NewsUCIPEM n. 720 –23 settembre 2018

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02 ADOTTABILITÀ Incapacità del genitore di elaborare un progetto di vita credibile.

02.ADOZIONI INTERNAZIONALI Congedi e dei permessi di cui godono i neogenitori adottivi.

03 AFFIDO ESCLUSIVO se l’altro genitore si disinteressa dei figli.

04 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Non pagarlo rimane reato anche senza stato di bisogno.

06 Art. 570 bis Cp non si applica ai figli di genitori non coniugati.

08 ASSEGNO DIVORZILE Che rischia la moglie che non ha mai voluto lavorare.

09 Calcolo dell’assegno di mantenimento.

11 Nuovo assegno di divorzio: considerazioni tecniche.

12 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 29, 19 settembre 2018.

14 CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA Corso Quadriennale in Sessuologia Clinica e Seminari.

14 CHIESA CATTOLICA La benedizione e l’autorità. Il Papa delude i piccolo-borghesi.

15 COM. ADOZIONI INTERNAZIONALI Accoglienza di bambini in stato d’abbandono nel mondo.

16 CONSULENZA COPPIA FAMIGLIA Liberarsi dalla violenza. Centro di ascolto per uomini violenti.

16 CONSULT. ISPIRAZIONE CRISTIANA Sanremo. Biennale della famiglia.

17 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Rimini. Corsi di formazione accreditati MIUR.

18 DALLA NAVATA 25° Domenica – Anno B – 23 settembre 2018.

18Commento di Ermes Ronchi Accogliere Dio in un bambino,

19 DIRITTO DI FAMIGLIA Ancora scontri sull’affido condiviso.

19 Ddl Pillon: una trappola per le donne e un pericolo i bambini.

21 Gassani: Questo tipo di riforma sarebbe davvero sbagliata.

21 Una nuova legge perché la vecchia ha fallito.

23 Commento al disegno di legge Pillon.

30 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Un Sinodo in ascolto di tutti i battezzati

31 Il documento del Sinodo può diventare magistero ordinario

32 Papa Francesco: «Il sesso è un dono di D. Niente tabù

33 INCONTRI Treviso. I figli sono un bene prezioso. Prezioso e anche raro.

33 Milano. Un progetto che si chiama desiderio.

34 MATERNITÀ Riposi maternità anche contemporanei per padre e madre

35 MINORI Quel figlio senza rete.

36 Come individuare le carenze affettive nei bambini.

36 PARLAMENTO Prima riunione dell’intergruppo parlamentare per la famiglia.

37 PROSTITUZIONE Rete abolizionista x l’approvazione della legge su modello nordico.

39 SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI P. Costa: il Sinodo non è un evento ma un processo partecipativo.

40 Sette proposte di Vinonuovo. I sogni dei giovani al Sinodo

42 VIOLENZA Violenza alle donne in Lombardia

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ADOTTABILITÀ

Incapacità del genitore di elaborare un progetto di vita credibile per i figli e dichiarazione di adottabilità

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 16357, 21 giugno 2018

Il prioritario diritto dei minori a crescere nell’ambito della loro famiglia di origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità quando, nonostante l’impegno profuso dal genitore per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli, e non risulti possibile prevedere con certezza l’adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con l’esigenza dei minori di poter conseguire una equilibrata crescita psico-fisica.

Redazione Il Caso. [Doc.5158] 21 settembre 2018 Ordinanza

news.ilcaso.it/news_5158?https://news.ilcaso.it/?utm_source=newsletter&utm_campaign=solo%20news&utm_medium=email

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Congedi e dei permessi di cui godono i neogenitori adottivi.

  • Congedo dal lavoro per il periodo di permanenza all’estero. Per i genitori adottivi lavoratori dipendenti è previsto un apposito congedo dal lavoro per il periodo di permanenza nello Stato straniero. Durante tale congedo non spetta alcuna indennità o retribuzione e la durata del periodo di permanenza all’estero dovrà essere certificata dall’ente autorizzato che segue la procedura adottiva;

  • Congedo di maternità o paternità. Come lavoratrice dipendente anche in caso di adozione si ha diritto all’astensione dal lavoro per un periodo pari a cinque mesi e un giorno quale che sia l’età del minore adottato, che dovrà essere fruito entro i cinque mesi successivi alla data dell’ingresso, ricevendo un’indennità pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera percepita nell’ultimo mese precedente all’inizio dell’astensione. Ferma restando la durata massima complessiva del congedo (5 mesi ed un giorno) non tutti sanno che si può usufruire di parte del congedo di maternità anche prima dell’ingresso del minore in Italia, e cioè durante il periodo di permanenza all’estero. Il congedo di maternità per adozione, che non sia stato chiesto dalla lavoratrice può essere richiesto al padre lavoratore dipendente. In caso di adozione di due o più minori la durata del congedo di maternità/paternità resta invariata in quanto collegata alla procedura adottiva, che è sempre unica.

  • Congedo parentale. Entrambi i genitori, anche contemporaneamente e solo dopo l’ingresso in Italia del minore adottato, indipendentemente dall’età del bambino all’atto dell’adozione o affidamento e comunque non oltre il compimento della maggiore età dello stesso, possono usufruire di un’astensione facoltativa. Entro i primi otto anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare ciascun genitore può astenersi dal lavoro per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 6 mesi, elevabile a sette per il padre che ne usufruisca per almeno sei mesi. Complessivamente, il periodo di congedo parentale goduti dai due genitori non può superare i dieci mesi, undici nel caso in cui il padre ne usufruisca per almeno tre mesi.

Durante il congedo parentale usufruito entro i primi 3 anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare si ha diritto a un’indennità pari al 30% della retribuzione, per un periodo massimo complessivo di sei mesi. Al contrario del congedo di maternità il periodo di congedo spetta nella sua interezza per ciascun figlio adottato e si estende in caso dell’adozione di due o più bambini.

In forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 257 del 19 novembre 2012 il diritto ad astenersi dal lavoro per congedo di maternità o paternità è stato esteso anche alle lavoratrici e ai lavoratori a progetto e categorie assimilate iscritte alla Gestione separata. Questi ultimi possono usufruire anche del congedo parentale sebbene per un periodo complessivo di tre mesi entro il primo anno dall’ingresso in famiglia del minore adottato, a condizione il bambino non abbia superato, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, i dodici anni di età. www.commissioneadozioni.it/media/137212/pronuncia_257_2012.pdf

Alle madri adottive (in alcuni casi e in alternativa ai padri) spettano anche i riposi giornalieri per allattamento entro il primo anno dall’ingresso del minore in famiglia, anche se il minore ha più di un anno di vita, e l’astensione dal lavoro per malattia del bambino. L’astensione del lavoro per motivi di malattia del bambino non è prevista, invece, per i genitori adottivi lavoratori a progetto.
News Ai. Bi. 18 settembre 2018

www.aibi.it/ita/congedi-di-maternita-e-paternita-per-i-neogenitori-valgono-anche-per-ladozione-internazionale

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AFFIDO ESCLUSIVO

Affido esclusivo se l’altro genitore si disinteressa dei figli

Nonostante la priorità accordata all’affidamento condiviso, sovente la giurisprudenza ha preferito l’affido esclusivo nell’interesse dei minori stante il disinteresse di alcuni genitori

La legge n. 54/8.02.2006 ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’affidamento condiviso dei minori a entrambi i genitori a seguito della cessazione della relazione affettiva e della convivenza. Un’innovazione essenziale per garantire quello che oggi è un principio consolidato a libello nazionale e sovranazionale, ovvero quello alla “bigenitorialità” che ha preso il posto della “maternal preference”

L’affidamento condiviso oggi è la regola, ovvero l’opzione che il giudice deve preferire. Lo chiarisce anche l’art. 337-ter del codice civile a norma del quale il giudice deve valutare “prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori” affinché sia realizzato il diritto della prole a “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi”.

Solo ove ciò non sia possibile, il giudice dovrà stabilire a quale di essi i figli sono affidati e determinare i tempi, nonché e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore. Invece, l’affidamento esclusivo, ovvero quello a uno solo dei genitori, può essere disposto dal giudice qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore (cfr. art. 337-quater c.c.)

Pertanto, la regola dell’affidamento condiviso è derogabile (cfr. Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza 17137, 11 luglio 2017) solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore.

www.legalellb.com/wp-content/uploads/2017/07/sentenza-famiglia-affido-alla-madre.pdf

Ancora, la Cassazione (ex multis, sent. 26587/ 17 dicembre 2009) ha ritenuto l’affidamento esclusivo dei figli a uno solo dei genitori un’eccezione alla regola dell’affidamento condiviso, che deve applicarsi rigidamente soltanto nelle ipotesi in cui esista una situazione di gravità tale da rendere detto affidamento condiviso contrario all’interesse dei figli. www.affidamentocondiviso.it/200926587S1.pdf_.pdf

Tale contrarietà, hanno soggiunto gli Ermellini, deve valutarsi esclusivamente in relazione al rapporto genitore-figlio e quindi con riferimento a carenze comportamentali di uno dei due genitori, di gravità tale da sconsigliare l’affidamento al medesimo per la sua incapacità di contribuire alla realizzazione di un tranquillo ambiente familiare.

In aderenza a tali principi, sono diverse le situazioni in cui la giurisprudenza ha ritenuto di dover intervenire disponendo l’affidamento dei minori in via esclusiva a uno solo dei genitori, derogando così alla preferenza per l’affidamento condiviso.

Per il Tribunale di Roma (sent. n. 11735, 6 giugno 2017) chi si disinteressa economicamente ed emotivamente dei figli rischia di vedersi togliere l’affidamento dei minori.

dirittominorile.it/news/Affido-esclusivo-alla-madre-quando-il-padre-si-disinteressa-dei-figli-dopo-la-separazione-793

Nel caso in esame, a far propendere per la scelta dell’affido esclusivo, è stato l’atteggiamento del padre che, a seguito della separazione, si era mostrato totalmente disinteressato ai figli che erano rimasti privi sia del supporto affettivo che di quello economico del genitore.

Il Tribunale di Napoli (sent. 3934/2017) ha rammentato, aderendo all’orientamento dei giudici di legittimità (cfr. ex multis, Cass. n. 16593/18.6.2008 e n. 24526/28.12.2010) che l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo debba essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore

Addirittura, sempre il Tribunale partenopeo è giunto a scegliere l’avviso superesclusivo (sent. n. 594/2016) in caso di totale disinteresse dimostrato dal padre nei confronti dei due figli, al punto da concedere alla madre anche la scelta sulle decisioni di maggior interesse della prole

www.studiocataldi.it/articoli/23878-affido-esclusivo-alla-madre-se-il-padre-e-assente.asp

Ha concluso per l’affido superesclusivo alla madre anche il Tribunale di Milano nel decreto del 10 dicembre 2015 lasciando al padre, che aveva ostacolato il percorso di crescita del figlio assumendo una posizione sempre più marginale, il solo potere-dovere di vigilanza.

Sempre il Tribunale partenopeo (sent. 3934/2017) ha rammentato, aderendo all’orientamento dei giudici di legittimità (cfr. ex multis, Cass. n. 16593/18.6.2008 e n. 24526/02.12.2010) che l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo debba essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore. Ma non solo i giudici di merito ad aver chiarito che, nonostante la preferenza per l’affidamento condiviso e il voler favorire la bigenitorialità, talvolta non sia possibile né nell’interesse del minore perseguirla a ogni costo.

Gli Ermellini sottolineano che, in tema di affidamento dei figli minori, il giudice deve operare una valutazione prognostica nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione.

Tale giudizio va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità a un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore (cfr. Cass, sent. n. 18817/23.9.2015).

Nell’ordinanza n.16738/28.6.2018, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo l’affido esclusivo della figlia minore alla madre in attesa che il padre, inaffidabile e disinteressato, recuperasse la funzione genitoriale, senza dunque che sia esclusa la possibilità di un futuro ripristino dell’affidamento condiviso.

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_30986_1.pdf

Conclusione a cui è giunta la Cassazione anche nell’ordinanza n. 19386/15.9.2014, disponendo l’affidamento esclusivo al padre della figlia, essendosi la madre completamente disinteressata della bambina, addirittura trasferendosi altrove. Un comportamento che, per i giudici, denota un’incostanza e una trascuratezza nell’adempimento dei doveri genitoriali, tale da ritenere l’affidamento esclusivo e il collocamento presso il padre il regime più adeguato alle esigenze della minore nonché l’unico “in grado di assicurare ad essa la certezza e la stabilità che non ha avuto con la madre”.

Lucia Izzo News studio Cataldi 17 settembre 2018

www.studiocataldi.it/articoli/31780-affido-esclusivo-se-l-altro-genitore-si-disinteressa-dei-figli.asp

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO AI FIGLI

Assegno di mantenimento al minore: non pagarlo rimane reato anche senza stato di bisogno

Corte di Cassazione penale, sesta Sezione, sentenza n. 27175, 13 giugno 2018

Il nuovo art. 570 bis c.p., introdotto dal D.lgs. n. 21/01 marzo 2018,

Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli

sanziona con le pene previste dall’art. 570 la “violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio”; fra queste rientra la violazione degli obblighi di natura economica nei confronti dei figli. www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/3/22/18G00046/sg

Contestualmente sono state abrogate le previgenti disposizioni penali contenute nella legge sul divorzio (art. 12 sexies, L. n. 898/01.12.1970) e nella legge n. 54/8.02.2006 (art. 3).

In caso di omesso mantenimento del minore, il reato sussiste anche se il minore non versa in stato di bisogno?

Con la sentenza in epigrafe, la Suprema Corte chiosa il rapporto tra l’art. 12 sexies l. 1 dicembre 1970, n. 898 e l’art. 570 bis c.p., nonché tra quest’ultimo e l’art. 570 c.p., in riferimento all’ipotesi di inadempimento dei provvedimenti emessi dall’Autorità Giudiziaria in sede di scioglimento del matrimonio e concernenti gli obblighi di assistenza patrimoniale dei genitori, nei confronti dei figli minori.

In particolare, nella vicenda in questione, la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza con cu il Tribunale aveva condannato N.A. alla pena di tre mesi di reclusione ed €. 400 di multa per il reato di cui all’art. 12 sexies l. n. 898/1970, in quanto lo stesso si era sottratto al pagamento dell’assegno mensile di mantenimento di €. 450 e della somma corrispondente al 50% delle spese mediche straordinarie documentate, così come disposto dalla sentenza di scioglimento del matrimonio, emessa il 7/01/2004 dal Tribunale di Milano.

N.A. impugnava la sentenza emessa dalla Corte territoriale, deducendo i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 570 c.p. e vizio di motivazione, in quanto la Corte non avrebbe adeguatamente motivato sullo stato di bisogno della minore, ma lo avrebbe dedotto unicamente dalla circostanza che il nonno materno le avesse assicurato, nel corso del tempo, un contributo economico;

2) violazione di legge in riferimento agli artt. 187 e 192 c.p.p., non essendo stata raggiunta la prova della concreta capacità economica dell’obbligato;

3) violazione di legge in ordine alla determinazione della pena, atteso che la Corte di merito aveva applicato congiuntamente la pena detentiva e quella pecuniaria, in contrasto col dettato normativo degli artt. 12 sexies l. n. 898/1970 e 570 c.p. e con l’evoluzione ermeneutica ad essi relativa.

Con la pronuncia de qua, la Suprema Corte accoglie il ricorso limitatamente al terzo motivo, dichiarando infondati i primi due, sulla scorta delle seguenti considerazioni.

Preliminarmente, occorre rammentare che il D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, in vigore dal 6 aprile 2018, in attuazione della c.d. “riserva di codice”, sancita dall’art.1, comma 85, lett. q), L. 23 giugno 2017, n. 103 (Legge Orlando), ha introdotto nell’ordinamento penale l’art. 570 bis c.p.

Giova precisare al riguardo che il D.Lgs. n. 21/2018, come emerge chiaramente anche dalla sua relazione illustrativa, si propone di riorganizzare la disciplina penale in modo organico e sistematico, conferendo in tal guisa effettività alla menzionata “riserva di codice”, attraverso la traslazione diretta nel Codice Penale di talune norme incriminatrici, già presenti nell’ordinamento, ma disseminate nella normativa complementare, senza introdurne di nuove.

In tale prospettiva si colloca l’inserimento nel corpus codicistico dell’art. 570 bis c.p., che, lungi dal tratteggiare una nuova fattispecie criminosa, ripropone quanto già disposto precedentemente dall’art. 12 sexies l. n. 898/1970, e dall’art. 3 L. 8 febbraio 2006, n. 54 (in materia di affidamento condiviso dei figli di genitori separati) dei quali infatti è sancita l’abrogazione, a opera dell’art. 7 D. Lgs. n. 21/2018, nel quadro del menzionato riassetto legislativo.

Proprio in virtù della sostanziale sovrapponibilità degli elementi costitutivi degli artt. 12 sexies L. n. 898/1970 e dell’art.3 L. n. 54/2006 con quelli dell’art. 570 bis c.p., la Suprema Corte rileva la piena continuità tra le fattispecie, ai fini della successione delle leggi penali nel tempo, disciplinata dall’art. 2 c.p.

D’altra parte, invece, appare del tutto evidente la profonda diversità strutturale tra il paradigma normativo di cui all’art. 570 c.p. e quello ex art. 570 bis c.p., che si riverbera conseguentemente sull’individuazione e delimitazione dei rispettivi ambiti operativi.

Infatti, mentre la giurisprudenza più risalente aderiva a un approccio ermeneutico unitario all’art. 570 c.p., considerando le ipotesi di cui al comma 2 come aggravanti del reato base previsto dal comma 1, di contro gli arresti ormai consolidati del Giudice di legittimità individuano nella norma de qua due distinte fattispecie criminose: la prima nell’art. 570, comma 1 c.p., che sanziona alternativamente con la reclusione fino a un anno o con la multa da €. 103 a €. 1.032, chi si sottragga agli obblighi di assistenza che la legge fa discendere dallo status di coniuge o di genitore; e la seconda nel successivo comma 2, che prevede l’applicazione congiunta delle suddette pene per chi, alternativamente, malversi o dilapidi i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge, ovvero faccia mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore o inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, che non sia legalmente separato per sua colpa.

Ne deriva, con tutta evidenza, che l’alveo in cui si collocano le ipotesi fattuali riconducibili al comma 1 dell’art. 570 c.p. sia diverso e più ampio, rispetto a quello di cui al comma 2, in primis in quanto il comma 1 si riferisce alla violazione di obblighi assistenziali di qualsivoglia natura, e non solo di carattere patrimoniale, et ante omnia perché prescinde dall’accertamento della <mancanza dei mezzi di sussistenza> in capo al coniuge, al figlio minore o inabile al lavoro, ovvero agli ascendenti, quale conseguenza della condotta omissiva del reo, con riguardo alla previsione ex art. 570, comma 2, n. 2 c.p.

Ulteriormente diverso è l’ambito operativo del delitto omissivo proprio ex art. 570 bis c.p., sia perché concerne un inadempimento successivo allo scioglimento, alla cessazione degli effetti civili o alla nullità del matrimonio, e non posto in essere in costanza di coniugio (come invece prevede l’art. 570, comma 1 c.p.), sia perché la novella legislativa fa discendere l’integrazione del delitto dalla mera violazione degli obblighi specificamente patrimoniali, derivanti da una delle situazioni testé indicate, o comunque previsti in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.

Proprio per la diversità strutturale tra l’art. 570 e l’art. 570 bis c.p. la Suprema Corte esclude l’applicabilità della prima norma alla vicenda in questione, con conseguente declaratoria di infondatezza della doglianza concernente la sua violazione da parte della Corte territoriale nella sentenza impugnata.

Infatti, come evidenziato, è l’art. 570 bis c.p. che prende il posto degli abrogati artt. 12 sexies L. 898/1970 e 3 L. 8 febbraio 2006, n. 54, in piena continuità strutturale con gli stessi per espressa volontà del legislatore, e non l’art. 570 c.p.

Ne consegue l’irrilevanza di ogni accertamento in ordine alla carenza dei mezzi di sussistenza in capo alla figlia minore, a seguito degli omessi versamenti patrimoniali da parte del padre.

Gli Ermellini rilevano, altresì, l’infondatezza del secondo motivo, dedotto nel ricorso avverso la sentenza resa in appello, non solo perché, secondo l’insegnamento ormai granitico della Suprema Corte, devono considerarsi idonee a spiegare piena efficacia probatoria le dichiarazioni rese dalla persona offesa, quante volte esse siano connotate da attendibilità soggettiva e oggettiva (nel caso di specie, la figlia di N.A. aveva dichiarato di aver verificato personalmente sia che il di lei padre nel periodo in questione aveva prestato lavoro presso l’impresa di cui era titolare la sua nuova compagna, sia l’elevato tenore di vita del genitore, in virtù delle retribuzioni conseguite, e la Corte di merito ne aveva dedotto, tramite logiche inferenze, la capacità contributiva dell’obbligato), ma soprattutto in considerazione del fatto che <compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è tuttavia quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.>.

Meritevole di accoglimento, perché fondato, risulta invece il terzo motivo di doglianza, con cui viene contestata l’irrogazione congiunta della pena detentiva e di quella pecuniaria, a seguito dell’accertamento della penale responsabilità di N.A. per il reato omissivo proprio, previsto dapprima ex art. 12 sexies L. 898/1970 e successivamente dall’art. 570 bis c.p.

Come accennato, il Supremo Collegio riconosce piena continuità tra l’abrogato art. 12 sexies L. n. 898/1970 e l’art. 570 bis c.p., per l’evidente sovrapponibilità strutturale delle due fattispecie.

Com’è noto, alla stregua dell’art. 2, comma 4 c.p., qualora vi sia continuità tra due norme penali succedutesi nel tempo, occorre applicare al fatto commesso prima della novella normativa la lex mitior, id est quella che, con riguardo al profilo sanzionatorio, meglio persegua il principio del favor rei.

Nel caso di specie, tuttavia, l’interprete è esonerato da tale indagine, atteso che entrambe le norme rinviano alla pena prevista dall’art. 570 c.p.

Invero, tale considerazione solo apparentemente risolve la questione dell’esatta individuazione della pena applicabile, dal momento che l’art. 570 c.p., come innanzi illustrato, prevede due distinti trattamenti sanzionatori, ossia l’applicabilità della reclusione fino a un anno o, alternativamente, della multa da €. 103 a €. 1.032 per le ipotesi di cui al primo comma, e, invece, l’applicazione congiunta delle due specie di sanzione menzionate, detentiva e pecuniaria, ai fatti riconducibili al paradigma del secondo comma.

Sulla corretta interpretazione di tale rinvio quoad pœnam, con riferimento all’art. 12 sexies L. 898/1970, si erano già espresse in passato le Sezioni Unite (Cassazione penale, 30 gennaio 2013, n. 23866, Rv. 255269), che tenendo in debita considerazione l’evoluzione giurisprudenziale diacronica, che aveva riguardato l’art. 570 c.p., avevano infine aderito all’opzione ermeneutica secondo cui detto rinvio fosse riferito solo alle pene previste alternativamente dal comma 1 dell’art. 570 c.p., escludendone, dunque, l’applicabilità congiunta.

Valorizzando la sovrapponibilità strutturale e la continuità temporale tra l’art. 12 sexies L. 898/1970 e l’art. 570 bis c.p., la Suprema Corte, nella pronuncia in commento, richiama le considerazioni già articolate dalle Sezioni Unite nel mentovato arresto, ed estende la portata di tale approccio ermeneutico anche al rinvio quoad pœnam che la novella normativa ex art. 570 bis c.p. opera nei confronti dell’art. 570 c.p., concludendo anche in questo caso per l’applicabilità solo alternativa, e giammai congiunta, della pena della reclusione fino a un anno o della multa da €. 103 a €. 1.032.

In forza di tali motivazioni, il Collegio annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla pena della multa, che elimina, e rigetta il ricorso nel resto.

Giovanni Giliberti Altalex 2 agosto 2018. Sentenza

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Assegno di mantenimento: art. 570 bis Cp non si applica ai figli di genitori non coniugati

Tribunale di Treviso, sezione penale, sentenza n. 554, 08 maggio 2018

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Con l’introduzione dell’art. 570 bis c.p. è stato abrogato, ma non sostituito l’art. 3 della legge 54/8 febbraio 2006. Invero, l’indicazione contenuta nell’art. 570 bis c.p., che fa espresso riferimento al “coniuge” che viola l’obbligo di mantenimento posto dal giudice civile in favore dei figli, non consente l’applicazione dell’articolo predetto rispetto a genitori non coniugati, le cui violazioni del dovere di assistenza familiare saranno però punibili penale, ai sensi dell’art. 570 c.p. Così stabilisce la sentenza del Tribunale di Treviso.

Il Tribunale di Treviso viene chiamato a decidere in merito alla sussistenza o meno della penale responsabilità di un padre che aveva omesso di versare la somma stabilita dal giudice civile a titolo di contributo al mantenimento del proprio figlio. Il giudice di merito, in particolare, si interroga su quale sia la corretta qualificazione giuridica della condotta in contestazione alla luce delle recenti modifiche legislative.

L’imputato aveva intrecciato una relazione sentimentale e di convivenza con una donna e, nel corso di tale convivenza, era nato un figlio. Successivamente il rapporto con la donna era entrato in crisi e per questa ragione le parti erano comparse avanti al Tribunale civile per definire le condizioni di affidamento del figlio minore.

Nel 2014 il Tribunale adito aveva affidato in via condivisa il figlio minore ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre, ed aveva disposto che il padre versasse la somma mensile di euro 200,00 al mese a titolo di contributo al mantenimento, oltre al 50% delle spese straordinarie.

Il provvedimento del Tribunale, oggetto di reclamo, era stato poi confermato dalla Corte d’Appello.

A fronte dell’obbligo posto dall’Autorità Giudiziaria, l’imputato non aveva mai versato la somma dovuta, fatta eccezione per euro 150 corrisposti nel 2017. Per questo motivo la madre del minore aveva presentato la denuncia da cui si era originato il procedimento penale a carico dell’imputato.

Il giudizio veniva celebrato con rito ordinario e, una volta aperto il dibattimento, si procedeva ad acquisizione documentale, all’escussione del teste indicato dal Pubblico Ministero ed all’esame dell’imputato.

L’imputato si difendeva dall’accusa rivoltagli sostenendo di non avere mai lavorato in modo regolare dal 2014 e che quando aveva potuto aveva dato del denaro al figlio e gli aveva comprato dei regali. Aggiungeva, inoltre, che in alcune occasioni aveva anche dato del denaro in contanti alla moglie, ma non era in grado di dimostrare ciò essendo privo di ricevute.

Dopo aver sentito le conclusioni delle parti, il giudice di prime cure si ritirava per deliberare e pronunciava infine sentenza di condanna.

In primo luogo, il Tribunale si sofferma su una questione di diritto quale, ovvero chiarisce quale sia la corretta qualificazione giuridica dei fatti oggetto del procedimento.

Infatti, il reato originariamente contestato all’imputato era quello previsto dall’art. 3 della legge 54/2006, che è però stato abrogato con l’introduzione dell’art. 570 bis c.p.

Il giudice di prime cure evidenzia che l’art. 570 bis c.p. prevede che le pene indicate nell’art. 570 c.p. si applichino al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, cessazione degli effetti civili o nullità del matrimonio o che comunque violi gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.

Ad avviso del giudicante questa fattispecie, indicando espressamente il “coniuge” come destinatario del precetto, non è configurabile nei confronti di genitori non sposati come nel caso in esame.

Infatti, per quanto la giurisprudenza avesse in precedenza riconosciuto che la fattispecie di cui all’art. 3 della legge 54/2006 sussistesse anche nell’ipotesi di omesso versamento della somma fissata dall’Autorità Giudiziaria per il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio a seguito della cessazione di un semplice rapporto di convivenza tra i genitori, in modo da garantire che non vi fossero disparità nella tutela della prole in base al solo fatto di essere nata o meno in costanza di matrimonio e da uniformarsi ai principi dettati dall’art. 337 bis c.c. che estende anche ai figli naturali le disposizioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, il tenore letterale dell’art. 570 bis c.p., di fatto, non consente equiparazioni tra genitori coniugati e non coniugati.

Invero, il riferimento specifico ai “coniugi”, assente nel previgente art. 3 della legge 54/2006, rappresenta un limite ineludibile, non potendo essere consentita una applicazione analogica della norma in malam partem.

Ciò premesso, il giudice di merito passa a verificare se l’abrogazione dell’art. 3 della legge 54/2006 abbia determinato una vera e propria depenalizzazione o se comunque la violazione delle obbligazioni economiche fissate dal giudice civile in materia di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio mantenga una connotazione di illiceità penale.

Il Tribunale di Treviso, sul punto, giunge alla conclusione che la condotta del genitore non coniugato che non corrisponde l’assegno di mantenimento a favore del figlio minore nato fuori dal matrimonio integri il reato di cui all’art. 570, comma 1 c.p., ovvero, laddove sia contestata anche la circostanza di avere fatto mancare i mezzi di sussistenza, quello di cui all’art. 570, comma 2 n. 2 c.p.

Al riguardo viene evidenziato che, da un lato, il soggetto attivo del reato di cui all’art. 570 c.p. è il genitore senza ulteriori specificazioni, giacché la norma è posta a tutela della famiglia in senso ampio e non solo di quella fondata sul vincolo del matrimonio, e, dall’altro, che la violazione degli obblighi di assistenza materiale nei confronti del figlio ben si può realizzare attraverso la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento fissato dal Tribunale civile.

Per le ragioni di cui sopra il giudicante modifica l’imputazione in sentenza, precisando altresì che la variazione dell’imputazione dal reato di cui all’art. 3 della legge 54/2006 al reato di cui all’art. 570 comma 1 c.p. (non essendo stata contestata l’aggravante di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza) non comporti violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, in quanto risultano immutate le condotte contestate in fatto e la riqualificazione giuridica è avvenuta nel rispetto del contraddittorio e non a sorpresa.

Su quest’ultimo aspetto in sentenza viene evidenziato come la diversa qualificazione giuridica rappresentasse un epilogo prevedibile del giudizio, circostanza testimoniata anche dalle argomentazioni difensive esposte in sede di discussione dal patrono dell’imputato.

Chiariti tutte le questioni sopra indicate in punto di diritto, in punto di fatto il giudice di prime cure giunge alla pronuncia di condanna in ordine al reato di cui all’art. 570 comma 1 c.p. ritenendo provate in giudizio le condotte contestate all’imputato.

Infatti, da un lato, sono pacifici i mancati pagamenti delle somme dovute a titolo di mantenimento in assenza di documentazione comprovante eventuali versamenti e, dall’altro, risultano del tutto infondate le argomentazioni difensive volte ad affermare l’incapacità dell’imputato di far fronte alle proprie obbligazioni.

In particolare, in merito a quest’ultimo aspetto, il giudice di prime cure rileva che lo stesso imputato nel corso del suo esame, aveva ammesso di avere lavorato negli ultimi quattro anni e che la capacità economica dello stesso fosse altresì dimostrata dal fatto che questi fosse in grado di pagare regolarmente un affitto.

Inoltre, precisa ancora il giudicante che la responsabilità non possa essere esclusa né attenuata in ragione del fatto che l’imputato avesse provveduto ad acquistare beni a favore del figlio, essendo pacifico che il soggetto obbligato a corrispondere il mantenimento non abbia la facoltà di sostituire la somma di denaro stabilita dal giudice civile con cose o beni che, a suo avviso, meglio corrispondano alle esigenze del minore.

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ASSEGNO DIVORZILE

Divorzio: Che rischia la moglie che non ha mai voluto lavorare

Corte di Cassazione civile, Sezioni unite, n. 18287, 11 luglio 2018

www.miolegale.it/sentenze/cassazione-civile-sez-unite-18287-2018

Casalinga non per scelta condivisa con il marito ma per volontà della donna: quali le ricadute sull’assegno di mantenimento? Tu e tua moglie siete sposati da qualche anno. Prima del matrimonio lei faceva progetti sul proprio futuro lavorativo: fresca di laurea, ti aveva promesso che avrebbe cercato un’occupazione confacente alla propria preparazione ma che, anche in assenza di questa, si sarebbe accontentata di qualsiasi offerta. In questo modo avrebbe contribuito al ménage familiare. Cosa che però non è mai avvenuta. Al contrario è rimasta sempre a casa, crogiolandosi col fatto che il tuo stipendio è già sufficiente a mantenervi. Indossate le pantofole, insomma, non le ha più tolte. Ora ti chiedi cosa succederebbe se tu e lei un giorno doveste separarvi. Il colmo sarebbe doverle pagare anche l’assegno di mantenimento perché disoccupata. Disoccupata non certo per tua volontà che più volte le hai detto che un lavoro non si trova dal divano ma inviando curricula o studiando per un concorso. Insomma, se lei ha fatto la casalinga non si tratta di una scelta condivisa. Non hai alcuna intenzione di rompere il matrimonio per il momento, tuttavia ti chiedi ugualmente che rischia la moglie che non ha mai voluto lavorare, in caso di divorzio.

Purtroppo, per quanto arretrato possa sembrare, non sono poche le famiglie dove le donne scelgono di badare alla casa e fare le casalinghe più per opportunità che non per una scelta condivisa con il marito. Il ruolo di madre, beninteso, è sacro e sicuramente più nobile di qualsiasi altro impegno; ne è consapevole anche la legge che lo tutela e lo antepone anche ai diritti dell’eventuale datore di lavoro. Ma proprio perché la maternità è tutelata in tutte le sue forme non dovrebbero più esserci pregiudizi nello svolgere il doppio ruolo di madre e di dipendente o professionista.

Non è, tuttavia, nostro interesse entrare in questa sede in discussioni di carattere sociale che, peraltro, possono risentire dei tempi, dei luoghi, delle condizioni economiche e sociali delle famiglie. Ciò che ci interessa è verificare cosa dice la legge in caso di divorzio e cosa rischia la moglie che non ha mai voluto lavorare.

La soluzione è in un piccolo inciso spesso ripetuto dalla giurisprudenza della Cassazione e, di recente, enfatizzato dalle Sezioni Unite in una pronuncia dell’11 luglio 2018. Al momento del divorzio il giudice deve prima decidere se assegnare o meno alla ex moglie l’assegno di mantenimento (in realtà si chiama assegno divorzile). Dopo aver fatto questa valutazione passa poi a definirne l’ammontare concreto secondo alcuni parametri stabiliti in parte dalla legge e in parte dai precedenti giurisprudenziali.

Per tutelarsi l’uomo dovrebbe registrare i litigi in casa. Nel caso della donna disoccupata, secondo la Cassazione, intanto le spetta il mantenimento in quanto non sia più giovane e capace di procurarsi da sola un’altra occupazione. Visto che la durata del matrimonio è uno degli indici che influiscono sull’ammontare del mantenimento, possiamo ben dire che in un matrimonio durato pochi anni, dove entrambi i coniugi non superano 35 anni, ben difficilmente la donna – seppur senza lavoro – potrà sperare di ottenere gli alimenti. La donna casalinga giovane è ancora capace, in teoria, di rendersi autonoma e autosufficiente. A meno che non dimostri, nella causa di divorzio, di essersi data animo nel cercare un posto, ad esempio inviato il curriculum o iscrivendosi alle liste di collocamento.

Diverso è il discorso per la donna casalinga che ha superato i 50 anni di età. Qui gli indizi sono invece contro il marito. Si presume infatti che la moglie abbia rinunciato a un impiego solo per favorire l’uomo. Con il suo lavoro domestico ha consentito a quest’ultimo di “spingere l’acceleratore” sulla propria carriera.

Ecco che allora il giudice deve valutare il ruolo che ha avuto la donna nell’incremento del patrimonio familiare. In buona sostanza, se la moglie ha fatto la casalinga, pur non portando soldi a casa ha ugualmente contribuito alla ricchezza del marito: non tanto evitando che questi spendesse soldi in baby sitter e domestiche quanto garantendogli di potersi dedicare al lavoro e alla carriera. Insomma, se l’uomo ha uno stipendio più alto è perché ha potuto fare gli straordinari, perché non è stato costretto a un part time per accudire i figli nel pomeriggio, perché ha potuto spendere gran parte della giornata sulla propria attività.

C’è però un inciso molto importante e di cui tenere conto. Il giudice, nel momento in cui valuta il «contributo fornito dalla moglie al patrimonio familiare» (ossia per quanto tempo ha fatto la casalinga rinunciando al proprio guadagno) deve anche verificare se tale circostanza è il frutto di una scelta condivisa tra i coniugi. In questo inciso c’è la spiegazione al problema legale dal quale siamo partiti. Se infatti l’uomo dovesse riuscire a dimostrare nel c 23 settembre 2018 orso del processo – ma la prova è tutt’altro che facile – che la propria moglie non ha mai voluto trovare un impiego nonostante le sollecitazioni ricevute dal coniuge, per lei il mantenimento sarebbe a rischio. Si aprirebbe cioè la porta ad una valutazione di non meritevolezza dell’assegno.

La prova – lo ribadiamo – è tutt’altro che facile. Non certo l’uomo invierà una raccomandata di diffida alla donna, né chiamerà testimoni che ascoltino la lite familiare ove lui la spinge a cercarsi un lavoro. Sono fatti riservati, che si consumano nell’intimità dell’abitazione. E in assenza di prove è come se nulla fosse avvenuto.

Se il marito fosse previdente, dovrebbe registrare ogni conversazione intrattenuta con la moglie su questo tema. Un comportamento quasi maniacale ma che forse gli garantirebbe qualche margine di vittoria.

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Calcolo dell’assegno di mantenimento

Assegno divorzile e di mantenimento: cosa hanno detto i giudici in merito agli alimenti da versare all’ex coniuge. La moglie deve dimostrare di non aver trovato un lavoro.

In caso di separazione o divorzio non è possibile sapere in anticipo, prima cioè della sentenza definitiva del tribunale, quanto si dovrà pagare per il mantenimento dell’ex moglie. Questo perché nessuna legge fissa dei criteri oggettivi e matematici per la determinazione di tale importo. Anche i numerosi software di calcolo dell’assegno di mantenimento che si trovano online non possono essere considerati attendibili visto che lo stesso giudice non ha elementi predeterminati nel quantificarne l’esatto ammontare, ma è libero di muoversi all’interno di una forbice più o meno ampia secondo quelle che sono le sue convinzioni personali, il caso concreto e, soprattutto, alcune linee guida fissate dalla giurisprudenza. Proprio la giurisprudenza ha fissato, nel tempo, alcuni elementi sulla base dei quali è possibile stimare il calcolo dell’assegno di mantenimento da corrispondere all’ex coniuge. Per essere ancora più precisi bisognerebbe poi informarsi sui precedenti emessi in precedenza dal tribunale competente. I giudici di uno stesso luogo, infatti, sono soliti seguire una medesima linea di pensiero in tutti i processi in modo da non dar vita a sperequazioni. In alternativa ci si può affidare alle pronunce della Cassazione che sono – o meglio, dovrebbero essere – un faro per i casi analoghi.

Chi vuol sapere qual è il calcolo dell’assegno di mantenimento resterà quindi deluso nel sapere che nessun avvocato potrà mai dirgli, con certezza matematica, quale somma dovrà corrispondere all’ex moglie. Di certo si può presumere che tale importo difficilmente supererà la metà dello stipendio di chi lo versa anche in presenza di figli e che tanto più breve è stato il matrimonio tanto minore sarà l’assegno. Vengono inoltre trattate diversamente le coppie ove la moglie è giovane da quelle in cui ha già superato i 50 anni. Ed ancora, maggior tutela viene data alla donna disoccupata per aver a lungo svolto, d’accordo col marito, le attività di casalinga e badato ai figli rispetto alla moglie con un proprio lavoro (seppur part time) o comunque con una formazione tale da consentirle di trovare un impiego.

Non in ultimo vengono in considerazione eventuali proprietà immobiliari che possono costituire una fonte di sostentamento per l’ex coniuge senza un’occupazione.

In questo articolo cercheremo di capire come fare il calcolo dell’assegno di mantenimento e su quali elementi il giudice deve decidere. A favorirci in questo difficile compito sono due recentissime sentenze della Cassazione che hanno stravolto tutta la materia con riferimento al divorzio (la separazione invece è rimasta immutata rispetto al passato).

La Cassazione Civile prima sezione civile, Sentenza n. 11504, 10 maggio 2017

www.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2017/05/11/11504.pdf

Corte Suprema di cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 18287, 11 luglio 2018

Cass. S.U. sen. n. 18287 dell’11.07.2018; Cass. Sent. n. 11504 del 10.05.2017.www.remidafamiglia.com/media/media/pdf/2018/sezioni-unite-sentenza-11-luglio-2018-n18287-assegno%20divorzio.pdf

Quando spetta l’assegno di mantenimento? Per prima cosa si deve fugare un equivoco in cui spesso si cade. Il mantenimento non è una sanzione addossata al coniuge responsabile della fine del matrimonio, colui cioè a cui il giudice ha addossato il cosiddetto addebito, ossia la colpa. Il mantenimento serve solo a compensare eventuali sproporzioni di reddito.

Risultato: l’assegno all’ex scatta anche se non c’è addebito ossia se né il marito, né la moglie sono colpevoli per la fine dell’unione. Ad esempio: Mario e Giovanna si separano perché non vanno più d’accordo o perché l’uno dei due ha confessato all’altro di non amarlo più. Mario guadagna 2mila euro al mese e Giovanna è disoccupata. Mario verserà il mantenimento a Giovanna.

Al contrario, anche in presenza di addebito può non esserci un mantenimento. Ad esempio Mario tradisce Giovanna. Mario guadagna 2mila euro al mese e Giovanna 1.800. In questo caso Mario non dovrà versare alcun mantenimento visto che non c’è disparità di reddito. Se però a tradire fosse stata Giovanna, disoccupata e senza reddito, costei non avrebbe diritto al mantenimento. Questo perché chi subisce l’addebito non può mai chiedere l’assegno.

L’addebito – ossia la dichiarazione, da parte del giudice, della responsabilità per la fine del matrimonio – scatta solo quando vengono violati i tre fondamentali doveri del matrimonio: assistenza, convivenza, fedeltà. Ad esempio subisce l’addebito chi va via di casa in modo definitivo (non è causa di addebito l’assenza per qualche giorno per una pausa di riflessione). Subisce l’addebito chi picchia o umilia il coniuge, chi lo tradisce o chi gli fa mancare i viveri. La moglie che si dedica allo shopping e, contrariamente alle richieste del marito, non vuole lavorare, dilapidando le risorse comuni, può subire l’addebito: essa infatti viola l’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia. Allo stesso modo dicasi per il marito sempre ubriaco o che spende i soldi dello stipendio al gioco delle carte o al gratta e vinci. C’è addebito a carico di chi lascia il coniuge da solo a casa nonostante sia malato e bisognoso di assistenza; ecc.

Sintetizzando, il diritto all’assegno di mantenimento spetta solo se:

  • Si possiede un reddito significativamente più basso dell’ex;

  • Non si ha, a proprio carico, l’addebito al termine della causa di separazione.

Come avviene il calcolo dell’assegno di mantenimento. La Cassazione ha detto che, per stabilire l’ammontare del mantenimento da versare all’ex coniuge è necessario procedere a due valutazioni:

  • Prima si deve verificare se sussiste il diritto al mantenimento;

  • Una volta accertata la sussistenza del diritto al mantenimento, bisogna quantificare il relativo ammontare sulla base di una serie di variabili.

Rispettando gli iter logici che fa il giudice per determinare il calcolo del mantenimento percorriamo anche noi questi due passaggi, iniziando ovviamente dal primo: quando c’è diritto all’assegno di mantenimento?

Come stabilire se spetta l’assegno di mantenimento? La prima verifica che compie il giudice, come abbiamo detto, mira ad accertare se spetta l’assegno di mantenimento. In questa fase vengono valutati i due elementi che abbiamo prima indicato:

  • La differenza di redditi tra i due coniugi: il coniuge che chiede l’assegno di divorzio deve dimostrare la mancanza di indipendenza economica;

  • L’eventuale dichiarazione di addebito a carico di quello più “povero”.

Se c’è una sproporzione evidente tra i due redditi e il richiedente non ha subito l’addebito, il giudice procede alle verifiche successive.

Si passa ad accertare l’età del richiedente: il coniuge giovane, anche se disoccupato, non ha diritto al mantenimento in quanto si presume capace di trovare un lavoro per rendersi indipendente economicamente. Egli tuttavia può sperare nell’assegno se dimostra di essersi dato da fare nel cercare un’occupazione, ad esempio inviando il proprio curriculum e iscrivendosi nelle liste dei disoccupati. Senza questa prova, non basta dimostrare di essere senza lavoro per ottenere il mantenimento.

Viceversa, la donna di età avanzata (circa 50 anni) che ha dedicato una vita al ménage domestico, e che quindi ha fatto la casalinga e ha accudito i figli, ha diritto al mantenimento. Difatti è proprio grazie al suo lavoro in casa che il marito è riuscito a concentrarsi sulla carriera e ad incrementare il proprio reddito; di tale incremento la donna deve partecipare anche dopo lo scioglimento del matrimonio con l’assegno di mantenimento.

In ultima analisi viene valutata l’eventuale convivenza stabile con un nuovo partner: se il coniuge con il reddito più basso inizia una nuova relazione, instaurando una famiglia di fatto, perde il diritto al mantenimento.

Come quantificare l’assegno di mantenimento. Una volta accertata la sussistenza del diritto al mantenimento, il giudice ne determina l’ammontare. Qui subentra la discrezionalità di ogni singolo magistrato.

Secondo la Cassazione a rilevare nel calcolo dell’assegno di mantenimento sono:

  • Spese a carico del coniuge che versa il mantenimento: ad esempio il pagamento di un mutuo sulla casa assegnata all’ex moglie o la necessità di pagare un fitto o un secondo mutuo per l’abitazione ove vivere; la sussistenza di un nuovo nucleo familiare e di un altro figlio ottenuto da una nuova compagna, ecc.

  • Benefici di cui dispone il coniuge che riceve il mantenimento: se questi ha ottenuto l’assegnazione della casa, l’immobile costituirà già una ricchezza di cui tenere conto (questi non dovrà infatti pagare un affitto o un finanziamento); eventuali aiuti economici erogati sistematicamente dai genitori; ecc.

  • Redditi del coniuge beneficiario: poiché il mantenimento mira a rendere il coniuge beneficiario autosufficiente dopo il matrimonio, se questi dispone già di un proprio reddito, seppur da solo insufficiente a campare, di esso si terrà conto nella quantificazione del mantenimento;

  • Proprietà immobiliari o mobiliari del coniuge beneficiario: se chi chiede il mantenimento è titolare di immobili o di azioni societarie, tali beni fanno reddito e quindi vanno a diminuire o ad azzerare l’assegno dell’ex;

  • La durata del matrimonio può influire enormemente sull’assegno di mantenimento. Visto infatti che va dato peso «al contributo fornito dall’ex coniuge alla formazione del patrimonio comune e personale» (il caso della casalinga), tanto più il matrimonio è durato poco tanto inferiore è stato questo contributo, per cui decresce anche il mantenimento. Bisogna evitare il rischio di creare rendite di posizione disancorate al contributo personale fornito dall’ex coniuge;

  • Le potenzialità reddituali future delle parti.

Il giudice, quindi, deve accertare subito l’eventuale squilibrio creato dal divorzio, tenendo presente che lo scioglimento del vincolo deteriora le condizioni di vita del coniuge meno abbiente.

Vanno dunque prodotte in prima battuta le dichiarazioni dei redditi e gli altri documenti fiscali degli ex coniugi. Per stabilire poi se il richiedente ha diritto all’assegno divorzile il giudice del merito deve «adottare un criterio composito», ma sempre «alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali».

La legge per tutti 17 settembre 2018

www.laleggepertutti.it/238753_calcolo-dellassegno-di-mantenimento

 

Nuovo assegno di divorzio: considerazioni tecniche

La dottrina prevalente sino a qualche anno fa riteneva che la funzione dell’assegno divorzile fosse quella di porre rimedio ad una situazione di squilibrio tra le due parti e ciò indipendentemente da uno stato di bisogno. Il legislatore del 1987 intervenne per fissare come criterio fondamentale per il riconoscimento dell’assegno divorzile quello “dei mezzi adeguati al proprio sostentamento”. Successivamente, per circa 30 anni, il riconoscimento e la quantificazione dell’assegno divorzile sono stati modulati facendo riferimento ai concetti di “mezzi adeguati” e di “conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio”.

Nel 2017 la nota sentenza della Corte di Cassazione n. 11504, 10 maggio 2017 stravolse il concetto di “natura assistenziale” dell’assegno fissando nuovi criteri di determinazione dello stesso. La Corte facendo leva anche sui cambiamenti socio – culturali e sul principio di autoresponsabilizzazione dei coniugi sanciva l’essenzialità del criterio dell’autosufficienza, scardinando quello del mantenimento del pregresso tenore di vita. Pertanto, ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile, secondo gli Ermellini il compito principale del giudice di merito avrebbe dovuto essere la valutazione della mancanza, in capo al coniuge richiedente l’assegno, di mezzi adeguati o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica dello stesso, desunta dai principali indici del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione.

A distanza di un anno è intervenuta la sentenza resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n.18287, 11 luglio 2018, che ribadisce la natura strettamente assistenziale dell’assegno di divorzio affiancando due ulteriori criteri ossia quello perequativo e compensativo.

L’applicazione di tali principi è aderente ai principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà che non devono venir meno al momento dello scioglimento del matrimonio specie in riferimento alle unioni di lunga durata dove, come spesso accade, un coniuge fa delle rinunce, anche di natura professionale, per consentire all’altro una migliore carriera ed un maggiore sviluppo in ambito economico e lavorativo. In questa ottica l’assegno divorzile è teso a compensare il sacrificio del coniuge debole. Si tratta di valutare quelle situazioni di squilibrio economico che sono conseguenza diretta proprio delle scelte di vita compiute in accordo durante il matrimonio.

Con la sentenza n. 18287 si arriva all’elaborazione di un criterio “composito”, in base al quale i giudici chiamati a decidere sul diritto all’assegno divorzile dovranno tenere conto di una serie di fattori, da valutare caso per caso, in modo da comprendere i reali motivi della asserita “debolezza” del coniuge richiedente e della eventuale sua mancanza di autosufficienza economica.

Ove una situazione di squilibrio economico tra gli ex coniugi esista realmente, il Tribunale dovrà prima accertare l’effettiva difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro per l’età e le condizioni del mercato del lavoro ma sarà chiamato anche a ricostruire la storia familiare al fine di valutare se le scelte della famiglia e soprattutto del coniuge “più debole” hanno comportato una perdita per quest’ultimo di chance o di prospettive di crescita economica che ci si poteva legittimamente attendere tenuto conto del livello culturale e del contesto sociale del richiedente l’assegno e in genere della famiglia.

La natura e l’entità del contributo del coniuge debole è frutto di decisioni comuni, adottate in sede di costruzione della comunità familiare. Tali decisioni «costituiscono l’espressione tipica dell’autodeterminazione e dell’autoresponsabilità sulla base delle quali si fonda…la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio». Lo scioglimento del vincolo matrimoniale incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità della vita familiare. Solo attribuendo rilevanza alle scelte e ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare si può accertare in concreto se la condizione di squilibrio economico venuto a crearsi a seguito dello scioglimento del vincolo sia da ricondurre alle scelte comuni e ai ruoli endofamiliari che ciascun coniuge ha scelto di attribuirsi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente l’assegno.

Assegno di divorzio: il nuovo principio di diritto. Pertanto, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento della inadeguatezza dei mezzi o comunque della impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma (art. 5, comma 6, L. 898/1970) i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico -patrimoniali delle parti, del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durate del matrimonio e all’età dell’avente diritto».

Questi i principi ai quali si dovranno necessariamente attenere per il futuro i giudici di merito.

Matteo Salvini News Studio Cataldi 17 settembre 2018

www.studiocataldi.it/articoli/31829-nuovo-assegno-di-divorzio-considerazioni-tecniche.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 29, 19 settembre 2018

  • Mamma-papà, giochiamo insieme? Un breve e garbato video sull’infinito desiderio dei bambini di poter stare con mamma e papà. A fare che cosa? Ma a giocare, naturalmente… Meno di tre minuti per pensarci un po’ meglio – e magari anche per commuoversi un po’.

www.youtube.com/watch?v=6dJbCL2KABA

  • Divorzio e affido dei figli. Una nuova legge perché la vecchia ha fallito. E’ in discussione in Commissione Giustizia al Senato un nuovo testo di legge (presentato dal sen. della Lega Simone Pillon) che riguarda l’affido dei figli dopo separazione e divorzio. Bisognava intervenire poiché il recente testo del 2006 è stato un fallimento: troppi, da una parte, gli affidi concessi di fatto solo alle madri e dall’altra ancora troppi i padri che si sottraggono al mantenimento economico dei figli

Commento del direttore Cisf, Francesco Belletti

www.famigliacristiana.it/articolo/divorzio-e-affido-dei-figli-una-nuova-legge-perche-la-vecchia-ha-fallito.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_19_09_2018

  • Max Planck Institut (Rostock, Germania). Progetto Europeo “LIFEINEQ – Lifespan inequalities: Why ages at death vary between countries and socioeconomic groups (LIFEINEQ)” [vai alla pagina web – inglese] (Disuguaglianze nella durata della vita: perché la mortalità varia tra Paesi e tra gruppi socio-economici). Il progetto di ricerca (2017-2022) intende verificare modalità e cause delle differenti speranze di vita che si riscontrano tra i vari Paesi. In particolare il progetto LIFEINEQ ha quattro principali obiettivi di ricerca: 1) quantificare il contributo del diminuzione della mortalità prematura e in età anziana alle disuguaglianze di durata di vita; 2) individuare le età e le cause di morte che si collocano al di fuori dei normali modelli di mortalità; 3) analizzare lo sviluppo di tali disuguaglianze nei vari gruppi socio-economici; 4) misurare l’impatto delle differenze individuali di comportamento sulle disuguaglianze nella durata di vita.

www.demogr.mpg.de/en/laboratories/lifespan_inequalities_5318/details.htm

  • Fondazione Nazionale Carlo Collodi. E’ in partenza la seconda edizione del progetto scuola di narrativa di Fondazione Nazionale Carlo Collodi “Pinocchio e i suoi Personaggi In Cerca D’Autore” che invita gli alunni a sperimentare la narrativa nell’ideazione di una nuova avventura per Pinocchio e tutti i personaggi della favola. Partecipare è semplicissimo: basta compilare ed inviare la scheda d’adesione per prenotare l’invio del kit didattico presso l’istituto, all’interno del kit ci sarà tutto il necessario per “costruire” la storia in classe. La rappresentazione della storia è libera (testo, e-book, video, libro, disegni, ecc…). Il kit, così come la partecipazione al concorso, è totalmente gratuita, inoltre sono previsti premi per le classi finaliste. www.pinocchio.it/scuola

  • Save the date

  • Nord Dialoghi per il benessere a scuola Il progetto Family St.A.R.: un’esperienza innovativa, Università Cattolica, Milano, 17 ottobre 2018.

www.familystar.it/pdf/Definitivo_Locandina%20A3%20Dialoghi%20per%20il%20benessere%20a%20scuola.%20Il%20progetto%20Family%20St.A.R.%20un’esperienza%20innovativa-1.pdf

  • Stati generali dell’educazione – giornata conclusiva, evento promosso da Comune di Genova Agenzia per la Famiglia, Genova, 22 settembre 2018.

www.comune.genova.it/sites/default/files/upload/programma_stati_generali_delleducazione.jpg

www.legiornatedibertinoro.it/wp-content/uploads/2018/08/GdB2018_Programma-Provvisorio.pdf

  • Centro Gratuità e solidarietà per la Famiglia. Da 20 anni in cammino, incontro promosso dal Forum Toscano delle associazioni per i diritti della famiglia, Firenze, 28 settembre 2018.

www.forumfamiglie.org/wp-content/uploads/2018/09/forum-toscana.pdf

  • Sud Politiche per la disabilità: le sfide davanti a noi, promosso da Welforum.It-Osservatorio nazionale sulle politiche sociali, Bari, 27 settembre 2018.

https://welforum.it/wp-content/uploads/2018/09/seminario-disabilità-WF-2018-prog-provv-2.pdf

  • Disabilty Walking, marcia-evento di solidarietà promosso da Forum delle Famiglie di Basilicata, Rotary Potenza “Torre Guevara” e Associazione Culturale “Un passo Avanti”, Ponte San Vito II Potenza, 23 Settembre 2018.

www.forumfamiglie.org/2018/09/13/disability-walking-23-settembre

  • Estero Raising Standards in Children Services: Engaging with the New Inspection Framework (Migliorare gli standard dei servizi per l’infanzia: come interagire con il nuovo sistema di vigilanza), promosso da Public Policy Exchange, Londra, 10 ottobre 2018.

www.publicpolicyexchange.co.uk/media/events/flyers/IJ10-PPE_flyer.pdf

www.amilcare.ch/data/notizie/documenti/d1da28ff95dc908df51558f92eb1fff9.pdf

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/settembre2018/5091/index.html

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CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA

Corso Quadriennale in Sessuologia Clinica e Seminari

La Scuola del Centro Italiano di Sessuologia, in collaborazione col Servizio di Sessuologia del Dipartimento dell’Università di Bologna, attiva anche per l’anno accademico 2018/2019 il Primo Biennio del Corso Quadriennale in Sessuologia Clinica.

www.cisonline.net/wp-content/uploads/2017/06/CisCorsiLeaflet2018-v2018.pdf

Il corso avrà inizio il giorno 23 novembre e si svolgerà come di consueto a Bologna, presso il Villaggio del Fanciullo, Via Scipione dal Ferro, 4.

Possono iscriversi coloro che sono in possesso dei titoli di studio e professionali compatibili con gli obbiettivi educativi del percorso formativo e con le disposizioni legislative in materia di abilitazione all’esercizio professionale. (Art. 3 del Regolamento.) In particolare quindi sono ammessi i laureati in Psicologia, in Medicina e Chirurgia, in Scienze della Formazione, Scienze Sociali o titoli equipollenti e altri operatori della salute (Assistenti sociali, Ostetriche, Assistenti sanitari, Infermieri, Consulenti, Mediatori Familiari, ecc…). e.mailscuolacisbo@cisonline.net

Inoltre sono ammessi a partecipare come uditori, in un numero non superiore a 1/10 degli iscritti, anche cultori della materia previo colloquio di ammissione. I corsi verranno attivati con un numero minimo di 12 iscritti e massimo di 30. www.cisonline.net/scuola-di-sessuologia/corsi/formazione-in-sessuologia-clinica

La programmazione e la struttura teorica generale del Corso e la conduzione dei gruppi sono affidate ai collaboratori del Prof. Giorgio Rifelli(Fondatore della Scuola): Dott.ssa Maria Cristina Florini, Dott.ssa Giada Mondini, Dott.ssa Gabriella Rifelli, Dott. Tiziano Tagliavini.

Gli aspetti teorici specifici sono trattati dai docenti: Dott.ssa Cinzia Artioli, Dott. Stefano Bernardi, Dott.ssa Annamaria Capponcelli, Dott. Michele Frigieri, Dott. Nicola Ghidini Dott.ssa Margherita Graglia, Dott.ssa Luisa Mancini, Dott.ssa Marta Panzeri, Prof. Giovanni Rocchi, Dott.ssa Anna Tampelli, Dott.ssa Stefania Valanzano.

 

Seminari patrocinati dal CIS

con modulo d’iscrizione– ingresso libero;

www.cisonline.net/wp-content/uploads/2018/05/Depliant-131018.pdf

www.cisonline.net/wp-content/uploads/2018/09/Volantino.pdf

https://www.cisonline.net

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CHIESA CATTOLICA

La benedizione e l’autorità. A Palermo papa Francesco delude i piccolo-borghesi

La visita a Palermo e Piazza Armerina di papa Francesco ha suscitato qualche apprensione a causa di una “benedizione libera” che il papa ha riservato ai giovani, alla fine dell’incontro con loro. Li ha salutati improvvisando parole di benedizione, con autorità.

Come già era accaduto in altri casi – per la lavanda dei piedi in carcere o per gli incontri ecumenici – il “tradizionalista” (o almeno quello che crede di essere tale) lamenta la libertà del papa rispetto alla rubrica. E facilmente cade nella trappola di pensare che il papa sia troppo incline ad “abusi” liturgici. Perché non “recitare la solenne benedizione papale” e ricorrere a parole improvvisate sul momento? Tanto più che il papa le ha giustificate con la “identità non solo cattolica” dell’uditorio? Un papa che così appare – a costoro – rinunciare alla identità cattolica per compiacere il mondo!

In realtà papa Francesco sa bene che cosa è la tradizione, diversamente dai suoi critici piccolo-borghesi, che pretendono di ridurre il papa ad un “controllore dell’ordine pubblico ecclesiale”. Per Francesco “confermare nella fede” non è anzitutto “ripetere un repertorio sacro”, ma “dar voce alla inquietudine di ogni cuore”. Questa è la più antica funzione del pastore, che noi rischiamo di confondere con un “controllore di abusi”. Questa deformazione ci viene dagli ultimi secoli, che, per contrapposizione, rischiano di interpretare il papa con un “modello napoleonico”. Il “capo” deve dare il buon esempio: e il buon esempio è, per i piccolo-borghesi, non permettersi alcuna libertà.

Ma Francesco sa che il papa, come ogni vescovo e ogni padre, deve essere capace di “benedire” liberamente. Proprio la benedizione, che è il livello più elementare di relazione con Dio, quello che “non chiede niente a nessuno”, deve restare un linguaggio libero e sciolto. Posso benedire una barca, posso benedire una stalla, posso benedire uomini e donne, giovani e anziani, santi e peccatori. Senza chiedere niente. Non ci vogliono certificati, carte di identità, registri firmati, stati di grazia: nulla. La benedizione è “parola prima e ultima”, senza condizioni. Trattare la benedizione come se fosse una “messa” – ossia trattare il gesto più esterno come se fosse l’atto più intimo – significa aver perso la libertà interiore con cui la Chiesa sa di avere un centro e una periferia, un linguaggio da iniziati e uno da appassionati e tanti registri diversi, con regole diverse e interlocutori diversi.

Chi critica Francesco, perché si permette di “inventare una benedizione”, è talmente sordo e cieco rispetto alla tradizione, da pensare che “benedire” equivalga a leggere su un testo una formula di benedizione. Abbiamo un repertorio alto e solenne e guai se non ne attingiamo riccamente. Ma esso resta grande solo se ci dà la ispirazione per “benedire” in ogni lingua e in ogni registro. Francesco lo ha fatto tante volte. Già la sera della elezione ha improvvisato con autorità. Ma come dimenticare quando, seduto di fronte a Shimon Peres, in Israele, ha improvvisato un “nuova beatitudine” per rendere grazie della accoglienza ricevuta?

Questa libertà di Francesco è vera autorità. La avevamo dimenticata, preoccupati da una urgenza di “controllo”. Essa è fedele alla antica coscienza ecclesiale, che sa, ormai da molti decenni, che “celebrare” non è anzitutto “ripetere un repertorio e osservare norme”. Lo dice con chiarezza anche “Sacramentum Caritatis” (ai nn. 38 e 40), la Esortazione apostolica sulla eucaristia, che sa come “ars celebrandi”, l’arte del celebrare, debba passare dalla scrupolosa osservanza di tutte le rubriche (tipica del ritus servandus) alla attivazione di tutti i linguaggi che caratterizzano la actuosa participatio. Francesco, con il gesto benedicente che ha chiuso l’incontro con i giovani, ha indicato una importante via di attuazione della Riforma liturgica.

Bisogna rassegnarsi: Francesco non è un papa piccolo-borghese. Non deve quindi stupire che scandalizzi i commentatori che vorrebbero come papa lo stereotipo prevedibile di pontefice rassicurante per borghesi piccoli piccoli. Che non vogliono essere “confermati nella fede”, ma solo rassicurati “in ciò che loro pensano si debba credere”. E su questo Francesco non li rassicura affatto.

Andrea Grillo blog: Come se non 17 settembre 2018

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-benedizione-e-lautorita-a-palermo-papa-francesco-delude-i-piccolo-borghesi

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

L’accoglienza di bambini in stato di abbandono nel mondo: Strumenti giuridici a confronto

Firenze, 19 ottobre 2018 Istituto degli Innocenti Salone Brunelleschi –

Ore 10-13 14-17

  • Saluti Istituzionali

  • Apertura dei lavoriLaura Laera, Vice-Presidente Commissione per le adozioni internazionali

 

  • Sessione primaNuovi strumenti di accoglienza. Coordina: Istituto degli Innocenti

  • Le prospettive dell’adozione internazionale oggi: uno sguardo comparativo

Cristina Gonzales Beilfuss, professore di Diritto internazionale Università di Barcellona

  • Strumenti giuridici a tutela di bambini e adolescenti fuori famiglia

Joelle Long, ricercatrice, Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Torino

  • Nuove prospettive negli interventi a favore di minori inseriti nei programmi solidaristici di accoglienza

Stefania Congia, dirigente, Direzione dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione

  • L’accoglienza di bambini stranieri: aspetti psico-sociali

Rosa Rosnati, professore ordinario presso Università Cattolica del Sacro Cuore

  • Domande programmate

 

  • Sessione seconda Tavola rotonda: Le nuove sfide dell’adozione internazionale: il punto di vista della comunità internazionale. Coordina: CAI

  • Nigel Cantwell, Esperto indipendente, Consulente sulle politiche di protezione dei minori

  • Ignace Ntawembarira, Autorità Centrale del Burundi

  • Kibri Hailu Abay, Autorità Centrale dell’Etiopia

  • Antonio Ferrandis Torres, Autorità Centrale di Madrid

 

  • Sessione terza Tavola rotonda: Le nuove sfide: il punto di vista degli operatori. Coordina: CAI

  • Maria Francesca Pricoco, Presidente AIMMF e Presidente Tribunale per i Minorenni di Catania

  • Antonio Mazzarotto, Direzione regionale salute e politiche sociali della Regione Lazio

  • Grazia Ofelia Cesaro, Avvocato, Unione Nazionale Camere Minorili

  • Pietro Ardizzi, Coordinamento Oltre l’adozione

  • Monya Ferritti, Coordinamento CARE

www.commissioneadozioni.it/media/161289/idi_conv-intern_180911.pdf

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2018/save-the-date-firenze-19-ottobre-2018-convegno-l%E2%80%99accoglienza-di-bambini-in-stato-di-abbandono-nel-mondo-strumenti-giuridici-a-confronto-programma.aspx

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CONSULENZA COPPIA FAMIGLIA

Liberarsi dalla violenza. Centro di ascolto per uomini violenti

Il progetto antiviolenza R.I.DON.ARE FUTURO offre anche un centro di ascolto per uomini maltrattanti che trovano il coraggio di raccontare la loro storia e hanno il desiderio di cambiare.

Il primo passo per affrontare le difficoltà e trovare soluzioni è riconoscersi responsabili, questo richiede coraggio e impegno e il lavoro da fare è lungo e faticoso. La violenza è il problema non la soluzione, molti sono i segnali che possono portare alla consapevolezza dei propri errori e la volontà di essere un partner e un padre migliore può spingere a cercare aiuto!

L’intervento sugli uomini, proposto dal progetto, veicola un cambio di prospettiva e culturale con il proposito di affrontare il problema alla radice ponendo sotto la lente di ingrandimento l’uomo violento. «Il sostegno alle donne e ai loro figli, attuato nei nostri centri di ascolto, è certamente necessario ma talvolta rischia di non essere risolutivo; abbiamo quindi affiancato al sostegno alle donne anche un percorso volto al cambiamento di questi uomini», così Fabio Martino, presidente dell’Associazione A Voce Alta e partner del progetto R.I.DON.ARE FUTURO, ci spiega l’esigenza di intervenire sull’uomo violento.

Il progetto mette insieme più realtà associative che si sono mosse nel creare ulteriori reti di collaborazioni.

A tal proposito abbiamo proposto un protocollo di intervento con l’ambulatorio Time Out che nasce dalla collaborazione tra l’ASL di Salerno e l’Associazione A Voce Alta Salerno. Questo ci permette di essere in rete con una struttura sanitaria con tutte le risorse che presenta, ma ci consente anche di scambiare esperienze.

Il servizio di ascolto è attivo, su appuntamento, nelle sedi di Salerno, Angri(SA), S. Maria Capua Vetere (CE), Benevento e Pompei (NA).

Contattaci al numero verde 800661592.

Forum Famiglie Campania 20 settembre 2018

www.facebook.com/associazionifamiliaricampania/photos/a.1004831056276162/1878892602203332/?type=3

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CONSULTORI FAMILIARI ISPIRAZIONE CRISTIANA

Biennale della famiglia. Sanremo

 

www.cfc-italia.it/cfc/index.php/77-federazioni-regionali/regione-liguria/articoli-liguria/433-biennale-della-famiglia

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Rimini. Corsi di formazione accreditati MIUR

Due Corsi proposti a tutti i Docenti di classe e di sostegno:

  1. Affrontare le difficoltà della professione ed acquisire nuovi strumenti: gruppi di supervisione.

Inizio corso: 22 novembre. 2018

  1. Affrontare le difficoltà della professione ed acquisire nuovi strumenti: gruppi di supervisione per insegnanti di sostegno. Inizio Corso: 23 novembre 2018

I Corsi si compongono ciascuno di 25 ore di formazione; sono previste alcune lezioni frontali; si privilegia il lavoro in piccolo gruppo condotto da un formatore psicologo o psicopedagogista formato nella conduzione di gruppo di lavoro con gli insegnanti.

I Docenti saranno accompagnati dai formatori (modalità di tempo disteso), nell’arco dell’anno scolastico 2018-19, nell’affrontare le varie criticità e difficoltà professionali incontrate nelle relazioni in classe/sezione con gli alunni e con i genitori. Acquisiranno migliori strumenti e strategie di gestione relazionale attraverso una metodologia attiva che gli stessi docenti verificheranno sul campo valutandone gli esiti positivi o meno; aggiustando poi le metodologie utilizzate attraverso la supervisione in gruppo con il formatore.

E’ richiesta iscrizione al Corso. E’ spendibile la Carta del Docente.

. Dott.ssa Donatella Pulixi ucipem.formazionedocenti@gmail.com

www.icmarvelli.gov.it/wp-content/uploads/2018/09/Formazione-UCIPEM-Rimini.pdf

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DALLA NAVATA

XXV Domenica del Tempo ordinario- Anno B – 23 settembre 2018

Sapienza 06. 12 [Dissero gli empi:] «Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta.

Salmo 53. 03 Dio, per il tuo nome salvami, per la tua potenza rendimi giustizia.

Giacomo 03. 16 Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.

Marco 09. 35 Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.

 

Commento di Ermes Ronchi OSM. Accogliere Dio in un bambino, il segreto della Vergine Maria

Gesù mette i dodici, e noi con loro, sotto il giudizio di quel limpidissimo e stravolgente pensiero: chi vuol essere il primo sia l’ultimo e il servo di tutti. Offre di se stesso tre definizioni, una più contromano dell’altra: ultimo, servitore, bambino.

Chi è il più grande? Di questo avevano discusso lungo la via. Ed ecco il modo magistrale di Gesù di gestire le relazioni: non rimprovera i suoi, non li giudica, non li accusa, pensa invece ad una strategia per educarli ancora. E lo fa con un gesto inedito: un abbraccio a un bambino. Il Vangelo in un abbraccio, che apre una intera rivelazione: Dio è così, più che onni-potente, onni-abbracciante (Karl Jaspers).

Gesù mette al centro non se stesso, ma il più inerme e disarmato, il più indifeso e senza diritti, il più debole, il più amato, un bambino. Se non diventerete come bambini.

Gesù ci disarma e sguinzaglia il nostro lato giocoso, fanciullesco. Arrendersi all’infanzia è arrendersi al cuore e al sorriso, accettare di lasciare la propria mano in quella dell’altro, abbandonarsi senza riserve (C. Cayol).

Proporre il bambino come modello del credente è far entrare nella religione l’inedito. Cosa sa un bambino? La tenerezza degli abbracci, l’emozione delle corse, il vento sul viso… Non sa di filosofia né di leggi. Ma conosce come nessuno la fiducia, e si affida. Gesù ci propone un bambino come padre, nel nostro cammino di fede. «Il bambino è il padre dell’uomo» (Wordsworth). I bambini danno ordini al futuro.

E aggiunge: Chi lo accoglie, accoglie me! fa un passo avanti, enorme e stupefacente: indica il bambino come sua immagine. Dio come un bambino! Vertigine del pensiero. Il Re dei re, il Creatore, l’Eterno in un bambino? Se Dio è come un bambino significa che va protetto, accudito, nutrito, aiutato, accolto (E. Hillesum).

Accogliere, verbo che genera il mondo nuovo come Dio lo sogna. Il nostro mondo avrà un futuro buono quando l’accoglienza, tema bruciante oggi su tutti i confini d’Europa, sarà il nome nuovo della civiltà; quando accogliere o respingere i disperati, i piccoli, che sia alle frontiere o alla porta di casa mia, sarà considerato accogliere o respingere Dio stesso.

A chi è come loro appartiene il regno di Dio. I bambini non sono più buoni degli adulti, sono anche egocentrici, impulsivi e istintivi, a volte persino spietati, ma sono maestri nell’arte della fiducia e dello stupore. Loro sì sanno vivere come i gigli del campo e gli uccelli del cielo, incuriositi da ciò che porta ogni nuovo giorno, pronti al sorriso quando ancora non hanno smesso di asciugarsi le lacrime, perché si fidano totalmente. Il bambino porta la festa nel quotidiano, è pronto ad aprire la bocca in un sorriso quando ancora non ha smesso di asciugarsi le lacrime. Nessuno ama la vita più appassionatamente di un bambino.

Accogliere Dio come un bambino: è un invito a farsi madri, madri di Dio. Il modello di fede allora sarà Maria, la Madre, che nella sua vita non ha fatto probabilmente nient’altro di speciale che questo: accogliere Dio in un bambino. E con questo ha fatto tutto.

p. Ermes Ronchi Ordine Servi di Maria

www.cercoiltuovolto.it/vangelo-della-domenica/commento-al-vangelo-del-23-settembre-2018-p-ermes-ronchi

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Ancora scontri sull’affido condiviso.

C’è forte discussione attorno al decreto legge cosiddetto Pillon, dal senatore leghista che lo ha presentato. Il Ddl numero 735 tratta la questione dell’affido condiviso e prevede la “bigenitorialità perfetta”: in caso di separazione di una coppia, è il cuore della questione, il mantenimento dei figli, il loro affido, e di conseguenza i costi e il tempo passato con loro, devono essere equamente divisi tra padre e madre.

Dopo l’insurrezione del Pd e di diverse associazione di diritti civili, oggi il Coordinamento italiano per i servizi maltrattamento all’infanzia (Cismai) esprime “viva preoccupazione” per il Ddl 735, “fortemente orientato a tutelare gli interessi degli adulti a discapito di quelli dei bambini”. La presidente del Cismai, Gloria Soavi, segnala i problemi presenti in alcuni punti del testo di legge: “I genitori di prole minorenni che vogliano separarsi devono, a pena di improcedibilità, iniziare un percorso di mediazione familiare”. Il Cismai riconosce la totale inapplicabilità della mediazione nei casi di alta conflittualità tra le parti e nei casi di violenza domestica. Tra l’altro, l’Espresso ha segnalato come lo stesso senatore sia un mediatore familiare e il suo Ddl preveda proprio la creazione presso il ministero della Giustizia di un apposito albo dei mediatori e punti a rendere obbligatorio il ricorso alla mediazione in caso di separazione e divorzio.

Il Cismai segnala ancora come, all’articolo 11, si preveda “il diritto del figlio di trascorrere con i genitori tempi paritetici o equipollenti in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti”. Scrive Soavi: “La divisione a metà del tempo e la doppia residenza dei figli ledono fortemente il diritto dei minori alla stabilità, alla continuità e alla protezione, per quanto possibile, dalle scissioni e dalle lacerazioni che inevitabilmente le separazioni portano nella vita delle famiglie. Questo articolo teorizza la possibilità applicativa della divisione a metà di un figlio, ma questo significa considerare i minori alla stregua di beni materiali. Appare molto grave che a teorizzare questa divisione sia proprio lo Stato che dovrebbe essere, invece, il primo garante della protezione dei bambini”. All’articolo 17 si fa riferimento alle situazioni in cui il figlio manifesta il rifiuto di vedere un genitore e si prevedono in ogni caso sanzioni all’altro genitore. “Pur sapendo che situazioni di manipolazione dei minori da parte di un genitore esistono, appare altamente lesivo dei diritti del minore supporre che il suo rifiuto di incontrare un genitore sia comunque da imputare al condizionamento dell’altro. Il minore ha il diritto di rifiutarsi di mantenere un rapporto con un genitore che sia in vario modo inadeguato o lo abbia esposto a situazioni di violenza domestica”.

Della questione si è parlato oggi in Senato, dove si è incontrato per la prima volta l’intergruppo parlamentare (con eletti di Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega, Idea Noi per l’Italia e Movimento Cinque Stelle). Massimo Gandolfini, leader del Family Day, dice: “Negli incontri che vanno avanti da mesi, animati anche dal Family Day, abbiamo potuto rilevare che molti parlamentari di quasi tutti i partiti sono sensibili a questi argomenti e vogliono difendere e promuovere le istanze più profonde dell’antropologia umana, per il benessere dei bambini e della famiglia”.

La Repubblica online 18 settembre 2018

www.repubblica.it/cronaca/2018/09/18/news/le_associazioni_di_tutela_dei_minori_decreto_pillon_toglie_diritti_ai_figli_-206759931/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P9-S1.8-T1

 

Ddl Pillon: una trappola per le donne e un pericolo i bambini

Sul fronte del diritto di famiglia e della tutela dei diritti delle donne e dei minori, quello che sta per arrivare si annuncia come un autunno impegnativo. Il 10 settembre 2018 scorso è infatti arrivato sul tavolo della Commissione Giustizia il disegno di legge Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità, noto come Ddl Pillon dal nome del suo primo firmatario, fervente antiabortista e in passato tra gli organizzatori del Family Day.

In apertura il testo fa un doveroso richiamo al contratto di governo; cui segue un lungo preambolo che prima cita il giurista Arturo Carlo Jemolo e poi srotola i punti nevralgici dell’annunciata riforma:

  1. Mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni;

  2. Equilibrio tra le figure genitoriali e tempi paritari;

  3. Mantenimento in forma diretta senza automatismi;

  4. Contrasto dell’alienazione genitoriale.

Ventiquattro articoli che hanno la pretesa di riscrivere le regole su un terreno scivolosissimo, con una spinta all’indietro a dir poco vertiginosa. Le critiche, trasversali, non si sono fatte attendere. E intanto, nella seduta del 12 settembre 2018 – proprio per la complessità e la delicatezza della materia – il gruppo per le Autonomie, il gruppo misto, LeU e il Partito Democratico hanno chiesto e ottenuto che l’esame del disegno di legge avvenga in plenaria. La decisione evita che il dibattito sia condotto in una sede ristretta, quale quella della Sottocommissione per i pareri.

Già a guardare il primo dei criteri ispiratori della novella – quello che dall’art. 1 al 5 introduce la mediazione civile obbligatoria in presenza di prole minorenne e la nuova figura del coordinatore genitoriale – sorgono numerose perplessità.

Mentre la novità si traduce, per cominciare, in un oggettivo aggravio di costi a carico delle parti, il profilo senz’altro più spinoso è legato al fenomeno della violenza domestica. La novella impone alla vittima un percorso al di fuori delle aule di tribunale che, non solo costituisce una spesa ulteriore in grado di impedire il più delle volte l’accesso alla giustizia, ma la espone di fatto a nuovi contatti con l’abusante. Quel passaggio – che viola le prescrizioni della Convenzione di Istanbul (Articolo 48 – Divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti o di misure alternative alle pene obbligatorie) – è addirittura stato previsto, come recita l’art. 7 del testo, quale condizione processuale necessaria per ottenere poi la separazione o il divorzio.

Le associazioni non hanno mancato di far sentire la propria voce. I centri antiviolenza vogliono un’audizione in Commissione Giustizia al Senato. Lella Palladino, presidente di D.i.Re-Donne in rete contro la violenza, definisce il Ddl “una trappola in grado di imprigionare le donne, soprattutto quelle più fragili, in relazioni violente, con grave rischio per la loro incolumità e per quella dei minori”.

Anche l’idea di garantire un equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari – prospettiva declinata, com’è, nella forma della perfetta simmetria – lascia perplessi. I minori sembrano infatti tutt’altro che tutelati da un provvedimento che finisce per instaurare una doppia vita: due domicili, due case del tutto speculari, come assolutamente equivalente dovrà essere il tempo trascorso con papà e mamma, non meno di 12 giorni al mese (e 12 notti) con ciascuno dei genitori. Bambini come pacchetti postali. E ciò a prescindere dalle peculiarità delle situazioni che, invece, andrebbero vagliate caso per caso. L’attenzione massima pare posta, dal disegno di legge Pillon, alla conservazione e al recupero del rapporto genitore-figlio, seppure in presenza di gravi fatti e correlati pericoli.

Una circostanza va chiarita, prima di proseguire. Bisogna precisare, a favore dei non addetti ai lavori, che questo tentativo di riforma va in realtà a incidere su un terreno già oggetto di un precedente, importante, intervento legislativo. Dal 2006 nel nostro paese l’affidamento condiviso è infatti la regola generale. La sacrosanta parità e la equivalenza dei ruoli; la necessità che il bambino o la bambina stabiliscano e mantengano dei legami di intensità analoga tra il padre e la madre, sono innegabili esigenze e stanno alla base della normativa che ha reso l’affidamento esclusivo un regime del tutto eccezionale.

Ma di ombre, in questo disegno di legge, ce ne sono altre. La CGIL parla di “riforma che si staglia contro le donne e i bambini” chiamando in causa i dati sul gender gap. Il riferimento è al superamento dell’assegno di mantenimento, bollato nel preambolo del disegno di legge come idea antiquata; e alla cancellazione del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare che svuota di contenuto ogni strumento di tutela possibile. La proposta di modifica legislativa indica una forma di mantenimento cosiddetta diretta. Le conseguenze sono evidenti. Graverebbe, se passasse il testo così com’è, su entrambi i genitori un obbligo di accudimento e di cura quotidiani, senza più nessuna contribuzione economica del coniuge più forte in favore di quello economicamente più debole. Ancora una volta, ridotte al lumicino le speranze di una donna senza reddito di mettere fine a un’unione infelice o inadeguata.

I relatori della novella non sembrano insomma essere impensieriti dai dati su occupazione, disoccupazione e inattività femminili, che sono una realtà preoccupante nel nostro paese. Con il nuovo testo salterebbero anche tutte le regole sulla casa coniugale. Nessuna assegnazione, nemmeno in presenza di figli minori, e i rapporti patrimoniali regolati sulla base delle vigenti norme che disciplinano la proprietà e la comunione. E non finisce qui. Fermo il doppio domicilio, il giudice può stabilire che in caso di interesse del minore questi rimanga a vivere con uno dei genitori nella casa familiare. Ciò imporrebbe al coniuge non proprietario un onere che il Ddl dapprima definisce indennizzo e che subito dopo quantifica, parametrandolo al valore commerciale del canone di locazione. Senza assegno e pagando all’ex l’affitto di casa: questa la prospettiva per il coniuge debole con l’idea di separarsi. Ancora in tema di residenza, l’art. 14 del testo modifica il codice civile, disponendo che “è compito delle autorità di pubblica sicurezza, su segnalazione di uno dei genitori, di adoperarsi per ricondurre immediatamente il minore alla sua residenza qualora sia stato allontanato senza il consenso di entrambi i genitori o l’ordine del giudice”.

Altro snodo nevralgico è quello che riguarda l’estensione degli ordini di protezione. L’ipotesi presa in considerazione è quella in cui “il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo a uno dei genitori”. La misura sarebbe applicabile, secondo il nuovo testo, “pur in assenza di evidenti condotte” di uno dei coniugi e potrebbe ben condurre non solo alla inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore ma addirittura al collocamento provvisorio del bambino presso una apposita struttura specializzata. Torna, nel dibattito sulle famiglie che si spaccano, l’ombra della PAS (Sindrome da alienazione parentale), contestatissima tra gli esperti di diritto.

Quanto alle abrogazioni, i relatori del disegno di legge paiono aver lavorato di cesoie. Con l’art. 19 che cancella il secondo comma dell’art. 151 del codice civile, salta anche l’addebito della separazione; nessuna conseguenza pertanto seguirebbe alla violazione dei doveri che derivano dal matrimonio.

Per avere un’idea di come molta parte dei tecnici abbia accolto il testo all’esame della Commissione, basta leggere l’avvocato Gian Ettore Gassani. Il presidente dell’AMI, Associazione matrimonialisti italiani, non salva nulla di questa riforma e sul Corriere della Sera afferma che si sta usando la genitorialità per fare la rivoluzione copernicana del diritto di famiglia.

E così l’Arci, in una nota, annuncia una ferma opposizione e aderisce alla petizione lanciata da D.i.Re contro un testo che “sembra supportare una cultura patriarcale e fascista che, fingendo di mettere al centro la famiglia, tenta di schiacciare la soggettività e la libertà delle donne ancorché dei minori”.

Di certo c’è che l’impianto normativo messo in piedi dal senatore della Lega non soddisfa praticamente nessuno. Anche il Forum nazionale delle Associazioni familiari ha bocciato il progetto. E persino la maggioranza pare, infine, essersi spaccata. Il Movimento 5 Stelle con il proprio capogruppo al Senato, Stefano Patuanelli, ha infatti dichiarato che “è in corso un confronto interno su alcuni aspetti che meritano un approfondimento”. Un modo cauto per dire che bisogna fermarsi a ragionare.

Intanto è stata indetta, per il prossimo 10 novembre a Roma, una mobilitazione generale contro il Ddl.

Newsletter micromega.net 17 settembre 2018

http://temi.repubblica.it/micromega-online/ddl-pillon-una-trappola-per-le-donne-e-un-pericolo-i-bambini

Gian Ettore Gassani: «Troppe donne senza lavoro. Questo tipo di riforma sarebbe davvero sbagliata»

Avvocato Gian Ettore Gassani, lei di divorzi e di affidi ne ha fatti davvero molti, come vede questa riforma che è arrivata ieri in Senato?

«Si usa la genitorialità per fare la rivoluzione copernicana del diritto di famiglia».

E quindi non le piace questa rivoluzione?

«Parte da un concetto totalmente sbagliato: l’abolizione dell’assegno di mantenimento».

Perché sbagliato?

«Proviamo a fare un esempio? Il 45% delle donne nel Sud del nostro Paese non ha un lavoro: cosa devono fare se si separano e hanno pure un figlio? Ma non è soltanto questo».

Cos’altro?

«Ci sono padri che anche volendo non possono tenere i figli per la metà esatta del tempo, come vorrebbe questa riforma dell’avvocato Pillon. E quindi anche in questo caso l’abolizione dell’assegno di mantenimento non ha alcuna logica».

E cosa ne pensa della figura del mediatore familiare?

«Che proprio non si può mettere come obbligatoria la mediazione familiare».

E perché?

«Ma perché ci sono almeno il 20% delle separazioni che hanno risvolti di tipo penale: cosa vuoi mediare in questi casi. Ci sono vicende che non sono minimamente risolvibili, che non si possono mediare. Non dimentichiamoci che la violenza in famiglia è la prima causa di morte».

Non c’è nulla che salva di questa riforma dell’affido condiviso?

«Non credo, questa è stata posta come una battaglia di genere di padri contro padri. E tra l’altro non tiene nemmeno conto delle nuove famiglie, dove ci sono due madri o due padri».

Al. Ar. Corriere della sera 11 settembre 2018

https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/18_settembre_11/gian-ettore-gassani-troppe-donne-senza-lavoro-questo-tipo-riforma-sarebbe-davvero-sbagliata-83ef47d4-b58a-11e8-827a-b1abf87e7dca.shtml?refresh_ce-cp

Divorzio e affido dei figli. Una nuova legge perché la vecchia ha fallito

Arriva alla discussione in Commissione Giustizia del Senato il disegno di Legge n. 735, “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”, e il dibattito subito si infiamma. Il tema è scottante, interessa migliaia di famiglie, e intercetta una condizione familiare particolarmente complessa: la separazione di due coniugi, soprattutto quando in essa sono implicati anche i figli minori. Proprio per questo l’iniziativa del Senatore Pillon ha certamente almeno due meriti: in primo luogo ha riportato al centro del dibattito pubblico il tema delle relazioni familiari e del sostegno alle famiglie che si separano, troppo spesso dimenticato o peggio banalizzato; in secondo luogo ipotizza un intervento organico di modifica di norme e meccanismi giuridici e amministrativi che oggettivamente stanno funzionando in modo altamente insoddisfacente.

Del resto, la legge istitutiva di separazione e divorzio è del 1970, e quindi non dovrebbe sorprendere l’esigenza di metterci mano. Ma i progressivi interventi apportati si sono concentrati fondamentalmente su una progressiva deregulation, accorciando tempi, semplificando procedure, con poca attenzione alle sofferenze relazionali e alle molte criticità. Anche un intervento importante, la legge 54 del 2006, che voleva introdurre un maggiore equilibrio tra i coniugi nelle esercizio della genitorialità, attraverso la priorità attribuita all’affidamento condiviso, dopo oltre dieci anni di applicazione mostra già moltissime crepe, mancando clamorosamente l’obiettivo: di fatto oggi la stragrande maggioranza degli affidamenti, anche di molti formalmente “condivisi”, riguarda le madri, mentre sono davvero troppi i padri separati tenuti distanti dai propri figli. Peraltro, sul versante opposto, rimangono frequenti le denunce di assegni non versati e di madri separate con i propri figli che “fanno fatica ad arrivare a fine mese”. Quindi restare fermi non si può: occorre intervenire.

L’agenda della Commissione giustizia del senato è già affollatissima, e solo in tema di separazione almeno otto progetti di legge sono già stati depositati. Tra questi però solo due intervengono in modo organico (il citato Ddl Pillon e quello di Gallone e altri, di Forza Italia), mentre gli altri sei propongono modifiche su punti specifici – importanti, ma molto circoscritti (pene maggiori per chi non paga l’assegno, il diritto dei nonni alla relazione con i nipoti dopo la separazione, ecc.).

L’attenzione è però giustamente rimasta incentrata sul Ddl Pillon, essendo la proposta di un membro della Presidenza della commissione Giustizia, ed essendo promossa da una forza politica di maggioranza (Lega Nord), ma già con il consenso (la firma) anche di diversi senatori del Movimento 5 Stelle. È quindi una proposta che ha – ragionevolmente – una via privilegiata nell’agenda dei lavori della Commissione, e che ha già conquistato una fortissima attenzione, spesso anche molto pungente, su tutti i media e da parte dei vari soggetti coinvolti sul tema. Sappiamo che molto spesso i disegni di legge attraversando i lavori delle commissioni vengono modificati in modo anche molto significativo, e quindi la discussione oggi in corso non potrà che contribuire a migliorare il testo nella sua versione definitiva. Questo Ddl però, proprio perché organico, ha alcuni punti qualificanti, sui quali conviene esprimere una prima valutazione.

  1. La ricerca e la promozione della “bigenitorialità”. È il punto critico della L. 54/2006, che pure lo aveva come obiettivo. Il Ddl Pillon tenta di offrire un accesso paritario ai figli per entrambi i genitori, con regole vincolanti – quasi matematiche – di parità. Tuttavia questo punto può facilmente diventare “tenta di garantire il diritto di ogni genitore al figlio”, spostando il fuoco dall’interesse del minore, che deve rimanere prevalente, a quello, pur legittimo e pertinente, del genitore non affidatario (in genere il padre). Qui il crinale è sottile, e se è vero che tanti padri sono oggi privati dell’accesso ai propri figli, il tema è conservare al centro il “superiore interesse del minore”. Forse l’ipotizzata uguaglianza obbligatoria, salomonica e numerica (due stanze, due case, almeno dodici giorni di qua e/o di là) non è la soluzione migliore.

  2. La parità tra i coniugi non può determinare automaticamente una doppia residenza dei figli, una paritetica gestione dei tempi, i conteggi prefissati del numero di giorni. Il bambino vive anche di stabilità delle proprie relazioni sociali, di amicizie scolastiche, di vicinato, di un proprio “nido sicuro” (una cameretta, i propri oggetti…), e obbligare per legge i figli ad un pendolarismo periodico tra i due genitori non pare davvero prudente. Meglio restituire a valutazioni “caso per caso” da parte del giudice, se i genitori non trovano un accordo equilibrato, anziché affidarsi a regole rigide di una legge che diventa così “cieca”.

  3. Mediazione familiare obbligatoria: aiutare una coppia a gestire le proprie relazioni durante la separazione prima che intervenga la “sciabola” del giudice è certamente fondamentale. Del resto la mediazione è strumento ormai consolidato, e troppe critiche apparse in questi giorni sembrano un po’ troppo interessate; una buona mediazione familiare è sicuramente utile, e altrettanto sicuramente potrebbe danneggiare qualche professionista che invece nell’alimentare i conflitti può trovare parcelle migliori e maggior protagonismo. Moltissimi avvocati sono preziosi nel gestire i conflitti tra coniugi in modo non distruttivo, ma siamo sicuri che tutti i matrimonialisti lo sono? Sul tema rimane il nodo, drammatico, di coppie già oggi definite “non mediabili”, dove cioè la conflittualità è ormai non più contenibile. E per loro non si può non ritornare alle sentenze e alle indicazioni obbligatorie (ma inevitabilmente caso per caso, ancora una volta) dei tribunali e dei giudici. Ma fare un tentativo di supporto fuori e prima del tribunale con la mediazione può valere la pena.

  4. Innovazione importante: la formalizzazione scritta di un progetto educativo condiviso. In molti innovativi progetti sociali la firma di un impegno scritto e condiviso a seguito di un percorso di riflessione è decisiva nel rimettere in gioco la responsabilità e l’affidabilità delle persone. Quindi questo aspetto rimane prezioso

  5. La cancellazione dell’assegno di mantenimento per i figli e la sua sostituzione con i costi diretti, sostenuti da ciascun genitore. Tema molto controverso (come tutte le questioni di soldi): la proposta del Ddl Pillon tenta di restituire responsabilità diretta e trasparenza a ciascun genitore. Inoltre interrompe il dramma dei ritardi e dei mancati pagamenti. Rischia però di esporre il figlio a due stili di vita molto diversi, in caso di forti disparità tra i genitori. Del resto, l’impoverimento dei genitori separati riguarda sia i padri (quanti a dormire in macchina e alle mense Caritas) e le madri (quante che non arrivano a fine mese perché “non è arrivato l’assegno”). Qualcosa bisognerà pur fare, perché così come è il sistema non funziona (un altro dei Ddl in Commissione Giustizia del Senato prevede ad esempio un “anticipo dell’assegno”, in alcuni casi particolari, con un fondo dedicato presso l’INPS, a conferma dell’esistenza del problema).

  6. Il Ddl Pillon è stato anche accusato di essere “maschilista”, o perlomeno di essere schierato a favore degli interessi dei soli padri. Del resto la legge sull’affidamento condiviso del 2006 proprio su questo ha fallito: doveva generare una stragrande maggioranza di affidamenti condivisi (simmetrici), ma tuttora la stragrande maggioranza delle sentenze dei tribunali affida alle madri una titolarità pressoché esclusiva. Che si debba mettere mano a questo è un dato oggettivo. Che questo debba essere fatto senza diventare uno svantaggio per le madri è una sfida non semplice.

Che dire, in sintesi? Qualche luce e molte ombre, in sintesi. Speriamo a questo punto che l’aspro dibattito già innescato non impedisca di completare un iter parlamentare. Serve sicuramente una nuova regolazione della gestione delle separazioni, capace di proteggere e custodire i diritti di madri, padri e figli. Probabilmente il Ddl Pillon, così com’è, ha ancora molte lacune per perseguire questo obiettivo, e forse i lavori parlamentari e il dibattito innescato nel paese potranno generare, per una volta, un disegno di legge non ideologico, ma capace di “difendere e promuovere la famiglia e le persone al suo interno”, anche quando le relazioni si rompono. Da questo punto di vista la Commissione può – anzi, DEVE – aprire un ampio spazio di dialogo, ascolto, audizioni e consultazioni con la società civile, con le associazioni delle persone separate, con i professionisti del settore. Come del resto anche il Forum delle associazioni familiari ha chiesto esplicitamente. Solo così un intervento di riforma su un tema così delicato riuscirà, armonizzando il più possibile i complessi interessi in gioco, a proteggere prima di tutto il benessere dei figli della coppia che si separa: i soggetti più fragili di questa scelta, quelli che hanno meno voce in capitolo, ma anche quelli che ne riportano le maggiori ferite.

Francesco Belletti, direttore del Cisf (Centro internazionale studi famiglia)

www.famigliacristiana.it/articolo/divorzio-e-affido-dei-figli-una-nuova-legge-perche-la-vecchia-ha-fallito.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_19_09_2018

Commento al disegno di legge Pillon

Premessa

Nella valutazione del disegno di legge 735 (Pillon) intitolato “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità” ho tenuto presenti tre principi fondamentali e attuali del nostro diritto di famiglia che mi sembra opportuno esplicitare immediatamente, anche per giustificare le mie osservazioni critiche e la mia proposta di emendamenti al testo del disegno di legge all’esame dal settembre 2018 della Commissione giustizia del Senato in sede redigente.

  1. Il primo principio che farà da guida alle mie considerazioni è direttamente collegato alle norme costituzionali e specificamente all’art. 29 (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale…” e all’art. 30 (“E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli…”). Da queste indicazioni la cultura giuridica ha sempre tratto il convincimento che l’intervento dello Stato nella vita della famiglia, e perciò il diritto di famiglia, deve rispettare l’autodeterminazione delle persone e il diritto dei genitori di occuparsi dei loro figli, presumendo l’esistenza di competenze genitoriali, non il contrario. Riconoscere questo dato vuol dire accettare e considerare legittima l’intrusione della legge nella famiglia solo ove giustificata da dinamiche familiari disfunzionali e lesive del benessere delle persone. La regola è, quindi, che le persone hanno fino a prova contraria le risorse per risolvere i problemi della loro vita di relazione, mentre l’eccezione è costituita dall’intervento sostitutivo dello Stato (art. 30, secondo comma, della Costituzione: “Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”).

  2. Il secondo principio fondamentale attiene alla “normalizzazione” della separazione e del divorzio; eventi un tempo circondati da disvalore sociale molto intenso (di cui residuano tracce evidenti nel tentativo di conciliazione) ed oggi percepiti e vissuti socialmente come un’evoluzione possibile, ancorché potenzialmente dolorosa, della vita e dell’amore di coppia. I dati statistici attestano che quasi una coppia ogni due va incontro alla separazione e al divorzio. Indipendentemente dal giudizio etico che ciascuno di noi può dare a questo dato, sta di fatto che la separazione e il divorzio in uno Stato necessariamente laico possono legittimamente essere oggetto da parte delle istituzioni non di giudizi di valore (e nemmeno di percorsi di facilitazione) ma di regole sostanziali e procedimentali in grado di garantire di fronte a questi eventi la protezione personale e materiale delle posizioni più deboli e vulnerabili.

  3. Il terzo principio riguarda le prospettive ormai irreversibili di “degiurisdizionalizzazione” nell’ambito del diritto di famiglia (art. 6 e art. 12 del decreto legge 12 settembre 2014, n.132, come modificato dalla legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162) con cui si è andata affermando la piena dignità e la piena legittimità della negozialità in un ambito una volta affollato di soli diritti indisponibili. La legge riconosce oggi ai coniugi e ai genitori il diritto di raggiungere al di fuori della giurisdizione tutti gli accordi che meglio ritengono corrispondenti al loro interesse e a quello dei loro figli, fatta salva la valutazione di corrispondenza dell’accordo al superiore interesse del minore.

Si tratta, quindi, di verificare – per affermarne o meno la plausibilità – se e in quali parti il disegno di legge 735/S rispetti o invece travalichi questi tre principi (diritto delle persone all’autodeterminazione, normalizzazione della separazione e del divorzio; riconoscimento della piena dignità degli accordi e della negozialità in ambito familiare).

La mediazione familiare. Il disegno di legge 735/S rivolge innanzitutto una attenzione specifica alla mediazione familiare alla quale nell’ambito del diritto di famiglia fa oggi fugace riferimento soltanto il secondo comma dell’art. 337-octies del codice civile, nella parte in cui prescrive che il giudice, ottenuto il consenso delle parti, può rinviare l’adozione dei provvedimenti concernenti l’affidamento dei figli minori per consentire che i genitori, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo.

Il disegno di legge si ripromette di colmare, quindi, un vuoto legislativo prospettando nuovi strumenti destinati a regolamentare due diversi ambiti operativi che interessano da un lato l’assetto ordinamentale della mediazione familiare e dall’altro il suo rapporto con le procedure giudiziarie di diritto di famiglia.

  1. Sul primo versante si prevede l’istituzione di un albo nazionale dei mediatori familiari, si prescrivono i requisiti per esservi ammessi, si indicano le funzioni attribuite a tali professionisti (art. 1) nonché gli obblighi di riservatezza e di segreto professionale (art. 2), si regolamenta il procedimento di mediazione familiare (art. 3) e si disciplinano i relativi compensi professionali (art. 4).

  2. Sul secondo versante, invece, si introducono, limitatamente ai procedimenti giudiziari contenziosi (non consensuali) di separazione e di divorzio nonché in quelli che coinvolgono direttamente o indirettamente figli minori: a) il tentativo obbligatorio della mediazione familiare quale condizione di procedibilità del relativo ricorso giudiziale (art. 7); b) l’invio coattivo in sede di udienza presidenziale alla mediazione familiare che non si si sia svolta in precedenza (una vera e propria mediazione familiare delegata: “Il presidente…rinvia il procedimento per un termine massimo di due mesi ordinando alle parti di rivolgersi a un mediatore familiare” ) (art. 8); c) l’invito alla mediazione familiare nei procedimenti di revisione delle condizioni relative all’affidamento in cui “il giudice invita i genitori a intraprendere un percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie” (art. 13).

Segue in www.studiolegalejaccheri.it/2018/09/19/commento-di-gianfranco-dosi-al-disegno-di-legge-pillon

I. La mediazione familiare
a) L’accostamento errato tra mediazione familiare e ADR

b) Mediazione familiare, consenso e autodeterminazione

c) Il tentativo obbligatorio di mediazione familiare come condizione di procedibilità della separazione e del divorzio non è di per sé illegittimo

d) L’obbligo del previo tentativo di mediazione familiare è inopportuno e disfunzionale

e) L’inaccettabile previsione del compito del mediatore di salvaguardare il matrimonio e l’unità della famiglia

f) Quando entra in gioco il mediatore familiare

g) Il procedimento di mediazione familiare

h) Albo o registro dei mediatori familiari?

II. Il nuovo affidamento condiviso

  1. L’affidamento condiviso paritetico

  2. Il mantenimento diretto

  3. La casa familiare

  4. Il doppio domicilio dei figli minori

  5. Il cambio di residenza del figlio

  6. Il rapporto del minore con gli ascendenti e i parenti

  7. L’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento

  8. La revisione delle disposizioni sull’affidamento e sul mantenimento

  9. L’ascolto del minore

III. L’affidamento esclusivo

IV. I figli maggiorenni

V. Il piano genitoriale

VI. Il coordinatore genitoriale

VII. La soluzione delle controversie e i provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni

VIII. Gli ordini di protezione

IX. Disposizioni di natura, civile, penale e processuale

  1. L’abolizione dell’addebito nella separazione

  2. Il reato di violazione degli obblighi di assistenza

  3. Il reclamo al collegio contro i provvedimenti del giudice istruttore

X. Le disposizioni transitorie

XI. Sintesi conclusiva

Propongo qui una sintesi delle mie considerazioni. (19 punti)

  1. Valuto positivamente la parte del disegno di legge in cui si prospetta una regolamentazione ordinamentale (un albo nazionale che vedrei piuttosto come registro nazionale) della mediazione familiare nonché una disciplina giuridica del procedimento e della figura professionale del mediatore familiare (articoli 1-4), potendo un sistema organizzato, con professionisti preparati e formati, garantire a chi affronta la separazione e il divorzio l’opportunità di una negozialità alla quale possa accompagnarsi anche il mantenimento o la ricostruzione di adeguate relazioni interpersonali e genitoriali. In questo sta la funzione sociale della mediazione familiare. Per quanto attiene al procedimento si prevede (facendo, però, confusione tra mediazione familiare ed ADR) un rinvio ad alcune norme del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione civile e commerciale tra le quali, però, anche quelle (del tutto scoordinate dal sistema processuale del diritto di famiglia e che andranno perciò eliminate) che prevedono una omologazione degli accordi da parte di un non meglio individuato tribunale competente per territorio ai sensi del codice di procedura civile. Saranno appositi decreti di attuazione a rendere concrete queste prospettive di riforma. Non è, invece, positivo il giudizio sul modo con cui il disegno di legge tratta i rapporti tra la mediazione familiare e il sistema giudiziario: mi pare del tutto inaccettabile la riproposizione (già in passato suggerita) del tentativo obbligatorio di mediazione familiare quale condizione di procedibilità del giudizio contenzioso (fortunatamente non di quello consensuale) di separazione e di divorzio (articoli 7 e 8). Si tratta di un meccanismo di per sé non illegittimo ma certamente inopportuno soprattutto perché contrario ai principi di autodeterminazione che devono valere a maggior ragione nel diritto di famiglia e disfunzionale rispetto agli obiettivi stessi della mediazione familiare. L’imposizione di un incontro obbligato con il mediatore familiare prima di avviare la separazione legale o comunque l’imposizione di un passaggio che le parti non vogliono o avvertono come non autodeterminato finisce per avere l’effetto contrario di avvalorare la percezione di un’intrusione esterna inaccettabile, di esacerbare il conflitto, di allontanare dalla mediazione familiare. L’accesso alla mediazione familiare in condizione di non autodeterminazione svilisce anche agli occhi degli utenti la mediazione il cui accesso obbligatorio rischierebbe di farla diventare una formalità da digerire al più presto e da lasciarsi quanto prima alle spalle. Insomma una cosa inutile. Anche inaccettabile è l’indicazione tra le funzioni del mediatore familiare (art. 3) d un “obbligo informativo in favore delle parti circa la possibilità di avvalersi della consulenza matrimoniale al fine di salvaguardare per quanto possibile l’unità della famiglia… nel rispetto del miglior interesse del minore”. L’attribuzione al mediatore familiare della funzione di “salvaguardare” il matrimonio è del tutto fuori luogo.

  2. In merito alle proposte sul nuovo affidamento condiviso (art. 11) credo che non si possa non esprimere in linea di massima una valutazione positiva sul principio, sostanzialmente giusto, che non è soltanto la qualità della relazione tra genitore e figli che va salvaguardata dopo la separazione, ma anche la quantità del tempo che genitori e figli trascorrono insieme. Tuttavia, la soluzione, che con il nuovo testo dell’art. 337-ter il disegno di legge propone (“Qualora uno dei genitori ne faccia richiesta e non sussistano oggettivi elementi ostativi, il giudice assicura con idoneo provvedimento il diritto del minore di trascorrere tempi paritetici in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori”) appare oggettivamente ideologica ed eccessivamente rigida. L’imposizione di tempi obbligatoriamente paritetici “in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti”, ancorché condizionata al fatto che non sussistano “oggettivi elementi ostativi” (per esempio per i tempi di lavoro o per le distanze abitative) non può essere una clausola obbligata del piano genitoriale. Un conto è prevedere che i tempi di frequentazione debbano essere tendenzialmente paritari e altro conto è prevedere l’obbligo di tempi paritetici “in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti”. Al piano genitoriale concordato tra i genitori dovrebbe essere lasciata libertà organizzativa nella decisione, caso per caso, sui rispettivi tempi di frequentazione con i figli fatta sempre salva la possibilità, in sede contenziosa, per un genitore di reclamare una parità maggiore di quella a cui l’altro genitore si dichiara disponibile. Quindi in presenza di irragionevoli atteggiamenti ostruzionistici il principio della parità dei tempi può funzionare come principio che deve orientare la decisione del giudice ma questo non può comportare un giudizio di per sé di disvalore su altre modalità organizzative concordate tra i genitori. Del tutto inaccettabile, comunque, è la indicazione di dover garantire necessariamente ai figli “la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti presso il padre e presso la madre”. L’affermazione che costituisce diritto del minore “trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati, paritetici ed equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale” è anch’essa ideologica e frutto di un eccesso di rigidità. E’ vero che non conta solo la qualità della relazione ma anche la quantità del tempo, ma non può ritenersi affatto che altre modalità di organizzazione dei tempi genitoriali siano di per sé contrarie all’interesse del minore. Se, per esempio, la qualità della relazione non è buona, è tutto da dimostrare che possa essere la parità dei tempi a renderla migliore.

  3. In ordine al mantenimento diretto il disegno di legge di riforma (sempre all’art. 11) appare poco convincente nel ribadire non tanto la preferenza quanto la obbligatorietà per la forma diretta del mantenimento. La soluzione prescelta (il giudice stabilisce “la misura e la modalità con cui ciascuno dei genitori provvede al mantenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie che per quelle straordinarie, attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito…”) presenta molti aspetti problematici, il primo dei quali concerne il fatto che il mantenimento diretto nella previsione del disegno di legge non sembra ammettere deroghe negoziali. Anche in caso di accordi di separazione e di divorzio alle parti non viene consentito di derogare a questa modalità (nel nuovo art. 711 c.p.c. si prevede che “I genitori di figli minori devono a pena di nullità indicare nel ricorso il piano genitoriale concordato, secondo quanto previsto dall’articolo 706, sesto comma, del presente codice e dall’articolo 337-ter del codice civile”). Questa rigidità non è giustificabile. Il mantenimento periodico non è qualcosa di contrario all’interesse del minore. E’ semplicemente una modalità diversa di contribuzione che per moltissime coppie appare o potrebbe apparire del tutto confacente alla situazione e ai rapporti tra i genitori e con i figli. Additare perciò il mantenimento diretto dei figli come l’unica forma di contribuzione legittima è del tutto fuori luogo. Il diritto dei genitori di individuare in concreto la modalità che ritengono più opportuna per mantenere i figli deve essere rispettato (art. 30 costituzione). Pertanto l’articolo 337-ter dovrà essere integrato dalla indicazione che in questo ambito sono sempre salvi “accordi diversi” tra i genitori che, nella modalità prescelta, il giudice dovrà rispettare.

  4. Il disegno di legge interviene anche sul tema della casa familiare (art. 14) abolendo l’istituto dell’assegnazione, proponendo che “Il giudice può stabilire nell’interesse dei figli minori che questi mantengano la residenza nella casa familiare, indicando in caso di disaccordo quale dei due genitori può continuare a risiedervi” e prescrivendo anche che il genitore che rimane in casa di proprietà dell’altro o in comproprietà “è comunque tenuto a versare al proprietario dell’immobile un indennizzo”. Le questioni relative alla proprietà o alla locazione della casa familiare verranno quindi risolte, secondo il disegno di legge, in base alle norme vigenti in materia di proprietà e di comunione. In verità l’attuale previsione, secondo cui della permanenza in casa del genitore proprietario, comproprietario o successore nel contratto di locazione “il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori” sembra sufficiente ad eliminare ogni stortura applicativa. Insomma il testo della norma proposto dal disegno di legge pare introdurre elementi di inutile problematicità rispetto alla formulazione attuale dell’art. 337-sexies.

  5. Sulla questione del doppio domicilio dei figli minori (art. 11) e sul cambio di residenza del figlio (art. 14) il disegno di legge suggerisce alcune riforme sostanzialmente accettabili che non danno luogo a mutamenti rivoluzionari.

  6. A tutela del rapporto del minore con gli ascendenti e i parenti il disegno di legge (art. 11) indica condivisibilmente come ammissibile l’intervento anche autonomo dei nonni nei giudizi contenziosi di separazione a tutela del diritto (dei nonni ma anche dei nipoti) alla conservazione di reciproci rapporti significativi anche dopo la separazione dei genitori.

  7. Con riferimento all’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento l’art. 11 del disegno di legge ribadisce la competenza del giudice di merito precisando ragionevolmente nel nuovo ultimo comma dell’art. 337-ter che quando la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori, “le decisioni quotidiane sono assunte dal genitore che in quel momento si trova col figlio minore” (precisazione che il testo attuale rimette, invece alla discrezionalità del giudice).

  8. Il disegno di legge all’art. 13 dedica attenzione anche al tema della revisione della condizioni di separazione e divorzio riformulando in modo apprezzabile il testo dell’art. 337-quinquies con cui si attribuisce al giudice nei casi di conflittualità tra le parti, il compito di invitare i genitori (quindi non obbligandoli) a intraprendere un percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie. In caso di rifiuto o di fallimento della mediazione il giudice, qualora la conflittualità persista, propone alle parti (anche in questo rimettendosi alla loro determinazione) la nomina di un coordinatore genitoriale (nuova figura professionale al quale il disegno di legge dedica l’articolo 5), con il compito di facilitare le parti nel dialogo e nella relazione genitoriale, nell’interesse dei figli minori.

  9. In materia di ascolto del minore il disegno di legge all’art. 16 propone di modificare l’art. 337-octies integrandolo con un comma nel quale si prescrive che l’ascolto del minore deve essere sempre svolto alla presenza del giudice e di un esperto da lui designato; che l’audizione deve essere videoregistrata; che le parti possono assistere in locale separato collegato mediante video e possono presentare domande per mezzo del giudice, con divieto di domande manifestamente in grado di suscitare conflitti di lealtà da parte del minore verso uno dei genitori. In verità l’ordinamento giuridico – dopo la riforma della filiazione del 2012 e 2013 – ha già una disciplina giuridica ben definita sull’ascolto del minore nell’ambito delle procedure giudiziarie che lo riguardano (art. 315-bis c.c. art. 38-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile). Pertanto la modifica dell’art. 337-octies del codice civile si rivela ridondante ed inutile.

  10. Il disegno di legge interviene anche sul tema dell’affidamento esclusivo (ad un solo genitore) che, come è risaputo, è praticabile solo ove l’affidamento condiviso (ad entrambi i genitori) sia contrario all’interesse del minore in relazione a situazioni di grave inadeguatezza genitoriale. E’ questo il dato ormai emergente dalla ultradecennale applicazione dell’istituto. Il disegno di legge di riforma (art. 12) ribadisce la stessa impostazione con il nuovo art. 337-quater c.c. dove si fa anche riferimento (da considerare credo solo esemplificativo) a situazioni tipiche che possono giustificare l’affidamento esclusivo: e cioè la violenza; l’abuso sessuale; la trascuratezza; l’indisponibilità di un genitore; l’inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore. L’art. 337-quater è oggetto di una ulteriore modifica da parte del disegno di legge prevedendosi da un lato l’equivalenza tra affido esclusivo ed esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale “salva diversa disposizione del giudice” e dall’altro che, anche in caso di affidamento esclusivo “salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori…”. Si tratta di due precisazioni (peraltro già presenti nel testo attuale risalente alla legge 8 febbraio 2006, n. 54) che presentano margini di grave ambiguità. Posto, infatti, che le situazioni che rendono necessario l’affido esclusivo sono state selezionate dalla giurisprudenza come situazioni di carattere eccezionale tutte sostanzialmente riconducibili ad una manifesta carenza o inidoneità educativa del genitore, c’è da chiedersi, come sia possibile in questi casi gravi che il giudice possa attribuire l’esercizio della responsabilità genitoriale al genitore escluso dall’affido condiviso e come sia ugualmente possibile che la legge possa assicurare anche al genitore non affidatario il potere di codecisione sulle questioni di maggiore interesse per i figli. Occorre, pertanto, modificare parzialmente il terzo comma dell’art. 337-quater stabilendo il rapporto diretto tra affido esclusivo, esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale e potere di assumere in via esclusiva le decisioni di maggiore interesse per il figlio. Il giudice dovrebbe avere il solo potere di decidere se disporre l’affido condiviso o l’affido esclusivo. Una volta operata la scelta le conseguenze dovrebbero essere per legge l’attribuzione dell’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale e il potere di adottare in via esclusiva le decisioni di maggiore interesse.

  11. Anche le questioni riguardanti i figli maggiorenni sono oggetto di attenzione nel disegno di legge (art. 15) dove si indica in modo del tutto condivisibile la strada dell’accordo tra i genitori quale prospettiva preferenziale rispetto all’intervento del giudice, riscrivendosi appositamente la prima parte dell’art. 337-septies in cui si prevede che “I genitori possono concordare con il figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economicamente un piano genitoriale con le forme di cui ai commi sesto e settimo dell’articolo 337-ter” . Il richiamo in questa disposizione al sesto e al settimo comma dell’art. 337-ter – in cui si prescrive il mantenimento diretto e per capitoli di spesa – impone, però, immotivatamente questa sola forma di contribuzione anche in caso di figli maggiorenni. Non vi è alcuna ragione, né di ordine giuridico né di altro tipo, per limitare la negozialità tra genitori e figlio maggiorenne (introducendo dinamiche tra figli maggiorenni e genitori che potrebbero non essere funzionali al benessere e alla serenità delle rispettive relazioni) che potrà perciò volgersi verso qualsiasi tipo di accordo purché garantisca la effettiva contribuzione. Pertanto va eliminato il riferimento ai commi sesto e settimo dell’art. 337-ter che ingabbiano la negozialità all’interno del mantenimento diretto e per capitoli di spesa. Si stabilisce, poi, che l’“assegno è versato da entrambi i genitori [non, quindi, da un solo genitore] direttamente all’avente diritto, fermi per il figlio gli obblighi di cui all’articolo 315-bis”. E’ importante puntualizzare che secondo il disegno di legge il mantenimento del figlio maggiorenne in sede contenziosa è subordinato alla richiesta del figlio; presupposto che finora non era mai stato indicato essendo sempre stata ritenuta sufficiente la richiesta di uno o di entrambi i genitori. Pertanto il figlio maggiorenne dovrebbe richiedere l’assegno con un intervento ex art. 105 c.p.c. nel processo di separazione o divorzio. Piuttosto radicale è, infine, la modifica che si propone rispetto alla cessazione dell’obbligazione di mantenimento (non alimentare s’intende): nel nuovo testo dell’art. 337-septies si inserisce un ultimo comma in cui si precisa che “nei confronti dei figli maggiorenni cessa ogni obbligo di mantenimento al compimento del venticinquesimo anno di età…”; si tratta di una disposizione del tutto irragionevole non potendosi stabilire a priori un limite valido per tutti i casi. Meglio confidare sul criterio dell’autosufficienza economica da valutare caso per caso seguito fino ad oggi dalla giurisprudenza che meglio rispondono alla esigenza di dare risposte calibrate sulle singole situazioni.

  12. Mi pare positiva l’indicazione per i genitori che si separano o divorziano, ribadita più volte nel disegno di legge (articoli 7, 10, 11, 20), di predisporre un piano genitoriale (un vero e proprio programma educativo) che indichi i luoghi abitualmente frequentati dai figli; la scuola e percorso educativo del minore; eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e formative; la frequentazione parentale e amicale del minore; le vacanze normalmente godute dal minore. La finalità è quella di focalizzare il progetto educativo dei genitori nei confronti dei figli in un documento che possa servire poi da guida e da riferimento in occasione di qualsiasi problema o contrasto che si dovesse in seguito presentare. Il piano genitoriale è redatto dai genitori – con l’aiuto eventuale degli avvocati e del mediatore familiare – e deve essere riportato nel ricorso di separazione consensuale (nuovo testo dell’art. 711 c.p.c.), nel ricorso congiunto di divorzio (nuovo testo dell’art. 4 della legge 898/70), negli accordi di negoziazione assistita (art. 20 del disegno di legge) nonché nei primi atti difensivi dei procedimenti contenziosi (art. 11)

  13. Ugualmente positiva è la valutazione sulla proposta del disegno di legge (art. 5) relativa all’introduzione di una figura professionale nuova, il coordinatore genitoriale, con compiti sostanzialmente di assistenza dei genitori e di monitoraggio (ma anche con funzioni decisionali) nell’attuazione del piano genitoriale. Finora questa funzione era stato soprattutto assicurata da provvedimenti giudiziari di affidamento del minore al servizio sociale, molto spesso disposto nei tribunali in casi di conflittualità genitoriale, che, tuttavia, oltre ad essere un intervento istituzionale di fatto imposto ai genitori, non ha mai dato ottima prova di sé, essendo molto difficile che un servizio pubblico, gravato da molti compiti, possa garantire un’assistenza e un monitoraggio mirato e tempestivo su singoli utenti dei servizi. Da qui l’idea di una figura professionale ad hoc alla quale i genitori possono volontariamente ricorrere, che ha fatto la sua comparsa già in alcuni provvedimenti giudiziari. Il coordinatore genitoriale è un professionista che non ha poteri processuali, poiché il suo obiettivo è risolvere i conflitti al di fuori del processo salvaguardando e preservando una relazione sicura, sana e significativa tra il minore ed entrambi i suoi genitori.

  14. L’art. 709-ter del codice di procedura civile che disciplina la soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni ha assunto negli ultimi anni nel contrasto alle condotte pregiudizievoli verso i figli minori una funzione essenziale. L’obiettivo principale della norma era quello di predisporre un procedimento rapido, di competenza del giudice della causa in corso per la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale, ma il baricentro della disposizione si è spostato nella prassi applicativa ormai più che decennale soprattutto sul secondo comma dove sono previsti i provvedimenti e le sanzioni applicabili in caso di condotte pregiudizievoli, quali per esempio quelle che possono essere causa di alienazione genitoriale. Il disegno di legge (art. 9) aumenta l’importo delle sanzioni pecuniarie ma elimina del tutto irragionevolmente l’ammonizione. Per i casi più gravi dispone che il giudice può disporre anche la decadenza dalla responsabilità genitoriale; precisazione opportuna anche se non sarebbe necessaria in quanto si tratta di un provvedimento che già oggi il giudice potrebbe adottare sulla base del nuovo testo dell’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile.

  15. Un ulteriore tema che il disegno di legge affronta – introducendo con gli articoli 17 e 18 alcune modiche al codice civile – è quello degli ordini di protezione per contrastare le condotte genitoriali che, nel corso del giudizio di separazione o successivamente, si rilevano lesive dei diritti “relazionali” del minore, ostacolandone i rapporti familiari e parentali, e nel caso in cui il figlio minore – evidentemente quale conseguenza dei comportamenti di un genitore – manifesti rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo all’altro genitore. In tali casi il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto non soltanto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 342-ter c.c. (ordine di cessazione della condotta, ordine di allontanamento e provvedimenti di non avvicinamento, l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare o di un centro antiviolenza), ma anche i provvedimenti previsti nel nuovo art. 342-quater che si introduce con il disegno di legge tra i quali “la limitazione o sospensione della sua responsabilità genitoriale” ovvero gli altri “previsti dall’articolo 709-ter del codice di procedura civile”). Quindi la riforma che il disegno di legge propone estende il campo di applicazione degli ordini di protezione ai comportamenti che ostacolano la relazione del minore con un genitore o con altre figure parentali o che causano alienazione genitoriale. Poiché il disegno di legge nulla prevede in materia di competenza potrebbe considerarsi competente il tribunale ordinario in composizione monocratica secondo la disciplina ordinaria degli ordini di protezione. Non ha, però, nessun senso dirottare sul tribunale ordinario attribuzioni che devono rimanere di competenza del giudice della famiglia, nello specifico del giudice competente ad emettere i provvedimenti di cui all’art. 709-ter del codice di procedura civile.

  16. Il disegno di legge prende anche posizione su alcune disposizioni di natura civile, penale e processuale evidentemente ritenute collegate al tema generale di cui si occupa. Così l’art. 19 cancella affrettatamente l’istituto dell’addebito nella separazione senza però risolvere il problema di come evitare che, nonostante la violazione dei doveri matrimoniali, il coniuge colpevole possa anche lucrare un assegno di mantenimento ove sprovvisto di redditi adeguati. L’abrogazione dell’addebito non pare, quindi, assolutamente convincente.

  17. Del tutto ragionevole, invece, è l’abolizione (proposta nell’art. 21) del reato di cui all’art. 570-bis c.p. (Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio) introdotto inutilmente dal decreto Legislativo 1° marzo 2018, n. 21. La norma penale in questione non è di nessuna utilità perché non fa altro che richiamare la norma principale che è l’art. 570 del codice penale, recentemente reinterpretato dalla Sezioni Unite, di cui è sempre stata pacifica l’applicazione rispetto alla violazione di tutte le obbligazioni di carattere economico stabilite in sede di separazione e divorzio anche verso i figli.

  18. Inoltre con l’art. 6 del disegno di legge si aggiunge un terzo comma all’art. 178 del codice civile con il quale si introduce il reclamo al collegio avverso le ordinanze del giudice istruttore nelle cause di separazione e divorzio che, però, benché se ne possano apprezzare le motivazioni garantistiche, non pare destinato a modificare granché l’assetto del processo. D’altro lato anche il reclamo in Corte d’appello avverso le ordinanze presidenziali si è di fatto esaurito quasi solo in un controllo di legittimità del provvedimento con il rigetto piuttosto sistematico delle lamentele di merito.

  19. La norma transitori indicata nell’art. 23 del disegno di legge (“Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della medesima”) dovrebbe prevedere l’applicazione delle nuove norme sulla mediazione e sul coordinatore genitoriale a far data solo dal momento dell’entrata in vigore delle norme di attuazione di cui all’art. 2 comma 2 del disegno di legge, aggiungendo – ai fini dell’applicazione delle altre norme – che, in caso di procedimento di separazione o di divorzio o di affidamento in corso, le parti devono presentare il piano genitoriale indicato nell’art. 337-ter del codice civile all’udienza immediatamente successiva all’entrata in vigore della legge, in modo che il giudice possa subito dopo doverosamente adeguare l’assetto dell’affidamento ai nuovi principi.

Appendice

  1. Tabella di raffronto tra il disegno di legge e il testo delle norme vigenti di cui il disegno di legge propone la modifica

  2. Tabella del disegno di legge con gli emendamenti qui suggeriti

  3. Testo della relazione illustrativa al disegno di legge

Segue in Gianfranco Dosi 19 settembre 2018

www.studiolegalejaccheri.it/2018/09/19/commento-di-gianfranco-dosi-al-disegno-di-legge-pillon

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Un Sinodo in ascolto di tutti i battezzati

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_constitutions/documents/papa-francesco_costituzione-ap_20180915_episcopalis-communio.html

Presentata in Sala Stampa Vaticana l’Episcopalis communio di Papa Francesco. Comunione, collegialità, coinvolgimento e ascolto di tutto il Popolo di Dio, ecumenismo. Sono le caratteristiche e allo stesso tempo le chiavi di lettura della Costituzione Apostolica “Episcopalis communio” di Papa Francesco sulla struttura del Sinodo dei Vescovi, presentata oggi in Sala Stampa Vaticana con gli interventi del segretario generale dell’organismo, il card. Lorenzo Baldisseri, il sottosegretario mons. Fabio Fabene e il prof. Dario Vitali, consultore e ordinario di Teologia Dogmatica nella Pontificia Università Gregoriana.

Sulla scia del Concilio. Rimanendo saldo nella tradizione segnata dal Concilio Vaticano II, “grembo generativo del Sinodo dei Vescovi”, Papa Francesco riconferma il dovere del Collegio episcopale nei confronti delle necessità del Popolo di Dio e della comunione fra tutte le Chiese. “Per Papa Francesco – ha sottolineato il card. Lorenzo Baldisseri – si tratta di riplasmare profondamente tutte le strutture ecclesiali, perché diventino “più missionarie”, cioè più sensibili ai bisogni delle persone, più aperte al nuovo che avanza, più duttili in un’epoca di rapide trasformazioni”.

Fondamentale per il Pontefice, il richiamo al II capitolo di Lumen gentium, la seconda delle quattro Costituzioni dogmatiche del Concilio ecumenico Vaticano II: “Il Sinodo non vive pertanto separato dal resto dei fedeli. Esso, al contrario, è uno strumento adatto a dare voce all’intero Popolo di Dio proprio per mezzo dei Vescovi, costituiti da Dio autentici custodi, interpreti e testimoni della fede di tutta la Chiesa”.

Tutto il Popolo di Dio, nella diversità dei suoi membri, è dunque coinvolto. In virtù di ciò, spiega mons. Fabio Fabene, il Sinodo si trasforma da “evento a processo” in cui tutto il Popolo di Dio è ascoltato e chiamato a farne parte.

Un processo che prevede diverse fasi prima del Documento finale per il quale sono previste alcune novità, come spiegato da mons. Fabene: “Dopo che esso sarà stato approvato dall’Assemblea e offerto al Papa, questi potrà decidere se approvarlo (nel caso ordinario di un’Assemblea di natura consultativa) o ratificarlo e promulgarlo (nel caso straordinario di un’Assemblea di natura deliberativa). In entrambi i casi – prosegue – il Documento finale parteciperà del Magistero Ordinario del Successore diPietro, acquistando dunque una specifica autorità magisteriale”.

Tra gli aspetti più significativi, quello che, in caso di Sinodo con potestà deliberativa, il Documento ratificato dal Papa verrà pubblicato con la firma di tutti i Padri sinodali, altra analogia con il Concilio ecumenico.

La nuova Costituzione Apostolica verrà applicata per la prima volta al Sinodo di ottobre dedicato ai giovani: occasione per ‘sintonizzarsi’ sui bisogni e le attese del Popolo di Dio in questo particolare periodo storico che sta vivendo la Chiesa.

Con la Costituzione Apostolica “Episcopalis communio”,Papa Francesco rimane fedele al Concilio Vaticano II e al desiderio di interrogarsi e rinnovarsi su questioni fondamentali e vitali per il suo cammino. “Un limite a lungo andare era però emerso”, spiega il prof. Dario Vitali: “Si trattava di eventi ‘per addetti ai lavori’, che cadevano dall’alto nella vita del Popolo di Dio. La Costituzione Episcopalis communio manifesta l’intento di includere tutti i battezzati nel processo sinodale: l’art. 5 sulla consultazione del Popolo di Dio costituisce una novità decisiva in questa direzione. Novità che riprende e attua quanto diceva il Concilio sulla partecipazione del Popolo di Dio alla funzione profetica di Cristo (cfr. Lumen gentium 12), mediante l’esercizio del sensus fidei di tutti i battezzati”.

Oltre alle novità, all’attenzione di Papa Francesco al sensus fidei del Popolo di Dio, nell’Episcopalis communio emerge la similitudine tra Sinodo e Chiesa che si contrappone all’accusa mossa nei confronti del Concilio Vaticano II di aver spezzato il filo che teneva legata la Chiesa alle sue origini. Al contrario, emerge l’adesione a quanto si dichiara in Lumen gentium riguardo alla Chiesa sinodale.

Ma “la novità più sostanziale”, sottolinea Vitali, riguarda “il successore di Pietro, che permette di avviare e portare ad effetto il processo sinodale”. Sulla sinodalità, come dichiarato da Papa Francesco, “la Chiesa ha molto da imparare dalle Chiese ortodosse che l’hanno conservata nella loro prassi ecclesiale”. Un nuovo profilo del ministero petrino capace di portare a compimento la sinodalità come “forma di cammino della Chiesa”, sarà dunque possibile, solo attraverso un cammino in comune: garanzia del raggiungimento del Regno di Dio.

Per questo, a conclusione del testo c’è la dimensione ecumenica. “Papa Francesco – ha affermato il card. Baldisseri – si mostra convinto che – attraverso la debita valorizzazione della dimensione sinodale della Chiesa, che reclama il protagonismo di tutti i Battezzati, e al suo interno della dimensione collegiale dell’episcopato, che rilegge la dottrina sul primato in chiave comunionale – potrà finalmente avviarsi quella «conversione del papato» già auspicata da San Giovanni Paolo II (cfr. Ut unum sint 95; anche Evangelii gaudium 32) e a cui i nostri Fratelli ortodossi e protestanti guardano con vivo interesse”.

Emanuela Campanile – Vatican news 18 settembre 2019

www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-09/papa-francesco-costituzione-apostolica-sala-stampa.html

 

Il documento finale del Sinodo, se approvato espressamente dal Papa, può diventare magistero ordinario

Nella nuova Costituzione apostolica di Papa Francesco, “Episcopalis communio“, “se approvato espressamente dal Romano Pontefice, il Documento finale partecipa del Magistero ordinario”. Il card. Lorenzo Baldisseri: “Una vera e propria rifondazione”. Il modello è Paolo VI, che aveva già previsto la funzione deliberativa, oltre che consultiva, dell’assise. L'”unanimità morale” e i risvolti ecumenici per una “conversione del papato”. Istituito un Consiglio per l’attuazione. Anche chi non ha “munus episcopale”, in determinate circostanze e per volere del Papa, può partecipare. (…)

Già Paolo VI – ricorda Francesco nella Costituzione apostolica – stabilì che il Sinodo dei vescovi “avrebbe avuto normalmente funzione consultiva, offrendo al Romano Pontefice, sotto l’impulso dello Spirito Santo, informazioni e consigli circa le varie questioni ecclesiali”, ma al tempo stesso “avrebbe potuto godere anche di potestà deliberativa, qualora il Romano Pontefice avesse voluto conferirgliela”.

Anche dopo la pubblicazione del Codice di diritto e del Codice dei Canoni delle Chiese orientali, il Sinodo dei vescovi ha “continuato a evolversi gradualmente”, fino all’ultima edizione dell’Ordo Synodi, promulgata da Benedetto XVI il 29 e 2006. “In questi anni, contestando l’efficacia dell’azione sinodale di fronte alle questioni che richiedono un intervento tempestivo e concorde dei pastori della Chiesa – scrive il Papa – è cresciuto il desiderio che il Sinodo diventi ancor più una peculiare manifestazione e un’efficace attuazione della sollecitudine dell’episcopato per tutte le Chiese”.

Tutti i pastori sono costituiti per il servizio al popolo santo di Dio, al quale essi stessi appartengono in virtù del sacramento del battesimo”, ricorda Francesco, a proposito della natura del Sinodo, “chiamato, come ogni altra istituzione ecclesiastica, a diventare sempre più un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autoconservazione”.

Una vera e propria rifondazione dell’organismo sinodale”. Così il card. Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, ha definito l’Episcopalis communio. “Il Papa – ha commentato Baldisseri – non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio Episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo – come Successore dell’apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese”.

Tra le novità, Baldisseri ha citato le “implicazioni ecumeniche” del Sinodo, da cui “anche l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce”. “Papa Francesco – ha concluso il cardinale – si mostra convinto che – attraverso la debita valorizzazione della dimensione sinodale della Chiesa, che reclama il protagonismo di tutti i battezzati, e al suo interno della dimensione collegiale dell’episcopato, che rilegge la dottrina sul primato in chiave comunionale – potrà finalmente avviarsi quella ‘conversione del papato’ già auspicata da San Giovanni Paolo II e a cui i nostri fratelli ortodossi e protestanti guardano con vivo interesse”.

Non più un evento per “addetti ai lavori”. È il Sinodo dei vescovi, come emerge dalla nuova costituzione apostolica. A tracciarne il profilo è Dario Vitali, consultore della segreteria generale del Sinodo dei vescovi e professore ordinario di teologia dogmatica nella Pontificia Università Gregoriana. Nel testo, per il relatore, è centrale il “sensus fidei” del popolo di Dio: “Rispetto al Concilio non c’è solo continuità, ma progresso: se il Vaticano II, infatti, aveva recuperato i soggetti e le loro specifiche funzioni nella Chiesa, la Costituzione applica e traduce in prassi ecclesiale quelle indicazioni, sviluppando un cammino sinodale per tappe, che inizia ascoltando il Popolo di Dio; prosegue ascoltando i pastori; culmina nell’ascolto del vescovo di Roma, chiamato a pronunciarsi come pastore e dottore di tutti i cristiani. Questi passaggi sono tradotti in norma nella costituzione Episcopalis communio”. “La Chiesa dei Padri era una Chiesa sinodale”, ricorda Vitali.

Chiesa e Sinodo sono sinonimi”, aveva detto Francesco nel suo discorso per il 50° del Sinodo dei vescovi citando san Giovanni Crisostomo: l’obiettivo della Episcopalis communio è quello di “regolare immediatamente la celebrazione delle assemblee sinodali, avendo però come orizzonte una Chiesa tutta sinodale, verso la quale tutti siamo chiamati ad andare. Il legame ideale con la Chiesa dei primi secoli, che camminava sinodalmente, è molto forte. In tal senso, anzi, la celebrazione del Sinodo diventa in certo qual modo immagine e modello della Chiesa stessa, che è chiamata a impostare tutta la sua vita sul principio sinodale dell’ascolto reciproco, a tutti i livelli”.

Con la nuova Costituzione, ha osservato mons. Fabio Fabene, segretario generale del Sinodo, si promuove quella “salutare decentralizzazione” auspicata nella Evangelii gaudium. “Il Sinodo non è fine a se stesso”, ha ricordato rimarcando l’importanza della fase attuativa, “che intende favorire l’accoglienza delle conclusioni sinodali, recepite dal Papa, all’interno delle Chiese particolari, in un processo di collaborazione tra il Dicastero della Curia Romana competente sul tema e la Segreteria del Sinodo”. L’imminente Sinodo di ottobre, dedicato ai giovani, rappresenterà quindi la prima applicazione della rinnovata normativa sinodale.

M. Michela Nicolais Agenzia SIR 18 settembre 2018

http://preprod.agensir.it/chiesa/2018/09/18/papa-francesco-il-documento-finale-del-sinodo-se-approvato-espressamente-dal-papa-puo-diventare-magistero-ordinario/

 

Papa Francesco: «Il sesso è un dono di Dio. Niente tabù

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/september/documents/papa-francesco_20180917_giovani-francia.html

La sessualità, il sesso, è un dono di Dio. Niente tabù. È un dono di Dio, un dono che il Signore ci dà. Ha due scopi: amarsi e generare vita. È una passione, è l’amore appassionato. Il vero amore è appassionato. L’amore fra un uomo e una donna, quando è appassionato, ti porta a dare la vita per sempre. Sempre. E a darla con il corpo e l’anima. Quando Dio ha creato l’uomo e la donna, la Bibbia dice che tutt’e due sono immagine e somiglianza di Dio. Tutti e due, non solo Adamo o solo Eva, ma tutt’e due –ensemble– tutt’e due.

E Gesù va oltre, e dice: per questo l’uomo, e anche la donna, lascerà suo padre e sua madre e si uniranno e saranno una sola persona?, una sola identità?, una sola fede di matrimonio? Una sola carne: questa è la grandezza della sessualità. E si deve parlare della sessualità così. E si deve vivere la sessualità così, in questa dimensione: dell’amore tra uomo e donna per tutta la vita. È vero che le nostre debolezze, le nostre cadute spirituali, ci portano a usare la sessualità al di fuori di questa strada tanto bella, dell’amore tra l’uomo e la donna. Ma sono cadute, come tutti i peccati. La bugia, l’ira, la gola… Sono peccati: peccati capitali.

Ma questa non è la sessualità dell’amore: è la sessualità “cosificata”, staccata dall’amore e usata per divertimento. È interessante come la sessualità sia il punto più bello della creazione, nel senso che l’uomo e la donna sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio, e la sessualità è la più attaccata dalla mondanità, dallo spirito del male.

Dimmi: tu hai visto, per esempio – non so se a Grenoble c’è – ma tu hai visto una industria della bugia, per esempio? No. Ma un’industria della sessualità staccata dall’amore, l’hai vista? Sì! Tanti soldi si guadagnano con l’industria della pornografia, per esempio. E’ una degenerazione rispetto al livello dove Dio l’ha posta. E con questo commercio si fanno tanti soldi. Ma la sessualità è grande: custodite la vostra dimensione sessuale, la vostra identità sessuale. Custoditela bene. E preparatela per l’amore, per inserirla in quell’amore che vi accompagnerà tutta la vita.

Io vi racconterò una cosa, e poi ve ne dirò un’altra. Nella Piazza [San Pietro] una volta – io saluto la gente nella Piazza – c’erano due persone grandi, anziane, che celebravano il sessantesimo di matrimonio. Erano luminosi! E io ho chiesto: “Avete litigato tanto?” – “Mah, alle volte” – “E vale la pena questo, il matrimonio?” – E questi due, che mi guardavano, si sono guardati tra loro e poi sono tornati a guardare me, e avevano gli occhi bagnati, e mi hanno detto: “Siamo innamorati”. Dopo 60 anni! E poi volevo dirvi: una volta un anziano – molto anziano, con la moglie anziana – mi ha detto: “Noi ci amiamo tanto, tanto e a volte ci abbracciamo. Noi non possiamo fare l’amore alla nostra età, ma ci abbracciamo, ci baciamo. Questa è la sessualità vera. Mai staccarla dal posto tanto bello dell’amore. Bisogna parlare così della sessualità. Ça va?

Famiglia cristiana 19 settembre 2018

www.famigliacristiana.it/articolo/il-papa-ai-giovani-francesi-della-diocesi-di-grenoble-vienne-il-sesso-e-un-dono-di-dio.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter+fc&utm_content=news&utm_campaign=fc1838

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INCONTRI

Treviso. I figli sono un bene prezioso. Prezioso ed ormai anche raro

I figli sono un bene prezioso, soprattutto agli occhi dei loro genitori che li hanno messi al mondo e giorno per giorno li introducono alla vita. Tuttavia oggi sono anche un bene raro in un paese che non è fatto per i bambini e tantomeno per le famiglie. Ecco allora una iniziativa, quella del “Mese del Bambino”, che intende essere un passo per un cambio di rotta importante.

Cinque serate per offrire ai genitori occasione di incontro, riflessione e confronto. Ma anche per aprire porte, offrire punti appoggio, “prospettive lunghe”. Tutto partendo dai genitori, riconoscendone le risorse e le potenzialità, le fatiche ed i limiti in un’ottica di empowement e protagonismo. Un ciclo di incontri anche per esprimere in modo chiaro che i figli e la loro educazione non sono un fatto privato ma un prezioso bene comune. Un’occasione per rifondare antiche alleanze educative ed immaginare nuovi percorsi per ridare ai genitori speranza, fiducia e riconoscimento.

Ecco perché le istituzioni del territorio hanno subito risposto assicurando già per il 2019 una seconda edizione con ulteriori contenuti.

www.forumfamiglie.org/wp-content/uploads/2018/09/mese-del-bambino-definitivoP-1.pdf

www.youtube.com/watch?v=ojTJNAENJow

Il comune capoluogo (Comune di Treviso), l’azienda socio sanitaria provinciale (ULSS 2 Marca Trevigiana), il Forum delle Famiglie, l’Ordine degli Psicologi del Veneto, il CONI del Veneto, la Federazione Italiana Scuole Materne, la Federazione italiana Medici Pediatri, l’Associazione Italiana per la Ricerca e l’Intervento nella Psicopatologia dell’Apprendimento hanno deciso di dare supporto e visibilità ad una sfida che il Centro della Famiglia della Diocesi di Treviso ha raccolto direttamente dalle famiglie.

www.forumfamiglie.org/2018/09/21/i-figli-sono-un-bene-prezioso-prezioso-ed-ormai-anche-raro

 

Ciclo di incontri 2018-19 “Un progetto che si chiama desiderio”

Inizio giovedì 4 ottobre degli incontri 2018-19 del Centro Giovani Coppie San Fedele a Milano

Programma del nuovo ciclo di conferenze 2018-19 “Un progetto che si chiama desiderio

Gli incontri si tengono alle ore 21 presso la Sala Matteo Ricci Piazza San Fedele, 4 Milano

www.centrogiovanicoppiesanfedele.it

Nell’antica Roma gli indovini che traevano auspici dalle stelle constatavano talvolta che il cielo era coperto e che non potevano osservarle e, dunque, fare il proprio mestiere. Di qui nasce la parola “desiderio”, in cui il “de-“ privativo precede “sidera” (in latino, le stelle): “mancanza di stelle”. “Desiderio” indica dunque, anche etimologicamente, il sentimento di assenza di qualcosa che vorremmo e, insieme, la tensione a raggiungere ciò ci che manca.

Sempre nell’antica Roma, la parola “progetto” era semplicemente un participio passato, dal verbo “proicio”: voleva quindi dire “gettato avanti”, “lanciato”. Certo, da allora, la parola è venuta a significare ben di più e racchiude l’idea di “piano”, di “studio preparatorio”, di “calcolo” di qualcosa da realizzare: resta il fatto che il “progetto”, anche oggi, è qualcosa che “getta avanti” nel futuro una nostra intenzione.

Ecco allora che tra “desiderio” e “progetto” si profila una relazione interessante. Il fatto di desiderare resta confinato nel dominio delle emozioni o, nel migliore dei casi, dei sentimenti senza realizzazione concreta se ad esso non si accompagna una tensione progettuale capace di proiettare nel futuro un disegno che ne permetta la soddisfazione. Nello stesso tempo, un progetto che non abbia alla sua radice un desiderio vero e consapevole rischierà di ridursi ad un esercizio di volontà, magari nobile, ma alla lunga destinato ad esaurire la nostra volontà e la nostra motivazione a realizzarlo.

Ecco, in estrema sintesi, l’orizzonte in cui si muove “Un progetto che si chiama desiderio”, il ciclo di conferenze che, come ogni anno, il Centro Giovani Coppie San Fedele propone anche per il 2018-2019: come comporre nella coppia un equilibrio tra progetto e desiderio? Come interpretare nella vita di coppia il significato stesso di questi termini? Come discernere tra desiderio e desiderio, educandosi e educando ad un desiderare positivo ed evolutivo? Su queste e ad altre domande simili lavoreranno gli otto relatori che, tra ottobre 2018 e maggio 2019, esploreranno il tema proposto con voci diverse, come sempre alla ricerca della ricchezza di spunti di riflessione nella pluralità degli approcci e delle prospettive.

 

04 ottobre 2018. Non ti amo più. Che vuoi dire?Silvano Petrosino, Filosofo UCSC Milano

08 novembre 2018 Analfabeti emotivi? Dare nome alle emozioni.Dante Ghezzi Psicoterapeuta

29 novembre 2018 Desiderio di vita, progetto di coppia, sogno di Dio. Ina Siviglia Teologa

17 gennaio 2019 Tempi affollati. Io, noi, la felicità.Franco Riva, Filosofo, UCSC Milano

21 febbraio 2019 Ti amo, ma non ti desidero. Teresa Arcelloni, Psichiatra, Psicoterapeuta

21 marzo 2019 Coppia e denaro. Le sfide dell’oggi. Luigino Bruni Economista Università LUMSA

11 aprile 2019 Educare al futuro nell’epoca di Internet e del narcisismo. MatteoLancini Psicoterapeuta

09 maggio 2019 Generatività della coppia. Fra desiderio e limite. Carlo Casalone S.J.

http://www.centrogiovanicoppiesanfedele.it/conferenze

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MATERNITÀ

Riposi maternità anche contemporanei per padre e madre

Cassazione contro INPS sul caso di un padre che chiede di fruire di riposi giornalieri in contemporanea alla moglie lavoratrice autonoma

www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/01151dl.htm

La Corte d’Appello di Torino, rigettando l’appello dell’Inps confermava la sentenza che riconosceva al padre lavoratore, il diritto di usufruire dei riposi giornalieri, disciplinati dall’art. 40 del D.lgs. 151/2001 per 2 ore al giorno sino al compimento dell’anno della figlia, mentre la moglie, lavoratrice autonoma, riprendeva il lavoro sin dall’8 ottobre 2009, usufruendo del trattamento economico di maternità nei tre mesi successivi al parto

A fondamento della sentenza la Corte sosteneva che:

1) in base alla lettera ed all’interpretazione logico-sistematica delle norme fosse errata la pretesa dell’Inps di voler equiparare, pur nell’evidente differenza di disciplina, la situazione della madre lavoratrice autonoma a quella della dipendente per la quale soltanto la legge prevede la regola dell’alternatività nel godimento dei riposi giornalieri;

2) la diversità della condizione della madre lavoratrice autonoma, che ha facoltà a riprendere l’attività anche in considerazione del più contenuto trattamento economico riconosciutole, giustificava la previsione di una incondizionata possibilità per il padre di fruire dei permessi nell’interesse stesso del bambino e delle sue necessità di un maggior apporto sul piano materiale e psicologico, anche se la madre stesse godendo dell’indennità di maternità.

L’Inps ha proposto ricorso per cassazione con un motivo, ossia per violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 39, 40, 43, 66, 68, comma secondo, e 69, comma primo, del d.lgs. n. 151 del 2001, con riferimento all’articolo 12 delle disposizioni preliminari al codice civile (articolo 360 numero tre c.p.c.). Secondo l’Istituto, in base alle norme citate doveva ritenersi che, le pur esistenti differenze tra le madri lavoratrici autonome e lavoratrici subordinate, non incidessero sulla sussidiarietà ed alternatività degli istituti giuridici dei cosiddetti riposi giornalieri e delle indennità di maternità volti a proteggere lo stesso evento.

I giudici della Cassazione hanno rigettato il ricorso, precisando che è anzitutto evidente sulla scorta della previsione normativa di cui all’art. 40 cit. che l’alternatività nel godimento dei riposi giornalieri da parte del padre è prevista solo in relazione “alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga”, laddove invece la lettera della stessa norma contempla in maniera ampia il diritto del padre ai permessi “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”, senza prevedere alcuna alternatività.

Tale diversa formulazione significa che, in questa seconda ipotesi, il padre può fruire dei permessi giornalieri anche nel periodo di fruizione dell’indennità di maternità da parte della madre.

Fisco e tasse Rassegna stampa 18 settembre 2018

www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/25645-riposi-maternit-anche-contemporanei-per-padre-e-madre.html?utm_campaign=Rassegna+Giornaliera&utm_medium=email&utm_source=Rassegna+quotidiana+&utm_content=Rassegna+Giornaliera+2018-09-18

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MINORI

Quel figlio senza rete

In questo caso, nel caso del quindicenne precipitato dal tetto di un centro commerciale, non sembra esserci alcun determinismo evidente, né psichico, né sociale: no droga, no indigenza economica, no cattiva educazione, no genitori irresponsabili, no traumi, no isolamento, no disturbi psichiatrici.

Tutto nella norma. Un gruppo di giovani amici dalle vite regolari sfida la morte. Potrebbe essere nostro figlio. È un nostro figlio. Non conviene scandalizzarsi, non conviene pensare che non toccherà mai a noi il dolore sordo che sta dilaniando i suoi familiari. Certo, i suoi post che lo ritraggono sui tetti di condomini, a penzoloni nel vuoto, sono inquietanti, ma radicalizzano, in realtà, una inquietudine che si può facilmente provare di fronte al disagio di ogni adolescente. Perché sfidare la morte, sfidare il pericolo, cercare il brivido dell’impresa impossibile, immortalarsi eroe di fronte allo sguardo dei social? Voler apparire senza paura di fronte alla morte, non è una semplice deviazione psicopatologica della burrascosa transizione adolescenziale, ma un’ombra che accompagna questo difficile passaggio della vita. La spavalderia dell’adolescente, come recitava un bel libro di Charmet, non è mai separabile dalla sua fragilità, anzi, spesso il loro rapporto è inversamente proporzionale: più è avvertita una fragilità di fondo più si incentivano comportamenti spavaldi.

L’impresa che attende ogni adolescente è difficile: abitare un nuovo corpo, trovare una nuova lingua, inventarsi un nuovo stile. Il sesso e la morte, dormienti nell’età dell’infanzia, irrompono nell’adolescenza sulla scena. Come abitare un corpo animato dalla pulsione sessuale? Come sopportare l’angoscia dell’incontro con la nostra finitezza, con la vulnerabilità della vita?

Questioni decisive per ogni adolescente che impongono innanzitutto il lutto dell’infanzia, la rinuncia alla sua condizione narcisistica e l’esposizione all’avventura del mondo. Ogni adolescente, come ricordava Rimbaud, si trova gettato in un esilio: deve abbandonare i territori conosciuti e familiari dell’infanzia per incamminarsi verso una terra straniera, verso lo splendore e l’orrore del mondo.

Abbiamo durante l’infanzia equipaggiato bene i nostri figli per questo difficile ma necessario viaggio? L’esigenza di libertà che essi devono avere il diritto di manifestare cozza contro la preoccupazione per un mondo che sembra essere divenuto tanto ricco di opportunità quanto insidioso. È stato notato da tempo e da molti autori che la carenza di riti di passaggio collettivi, in un Occidente che sponsorizza ciecamente il mito del successo e dell’affermazione individuale, lascia i nostri figli a sé stessi. Devono inventarsi allora queste ritualizzazioni simboliche assenti in prove di coraggio, in prestazioni ” mitiche”, in esibizioni private che i social rendono pubbliche. La cultura speculare del selfie, dell’immagine di sé, sostenuta da una tecnologia che favorisce l’espandersi di un sentimento artefatto di onnipotenza, insieme al declino generale del valore della parola e della sua Legge, amplificano questa condizione di solitudine. Se i dispositivi simbolici che accompagnavano l’adolescente al passaggio verso la vita adulta si sono dissolti, resta l’atomizzazione individualista dei legami. Ne sono un esempio limite i cosiddetti Neet [Not in Education, Employment or Training- né a scuola, né al lavoro] o gli nipponici Hikikomori [ritiratisi volontariamente dalla vita sociale], dove la sconnessione da ogni legame collettivo assume la forma grave di una vera e propria regressione autistica. La verità è che non possiamo evitare né le turbolenze dell’adolescenza, né i suoi rischi, né, tanto meno, i suoi dolori. La verità è che non possiamo garantire la felicità dei nostri figli. Possiamo solo vegliare affinché esistano attorno a loro degli adulti che sappiano offrirsi come destinatari della parola. È il ruolo cruciale giocato innanzitutto dalla Scuola che quando è davvero buona favorisce la possibilità di tradurre in parole la sofferenza e il disagio. Si dovrebbe sempre ricordare l’importanza che nei momenti di maggior caos, di caduta, di fallimento, di delusione vissuti dai nostri figli esistano adulti capaci di dare e di ascoltare la loro parola. Non si tratta di sponsorizzare la retorica del dialogo e dell’empatia, ma di insistere sull’importanza di non lasciare cadere nel nulla i nostri figli. Di testimoniare che non sono soli. Anche la spavalderia provocatoria può essere una forma di invocazione.

Massimo Recalcati la Repubblica 17 settembre 2018

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/09/17/quel-figlio-senza-rete25.html

 

Come individuare le carenze affettive nei bambini

Aspetti che potrebbero indicare che un bambino ha problemi affettivi. Le carenze affettive interessano le persone di ogni età, cultura e classe sociale, e si manifestano in modo diversi in base alla loro situazione. Dalla nascita all’adolescenza, ecco alcuni aspetti che potrebbero denotare carenze affettive in base alle varie tappe della crescita.

Durante la prima infanzia. I bambini che piangono per richiamare l’attenzione, che sorridono poco e che contraggono spesso malattie infettive. Molti hanno anche problemi digestivi come la stitichezza, che possono anche perdurare con la crescita.

In età prescolare e scolare. I disturbi del linguaggio di un bambino possono indicare che soffre di carenze affettive. Disturbi come problemi di locuzione, povertà di vocabolario o difficoltà grammaticali e sintattiche.

In età scolare. Alcuni bambini presentano disturbi dell’apprendimento pur essendo intelligenti, ma viene dato loro un coefficiente intellettivo tra il 65 e il 95 perché non riescono a svolgere correttamente le prove per problemi di concentrazione. Per questo, molti di questi bambini sperimentano spesso fallimenti scolastici e hanno un basso indice di autostima. Sono bambini che si sminuiscono, che negano il proprio valore. Si considerano dei falliti. Dubitano di se stessi quanto alla simpatia che possono suscitare negli altri. Pensano: “Nessuno mi vuole bene”, “Non sono amabile” o “Quello che mi succede non importa a nessuno”. Per questo sono molto insicuri, si sentono esclusi e non trovano il loro posto. Credono anche di dare fastidio.

Durante la preadolescenza. Presentano disturbi del comportamento, atteggiamenti di inibizione, ritrazione, opposizione e ribellione. Anche se sono relativamente socievoli e a volte estroversi, temono di essere rifiutati dal gruppo, per cui tendono a integrarsi ad ogni costo. Da ciò deriva l’importanza dei rapporti sociali in questa tappa, visto che determinerà la loro condotta futura.

Nell’adolescenza. Nell’adolescenza i comportamenti sono strani e gli atti impulsivi. L’iperattività è molto frequente. Gli adolescenti si entusiasmano facilmente per progetti proposti da persone più grandi. Cercano il riconoscimento e l’affetto altrui per poter potenziare la propria autostima. Dall’altro lato, in apparente contraddizione con quanto detto in precedenza, non vogliono responsabilità e sono ribelli nei confronti delle norme. In questa fase in genere appaiono le prime dipendenze, come quella dall’alcool, dalle droghe. I vuoti affettivi si colmano solo con l’amore. Fin dai primi anni è essenziale che i bambini sentano l’amore sincero e profondo che le madri, i padri e la vera famiglia possono dar loro per il resto della vita.

Javier Fiz Pérez aleteia 17 settembre 2018

https://it.aleteia.org/2018/09/17/come-individuare-le-carenze-affettive-nei-bambini/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it

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PARLAMENTO

A Palazzo Madama prima riunione dell’intergruppo parlamentare per la famiglia.

Avviati i lavori del primo gruppo interparlamentare per la famiglia riunitosi per la prima volta nella serata di ieri, 18 settembre 2018, presso Palazzo Madama. Più di 70 i parlamentari presenti.

Dopo la conferenza stampa di presentazione dell’intergruppo parlamentare per la famiglia, tenutasi ieri mattina, 18 settembre, presso la Sala Nassirya del Senato, in serata, presso la Sala della IV Commissione di Palazzo Madama alla presenza di oltre 70 parlamentari si è tenuta la prima riunione operativa dell’intergruppo.

Promosso dal Comitato Difendiamo i Nostri Figli, all’intergruppo parlamentare per la famiglia hanno aderito in modo trasversale molti parlamentari della maggioranza e dell’opposizione.

Al centro del “confronto interparlamentare” e di questa prima riunione il tema della famiglia, della vita e della libertà educativa.

A rappresentare il mondo delle adozioni internazionali c’era Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. Amici dei Bambini, che ha affrontato la crisi dell’adozione internazionale partendo dal dato reso noto solo pochi giorni fa dalla Commissione per le adozioni internazionali: solo il 50% delle coppie che hanno concluso l’iter adottivo nel periodo 2012 -2017 hanno presentato istanza di rimborso delle spese sostenute entro i termini di scadenza.

Su 11.138 famiglie adottive interessate D.P.C.M. del 3 maggio 2018 – ha dichiarato la Commissione in una nota pubblicata sul sito lo scorso 14 settembre – sono poco più di 6mila le richieste di rimborso pervenute entro la data di scadenza del 16 luglio scorso.

Un dato questo che sembrerebbe confermare il clima di sfiducia delle famiglie italiane nei confronti delle adozioni internazionali e delle autorità preposte. Una “disfatta” inimmaginabile fino al 2010 – l’anno record per le adozioni internazionali in Italia, quando 4130 minori trovarono una famiglia.

Un sentimento di “disillusione” che stride con i 140 milioni di minori orfani che crescono senza famiglia, da una parte, e 5 milioni e 430mila coppie sposate eterosessuali senza figli, con 3 milioni di coppie sterili in Italia, dall’altra: numeri che sembrerebbero destinati a favorire un incontro reciproco e a rilanciare la grande officina dei miracoli dell’adozione internazionale.

Complice del calo d’interesse per le adozioni internazionali in Italia è sicuramente il ricorso alla fecondazione assistita che, oggi, pare essere il sistema più usato per tentare di avere un bambino per quelle coppie che non hanno possibilità di generarlo naturalmente. Un ‘accanimento terapeutico’ che può durare diversi cicli di bombardamento ormonale, senza tener conto dei rischi per la salute delle donne e le ansie e le sofferenza che esso provoca nelle molte coppie che, nonostante i ripetuti tentativi, non riescono a ottenere il risultato sperato e si decidono, poi, per il percorso dell’adozione.

Nonostante la delusione di questi anni e il calo delle domande di adozione, Griffini si è detto è fermamente convinto che c’è ancora spazio per un rilancio delle adozioni internazionali grazie ad un rinnovato impegno della politica e delle autorità preposte che restituisca fiducia alle famiglie italiane che ancor credono nell’adozione. A testimonianza di questa volontà di ricominciare a credere nelle adozioni c’è il desiderio di quanti accolgono i minori per le vacanze adottive di poter adottare il minore ospitato, quando adottabile.

Il tema della crisi della adozione internazionale e della necessità di un suo rilancio è tornato più volte in tutti gli interventi dei presenti.

News Ai. Bi. 19 settembre 2018

www.aibi.it/ita/riunione-intergruppo-parlamentare-famiglia

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PROSTITUZIONE

Rete abolizionista italiana per l’approvazione della legge sul modello nordico

Colpire la domanda di prostituzione dei clienti è colpire al cuore

lo sfruttamento sessuale e la tratta delle donne.

Le sottoscritte organizzazioni femminili e femministe, insieme alle associazioni nazionali e alle organizzazioni sindacali che si riconoscono in linea con la Risoluzione europea del 26 febbraio 2014 (Honeyball) e con la Convenzione di Istanbul, ribadiscono che la prostituzione è una forma di oppressione e violenza sulle donne, che colpisce la nostra libertà, la nostra dignità come cittadine, la nostra salute e ostacola lo sviluppo della parità tra le future generazioni di donne ed uomini.

www.istat.it/it/files/2017/11/ISTANBUL-Convenzione-Consiglio-Europa.pdf

La prostituzione costituisce la più grave minaccia alla libertà, alla salute e alla promozione sociale delle donne, non solo di quelle intrappolate nella tratta degli esseri umani: di tutte le donne (La risoluzione europea del 26 febbraio 2014).

www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2014-0162+0+DOC+XML+V0//IT

La prostituzione è un fenomeno di genere che riguarda tutte: in essa vi sono implicate 87% donne e bambine (dati europei); 7% uomini, 6% transgender; e i clienti sono più del 90% uomini. La domanda di prostituzione da parte degli uomini non si ferma alle donne, coinvolge anche i minori e mette a rischio la vita e la salute di tanti bambini e bambine.

Ognuna di noi sente il diritto e il dovere di porre in atto la difesa dei diritti acquisiti: anche della legge Merlin, n. 75 del 1958, una delle prime ad aver stabilito con chiarezza che nessun uomo ha diritto di proprietà, anche temporanea, su una donna.

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1958-03-04&atto.codiceRedazionale=058U0075&elenco30giorni=false

Il pagamento delle prestazioni sessuali è una forma di proprietà temporanea inammissibile e soprattutto una forma di violenza maschile contro le donne e i minori, criminogena e insieme complice di crimini contro la persona perpetrati da reti criminali organizzate. Il denaro non elimina, ma serve solo ad occultare l’abuso sessuale commesso, come dice Rachel Moran, sopravvissuta alla prostituzione e attivista di SPACE (associazione globale di donne fuoriuscite dall’industria del sesso), “nella prostituzione non viene comprato il sesso, ma l’abuso sessuale”.

Tutte le forme di contrasto ai commerci illegali e criminali implicano la punibilità del compratore e indicano la fattuale complicità dei clienti, nel caso della prostituzione il cliente viene invece protetto e tutelato in deroga al principio di eguaglianza tra cittadini.

Le forme legali di esercizio imprenditoriale del lenocinio, in Europa e mondialmente, hanno aperto un mercato che rende inefficaci le protezioni per le vittime della tratta e della prostituzione organizzata.

Di fronte agli esiti disastrosi sulle vittime, nei paesi legalizzatori, è stato introdotto il principio del rischio “consapevolmente assunto” da chi vende prestazioni sessuali, il che comporta che le lesioni volontariamente inferte alle prostituite non sono di fatto perseguite penalmente.

Per quanto riguarda il modello Germania, secondo le inchieste e i dati riportati da Der Spiegel, già nel 2013, e successivamente confermati dalla polizia tedesca, dalle associazioni impegnate nella lotta contro tratta e sfruttamento sessuale e dal gruppo di psicologi esperti di traumi (rappresentati da Ingeborg Kraus), dopo l’approvazione della legge nel 2002 è in atto una grave violazione di diritti umani delle persone prostituite: si registra un aumento della tratta a scopo sessuale, riguardante in particolare le donne dei paesi dell’est che costituiscono il 95% del totale delle donne prostituite nei bordelli tedeschi, che nella maggioranza dei casi vivono nella totale illegalità e ‘invisibilità’, senza accesso alle cure sanitarie (infatti solo 44 donne in prostituzione su 400.000 sono ‘registrate’ ). La polizia poi lamenta l’impossibilità di fatto di individuare i casi di tratta nascosti dietro la presunzione o la dichiarazione resa (sotto ricatto) di una libera scelta. Il tutto in un sistema sostanzialmente iniquo di controlli sanitari che garantiscono solo il cliente, in quanto effettuati solo sulle donne.

Nel 2016 un’ulteriore inchiesta del Daily Telegraph ha confermato il dato in crescita della tratta, interna all’Europa, di donne dei paesi più toccati dalla crisi e un aumento del volume d’affari dei bordelli legali che arriva a toccare i quattro punti percentuali di PIL. Le donne, anche minori, Greche, Moldave, Serbe, Bulgare, Rumene e Montenegrine, sono le più colpite dalla tratta interna all’Europa.

Uno studio condotto dalla London School of Economics su 150 paesi ha dimostrato come la regolamentazione porti ad un’espansione incontrollata del mercato del sesso e aumenti in modo evidente la tratta a scopo sessuale, le violenze e le morti. (Legalized Prostitution Increase Human Trafficking? by Professor Eric Neumayer, 2013)

La marginalizzazione delle prostitute è un fenomeno che dunque è legato alla mancanza di contrattualità nei sistemi di reclutamento, alla violenza e alla povertà che annullano la libertà di scelta.

Il danno politico e sociale che viene arrecato alle cittadine nel prefigurare uno scenario che normalizza la prostituzione e la tratta è incalcolabile, soprattutto in paesi come il nostro dove l’esigibilità dei diritti e il controllo della legalità sono ancora molto fragili e corruttibili. Non ultimo è il danno che si ripercuote sulle future generazioni come codifica della disparità tra uomo e donna che normalizza anche la violenza che da essa origina, come dice il preambolo della convenzione di Istanbul.

La passata esperienza di legalizzazione (fino al 1958) nel nostro paese ha rappresentato la naturale “evoluzione di un servizio reso ai soli uomini coscritti”, poi esteso a tutti gli uomini in zone cittadine circoscritte separate con muri (ancora visibili) dal resto delle città, muri che irrimediabilmente sarebbero ricostruiti, visto che la legalizzazione è richiesta dai benpensanti per nascondere, separare, ghettizzare la prostituzione contraddittoriamente e profondamente voluta.

L’inaccettabilità della prostituzione non è in discussione per noi, tuttavia intendiamo denunciare il pensiero diffuso sull’ineluttabilità della stessa e la cultura che la sostiene, antica come lo stupro come arma di guerra.

La complicità delinquenziale dei clienti può essere banalizzata solo in un quadro che istituzionalizza l’esercizio del sesso come bisogno unilaterale, che presuppone l’acquisto dei corpi.

La regolamentazione dello sfruttamento e la depenalizzazione del favoreggiamento, presuppongono appunto quel quadro ideale.

Le argomentazioni umanitarie, secondo le quali luoghi ad hoc controllati sarebbero sede di protezione delle donne, sono smascherate dalla stessa impossibilità del controllo sanitario dei clienti, della ineluttabile schedatura delle donne, da quella che sarebbe la necessaria resa “all’approvvigionamento di donne prostituite” (per soddisfare la crescente domanda della clientela) attraverso la tratta interna ed esterna all’Europa”.

Chi proclama la necessità dell’emersione, attraverso la legalizzazione, della prostituzione, lo fa in una realtà che non deve far più emergere nulla visto che tutto avviene sotto gli occhi di tutti ed è cinicamente tollerato, in particolare la violenza perpetrata dai clienti. Il dieci per cento di tutti i crimini sessuati contro donne e bambine, stupro, percosse, ferimenti e uccisioni sono perpetrati su prostituite. Nella prostituzione la donna è oggetto di violenza non solo da parte dei trafficanti ma anche da parte dei clienti che ne richiedono ‘i servizi sessuali’.

Nella prostituzione (non solo di vittime di tratta) è maggiore la violenza che le donne subiscono (il 35% in più di violenza rispetto alla popolazione femminile generale con un 26% in più di dipendenza da alcool e droghe) e maggiormente è in pericolo la salute:

  • Il rischio di HIV è di 13.5 volte più elevato che nella popolazione generale femminile (dati OMS), Il disturbo post traumatico da stress è presente nel 68% dei casi e nell’80% è presente la depressione;

  • I livelli di dissociazione sono similari a quelli della popolazione psichiatrica. Inoltre, secondo un recente report condotto dal ginecologo Wolfgang Heide, le donne prostituite in Germania a 30 anni hanno già segni di invecchiamento precoce, hanno inoltre una serie di disturbi psicofisici quali: dolori cronici addominali, gastriti e infezioni frequenti e ogni tipo di malattie a trasmissione sessuali.

Di contro, alle realtà regolamentariste in Europa (tra cui principalmente la Germania come il bordello più grande d’Europa), è stato ampiamente dimostrato – da numerose ricerche – come il modello abolizionista/nordico sia l’unico efficace nel contrasto alla tratta e allo sfruttamento sessuale; dall’approvazione di questa legge abolizionista in Svezia, la prostituzione di strada è dimezzata, nessuna persona prostituita è stata uccisa (contro le 123 donne uccise da clienti in Germania) e dalle intercettazioni della polizia emerge come i trafficanti definiscano la Svezia “a bad market” e spostino i loro traffici in Paesi regolamentaristi come la Germania dove possono agire in un regime di totale impunità.

Noi chiediamo e sosteniamo con forza l’approvazione di una legge del parlamento Italiano che, in adesione al modello abolizionista (nordico e francese) e considerando la prostituzione una forma di violenza sulle donne (Risoluzione europea Honeyball), introduca anche nel nostro paese il contrasto alla domanda di prostituzione, attraverso la esclusiva penalizzazione dei clienti (dove il reato è costituito dall’acquisto di servizi sessuali e non dai servizi resi da chi è prostituita) e fornisca alle donne alternative concrete attraverso percorsi di fuoriuscita dalla violenza, in linea con la Convenzione di Istanbul.

Promotrici dell’iniziativa UDI Napoli – Salute Donna – Resistenza Femminista – Iroko Onlus

Adesioni

21 Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

 

328 adesioni individuali

www.resistenzafemminista.it/comunicato-della-rete-abolizionista-italiana-per-lapprovazione-della-legge-sul-modello-nordico

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SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI

Padre Costa: il Sinodo non è un evento ma un processo partecipativo

Sinodalità, discernimento, collegialità i concetti chiave alla base della Costituzione apostolica Episcopalis communio di Papa Francesco con cui il Pontefice riunisce e ridefinisce le norme sulla struttura e lo svolgimento del Sinodo dei vescovi

Il 6 ottobre il Papa incontrerà in Aula Paolo VI, insieme a tutti i Padri sinodali, i giovani che hanno già partecipato alle riunioni pre-sinodali. Li ascolterà e accoglierà le loro proposte per poterne usufruire nel Documento finale del Sinodo che si svolgerà in Vaticano. A guidare i lavori dell’assise dal 3 al 28 ottobre sarà la Costituzione apostolica pubblicata ieri, i cui punti salienti vengono spiegati, ai microfoni di Radio Vaticana Italia, dal padre Giacomo Costa S.J., uno dei due Segretari Speciali del Sinodo.

R. – E’ una novità di questa Costituzione, far vedere che il Sinodo non è un evento che prevede l’occupazione di uno spazio a Roma per un mese, ma è un processo che nasce da un ascolto della Chiesa, del popolo di Dio, da una fiducia riposta nella capacità di leggere le situazioni. Come già è stato sperimentato un po’ nei Sinodi sulla famiglia, e ancora di più nel Sinodo dei giovani, si precisa che è un processo, un cammino che non coinvolge soltanto alcuni ma mette in movimento tutta la Chiesa. Quindi anche altre parole-chiavi del magistero di Francesco, come la sinodalità e il discernimento, sono vissute in maniera effettiva. L’ascolto di che cosa ci chiede il Signore in questo momento, in questa situazione, è più possibile con questa struttura di Sinodo perché, appunto, ci si lascia interrogare, colpire da quello che stiamo vivendo, si va in profondità, si capisce più profondamente, si comprende in che direzione il Signore ci sta chiamando, oggi, come Chiesa.

Un documento che va, quindi, nella direzione di aumentare la collegialità nella Chiesa?

R. – Sicuramente. E’ prevista questa possibilità che il documento finale del Sinodo partecipi al magistero ordinario. Ciò vuol dire che non è soltanto il Papa, alla fine, con la sua Esortazione apostolica, che si pronuncia, ma si valorizza ancora di più il camminare insieme, che ha un peso specifico per la Chiesa, di insegnamento, che prima non aveva. L’occasione più prossima per mettere in pratica queste indicazioni sarà proprio il Sinodo con i giovani, dal 3 al 28 ottobre.

Dagli elenchi dei componenti quali caratteristiche si possono evidenziare?

R. – Innanzitutto preciso che, se è vero che i partecipanti sono i circa 300-400 Padri sinodali presenti questo mese a Roma, è vero anche che hanno già partecipato nella fase preparatoria tantissime persone: abbiamo ricevuto i questionari dalle Conferenze episcopali, dai giovani, ci sono state le riunioni pre-sinodali con i giovani stessi, con gli esperti… Insomma, non dobbiamo farci ingannare dal fatto che ci sia una lista: i partecipanti saranno moltissimi e saranno ancora di più dopo, nella fase di attuazione. Detto questo, vorrei sottolineare l’attenzione che Papa pone sempre a chi viene dalle estremità più lontane della Terra. Infatti, i presidenti – quelli che animeranno le sezioni del Sinodo – giungono veramente delle regioni che più difficilmente si ascoltano nella Chiesa (Myanmar, Bangui, Iraq, Papua Nuova Guinea). Un’altra cosa: tra i cardinali sono stati scelti i più giovani e, allo stesso tempo, tra gli altri eletti, è davvero consolante vedere come le Conferenze episcopali abbiano scelto spesso i vescovi più giovani o persone che lavorano con i giovani. I giovani sono sempre presenti e hanno anche diritto di parola. Si lavora spesso anche in piccoli gruppi: sia in quest’ambito sia nelle assemblee generali i giovani saranno presenti e potranno parlare.

Queste le premesse per un Sinodo con i giovani e non solo sui giovani… Due giorni fa Papa Francesco ha incontrato un gruppo di giovani della diocesi di Grenoble-Vienne. Nel colloquio con loro è intervenuto anche sugli aspetti che riguardano la sessualità. Del resto ci si aspetta che l’ambito dell’affettività non resterà escluso da questo Sinodo…

R. – E’ sicuramente tra i temi più importanti, i giovani l’hanno richiesto in maniera esplicita. Tra l’altro, mi colpiva sentire che le parole del Papa esprimono il fatto che lui già abbia ascoltato le loro istanze, perché riprende proprio il termine che i giovani hanno sottolineato nella loro riunione pre-sinodale: “Vogliamo parlarne senza tabù”. E’ ovvio che ci sono tante altre dimensioni e problematiche altrettanto sentite: sicuramente, la questione del lavoro, ma anche il desiderio di una Chiesa autentica, di una Chiesa vera e sincera. Tornando alla sessualità, qui un po’ si gioca la credibilità del discorso della Chiesa. Uno dei punti del Sinodo sarà sicuramente riuscire ad a trovare dei canali per affrontare le questioni legate alla sessualità nella maniera in cui il Papa ha incominciato a parlarne, molto liberamente, sottolineando il suo valore di dono e cercando di capire come concretamente questo dono possa essere vissuto.

Pensa che la questione degli abusi sessuali da parte del clero possa in qualche modo incidere su questo Sinodo?

R. – Penso che fosse in un modo o nell’altro già inscritto nel Sinodo, perché se si vuole accompagnare i giovani alla pienezza della loro vita, a far delle scelte importanti, è ovvio che la prima cosa da fare è veramente uscire da una mentalità non soltanto di abuso, ma anche opportunistico-accalappiatoria dei giovani. Non si tratta di volerli portare in maniera più o meno trasparente nelle comunità ecclesiali, bensì di essere al loro servizio, perché vivano e facciano le scelte che portino alla loro gioia dell’amore, alla pienezza di vita.

Antonella Palermo – Vatican news 19 settembre 2018

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2018-09/padre-costa-sinodo-non-evento-ma-processo-partecipativo.html

 

Sette proposte di Vinonuovo al Sinodo sui giovani I sogni dei giovani al Sinodo

1. Generare un luogo permanente di confronto. Il Sinodo dovrebbe portare a creare spazi ecclesiali istituzionalizzati e sistematici in cui si continui il confronto tra realtà giovanili di paesi differenti e tra livelli di responsabilità ecclesiale diversi. Operativamente sono importanti due aspetti. È fondamentale che in questo “organismo” si viva la freschezza e la libertà dell’età giovanile, per cui rimangono necessari sia la presenza di persone in età non avanzata, sia un numero maggioritario di laici, preferibilmente operanti in situazioni ecclesiali di “frontiera” (geografica, politica, affettiva, intellettuale ecc.), facendo così da specchio della realtà contemporanea.

Di conseguenza è necessario che in questo “organismo” si diano spazi sistematici di ascolto agli educatori che accompagnano i giovani, a partire dagli insegnanti di scuole superiori, sino agli allenatori sportivi, ai maestri nelle varie discipline artistiche (musicale in primis) e agli adulti impegnati nel mondo universitario e formativo (sia responsabili laici o consacrati dell’animazione di pastorale universitaria, sia docenti, da coinvolgere non in relazione alle loro specifiche conoscenze disciplinari, ma se e in quanto educatori a stretto contatto con i giovani), affinché chi ha responsabilità nella Chiesa possa avere uno sguardo esperto e ‘dal di dentro’ per continuare a seguire effettivamente la realtà giovanile. Ciò significherebbe, quindi, affiancare i presbiteri nella responsabilità finale sulla pastorale giovanile locale, in modo da non far gravare sugli stessi la completa titolarità di ogni decisione riguardante i giovani.

2. Riconoscere il dato di realtà sulla fede. Non si può più dare per scontato che chi partecipa alle attività pastorali giovanili abbia già compiuto una scelta di fede chiara e precisa. Perciò l’obiettivo primario non può essere quello d’incrementare la fede o di difenderne il poco acquisito, ma semmai di preparare il terreno affinché un incontro maturo di fede con Cristo sia possibile e attraente. In questo senso, stando le attuali età di conferimento del sacramento della cresima (13-14 anni), sarebbe necessario strutturare i percorsi successivi alla cresima non tanto sulla base di soli criteri anagrafici e comunque in modo tale da accettare la partecipazione di persone che abbiano diversi livelli di “convincimento” di fede.

La partecipazione alla messa, così come l’accostarsi alla confessione e agli altri sacramenti della vita adulta (matrimonio), deve essere un obiettivo finale, e non una condizione d’ingresso. La componente morale deve essere presentata in un secondo momento, capendo quando, se e a chi è opportuno annunciare un contenuto. Infine la proposta di fede va fatta a partire dai fondamenti, cioè dall’essenza del messaggio cristiano, mediato più da attività di meditazione/preghiera, incontro con i poveri, servizi in terre di missione o in loco per più giorni, esperienze ad alto impatto spirituale, approfondimento personale e culturale della Bibbia, che da una catechesi centrata solo sulla “testa”.

3. Rivedere i linguaggi utilizzati. “Non serve essere veri se nessuno ci comprende” (Paolo VI). Dunque è necessario che si parta dai contenuti esistenziali e dai modi del comunicare che i giovani sentono più affini a sé. Quindi non solo è necessario eliminare il lessico specifico ecclesiale, ma anche parlare in modo da rendere evidenti le ricadute pratico-esistenziali del discorso religioso e mettendo al centro del linguaggio pastorale la via estetica con le sue forme: musica, arte, letteratura, teatro. Sono queste forme, nel loro essere non convenzionali, che vengono vissute dai giovani come possibilità prima e vera per esprimere se stessi. Va poi valorizzata la comunicazione digitale (Facebook, Instagram, Youtube ecc.) in ambito pastorale, pur senza farne un linguaggio assoluto, nella consapevolezza che queste forme linguistiche hanno ancora molte possibilità da esplorare in direzione dell’evangelizzazione, a condizione che siano considerate anche un’ottima soglia per condurre poi a relazioni personali concrete.

4. Centralità della dimensione corporea. È indispensabile recuperare la dimensione corporea dei giovani come luogo essenziale e prioritario della costruzione della loro identità e dell’esperienza della trascendenza. Questo significa sia valorizzare al massimo gli affetti, le emozioni, le sensazioni, i vissuti, le percezioni, le forme corporee, come dati che precedono e fondano la consapevolezza di sé, come “parole” di Dio donate a ogni persona, in cui riconoscere la propria specifica identità.

In secondo luogo questo approccio implica l’aiutare a riconoscere che l’indisponibilità del corpo, la sua resistenza alla nostra volontà, il suo vivere secondo una sua volontà che ci precede sono il segno di una trascendenza che ci abita fin dal momento del nostro concepimento, e che non può essere dimenticata, se i giovani vogliono essere se stessi. Per questi motivi non è più possibile sostenere un cammino spirituale di un giovane se la sua sessualità non viene integrata nella sua personalità e nella sua vita. Questo significa far uscire la sessualità dall’unico alveo in cui viene nominata in sede pastorale, ossia quello morale, e riconoscerla come dimensione essenziale e costitutiva di ogni possibile vocazione umana e cristiana. La castità, come stato interiore di riunificazione di sé nell’amore, è un punto di arrivo, non un punto di partenza – peraltro spesso confuso con l’astinenza.

Concretamente vuol dire lavorare con i giovani, affinché possano sperimentare e riconoscere il valore teologico del piacere della relazione fondata sulla differenza di genere, prima di ogni altra preoccupazione etica sulla sessualità. Successivamente, lavorare con loro perché possano integrare il proprio desiderio nella loro vita, perché possano percepirlo come grazia di Dio donata agli uomini per uscire dall’egoismo e imparare compiutamente ad amare.

5. Investire fortemente sulla qualità e la formazione degli educatori. Salvo lodevoli eccezioni, è difficile pensare che ragazzi poco più grandi dei diciottenni o degli adolescenti rispondano all’esigenza di avere educatori maturi, equilibrati e competenti. Bisogna avere il coraggio di reclutare educatori, guardando anche ai laici formati, ma non travolti dal turbinio dell’attivismo pastorale. Allo stesso modo va presa una decisione chiara per investire nella formazione risorse umane ed economiche, in modo strutturale e prioritario, rispetto ad altre scelte. Vanno promossi percorsi di formazione anche teorici, ma soprattutto esperienziali, che, oltre al dato prettamente teologico e spirituale, puntino anche sulla qualificazione degli aspetti relazionali e sulle competenze educative specifiche. In questo senso va superata definitivamente la diffidenza nei confronti di formatori specialisti, a cui vanno concesse occasioni e spazi specifici e a cui va riconosciuta, anche economicamente, la professionalità utilizzata.

6. Rendere i giovani protagonisti. Sia nel loro cammino personale che in quello della comunità, i giovani devono avere un ruolo fortemente attivo, per cui essi possano sentirsi abitanti e non soltanto ospiti degli ambienti ecclesiali. Ciò significa adeguare le strutture ai bisogni dei giovani e non del contesto ecclesiale. Da un lato, bisogna renderli soggetti attivi delle scelte che li riguardano in materia di liturgia, catechesi e servizio (temi, esperienze, modalità) rischiando anche qualche errore; dall’altro farli sentire veramente a casa, nella comunità, dando loro spazi e tempi senza necessariamente negoziare tutto ogni volta. Non è necessario infatti che lo spazio in cui i giovani si riconoscono sia per forza uno spazio “ecclesiastico”. Essi vanno incontrati là dove vivono, e là va costruita la relazione educativa con loro.

Tra l’altro ciò rafforza la convinzione già prima espressa che non può più essere usato, come unico criterio di partecipazione, quello anagrafico, perché le appartenenze sono legate alle relazioni e non all’età e ai luoghi. Non è poi possibile “rinchiudere” i tempi delle attività nelle ore “lavorative” giornaliere. Sempre più spesso sono i tempi liberi o gli intervalli – vissuti in strada, nelle piazze, nei pub – a essere occasioni di incontri significativi che lasciano il segno – e che potrebbero diventare oggetto di missioni sistematiche ad hoc intese come parti integranti della pastorale ordinaria. Ne conseguirebbe, in definitiva, un maggiore decentramento della pastorale giovanile: i contesti culturali, i luoghi, le sensibilità sono tanto vari da pensare alla necessità di piccoli gruppi di pastorale giovanile che abbraccino realtà simili, pur dentro un quadro comune di Chiesa. Così si potranno avere stili pastorali diversificati a seconda del luogo e dell’ambiente (città, periferia, campagna, montagna, per chi lavora, per chi studia). A ogni gruppo va riconosciuta la possibilità d’essere autonomo sui tempi, sui modi e sui percorsi proposti e realizzati, stante il necessario coordinamento e confronto, che diviene così momento fecondo di scambio e verifica su ciò che funziona e ciò che non funziona nei vari ambienti.

7. Il discernimento come stile. La scoperta della vocazione di ogni cristiano, intesa come “chiamata” dell’amore di Dio per amare nelle diverse forme di vita possibili, va letta come traguardo di un cammino di formazione. Dal momento che la grande maggioranza dei giovani vive oggi in una forma di analfabetismo religioso, confusione relazionale, disorientamento affettivo e frammentazione interna di propri vissuti, è necessario che i percorsi vocazionali siano strutturati prendendo in esame la scelta di vita come fine di un percorso che abbraccia l’integrità della persona umana, non riducendo quindi il momento del discernimento alla sola componente spirituale, né soltanto in occasione delle grandi scelte esistenziali della vita.

Perciò il discernimento deve diventare lo stile di fondo dell’accompagnamento dei giovani nei loro percorsi esistenziali, facendo maturare lentamente una consapevolezza di sé solida e stabile, senza sostituirsi alla coscienza del singolo, ma aiutando ad illuminarla. Per questo nelle équipe di pastorale giovanile sarà necessario far entrare stabilmente persone competenti nei processi spirituali di crescita, selezionati e formati appositamente e non solo scelti per la loro disponibilità pastorale. Inoltre vanno utilizzate organicamente persone competenti nelle aree psicologiche e antropologiche, affinché possano offrire percorsi di formazione specificamente finalizzati ad approfondire mezzi, strumenti, limiti e tempi dell’accompagnamento spirituale.

Gilberto Borghi, Sergio Di Benedetto, Sergio Ventura 22 settembre 2018

www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=3168

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VIOLENZA

Violenza alle donne Lombardia

Nel primo semestre 2018 sono state 7.213 le donne che hanno avuto un primo contatto con i centri antiviolenza della Lombardia. Erano 5.892 in tutto il 2017. Ci aspettiamo quindi un aumento esponenziale dei numeri quest’anno”.

A tracciare un quadro sull’andamento regionale delle richieste d’aiuto da parte delle donne vittime di violenze è l’assessore lombardo alle Politiche per la famiglia, genitorialità e pari opportunità, Silvia Piani, oggi durante un incontro all’Ordine dei medici di Milano.

“Sono numeri impressionanti – spiega – ma che dimostrano come il fenomeno stia emergendo sempre di più. Sull’aumento dei primi Sos, ai quali in più di 6.000 casi è poi seguito anche un primo colloquio della donna con esperti, pesa certamente il fatto che abbiamo una rete più capillare – la copertura territoriale è passata dal 37% nel 2013 a quasi 100% – e, ancora, si è innescato un cambiamento culturale, c’è una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Aspetti questi che hanno dato più coraggio alle donne per rompere il silenzio”.

Per avere un’idea di come sta cambiando lo scenario, Piani ricorda i dati dell’Osservatorio antiviolenza nel 2014, anno della sua nascita: “Allora i primi contatti da parte delle donne ai centri non superavano quota 3.680. C’è una risposta sempre maggiore. E l’Osservatorio si è rivelato uno strumento utile per capire la portata del fenomeno. E anche quali problemi devono affrontare le vittime di violenza.

Per esempio, il 40% circa delle donne che chiedono aiuto ai centri non ha un’occupazione stabile. Non avere una fonte di reddito autonoma, soprattutto quando si hanno anche dei figli, è una difficoltà che spesso frena dall’iniziare un percorso” per uscire dalla spirale delle violenze. “La sfida, quindi, è anche quella di aiutare le donne e accompagnarle nella ricerca di un lavoro, e di una casa che sia diversa dalla prima sistemazione in una casa-rifugio”.

Anche a Milano le richieste di aiuto per violenza sessuale e domestica sono in aumento, come emerge dai dati del primo semestre 2018 rilevati dal Svsed (Soccorso violenza sessuale e domestica) dell’ospedale Mangiagalli-Policlinico, che segna un +5% rispetto ai primi 6 mesi del 2017. Questo centro antiviolenza pubblico, localizzato in uno dei più grandi pronto soccorso del capoluogo lombardo (più di 100 mila accessi l’anno, di cui 28 mila nel Ps ostetrico-ginecologico e 25 mila nel pediatrico), viaggia al ritmo di 85 Sos in media al mese.

In totale gli accessi complessivi al Svsed nel semestre preso in considerazione sono stati 511: 206 per violenza sessuale, 289 per violenza domestica, mentre 16 per una combinazione delle due tipologie di violenze. Le vittime sono nella stragrande maggioranza donne (484), ma si registrano anche 27 richieste di aiuto da maschi. La popolazione del Svsed è praticamente divisa a metà: 254 di nazionalità italiana e 257 straniera.

Sono 102 i casi di violenza che hanno riguardato bambini e adolescenti, 385 gli episodi che hanno coinvolto persone tra i 18 e i 54 anni, 24 i casi di violenza subita da over 55.

Gli aggressori sono in larga misura riconducibili all’ambiente familiare o ex famigliare: in 189 casi a perpetrare le violenze è stato il marito o il partner, in 71 l’ex marito o l’ex partner, in 67 casi si è trattato di genitori, figli e altri componenti della famiglia.

In 64 situazioni i colpevoli sono amici o colleghi, mentre sono stati 70 i casi di violenza imputabili a un aggressore sconosciuto.

“Ritengo che non sia la violenza a essere aumentata in questa società, ma è la capacità delle donne di dare un nome a quello che subiscono. Per esempio, in passato la violenza psicologica veniva quasi ignorata, oggi succede di meno – è l’analisi di Alessandra Kustermann, ginecologa ‘in trincea’, responsabile pronto soccorso e accettazione ostetrico-ginecologica, Svsed e consultori familiari del Policlinico – Ciononostante, arrivare al centro antiviolenza è solo il primo passo. Il percorso che le vittime devono accettare di seguire per allontanarsi dal maltrattante è lungo, difficile e pieno di ripensamenti. Per la donna non è semplice arrivare alla denuncia. In media questo è l’esito in circa il 10% dei casi in Italia, nel nostro centro la percentuale sale al 40%. Non è facile separarsi dall’uomo che ha rappresentato il partner della vita con cui si voleva formare una famiglia. Non è facile dire basta alla violenza. I numeri che portiamo, circa 1.200 casi l’anno trattati dal Svsed, non sono 1.200 lieti fini. Pensarlo sarebbe un’illusione di successo”.

AdnKronos Salute 19 settembre 2018

www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=47145

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