORZILE Con quali criteri il giudice quantifica l’assegno.

10 Le prime decisioni di merito dopo la sentenza delle SU.

12 CASA FAMIGLIA Quando e come inserire un bambino in casa famiglia.

13 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – N. 33, 17 ottobre 2018.

15 CHIESA CATTOLICA Il futuro della chiesa. L’assemblea dei “Viandanti”.

17 Pedofilia del clero in Italia.

20 Comm. ADOZIONI INTERNAZIONALI Incontro con l’Autorità Centrale del Burundi.

20 Il Garante dei minori. «Tutti i bambini hanno pari diritti».

21 Consultori ISPIRAZIONE CRISTIANA Cerea. Tra il già e il non ancora. Adolescenti e paura di crescere.

21 Cerignola.Inaugurazione del consultorio familiare diocesano.

21 Fabriano. Riparte il Consultorio Diocesano Familiare.

22 CONSULTORI UCIPEM Belluno. Corso su affettività e tematiche della relazione di coppia.

22 Padova. 4 iniziative per il 2019.

22 DALLA NAVATA 29° Domenica del Tempo ordinario- Anno B – 21 ottobre 2018

22 Nella gerarchia di Dio chi ama occupa il posto più alto.

23 DANNO Nascita indesiderata:5 il dibattito si divide tra common e civil law.

24 DIRITTO DI FAMIGLIA Affido: comitati e associazioni contro il Ddl Pillon

26 Garante Infanzia: “Regole predeterminate non rispettano interesse

26 ENTI TERZO SETTORE Un’associazione ONLUS che denominazione dovrà adottare?

27 FORUM ASS.ni FAMILIARI Il Forum ha incontrato il ministro Lorenzo Fontana.

27 Ai.Bi. presenta le proposte per l’adozione internazionale.

27 INFEDELTÀ L’infedeltà coniugale

29 SEPARAZIONE Accesso ai dati fiscali e patrimoniali.

30Rottura dei legami familiari tra le ragioni della povertà in Italia

31 SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI Il Sinodo visto dal delegato valdese.

31 VIOLENZA Il marito non ha il diritto di soddisfare i suoi istinti sessuali.

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ABORTO VOLONTARIO

La tutela della maternità

Caro direttore, la ripresa, in queste ultime settimane, della discussione sull’aborto ha suscitato ancora una volta polemiche e manifestazioni. Con prevedibili interventi divisivi dei partiti che, in vario modo, hanno ritenuto di affermare con forza le proprie posizioni. Un clamore strumentale, originato dalla vicenda inerente all’approvazione della mozione in Consiglio comunale a Verona, votata dalla maggioranza di centrodestra e da una consigliera dell’opposizione, la capogruppo del Pd Carla Padovani.

Il vero confronto sostanziale è nel contraddittorio tra diritti: da un lato il diritto alla vita e dall’altro il diritto a poter abortire, il diritto costituzionalmente riconosciuto all’obiezione di coscienza, il dovere di sostenere le donne e prevenire il ricorso all’aborto. Sommersi dalle polemiche partitiche, poco è stato detto in merito al dramma delle donne così come delle relative conseguenze dell’aborto su di esse, quali depressioni e ferite profonde sotto il profilo sia psicologico sia morale. Su di questo, c’è una vasta e accreditata letteratura scientifica internazionale.

Molto poco è stato detto anche sulla tutela della maternità e dei servizi che lo Stato dovrebbe assicurare, come la stessa legge 194\1978 richiama all’art.1: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite».

Ebbene, a queste riconosciute carenze ha risposto egregiamente a tutt’oggi il volontariato cattolico, in forme singole o associate, con lodevole impegno fatto di sacrifici e abnegazione. E qui viene il nodo politico con alcuni interrogativi. Perché non poter sostenere quanti sono impegnati concretamente a riconoscere il valore sociale della maternità e a tutelare la vita umana dal suo inizio? La tutela della vita è solo un valore cattolico o rappresenta anche un valore laico?

Basterebbe ricordare le sempre attuali parole di Norberto Bobbio, definito da Claudio Magris «maestro laico di diritto e libertà», che nel pieno del clamore delle polemiche sull’aborto, «scelta sempre dolorosa fra diritti incompatibili», ribadiva «il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale non si può transigere. Si può parlare di depenalizzazione dell’aborto, ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all’aborto».

Certo fanno differenza queste parole rispetto a certe imbarazzanti affermazioni di questi giorni, in cui sembrano prevalere solo posizioni decisamente assertive da una parte e dall’altra. Percepite, spesso, come un bisogno identitario di delineare un perimetro in cui riconoscersi o farsi riconoscere, rinsaldando alleanze o cercando future alleanze solo “politiche”. Come quella con i cattolici impegnati che, in una operosa alleanza plurale con i laici, rappresentano un’irrinunciabile ricchezza per la società. Si innalzano bandiere, si alzano muri secondo temi e convenienza, ci si scontra. E il giorno dopo, nulla è cambiato. Ancora una volta un’occasione sprecata. Restano solo le strumentalizzazioni. E la tutela della maternità, nonostante i ritornanti e motivati ragionamenti sviluppati su “Avvenire” a proposito della necessità di un saggio “tagliando” della legge 194\1978, resta in un angolo dimenticato nell’agenda dei decisori politici.

Lucio Romano, già senatore della Repubblica. Avvenire 16 ottobre 2018

www.scienzaevita.org/wp-content/uploads/2018/10/16-L.-Romano-Avvenire.pdf

[La Legge, di iniziativa parlamentare, fu firmata da democristiani, che non esercitarono alcuna obiezione di coscienza: Giovanni Leone, presidente della Repubblica, Giulio Andreotti presidente del Consiglio, Ministri Tina Anselmi sanità, Francesco Paolo Bonifacio giustizia, Tommaso Morlino bilancio, Filippo Maria Pandolfi tesoro.

Secondo le delibere della XV Assemblea Generale del 22-26 maggio 1978 (cfr. Messaggio del 30 maggio 1978, n. 3) è stato pubblicato il seguente comunicato (9 giugno 1978) passim

www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2017/02/Dichiarazioni_seguenti_legalizzazione_aborto.pdf

5. Il personale sanitario, medico e paramedico ha il grave obb1igo morale dell’obiezione di coscienza, che è prevista pure dall’art. 9 della legge in corso.

7. Alla gestante in difficoltà si deve offrire l’aiuto effettivo della comprensione e della assistenza in famiglia e nella comunità cristiana, e in particolare nei consultori e nei centri di accoglienza ispirati a sani orientamenti morali.

Successivamente è stata diramata nel Notiziario n. 7 della CEI, a pag. 111 la: Notificazione della Presidenza 1 luglio 1978: passim,

www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2017/06/26/Notiziario_7_1978.pdf

  1. E’ da constatare, innanzitutto, il gran numero di persone particolarmente coinvolte nei problemi della legge abortista: dalle donne in difficoltà, maggiorenni o minori, sposate o nubili, sane o inferme, ai mariti, ai genitori, tutori e giudici tutelari; dai medici, specialisti o generici, ai paramedici e a tutto il personale esercente attività ausiliarie; dai direttori sanitari ai consigli d’amministrazione degli istituti di cura, ai componenti degli organi regionali, agli insegnanti e allievi dei corsi d’aggiornamento prescritti, ai consultori familiari istituiti per l’accoglienza e la difesa della vita.

  2. – I pastori d’anime non possono non sentire i problemi morali che toccano tante di queste persone, i medici soprattutto, con le pene e le angustie che li accompagnano, e i conflitti interiori che soffrono e che sono chiamati a risolvere responsabilmente, talvolta da soli. Bisogna star loro vicini, e confortarli con la preghiera, il rispetto, e la gratitudine per l’esempio spesso faticoso di fedeltà al loro ministero di vita.

  3. (…) In ordine all’aborto procurato, che è azione oggettivamente e intrinsecamente immorale, l’obiezione è riconosciuta, sia pur con limitazioni, anche dalla recente legge italiana. Al riguardo, si possono fare le seguenti osservazioni:

  1. L’obiezione di coscienza, per la legge (art. 9 comma 3), importa l’esonero dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza;

  2. La legge, però, contiene, per il comma 6 dell’art. 9, incertezze e ambiguità, delle quali non è possibile attualmente prevedere l’interpretazione, e per le quali ferma restando l’inaccettabilità della legge stessa sarebbero auspicabili almeno delle modifiche. Ad evitare inconvenienti, pertanto, e fino a quando non risulti la compatibilità della obiezione di coscienza con la partecipazione ad alcune procedure previste dalla legge, è opportuno che il personale medico e paramedico si esprima in favore dell’obiezione, e non soltanto il personale ostetrico-ginecologico;

  3. Questo, però, non esclude che ogni medico di fiducia o esercente in ambulatori o consultori – preavvertendo dell’avvenuta dichiarazione di obiezione di coscienza e dell’impossibilità di rilasciare alla conclusione la certificazione scritta – possa condurre il colloquio e fare le visite e gli accertamenti in forza del rapporto professionale tra medico e paziente anche nel caso in cui la donna formuli l’ipotesi di interruzione. Occorre vigilare, comunque, perché l’obiezione – la quale, al pari di ogni comportamento rettamente e cristianamente coerente, non esime da coraggio e da fortezza – non diventi motivo di discriminazione e di danno per gli operatori che la invocano.

  1. Il diritto-dovere all’obiezione di coscienza non è la soluzione radicale e totale di ogni problema. E’ sempre necessario, dal punto di vista morale, ricordare alcuni principi:

    1. Non è mai lecita l’azione abortiva diretta;

    2. Non è lecita la cooperazione prossima all’azione abortiva diretta «(Non si può ammettere, per esempio, che medici e infermieri vengano obbligati a concorrere, in modo prossimo, ad un aborto», Dichiarazione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, 18 novembre 1974, n. 22). Tale collaborazione prossima si verifica, indubbiamente, tanto col rilascio degli attestati che siano – per il loro tenore o per il loro valore legale – titolo o autorizzazione all’interruzione della gravidanza, quanto con le prestazioni richieste all’équipe delle sale operatorie. Il pericolo di scandalo – anche per la posizione di alcune persone, si pensi ad esempio alle religiose ecc. – può rendere illecite pure altre forme di cooperazione non prossima; (…)

    3. È lecita l’assistenza antecedente, se specificamente e necessariamente non finalizzata a determinare l’interruzione della gravidanza;

    4. È lecita e doverosa la somministrazione di tutte le cure che fossero richieste e si rendessero necessarie per la salvezza e la salute della donna, a seguito di complicazioni dovute all’intervento;

    5. È lecita e doverosa l’assistenza conseguente all’intervento, anche come testimonianza di umana sollecitudine e attenzione, dato che «le difficoltà e le angustie di queste donne non sono dei Vescovi della Germania Federale, settembre 1976). (…).]

  1. {Il termine certificazione usato al punto 3.c della Notificazione della Presidenza Cei è nella Legge indicato nel comma 3 dell’art. 5 per le condizioni d’urgenza. Negli altri casi il termine è documento attestante «firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta e l’invito a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni la donna può presentarsi per ottenere l’interruzione di gravidanza». L’art. 12 recita «La richiesta della interruzione di gravidanza, secondo le procedure della presente legge è fatta personalmente dalla donna.» E’ la donna che decide nonostante l’invito a soprassedere e il sostegno che dovrebbe esserle stato proposto ex art. 5. «Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto».

  2. Il punto 3.b della Notificazione della Presidenza (1 luglio 1978) richiede un’autenticazione autentica dell’art. 9 concernente l’obiezione di coscienza. Essa è stata data dal TAR della Puglia, Bari, Sezione seconda, sentenza n. 3477, 14 settembre 2010

http://old.regione.puglia.it/web/files/sanita/Sentenza_3477_2010_TAR_Puglia_Consultori_Obiettori.pdf

e dal Tar Lazio, Sezione terza quater, sentenza n. 8990,2 agosto 2016

www.dirittifondamentali.it/media/1344/tar-lazio-sez-iiiq-sent-2-agosto-2016-n-8990.pdf

Il Tar si limita ad osservare che l’attività di certificazione dello stato di gravidanza e della volontà della donna di interrompere la gravidanza non possono essere considerate attività “specificamente e necessariamente” rivolte all’IVG, ma rappresentano solo parte della necessaria “assistenza antecedente e seguente all’intervento”. Infatti, «la decisione relativa alla interruzione della gravidanza pure in presenza di detta certificazione spetta all’interessata che può recedere da tale proposito». «Sostanzialmente quindi è da escludere che l’attività di mero accertamento dello stato di gravidanza richiesta al medico di un Consultorio si presenti come atta a turbare la coscienza dell’obiettore, trattandosi, per quanto sopra chiarito, di attività meramente preliminari non “legate in maniera indissolubile, in senso spaziale, cronologico e tecnico” al processo di interruzione della gravidanza secondo quanto dalla giurisprudenza penale anche risalente è pure specificato».

  1. La legge all’art. 4 recita «Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica , in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.» Di conseguenza i consultori familiari non pubblici, possono operare solo attraverso il medico. I consultori familiari non pubblici (art. 2, lettera b) della 405\1975 possono agire solo con l’intervento di prevenzione medico loro operatore.

  2. La maggioranza di detti consultori sono di ispirazione cristiana e, quindi, motivati ad agire attivamente pro life, verosimilmente attivandosi concretamente, anche attraverso il collegamento con il volontario sociale (Cav, conferenze di s. Vincenzo, caritas, sindacati, servizi sociali pubblici e privati, medici cattolici, mediatori culturali, personale di religioni diverse, ecc.), utilizzando anche le risorse interne del consultorio stesso psicologi, consulenti familiari e di coppia ed etici, legali, assistenti sociali.

  3. Anche in assenza di modifiche da preventivare delle leggi 405\1975 e 194\1978 è possibile agire in tal modo di accogliere, ascoltare, comprendere, aiutare, sollecitare. Ndr}.

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Convegno CAI Firenze. Il “motore” dell’adozione internazionale si sta rimettendo in moto.

Concreti segnali di speranza dalla Vicepresidente Laera

Dopo anni di buio totale, una luce sta apparendo in fondo al tunnel dell’adozione internazionale. È questa la sensazione serpeggiata fra i circa trecento operatori presenti al Convegno “L’accoglienza di bambini in stato di abbandono nel mondo: strumenti giuridici a confronto” in corso oggi (19 ottobre 2018) presso l’Istituto degli Innocenti di Firenze.

Mio primo dovere è stato riallacciare rapporti con i Paesi di origine che si erano interrotti nella precedente gestione della CAI” – ha dichiarato, Laura Laera, vicepresidente della Commissione per le Adozioni Internazionali in apertura dei lavori. “A breve firmeremo un accordo bilaterale con Slovacchia e daremmo attuazione agli accordi bilaterali rimasti inattivi, come l’accordo con il Burundi firmato a luglio 2014. Siglato l’accordo con la Slovacchia, al massimo entro i primi mesi del 2019 ci sarà l’attuazione dell’accordo bilaterale con la Cambogia” ha aggiunto Laera (ndr: l’Italia si conferma il Paese che in assoluto ha firmato più accordi bilaterali in materia di adozioni internazionali di ogni altro Paese). Alcuni Paesi hanno riaperto le adozioni internazionali dopo anni di chiusura; ad esempio la Bolivia che ha riavviato le procedure adottive nel 2015 dopo 8 anni di blocco.

Certo c’è un problema oggi nel mondo: l’assoluto dominio, a livello globale, del legame di sangue rispetto al supremo interesse del minore a vivere in una famiglia capace di tutelare il suo diritto ad essere figlio. L’attuale situazione delle adozioni internazionali è una cartina di tornasole della percezione dello stato di diritto del minore nel mondo. “Questa cultura porta ad una visione negativa della adozione internazionale che viene ancora vista come uno sradicamento del minore dalla sua terra di origine.” – ha continuato Laera – “Per questo approccio culturale migliaia e migliaia di bambini restano abbandonati negli istituti del mondo.”

Cosa fare allora? Forse l’adozione internazionale nella sua accezione tradizionale non è più sufficiente per dare una risposta ai milioni di bambini senza cure genitoriali che attendono una famiglia adottiva? Occorre, dunque, individuare altre forme di accoglienza che potrebbero essere sviluppate anche come adozione internazionale ed è questo il lavoro che – secondo la Vicepresidente della CAI – vedrà coinvolti gli operatori del settore e lo scopo del Convegno.

D’altra parte l’Italia parte da un’ottima base: “L’Italia è il Paese più accogliente in assoluto” – ha ricordato Laera – “e le famiglie italiane adottano bambini che le famiglie di altri Paesi non accolgono. Molti Paesi di accoglienza rifiutano ingressi ai bambini con patologia perché graverebbero sui sistemi sanitari nazionali. Noi non siamo così e spero lo rimarremmo”. C’è però necessità di un post adozione strutturato ha aggiunto.

Il sistema italiano delle adozioni è una risorsa non solo per i bambini abbandonati ma per tutta la società, per questo necessità di nuove forme di accoglienza, anche più flessibili. “Così com’è oggi l’adozione internazionale non basta a soddisfare i bisogni dei bambini abbandonati nel mondo: esistono altri strumenti, che magari non partono come adozione, abbiamo il dovere di esplorarli”. Chiaro il riferimento di Laera ai soggiorni a scopo adottivo per agevolare e facilitare l’adozione di bambini grandi.

Il Convegno diventa occasione per un’anticipazione dei dati sulle adozioni realizzate nel primo semestre. Da un confronto tra dati semestrali dell’arco temporale 2012-2018, emerge che a fronte di una drastica riduzione del numero di coppie adottive – più che dimezzate nel periodo – si registra una sostanziale tenuta del numero di adozioni concluse nel primo semestre 2018 rispetto al semestre dell’anno precedente: 501 coppie per 603 bambini, con un età media di 5,5 anni. 11 adozioni in meno rispetto al primo semestre del 2017. La Federazione Russa (74), seguito da India (66), Colombia (61), e Ungheria (58). L’età media dei bambini è di 5,5 anni, in calo rispetto ai 6,1 anni devo 2017.

Stando ai dati anticipati, nonostante la chiusura di diversi Paesi, la CAI confida che il 2018 dovrebbe chiudersi con un numero di adozioni poco inferiore al 2017 – 1439 minori adottati da 1168 famiglie italiane. Sarà il 2018 l’anno che metterà fine alla crisi delle adozioni internazionali dell’ultimo decennio e il 2019 l’anno del grande rilancio?

News Ai. Bi. 19 ottobre 2018

www.aibi.it/ita/convegno-cai-firenze-motore-adozione-si-rimette-in-moto/

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Haiti. Ai.Bi. tra i 7 enti italiani riaccreditati dall’autorità centrale per le adozioni (IBESR)

Dei 59 enti autorizzati nel biennio 2016-2018 ne sono stati riaccreditati 49, dieci in meno. Amici dei Bambini è tra i 7 enti italiani che potranno continuare ad aiutare le famiglie italiane che vorranno adottare i minori di Haiti, restituendo loro l’amore di un papà e di una mamma.

A comunicare il riaccreditamento a operare nell’isola caraibica come Ente autorizzato per le adozioni internazionali fino al settembre 2020 è l’IBERS (Institut du bien –ȇntre social et de Recherches), l’autorità centrale per le adozioni internazionali ad Haiti, con Memorandum dell’11 ottobre 2018 a firma della direttrice Arielle Jeamty Villedrouin.

II nuovo Memorandum in deroga al precedente emesso in data 5 ottobre 2016, stabilisce che ogni Ente autorizzato operativo ad Haiti può depositare soltanto 1 dossier al mese (e non più 2) nel periodo ottobre 2018 e settembre 2019 e che tale disposizione è soggetta a modifiche da parte dell’IBESR per il periodo successivo, da ottobre 2019 a settembre 2020.

Con il rinnovo dell’accreditamento, Ai.Bi. diventa uno dei 49 enti stranieri autorizzati a operare sul Paese, di questi: 7 sono italiani, 16 statunitensi, 11 francesi, 4 canadesi, 2 spagnoli, 3 belgi, 2 tedeschi e altrettanti svizzeri, 1 olandese e 1 della Repubblica d’Irlanda.

Rispetto al biennio precedente, 2016-2018, quando erano stati 59 gli enti riaccreditati, sono ben 10 gli enti non risultano accreditati per il biennio 2018-2020: un ente italiano, due enti spagnoli, quattro statunitensi, due canadesi e uno francese. Di questi 4 gli enti invitati a completare la documentazione a corredo della richiesta di accreditamento, due enti canadesi, un ente statunitense e due spagnoli.

Per finalizzare il riaccreditamento a partire dal 25 ottobre 2018, i 49 enti interessati dovranno ratificare il protocollo operativo e il certificato di autorizzazione ad operare come intermediari per l’adozione internazionale ad Haiti.

La decisione dell’Autorità Centrale di Port-au-prince di rinnovare fino al 2020 l’autorizzazione ad Ai.Bi. rappresenta ancora una volta un riconoscimento della solidità, dell’efficienza e delle potenzialità del nostro ente, presente ad Haiti dal gennaio 2013. Ad oggi Ai.Bi. ha accompagnato 6 coppie adottive all’incontro con i loro figli: 8 bambini adottati nel periodo 2017-2018. Sono 4 le coppie adottive abbinate a minori haitiani, 3 quelle in attese di abbinamento e 1 in preparazione documenti.

Nel paese caraibico possono adottare solo le coppie di età compresa tra i 30 ed i 50 anni, sposate da almeno 5 anni o conviventi per un periodo stabile e continuativo di almeno 5 anni. Sono adottabili i bambini di tutte le fasce d’età e i tempi di attesa sono all’incirca due anni, ma possono essere più brevi per disponibilità più ampie, minori dai 7 anni in su o con problematiche di salute.

L’iter adottivo haitiano, prevede due viaggi, rispettivamente di 2-3 settimane e 7-15 giorni. Per maggior informazioni è possibile consultare la pagina dedicata Adozioni Haiti

News Ai. Bi. 16 ottobre 2018

www.aibi.it/ita/adozioni-internazionali-haiti-ai-bi-autorizzata-fino-2020

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AFFIDO CONDIVISO

al pernotto dal papà anche se la mamma non vuole

Tribunale di Trieste, Sezione civile, sentenza 5 settembre 2018

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_32192_1.pdf

Per il Tribunale di Trieste, se non ci sono elementi concreti nel senso dell’inadeguatezza del padre, il minore può dormire a casa sua, ma con un’introduzione del pernotto graduale. Anche se la madre non è d’accordo, il giudice può comunque decidere di far pernottare il figlio a casa del padre, casomai prevedendo delle modalità graduali di inserimento del piccolo nella nuova abitazione del papà.

Tanto ha ad esempio disposto il Tribunale di Trieste, disattendendo le richieste della madre che, pur non mettendo in discussione l’affidamento condiviso del figlio, non voleva che lo stesso pernottasse presso l’altro genitore prima del compimento dei tre anni di età.

Per il collegio giudicante, più nel dettaglio, il collocamento del minore deve essere disposto dando adeguato spazio a entrambi i genitori e tenendo conto in via prioritaria dei loro impegni lavorativi. Per il resto, considerando l’età del piccolo, ormai svezzato e quindi non più del tutto dipendente dalla madre, e in assenza di elementi concreti nel senso di un’inadeguatezza del padre, è opportuno disporre una regolamentazione del collocamento che preveda l’introduzione dei pernotti immediata.

Nel caso di specie quindi, posto che sino al momento della sentenza il minore era stato da solo con il padre esclusivamente tre mezze giornate a settimana, il Tribunale di Trieste ha stabilito che sino a marzo 2019 il figlio pernotterà dal papà solo un giorno a settimana, che diventeranno due da aprile 2019 e tre dopo il compimento del terzo anno di età.

Le festività sono state divise in due gruppi, durante i quali il piccolo, ad anni alterni, starà con il padre o con la madre. Tuttavia, per il primo Natale, al fine di garantire la gradualità nell’introduzione dei pernotti, il periodo 26 dicembre 2018 – 6 gennaio 2019, seguirà, salvo diverso accordo, il regime ordinario. D’estate, infine, è stato previsto che il figlio passerà il tempo per due intere settimane non consecutive esclusivamente con un genitore e per due intere settimane non consecutive esclusivamente con l’altro.

Vista la forte conflittualità, per le questioni di ordinaria amministrazione la responsabilità genitoriale sarà esercitata dalla madre e dal padre separatamente nei periodi di permanenza del minore presso ciascuno. Se, però, le scelte prese senza l’accordo siano fonte di spese straordinarie, di queste si farà carico interamente il genitore che ha preso la decisione.

Il padre aveva chiesto al Tribunale anche di impedire che il minore stesse da solo con i nonni materni. Per il collegio, però, considerata la giovane età di questi e gli impegni lavorativi ai quali devono far fronte, il loro sostegno deve considerarsi un fattore positivo per il piccolo.

Con un’accortezza: finché tra i genitori e le loro famiglie persisterà un’aspra conflittualità, il padre e i genitori della madre dovranno ridurre al minimo le occasioni di contatto “in contesti privati in cui la situazione possa degenerare più facilmente”.

Valeria Zeppilli News studio Cataldi segnalazione dr Marco Pingitore 18 ottobre 2018 Sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/32192-si-al-pernotto-dal-papa-anche-se-la-mamma-non-vuole.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Con quali criteri il giudice quantifica l’assegno di mantenimento?

Assegno di divorzio: il tenore di vita matrimoniale non è il solo criterio che determina l’assegno di mantenimento. La recente sentenza della Cassazione non tutela chi vuole approfittarsi della posizione economica dell’altro coniuge.

Quali cambiamenti ci sono stati sull’assegno di divorzio? La nuova giurisprudenza della Cassazione stabilisce con quali criteri il giudice quantifica l’assegno di mantenimento con l’intento di evitare che un coniuge si approfitti dell’altro. La Cassazione afferma che il tenore di vita tenuto durante il matrimonio non sempre determina il valore dell’assegno. Allo stesso tempo ribadisce che l’apporto dato dal coniuge alla famiglia va adeguatamente valorizzato anche in relazione alle rinunce fatte per il bene della famiglia. La legge sul divorzio, infatti, prevede diversi criteri per determinare l’assegno di divorzio e, secondo la Cassazione, questi criteri sono tutti ugualmente rilevanti. Pertanto quando il giudice quantifica l’assegno di mantenimento deve analizzare la situazione concreta nel suo complesso tenendo presente tutti i criteri previsti dalla legge. In questo articolo verranno evidenziate le differenze fondamentali fra i tre tipi di assegno: di mantenimento, alimentare e di divorzio. Poi, in relazione a quest’ultimo, si vedrà come la nuova giurisprudenza della Cassazione ha innovato la materia e, in particolare, ha risposto alla domanda: con quali criteri il giudice quantifica l’assegno di mantenimento? Infine analizzeremo le possibili conseguenze che ci potranno essere sugli assegni di divorzio già decisi dal giudice.

Differenze tra assegno di mantenimento, assegno di divorzio ed alimenti. Ultimamente, come detto, stanno cambiando un po’ di cose per la determinazione dell’assegno divorzile e in questo articolo troverai importanti chiarimenti che ti consentiranno di capire cosa realmente sta succedendo in questa materia. Prima di procedere oltre è bene precisare due cose:

  1. Esiste una differenza tra assegno di mantenimento, alimenti e assegno di divorzio, anche se nel linguaggio comune i termini spesso sono usati come sinonimi. L’assegno di mantenimento, infatti, è attribuito al termine della fase di separazione – che precede quella di divorzio – ed ha dei presupposti e delle finalità diverse rispetto a quelle dell’assegno di divorzio. Gli alimenti, invece, hanno un campo d’azione più ampio, infatti, possono essere richiesti anche agli altri parenti e non solo al coniuge separato ma, come vedremo, hanno dei criteri di determinazione più rigorosi;

  2. Non c’è nessuna nuova legge che va a modificare i criteri che il giudice usa per quantificare l’assegno di divorzio (o divorzile). La legge [L. n. 898/1978] infatti è sempre la stessa, l’unica cosa a subire delle variazioni è stata l’interpretazione della legge sul divorzio fatta dalla Cassazione [Cass. Sent. n. 18287/11.7.2018]. Tale interpretazione, però, non è priva di conseguenze pratiche, dato il particolare ruolo che ha la Cassazione sulla concreta applicazione della legge.

Come precisato in precedenza, esistono delle differenze tra assegno di mantenimento, assegno di divorzio e assegno alimentare. L’assegno di mantenimento è stabilito in sede di separazione in favore del coniuge a cui non è stata addebitata la separazione e che non ha adeguati mezzi per condurre una vita simile a quella condotta durante la vita matrimoniale. La funzione di tale assegno è quella di non sconvolgere totalmente lo stile di vita del coniuge separato facendogli mantenere un tenore di vita paragonabile a quello precedente. La giurisprudenza, però, ha stabilito che il nuovo tenore di vita non deve necessariamente coincidere con quello precedente, poiché, ad esempio, è del tutto possibile che lo stesso reddito non possa mantenere allo stesso modo due persone che andranno a vivere separatamente. Per esempio, in assenza di una casa di proprietà, si avrà un aumento notevole dei costi per poter mantenere due alloggi diversi rendendo così improbabile mantenere lo stesso tenore di vita. La legge per determinare il predetto assegno usa dei criteri alquanto vaghi. Infatti fa un generico riferimento alle circostanze e ai redditi dell’obbligato. La Cassazione, in concreto, ha ritenuto utile per determinare l’ammontare dell’assegno: la durata del matrimonio, a chi è stata assegnata la casa famigliare, eventuali somme percepite dal nuovo convivente, la capacità di produrre reddito che il beneficiario dell’assegno aveva già prima della separazione. Quindi, ad esempio, se ad un coniuge è stata assegnata la casa famigliare di proprietà di uno o di entrambi i coniugi l’eventuale assegno di mantenimento si ridurrà; o ancora, se il matrimonio ha avuto una breve durata l’importo dell’assegno sarà minimo. Mentre è sufficiente uno dei seguenti motivi per escludere del tutto l’assegno di mantenimento: la separazione causata dalla colpa del coniuge che richiede l’assegno, la sussistenza di redditi adeguati a mantenere lo stesso tenore di vita, un reddito molto basso dell’obbligato al mantenimento. Inoltre, è bene ricordare che i provvedimenti che riguardano l’assegno di mantenimento sono sempre revocabili o modificabili nel caso in cui si verificano eventi che cambiano lo stato dei fatti. L’assegno di mantenimento, in sostanza, ha lo scopo di proteggere il coniuge economicamente più debole per la sola fase di separazione, consentendogli di condurre un tenore di vita paragonabile a quello tenuto durante la convivenza matrimoniale, a condizione che non gli sia stata addebitata la separazione, che non abbia un reddito adeguato e che l’altro coniuge abbia un reddito sufficiente.

L’assegno alimentare, diversamente dall’assegno di mantenimento, è dovuto dal coniuge separato (e non da quello divorziato) qualora l’altro coniuge versi in uno stato di grave indigenza e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento non per sua colpa. In questo caso, però, sia l’addebito della separazione che il tenore di vita tenuto durante il matrimonio non hanno alcuna rilevanza. L’assegno alimentare, infatti, dà diritto ad ottenere solo i minimi mezzi di sopravvivenza, cioè il minimo indispensabile per sopravvivere solo quando il coniuge separato non sia in grado di produrre reddito per motivi che non dipendono dalla sua volontà e a prescindere dall’addebitabilità della separazione. Inoltre, data la sua finalità spiccatamente assistenziale, se tale assegno non può essere versato dal coniuge separato sono obbligati a versarlo, nell’ordine: figli, nipoti, genitori, nonni, generi e nuore, suocero e suocera, fratelli e sorelle del soggetto che ha diritto agli alimenti.

In pratica, la presenza dell’assegno di mantenimento esclude la possibilità di ricevere l’assegno alimentare ma, nel caso in cui l’assegno di mantenimento si talmente basso (perché ad esempio il coniuge separato non dispone di grandi redditi) da non riuscire a far fronte le minime esigenze di vita del beneficiario, questo può comunque chiedere gli alimenti agli altri soggetti obbligati se dimostra la sua insuperabile impossibilità di produrre reddito. In senso opposto, invece, la mancata attribuzione dell’assegno di mantenimento – per esempio per l’addebito della separazione al coniuge indigente – non esclude la possibilità di ricevere l’assegno alimentare dall’altro coniuge separato che ha un reddito sufficiente e anche se non gli sia stata addebitata la separazione.

Ulteriori differenze si hanno con l’assegno divorzile stabilito in sede di divorzio che, come noto, ha l’effetto di sciogliere definitivamente il matrimonio. Proprio questo effetto del divorzio incide sulle caratteristiche dell’assegno divorzile. Tale assegno, infatti, diversamente da quello di mantenimento, ha lo scopo di riequilibrare i rapporti tra i coniugi in relazione al contributo dato da ciascuno di essi all’interno della famiglia, inoltre ha anche una funzione assistenziale e risarcitoria. Il giudice per calcolare l’ammontare dell’assegno di divorzio utilizza diversi criteri: le ragioni che hanno spinto i coniugi a divorziare, l’apporto dato alla creazione del patrimonio familiare, la condizione personale di ciascun coniuge (ad esempio le condizioni di salute), il reddito percepito da ciascun coniuge, la durata del matrimonio. Il giudice, quindi, valutati tutti questi elementi stabilisce l’assegno a favore del coniuge che non ha redditi adeguati e che non ha la possibilità di procurarseli. In altre parole, se un coniuge non ha oggettivamente la possibilità di avere dei redditi che gli consentano di condurre una vita simile a quella che egli stesso aveva reso possibile collaborando con l’altro coniuge, il giudice obbliga il coniuge più ricco a versare all’altro coniuge un assegno mensile o in un’unica soluzione. Ovviamente, chi è tenuto a versare l’assegno non potrà essere obbligato a versare una somma talmente alta che non gli permetta di avere i minimi mezzi per sopravvivere. Inoltre, chi richiede l’assegno dovrà comunque adoperarsi per produrre reddito e solo se non riesce a procurarsi i mezzi economici adeguati gli sarà attribuito l’assegno.

Cosa è cambiato nella determinazione dell’assegno divorzile? Ora, dopo avere visto le principali differenze tra assegno di mantenimento, assegno alimentare e assegno divorzile, concentriamoci su quest’ultimo prendendo in considerazione come era determinato prima della innovativa sentenza della Cassazione e come è determinato dopo di essa. È bene precisare, però, che le sentenze della Cassazione – anche se a Sezioni unite come in questo caso – non sono legge vincolante per gli altri giudici ma hanno comunque una notevole forza di indirizzo per tutte le decisioni future. Detto ciò, prima della sentenza delle Sezioni unite l’assegno di divorzio era stabilito, tra le altre cose, prevalentemente in funzione del tenore di vita condotto dai coniugi durante il matrimonio senza, però, valorizzare adeguatamente il contributo apportato dal coniuge. In precedenza, quindi, la Cassazione affermava costantemente che nel caso in cui l’ex coniuge non aveva mezzi economici adeguati per permettersi un tenore di vita simile a quello tenuto durante il matrimonio aveva diritto ad ottenere l’assegno di divorzio. L’ammontare di tale assegno, una volta accertato il diritto ad ottenerlo, si determinava in base ai criteri stabiliti dalla legge, e cioè: i motivi del divorzio, il contributo dato dall’ex coniuge alla famiglia, l’età e le condizioni di salute dell’ex coniuge, i redditi di ciascuno del ex coniugi, la durata del matrimonio. In sostanza, si potevano individuare due momenti della decisione:

  1. Si accertava l’inadeguatezza, rispetto al tenore di vita matrimoniale, dei mezzi economici del ex coniuge richiedente e quindi l’esistenza del diritto ad ottenere l’assegno;

  2. Si quantificava concretamente l’ammontare usando i criteri elencati dalla legge.

Nel 2017 c’è stata un’importante variazione rispetto a questa interpretazione, infatti, la Cassazione, pur tenendo fermo il metodo di dividere in due momenti la decisione, ha valutato l’inadeguatezza dei mezzi economici, non più rispetto al tenore di vita tenuto durante il matrimonio ma considerando la sola autosufficienza del coniuge richiedente l’assegno. Pertanto, una volta accertata la non autosufficienza del coniuge richiedente, si passava a quantificare l’ammontare dell’assegno utilizzando gli altri criteri previsti dalla legge (motivi del divorzio, età, ecc.). In altre parole, aderendo a questa interpretazione, i giudici attribuivano l’assegno all’ex coniuge solo qualora non era in grado di procurarsi i mezzi economici necessari ad avere una vita dignitosa, senza però dare un peso determinante al tenore di vita matrimoniale, tutto ciò per evitare speculazioni in danno dell’altro ex coniuge.

Nell’ultima sentenza delle Sezioni unite del 2018 si arriva ad una soluzione che differisce dalle due precedenti, infatti, si è ritenuto che ancorare la spettanza dell’assegno di divorzio prevalentemente al parametro del tenore di vita matrimoniale è una soluzione troppo generica perché non valorizza adeguatamente tutti gli altri criteri previsti dalla legge. Invece, l’altra soluzione, che attribuisce all’ex coniuge l’assegno di divorzio solo se non autosufficiente, è stata comunque ritenuta non adeguata poiché troppo restrittiva, infatti, non tiene in debito conto i sacrifici e gli apporti dati dal coniuge richiedente l’assegno.

Le Sezioni unite del 2018, inoltre, apportano un ulteriore elemento di novità per determinare l’assegno divorzile, difatti, secondo i giudici la decisione va presa senza dover distinguere tra criteri utili per l’attribuzione dell’assegno (l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente) e criteri utili a quantificare l’assegno (età, durata matrimonio, contributo dato da ciascun coniuge, ecc…).

In concreto la Corte afferma che la legge non fa distinzione tra i criteri che deve usare il giudice per attribuire l’assegno, infatti, la legge non attribuisce preminenza ad un criterio piuttosto che ad un altro. Da questa equiparazione tra i criteri discende una importante conseguenza pratica: il giudice nella sua decisione deve valutare tutti gli aspetti allo stesso modo, cioè senza stabilire una gerarchia tra i criteri elencati dalla legge, quindi la decisione deve essere presa con un unico ragionamento senza dover frazionare tra l’accertamento dell’esistenza del diritto all’assegno e la quantificazione dell’assegno. In pratica, ad esempio, se il coniuge richiedente l’assegno ha un buon lavoro che gli consente di condurre una vita più che dignitosa, ma durante il matrimonio ha contribuito notevolmente alla creazione del patrimonio dell’altro coniuge (perché magari si è occupato della famiglia a tempo pieno) ha comunque diritto a vedersi riconosciuto il contributo dato all’interno della famiglia. In sostanza, l’assegno divorzile ha anche la funzione di riequilibrare i rapporti tra gli ex coniugi a prescindere dall’effettivo bisogno di uno dei due.

Tale funzione riequilibratrice non avrebbe motivo di esistere nel caso opposto: si pensi ad un ex coniuge trentenne (Filippo), in buono stato di salute e percettore di un reddito minimo, che non ha dato alcun apporto alla creazione del patrimonio famigliare durante il matrimonio proseguito per tre anni. Si consideri, infine, che Filippo richiede un cospicuo assegno divorzile all’altro ex coniuge (Teresa) molto benestante, la quale, peraltro, non ha alcuna colpa nelle ragioni che hanno portato al divorzio. In tale situazione, nonostante l’alto tenore di vita condotto durante il matrimonio, la legge non accorda a Filippo alcun diritto in merito, infatti, viene meno sia la funzione riequilibratrice (poiché non c’è stato alcun contributo alla formazione del patrimonio di Teresa), sia la funzione assistenziale (poiché ha già un reddito e, considerato la giovane età può comunque adoperarsi per migliorare la sua situazione reddituale), sia la funzione risarcitoria (poiché il coniuge benestante non ha alcuna responsabilità in relazione al divorzio).

In pratica non esiste una formula magica per determinare in concreto l’assegno di divorzio ma i giudici devono utilizzare, secondo la recente sentenza, un sistema abbastanza elastico che deve tenere in considerazione tutti i parametri previsti dalla legge. In altri termini, la nuova interpretazione fornita dalla Cassazione, facendo leva sulla funzione composta dell’assegno divorzile (riequilibratrice, assistenziale e risarcitoria), evita qualsiasi automatismo per la determinazione dell’assegno. Lo strumento che le Sezioni unite utilizzano per evitare tale automatismo è dato dalla equiparazione dei criteri previsti dalla legge i quali devono necessariamente essere tutti considerati per una equa determinazione dell’assegno. Quindi la semplice differenza tra i patrimoni dei coniugi non è detto che porti all’attribuzione dell’assegno al coniuge economicamente più debole se questo, ad esempio, non ha minimamente contribuito all’incremento patrimoniale dell’altro e se ha comunque la possibilità di produrre un reddito adeguato e non si adopera per farlo. In sintesi si può affermare che il giudice, per la determinazione dell’assegno di divorzio, deve considerare cumulativamente tutti questi criteri: il contributo dato alla vita familiare dal coniuge che richiede l’assegno; il contributo dato alla formazione del reddito familiare e personale dell’altro coniuge; l’età e le condizioni di salute di chi richiede l’assegno; l’impossibilità oggettiva di chi richiede l’assegno di procurarsi i mezzi economici; la durata del matrimonio; le ragioni che hanno portato al divorzio. Negli anni precedenti, invece, la giurisprudenza tendeva ad attribuire l’assegno di divorzio al coniuge più povero senza tenere in debito conto tutti gli altri elementi, basando così la decisione quasi esclusivamente sulla differenza reddituale degli ex coniugi e sul tenore di vita mantenuto durante il matrimonio. Con la nuova interpretazione i giudici, invece, impongono una valutazione contestuale di tutti i criteri stabiliti dalla legge valorizzando così la triplice funzione dell’assegno divorzile al fine di evitare speculazioni in danno del coniuge più ricco oppure abusi in danno del coniuge che si è sacrificato, o ha comunque collaborato, per la formazione del patrimonio famigliare o personale dell’altro coniuge.

È possibile modificare l’assegno divorzile usando la nuova interpretazione della legge? Infine dedichiamo alcune righe per capire che effetti potrà avere la nuova interpretazione sulle decisioni già adottate dai giudici. Premesso che una nuova interpretazione della legge non necessariamente deve essere osservata anche dagli altri giudici dato che, solo la legge pone dei vincoli insuperabili al giudice e non una interpretazione della stessa, anche se fatta da giudici di ordine superiore. È possibile affermare che qualora ci si trovi difronte ad una sentenza definitiva, cioè non più impugnabile per scadenza dei termini o perché si è arrivati in Cassazione, la nuova interpretazione non ha alcuna rilevanza. Diversamente nel caso in cui la sentenza è ancora impugnabile i nuovi giudici nel decidere l’appello potranno applicare la nuova interpretazione della legge fatta dalle sezioni unite del 2018. In ogni caso è possibile richiedere la modifica delle condizioni economiche del divorzio nel caso in cui sopraggiungano dei nuovi fatti che non rendano più giustificabile continuare ad obbligare l’ex coniuge a versare l’assegno in favore dell’altro.

La Legge per tutti 18 ottobre 2018

www.laleggepertutti.it/242384_con-quali-criteri-il-giudice-quantifica-lassegno-di-mantenimento-2

 

Le prime decisioni di merito sull’assegno divorzile dopo la sentenza delle Sezioni Unite.

A seguito del revirement operato dalla prima sezione della Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 11504 del 2017, a cui si sono uniformatele le successive decisioni della stessa sezione della Corte di Cassazione, ma che non è stato accolto in egual misura da parte della dottrina e dalla giurisprudenza di merito, sull’argomento è intervenuta la decisione della Sezioni Unite con la sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018 per affermare un nuovo principio di diritto che tende a superare, con una soluzione equilibrata, sia quello formulato dalle sentenze gemelle del 1990, sia quello introdotto dalla sentenza n. 11504 del 2017.

Il contrasto giurisprudenziale affrontato dalle Sezioni Unite nasce dal fatto che la lettura della norma dell’art. 5, comma sesto, L. n. 898 del 1970 non offre indicazioni applicative univoche in ordine all’esatta determinazione del concetto di “mezzi adeguati”, non avendo il legislatore precisato quale sia il parametro di riferimento cui ancorare il giudizio di adeguatezza.

Art. 5. Comma 6. Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

www.altalex.com/documents/leggi/2012/06/27/disciplina-dei-casi-di-scioglimento-del-matrimonio

Secondo le Sezioni Unite inoltre il parametro dell’adeguatezza / inadeguatezza, così come indicato dai due orientamenti (il tenero di vita matrimoniale e l’autonomia od indipendenza economica) sarebbero entrambi esposti al rischio dell’astrattezza e del difetto di collegamento con l’effettività della relazione matrimoniale, in quanto le due parti della norma sono state interpretate in modo dicotomico.

Secondo le Sezioni Unite sostanzialmente il carattere dell’adeguatezza dei mezzi impone una valutazione comparativa che entrambi gli orientamenti traggono però al di fuori degli indicatori contenuti nell’art. 5, comma sesto, così relegando a una funzione residuale proprio le caratteristiche dell’assegno di divorzio fondate sui principi di libertà, autoresponsabilità e pari dignità desumibili dalla carta costituzionale art. 2, 3 e 29 della Costituzione, così come declinati nell’art. 143 c.c..

Ricordiamo brevemente che con le sentenze gemelle del 1990 all’assegno è stato riconosciuto carattere esclusivamente assistenziale ed il presupposto per la sua concessione deve essere rinvenuto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza degli stessi a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, mentre i criteri indicati nella prima parte della norma hanno funzione esclusivamente determinativa dell’assegno.

A questo consolidato orientamento, rimasto fermo per un trentennio, si è recentemente contrapposto quello affermato dalla sentenza n. 11504 del 2017 che, pur confermando la rigida distinzione tra il criterio attributivo e determinativo, ha individuato come nuovo parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente l’assegno la non autosufficienza economica, stabilendo che solo all’esito del positivo accertamento di tale presupposto potranno esser esaminati in funzione ampliativa o limitativa del quantum i criteri determinativi indicati nella prima parte della norma, in tal modo continuando a riconoscere all’assegno una funzione esclusivamente assistenziale anche se in questo caso rigidamente ancorata ad una condizione di autonomia economica, da valutare in relazione alle condizioni soggettive del richiedente l’assegno, ma svincolata dalla relazione matrimoniale.

Le Sezioni Unite partendo da un’analisi comparativa dei due orientamenti in forte contrapposizione, pur condividendo alcune critiche formulate con la sentenza n. 11504 del 2017 all’orientamento fissato dalla sentenza n. 11490, 29.11. 1990, precisamente in merito ai forti rischi di locupletazione [arricchimento] ingiustificata dell’ex coniuge istante in tutte quelle situazioni in cui il coniuge goda di autonomia economica o quando non abbia significativamente contribuito alla formazione della posizione economico –patrimoniale dell’ex coniuge, ritiene che anche “La valutazione svolta nella sentenza n. 11504 del 2017 è rilevante ma incompleta perché non radicata sui fattori oggettivi e inter-relazionali che determinano la condizione complessiva degli ex coniugi dopo lo scioglimento del vincolo”, con conseguente svalutazione proprio del principio di autoresponsabilità. www.fglaw.it/system/files/u4/su90_11490%20(assegno%20divorzile).pdf

Sempre secondo Le Sezioni Unite lo stesso limite d’incompletezza si ravvisa riguardo alla ratio posta a sostegno del criterio attributivo individuato nella carenza di autosufficienza economica della parte richiedente l’assegno , il cui fondamento costituzionale è la solidarietà post coniugale, se consideriamo che con l’orientamento introdotto dalla sentenza n. 11504 del 2017 “lo scioglimento del vincolo coniugale comporta una netta soluzione di continuità tra la fase di vita successiva e quella anteriore il matrimonio”.

www.studiocerbone.com/cassazione-sezione-civile-sentenza-n-11504-del-10-maggio-2017-divorzio-criterio-lassegno-al-coniuge-lautosufficienza-non-tenore-vita/

Osservano le Sezioni Unite che proprio tale impostazione, essendo del tutto svincolata dalla relazione matrimoniale e unicamente orientata dalle scelte e responsabilità individuali, si pone in contrasto proprio con i principi di autoresponsabilità ed autodeterminazione che sono gli stessi che hanno orientato la scelta dei coniugi ed il modello di relazione coniugale da realizzare, la definizione dei ruoli ed il contributo di ciascun coniuge all’attuazione della rete di diritti e doveri fissati nell’art. 143 c.c..

Secondo le Sezioni Unite è proprio la rigida bipartizione tra i criteri attributivi e determinativi e la ricerca del parametro dell’adeguatezza/ inadeguatezza dei mezzi al di fuori degli indicatori contenuti nell’art. 5, sesto comma, introdotto dal nuovo orientamento, a far diventare meramente eventuali, e quindi a prospettare una lettura dell’art. 5, comma sesto abrogatrice della prima parte.

In sostanza secondo le Sezioni Unite l’adeguatezza dei mezzi deve esser valutata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva, ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare, laddove la funzione equilibratrice dell’assegno “non è finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale, ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale” .

Le Sezioni Unite dopo aver evidenziato i risvolti critici di entrambi gli orientamenti hanno stabilito che la funzione dell’assegno non è più solo assistenziale ma bensì ed in pari misura compensativa e perequativa, mentre la sua previsione richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione, con particolare riferimento alla contribuzione del richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che alla durata del matrimonio.

Pertanto il richiamo alla valorizzazione dell’autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi “deve dirigersi verso la preminenza della funzione equilibratrice – perequativa dell’assegno divorzile, in quanto il principio di solidarietà posto alla base del riconoscimento del diritto impone che il giudizio sull’adeguatezza dei mezzi e all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari”.

Ciò precisato vediamo come alcuni Tribunali si sono regolati e come hanno accolto il nuovo principio di diritto nell’immediatezza, dovendo i Giudici procedere attraverso una rigorosa istruttoria volta all’effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle potenzialità future, dovendo l’adeguatezza dei mezzi esser valutata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva, ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare, come non è possibile dall’altro canto fondare il riconoscimento solo su uno degli indicatori contenuti nell’incipit dell’art. 5, comma sesto, essendo necessaria una valutazione integrata, incentrata sull’aspetto perequativo – compensativo, fondata sulla comparazione effettiva delle condizioni economico– patrimoniali, alla luce delle cause che hanno determinato l’attuale situazione di disparità, oltre “a dover procedere a un accertamento probatorio rigoroso del rilievo causale degli indicatori sopracitati sulla sperequazione determinatasi” .

In particolare il Tribunale di Nuoro (sentenza n. 424, 23.8.2018), dopo aver proceduto ad una valutazione di adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente in relazione a tutti i parametri di cui all’art. 5, comma sesto, preceduta da una preliminare analisi sull’accertamento del diritto all’assegno attraverso la verifica di una rilevante disparità tra le rispettive situazioni economico patrimoniali degli ex coniugi, e dopo aver valutato se tale disparità sia stata causata da scelte condivise, se il coniuge più debole abbia o meno la possibilità di trovare un lavoro o ottenere una più alta remunerazione, in considerazione della sua età, delle pregresse esperienze professionali e delle condizioni del mercato del lavoro, ha concluso per l’accoglimento della domanda di assegno.

La previsione di un assegno, in questo caso, è avvenuta nonostante la moglie istante avesse redditi propri ma inferiori al marito, soprattutto considerando il rilevante contributo dato alla conduzione della vita familiare e per aver cresciuto tre figli; considerata altresì l’età del soggetto richiedente (di 51 anni) che non le consentirebbe di poter aspirare a miglioramenti della propria attuale situazione reddituale, né di poter reperire un’altra attività lavorativa maggiormente remunerativa di quella attuale (segretaria in uno studio legale), oltre al fatto che il soggetto istante ha dimostrato nel corso del giudizio di aver significativamente contribuito alla formazione del patrimonio personale del marito, partecipando alle spese per l’acquisto e la ristrutturazione dell’immobile di proprietà del marito.

www.personaedanno.it/dA/e717bc91da/allegato2/Trib%20Nuoro%20assegno%20pdf.pdf

Diversamente il Tribunale di Trieste (sentenza n. 525, 21.8.2018) ha ritenuto di non dover accogliere la domanda di assegno formulata da una moglie che, seppur nella fattispecie goda di un reddito da lavoro da impiego part time di molto inferiore al marito, dispone di un patrimonio immobiliare consistente al punto da far venir meno il divario economico patrimoniale con l’altro coniuge, ha un buon livello di scolarizzazione e maggior tempo libero che le consentirebbe di poter continuare a svolgere in parallelo un’altra attività.

Il Tribunale inoltre ha fondato il proprio diniego sul fatto che non risultano agli atti che le scelte lavorative siano legate alle esigenze familiari, ma bensì a meri motivi organizzativi aziendali, e neppure che abbia svolto un ruolo preminente o esclusivo all’interno della famiglia.

www.personaedanno.it/dA/80493b6d69/allegato/Trib%20Trieste%20assegno%20.pdf

Anche il Tribunale di Roma (sentenza n. 16394, 8.8.2018) ha negato l’assegno alla moglie dopo aver accertato che la stessa fosse capace ed abile al lavoro, che fosse titolare di un trattamento pensionistico, oltre ad esser comproprietaria con il marito della ex casa familiare alla stessa assegnata, ma soprattutto dopo aver verificato che la disparità economico – patrimoniale tra le parti non è eziologicamente riconducibile a determinazioni e scelte comuni e condivise che hanno condotto la moglie ad esplicitare il suo ruolo non solo o prevalentemente nell’ambito familiare.

www.personaedanno.it/dA/e717bc91da/allegato/Trib%20Roma%20assegno%20.pdf

Infine anche il Tribunale di Verona (sentenza n. 1764, 20.7.2018) ha rigettato la richiesta di un assegno di divorzio ad una moglie pur a fronte di una florida condizione economica del marito, in quanto svolge attività lavorativa che le consente di poter percepire un buon reddito, considerato altresì che, per quanto gravata di mutuo, gode della piena proprietà di un immobile, per sua scelta non messo a reddito, ma soprattutto che in ragione dell’età delle parti e della durata del matrimonio (4 anni) non può ravvisarsi nella fattispecie un concreto contributo della moglie allo sviluppo di carriera del marito, oltre al fatto che il trasferimento della moglie nella città del marito non le ha compromesso la situazione lavorativa e reddituale della moglie.

www.personaedanno.it/dA/80493b6d69/allegato2/Trib%20verona%20assegno.pdf

Ci sembra che davvero questa sentenza delle Sezioni Unite abbia non solo trovato un giusto equilibro tra i contrapposti orientamenti rilevandone e superandone le maggiori criticità ma che così facendo si è anche avvicinata ai più evoluti ordinamenti europei.

Alessandra Sarri Persona & Danno – 15 ottobre 2018

www.personaedanno.it/articolo/le-prime-decisioni-di-merito-tribunali-di-nuoro-roma-trieste-e-verona-sull-assegno-divorzile-dopo-la-sentenza-delle-sezioni-unite

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Il seminario intende favorire l’approfondimento delle conoscenze teoriche e delle capacità di giudizio e di intervento degli assistenti sociali impegnati nella tutela dei bambini e dei ragazzi con nuclei familiari con gravi disagi relazionali, per i quali si rende necessaria la valutazione e la realizzazione di interventi di accoglienza residenziale. Si mira in particolare ad esplorare le dimensioni deontologiche e metodologiche di tali interventi, al fine di offrire agli assistenti sociali indicazioni e strumenti professionali per compiere in modo adeguato attività quali: l’assessment [valutazione] dei fattori di rischio e di protezione dei nuclei familiari nei quali

Il seminario è rivolto esclusivamente agli assistenti sociali, sia in possesso di titolo di laurea triennale che magistrale. Specificamente dedicato agli assistenti sociali impegnati nell’ambito della tutela minorile e familiare (operanti presso comuni, ambiti territoriali, servizi sanitari, comunità residenziali e altri enti di terzo settore) il seminario offre contenuti deontologici e metodologici d’interesse per ogni assistente sociale interessato al tema.

Iscrizioni: dal 25 settembre 2018 su www.progettofamiglia.org/formazione

Partecipazione: Dal 5 ottobre 2018 e per i successivi dodici mesi.

Crediti formativi e deontologici. Sono stati concessi dal CNOAS 5 crediti (di cui 2 deontologici e 3 formativi), conseguibili da coloro che avranno visionato tutte le video lezioni e risposto correttamente alle verifiche.

Il seminario, dopo una breve presentazione degli obiettivi formativi, dei relatori e dell’ente promotore, propone un percorso formativo articolato in due moduli di complessive cinque ore.

  1. Modulo deontologico. La responsabilità dell’assistente sociale oggi nella tutela dei bambini bisognosi di accoglienza. Crisi del welfare, ricadute deontologiche e modalità di fronteggiamento.

  2. Modulo metodologico Assetti organizzativi del sistema di tutela e di accoglienza minorile: ruoli e procedure. Metodologia dell’assessment nell’intervento di allontanamento e accoglienza di un bambino. Quando allontanare un bambino dalla sua famiglia e dove inserirlo. Indicazioni psicosociali. La tutela della continuità degli affetti del bambino accolto in casa famiglia. Indicazioni psicosociali. Il diritto ad avere una famiglia. Aspetti giuridici e giurisprudenziali nella distinzione tra “temporanea inidoneità della famiglia” e “stato di abbandono morale e materiale”. Le nuove Linee di indirizzo nazionali sull’accoglienza dei minori nei servizi residenziali

Il seminario, fruibile in modalità asincrona (in giorni e orari liberamente scelti dai partecipanti), si articola in relazioni frontali videoregistrate, accompagnate dall’utilizzo di slide, dall’invito allo svolgimento di esercizi di riflessione, dalla visione di video di approfondimento e dalla messa a disposizione di dispense e di suggerimenti bibliografici e sitografici per lo studio personale.

www.progettofamiglia.org/it/uploads/Comunication-FundRaising/(Seminario%20FAD%20x%20Ass.Sociali)%20Come%20e%20quando%20inserire%20un%20bambino%20in%20casa%20famiglia%20(1).pdf

Centro Studi e Formazione Progetto Famiglia 18 ottobre 2018

www.progettofamiglia.org/formazione

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 33, 17 ottobre 2018

  • Nella corsa della vita non partiamo tutti dallo stesso punto (The winner of the race). Tre minuti di un video che con grande efficacia mostra come ogni persona può giocarsi le proprie opportunità nella vita non solo grazie alle proprie capacità, ma soprattutto grazie a strumenti e competenze che gli sono state offerte dal contesto sociale. Così, l’arrivo è uguale per tutti, ma alcuni devono fare molta più strada…. Molto utile per riflettere su quanto sia difficile offrire uguaglianza di opportunità per tutti.

https://www.youtube.com/watch?v=1z1D2_KWCbU

  • Dublino 2018. L’intervento del Cisf sull’associazionismo familiare (E MOLTO ALTRO IN PIU’!). A poche settimane di distanza dall’Incontro Mondiale delle Famiglie di Dublino, svoltosi a fine agosto, è già disponibile un ricchissimo materiale di documentazione, che consente a chiunque di approfondire i temi e i contenuti discussi, dagli interventi di papa Francesco fino alle relazioni del vari autori durante la tre giorni del Congresso Internazionale. Una grande opportunità, per tutti, di poter ascoltare interventi e testimonianze spesso di grande intensità e coinvolgimento ripescando così un po’ di quel “profumo di famiglia” che a Dublino si è intensamente respirato. Tra i vari contributi, si segnala anche la videoregistrazione integrale dell’intervento del direttore del Cisf (F. Belletti), all’interno dell’incontro su “Promoting the Gospel of the Family: The Role of Family Associations Today” (Promuovere il Vangelo della Famiglia. Il ruolo dell’associazionismo familiare oggi).

www.worldmeeting2018.ie/en/Programme/Speakers-and-Contributors

www.worldmeeting2018.ie/en/Programme/Speakers-and-Contributors

  • Ungheria: le politiche familiari e demografiche. Un’analisi “non allineata” dalla letteratura statunitense. Un recente articolo pubblicato dall’Institute for Family Studies (centro di ricerca attivo negli Stati Uniti) analizza i diversi interventi di politica familiare realizzati negli ultimi anni in Ungheria, e in particolare propone un’analisi dell’impatto delle importanti misure di sostegno economico diretto alle famiglie con figli lanciate nel 2015. Utile per capire meglio pregi e difetti di un modello di sostegno alla famiglia spesso poco analizzato, anche a causa di altre e controverse posizioni del governo ungherese (vedi il tema delle migrazioni). [Lyman Stone, Is Hungary Experiencing a Policy-Induced Baby Boom? – L’Ungheria sta davvero sperimentando un baby-boom promosso dalle scelte politiche? https://ifstudies.org/blog/is-hungary-experiencing-a-policy-induced-baby-boom

  • Francia. L’inserimento scolastico dei bambini disabili. Una lettera aperta dell’UNAPEI (Unione nazionale delle associazioni di genitori di persone disabili mentali e dei loro amici). Questa lettera è stata indirizzata ai deputati e ai senatori a livello nazionale all’inizio dell’anno scolastico (2 settembre 2018) per denunciare il mancato inserimento di migliaia di studenti disabili, a causa della mancanza di risorse economiche, organizzative e di personale. Poche righe, che testimoniano quanto sia tuttora necessaria – non solo in Italia! – un’azione di rappresentanza e di protesta, da parte delle famiglie, per sostenere i diritti dei più deboli

www.lejdd.fr/Societe/Education/la-scolarisation-des-eleves-handicapes-est-de-droit-pourtant-la-realite-reste-cruelle-3745451

  • Associazione nonni 2.0: un concorso nelle scuole (in collaborazione con la rivista Tempi). Per l’anno scolastico 2018-2019 viene lanciato il Concorso “Io e i miei nonni” [Leggi il Regolamento], rivolto a tutti gli allievi delle scuole italiane di ogni ordine e grado, con l’obiettivo di favorire una riflessione sulla funzione di questa figura, riferimento non solo affettivo, ma anche legato alla trasmissione della tradizione familiare e dei suoi valori condivisi. Parteciperanno gli elaborati – svolti in classe, sotto forma di tema tradizionale, lettera, racconto o poesia – che presenteranno esperienze e riflessioni personali degli allievi. Verranno premiati sia i ragazzi, sia le scuole dei vincitori. Gli elaborati dovranno pervenire, a partire dall’1 gennaio 2019 ed entro il 28 febbraio 2019, per posta all’indirizzo di casella postale che verrà indicata alla scuola oppure, preferibilmente, via e-mail al seguente indirizzo: ioeinonni@nonniduepuntozero.eu

www.nonniduepuntozero.eu/wp-content/uploads/2018/09/Regolamento-Concorso-2018.pdf

  • Povertà educativa. Servizi per l’infanzia e i minori Report febbraio 2018. “Questo report contiene le prime analisi svolte con i dati sistematizzati all’interno della banca dati sui servizi connessi al contrasto della povertà educativa, esito della collaborazione tra Depp srl e Con i bambini Impresa sociale. Essa è stata costruita a partire dai database ufficiali rilasciati dalle istituzioni competenti (Istat, Miur, Mef, Abi e altri soggetti). […] Le analisi presentate nel corso del report riguarderanno 4 dimensioni tematiche, declinate lungo alcuni aspetti specifici: 1) la presenza di asili nido e servizi per la prima infanzia; 2) la diffusione delle biblioteche; 3) la presenza di palestre nelle scuole; 4) lo stato e la raggiungibilità degli istituti scolastici”.

www.conibambini.org/wp-content/uploads/2018/02/Report-I_Servizi-per-linfanzia-e-i-minori.pdf

  • Esercizi di comunicazione. Visione, strategia e tecnica di community building. Corso di alta formazione 2018-2019. Il percorso è proposto dal Centro Culturale San Paolo e dal Center for generative communication (CfGC) dell’Università di Firenze e “si propone di formare una figura professionale capace di ideare e progettare strategie di comunicazione orientate a costruire Comunità di interessi, obiettivi e pratiche che rafforzino l’identità e gli obiettivi di associazioni, organizzazioni, imprese, istituzioni, parrocchie, uffici diocesani delle comunicazioni sociali. Si promuove un nuovo modello comunicativo che sappia coniugare il raggiungimento concreto degli obiettivi, nei tempi necessari, con i valori che intende sostenere e rafforzare. Questo è il community building: mettere a disposizione le competenze di un gruppo di lavoro costituito ad hoc per creare insieme una comunità formativa che ha l’obiettivo di praticare in diversi contesti reali i risultati di un processo di co-costruzione della conoscenza”. Iscrizioni entro il 28 ottobre 2018.

www.csl.unifi.it/esercizi-comunicazione

  • Save the date

  • Nord Tra il già e il non ancora. Adolescenti e paura di crescere, incontro promosso dal Consultorio “La Bussola”, Cerea (VR), 10 novembre 2018.

http://consultoriolabussola.it/convegni/67-giaancora.html

Parlare del trauma: il racconto della storia familiare per i bambini vittime di violenza assistita, percorso formativo promosso dal CTA (Centro Terapia Adolescenza), Milano, 22 ottobre, 5 e 19 novembre 2018. www.centrocta.it/newsletter/Parlare_del_trauma_CTA2018.pdf

  • CentroL’accoglienza di bambini in stato di abbandono nel mondo: strumenti giuridici a confronto, convegno internazionale promosso da Presidenza del Consiglio dei Ministri. Commissione per le Adozioni Internazionali e Istituto degli Innocenti, Firenze, 19 ottobre 2018.

www.commissioneadozioni.it/media/161289/idi_conv-intern_180911.pdf

  • Sud Educazione digitale: bullismo, cyberbullismo e gioco d’azzardo in età evolutiva quale espressione di disagio giovanile, percorso formativo promosso da Città Metropolitana di Monopoli, e (O.L.T.R.E.E.E.) (Osservatorio Laboratorio Tutela Rispetto Emozionale Età Evolutiva) dell’Università Roma 3, Monopoli (BA), 30-31 ottobre 2018.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3318_allegato2.pdf

  • Estero Economics at the service of society (L’economia al servizio della società), seminario internazionale promosso da Coface-Europe, Bruxelles, 22-23 novembre 2018.

www.coface-eu.org/wp-content/uploads/2018/08/Economics_programme_2018.pdf

Festival of Diplomacy 2018 The future of work in the age of automation (Il futuro del lavoro nell’era dell’automazione), seminario di studio/dibattito (in inglese, – senza servizio di traduzione) promosso dalla Fondazione Konrad Adenauer/Konrad Adenauer Stiftung, Roma, 19 ottobre 2018. www.kas.de/veranstaltungen/detail/-/content/festival-of-diplomacy-2018

Iscrizione alle newsletterhttp://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

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CHIESA CATTOLICA

Il futuro della chiesa. L’assemblea dei “Viandanti”

L’assemblea che l’associazione Viandanti ha tenuto a Parma lo scorso 22 settembre è una buona occasione per cogliere alcuni aspetti dello stato di salute del cattolicesimo italiano. Certo, i Viandanti è un punto di osservazione molto parziale, ma non irrilevante.

Chi sono i Viandanti? Per cominciare, è una rete, che ha come base Parma. E’ nata nel 2010 con l’intento di offrire ai molti gruppi di base e realtà comunitarie sparsi nella penisola una struttura agile, leggera, che potesse promuovere relazioni e conoscenza reciproca, mettere in comune esperienze e idee.

(…)

L’assemblea tenutasi a Parma ha avuto tre momenti centrali: la relazione introduttiva di Franco Ferrari (“Viandanti: guardare al futuro da una periferia”), su cui sono intervenuti alcuni dei gruppi presenti, la relazione di Fulvio De Giorgi, docente di Storia dell’educazione all’Università di Modena e di Reggio, sul tema “Quale futuro per la Chiesa?”, e l’approvazione di una mozione finale, con le linee di sviluppo del prossimo quinquennio.

Mozione approvata all’unanimità dalla III Assemblea ordinaria dei Soci riunita a Parma il 22 settembre 2018

www.c3dem.it/wp-content/uploads/2018/10/Mozione-indirizzo-03-DEF.pdf

Franco Ferrari (presidente) ha dato molto rilievo alla Lettera al popolo di Dio che papa Francesco aveva scritto appena un mese prima dell’assemblea, il 20 agosto 2018, nel pieno della nuova ondata di attenzione dell’opinione pubblica alla grave questione degli abusi sessuali nella chiesa.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20180820_lettera-popolo-didio.html

Aveva colpito, in quella lettera, la forte critica al clericalismo e il deciso appello a tutto il popolo di Dio, a tutti i cristiani, a farsi carico dei problemi in cui la chiesa era immersa: “la dimensione e la grandezza degli avvenimenti esige di farsi carico di questo fatto in maniera globale e comunitaria”, aveva scritto Francesco. Il papa partiva certamente dalla assoluta gravità di quei fatti, ma sembrava cogliere l’occasione di questo difficile momento della vita della chiesa per avanzare un’istanza più generale: “è necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno”, perché “è impossibile immaginare una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del popolo di Dio”; e quando così non si è fatto – aveva aggiunto – “abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita”. E tutto ciò, spiegava Francesco, era avvenuto, e avviene tutt’oggi, per quel “modo anomalo di intendere l’autorità nella chiesa” che è il clericalismo, cioè il non riconoscimento della personalità dei cristiani, della grazia battesimale che è in loro.

Per i Viandanti, che nella mancata valorizzazione dei laici hanno visto una delle radici profonde del loro disagio e la ragione prima del loro impegno, queste parole di papa Francesco hanno trovato un consenso molto alto. Così Ferrari ha dato alla sua relazione il senso di uno sforzo teso a corrispondere direttamente all’invito venuto dal papa. Ha presentato i Viandanti come una “periferia della chiesa”. Periferia, perché la Rete è una piccola realtà che opera senza alcun mandato o riconoscimento della gerarchia, un universo un po’ bordeline – ha detto – che opera più sul sagrato che in sagrestia (ma così facendo – ha aggiunto – le persone si garantiscono una libertà di azione e vivono appieno la propria responsabilità di laici adulti). Periferia, perché questo sono, in realtà, oggi i laici all’interno della Chiesa. Poi Ferrari ha parlato del futuro della Chiesa, così come lo vedono i Viandanti. Aderendo al punto di vista di papa Francesco che ha parlato di un cambiamento d’epoca nella vita della Chiesa, egli ha posto alcune questioni: l’esigenza di operare una reinterpretazione della dottrina e della Tradizione, secondo la stessa logica che ha portato il papa ad avviare una conversione della pastorale; l’esigenza di affrontare il rinnovamento del linguaggio della fede (le parole e i concetti) perché si renda di nuovo possibile la trasmissione della fede alle giovani generazioni; la necessità di rivedere la figura del sacerdote, i criteri della selezione con cui viene ammesso, i modi della formazione, il regime del celibato, l’opportunità di valorizzare i “viri probati”, il ripensamento dei ministeri in particolare femminili.

Raccogliendo una provocazione di Francesco contenuta in un suo discorso ai vescovi responsabili del Celam, a Rio de Janeiro nel luglio 2013 (“nella maggioranza dei casi, si tratta di una complicità peccatrice: il parroco clericalizza e il laico gli chiede per favore che lo clericalizzi perché in fondo gli risulta più comodo”), Ferrari ha dedicato uno spazio significativo del la sua relazione a come “combattere il clericalismo in noi”, e non solo nell’istituzione. Dobbiamo imparare a non rinunciare ad esprimerci, ha detto; dobbiamo imparare a trattare questioni di carattere generale in modo pubblico e non accettare sempre di affrontarle solo in via riservata. Infine, ha provato a dire come si possa acquisire una cultura e una mentalità autenticamente sinodali. Ha detto che bisognerebbe che i luoghi e gli strumenti di partecipazione (consigli pastorali diocesani e parrocchiali in primis) fossero rafforzati in sede di codice di diritto canonico, ma che comunque è necessario coscientizzare i laici perché essi per primi diano valore alla libertà di parola e promuovano con coraggio spazi e forme di dibattito, magari sul sagrato se dentro le mura ecclesiali non è possibile.

Delle diverse voci venute dai gruppi non è possibile dare conto qui. Un ruolo importante, nell’assemblea, l’ha svolto prof. Fulvio De Giorgi [università di Parma], nella sua relazione sul futuro della chiesa, con le sue tesi ispirate a un “ottimismo tragico”, come l’ha chiamato lui stesso. Riprendendo, anche lui, la considerazione di papa Francesco che siamo di fronte a un cambiamento d’epoca, più che non a un’epoca di cambiamenti, tanto per la società quanto per la Chiesa, ha individuato alcuni crinali decisivi di tale cambiamento: a livello antropologico, per la messa fuori gioco definitiva di due elementi che sono stati per millenni dei capisaldi antropologici, come la sacralizzazione della sessualità procreativa e il potere dei maschi sulle femmine; a livello cognitivo, per la perdita di comprensibilità di concetti come dogma ed eresia; a livello socio-ecclesiale, per la insostenibilità del modello tridentino, incentrato sulla netta separazione tra clero e laicato e il conseguente formarsi di caste e del tanto vituperato, oggi da Francesco, clericalismo (per superare realmente il quale – secondo De Giorgi – non basterebbe forse un concilio).

Cambiamento anche a livello pastorale: per De Giorgi la chiesa ha assunto da oltre due secoli un modello pastorale fondato su una sorta di totalitarismo, su un’idea di cristianità, che tra ‘700 e ‘800 si è giustificata per la paura della chiesa di essere vittima di un complotto da parte vuoi dei massoni, vuoi degli ebrei, dei socialisti o dei liberali; e che nel ‘900 è stata sostenuta per far fronte al totalitarismo fascista e a quello comunista, come pure al materialismo teorico. E l’evento conciliare, se ha recuperato l’attenzione critica al materialismo pratico più che non a quello teorico (cioè agli aspetti concreti del vivere, al di là del dirsi cattolico senza che poi si viva il vangelo), non è riuscito a superare fino in fondo l’atteggiamento insito nell’idea di cristianità, e questo perché era ancora sulla breccia il comunismo. In seguito, con il crollo del comunismo alla fine degli anni ’80, e con il trionfo della globalizzazione neoliberale e del materialismo pratico, la chiesa – secondo De Giorgi – si mostra incapace di comprendere il cambiamento in corso (al di là dell’ultimo Montini della Evangelii nuntiandi 8 dicembre 1975) e di nuovo ritiene di dover mettere in campo un accentramento totalizzante, un rafforzamento del potere del clero, una contrapposizione dottrinale e culturale (il progetto culturale della chiesa italiana, i valori non negoziabili).

http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_exhortations/documents/hf_p-vi_exh_19751208_evangelii-nuntiandi.html

Una visione sbagliata, dice De Giorgi, che interpreta la globalizzazione neo-liberale come una ideologia mentre si tratta di individualismo, di una nuova forma di scetticismo, di un materialismo dei comportamenti più che delle idee. Una visione e una reazione sbagliate che hanno avuto effetti devastanti, perché intere generazioni si sono allontanate dalla chiesa. De Giorgi ritiene che Ratzinger abbia tentato di dare una risposta diversa, più moderna (nello spirito di Newman e di Rosmini, che egli ha beatificato) al neo-scetticismo, ma senza riuscirci. Ed ora è Francesco che, da questo punto di vista, si pone in continuità con Ratzinger, perseguendo l’intenzione di riformare la chiesa attraverso l’uscita missionaria. Dicendo che non contano le radici ma i frutti. E che i frutti sono l’amore verso tutti e il servizio ai poveri.

De Giorgi ha indicato, per tutti noi, tre prospettive a cui guardare e per le quali agire.

  1. Orientarsi, con san Paolo della Lettera agli Efesini, alla “veritas in caritate”, cioè alla pastorale della misericordia, al cercare di entrare nelle dinamiche esistenziali e di senso delle persone e all’interno di esse cercare di far brillare il vangelo; è il primato kerigmatico su cui è orientato papa Francesco, un annuncio non dottrinale dell’evangelo.

  2. Orientarsi alla promozione umana, alla opposizione al neoliberismo che è tuttora egemone, secondo il percorso della Laudato si’.

  3. Orientarsi ad una ecclesia semper reformanda, cioè disporsi a un permanente esame di coscienza, alla critica al clericalismo, a vitalizzare la ministerialità della chiesa, ad una visione escatologica per la quale è il Regno di Dio a giudicare la chiesa stessa.

Ma perché De Giorgi ha parlato, in ultima analisi, di un suo (mouneriano) ottimismo tragico nel guardare al futuro della chiesa? Perché egli ritiene che è assai probabile, quasi certa, una sorta di crollo della chiesa, di una sua esplosione (possibile già in questo o nel prossimo pontificato, ha detto); paragonabile a quella dell’Unione sovietica di alcuni decenni fa. Un crollo dovuto al rifiuto radicale, da parte della cultura moderna, di quanto (e non è poco) di totalitarismo resta ancora nella chiesa cattolica, e che il Vaticano II non è bastato a dissolvere. E però, come già Dossetti aveva sostenuto (lui che la crisi del modello totalizzante della chiesa aveva evidenziato fin dagli anni ’40) – e De Giorgi lo ha ricordato – non è affatto scritto nella Parola di Dio che la chiesa sia come un impero destinato ad allargarsi sempre di più. E, anzi, la kenosis [svuotamento] ecclesiale, una sorta di svuotamento di sé, può essere in realtà l’annuncio, nella storia del XXI secolo, del Signore Gesù.

Fin qui Fulvio De Giorgi. I Viandanti, come tanti altri cristiani, nelle parrocchie e fuori, proseguono a interrogarsi su come affrontare le sfide del tempo presente.

Giampiero Forcesi 5 ottobre 2018

www.c3dem.it/il-futuro-della-chiesa-lassemblea-dei-viandanti

 

Pedofilia del clero in Italia

Quello che i vescovi italiani non hanno fatto fino ad ora: non hanno voluto riconoscere la gravità della situazione anche nel nostro paese ed hanno continuato a prendere tempo, usando in troppe occasioni solo belle parole. Nel 2002 la CEI definiva il fenomeno “talmente minoritario da non meritare un’attenzione specifica”. Poi si parlò anche di “complotto laicista”! Da allora ogni decisione è stata presa al traino degli input del Vaticano, a partire dalle “Linee Guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici” del gennaio 2012

www.toscanaoggi.it/Documenti/Chiesa-italiana/Cei-linee-guida-per-i-casi-di-abusi-sessuali

(Mons. Charles J. Scicluna, uomo di fiducia del papa sul problema della pedofilia, dal 2010 in poi è intervenuto più volte dicendo “Vedo ancora troppo diffusa nella chiesa italiana la cultura del silenzio”).

Tutto ciò ha portato alla logica de “il problema non è grave come altrove” e, comunque, “il vescovo è il supremo responsabile in ogni diocesi” scaricando così la questione o sul Vaticano o sul singolo vescovo. Tra le campagne organizzate dalla CEI in questi anni su tante questioni (unioni civili, testamento biologico, legge 40 ecc…) è mancata quella nei confronti dei preti pedofili; è sempre passata la linea di un facile giustificazionismo intrecciato con la logica, non evangelica, della difesa dell’istituzione.

  • Non hanno organizzato un monitoraggio continuativo e sistematico della situazione, caso unico in tutta Europa. A domanda Mons. Galantino ha candidamente confessato che la CEI non ha dati generali e ha invitato a documentarsi dalla stampa d’informazione.

  • Non hanno mai pensato ad alcun intervento a favore delle vittime. Ad esse tutti i testi della CEI dedicano solo poche generiche parole. A scanso di possibili rischi (per timore della magistratura) il comma 2 del punto 6 delle citate Linee Guida recita “Nessuna responsabilità diretta od indiretta per gli eventuali abusi sussiste in capo alla S. Sede o alla CEI”. Ci si riferisce con tutta evidenza a possibili rivendicazioni di tipo patrimoniale (Altrove la situazione è ben diversa sotto molti aspetti. Per esempio, proprio in questi giorni la Conferenza episcopale svizzera ha stanziato 800.000 franchi a favore delle vittime di abusi prescritti). Neanche lontanamente si è pensato ad interventi di tipo economico e neppure ad aiuti, nelle forme opportune, di tipo psicologico o di assistenza spirituale a favore di soggetti che hanno subito danni gravi le cui conseguenze, in genere, durano per decenni.

  • Non si rendono conto che le Linee Guida da loro approvate nel 2012 (e corrette nel 2014 dopo le osservazioni critiche del Vaticano)

  • www.chiesacattolica.it/documenti-segreteria/linee-guida-per-i-casi-di-abuso-sessuale-nei-confronti-dei-minori-da-parte-di-chierici

Sostanzialmente difendono solo la loro casta clericale perché: non prevedono l’istituzione di strutture di accoglienza e di ascolto delle vittime che interagiscano col vescovo e con la magistratura. L’hanno fatto solo la diocesi di Bolzano nel 2010 e, in questi giorni, i vescovi dell’Emilia Romagna; (Essi istituiranno in ognuna delle quindici diocesi una équipe, composta prevalentemente da professionisti laici, appositamente formati, che si occuperà della prevenzione degli abusi e dell’educazione necessaria ad arginare una piaga che mina la credibilità delle istituzioni ecclesiali. Queste équipe raccoglieranno anche denunce su casi sospetti di pedofilia perpetrati da preti, religiosi e laici impegnati nella pastorale) non prevedono alcun intervento per controllare (od aiutare se del caso) il comportamento dei 226 vescovi; si appellano a discutibili norme di tutela (codice di procedura penale, Concordato del 1984 e diritto canonico) (Il comma 4 dell’art. 4 del Concordato del 1984 riprende integralmente il testo dell’art. 7 del Concordato del 1929, che dice: «gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero.» In questo modo si garantisce la completa separazione ed indipendenza dell’ordinamento canonico.) per blindare qualsiasi intervento esterno per ottenere dai vescovi e dagli uffici dei vescovi informazioni o documenti (negli altri paesi la situazione è ben diversa); ricordano che il vescovo non ha l’obbligo giuridico di denuncia alla magistratura del prete pedofilo “salvo il dovere morale di contribuire al bene comune” (Questa frase, insignificante da una parte e “furba” dall’altra, fu aggiunta dalla CEI alle Linee Guida nel marzo 2014 a seguito delle osservazioni critiche su questo punto espresse dal Vaticano che però chiedevano ben altro).

Una tale espressione appare risibile in sé per la sua genericità e per la sua inconsistenza ma soprattutto se confrontata col generale disinteresse per gli interessi generali della collettività (e per le vittime) dimostrato fino ad ora dalla scelta di dare sempre priorità alla copertura del prete pedofilo praticata in modo generalizzato dai vescovi italiani (In una famosa intervista al “Giornale” dell’1-4-2010 il p.m. di Milano Pietro Forno, competente sui reati sessuali, ha detto: «Nei tanti anni in cui ho trattato l’argomento non mi è mai arrivata una sola denuncia, né da parte dei vescovi né da parte dei singoli preti e questo è un po’ strano». Forno aveva spiegato che «la lista dei sacerdoti inquisiti per reati sessuali non è corta», ma in nessun caso la denuncia è partita dall’ambiente ecclesiastico, bensì dai familiari delle vittime «dopo che si sono rivolti all’autorità religiosa e questa non ha fatto assolutamente niente». Una tale affermazione, mai contraddetta, è una vera e propria condanna senza appello della struttura ecclesiastica.). L’assenza dell’obbligo giuridico dovrebbe essere sostituito da una, non ambigua, decisione dell’assemblea della CEI che obblighi i vescovi alla denuncia alla magistratura. Non hanno mai preso in considerazione la necessità “dell’esercizio penitenziale della preghiera e del digiuno” come ha chiesto papa Francesco per espiare come “santo Popolo di Dio” il peccato di alcuni dei suoi membri in modo comunitario. In altri paesi ciò è stato già fatto in molte sedi ed occasioni (Tra quanto a nostra conoscenza: la Giornata di digiuno e preghiera dei vescovi francesi il 7 novembre 2016 a Lourdes, un triduo simile dei vescovi del Sud Africa nel dicembre 2016 e, particolarmente toccante, la funzione penitenziale dei vescovi svizzeri a Sion, sempre nel dicembre dello stesso anno.).

Quello che i vescovi potrebbero fare subito, entro tre mesi: di fronte al riemergere ed all’aggravarsi del problema e dopo la “Lettera” del papa del 20 agosto 2018, dopo le informazioni dalla Pennsylvania, dalla Germania, dall’Olanda (e altre sono preannunciate) i vescovi dovrebbero condividere quello che ha suggerito il Padre Hans Zollner S.J. (responsabile del “Centro per la protezione dei minori” dell’Università Gregoriana) nell’intervista al “Corriere della Sera” del 22 agosto: “la Chiesa italiana capisca che rischiare una brutta figura adesso è meglio che farla tra qualche anno ed essere travolti dagli scandali” (Zollner continua “Mi preme di dire che l’Italia non ha ancora vissuto un momento di verità riguardo l’abuso sessuale e lo sfruttamento del potere per quanto riguarda il passato” e ancora “Mi auguro che le ultime settimane , con tante notizie sconvolgenti, abbiano aperto gli occhi e il cuore anche alla Chiesa italiana e a i suoi responsabili per impegnarsi senza esitazione e in modo consistente in questa chiamata del Signore a tutto il Popolo di Dio”.).

Di conseguenza riteniamo doveroso che la CEI (a partire dal suo Consiglio Episcopale Permanente che si riunisce settimana prossima) faccia scelte operative sulla base dei punti sopraesposti in modo che gli interventi concreti (monitoraggio, atti penitenziali, referenti per le vittime, riscrittura completa della Linee Guida ecc.) possano essere tutti realizzati o in fase di realizzazione entro un anno.

All’avvio della sua presidenza della CEI il Card. Bassetti usò espressioni nuove, parlò di una Chiesa “un po’ pigra”, dalla “mentalità clericale”, “di laici cattolici che hanno molto da dire e da offrire al paese”. Le sue buone intenzioni sono state già neutralizzate od assorbite?

Cosa si fa nel mondo I vescovi dovrebbero conoscere tutti i tentativi, in genere meritori, che tanti episcopati hanno organizzato negli ultimi anni sul problema della pedofilia. Non c’è da vergognarsi nel fare tesoro delle esperienze altrui in situazioni simili o identiche perché –ce ne accorgiamo ora- è stato generalizzato nella struttura ecclesiastica nel mondo il sistema della copertura della pedofilia del clero (quasi una procedura standard, un atto dovuto).

Esiste poi il già citato “Centre for Child Protection” dell’Università Gregoriana, è quanto di meglio si possa trovare, ha già fatto incontri di riflessione e proposte al massimo livello italiano e internazionale. Bisogna poi sapere che le vittime sono riuscite ad organizzarsi. Da anni, a partire dagli USA, esiste il Survivor’s Network of Abused by Priests (SNAP). Si è costituito l’anno scorso in giugno l’Ending Clergy Abuse (ECA), coordinamento mondiale delle vittime, che ha concluso un incontro a Berlino questo 16 settembre e che interloquisce con l’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani, che, a sua volta, ha aperto un’inchiesta sulla situazione italiana che sarà resa pubblica in gennaio.

In Italia il sito www.reteabuso.org ha una forte caratterizzazione antagonistica; la sua documentazione e le sue denunce non possono però essere ignorate od archiviate sulla base del fatto che esso è fortemente anticlericale. [In Italia si presume che i sacerdoti abusatori siano tra i 175 e i 200].

Basta un gruppo di lavoro che non si occupa del problema principale ed urgente? I vescovi non dovrebbero considerare in alcun modo soddisfatto il loro impegno sulla questione della pedofilia del clero con una ovvia e generica adesione alla “Lettera” del papa di agosto e con quanto sta facendo il Gruppo di lavoro istituito nel settembre 2017 dal Consiglio Episcopale Permanente della CEI e presieduto dal vescovo di Ravenna Mons. Lorenzo Ghizzoni. Esso, per i pochi nomi conosciuti (Tra chi partecipa al gruppo di lavoro l’unico nome di donna segnalatoci è quello di Anna Deodato. Da quello che sappiamo, sarà importante il suo contributo per il suo approfondimento del problema delle violenze nei confronti delle donne, soprattutto di quelle consacrate), è costituito da membri degli uffici centrali della CEI e da esperti non indicati; non si ha notizie della presenza di vittime degli abusi (Galantino aveva assicurato che ci sarebbero state).

Il gruppo di lavoro deve occuparsi solo di formazione e di prevenzione, fornendo supporto alle diocesi. Ghizzoni (Avvenire del 23 agosto 2018) ha parlato di una bozza di documento già elaborata da sottoporre poi a diverse fasi di discussione e di deliberazione (Se testi devono essere scritti, dopo aver rifatto le Linee Guida in vigore, suggeriamo un testo vincolante in cui ci si occupi solo delle vittime e in cui si preveda che esse siano riconosciute, ascoltate, difese, assistite e anche indennizzate (per quanto ciò possa servire). Roma, 21 settembre 2018). A prescindere dal modo di procedere (tutto interno, quasi clandestino) l’impegno nella formazione è di lungo periodo, va fatto ovviamente ma presuppone, per essere credibile, una precedente radicale scelta di pulizia e di purificazione che riguardi il passato e che allontani il sospetto che questo Gruppo di lavoro sia soprattutto un modo informale per prendere tempo, per darsi una qualche immagine (anche presso il Vaticano) senza mettere come si usa dire i piedi nel piatto. Non si pensi e non si dica che la CEI fa il suo dovere perché esiste questo nebuloso gruppo di lavoro!

La prima formazione da fare, il primo vero ed efficace messaggio per seminaristi, educatori, preti e vescovi è quello di scoperchiare il mondo clericale di cui ha parlato il papa con azioni concrete riconoscendo che il problema, dopo quello degli abusi concreti da parte dei preti, è costituito dall’ignavia e dal silenzio dei vescovi. La presenza femminile Infine, la questione dei preti pedofili non può essere posta come tutta interna a uomini maschi ed adulti, siano essi quelli che costituiscono il problema siano, invece, quelli che lo vogliono affrontare correttamente. I soggetti deboli, anche per la minore età, sottoposti, non solo agli abusi sessuali ma anche a quelli “di potere e di coscienza” di cui ha parlato il papa dovrebbero incontrare il volto femminile della Chiesa. In ogni forma di intervento tra quelle ipotizzate ci sia una presenza femminile, almeno paritetica con quella maschile, selezionata non in modo clericale ma in base alla capacità di affrontare queste questioni con la sapienza del cuore, come diceva papa Giovanni, e senza le preoccupazioni di tutelare il sistema ecclesiastico. Sentendoci, nel nostro piccolo, espressione di quel Popolo di Dio a cui si è rivolto papa Francesco invitando a farsi carico della grave questione perché “se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme (I Cor. 12,26)” pensiamo che le nostre considerazioni e proposte debbano fare parte degli orientamenti che la nostra Chiesa dovrebbe assumere senza indugi.

Noi Siamo Chiesa 21 settembre 2018

www.noisiamochiesa.org/?p=7003

www.noisiamochiesa.org/?paged=2

Tutela minori. Ai membri del Consiglio Permanente è stato offerto un aggiornamento circa i lavori della Commissione per la tutela dei minori, costituita in seno alla CEI quale espressione della volontà di negare cittadinanza nella Chiesa a ogni forma di abuso. Con Papa Francesco – al quale esprimono vicinanza e solidarietà – i Vescovi sanno quanto la corruzione morale che coinvolge sacerdoti sia motivo di grave scandalo; nel contempo, hanno espresso stima e riconoscenza per la gratuità con cui tanti preti spendono la loro vita nel servizio al popolo di Dio. Composta da esperti a vario titolo, la Commissione si è incontrata più volte nel corso dell’anno, confrontandosi anche con la corrispondente Commissione Pontificia. Il lavoro – condotto per aree (ambito della prevenzione e formazione, ambito giuridico-canonico e ambito comunicativo) – mira all’elaborazione di proposte, iniziative e strumenti da offrire alle Diocesi. Una comunicazione al riguardo è all’ordine del giorno della prossima Assemblea Generale straordinaria. (12-15 novembre 2018).

Estratto dal comunicato stampa del Comitato Episcopale permanente del 27 settembre 2018

https://www.chiesacattolica.it/verso-lassemblea-di-novembre-2

NotamForum n. 7 20 ottobre 2018

pag. 5www.notam.it/notam/wp-content/uploads/2018/10/7-N-FORUM-eb.pdf

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Incontro con l’Autorità Centrale del Burundi

La Commissione per le Adozioni Internazionali, rappresentata dalla Vice Presidente, dott.ssa Laura Laera, ha incontrato nella giornata del 18 ottobre 2018, presso la Sala del Consiglio dell’Istituto degli Innocenti in Firenze, Mr. Ignace Ntawembarira, referente dell’Autorità Centrale del Burundi, in visita in Italia per partecipare al Convegno “L’accoglienza di bambini in stato di abbandono nel mondo: strumenti giuridici a confronto”.

L’incontro, che si è svolto in un clima di viva cordialità, ha consentito di chiarire alcuni aspetti delle procedure adottive e programmare gli interventi necessari per migliorare la collaborazione instaurata a partire dall’attuazione dell’Accordo Bilaterale stipulato tra i due Paesi.

La seconda parte dell’incontro si è svolta alla presenza degli Enti autorizzati per il Paese con cui si sono analizzate le prospettive di operatività in Burundi.

Comunicato stampa 19 ottobre 2018

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2018/incontro-con-l%E2%80%99autorita-centrale-del-burundi.aspx

 

Il Garante dei minori. «Tutti i bambini hanno pari diritti»

«Le famiglie accoglienti sono un’enorme risorsa, ma questa accoglienza va sostenuta attraverso interventi strutturati da parte dello Stato. Risultati positivi anche per i minori non accompagnati»

Pensa positivo, il Garante dell’infanzia Filomena Albano, che al convegno di Firenze dedicato a “I minori in stato di abbandono nel mondo: strumenti giuridici a confronto” ha voluto presenziare per dare il segno forte della presenza dell’Authority accanto alle famiglie italiane «disposte ad accogliere e far diventare figlio – spiega – un bimbo che non lo era». Come se ci fosse bisogno di sottolinearla, adesso più che mai, la forza di quell’Italia che quotidianamente apre braccia e porte.

Alla fine nei giorni scorsi è dovuta intervenire anche lei sul caso di Lodi e delle mense “vietate” ai bimbi stranieri…

L’ho fatto ribadendo la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo su cui si fonda tutto l’operato dell’autorità che presiedo. E quella Convenzione parla chiaro: tutti i bambini presenti in un Paese hanno pari diritti e pari opportunità. Questo vale anche per l’Italia, che la Convenzione ha ratificato.

Cosa l’ha colpita di più della vicenda?

Il suo epilogo positivo. Il fatto che ci sia stata una mobilitazione straordinaria delle persone semplici, che abbia trionfato la solidarietà. E però, voglio dire anche questo, l’accoglienza ha bisogno d’essere strutturata in un Paese civile. Servono risposte complesse, di sistema e istituzionali, che vanno messe in rete e devono creare reti. Questo vale anche per le adozioni e su questo sono impegnata come Garante.

A cosa si riferisce in particolare?

A quel che accade dopo la trafila burocratica dell’adozione, parte che evidentemente compete alla Commissione adozioni internazionali. Penso alla scuola per esempio, dove ancora troppo poco si fa per garantire una reale inclusione dei bimbi adottati: questi piccoli vengono quasi sempre inseriti “all’istante”, nel momento dell’anno in cui arrivano nel nostro Paese, e in classi che non corrispondono alla loro età anagrafica. E poi penso alla formazione delle famiglie, che devono sempre più aprirsi a bambini non più piccolissimi, e a bambini anche con bisogni speciali: questo è possibile attraverso un sostegno e appunto progetti di formazione capillare. Si tratta di famiglie accoglienti, sono un’enorme risorsa, ma questa accoglienza va sostenuta attraverso interventi strutturati da parte dello Stato.

Oggi lei si trova a Firenze anche per l’appuntamento con la scuola di formazione dei tutor toscani dei minori stranieri non accompagnati. Anche in questo caso il Paese ha dato una risposta di accoglienza straordinaria.

È così. Le oltre 4mila richieste avanzate si stanno trasformando in rapporti di tutorship a tutti gli effetti, grazie agli abbinamenti stabiliti dai giudici. Poco fa, incontrando la presidente del tribunale dei minori dell’Aquila, ho scoperto che lì hanno esaurito tutte le candidature: significa che chi si era fatto avanti e si è anche formato per quel ruolo ora aiuta concretamente un minore solo. Ma la stessa attenzione ai diritti dei bambini la stiamo registrando sul fronte dell’affido. Cioè? Abbiamo avuto un record di richieste da parte di atenei, associazioni, enti pubblici e privati, consultori per la nostra Carta sui diritti dei figli nella separazione, presentata appena qualche giorno fa. Sono talmente tante che fatichiamo ad evaderle.

Viviana Daloiso Avvenire 20 ottobre 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/tutti-i-bambini-hanno-pari-diritti

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CONSULTORI FAMILIARI ISPIRAZIONE CRISTIANA

Cerea. Tra il già e il non ancora. Adolescenti e paura di crescere

La paura di crescere non e` un sentimento passeggero ma uno stile di vita stabile e organizzato grazie al quale si preferisce, anche senza saperlo, attardarsi nell’adolescenza e rinviare il diventare adulti. All’idea di individuarsi, nasce la paura di non essere in grado di affrontare una nuova vita, di sbagliare strada, di fallire senza via di uscita e all’idea di separarsi si associa la paura di perdere, nella separazione, la vicinanza delle persone care, di non sentirsi sicuri di essere amati come prima, di non essere capiti.

La sindrome di Peter Pan (così l’ha chiamata, negli anni ottanta, lo psicologo americano Dan De Kiley) colpisce chi, come lui, finisce per rimanere imprigionato nell’abisso dell’uomo che non vuole diventare e del ragazzo che non può continuare ad essere, chi ha provato a rifiutare le regole del mondo adulto e si è ritrovato sconfitto.

10 novembre 2018 presso il consultorio “La Bussola” – Cerea (VR)

Relatore: Enrico Parolari – Psicologo e Psicoterapeuta Centro Accompagnamento Vocazionale Milano

http://consultoriolabussola.it/convegni/67-giaancora.html

 

Cerignola. Inaugurazione del consultorio familiare Zelia e Luigi Martin

Domenica 28 Ottobre 2018, festa diocesana della Famiglia, alle ore 16.30 il Vescovo Luigi Renna e l’Ufficio diocesano di Pastorale Familiare inaugurano il Consultorio Diocesano intitolato a Zelia e Luigi Martin, i Santi genitori di Santa Teresina del Bambino Gesù.

 

Fabriano. Riparte il Consultorio Diocesano Familiare

Inaugurazione e presentazione del progetto per l’anno pastorale 2018/19 per il consultorio diocesano, sabato 3 novembre, alle ore 18.30, presso i locali del consultorio in Via Gioberti 15, a Fabriano.

Per ora il Consultorio si è orientato a 2 proposte:

  1. La possibilità di aprire – e condurre come facilitatori – gruppi di ascolto (o mutuo-aiuto).

  2. 2. Offrire incontri formativi, in collaborazione con consulenti e psicoterapeuti, provenienti dai vari consultori (Roma, Jesi, Senigallia) appartenenti all’UCIPEM/AICeFF.

La proposta formativa si articolerà in 6 incontri, rivolti a 3 fasce d’età differente, con tematiche specifiche e mirate per i compiti evolutivi che il singolo e la coppia si trovano ad affrontare: adolescenti, fidanzati e giovani sposi, famiglie e genitori.

Novembre-dicembre: Inaugurazione & coppie (fidanzati e giovani sposi)

  • 3 novembre, ore 18.30: inaugurazione

  • 16 novembre, 21.15: Siamo tutti diversi! Diversità ed unicità della persona

  • 14 dicembre 21.15: Io-Tu-Noi-Loro… La Famiglia nelle sue varie e complesse relazioni

Gennaio-febbraio: Ci rivolgiamo alle famiglie con figli o alle coppie più adulte

  • 12 gennaio, 21.15: Chiamati ad essere sposi

  • 08 febbraio, 21.15: Chiamati ad essere padre e madre

Marzo-maggio: adolescenti

  • 5 marzo, 17-20: Come mi conosco? Alla scoperta di sé

  • 03 maggio, 17-20: Leggermi dentro! Imparare a discernere emozioni, sentimenti, passioni

http://fabriano-matelica.it/blog/2018/10/19/riparte-il-consultorio-diocesano-familiare

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Belluno. Un corso sull’affettività e le tematiche della relazione di coppia

Prenderà avvio lunedì 29 ottobre il corso “Crescere insieme 2018” proposto dal Consultorio Familiare Ucipem di Belluno. Il ciclo di incontri è rivolto alle coppie, sposate, conviventi, di fidanzati e a tutti coloro che vogliono approfondire le tematiche riguardanti la relazione di coppia.

 

video con intervista a Rosarisa Sartorel e Gregorio Pezzato

www.telebelluno.it/wp/al-via-a-belluno-un-corso-sullaffettivita-e-le-tematiche-della-relazione-di-coppia

Padova. 4 iniziative per il 2019

Il Consultorio sta organizzando alcune iniziative con le seguenti tematiche

  1. Vita di coppia (incontri per coppie con progetto di vita a due)

  2. Nascita e oltre (incontri per neo-genitori)

  3. Ho un adolescente in casa e…(incontri per genitori di adolescenti)

  4. Improvvisamente soli (incontri per separati)

http://ucipempd.simply-webspace.it/index.php/iniziative-formative.html

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DALLA NAVATA

XXIX Domenica del Tempo ordinario- Anno B – 21 ottobre 2018

Isaìa 53, 11. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità.

Salmo 32, 04. Retta è la parola del Signore e fedele ogni sua opera. Egli ama la giustizia e il diritto; dell’amore del Signore è piena la terra.

Ebrei04, 14. Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede.

Marco 10, 43.«Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti»

 

Nella gerarchia di Dio chi ama occupa il posto più alto.

Giovanni, il discepolo preferito, il migliore, il fine teologo, si mette di fronte a Gesù e gli chiede, con il fare proprio di un bambino: «Voglio che tu mi dia quello che chiedo. A me e a mio fratello». Eppure Gesù lo ascolta e rilancia con una bellissima domanda: «Cosa vuoi che io faccia per voi?». «Vogliamo i primi posti!» Dopo tre anni di strade, di malati guariti, di uomini e donne sfamati, dopo tre annunci della morte in croce, è come se non avessero ancora capito niente. Ed ecco ancora una volta tutta la pedagogia di Gesù, paziente e luminosa. Invece di arrabbiarsi o di scoraggiarsi, il Maestro riprende ad argomentare, a spiegare il suo sogno di un mondo nuovo.

Non sapete quello che chiedete! Non capite quali corde oscure andate a toccare con questa domanda, quale povero cuore, quale povero mondo nasce da queste fame di potere. E la dimostrazione arriva immediatamente: gli altri dieci apostoli hanno sentito e si indignano, si ribellano, unanimi nella gelosia, accomunati dalla stessa competizione per essere i primi.

Adesso non solo i due figli di Zebedeo (i boanerghes, i figli del tuono, irruenti e autoritari come indica il loro soprannome), ma tutti e dodici vengono chiamati di nuovo da Gesù chiamati vicino.

E spalanca loro l’alternativa cristiana: tra voi non sia così. I grandi della terra dominano sugli altri, si impongono… Tra voi non così! Credono di governare con la forza… tra voi non è così!

Gesù prende le radici del potere e le capovolge al sole e all’aria: Chi vuole diventare grande tra voi sia il servitore di tutti. Servizio, il nome difficile dell’amore grande. Ma che è anche il nome nuovo, il nome segreto della civiltà. Anzi, è il nome di Dio. Come assicura Gesù: Non sono venuto per procurarmi dei servi, ma per essere io il servo. La più sorprendente, la più rivoluzionaria di tutte le autodefinizioni di Gesù. Parole che danno una vertigine: Dio mio servitore! Vanno a pezzi le vecchie idee su Dio e sull’uomo: Dio non è il padrone e signore dell’universo al cui trono inginocchiarsi tremando, ma è Lui che si inginocchia ai piedi di ogni suo figlio, si cinge un asciugamano e lava i piedi, e fascia le ferite.

Se Dio è nostro servitore, chi sarà nostro padrone? L’unico modo perché non ci siano più padroni è essere tutti a servizio di tutti. E questo non come riserva di viltà, ma come moltiplicazione di coraggio. Gesù infatti non convoca uomini e donne incompiuti e sbiaditi, ma pienamente fioriti, regali, nobili, fieri, liberi. Belli della bellezza di un Dio con le mani impigliate nel folto della vita, custode che veglia, con combattiva tenerezza, su tutto ciò che fiorisce sotto il suo sole.

padre Ermes Ronchi OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=441667

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DANNO

Danno da nascita indesiderata: il dibattito italiano si divide tra common law e civil law

Le questioni inerenti alla protezione della salute del minore possono sorgere in tempi addirittura antecedenti la sua nascita. In questo senso, nell’estratto di oggi verrà trattato il tema sul dibattito sul riconoscimento del danno da nascita indesiderata.

Estratto dell’articolo, tratto da In Pratica Famiglia, 15 ottobre 2018

Elena Falletti, ricercatore confermato di diritto privato comparato

https://elenafalletti.wordpress.com

Il tema della protezione del feto ha dato origine a una discussione molto ampia in diritto comparato che a sua volta è stata importata in Italia. Ci si riferisce all’ammissibilità dell’azione giudiziaria in capo al nascituro, ovvero al bambino nato con malformazioni, relativa al risarcimento del c.d. “danno da nascita indesiderata”, conosciuta anche nel dibattito internazionale come “wrongful life”. In altri termini, si tratta della situazione concernente il minore gravemente disabile il quale agisce (attraverso un curatore ovvero i suoi genitori) nei confronti del medico curante della madre ovvero la struttura sanitaria che abbiano impedito la sua nascita. Il presupposto giuridico di siffatta azione giudiziaria riguarderebbe la circostanza che se i genitori avessero avuto informazioni appropriate in merito alla sua situazione sanitaria ovvero integrità fisica essi, in particolare la madre, avrebbero potuto essere messi nelle condizioni di abortire. L’omessa informazione può riguardare sia una malattia genetica preesistente, non diagnosticata in tempo per l’espletamento dell’aborto terapeutico, ovvero il danno provocato da errore medico.

La dottrina italiana si è divisa (…), come la giurisprudenza. Tuttavia, fino a poco tempo fa in giurisprudenza pareva prevalere il risarcimento del danno da nascita indesiderata insieme a quello patrimoniale (Cass., 27 novembre 2015, n. 24220). Secondo questo orientamento, in materia di attività medico-chirurgica, l’obbligo di informare la gestante degli esami diagnostici effettuabili preventivamente per conoscere patologie fetali, idonee ad orientare la scelta tra l’interruzione o la prosecuzione della gravidanza, assume autonomo rilievo, nel rapporto contrattuale, rispetto a quello relativo alla verifica degli esiti di esami già effettuati ed alla valutazione della necessità di approfondimenti, sicché la sua violazione implica una responsabilità contrattuale del professionista fondata sulla lesione di un diritto all’autodeterminazione a scelte non solo terapeutiche ma anche procreative, spettando al sanitario, a fronte della mera allegazione dell’inadempimento di siffatto obbligo di informazione, dare la prova di averlo, invece, adempiuto.

Ciò nonostante, certa dottrina ha sottolineato che il risarcimento di siffatto tipo di danno, legato al diritto di non nascere da parte del feto, è inconcepibile, siccome l’ordinamento giuridico italiano protegge, direttamente o indirettamente, il diritto di madre e bambino alla miglior tutela possibile della nascita. Ulteriormente, il riconoscimento del danno da nascita indesiderata si porrebbe in netto contrasto con il riconoscimento del principio di solidarietà previsto dall’art. 2 Cost., nonché del principio di indisponibilità del proprio corpo come stabilito dall’art. 5 c.c. Siffatto approccio è stato confermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui, benché sussista l’astratta titolarità attiva dell’individuo, quando pur l’illecito sia commesso prima della sua nascita, non è configurabile nel nostro ordinamento il diritto del nascituro a richiedere al medico il risarcimento del danno per la nascita malformata, poiché non sussiste un nesso eziologico tra la condotta omissiva del sanitario e le sofferenze psicofisiche cui il figlio è destinato nel corso della sua vita (Cass., SS. UU., 22 dicembre 2015, n. 25767).

www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=12072#.W8r0J_ZoRoA

Secondo tale importante decisione vanno tenuti in considerazione i seguenti principi giuridici:

  • Perché sussista il danno da nascita indesiderata occorre che l’interruzione della gravidanza sia stata all’epoca legalmente consentita (possibile accertamento delle rilevanti anomalie del nascituro e conseguente grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre) e che venga provata la volontà della donna di non portare a termine la gravidanza in presenza di tali specifiche condizioni facoltizzanti;

  • L’onere di provare tali elementi facoltizzanti e la volontà di interrompere, in loro evenienza, la gravidanza è posto a carico della madre ex art. 2697 c.c. (principio della vicinanza della prova), onere che può essere assolto dalla donna anche in via presuntiva, tramite la dimostrazione di altre circostanze dalle quali si possa ragionevolmente risalire, per via induttiva, all’esistenza del fatto psichico che si tratta di accertare (secondo il parametro del più probabile che non);

  • Il danno subito dalla gestante per omessa o errata informazione del medico in ordine allo stato di salute del feto è subordinato alla prova della rilevante anomalia del nascituro, dell’omessa informazione da parte del medico, del grave pericolo per la salute psicofisica della donna, della scelta di interrompere la gravidanza ove adeguatamente informata, del danno prodotto dal mancato esercizio della facoltà di interrompere la gravidanza. In particolare, la prova dell’esercizio di tale facoltà da parte della gestante ove esattamente informata, alla luce della natura psicologica del fatto da provare, può essere raggiunta mediante il ricorso alle presunzioni semplici.

Il dibattito italiano ha importato suggerimenti sia dai sistemi di common law[diritto consuetudinario] sia da quelli di civil law [diritto civile]. Infatti, la discussione è ancora aperta e il riconoscimento del danno pare seguire una demarcazione tra i sistemi di common law (dove prevale il riconoscimento del danno da nascita indesiderata) rispetto a quelli di civil law (dove tale riconoscimento è generalmente negato) (…)

Altalex 15 ottobre 2018

www.altalex.com/documents/biblioteca/2018/10/15/danno-da-nascita-indesiderata

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Affido: comitati e associazioni contro il Ddl Pillon

www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01071882.pdf

Dibattito sempre più acceso sul Ddl Pillon che punta a superare la legge 54 del 2006 sull’affido condiviso. www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm

Una norma che, dopo aver sancito il principio della pari dignità genitoriale, non avrebbe poi fornito gli strumenti per tradurre nella prassi i buoni propositi annunciati. Penalizzati soprattutto i padri separati sia per gli aspetti economici, sia per quelli educativi. In tanti sono stati costretti a versare assegni di mantenimento superiori alle proprie possibilità. A tanti è stato impedito di vedere i figli, per un combinato disposto dipendente sia dalla volontà delle mogli sia dall’inefficienza dei servizi e dei tribunali, nonostante la disponibilità da parte di questi padri a garantire una presenza attiva per accompagnare la crescita dei propri figli.

Condivisibile quindi il proposito di andare oltre la legge esistente con un provvedimento finalmente in grado di dare concretezza alla pari dignità educativa.

Pur ispirato a questa logica, il Ddl 735, primo firmatario il leghista Simone Pillon, avrebbe però carenze tali da rendere ancora più fragile il principio di bigenitorialità, farebbe confusione tra tempi “paritetici” e tempi “equipollenti”, sarebbe ispirato da una logica adultocentrica tale da mettere in secondo piano il “superiore interesse del minore”, indebolirebbe le madri, più fragili dal punto di vista economico, eliminando assegno di mantenimento e diritto a risiedere nella casa di famiglia con i figli. Oltre alle questioni controverse della mediazione familiare e dell’alienazione parentale.

Queste le accuse più frequenti rivolte al progetto di legge. A chiedere interventi di modifica associazioni familiari, giudici minorili, mediatori familiari, giuristi di vario orientamento culturale. Almeno tre i comitati “No Pillon” sorti per chiedere il ritiro del Ddl.

Il primo a Bologna, all’inizio di ottobre, dove nel corso di una manifestazione centinaia di persone, soprattutto donne, hanno sottolineato che il progetto «attacca i diritti civili fondamentali».

Il 5 ottobre poi, nel corso un’assemblea organizzata presso la Camera del lavoro di Milano, presenti i rappresentanti di decine di associazioni, è stato messo in luce che il disegno di legge «incide pesantemente sulla vita e sulle emozioni dei minori, mette a rischio le donne che vogliono uscire da relazioni violente, incrementa il conflitto e allunga i tempi di separazione dei coniugi». Durissimo il commento del giudice del Tribunale di Torino, Giulia Marzia Locati, di Magistratura democratica, secondo cui «la previsione automatica e obbligatoria di tempi di permanenza presso ciascun genitore, svela una concezione del minore quale bene materiale da dividere a metà degli adulti e non considera le esigenza di un bambino».

Sullo stesso tenore il comunicato diffuso dalla Rete nazionale dei centri antiviolenza (Dire). Mentre a Torino si è costituito un “Comitato per il ritiro della proposta di legge Pillon” che si incontrerà il prossimo 24 ottobre nell’Aula magna dell’Istituto Amedeo Avogadro. Una decina le associazioni pronte a dare battaglia tra cui Telefono rosa e Forum donne giuriste.

Considerazioni negative sulla proposta di riforma dell’affido condiviso sono poi arrivate la scorsa settimana da un convegno organizzato dal Forum delle associazioni familiari a cui hanno preso parte tra gli altri rappresentanti dei Giuristi cattolici, di Scienza&vita e dell’associazione Giovanni XXIII. Sabato prossimo, 20 ottobre, scenderanno in campo i mediatori familiari nel corso di un convegno organizzato a Roma, nell’Aula magna della facoltà valdese di Teologia, a cui è stato invitato lo stesso senatore Pillon. In realtà i mediatori familiari hanno già espresso più di una perplessità. Non piace la pretesa di imporre la mediazione come obbligo perché esisterebbe almeno un 20-30% di coppie ad alta conflittualità che gli stessi esperti considerano «non mediabili». Assoluta contrarietà anche per la proposta di estendere la qualifica di mediatori agli avvocati con almeno dieci cause di separazione in corso.

Anche sul fronte politico però il Ddl Pillon non sembra destinato ad avere vita facile. Assegnato alla Commissione giustizia del Senato in sede redigente, una via di mezzo tra sede referente e sede deliberante che permetterebbe al testo di arrivare blindato in Aula, avrebbe il sostegno soltanto della Lega, mentre M5S avrebbe in animo di presentare un proprio Ddl. Esisterebbe già – il Ddl 782 – e sarebbe già stato depositato ma non ancora pubblicato. Le critiche rivolte nei giorni scorsi alla proposta Pillon da parte del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il grillino Vincenzo Spadafora – secondo cui il progetto andrebbe «rivisto mettendo al centro l’interesse del bambino» – dimostrano che la maggioranza sul punto è tutt’altro che compatta. In ogni caso i tempi per la discussione si prospettano molto lunghi, anche in considerazione delle oltre cento audizioni di esperti e associazioni già in calendario che prenderanno il via martedì prossimo, 23 ottobre.

Intervista a Pillon: «L’assegno di mantenimento resta. No alla logica del genitore bancomat»

Non c’è il rischio che i ‘tempi paritetici’ stabiliti con rigidità e assolutezza finiscano per equiparare i ruoli di madri e padri rendendoli di fatto indistinguibili?

Il padre e la madre sono portatori di un peculiare e insostituibile tipo di genitorialità e guai a confondere i rispettivi ruoli. Tuttavia è altrettanto importante che il papà e la mamma possano passare quanto più tempo possibile coi loro bambini, perché non è possibile fare il genitore al telefono o via internet, ma è indispensabile la presenza fisica per un congruo lasso di tempo. Certo, la suddivisione dei tempi andrà meglio calibrata tenendo conto delle diverse esigenze che i minori incontrano nelle varie fasce di età, specialmente in fase di allattamento, ma siamo convinti che sia un bene per i minori che anche i papà possano trascorrere tanto tempo con loro fin dalla più tenera età.

C’è il timore che per risolvere il problema dei tanti padri separati finiti in povertà si finisca ora per impoverire le madri togliendo loro l’assegno di mantenimento. Sarà così?

La proposta non tocca in nessun modo l’assegno di mantenimento per il coniuge debole, che potrà continuare a percepirlo ove ne sussistano i requisiti. Circa la questione della casa familiare, il giudice ben potrà continuare a stabilire che il figlio rimanga residente nella casa familiare e potrà anche stabilire quale dei due genitori continuerà a risiedervi, ma le questioni – a differenza di quanto accade oggi – saranno regolate dal diritto civile, tenendo conto del titolo di proprietà dell’immobile. La proposta prevede poi che il mantenimento diretto per i figli sia calcolato su base proporzionale, tenendo anche conto dei lavori di cura familiare sostenuti dai genitori, proprio per bilanciare adeguatamente le due posizioni. È infine previsto anche un assegno perequativo qualora ciò sia indispensabile per riequilibrare le posizioni. Ma non possiamo più accettare che un genitore sia trattato da bancomat e un altro da badante.

Nella relazione introduttiva si menziona un diritto alla relazione che però non può essere stabilito per via giuridica. Perché la scelta di un ‘diritto insaziabile’?

Crediamo che nessuno possa seriamente dubitare dell’importanza dei diritti ‘relazionali’ e particolarmente del diritto del minore a conservare relazioni con i suoi genitori anche dopo la separazione. L’intero diritto di famiglia si sforza di regolare le relazioni tra i familiari. Sostenere pertanto che il diritto alla relazione sia ‘insaziabile’ è almeno parzialmente sbagliato: infatti come la normativa sul matrimonio regola la relazione coniugale, così la normativa sulla genitorialità può e deve garantire ai figli quegli indispensabili spazi nei quali coltivare la preziosa e ineliminabile relazione del bambino con papà e mamma.

Luciano Moia Avvenire 16 ottobre 2018

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/affido-decreto-pillon-associazioni-contro

 

Ddl Pillon, la Carta del Garante Infanzia: “Regole predeterminate non rispettano interesse del minore”

Il documento, nato dopo la presentazione del disegno di legge sull’affido condiviso, sottolinea come occorra una valutazione caso per caso che tenga conto delle reali esigenze del figlio

Sono quasi 100mila (97.690) i figli minorenni di genitori separati su cui in queste settimane sono puntati i riflettori dopo la proposta del Ddl del senatore leghista Simone Pillon che vorrebbe la “bigenitorialità perfetta” e la mediazione obbligatoria per trovare un accordo sul mantenimento dei figli e sul loro affido. Una proposta criticata dal Garante dell’infanzia che ha presentato la Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori. “Regole astratte e predeterminate, come la divisione paritetica dei tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore, potrebbero risultare in contrasto con il reale interesse del minore, che va comunque sentito se l’età lo consente prima di assumere decisioni che lo riguardino. Occorre quindi una valutazione caso per caso che tenga conto delle reali esigenze del figlio. Molti sono i fattori che possono entrare in gioco: l’età, la situazione abitativa dei genitori, l’inserimento di un nuovo partner e di una sua eventuale famiglia, gli affetti, la scuola”.

La garante Filomena Albano attende da mesi di poter dire la sua: il 31 agosto 2018 ha chiesto di essere audita dalla Commissione giustizia del Senato competente per l’esame dei disegni di legge in materia di affido condiviso ma non ha ancora avuto risposta. Nel frattempo ha presentato la Carta che è legata a un’attività progettuale avviata lo scorso anno: “Abbiamo pensato – spiega la Garante – di realizzarla per tenere alta l’attenzione sulle esigenze e i diritti di bambini e ragazzi che si trovano a vivere i cambiamenti, le difficoltà e i contrasti legati alla separazione dei genitori”.

È il frutto di un percorso partecipato che ha coinvolto esperti scelti tra personalità del settore giuridico, sociale, psicologico e pedagogico e del contributo fornito dai ragazzi della Consulta, organo di consultazione permanente dell’autorità, costituito lo scorso aprile e composto da 18 ragazzi di età compresa tra i 13 e i 17 anni, provenienti da diverse realtà aggregative. Dieci sono i diritti tra i quali quello “di non essere strumentalizzati, di non essere messaggeri di comunicazioni e richieste esplicite o implicite rivolte all’altro genitore; di non essere indotti a mentire e di non essere coinvolti nelle menzogne”, ma anche il diritto di essere ascoltati e ricevere spiegazioni sulle decisioni prese, in particolare quando divergenti rispetto alle loro richieste e ai desideri manifestati. Il figlio ha il diritto di ricevere spiegazioni non contrastanti da parte dei genitori.

“Il documento promuove la centralità dei figli proprio nel momento della crisi della coppia – evidenzia Albano -. I genitori, anche se separati, non smettono di essere genitori”. La Carta si apre con il diritto dei figli di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori e di mantenere i loro affetti. “I figli devono poter stare al centro della vita dei genitori”, avverte la Garante che ricorda come “il genitore deve poter essere un faro, un riferimento, la prima persona a cui il figlio pensa di rivolgersi in caso di difficoltà e per condividere gioia ed entusiasmo. Per aiutare i figli bisogna renderli consapevoli che nel cuore e nella testa si ha un posto per loro”.

Alex Corlazzoli il fatto quotidiano| 16 ottobre 2018

www.ilfattoquotidiano.it/2018/10/16/ddl-pillon-la-carta-del-garante-per-linfanzia-per-tutelare-i-figli-no-a-regole-predeterminate/4697863/

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ENTI TERZO SETTORE

Un’associazione ONLUS che denominazione dovrà adottare?

Sono presidente di un’associazione onlus (beneficenza). Dalla lettura della Riforma del Terzo Settore mi sembra di capire che COMUNQUE, anche se la riforma avrà dei ritardi, entro la fine di gennaio 2019 la mia associazione dovrà modificare il proprio nome escludendo dalla denominazione la parola onlus che dovrà scomparire.

Sarà possibile utilizzare la denominazione ETS solo dopo l’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo Settore, non prima. Fino ad allora la Vostra Associazione dovrà utilizzare l’acronimo ONLUS.

Se da un lato è vero che l’adeguamento dello Statuto – con conseguente modifica della denominazione – potrà avvenire entro diciotto mesi dall’entrata in vigore del D.Lgs. 117/2017, dall’altro la trasmigrazione della Vostra associazione dal Registro speciale al Registro unico dovrà percorrere uno specifico iter al fine di verificarne i requisiti (artt. 53-54 Codice).

Tuttavia si consideri che le concrete modalità d’iscrizione al Registro unico saranno stabilite da un decreto attuativo che il Governo dovrà adottare entro un anno dall’entra in vigore dello stesso D.Lgs. 117/2017.

Allo stato, pertanto, si consiglia di rimanere in attesa di tale decreto prima di procedere alla convocazione dell’Assemblea deliberativa delle modifiche statutarie.

Avv. Marco Destro, consulente CSV Padova 18 ottobre 2018

https://csvpadova.org/unassociazione-onlus-che-denominazione-dovra-adottare

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Il Forum delle associazioni familiari ha incontrato il ministro Lorenzo Fontana

I presidenti delle 46 associazioni nazionali e dei 20 Forum regionali delle Associazioni Familiari, accompagnati dal presidente nazionale del Forum Famiglie, Gigi De Palo, hanno incontrato stamane, presso la Sala monumentale del Palazzo della Presidenza del Consiglio, a Roma, il ministro per la Famiglia e la Disabilità, Lorenzo Fontana.

L’incontro, che ha avuto carattere cordiale, ha consentito ai rappresentanti del Forum di presentare al ministro Fontana le istanze provenienti dalle 582 associazioni nazionali e locali che lo costituiscono.

Realtà associative diverse, eterogenee e variegate, unite nell’impegno quotidiano di promuovere una sussidiarietà tangibile, che da 25 anni parte dal basso per offrire il proprio contributo concreto al Paese.

Al centro dell’appuntamento odierno e nel solco del dialogo da tempo avviato tra il Forum Famiglie e il Ministro per la Famiglia, sono state poste le sfide a cui l’Italia è chiamata a dare risposte, in particolare riguardo alle politiche per la famiglia, al rilancio della natalità, alla semplificazione e riorganizzazione delle procedure di affido e adozione internazionale, all’attenzione al presente e al futuro del mondo giovanile, al tema del lavoro e della sua conciliazione con i bisogni familiari.

Comunicato stampa 17 ottobre 2018

www.forumfamiglie.org/2018/10/17/il-forum-delle-associazioni-familiari-ha-incontrato-il-ministro-lorenzo-fontana

 

Ai.Bi. presenta al Ministro Fontana le proposte per il rilancio dell’adozione internazionale

Tra i presenti anche Marco Griffini – presidente di Amici dei Bambini – che, dati alla mano, ha esposto al ministro la drammatica situazione in cui è precipitata l’adozione internazionale in Italia.

Da qui la proposta di Griffini al Ministro Lorenzo Fontana di avviare un percorso di rilancio delle adozioni internazionali in Italia che si snoda in tre tappe principali

  1. Ripartenza del motore dell’adozione internazionale, la Commissione per le adozioni internazionali, attraverso la nomina di un Presidente che dia impulso strategico costante, di un Vice Presidente pienamente operativo e di un Direttore generale;

  2. Introduzione di un bonus di 10 mila euro per le coppie che accolgono minori stranieri con l’adozione internazionale, che non comporta oneri aggiuntivi per il bilancio pubblico in quanto frutto di risparmi derivanti da un processo di razionalizzazione della procedura adottiva;

  3. Avvio di nuove ed inesplorate tipologie di accoglienza con l’introduzione dei soggiorni a scorso adottivo, che agevola e facilita l’adozione di bambini grandi, e il riconoscimento dell’adozione del nascituro (adozione in pancia) strumento di prevenzione all’aborto.

Nonostante la caduta libera del sistema adozione negli ultimi anni (1.439 i bambini accolti in Italia nel 2017 rispetto ai 4.130 nel 2010 e 3196 famiglie disponibili rispetto alle 6.091 del 2010), “le famiglie italiane continuano a credere nell’adozione internazionale e in un loro rilancio, possibile però – secondo Griffini – solo se vi è una forte volontà politica che metta in campo interventi urgenti e finalizzati a non sprecare la grande risorsa quale è la famiglia italiana dinanzi a 168 milioni di bambini abbandonati nel mondo”.

News Ai. Bi. 17 ottobre 2018

www.aibi.it/ita/aibi-ministro-fontana-proposte-per-rilancio-adozione-internazionale

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INFEDELTÀ

L’infedeltà coniugale

Il tradimento del marito o della moglie: le conseguenze dell’addebito e le sanzioni per l’adulterio. Cosa prevede la legge per le coppie sposate e per quelle di fatto.

Non è un reato, ma solo un illecito civile da cui scaturisce una sola sanzione: quella dell’addebito. È l’infedeltà coniugale o, per dirla con parole comuni, il tradimento. Dal punto di vista pratico, l’adulterio ha scarse conseguenze quando è posto da un uomo che guadagna più della donna, mentre ha riflessi pregiudizievoli se è quest’ultima a tradire. Difatti, l’effetto più rilevante dell’infedeltà è la perdita del diritto al mantenimento. Ne consegue che laddove il marito sia comunque tenuto, in ragione del proprio reddito elevato, a versare gli alimenti alla moglie, con o senza addebito per lui le cose non cambiano: dovrà comunque far fronte ai suoi doveri economici. Invece la moglie adultera ma disoccupata o con uno stipendio minimo non potrà mai reclamare il mantenimento proprio a causa della sua condotta colpevole.

Infedeltà coniugale: cos’è? Quando si parla di infedeltà coniugale ci si riferisce naturalmente alle coppie sposate. L’infedeltà è invece lecita (o quantomeno non produttiva di alcun effetto) per le coppie legate da un’unione civile (quelle cioè tra omosessuali) o per le famiglie di fatto, benché abbiano firmato un contratto di convivenza.

Non c’è bisogno di spiegare cos’è l’infedeltà: tutti sappiamo che si tratta di un tradimento, di una relazione intrattenuta con un’altra persona, sia questa dell’altro sesso o del proprio. C’è quindi infedeltà anche da parte del marito che sta con un uomo o della moglie che sta con una donna.

Quando si parla di infedeltà non ci si riferisce solo al tradimento sessuale, ma anche a quello affettivo e intellettuale. Numerose sentenze hanno infatti condannato il rapporto platonico su internet quando, dalla conversazione e dai messaggi intrattenuti dai soggetti in questione, possa evincersi un rapporto affettivo. E ciò sulla base della fin troppo scontata considerazione che ciò costituisce una mortificazione per l’altro coniuge. Non è infedeltà, chiaramente, la semplice amicizia intrattenuta su una chat, ma un messaggio compromettente è sufficiente – come vedremo – a denunciare la relazione adulterina, a prescindere dalle prove dell’effettivo contatto fisico.

Come è facile intuire è tradimento tanto quello di una sola ora quanto una relazione stabile.

Dire al coniuge «Non ti amo più» non costituisce tradimento, né causa di addebito. Nel tempo si può perdere il legame affettivo che univa al marito o alla moglie; ciò non è considerato una colpa e non produce né sanzioni, né effetti.

Allo stesso modo, dire al coniuge «Mi piace un’altra persona» non costituisce tradimento, a meno che non ci sia la prova che con quest’ultima sia stato intrattenuto un rapporto affettivo sia pure non fisico. Il fatto di guardare con desiderio tutti i giorni un altro soggetto infatti non rientra ancora nell’infedeltà coniugale e non comporta l’addebito.

Infedeltà: quali conseguenze giuridiche? Dal punto di vista giuridico (ma vedremo che, sotto l’aspetto pratico, le cose cambiano), l’infedeltà coniugale ha una sola conseguenza: il coniuge che è stato tradito può chiedere la separazione con addebito a carico di quello infedele. “Addebito” significa “imputazione di responsabilità”: in pratica il giudice dichiara ufficialmente che la colpa per la fine del matrimonio è del coniuge infedele. Questo accertamento conduce a due conseguenze legali:

  1. Chi è stato infedele non può chiedere, per sé, l’assegno di mantenimento. Quindi, ad esempio, la moglie che ha avuto una storia, anche se disoccupata non può chiedere l’assegno mensile. Solo se le sue condizioni economiche dovessero risultare disperate e comportare un serio rischio di sopravvivenza, potrebbe tutt’al più chiedere gli “alimenti”, un importo di gran lunga inferiore al mantenimento e necessario solo a quanto necessario per non morire di fame;

  2. Se, dopo la separazione, uno dei due coniugi dovesse morire, la regola vuole che l’altro acquisisca i diritti successori, è cioè suo erede (questo diritto si perde solo dopo il divorzio). Ciò però non vale per chi è stato infedele. Il coniuge che ha tradito e che ha subito l’addebito non può infatti vantare alcuna quota sul patrimonio dell’ex defunto di cui, quindi, non sarà mai erede.

Infedeltà: quali conseguenze pratiche? Da un punto di vista pratico le conseguenze per l’infedeltà coniugale non sono così rilevanti. Per quanto infatti riguarda l’aspetto successorio, non è così frequente che una persona muoia nel breve lasso di tempo che va tra la separazione e il divorzio (6 mesi in caso di separazione consensuale; 1 anno in caso di separazione giudiziale).

Dall’altro lato, la perdita del diritto al mantenimento rileva solo quando l’infedele ha un reddito più basso. Quest’ultimo aspetto merita di essere approfondito. Lo faremo ricorrendo ad alcuni esempi pratici.

Mario, con un reddito di 2mila euro al mese, è sposato con Maria la quale ha invece uno stipendio di 500 euro al mese. Mario e Maria si separano per incompatibilità caratteriali. Nessuno dei due, dunque, subisce l’addebito. Mario dovrà versare a Maria un mantenimento di circa 300 euro al mese.

Se dovesse risultare che Mario ha tradito Maria, il primo subirebbe l’addebito. Tuttavia per lui non ci sarebbe alcuna ulteriore conseguenza atteso che, comunque, resta tenuto al mantenimento in ragione del suo reddito superiore. Il mantenimento non è infatti una sanzione per aver tenuto un comportamento colpevole ma solo una misura assistenziale in favore di chi è economicamente più debole. Anche se Mario fosse stato disoccupato o con un reddito inferiore a Maria, l’impugnazione dell’addebito per tradimento non avrebbe comportato, per lui, l’obbligo di versare il mantenimento all’ex moglie.

Diversa è la soluzione nel caso in cui sia Maria a tradire Mario. Come detto, l’addebito implica solo la perdita del diritto al mantenimento. In questo caso, dunque, la moglie non potrà chiedere l’assegno, anche se nullatenente. Questo però vale solo per il mantenimento a lei diretto; se invece la coppia ha avuto dei figli, Mario resterà comunque tenuto a mantenere i minori o i maggiorenni non ancora autosufficienti sul piano economico.

Ecco perché, a volte, la battaglia giudiziaria per l’addebito ha scarse conseguenze pratiche ed è sciocco far saltare un accordo per una separazione consensuale che potrebbe avvenire senza grossi oneri economici e dispendio di tempo.

Infedeltà: posso chiedere il risarcimento del danno? Solo raramente i giudici hanno riconosciuto, in caso di infedeltà coniugale, oltre all’addebito anche il diritto al risarcimento del danno. Ciò scatta non quando il coniuge tradito abbia subito uno “scossone psicologico”, la depressione per il fallimento del matrimonio e un dolore interiore. Si ha diritto al risarcimento solo allorché le modalità del tradimento hanno leso la reputazione del coniuge tradito. Si tratta, insomma, di una misura rivolta solo a tutelare l’immagine pubblica della “vittima”. Si pensi all’ipotesi in cui Maria tradisce Mario con il suo migliore amico e tutta la cittadinanza o gli amici lo sanno. O quando Mario esce con la propria segretaria, con cui ha una relazione, incurante del fatto che la gente mormori alle spalle di Maria.

Come dimostrare il tradimento. Per far scattare l’addebito per il tradimento non è necessaria la prova di una relazione fisica o stabile. Bastano i semplici indizi che siano indicativi di una relazione affettiva o di un’attrazione fisica. Quindi il messaggio lasciato su una chat, con apprezzamenti e inviti a un rapporto sessuale, sono sufficienti a far scattare l’addebito anche se non viene dimostrato un incontro effettivo tra i due amanti segreti. Lo stesso dicasi per lo scambio di immagini provocanti.

Si fa sempre più ricorso agli investigatori privati. I loro report non sono però una prova. Lo possono essere le fotografie scattate dal detective; queste ultime però perdono la loro valenza di prova documentale se contestate dalla controparte. A tal riguardo, la contestazione non può essere generica ma deve spiegare per quali motivi la foto non è attendibile; ad esempio si può eccepire che la foto si riferisce a un episodio risalente nel tempo oppure che l’identità dei volti non è chiara e i soggetti non riconoscibili.

E-mail e sms sono ormai entrati anche nel processo civile. Ma sottrarre con la forza o con l’inganno il cellulare al proprio coniuge che lo ha tenuto riservato e non lo ha lasciato sul tavolo o sul divano costituisce un reato: quello di violazione della privacy.

Allo stesso modo è illegittimo lasciare un registratore acceso in casa prima di uscire: l’interferenza nella vita privata altrui è punito ai sensi del codice penale.

Le ammissioni di responsabilità sono di certo la prova “principe” dell’infedeltà, ammissioni che possono essere dichiarate a voce, ma registrate all’insaputa dell’ex; difatti le registrazioni di conversazioni tra coniugi, anche avvenute a casa propria, sono legali.

Come difendersi da una accusa di tradimento? L’unico modo per difendersi da un’accusa di tradimento è quello di dimostrare che la coppia era già in precedenza in crisi e che l’infedeltà coniugale non è stata la causa della rottura bensì l’effetto di una situazione già conclamata. Difatti, l’addebito scatta solo per quelle condotte che provocano la separazione e non per tutte le altre. Ad esempio, se Mario e Maria non si parlano già da diversi mesi, litigano in continuazione e non hanno più rapporti sessuali, l’eventuale tradimento di Mario non implicherà l’addebito. Spetta però a Mario dimostrare che il matrimonio era già in frantumi prima del tradimento.

La Legge per tutti 18 ottobre 2018

www.laleggepertutti.it/246931_linfedelta-coniugale

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SEPARAZIONE

Accesso ai dati fiscali e patrimoniali

TAR Lombardia, prima Sezione, sentenza n. 2024, 27 agosto 2018

Il coniuge che si vuole separare ha diritto di accedere ai dati fiscali e patrimoniali dell’altro? L’Agenzia delle Entrate può lecitamente negare ad un coniuge, in pendenza di una separazione, l’accesso ai dati fiscali e patrimoniali dell’altro da essa detenuti: l’unico strumento è l’accesso previa autorizzazione del Presidente del Tribunale.

Sentenza www.divorzista.org/sentenza.php?id=15324

 

Rottura dei legami familiari e tasso di istruzione basso: le ragioni della povertà in Italia

Sono più di 5 milioni i poveri in Italia. I soggetti più colpiti, minori e giovani. Tra i fattori scatenanti, il basso tasso di istruzione e la rottura dei legami familiari. Lo dice la Caritas nel Rapporto 2018 su povertà e politiche di contrasto.

Il numero dei poveri assoluti in Italia “continua ad aumentare” e oggi supera i 5 milioni un vero e proprio “esercito”. Lo sottolinea la Caritas nel Rapporto 2018 su povertà e politiche di contrasto.

Dagli anni pre-crisi ad oggi il numero dei poveri è aumentato del 182%, un dato che dà il senso dello stravolgimento” causato dalla crisi. “Esiste uno zoccolo duro di disagio che assume connotati molto simili a quelli esistenti prima della crisi economica del 2007-2008 con la sola differenza che oggi il fenomeno è sicuramente esteso a più soggetti”. Tra gli individui in povertà assoluta i minorenni sono un milione 208mila (il 12,1% del totale) e i giovani, nella fascia 18-34 anni, 1 milione 112mila (il 10,4%). “Oggi quasi un povero su due è minore o giovane”.

Sono 197.332 le persone che nel 2017 si sono rivolte a un Centro Caritas; il 42,2% è di nazionalità italiana, l’età media degli utenti è 44 anni ma i giovani tra i 18 e i 34 anni rappresentano la classe più numerosa (25,1%) mentre i pensionati costituiscono il 15,6%. Le storie di povertà intercettate nei Centri di ascolto “risultano più complesse, croniche e multidimensionali”, si legge nel Rapporto 2018. Il 42,6% delle persone incontrate da Caritas nel 2017 sono nuovi utenti ma è “in aumento la quota di chi vive situazioni di fragilità da 5 anni e più (22,6%)”. Nel 2017 si evidenzia l’incremento delle persone senza dimora e delle storie connotate da un minor capitale relazionale (famiglie uni-personali). “Il fatto che ancora oggi la rottura dei legami familiari possa costituire un fattore scatenante nell’entrata in uno stato di povertà e di bisogno”.

Don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, commenta: “Come cristiani abbiamo qualche difficoltà a pensare che si possa abolire la povertà, ma sappiamo che ogni storia riconsegnata alla sua dignità e alla sua libertà rende migliore il nostro Paese, ci rende migliori. La povertà non è solo mancanza di reddito o lavoro: è isolamento, fragilità, paura del futuro. Dare una risposta unidimensionale a un problema multidimensionale, sarebbe una semplificazione” che rischia di vanificare ogni impegno finanziario.

L’istruzione continua ad essere tra i fattori che più influiscono sulla condizione di povertà. L’Italia ha fatto dei passi in avanti ma si colloca ancora al penultimo posto in Europa per presenza di laureati, solo prima della Romania. Il 14% dei ragazzi in Italia abbandona precocemente gli studi e l’Italia nella classifica europea si colloca al quarto posto (dopo Malta, Spagna e Romania). Oltre i due terzi delle persone che si rivolgono alla Caritas ha un titolo di studio pari o inferiore alla licenza media (il 68,3%); tra gli italiani questa condizione riguarda il 77,4% degli utenti. “La povertà educativa –afferma ancora don Soddu– è un fenomeno principalmente ereditario nel nostro Paese, che a sua volta favorisce la trasmissione intergenerazionale della povertà economica. I dati nazionali dei centri di ascolto, oltre a confermare una forte correlazione tra livelli di istruzione e povertà economica, dimostrano anche una associazione tra livelli di istruzione e cronicità della povertà”.

Anche “la rottura dei legami familiari può costituire un fattore decisivo per l’entrata in una condizione di povertà”. Ed è in crescita per la stessa ragione anche il numero dei senza fissa dimora: “La situazione risulta particolarmente preoccupante perché le deprivazioni materiali attivano spesso dei circoli viziosi che tramandano di generazione in generazione le situazioni di svantaggio”. Il Rapporto denuncia un rilevante aumento delle storie di solitudine mentre diminuiscono le situazioni di chi sperimenta una stabilità relazionale data da un’unione coniugale. I disoccupati ascoltati nel 2017 rappresentano il 63,8%; tra gli stranieri la percentuale sale al 67,4%. Nell’analisi dei bisogni di chi si rivolge ai centri di ascolto prevalgono i casi di povertà economica (78,4%), seguiti dai problemi di occupazione (54,0%) e dai problemi abitativi (26,7%), in aumento rispetto al 2016; all’interno di questa categoria si nota un evidente incremento, dal 44,3% al 52,5%, della situazione di chi è privo di un’abitazione. Alle difficoltà di ordine materiale seguono altre forme di vulnerabilità che in molti casi si associano alle prime: problemi familiari (14,2%), difficoltà legate alla salute (12,8%) o alle migrazioni (12,5%). Il 4,2% si è invece rivolto ai centri per problematiche di tipo non economico (malattia mentale, separazione, morte di un congiunto, difficoltà nell’assistenza di familiari, problemi di giustizia). Nel 2017 sono stati realizzati circa 2 milioni 600mila interventi, in lieve diminuzione rispetto al 2016.

Redazione Punto Famiglia 18 ottobre 2018

www.puntofamiglia.net/puntofamiglia/2018/10/18/rottura-dei-legami-familiari-e-tasso-di-istruzione-basso-le-ragioni-della-poverta-in-italia

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SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI

Il Sinodo visto dal delegato valdese

“Il sinodo visto da un punto di vista diverso da quello cattolico? Devo dire che risulta estremamente avvincente”. Marco Fornerone è pastore valdese della Comunione mondiale delle chiese riformate e partecipa ai lavori sinodali come ‘delegato fraterno’. Alla domanda secca su cosa l’abbia colpito del confronto con i giovani, risponde senza porre in mezzo alcuna esitazione: “Mi hanno positivamente impressionato quella parte di interventi che hanno chiesto, a gran voce, alla Chiesa di ascoltare di più. E’ una stata un’esigenza espressa non solo dai giovani ma anche da molti vescovi e cardinali”.

I giovani, migliori interpreti dei segni dei tempi. Fornerone, forse, mai si sarebbe aspettato che in un’aula solenne piena di berrette rosse e molte talari cominciasse a spirare un vento giovanile di schiettezza e ‘parresia’. Invece così è stato, tanto da far dire al pastore valdese “ho visto il coraggio di aprirsi ai segni dei tempi, dei quali i giovani sono i migliori interpreti. Su famiglia, sessualità, ruolo delle donne si sono confrontati senza veli”. Non un esercizio retorico ma azione concreta che porterà buoni frutti. Così Fornerone crede e spera.

Evangelizzare il ‘continente digitale’. Una delle emergenze emerse dal sinodo è l’evangelizzazione del cosiddetto ‘continente digitale’. Per i giovani è un’urgenza non più rinviabile, per Fornerone una priorità alla quale la Chiesa è chiamata a dare risposta: “I ragazzi hanno ragione: è una realtà della quale non si può non tenere conto perché coinvolge moltissimo i giovani e perché c’è un gap di competenze generazionale da colmare. Bisogna essere più presenti e, come anche è stato detto nel dibattito, è fondamentale accompagnare ed essere presenti con informazioni certificate per evitare, tra gli altri effetti negativi, l’espandersi delle fake news”.

Formare i giovani alla buona politica. “Un’altra sollecitazione che è giunta dai giovani e che mia ha colpito per la sua maturità – incalza Fornerone- è stata: vogliamo essere formati alla buona politica e alla buona cittadinanza. Questa richiesta è indice della volontà dei ragazzi e delle ragazze di essere attori, protagonisti nella società e del mondo”. Appello che non potrà essere ignorato soprattutto dalla società civile.

Federico Piana Newsletter Vatican News 18 ottobre 2018

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2018-10/sinodo-giovani-2018-delegato-valdese.html

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VIOLENZA

Il marito non ha il diritto di soddisfare i suoi istinti sessuali

Corte di Cassazione, terza Sezione penale, sentenza n. 46051, 11 ottobre 2018

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_32217_1.pdf

Per la Cassazione, il lecito compimento del rapporto sessuale non può prescindere dal consenso costante di entrambe le parti coinvolte, anche se coniugate.

Il legame matrimoniale non è idoneo di per sé a giustificare le pretese sessuali di un coniuge nei confronti dell’altro se quest’ultimo non vi acconsente. Per la Corte di cassazione, per il lecito compimento del rapporto sessuale è sempre indispensabile la costante presenza del consenso delle parti coinvolte, “non esistendo, in particolare, alcun diritto potestativo del marito al soddisfacimento dei propri istinti sessuali”.

La Corte, dichiarando l’inammissibilità del ricorso di un uomo, ha in particolare confermato la sentenza con il quale lo stesso era stato condannato alla pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione per aver costretto in più occasioni la moglie a subire atti sessuali contro la sua volontà, minacciandola e picchiandola in caso di rifiuto e per aver tentato in un’occasione di costringerla di nuovo non riuscendovi solo per il pronto intervento delle figlie.

La Corte ha anche confermato il diniego delle attenuanti generiche, posto che le gravi modalità con le quali l’uomo si era comportato nei confronti della moglie “attestavano l’esistenza di un dolo particolarmente intenso e la mancanza del più elementare senso di rispetto della dignità della persona e della donna in particolare, usata come strumento di piacere”.

Oltretutto l’imputato, nel corso del giudizio, aveva tentato di negare gli addebiti a suo carico accusando senza scrupoli i familiari, tra i cui una figlia gravemente malata.

Tutte circostanze che non riescono a salvarlo dalla condanna né a rendere questa più lieve.

Redazione Studio Cataldi 19 ottobre 2018

www.studiocataldi.it/articoli/32217-il-marito-non-ha-il-diritto-di-soddisfare-i-suoi-istinti-sessuali.asp

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