NewsUCIPEM n. 702 – 20 maggio 2018

NewsUCIPEM n. 702 – 20 maggio 2018

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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02 ABORTO VOLONTARIO I 40 anni della Legge 194. Perché l’aborto non è un «diritto».

02 «L’obiezione di coscienza minaccia l’aborto»? Falso.

03 ADOTTABILITÀ Valutazione della idoneità dei parenti.

04 AMORIS LÆTITIA Amoris Lætitia: “inizio di un inizio”.

06 ASSEGNO DI MANTENIMENTOAddebito e assegno.

06 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 18, 16 maggio 2018.

08 CHIESA CATTOLICA Come a Gerusalemme.

09 Verso una nuova antropologia.

11 CO. ADOZIONI INTERNAZIONALI E’ attivo il portale “Adozione Trasparente”

11 CONSULENTI COPPIA E FAMIGLIARegolamento Europeo sulla privacy

12 Il consulente familiare n. 2. aprile – giugno 2018.

12 I mille perché della Coordinazione Genitoriale.

16 CONS. F. ISPIRAZIONE CRISTIANA Punto Familia Torino Incontro sui gender.

16 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Milano. La Casa. In distribuzione La casa news.

16 Reggio Calabria. La storia di una coppia.

16 CONTRACCEZIONE Boom pillola giorno dopo fra studentesse, usata da 1 su 5.

17 DALLA NAVATA Pentecoste Signore – Anno B – 20 maggio 2018

17 Lo Spirito santo, compagno inseparabile di Gesù. E. Bianchi.

18 FORUM ASS. FAMILIARIDe Palo: nel nuovo governo ci sia un ministro per la Famiglia.

19 La promessa tradita. Dov’è finito il quoziente familiare?

20 Sicilia, ‘no tax area’ per le famiglie numerose.

20 HUMANÆ VITÆ Paolo VI. Humanæ Vitæ, la libertà e la verità nel gesto d’amore.

21 NULLITÀ MATRIMONIALI Assegno di mantenimento.

23 Manifestazione dell’omosessualità dopo 6 anni convivenza.

23 OMOGENITERIALITÀ Registrato all’anagrafe il primo figlio di due madri.

23 UNIONI CIVILI Matrimonio estero omoaffettivo trascrivibile come unione civile.

24 VIOLENZA Obbligare la moglie ad avere rapporti sessuali è reato.

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ABORTO VOLONTARIO

I 40 anni della Legge 194. Perché l’aborto non è un «diritto»

La Legge 19471978 non parla mai dell’interruzione di gravidanza in questi termini, sottoponendolo piuttosto a una serie di condizioni stringenti. E la Consulta ha confermato

Non è un diritto, non è una libertà. È e resta una scelta drammatica ed estrema, che il diritto consente nella misura in cui un bene giuridico costituzionalmente sancito si pone in insanabile contrasto con un altro di pari valore: il diritto alla vita del concepito e quello alla salute fisica e psichica della gestante. È il vero spirito della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, la ratio – cioè l’obiettivo – che traspare da tutto il suo testo e che tante pronunce giurisprudenziali hanno confermato nel corso degli anni. Lo Stato «riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio», vi si legge nell’articolo 1.

Quello stesso che più volte la sinistra e le forze radicali hanno tentato di far abolire, scontrandosi con una Corte costituzionale granitica nell’affermare che «il diritto alla vita – si legge per esempio nella sentenza 35 del 1997 –, inteso nella sua estensione più lata, sia da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono – per usare l’espressione della sentenza n. 1146 del 1988 – all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana».

D’altronde la legge 194 pone (porrebbe, se fosse davvero applicata ovunque per ciò che dice) maglie molto strette all’aborto, imponendo ogni volta il tentativo di rimuovere le cause per cui esso viene chiesto e subordinando in ogni caso la soppressione della vita nel grembo materno alla messa in atto di procedure piuttosto rigide: colloqui, attivazione di volontari, consulti medici, periodi di riflessione obbligatori… E, attenzione: mai in tutto il testo della norma all’interruzione volontaria della gravidanza viene associato il sostantivo «diritto».

Al contrario – ed è sempre la legge a sancirlo –, ‘diritti’ sono quelli della donna «lavoratrice e madre» a trovare aiuto per conciliare queste due dimensioni, senza vedersi obbligata a sacrificarne una per l’altra. Così questo sfavore per l’aborto riecheggia costante – tranne qualche caso isolato – in tutte le magistrature d’Italia. Comprese le più alte. Per esempio, con sentenza 324 del 2013 la Consulta confermò la procedibilità d’ufficio per reato di interruzione colposa di gravidanza, consentendo quindi ai giudici di perseguire la violazione indipendentemente dalla querela di parte. Tra i motivi della decisione, la tutela costituzionale di cui godono la «protezione della maternità» e la «tutela del concepito».

Sempre sul tema specifico è intervenuta pure la Cassazione, la cui sentenza 20.063 del 2014 ha ritenuto sussistente questa violazione penale qualora una negligenza dell’ostetrica causi la morte del feto. Stessa lunghezza d’onda per i tribunali: quello di Mantova, per esempio, che ha negato l’aborto a una minorenne rifiutatasi di comparire davanti al giudice tutelare per spiegare i motivi della richiesta, e quello di Bologna, che ha deciso (conformemente) un caso molto simile a quello affrontato nel 2014 dalla Cassazione. Resta dunque in chiaro il dramma di ciò che l’aborto è: la soppressione di una vita. La legge non lo tace, i giudici lo ricordano.

Marcello Palmieri Avvenire 17 maggio 2018

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/punti-fermi-perch-linterruzione-non-un-diritto

 

I 40 anni della Legge 194. «L’obiezione di coscienza minaccia l’aborto»? Falso

Il 22 maggio 1978 entrava in vigore la legge 194. Ecco i luoghi comuni più diffusi (e sbagliati) sull’obiezione di coscienza. I dati del ministero, il commento di Giovanni Leoni (Fnomceo).

Negli anni Settanta furono, insieme ai radicali, tra le più accese sostenitrici della legalizzazione dell’aborto. E oggi le attiviste dell’Unione donne italiane chiamano alla mobilitazione di piazza, al grido «La 194 non si tocca». Così dal 22 al 26 maggio, nei giorni in cui – 40 anni fa – la legge entrò in vigore, le sedi territoriali dell’Udi sono incoraggiate a mobilitarsi perché le donne «pretendono la piena applicazione della legge su tutto il territorio nazionale». Nel mirino dell’Udi non c’è, come un osservatore assai ingenuo potrebbe ipotizzare, soprattutto la Tutela sociale della maternità (prima parte della legge), questa sì largamente disattesa, bensì principalmente la questione dell’obiezione di coscienza. Strano come un diritto costituzionalmente fondato possa essere trasformato in un intralcio, anche a costo di alimentare falsi miti quando non autentiche mistificazioni. Abbiamo cercato di ‘smontare’ alcuni luoghi comuni, basandoci sugli ultimi dati ufficiali del Ministero della Salute (Relazione sull’attuazione della legge 194, relativa ai dati del 2016, presentata il 22 dicembre 2017), con l’aiuto «tecnico» del vicepresidente della Federazione dei medici italiani (Fnomceo), il veneziano Giovanni Leoni.

  1. Le strutture in cui si praticano le Ivg sono troppo poche. Falso. In Italia le strutture con reparto di ostetricia e ginecologia sono 614 e quelle in cui si pratica l’Ivg sono 371: certamente in calo numerico (erano rispettivamente 648 e 385), ma percentualmente stabili intorno al 60%. «Il problema delle strutture è generale – osserva Leoni –: si fa fatica, oggi, a tenere aperti i punti nascita, perché il turn over dei ginecologi non è garantito. Non mancano medici in generale, mancano gli specializzati. E questo riguarda tutte le categorie mediche. In più, si assiste a una fuga dei ginecologi nelle strutture private».

  2. Ci sono regioni e città dove è quasi impossibile abortire. Falso. Ci sono regioni come l’Umbria, la Toscana, la Liguria e la Sardegna dove il rapporto tra punti Ivg e punti nascita supera l’85%, mentre qualche squilibrio si registra in Campania e in provincia di Bolzano, dove i punti Ivg sono meno del 30% delle strutture. In Molise c’è un punto Ivg su 3 strutture. Ma, come già evidenziato dal vicepresidente Fnomceo, è un problema generale della sanità italiana, che prevede accorpamenti e blocchi dei turn over. Insomma, una questione di organizzazione, non di obiezione.

  3. Il carico di lavoro dei non obiettori è eccessivo Falso. Perfino nel Molise, dove c’è un solo medico non obiettore, non sembra che il ritmo delle Ivg praticate sia proibitivo. Quell’unico medico effettua 9 interventi la settimana, meno di due per giorno lavorativo. Non sono pochi, ma davvero sono tanti da far gridare al sovraccarico? E comunque, è un caso singolo. Il numero di Ivg praticate da ogni ginecologo non obiettore nelle 44 settimane lavorative dell’anno oscilla dalle 0,3 a settimana della Valle d’Aosta alle 2,6 del Lazio, con una media nazionale di 1,6. «Un conto sono le impressioni, un altro i dati ufficiali. In Federazione non ho ricevuto alcuna segnalazione di situazioni di particolare sovraccarico», conferma Leoni.

  4. È capitato che medici che si dichiaravano obiettori nelle strutture pubbliche eseguissero aborti in quelle private, a pagamento. Vero, ma fuorviante. Nel tempo sono emersi alcuni (pochi) casi, ma questo non autorizza a screditare la scelta onesta e motivata della stragrande maggioranza dei medici obiettori. «Sono sicuramente comportamenti isolati, fuori dalla deontologia», oltre che contro la legge. «Si configura il reato di falso in atto pubblico – avvisa Leoni –. Nelle 106 sedi provinciali dell’Ordine dei medici siamo pronti a raccogliere segnalazioni».

  5. I consultori familiari non sono presenti in numero sufficiente. Vero. La legge 194 raccomanda la presenza sul territorio di un consultorio ogni 20mila abitanti. Attualmente il tasso è dello 0,6 per lo stesso numero di abitanti. È vero che il numero sta calando: erano 1.970 nel 2015, sono scesi a 1.944 l’anno successivo. È vero anche che gli organici e l’organizzazione del lavoro sono fortemente deficitari: spesso non è presente il medico e dunque la struttura non è idonea per rilasciare il certificato {documento è il termine presente nella legge- art. 5 ndr} previsto dalla legge per l’Ivg. Ma questo è un grave tradimento della legge 194 anche (e forse soprattutto) nella parte in cui prescriveva che i consultori contribuissero «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza» (art. 3). «È così: occorre dare alla donna la possibilità di sostenere la maternità, anche quando la gravidanza non era stata programmata. In situazioni di difficoltà, va offerta un’alternativa all’aborto. Purtroppo nell’attuale fase politica il tema della natalità e della salute in generale è del tutto trascurato», chiosa Giovanni Leoni.

  6. I tempi di attesa sono troppo lunghi. Non è sempre vero. Negli ultimi anni è aumentata la percentuale di Ivg effettuate entro 14 giorni dal rilascio del certificato (66,3%). Nello stesso tempo è diminuita la percentuale di quelle effettuate dopo oltre 3 settimane di attesa (12,4%).

Antonella Mariani Avvenire 17 maggio 2018

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/lobiezione-minaccia-laborto-falso

{Inoltre la legge (art.4) prevede solo l’intervento preventivo dei consultori pubblici e non di quelli pro life. ndr}

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ADOTTABILITÀ

Valutazione della idoneità dei parenti

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 9021, 11 aprile 2018.

Il requisito, espressamente previsto dalla L. n. 184 del 1983, articolo 12 della significatività dei rapporti con i parenti fino al quarto grado al fine di verificarne l’idoneità soggettiva e la sussistenza delle condizioni oggettive ai fini dell’affidamento dei minori è valutabile anche sotto il profilo potenziale, quando sia stata constatata l’impossibilità incolpevole di stabilire rapporti con i minori da parte dei parenti indicati dal citato articolo 12. In particolare, la mancanza di rapporti significativi pregressi può non essere assunta come elemento di valutazione dell’idoneità dei parenti ad assicurare l’assistenza e la crescita del minore in modo adeguato quando quest’ultimo sia stato allontanato subito dopo la nascita e la richiesta dei parenti sia stata ragionevolmente tempestiva.

Redazione Il Caso.it 15 maggio 2018 con ordinanza

http://news.ilcaso.it/news_4671?https://news.ilcaso.it/?utm_source=newsletter&utm_campaign=solo%20news&utm_medium=email

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AMORIS LÆTITIA

Amoris Lætitia: “inizio di un inizio”

Presso l’Accademia Alfonsiana il 9 maggio scorso, si è tenuta la presentazione di un volume, frutto del lavoro di seminario che lungo l’anno accademico ha impegnato docenti e studenti della Accademia in un prezioso lavoro di confronto e di scavo del testo: il libro si intitola Amoris lætitia. Il Vangelo dell’Amore: un cammino da intraprendere…a cura di Giovanni Del Missier– Antonio G. Fidalgo, Padova, EMP, 2018.

In occasione della presentazione ho tenuto una breve relazione che riporto qui sotto.

I cambiamenti più decisivi di AL e ciò che resta da cambiare. Un solenne “inizio di un inizio”

L’apprezzamento convinto per il testo di AL non deve nascondere alla vista e alla coscienza ecclesiale che si tratta, per molti versi, solo di un grande e solenne “inizio di un inizio” – secondo la famosa definizione che K. Rahner diede del Concilio Vaticano II. A tal proposito voglio proporre tre idee: presento molto rapidamente e in modo oltremodo sintetico le fondamentali novità del testo. Ma poi, basandomi su alcune opere di commento assai recenti, metto a tema due aspetti per risolvere i quali il testo di AL ha bisogno di un cammino ecclesiale, teologico e pastorale di approfondimento e di avanzamento.

  1. I punti di novità acquisita: la uscita dal modello ottocentesco di dottrina/disciplina matrimoniale

  • Muta l’autocomprensione del magistero. Ossia il magistero non solo non pretende di risolvere tutte le questioni, ma implica il riconoscimento strutturale di “altre autorità”: la struttura dei primi numeri di AL contestualizza il magistero papale e sinodale nel corpo ecclesiale, ossia in una articolazione in cui stanno, necessariamente, e con un competenza “più autorevole” in termini di determinazione, il magistero dei singoli vescovi, quello dei singoli parroci e, infine, quello delle coppie, con la loro storia e la loro coscienza.

  • Muta il ruolo del diritto canonico in rapporto alla pastorale. Il definirsi di una “meschinità” (pusilli animi est…AL 304) della pretesa di giudicare un soggetto “esclusivamente sulla base della conformità del comportamento con una legge oggettiva” ridimensiona strutturalmente le pretese di un “sapere giuridico” che solo a partire dal codice del 1917 ha ritenuto di sequestrare in sé l’orizzonte della “fedeltà al vangelo”. La riapertura del campo pastorale è “fedeltà al fenomeno amore”, non relativizzazione della legge.

  • Muta la comprensione della relazione tra alleanza matrimoniale e alleanza Cristo/Chiesa. La teologia del matrimonio è apparsa, negli ultimi decenni, o giuridicamente congelata o sistematicamente surriscaldata. Intendo dire che la relazione tra rapporto marito/moglie e il rapporto Cristo/chiesa ha assunto sia storicamente sia nella chiesa contemporanea una assoluta irrilevanza o una rilevanza totalizzante. AL riconduce la analogia e il segno alla sua proporzione più adeguata, definendo “imperfetto” il segno e la analogia (AL 72-73). Questo è un passaggio decisivo per ridimensionare il “massimalismo teologico” che è fiorito soprattutto dopo FC.

  • Muta la posizione dell’amore rispetto al matrimonio: protologia e escatologia. Infine, ma forse si dovrebbe dire, anzitutto, emerge dal testo di AL una grande e non nuova consapevolezza del carattere “escatologico” dell’amore (soprattutto il Cap IX e l’ultimo numero del testo). L’amore è orizzonte originario e definitivo, che non può essere semplicemente appiattito sulla “manifestazione del consenso”. La storia dell’amore ha un prima e un dopo rispetto alla logica contrattuale. Ciò riapre i giochi sulla “storia del vincolo” e sulla esigenza di accompagnarla, discernerla e integrarla.

Questi 4 punti aiutano a comprendere bene le problematiche che rimangono aperte, grazie alla struttura processuale che AL – sulla base di EG – ha introdotto e che ora vale anche per la sua recezione.

b) La penitenza in questione: oltre il foro interno

Il primo punto critico che vorrei affrontare riguarda una delle domande più radicali che hanno preparato, accompagnato e seguito il testo di AL: ossia la “assolvibilità” dei soggetti battezzati, la cui storia conosce il divorzio rispetto al vincolo sacramentale e il sorgere di un nuovo vincolo civile. La domanda è: un tale soggetto “può essere assolto” e quindi può accedere alla pienezza eucaristica?

Un recente studio di B. Petrà, che qui non ha bisogno di presentazioni, mette bene in luce, con la sua consueta e puntigliosa esattezza, la assenza del “vocabolario penitenziale” nel testo di AL (cfr. B. Petrà, la questione penitenziale dal Sinodo 2014 all’Amoris Lætitia, “RL”, 104/4(2017), 145-159). La soluzione “in foro interno” proposta da AL ha i suoi limiti, che non dipendono però da AL, ma dalla concezione di “sacramento della penitenza” che in essa viene presupposta.

Anzi, vorrei dire così: proprio la limitatezza della soluzione proposta – che è soluzione autentica, ma dalla efficacia strutturalmente limitata – costringe ad una riflessione più radicale. Il “foro interno” è una astrazione che può risultare pericolosa rispetto alla istanza del primato del tempo sullo spazio e della elaborazione di “cammini” di accompagnamento, discernimento e integrazione per i soggetti.

La tradizione penitenziale si è concentrata sulla sola assoluzione in circostanze storiche e teoriche piuttosto limitate e con una forzatura obiettiva rispetto alla “res”. Vorrei dire, in altri termini: il sacramento della penitenza comporta sempre un processo di elaborazione degli “atti del penitente”. Siamo noi a non vederlo più e a scoprirlo, magari obtorto collo, solo nel caso delle crisi del matrimonio. Ma proprio su questo punto il sacramento della penitenza in nessun modo può contribuire a confermare il modello borghese di scissione tra “rilevanza privata” e “rilevanza pubblica” del matrimonio. La ricostruzione di una “trama comunitaria”, che tanto sta a cuore ad AL, esige la riscoperta delle “opere penitenziali” come cammino di conversione dei soggetti feriti dal loro matrimonio e aperti alla possibilità di reintegrazione e rifioritura.

Ciò che AL non poteva fare, ma che deve fare la sua recezione, è una accurata riflessione sullo statuto sistematico e processuale del “fare penitenza” nella Chiesa, cosa che da un lato non è mai del tutto riducibile al sacramento, al cui interno, tuttavia e d’altro canto, la riscoperta della processualità – o non immediatezza – rimane passaggio essenziale. Accanto ad un “foro interno” (coscienza), e a differenza del “foro esterno” (tribunale canonico) si apre un “foro pastorale” in cui presenza comunitaria e lavoro penitenziale si intrecciano necessariamente. Di ciò occorre essere non solo consapevoli, ma prendersi cura nel lavoro pastorale, per saper trasformare le comunità in luoghi realmente capaci di – e interessati a – accompagnare, discernere e reintegrare.

c) La necessaria profezia dei canonisti: indissolubilità e adulterio da ripensare

Il secondo punto che desidero mettere a tema è quasi paradossale: proprio il documento che ha segnato, 100 anni dopo il sorgere di un Codice di diritto canonico, un forte ridimensionamento della autorità canonica in campo matrimoniale – lavorando sia sulla procedura, sia aprendo lo spazio di un “foro pastorale” – esige, per la sua recezione, la profezia e la creatività dei canonisti.

Il libro di W. Kasper, appena pubblicato, (Il messaggio di Amoris Lætitia. Una discussione fraterna, Queriniana, GdT 406, Brescia 2018) presentando con grande pacatezza la rilevanza del testo di AL, pone alcune questioni intorno alla “indissolubilità” che possono bene legarsi alle parallele questioni sollevate da J-P. Vesco (Ogni amore vero è indissolubile. Considerazioni in difesa dei divorziati risposati, Queriniana, GdT 374, Brescia, 2015) sulla nozione di “adulterio”. In questo campo, è bene ricordarlo, abbiamo bisogno di canonisti capaci di creatività, ossia disposti a considerare non solo la reale “lex condita”, ma anche la possibile e forse necessaria “lex condenda”. Come sempre è successo. E come invece oggi sembra assurdo chiedere.

Un breve testo di Kasper ci è utile a tal proposito: “Il concetto di indissolubilità esprime solo in modo imperfetto questo carattere di dono del vincolo matrimoniale” (44). Questo che cosa significa? Che è compito del canonista studiare la “normativa” più adeguata per dar conto della “indissolubilità”/fedeltà e della sua infrazione, ossia dell’adulterio. Una elaborazione giuridica intorno a questa coppia diventa oggi un compito inaggirabile. E la elaborazione della nozione non esclude la rielaborazione della “sanzione”, ossia implica la esigenza di concepire la “sanzione” in modo anche diverso dalla scomunica.

In effetti, se osserviamo bene la condizione attuale, scopriamo di essere di fronte ad una “falla” del sistema, “falla” che AL ha generato e di cui non può essere considerata immediata responsabile. Proviamo a fotografarla in forma assai schematica:

  • Ante AL: la condizione del “battezzato divorziato risposato civilmente” poteva avere solo tre uscite verso la comunione: o chiedeva il riconoscimento della nullità del vincolo sacramentale, o sceglieva di vivere in continenza le seconde nozze, o si asteneva dalla comunione sacramentale per la vita intera.

  • Post AL: continuano, ovviamente le tre opzioni precedenti, ma si apre una quarta opzione che potremmo però definire “incompiuta”. Ossia, nel cammino “in foro interno”, il soggetto può riconoscere in sé e veder riconosciuto sul piano pastorale lo “stato di grazia” della propria esistenza in “seconde nozze”. Ma questa condizione complessa, che la legge civile consente e riconosce, in quale rapporto si pone con la legge ecclesiale? In altri termini, come può la legge ecclesiale riconoscere la condizione “riconciliata” del soggetto civilmente risposato?

Questo punto ha bisogno di creatività giuridica, senza la quale l’ordinamento non avrebbe modo di riconoscere e di tutelare soggetti altrimenti “invisibili”. Ciò potrebbe avvenire almeno in due possibili direzioni:

  • Considerando la “morte morale” del vincolo sacramentale e il riconoscimento del vincolo civile, anche se non di carattere sacramentale;

  • Introducendo una specifica dispensa, con sospensione degli effetti del vincolo sacramentale e riconoscimento ecclesiale del vincolo civile.

Questo sviluppo, in altri termini, sta sicuramente “oltre” AL, ma è reso necessario dalla considerazione dello sviluppo che AL profeticamente ha introdotto. Se AL rende possibile “far pace” con la condizione di “seconde nozze”, la sua recezione deve rendere “opponibile ai terzi” la condizione di comunione riconosciuta anche sacramentalmente.

In ultima analisi, potremmo dire che nel considerare i “limiti” della legge oggettiva, AL rilegge non soltanto la comprensione delle “seconde nozze”, ma permette di distinguerle in modo sempre più accurato dalla fattispecie dell’adulterio. Credo che nel cammino che va da FC ad AL abbiamo assistito ad una graduale riconsiderazione della differenza tra “adulterio” e “seconde nozze”. Non solo perché la differenza che FC propone tra divorziato non risposato e divorziato risposato ha acquisito una sua plausibilità, per quanto limitata; ma anche perché il peccato di “adulterio” deve passare, dal punto di vista penale, dalla comprensione di “reato permanente” a quella di “reato istantaneo”. La stessa interpretazione del canone 915 – come ostacolo invalicabile alla reintegrazione dei divorziati risposati – merita una profonda revisione, poiché, con la sua lettura in termini di “responsabilità oggettiva”, non tiene conto né della storia dei soggetti, né delle diverse modalità di accesso e di stabilità nelle seconde nozze. La “ostinazione” nel permanere nella condizione di peccato grave non può essere più semplicemente identificata con il sorgere oggettivo del nuovo vincolo civile. Ma questo non basta. Occorre che il “sistema giuridico ecclesiale” possa essere messo “in asse” rispetto alla profezia che il sacramento ha già realizzato.

Conclusioni. Insomma, per concludere, lo spazio processuale della pastorale che AL introduce nel rapporto tra Chiesa e soggetti cosiddetti “irregolari”, pur essendo stato pensato con le categorie del “foro interno” e quindi senza la esigenza di una traduzione giurisdizionale in “foro esterno”, deve necessariamente confrontarsi sia con un “fare penitenza” che non è mai riducibile alla invisibilità della contrizione, sia con una riconoscibilità del nuovo legame – come luogo non solo di peccato, ma anche di grazia –  che come tale deve poter essere “opponibile ai terzi” non solo nel mondo civile, ma anche all’interno della Chiesa. Lavoro penitenziale dei soggetti e riconoscimento formale delle seconde nozze sono due “non detti” di AL che attendono la elaborazione e la sperimentazione da parte della recezione pastorale e comunitaria, per la quale occorre un contributo di una rinnovata dottrina sacramentale e di una canonistica capace di accedere anche ad una “lex condenda”. In fondo, non si tratta di “cose nuove”, ma di pratiche antiche, che ci siamo dimenticati. Molto antico è costruire cammini di riabilitazione del soggetto; molto antico è adeguare la legge alla realtà, e non solo la realtà alla legge, Questo è compito della recezione di AL. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che la recezione è parte integrante e qualificante del Magistero della Chiesa. Per la quale recezione occorre un lavoro specifico, sia di natura teorica, sia di natura pratica, che sappia guardare sapientemente indietro e avanti, per una chiesa davvero “ante et retro oculata”.

Andrea Grillo blog: Come se non 17 maggio 2018

www.cittadellaeditrice.com/munera/amoris-laetitia-inizio-di-un-inizio

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Addebito e assegno.

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 9384, 16 aprile 2018.

http://brunettiavvocati.blogspot.it/2018/04/la-moglie-va-via-di-casa-perche-il.html

La Corte di Cassazione ha stabilito che rientra tra le violazione del dovere di fedeltà le frequentazioni online in quanto influiscono negativamente compromettendo la relazione tra i coniugi.

Ha respinto dunque il ricorso posto da un marito titolare di una pensione di tremila euro che chiedeva di eliminare l’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie di 600 euro al mese, sostenendo l’abbandono della casa coniugale da parte della moglie. La donna lo aveva lasciato dopo aver scoperto che frequentava siti di incontri ribadendo che se il tradimento è virtuale l’umiliazione subita è ugualmente concreta.

Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori. https://aiaf-avvocati.it/

Brunetti avvocati 17 aprile ordinanza

http://brunettiavvocati.blogspot.it/2018/04/la-moglie-va-via-di-casa-perche-il.html

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 18, 16 maggio 2018

  • Per il tempo che resta. Anziani, figli adulti caregiver e badanti. In meno di due minuti un video di grande efficacia, capace di mostrare volti, oggetti, ambienti ed emozioni delle persone impegnate in quel laboratorio di cure e di affetti che è l’assistenza a casa di anziani fragili da parte dei figli adulti e delle badanti. Così possiamo ricordare quanta vita c’è in tante nostre famiglie, pur nelle fatiche quotidiane. E a tutti questi volti viene restituita una dignità piena.

www.youtube.com/watch?v=ATv3Ebf7sl0

  • Rapporto Cisf 2017 – Bologna, 22 maggio 2018. L’evento, organizzato da Cisf e dalla Fondazione per l’Innovazione Urbana – Urban Center di Bologna, intende confrontare i contenuti del Rapporto Cisf (presentati dal Prof. Pierpaolo Donati, coordinatore scientifico del Rapporto Cisf) con gli attori sociali del territorio, attraverso una tavola rotonda che coinvolge istituzioni, soggetti di terzo settore e reti “social”. Famiglia e reti digitali: la possibile ibridazione delle relazioni. Un confronto a partire dal Rapporto Cisf 2017. Ingresso libero: registrarsi.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/convegno-bologna-22-05-2018.pdf

www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2018/5/10/IL-CASO-Maternita-in-Italia-i-nemici-e-gli-amici-delle-madri-equilibriste-/820187/

  • “[i dati confermano che dal 2008…] la crisi ha picchiato duro non solo sul tessuto economico, lavorativo e imprenditoriale, ma anche nel vivo delle relazioni familiari, scaricando ulteriori pesi e difficoltà sulle famiglie – e sulle madri, in particolare. Anche per questo i dati sulla propensione alla maternità e sulla fecondità confermano il loro drammatico e apparentemente inarrestabile calo, che conduce a un Paese sempre più vecchio, e con scarso ricambio generazionale[…]”.

www.savethechildren.it/sites/default/files/files/uploads/pubblicazioni/le-equilibriste-la-maternita-italia_0.pdf

  • MMM – Make Mothers Matter (Le Madri Contano). L’altra festa della mammaquella vera. Comunicato stampa dell’Associazione mondiale MMM, a rappresentare la centralità della figura materna per la costruzione della pace (#Mothers4Peace), in occasione della Giornata della Mamma, per ricordarne l’origine, ben più significativa di quanto non sia quella “festa commerciale” che oggi troppo spesso appare. “L’idea di una giornata della Mamma nacque subito dopo la fine della Guerra Civile americana, nel 1872 (Julia Ward Howe a New York, come “Giornata della madre per la Pace”) accompagnata da un appello a tutte le donne del mondo. In occasione della Festa/Giornata della Mamma 2018, MMM intende ricordare le origini di questa Giornata, e il rapporto alla promozione della Pace. MMM vuole anche riaffermare la capacità delle madri di costruire una Pace sostenibile a tutti i livelli, a partire dalla famiglia, ma anche nella comunità, a livello nazionale ed internazionale”

http://makemothersmatter.org/wp-content/uploads/2018/05/20180513-Mothersday-PressRelease-MMM.pdf

  • Il welfare aziendale: una concreta possibilità di sostegno alle famiglie. Eudaimon (provider di welfare aziendale) ha ideato un servizio per le aziende denominato “Altuofianco”, con l’obiettivo di offrire un supporto ai lavoratori nella gestione delle situazioni di fragilità familiari. “Altuofianco” si propone di accompagnare il lavoratore nella scelta di servizi di assistenza familiare, socio-assistenziali, educativi e di orientamento alla gestione di situazioni legate al quotidiano. In particolare, il servizio consentirà di entrare in contatto con il Care Manager, una figura esperta che si occuperà di analizzare le caratteristiche del bisogno espresso e co-progetterà con la famiglia un servizio su misura, accompagnando inoltre il lavoratore e la sua famiglia lungo tutto il percorso di cura, anche dopo l’attivazione del servizi. https://eudaimon.it/it/soluzioni-su-misura/altuofianco

  • Ancora auguri per i 25 anni di progetto famiglia! Nata da un gruppo di giovani in Campania, quella che oggi è diventata la Federazione Progetto Famigliacompie quest’anno 25 anni.

www.progettofamiglia.org/it/index.php

  • Domenica 13 maggio 2018 si è celebrato il convegno ad Angri (SA), che può essere considerato il luogo natale. Di estremo interesse, tra i vari strumenti per fare memoria di questi 25 anni di attività, il video che ha raccolto i saluti di tante persone in giro per l’Italia che li hanno conosciuti, generosamente chiamato “collage dei messaggi di 20 amici illustri” (dove la parola più importante è “amici”, almeno per quel che mi riguarda personalmente, visto che ho avuto il piacere di essere tra le 20 voci interpellate). E’ proprio un bel modo di raccontare una storia, confrontarsi con le facce e le parole delle persone che l’hanno incontrata!

www.youtube.com/watch?v=HwjbCZqSXSU

  • Save the date

  • Nord La famiglia tra fragilità e risorse, incontro promosso da Sindacato delle famiglie, Family Care (cura ascolto relazione educazione), e CCM (Centro Culturale di Milano), Milano, 19 maggio 2018. www.sindacatodellefamiglie.org/wp-content/uploads/2018/05/La-Famiglia-v3.png

L’obiettivo della cura e dell’assistenza. Idee, percorsi, soluzioni per una sanità a misura di persona, evento organizzato da Maggioli Editore, (con crediti formativi per assistenti sociali), Rimini, 24 maggio 2018. www.chroniccareforum.it/programma

Ecologia umana e bioetica, seminario di aggiornamento promosso dal Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, Roma, 18 maggio 2018.

www.istitutogp2.it/dblog/articolo.asp?articolo=430

https://eventi.ischia.it/calendario-eventi/Eventi/13029-festival-della-vita-2018

Corpo, mente, anima. Prospettive di psicologia, psichiatria, arte, promosso da CISAT (Centro Italiano Studi Arte Terapia), Napoli, 22–25 giugno 2018.

www.centrostudiarteterapia.org/it/convegno-cisat/110-convegno-cisat-2018.html

www.mediterraneosenzahandicap.org/Mediterraneo/Pdf%20e%20testi/Capodistria/opuscolo1annunciocapodistria/Primo%20annuncio%20Capodistria_ITA.pdf

per i linkhttp://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/maggio2018/5079/index.html

  • Iscrizione alle newsletterhttp://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

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CHIESA CATTOLICA

Come a Gerusalemme

Cari Amici, l’assedio intorno a papa Francesco si fa più stringente, mentre il suo messaggio oltre muri e posti di blocco continua libero a correre in questo mondo di fuoco. Questa volta la contestazione che gli muovono un cardinale olandese e alcuni vescovi tedeschi è più seria di quella con cui gli si oppose l’assemblea romana del 7 aprile del cardinale Burke. L’attuale contestazione infatti riguarda un punto nodale del programma cristiano, che è l’unità dei cristiani, richiesta e realizzata da Gesù col dono di sé nella notte in cui fu tradito, e poi perduta dalla Chiesa.

La questione è quella della comunione che protestanti e cattolici possano realizzare e vivere insieme. Che ciò avvenga nel servizio reciproco e nella “lavanda dei piedi” è pacifico e ormai largamente praticato in tutte le Chiese, che dal Concilio in poi sono andate molto avanti nell’ecumenismo, sia alla base che ai vertici. Anche ai vertici, dove molte differenze dogmatiche sono cadute; dove è stato “cancellato il ricordo” delle scomuniche, secondo la formula usata dal Concilio; dove si è riconosciuto, dai capi d’Oriente e d’Occidente, che la divisione avvenne perché le Chiese si erano messe in testa di essere il sole, che brilla di luce propria, mentre erano solo la luna che la riflette, e quindi guardavano a se stesse, invece che al Signore; e dove, cinquecento anni dopo la Riforma, esse hanno riconosciuto il bene venuto da Riforma e Controriforma, ma il cattivo venuto dal loro essere “contro”.

Quello che è rimasto invece come limite invalicabile, ai vertici anche se molto meno alla base, è stata la comunione che si attua nello spezzare il pane dell’eucarestia, anche se da tutte le Chiese si afferma che proprio lì bisogna arrivare, perché è solo nella partecipazione a quell’unica mensa che l’unità cristiana veramente si realizza.

Papa Francesco, discretamente, ha cominciato a sgretolare quel tabù. A una donna protestante, che lo interrogava nella chiesa luterana di Roma, ha detto di rispondere lei, col marito cattolico, se fare la comunione insieme; e parlando nella parrocchia anglicana di Roma (nella quale era stato invitato come vescovo di tutti i cristiani della città), ha detto che le Chiese giovani hanno più vitalità, più coraggio nel dialogo ecumenico, il quale si fa “in cammino” (anche “le cose teologiche” si discutono in cammino). E ha dato come esempio quello che avviene nel cuore dell’Argentina: “Ci sono le missioni anglicane con gli aborigeni e le missioni cattoliche con gli aborigeni, e il vescovo anglicano e il vescovo cattolico di là lavorano insieme, e insegnano. E quando la gente non può andare la domenica alla celebrazione cattolica va a quella anglicana, e gli anglicani vanno alla cattolica, perché non vogliono passare la domenica senza una celebrazione; e lavorano insieme. E qui (e intendeva qui, a Roma) la Congregazione per la Dottrina della Fede lo sa”.

Ora accade che la Conferenza episcopale tedesca ha deciso di emanare una direttiva pastorale che contempla, a certe condizioni, di dare la comunione al coniuge protestante di un coniuge cattolico (i matrimoni misti sono numerosissimi in Germania). Sette vescovi tedeschi, che non erano d’accordo, hanno chiesto che si andasse a discutere la cosa a Roma, dal papa: una questione di tale portata, che riguarda la fede e la pratica dell’intera Chiesa, non può essere decisa da una singola Conferenza episcopale, hanno scritto, perciò volevano una decisione d’autorità. Una missione della Chiesa tedesca è venuta così a Roma, il 3 maggio, ma il papa non ha deciso d’autorità: il prefetto per la Dottrina della Fede, arcivescovo Ladaria, in un incontro “cordiale e fraterno” ha comunicato che il papa, apprezzando l’impegno ecumenico dei vescovi tedeschi, chiedeva “a loro di trovare, in spirito di comunione ecclesiale, un risultato possibilmente unanime”. In tal modo il papa, mentre non poneva preclusioni sul merito, teneva ferma una delle maggiori innovazioni del suo pontificato in attuazione del Concilio, la sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, il decidere insieme e non dal vertice di una piramide (semmai, come disse una volta, si tratta di una piramide capovolta dove “il vertice si trova al di sotto della base”).

Ebbene, in una Chiesa sinodale, come era detto in quella ripresa del Concilio Vaticano II che era l’esortazione “Evangelii Gaudium”, le conferenze episcopali devono essere concepite “come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale”.

Secondo due cardinali, l’olandese arcivescovo di Utrecht, Willem Jacobus Eijk, e l’ex prefetto dell’ex Sant’Uffizio, il tedesco cardinale Muller, ciò metterebbe a repentaglio l’unità e la fede della Chiesa; secondo Muller addirittura ne viene che “la Chiesa cattolica è distrutta” e toccherebbe alla Congregazione per la dottrina della fede farsi “guida del magistero del papa”, il che vorrebbe dire che il papa non sia più papa, ciò che è, questo sì, un totale rovesciamento della dottrina cattolica e romana.

Invece è facile giudicare ciò che è avvenuto. Quando nel cristianesimo delle origini nacque un dissidio nella Chiesa locale di Antiochia riguardo a un punto capitale della fede (che per la salvezza fosse necessaria la circoncisione) si decise di mandare una delegazione, con Paolo e Barnaba, a Gerusalemme, perché la cosa venisse decisa d’autorità da Pietro e dagli altri apostoli ed anziani. Ma loro non decisero per tutte le Chiese, rimandarono la delegazione ad Antiochia aggiungendovi Giuda e Sila, perché la decisione fosse presa in quell’assemblea, non secondo la pretesa restrittiva dei credenti che venivano dalla setta dei farisei, non avallata da Gerusalemme, ma secondo la lungimiranza di Pietro per il quale non si doveva imporre alcun giogo degli uni sugli altri, non avendo Dio, “che conosce i cuori, fatto alcuna discriminazione tra noi e loro”. Così papa Francesco ha rimandato la decisione alla Chiesa tedesca, ben sapendo, come aveva detto Pietro che “noi per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, come loro”.

Raniero La Valle www.chiesadituttichiesadeipoveri.it, 15 maggio 2018

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201805/180515lavalle.pdf

 

Verso una nuova antropologia

Gianfranco Ravasi Avvenire 20 maggio 2018

È indispensabile segnalare, sia pure in modo sommario, alcuni cambi di paradigma socio-culturale. Il primo riguarda lo stesso concetto di cultura che non ha più l’originaria accezione intellettuale illuministica di aristocrazia delle arti, scienze e pensiero, ma ha assunto caratteri antropologici trasversali a tutti i settori del pensare e agire umano, recuperando l’antica categoria di paideia e humanitas, i due termini che indicavano nella classicità la cultura (vocabolo allora ignoto se non per l’“agri-cultura”). Per questo il perimetro del concetto è molto ampio e coinvolge, ad esempio, la cultura industriale, contadina, di massa, femminile, giovanile e così via. Essa si esprime, poi, oltre che nelle civiltà nazionali e continentali, anche in linguaggi comuni e universali, veri e propri nuovi “esperanto”, come la musica, lo sport, la moda, i media.

Conseguenza evidente è nel fenomeno del multiculturalismo, che è però un concetto statico di pura e semplice coesistenza tra etnie e civiltà differenti: più significativo è quando diventa interculturalità, categoria più dinamica che suppone un’interazione forte con cui le identità entrano in dialogo, sia pure faticoso, tra loro. Questo incontro è favorito dall’urbanesimo sempre più dominante. Al dato positivo dell’osmosi tra le culture si associano alcuni corollari problematici tra loro antitetici. Da un lato, il sincretismo o il “politeismo dei valori” che incrina i canoni identitari e gli stessi codici etici personali; d’altro lato, la reazione dei fondamentalismi, dei nazionalismi, dei sovranismi, dei populismi, dei localismi (tant’è vero che ora si parla di “glocalizzazione” che sta minando l’ancora dominante globalizzazione).

L’erosione delle identità culturali, morali e spirituali e la stessa fragilità dei nuovi modelli eticosociali e politici, la mutevolezza e l’accelerazione dei fenomeni, la loro fluidità quasi aeriforme (codificata ormai nella simbologia della “liquidità” prospettata da Bauman) incidono evidentemente anche sull’antropologia. Il tema è ovviamente complesso e ammette molteplici analisi ed esiti.

Indichiamo solo il fenomeno dell’io frammentato, legato al primato delle emozioni, a ciò che è più immediato e gratificante, all’accumulo lineare di cose più che all’approfondimento dei significati. La società, infatti, cerca di soddisfare tutti i bisogni ma spegne i grandi desideri ed elude i progetti a più largo respiro, creando così uno stato di frustrazione e soprattutto la sfiducia in un futuro. La vita personale è sazia di consumi eppur vuota, stinta e talora persino spiritualmente estinta. Fiorisce, così, il narcisismo, ossia l’autoreferenzialità che ha vari emblemi simbolici come il selfie, la cuffia auricolare, o anche il “branco” omologato, la discoteca o l’esteriorità corporea. Ma si ha anche la deriva antitetica del rigetto radicale espresso attraverso la protesta fine a se stessa, il bullismo, la violenza verbale sulle bacheche informatiche o l’indifferenza generalizzata ma anche con la caduta nelle tossicodipendenze o con gli stessi suicidi in giovane età. Si configura, quindi, un nuovo fenotipo di società. Per tentare un’esemplificazione significativa – rimandando per il resto alla sterminata documentazione sociologica elaborata in modo continuo – proponiamo una sintesi attraverso una battuta del filosofo Paul Ricoeur: «Viviamo in un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi corrisponde l’atrofia dei fini». Domina, infatti, il primato dello strumento rispetto al significato, soprattutto se ultimo e globale. Pensiamo alla prevalenza della tecnica (la cosiddetta “tecnocrazia”) sulla scienza; oppure al dominio della finanza sull’economia; all’aumento di capitale più che all’investimento produttivo e lavorativo; all’eccesso di specializzazione e all’assenza di sintesi, in tutti i campi del sapere, compresa la teologia; alla mera gestione dello Stato rispetto alla vera progettualità politica; alla strumentazione virtuale della comunicazione che sostituisce l’incontro personale; alla riduzione dei rapporti alla mera sessualità che emargina e alla fine elide l’eros e l’amore; all’eccesso religioso devozionale che intisichisce anziché alimentare la fede autentica e così via.

Un altro esempio “sociale” (ma nel senso di social) che anticipa il discorso più specifico, che svolgeremo successivamente, è quello espresso da un asserto da tempo formalizzato: «Non ci sono fatti, ma solo interpretazioni’, asserto che coinvolge un tema fondamentale come quello di verità (e anche di “natura umana”). Il filosofo Maurizio Ferraris, studiandone gli esiti sociali nel saggio Postverità e altri enigmi (Il Mulino 2017), commentava: «Frase potente e promettente questa sul primato dell’interpretazione, perché offre in premio la più bella delle illusioni: quella di avere sempre ragione, indipendentemente da qualunque smentita». Si pensi al fatto che ora i politici più potenti impugnano senza esitazione le loro interpretazioni e postverità come strumenti di governo, le fanno proliferare così da renderle apparentemente “vere”. Ferraris concludeva: «Che cosa potrà mai essere un mondo o anche semplicemente una democrazia in cui si accetti la regola che non ci sono fatti ma solo interpretazioni?». Soprattutto quando queste fake news sono frutto di una manovra ingannatrice ramificata lungo le arterie virtuali della rete informatica?

Infine affrontiamo solo con un’evocazione la questione religiosa. La “secolarità” è un valore tipico del cristianesimo sulla base dell’assioma evangelico «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio», ma anche della stessa Incarnazione che non cancella la sarx per una gnosi spiritualistica. Proprio per questo ogni teocrazia o ierocrazia non è cristiana, come non lo è il fondamentalismo sacrale, nonostante le ricorrenti tentazioni in tal senso. C’è, però, anche un “secolarismo” o “secolarizzazione”, fenomeno ampiamente studiato (si veda, ad esempio, l’imponente e famoso saggio L’età secolare di Charles Taylor, del 2007) che si oppone nettamente a una coesistenza e convivenza con la religione. E questo avviene attraverso vari percorsi: ne facciamo emergere due più sottili (la persecuzione esplicita è, certo, più evidente ma è presente in ambiti circoscritti).

Il primo è il cosiddetto “apateismo”, cioè l’apatia religiosa e l’indifferenza morale per le quali che Dio esista o meno è del tutto irrilevante, così come nebbiose, intercambiabili e soggettive sono le categorie etiche. È ciò che è ben descritto da papa Francesco nell’Evangelii gaudium: «Il primo posto è occupato da ciò che è esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio. Il reale cede posto all’apparenza… Si ha l’invasione di tendenze appartenenti ad altre culture, economicamente sviluppate ma eticamente indebolite» (n. 62).

Il pontefice introduce anche il secondo percorso connettendolo al precedente: «Esso tende a ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo; con la negazione di ogni trascendenza ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, dando luogo a un disorientamento generalizzato» (n. 64).

Concludendo è, però, importante ribadire che l’attenzione ai cambi di paradigma socio-culturali non dev’essere mai né un atto di mera esecrazione, né la tentazione di ritirarsi in oasi sacrali, risalendo nostalgicamente a un passato mitizzato. Il mondo in cui ora viviamo è ricco di fermenti e di sfide rivolte alla fede, ma è anche dotato di grandi risorse umane e spirituali delle quali i giovani sono spesso portatori: basti solo citare la solidarietà vissuta, il volontariato, l’universalismo, l’anelito di libertà, la vittoria su molte malattie, il progresso straordinario della scienza, l’autenticità testimoniale richiesta dai giovani alle religioni e alla politica e così via. Ma questo è un altro capitolo molto importante da scrivere in parallelo a quello finora abbozzato.

Gianfranco Ravasi Avvenire 20 maggio 2018

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201805/180520ravasi.pdf

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

E’ attivo il portale “Adozione Trasparente” (14/05/2018)

Il portale “Adozione Trasparente” consente di conoscere i passaggi fondamentali della propria procedura adottiva internazionale.

Possono accedere gli aspiranti genitori adottivi che hanno i propri dati anagrafici già censiti nell’applicativo della Commissione in quanto hanno già conferito l’incarico ad un Ente autorizzato, ma non hanno ancora concluso la procedura di adozione internazionale con l’ingresso del minore in Italia alla data del 16 aprile 2018.

Accedi al sezione “Adozione Trasparente”.

Comunicato 14 maggio 2018

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2018/e%E2%80%99-attivo-il-portale-adozione-trasparente.aspx

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CONSULENTI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA

Regolamento Europeo sulla privacy

Una nuova era per la protezione dei dati. Il GDPR è il nuovo Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati che mira a rafforzare e rendere omogeneo il trattamento dei dati personali dei cittadini e residenti nell’Unione Europea, offrendo una maggiore tutela alle persone fisiche e rendendo le aziende più responsabili nell’uso dei dati personali.

Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati [GDPR (UE) del 2016 n.679] entrerà in vigore a partire dal 25 maggio 2018. Il Regolamento riguarderà le grandi realtà (piattaforme di social network, mondo bancario e assicurativo, settore pubblico e multinazionali), ma anche le piccole e medie imprese ed i professionisti, singoli od associati.

Le innovazioni più rilevanti nei diritti riguardano:

  • il diritto alla cancellazione, ormai più noto come “diritto all’oblio”,

  • il diritto alla portabilità dei dati,

  • il diritto ad opporsi alle profilazioni automatiche;

  • le norme sanzionatorie in caso di violazione dei dati .

Il Regolamento conferma, in modo del tutto analogo alla precedente normativa in parte abrogata, che il Titolare del Trattamento ha la responsabilità di tutelare i dati personali a lui affidati, conservandoli nel modo più idoneo e rendendoli accessibili se necessario, implementando la propria struttura organizzativa secondo le esigenze del trattamento e della conservazione degli stessi.

L’applicazione del nuovo regolamento, varato nel 2016, partirà il prossimo 25 maggio 2018.

Vediamo quale novità introduce la nuova normativa e cosa cambia, nel concreto, nelle incombenze che come Consulenti della Coppia e della Famiglia dobbiamo fare per essere in linea con il Regolamento Ue 2016/649 (GDPR).

Il nuovo modulo di Contratto di consulenza e consenso informato. Continueremo a fare ciò che abbiamo sempre fatto ovvero consegnare ai nostri clienti l’informativa sul percorso di consulenza familiare e sulla privacy e richiedere il consenso al trattamento dei loro dati personali.

La nuova informativa che sottoporremo ai nostri clienti sarà però leggermente diversa da quella che attualmente utilizziamo (e che faceva, fino ad oggi, riferimento al solo D. Lgs. 196/2003) in quanto dovrà essere in linea con ciò che richiede il nuovo Regolamento Europeo.

In particolare l’art. 5 del Regolamento Ue 2016/679, così come già previsto dall’art. 11 del D. Lgs. 196/2003, impone ai professionisti che il trattamento dei dati del cliente:

  • sia effettuato in modo chiaro e trasparente, per finalità lecite e determinate;

  • siano circoscritti e limitati in base alla finalità per cui si raccolgono. Si tratta della “minimizzazione dei dati”, cioè che non siano eccedenti rispetto alle finalità del trattamento, e che siano “limitati a quanto necessario, rispetto alle finalità per le quali sono trattati”;

  • siano conservati per un tempo limitato e che sia specificata la durata temporale della conservazione. Questa è la novità più rilevante rispetto alla precedente normativa che non prevedeva la durata della conservazione dei dai. Tale durata dovrà essere comunicata al cliente.
    Il nuovo modello di Contratto di Consulenza e consenso informato AICCeF sarà disponibile su questo sito il 24 maggio.

Conservazione e accessibilità dei dati raccolti. Occorre una gestione “ordinata” dei dati e delle informazioni, siano essi conservati in forma cartacea (fascicoli, raccoglitori, etc.) o digitale (PC, tablet, etc.). Tale gestione deve essere al riparo da occhi indiscreti, ma soprattutto deve essere tale da non consentire accessi da parte di estranei non autorizzati.

Se lavoriamo da soli come liberi professionisti, sarà sufficiente, come è stato fatto finora, predisporre un luogo fisico per la gestione dei dati cartacei (una stanza che funge da archivio oppure un mobile che può essere chiuso a chiave).

In caso di studio associato ogni professionista che vi fa parte dovrà avere un luogo fisico di conservazione del cartaceo ben protetto e accessibile a lui solo.

Nel caso il consulente eserciti in un Consultorio il discorso è leggermente più complesso perché il professionista deve appoggiarsi all’organizzazione del Consultorio per la raccolta ed il trattamento dei dati personali degli utenti. Sarà l’ente che indicherà al cliente chi è il Responsabile della protezione dei dati (Data Protection Manager, art.37 del DGPR) a cui il cliente può rivolgersi per esercitare i suoi diritti in materia di privacy, e la durata della conservazione degli stessi. In questo caso il modulo di Contratto di consulenza e consenso informato, (che il professionista deve pretendere che sia sottoposto all’attenzione ed alla firma del cliente), deve essere prodotto dal Consultorio e deve indicare, oltre le informazioni richieste dal Regolamento Europeo, i dati del Consulente e le indicazioni della legge 4 del 2013.

Il principio di responsabilizzazione. Il nuovo Regolamento introduce il principio di “accountability” ovvero di responsabilizzazione. Ciò significa che per ogni consulenza deve essere possibile risalire ai presupposti giuridici che giustificano il suo esercizio, la base giuridica su cui si fonda il trattamento (es. il consenso, il legittimo interesse, l’obbligo contrattuale, l’obbligo di legge), il periodo di conservazione di tali dati, etc.

Il “principio di responsabilizzazione” per un Consulente della Coppia e della Famiglia significa affiancare a un profilo meramente giuridico, applicativo della normativa stabilita, una dimensione etica della professione che promuova la trasparenza della metodologia ed il rispetto per la persona in consulenza.

Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari 19 maggio 2018

www.aiccef.it/it/news/regolamento-europeo-sulla-privacy.html

 

Il consulente familiare n.2 aprile – giugno 2018

Organo di informazione dell’A.I.C.C.eF.

  • Lettera della Presidente Rita Roberto

  • La relazione di coppia nel XXI secolo: contesti in mutamento e significati emergenti. 64° Conferenza internazionale ICCFR. Sara Hawker, Francesco Belletti, Mirella Cacco, Laura Romano, Laszio Lucian Tomek, Massimo Segù, Barbara Lombardi.

  • Relazioni educative e nuovi giochi relazionali. Marina D’Amato.

  • Dossier: La diversità come concetto pedagogico ed educativo. Domenico Simeone e Raffaello Rossi.

  • Vasto. Vivere on line. Risorse e insidie delle famiglie digitali. Antonietta Grilli.

  • Essere consulenti familiari. Cecilia Falcetti, Nicola Nerozzi. Loredana Guarino, Renata Spagnol, Nadia Vaccari.

  • A propositi di famiglia. Il parto anonimo e il diritto alle origini. Ivana De Leonardis.

  • Letto e visto per voi. Rita Roberto. Licia Serino.

  • Lettere all’Aiccef.

  • Notizie Aiccef.

http://ilconsulentefamiliare.blogspot.it

 

I mille perché della Coordinazione Genitoriale

Dopo le istruzioni per l’uso della coordinazione genitoriale è doveroso passare in rassegna e discutere, per punti, gli aspetti più critici di tale strumento che è oggetto di sempre maggiore interesse.

www.studiocataldi.it/articoli/29140-coordinazione-genitoriale-istruzioni-per-l-uso.asp

Perché ancora uno strumento ADR [Alternative Dispute Resolution]? Quando e per chi utilizzarlo?

Ci sono situazioni che si sono rivelate di gestione molto difficile se affrontate con i metodi tradizionali. Il sistema legale non può intervenire di continuo, per motivi sia di costi che di tempi; la mediazione fallisce. D’altra parte non si può abbandonare quel gruppo familiare a se stesso, in presenza di figli minorenni. La CG, allora, può risolvere il problema.

Nella nostra opinione, tuttavia, non è felice scelta quella più largamente praticata di includere anche le situazione di violenza ed escludere quelle in cui i genitori si contestano ogni minima decisione – pur parlandosi – delegandole agli interminabili scambi epistolari tra i difensori. Riteniamo, viceversa, opportuna una “traslazione verso il basso” nella scala della litigiosità, escludendo la violenza e includendo la fascia di situazioni di media gravità.

La CG è gratuita o a pagamento? Esistono coordinatori del servizio pubblici e privati? Perché si dice che il servizio di CG dev’essere collegato con servizi di mediazione familiare? La questione se si tratti di un servizio a pagamento ovvero offerto gratuitamente alle coppie risulta controversa: infatti c’è chi ritiene preferibile la gratuità e si adopera per stipulare convenzioni con enti pubblici ovvero la considera delegata ai pubblici servizi, ove in grado di organizzarla, al fine di garantirne l’accesso a chiunque a prescindere dal censo. Altri, al contrario, ritengono preferibile che sia a pagamento al fine di selezionare e maggiormente responsabilizzare le coppie. Così, soltanto i più determinati intraprenderebbero questo cammino. Nella realtà odierna in cui la CG è ancora in fase embrionale, sembrano esistere prevalentemente CG privati con l’unica eccezione, per il momento, del caso di Civitavecchia dove – in seguito ad una convenzione tra Tribunale, Università e ASL – è stato istituito uno sportello-famiglia in cui operatori della ASL specializzati nella mediazione delle coppie altamente conflittuali offrono un servizio di CG.

La questione circa la natura pubblica, privata convenzionata o privata della CG, in conclusione, pare strettamente connessa e logicamente dipendente dalla questione sopra esaminata in merito alla gratuità od onerosità di tale “servizio”.

La necessità di un collegamento del servizio CG con servizi di mediazione e coordinazione, così come fino ad ora emerso nella pratica delle CG in atto, sta a significare che i professionisti coinvolti, pubblici o privati che siano, devono essersi formati alla mediazione, in attesa che venga formalizzata e ufficializzata la professionalità del coordinatore.

La CG può essere disposta dal giudice? Se sì, cosa accade se un genitore la rifiuta? In cosa il percorso imposto – se ammissibile – differirebbe da quello volontario? Ci sono correnti di pensiero diverse sull’opportunità di farlo. Chi vede nel CG soprattutto un mediatore ritiene che sia possibile solo nel caso di affidamento ai servizi; chi, invece, pensa soprattutto a un ruolo di ausiliario, come il CTU, è convinto di sì. Tuttavia, a prescindere dalla opportunità, una certezza si può averla: in Italia è già accaduto che sia stato nominato dal giudice e con affidamento ai genitori. Quanto alle differenze, si può prevedere che alla scelta fatta dalle parti si accompagni una adesione alle valutazioni del CG più convinta, più interiorizzata, mentre se l’intervento viene imposto saranno più frequenti le contestazioni e i tentativi di scrollarselo di dosso. D’altra parte è anche vero che i casi in cui è il giudice a nominare il CG sono anche i più difficili da gestire e in quei casi la nomina serve anche a dargli la necessaria autorevolezza.

Si può attivare una CG direttamente, su disposizione del giudice, senza passaggi intermedi? No, la preliminare costruzione di un Piano Genitoriale (PG) è indispensabile, per avere un documento al quale rifarsi in caso di contestazioni

La mediazione, effettuata dopo l’udienza presidenziale, fallisce, oppure la coppia non accetta di andarci. Ha senso che il giudice chieda comunque l’elaborazione di un PG? Qual è a quel punto la sua utilità? Se e quale contributo può dare, a questo punto dell’iter, un intervento di tipo mediativo? E’ normale, al contrario, che un tentativo di mediazione sia fallito, perché abbia senso passare alla CG, visto che è destinata alla coppie altamente conflittuali. Quanto al PG, è vero che la coppia potrebbe non riuscire a concordarlo, ma disporne è indispensabile ugualmente, come “manuale di istruzioni”; in tal caso lo prepara il giudice, da solo o con l’intervento del personale di Sportello. E comunque il passaggio assistito del tentativo di costruzione congiunta del PG risulta prezioso per aiutare la coppia a riconcentrarsi realmente sul benessere dei figli, apprezzando al contempo i vantaggi per tutto il gruppo familiare del passaggio dal conflitto al consenso.

Quali argomenti possono porsi a fondamento del potere del giudice di ordinare la CG? In effetti, se si assimila la CG a un trattamento sanitario questo non potrebbe essere obbligatorio, ai sensi di quanto disposto dall’art. 32 della Costituzione. Tuttavia, la difficoltà viene superata dalla necessità di assicurare un’effettiva realizzazione della bigenitorialità. In altre parole, il precetto costituzionale citato deve essere armonizzato con il diritto dei minori all’integrità psicofisica e al sano sviluppo della loro personalità, diritto di pari rango costituzionale, che affonda le sue radici nel disposto degli artt. 2 e 3 della Costituzione.

La durata della CG può essere predeterminata? Possono le parti sottoporsi autonomamente a una CG? A quali regole è sottoposto il contratto con il CG? Cosa cambia rispetto a quando è disposta dal giudice? La durata della CG non può essere stabilita a priori cioè senza fare attenzione al livello di conflittualità in concreto che presenta quella coppia e senza un’analisi dei suoi meccanismi interni e degli aspetti più o meno critici. Si ritiene, comunque, all’interno del sistema legale, che sei mesi possano essere un lasso di tempo sufficiente per individuare quelli che possono essere definiti i “fattori di rischio” della coppia o, in altre parole, gli aspetti maggiormente problematici della stessa.

Nel caso in cui sia state le stesse parti a scegliere liberamente di affidarsi ad un CG, la determinazione dei termini minimi e massimi è lasciata all’autonomia contrattuale delle stesse ai sensi dell’art. 1322 c.c., con il limite della realizzazione di interessi meritevoli di tutela secondo il nostro ordinamento. Se la coppia concorda di rivolgersi a un CG esce dall’ambito delle tutele giuridiche specifiche e anche i poteri del CG sono solo quelli che emergono dal contratto. Per comprendere meglio la differenza si può pensare a una coppia che vada spontaneamente in mediazione e non faccia omologare gli accordi.

La CG può intervenire sia in fase istruttoria che al termine del procedimento? La CG può essere disposta già in fase istruttoria con un provvedimento provvisorio da parte del G.I., analogo a quello che dispone una CTU, ovvero nella sentenza (per le coppie sposate) o nel decreto (per le coppie non sposate) che definisce il procedimento. Nulla vieta, poi, che possano essere le stesse parti a voler intraprendere un autonomo percorso di CG, una volta terminato il procedimento giudiziale e pur se il tribunale non lo abbia disposto. In questo caso, tuttavia, la coppia resterebbe sguarnita delle garanzie offerte dal vaglio giudiziale e/o dall’incorporazione della CG in un provvedimento giudiziale.

Quali sono i criteri e le modalità seguite nella scelta dell’operatore? Dipende da chi lo nomina. Si può presumere che a regime vengano creati elenchi presso i tribunali, ai quali attingere. Al momento attuale, tuttavia, esiste un assoluto potere discrezionale: la magistratura si orienta verso operatori collaudati nel lavoro con coppie altamente conflittuali, formati alla mediazione familiare, tipicamente selezionati presso i Servizi Sociali e/o tra i soggetti ai quali vengono affidate le consulenze tecniche di ufficio; ovvero il requisito essenziale è la fiducia personale del giudice. Quando sono le parti a nominarlo, fermo restando orientativamente il possesso dei medesimi requisiti, lo step decisivo è rappresentato dalla convergenza di entrambi verso il medesimo nominativo.

Il giudice può scegliere indifferentemente tra un CG pubblico e uno privato? Ci sono dei criteri? Quello del CG è un ruolo che, per sua natura, potrebbe essere svolto nel settore pubblico come nel settore privato, configurandosi nell’un caso gratuito e nell’altro a pagamento. Ad oggi i giudici, nel disporre percorsi di CG, si sono orientati prevalentemente a favore del settore privato. Tuttavia, vi è il caso del tribunale di Civitavecchia. Lì, infatti, sono gli stessi presidente f.f. od il collegio a disporre l’invio della coppia già in sede di decreto di fissazione della prima udienza.

Si ritiene, pertanto, auspicabile che il tribunale individui professionisti pubblici o privati convenzionati, a meno che non siano le stesse parti a dichiararsi disponibili ovvero ad indicare e richiedere loro stesse un CG privato di fiducia. E’ opportuno, e caso mai perché, che il CG sia lo stesso operatore che ha seguito il PG? Ci può essere un conflitto di interesse e il rischio che si abbiano ruoli multipli? Si ritiene preferibile giovarsi come CG di un operatore che conosca le peculiarità ed i problemi specifici della coppia, avendola già incontrato nella elaborazione del PG. Non sembra sussistere alcun rischio di conflitto di interesse dal momento che il CG, all’interno di quel procedimento giudiziale e per quella coppia, può svolgere soltanto quel ruolo e non altri che pure per le sue competenze e la sua professionalità, sarebbe astrattamente in grado di svolgere.

Quali poteri ha il CG nella elaborazione del Piano Genitoriale e quali nella sua attuazione? Il CG non ha alcun potere nella fase iniziale, tanto che il compito di accompagnare la coppia nella redazione del PG potrebbe essere affidato anche ad altro soggetto; le scelte le fanno tutte i genitori. C’è, però, la convenienza ad assegnare a lui quel compito, perché in tal modo avrà la possibilità, punto per punto, di segnalare ai genitori i prevedibili scogli, assicurando al contempo la massima personalizzazione, in modo che quando si passerà alla fase operativa sia minimo il rischio di trovarsi scoperti di fronte ad aspetti imprevisti, o di fronte a valutazioni del CG che i genitori non avevano previsto. Ovvero, in questo modo quello che sarà il “gruppo di lavoro” farà conoscenza e si attiverà in anticipo.

Quando si passa alla fase esecutiva del PG, invece, il CG può dirimere le controversie che hanno per oggetto aspetti secondari, assumendo lui le relative decisioni; ma non può modificare i contenuti essenziali (ad es. relativi alla frequentazione e al mantenimento) inseriti nel PG e omologati dal giudice.

Quali sono esattamente gli “aspetti secondari”? Perché il CG gode del potere di modifica soli di quelli e non anche di quelle principali? Un criterio tra i meno ambigui è quello di considerare secondarie le decisioni che non incidono stabilmente sulla vita dei figli, ma solo occasionalmente. Quanto alle scelte principali, è il codice civile stesso a stabilire che per esse sia obbligatorio l’accordo e ove manchi che ci si debba rivolgere al giudice.

Quali informazioni può/deve comunicare al Tribunale? Assumendo quale figura di riferimento una sorta di incrocio tra il giudice tutelare ed il mediatore, di fronte alla inadeguatezza di modalità di gestione che riguardino aspetti rilevanti ha necessariamente il diritto-dovere di informarne il giudice della lite, affinché assuma i provvedimenti del caso. Quando, invece, si tratta di decisioni secondarie, ad es. scelte non ben definite nel PG, essendone lui il garante potrà intervenire direttamente, dando di persona le direttive che servono.

A quali documenti può accedere il CG? E nel relazionarsi con gli enti terzi si pone in posizione privilegiata o paritaria? Il rapporto che ha con le parti è diverso da quello con gli altri soggetti istituzionali? Il CG non solo può accedere all’intero fascicolo di causa e interagire con tutti i soggetti coinvolti nella gestione dei bisogni del gruppo familiare, ma a ben guardare ha il dovere di farlo, perché la conoscenza dell’intero percorso e di ogni suo aspetto è una garanzia per i genitori e incrementa la loro fiducia nell’operatore; oltre che, ovviamente, rappresentare un indispensabile requisito di partenza per poter effettuare un buon lavoro. Quanto alla qualità del suo rapporto con i vari soggetti, rispetto ai genitori si pone come una guida, in forza per altro di un mandato che essi stessi gli hanno affidato, direttamente o nel momento in cui si sono rivolti alla giustizia; mentre con i vari operatori ha semplicemente un rapporto di collaborazione, essendo tutti impegnati nello sforzo di risolvere i problemi di quel gruppo familiare.

Il CG ha in assoluto un obbligo di segretezza e riservatezza? Se interagisce con terapeuti che sono tenuti al segreto e pertanto non ottiene le informazioni richieste cosa può fare? Il rispetto della privacy può essere certamente considerato come una esigenza di base, da porre a fondamento di tutto il percorso della CG e dell’attività che l’operatore effettua. Resta il fatto che la natura particolare dell’obiettivo primario di ogni intervento delle istituzioni nell’ambito della famiglia – ovvero la tutela dei minori – permette di superare la riservatezza quando le circostanze lo rendano indispensabile. Quindi, non solo evidentemente il CG è tenuto a segnalare al giudice il verificarsi di reati, ma non può neppure essere tenuto a non rendere noti a un genitore fatti appresi dall’altro, ove necessario. Si può pensare, pensare, per chiarezza, a notizie che riguardino le condizioni di salute di membri della famiglia. Nel caso in cui gli venga opposto da altri soggetti il vincolo del segreto professionale gli resta la possibilità di segnalare la circostanza al giudice il quale assumerà i provvedimenti del caso.

Se il CG appartiene ad un ordine professionale che di per sé lo vincola alla riservatezza e alla segretezza può testimoniare? Quali conseguenze può avere la sua scelta? Come accennato, di fronte a un reato, o ad una condizione che costituisca una minaccia per i figli, il CG si può considerare sciolto da questi obblighi. Quanto alle notizie che può apprendere fortuitamente e che riguardino aspetti non rilevanti penalmente (ad es., che uno dei genitori coltiva tacitamente una relazione sentimentale), se la sua appartenenza di categoria gli pone dei vincoli è corretto che ne informi preventivamente la coppia; a maggior ragione se l’incarico gli è stato conferito direttamente da essi. Naturalmente, la violazione di accordi presi in questo senso può costargli la perdita dell’incarico, ovvero un procedimento presso il consiglio del suo ordine; pur non essendo perseguibile penalmente.

Come si configura la presenza del CG nel processo? Svolge un ruolo preciso? Ha poteri processuali? Secondo il Tribunale di Milano (sentenza n. 15709/2016), Il CG non avrebbe poteri processuali autonomi in virtù del suo ruolo di gestione e contenimento del conflitto al fine di evitare il contenzioso davanti ai giudici. Il CG, soltanto nel corso del procedimento, potrebbe avere un potere di “segnalare con urgenza all’autorità giudiziaria minorile ogni condizione di concreto pregiudizio psicofisico (…) che venisse a ravvisare”. Secondo questo orientamento, si tratterebbe, dunque, di un incarico di carattere sostanzialmente privato che non attribuirebbe al CG alcuna legittimazione processuale diretta. Legittimazione che, invece, resterebbe in capo a PM in casi gravi.

Il Tribunale di Mantova (sentenza 5 maggio 2017), tuttavia, attribuisce allo stesso il compito di relazionare al Giudice Tutelare sull’andamento dell’intervento, sembrando configurarsi così, un ruolo ausiliario del giudice stesso.

Emerge, quindi, allo stato attuale, una certa nebulosità e mancanza di uniformità nella giurisprudenza in merito al ruolo ed ai poteri (processuali o solamente di diritto privato) da attribuirsi al CG.

Come avvengono l’ingresso e l’uscita del CG rispetto al processo? Può lasciare l’incarico? Può essere destituito dalle parti? Il giudice può sostituirlo o negare, se richiesta, questa possibilità? Il provvedimento che dispone o invita alla CG può essere provvisorio o definitivo. Nel caso in cui il CG, per qualunque ragione, non possa assumere o proseguire l’incarico il Tribunale provvederà alla nomina di altro professionista in sostituzione di quello precedente indicato.

Se la richiesta di sostituzione è stata formulata ad istanza di una delle due parti, il Tribunale, ascoltate le argomentazioni di entrambe le parti, valuterà la sussistenza di ragioni formali, quali incompatibilità, conflitto di interessi, ovvero sostanziali, quali la condotta omissiva o negligente nell’esecuzione dell’incarico conferito dal giudice. Si ritiene che solo in tali ipotesi, analogamente a quanto previsto per il CTU, il tribunale possa e debba procedere con la sostituzione. Questo nel caso di nomina da parte del giudice; se è stato nominato dalle parti, queste evidentemente hanno la possibilità di licenziarlo, secondo le modalità previste dal contratto.

Marino Maglietta e Ilaria Fuccaro, avvocato e mediatrice familiare

newsletter studio Cataldi 15 maggio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/30407-i-mille-perche-della-coordinazione-genitoriale.asp

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CONSULTORI FAMILIARI DI ISPIRAZIONE CRISTIANA

Punto Familia Torino Incontro sui gender.

Martedì 29 maggio alle 20.45 presso la Sala Conferenze del Centro Culturale Le Rose – Via Arnaldo da Brescia 22 – Torino si terrà un incontro sul tema “Gender, di che cosa stiamo parlando?”

Intervengono: Don Alessandro Marino, Facoltà di Teologia di Torino, Nicolò Terminio, psicologo, psicoterapeuta, collaboratore di Punto Familia

La partecipazione è libera. www.puntofamilia.it/news-punto-familia.html

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Milano. La Casa. In distribuzione La casa news

Aprirsi alla collaborazione, uniti nella fiducia. Alice Calori

Ricostruire le radici della famiglia. (intuizione e progetto). don Paolo Liggeri (dagli scritti)

In cammino verso il non ancora. (allenarsi per costruire relazioni salde). Beppe Sivelli

Non si è spenta la sua voce. (Il consultorio). Alice Calori

Un ponte verso la relazione. (Il gruppo come strumento di lavoro). Maria Gabriela Sbiglio

Figli al centro tra diritto e diritti. (colloquio con Luigi Filippo Colombo) Elena D’Eredità

Bulli si nasce o si diventa? (spunti di riflessione sul ruolo educativo). Mary Rapaccioli

#Sbulla-Mi, un nuovo progetto. (un gruppo tra Organizzazioni). Gruppo #Sbulla-Mi

Ad amare non si sbaglia mai. (generazioni a confronto). Jolanda Cavassini

La felicità di essere guardati. (essere genitori adottivi). Servizio Adozioni

Festa di Primavera e progetti di cooperazione Associazione Hogar onlus

Appuntamenti: corsi e gruppi

www.ist-lacasa.it/pdf_sarat/rivistapdf_pdf_704450925.pdf

 

Reggio Calabria. La storia di una coppia

La storia di una coppia, Luisa e Paolo Benciolini, che renderà la propria testimonianza alla Festa diocesana della Famiglia. Anche l’amore sponsale finisce in prima pagina

www.avveniredicalabria.it/3432/anche_l_amore_sponsale_finisce_in_prima_pagina.html

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CONTRACCEZIONE

Boom pillola giorno dopo fra studentesse, usata da 1 su 5

Sesso senza precauzioni e corsa alla pillola del giorno dopo. Secondo uno studio, realizzato a Padova, su circa 1500 studenti di una ventina di scuole superiori, una giovane su cinque – esattamente il 21% – ha usato la pillola del giorno dopo.

Il dato è stato presentato al convegno su ‘Il disagio giovanile e la sua prevenzione’, organizzato a Padova e presieduto da Carlo Foresta, docente di Endocrinologia dell’Università patavina e dalla collega Marta Ghisi, docente di Psicologia Clinica. “Questo è un drammatico indice di mancanza di educazione sessuale”, dice Foresta.

“La pillola del giorno dopo non può e non deve essere considerata un anticoncezionale”. D’altro canto, il trend nazionale è quello della diminuzione degli aborti volontari e all’aumento dell’acquisto di pillole abortive.

“Secondo i dati resi noti dal ministero della Salute – incalza Foresta – nel 2016 mentre il numero di interruzioni volontarie di gravidanza è stato di 84.926 casi, il 3,1% in meno rispetto al 2015, le vendite della pillola dei 5 giorni dopo hanno raggiunto quota 189.589: 145.101 erano le confezioni distribuite nel 2015, 16.797 nel 2014, 11.915 nel 2013 e 7.796 nel 2012.

Il rialzo riguarda anche la pillola del giorno dopo, il Levonorgestrel: 214.532 le confezioni vendute nel 2016, 161.888 quelle del 2015″. L’indagine è stata condotta su 1.426 studenti tra i 18 e i 21 anni che frequentano i 19 istituti superiori di Padova e provincia (825 maschi e 601 donne).

Ebbene, le studentesse che hanno utilizzato la pillola del giorno dopo riferiscono inoltre, rispetto alle loro coetanee, una maggiore gamma di comportamenti a rischio, dice Foresta.

In termini di differenze di genere, infine, i maschi riferiscono di avere relazioni meno stabili e una maggiore tendenza ad avere partner multipli (12% per i maschi contro il 4,4% delle femmine).

AdnKronos Salute 17 maggio 2018 www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=43136

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DALLA NAVATA

Pentecoste – Anno B –20 maggio 2018

Atti 02, 04 e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

Salmo 103, 34 A lui sia gradito il mio canto, io gioirò nel Signore.

Galati 05, 18 Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.

Giovanni 16, 13 Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.

 

Lo Spirito santo, compagno inseparabile di Gesù

Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)

Il lezionario della chiesa universale prevede per la solennità della Pentecoste il vangelo giovanneo che narra l’apparizione di Gesù risorto ai discepoli la sera del primo giorno della settimana, quando egli soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito santo” (cf. Gv 20,19-23). Il lezionario della chiesa italiana prevede invece, a seconda dell’annata, altri due brani tratti dal quarto vangelo, che in verità sono costruzioni un po’ artificiali, in quanto costituiti da versetti appartenenti a contesti diversi. In questa annata B il testo è composto da due versetti in cui Gesù promette ai discepoli lo Spirito santo (cf. Gv 15,26-27) e da altri quattro nei quali egli specifica l’azione dello stesso Spirito nei giorni della chiesa (cf. Gv 16,12-15). Anche se non è un’operazione facile commentare versetti non consecutivi, tentiamo comunque di farlo, con spirito d’obbedienza.

Gesù è ancora a tavola con i suoi discepoli dopo la lavanda dei piedi (cf. Gv 13,1-20) e pronuncia parole di addio, perché è “venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre” (Gv 13,1). Sono parole che la chiesa giovannea ha custodito, meditato, interpretato e finalmente messo per iscritto, con un linguaggio e uno stile diversi da quelli delle parole uscite dalla bocca di Gesù. Potremmo dire che il discepolo amato e la sua chiesa hanno fatto “risorgere” le parole di Gesù e qui nel vangelo le ritroviamo nella loro verità, ma pronunciate dal Risorto glorioso, il Kýrios, e indirizzate ai discepoli radunati nelle chiese di ogni tempo.

Sappiamo dai vangeli sinottici che Gesù aveva parlato dello Spirito santo, disceso su di lui nel battesimo (cf. Mc 1,10 e par.), e lo aveva promesso come dono ai discepoli, in particolare per l’ora della persecuzione (cf. Mc 13,11 e par.), quando lo Spirito sarà la loro autentica difesa, “parlando in loro” e “insegnando loro ciò che occorre dire”. Ed ecco la stessa promessa nel vangelo secondo Giovanni (cf. Gv 14,26-27): quando verrà il Parákletos – il chiamato accanto come avvocato difensore, soccorritore e consolatore, lo Spirito di verità che Gesù, salito al Padre, invierà –, allora lo Spirito darà testimonianza a Gesù, e così faranno i discepoli stessi, hanno condiviso la vita con lui fin dall’inizio della sua missione, fin dal battesimo ricevuto da Giovanni. Ma anche i discepoli futuri di Gesù non potranno essere tali e dare testimonianza a lui se non accolgono il Vangelo dal suo inizio, cioè quella buona notizia di un Gesù uomo nato da donna, vissuto come “carne fragile”, crocifisso e risorto da morte: un Gesù che è stato sárx, carne, umanità, e che ora è vivente in Dio nella gloria, quale suo Figlio per sempre.

L’alito di Dio, la ruach che figurativamente indica la vita di Dio che procede dall’intimo del suo essere; l’alito di Dio che è la forza creatrice con cui egli ha creato il cosmo (cf. Gen 1,2); quel soffio che è sceso in una donna per permettere alla Parola di diventare “carne” (cf. Gv 1,14), Gesù quale Signore vivente lo soffierà sui discepoli dopo la sua resurrezione. La vita stessa di Dio che è la vita di Gesù risorto, sarà vita anche nei discepoli e li abiliterà a essere suoi testimoni. Avverrà così una sinergia tra la testimonianza dello Spirito e quella del discepolo riguardo a Cristo: anche quando gli uomini sentiranno estranei i cristiani, anche nelle persecuzioni e nelle ostilità subite da parte del mondo, nella potenza dello Spirito i cristiani continueranno a rendere testimonianza a Gesù. Questa è la funzione decisiva dello Spirito santo che, come fu “compagno inseparabile di Gesù” (Basilio di Cesarea), dopo che Gesù lo ha inviato dalla sua gloria presso il Padre, è il “compagno inseparabile” di ogni cristiano. La parola del discepolo di Gesù sarà voce dello Spirito santo (cf. Gv 3,8), sarà parola profetica rivolta al mondo come testimonianza piena di forza, pur nella debolezza e nella fragilità della condizione dei discepoli.

Riguardo a questo soffio divino Gesù dice ancora qualche parola (cf. Gv 16,12-15). Egli è consapevole di aver narrato, spiegato (exeghésato: Gv 1,18) Dio ai discepoli per alcuni anni con il suo comportamento e le sue parole, soprattutto amando i suoi fino alla fine (cf. Gv 13,1), ma sa anche che avrebbe potuto dire molte cose in più. Gesù sa che c’è una progressiva iniziazione alla conoscenza di Dio, una crescita di questa stessa conoscenza, che non può essere data una volta per tutte. Il discepolo impara a conoscere il Signore ogni giorno della sua vita, “di inizio in inizio, per inizi che non hanno mai fine” (Gregorio di Nissa). La vita del discepolo deve essere vissuta per una comprensione sempre più grande, e tutto ciò che una persona vive (incontri, realtà, ecc.), attraverso l’energia dello Spirito santo apre una via, approfondisce la conoscenza, rivela un senso.

Ognuno di noi lo sperimenta: più andiamo avanti nella vita personale e nella risposta alla chiamata del Signore nella storia, più lo conosciamo! Il Vangelo è sempre lo stesso, “Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre” (Eb 13,8), non cambia, ma noi lo conosciamo meglio proprio vivendo la nostra storia e la storia del mondo. D’altronde, proprio il vangelo secondo Giovanni testimonia che i discepoli comprendono alcuni gesti di Gesù soltanto più tardi, dopo la sua morte e la sua resurrezione: erano restati incapaci di interpretarli nel loro accadere (cf. Gv 2,22; 12,16), ma nella luce della fede nel Risorto si era aperta per loro la possibilità della comprensione.

Per questo Gesù confessa di non aver detto tutto: ha detto l’essenziale riguardo a Dio, quello che basta alla salvezza, ma la conoscenza è infinita. Gesù è nel Regno con il Padre, ma lo Spirito santo che egli invia ai discepoli ricorda loro le sue parole (cf. Gv 14,26), le approfondisce, rende comprensibile ciò che essi non hanno compreso su di lui in precedenza. E nuovi eventi e realtà della storia sono illuminati e compresi proprio grazie alla presenza dello Spirito santo, che fa conoscere non una nuova rivelazione, non necessaria dopo Gesù, ma rischiara e approfondisce il mistero di Dio e del Figlio suo inviato nel mondo, morto e risorto. Si faccia però attenzione:

a Cristo non succede lo Spirito santo,

all’età del Figlio non succede quella dello Spirito,

perché lo Spirito che procede dal Padre è anche lo Spirito del Figlio (questo significa l’affermazione: “Tutto quello che il Padre possiede è mio”), inviato da lui e suo compagno inseparabile.

Dove c’è Cristo c’è lo Spirito e dove c’è lo Spirito c’è Cristo! E la parola di Dio è sempre la stessa: in Mosè, nei profeti e nei salmi (cf. Lc 24,44) c’è una stessa parola di Dio, uscita dalla sua bocca insieme al suo soffio e diventata “carne” in Gesù.

Leggendo la Pentecoste alla luce di queste parole di Gesù del quarto vangelo, oggi confessiamo che l’alito, il soffio di vita di Dio è il soffio di Cristo, è lo Spirito santo ed è il nostro soffio di cristiani: un soffio che scende su di noi e in noi costantemente e che, soprattutto nell’eucaristia, ci rinnova, donandoci la remissione di tutti i nostri peccati, abilitandoci all’evangelizzazione, che è sempre testimonianza resa a Gesù Cristo (cf. Lc 24,48; At 1,8), e rafforzandoci nelle persecuzioni e nelle prove.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12293-lo-spirito-santo-compagno-inseparabile-di-gesu

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

De Palo (Forum): nel nuovo governo ci sia un ministro per la Famiglia

La richiesta del presidente delle associazioni familiari nella Giornata che l’Onu dedica alla famiglia. “È allarme natalità, nel 2017 nato il 2% di bambini in meno”. “Come si può festeggiare la famiglia nel nostro Paese?

I dati che il Forum Famiglie ha in mano indicano che c’è poco da gioire: nel 2017 il saldo nascite-morti ha fatto registrare -183mila unità, ennesimo record negativo, con appena 464mila bebè, il 2% in meno rispetto al già asfittico 2016. Eppure, in Italia ci sono 8 giovani famiglie su 10 che vorrebbero fare almeno due figli, ma non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. Non solo: 4 mamme su 10 rinunciano al lavoro perché inconciliabile con la crescita dei figli, ciascuno dei quali, dalla nascita alla maggiore età costa 170mila euro: praticamente quanto una Ferrari”.

“Il Forum Famiglie è preoccupato – prosegue De Palo – perché sono oltre 110mila i nuovi nati in meno in 9 anni; perché l’Italia continua a rimanere fanalino di coda in Europa nel numero di figli per madre, con una media di 1,34 e una maternità sempre più tardiva; nel contempo, invece, cresce il numero degli ‘over-65’ in rapporto alla forza-lavoro: sono 38 ogni 100 persone attive e la tendenza sembra inarrestabile: già ora i lavoratori che restano non ce la fanno a sostenere il peso delle prestazioni sanitarie e previdenziali. I nuclei familiari italiani non si sentono garantiti dal punto di vista fiscale, lavorativo, sanitario, di Welfare. Eppure, sono tante le coppie che sognano una famiglia con figli, ma i nostri dati mostrano che chi mette al mondo tre o più bambini rischia di diventare povero il doppio rispetto a chi non ne ha”.

“Ecco perché il Forum delle associazioni familiari manda un messaggio chiaro al nascente Governo: per poter trasformare in realtà il Patto per la Natalità c’è bisogno di un ministro dedicato esclusivamente alle Politiche per la famiglia, l’unica soluzione per invertire la rotta e far terminare il peggiore inverno demografico della nostra storia, ridando fiducia e un futuro all’Italia. Allora sì che potremo festeggiare”, conclude De Palo.

Mac/AdnKronos martedì 15 maggio 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/de-palo-forum-famiglie-un-ministero-per-le-famiglie

 

Il contratto di governo. La promessa tradita. Dov’è finito il quoziente familiare?

Un vecchio vizio: in campagna elettorale si parla sempre di famiglia, ma passate le elezioni, quando è il momento di governare, la prima cosa che si sacrifica è proprio la famiglia.

Famiglia è una parola che non può mancare in un programma elettorale che si rispetti. Le elezioni politiche del 2018 hanno ovviamente confermato questa regola. Ma c’è un’altra consuetudine, meno felice, che l’ultima tornata elettorale ha rispettato in pieno, nonostante il forte elemento di novità emerso dalle urne: quando è il momento di governare, la prima cosa che si sacrifica è proprio la famiglia. Il “Contratto per il governo del cambiamento” sottoscritto da Lega e Movimento 5 Stelle non si è sottratto alla logica del tradimento delle promesse. Se si guarda a ciò che è rimasto di quanto annunciato prima del voto, la parte più ridimensionata riguarda proprio il sostegno alla natalità.

L’aspetto paradossale è che all’inizio i programmi di Lega e M5s erano molto diversi tra loro, con una sola eccezione: la voce famiglia. La distanza sul resto dei temi era tale che l’esito elettorale ha fatto emergere la rappresentazione di un’Italia divisa in due, con aspirazioni in parte caricaturali e apparentemente inconciliabili da un punto di vista economico: un Nord che lavora ed è interessato a pagare sempre meno tasse, e un Sud impoverito e inoperoso ansioso di percepire un reddito di cittadinanza. Niente di più sbagliato: la magia di mantenere in equilibrio “Flat tax” e rendita mensile alle persone inattive sembra avere superato (sulla carta) anche lo scoglio delle ingenti risorse che servirebbero a finanziarle; mentre una cosa certo impegnativa ma più “semplice”, perché già condivisa e largamente sostenibile, ossia il varo di un grande piano per la Famiglia, è stata abortita.

Vediamo perché. Nei due programmi depositati, dunque quelli validi al di là degli annunci, sia la Lega (al punto 7), sia il M5s (punto 11), in capo a una serie di misure di contorno parlavano di una grande riforma fiscale per la famiglia, richiamando espressamente il modello francese del “Quoziente familiare”. Nel Contratto questa promessa è scomparsa. Si parla invece di welfare familiare sul territorio, di asili nido gratuiti solo per le famiglie italiane, di qualche politica per favorire la conciliazione vita-lavoro delle donne, di “premi” per le madri e sconti sui prodotti della prima infanzia. Del Quoziente fiscale nessuna traccia.

Prima del voto quasi tutte le forze politiche si erano impegnate con il Forum delle Famiglie sottoscrivendo il “Patto per la natalità”, impegno trasversale a imprimere una svolta in questo ambito. Il Quoziente – o il Fattore Famiglia, che meglio si addice alla realtà italiana – avrebbe dunque potuto rappresentare la riforma fiscale necessaria a riconoscere che chi mantiene più figli sopporta maggiori costi ed è quindi giusto paghi meno tasse rispetto a oggi.

Una misura importante, oltretutto, per tentare di contrastare il declino demografico che sottrae ossigeno all’Italia che verrà. L’obiezione all’idea che si possa parlare di una “promessa tradita” già la si conosce: l’introduzione della Flat Tax, con due sole aliquote al 15 e al 20%, porterebbe una riduzione fiscale assai generosa per tutti. È vero? In realtà la “tassa piatta” non distingue tra chi ha figli e chi no, premia soprattutto i redditi più elevati, mentre le previste deduzioni fiscali sulla base del reddito familiare concesse ai genitori avrebbero la consistenza di un’elemosina.

Di grandi piani per riempire le culle e ridare slancio alla demografia asfittica del secondo Paese più vecchio al mondo, insomma, finita la campagna elettorale, non se ne vedono già più. E non è solo una questione di risorse stanziate: c’è un dato culturale di fondo che emerge dal “contratto” e allunga un’ombra sull’idea di Famiglia immaginata. Il termine “conciliazione”, ad esempio, è declinato solo al femminile, come se l’unica funzione dei papà fosse quella di procurare il nutrimento alla prole e accontentarsi di osservare i figli mentre dormono. Ma in che epoca siamo? Gli asili nido gratuiti solo per gli italiani rappresentano poi qualcosa di ancora più inquietante, perché si introduce una discriminazione alla nascita che non trova giustificazioni: è possibile penalizzare in partenza un bambino che viene al mondo nel nostro Paese, compromettendo le sue possibilità di crescita e integrazione? Non si promuove la famiglia selezionando le famiglie.

La quadratura di un’intesa che nasce sacrificando genitori e figli si completa nell’idea che a finanziare gran parte delle mirabolanti promesse su altri capitoli sia ancora una volta la convinzione di poter spendere in deficit, cioè trasferendo sul futuro il costo delle riforme. E qui spiace constatare come il nuovo che avanza dimostri, al di là dei vincoli europei, di non aver compreso una delle più chiare lezioni della storia recente: il vero furto di futuro, lo scippo che ha sottratto risorse ai giovani e alle famiglie di oggi, non è opera di un nemico esterno, né di una popolazione straniera. Ha invece il profilo delle categorie tricolori che depredano risorse al fisco e possono continuare a farlo, delle riforme previdenziali nazionali che hanno penalizzato le generazioni successive, della fiscalità tutta italiana che favorisce rendite e patrimoni al posto del lavoro. O di quel pragmatismo miope che ai politici sconsiglia sempre di favorire i giovani e le famiglie, considerato che il Paese che vota è sempre più anziano. Solo una domanda: c’è ancora spazio per cambiare?

Massimo Calvi Avvenire 19 maggio 2018

www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-promessa-tradita-quoziente-familiare-sparito

 

Sicilia, ‘no tax area’ per le famiglie numerose.

“L’approvazione, da parte del Parlamento della Regione Sicilia, di una ‘no tax area’ sull’addizionale IRPEF in favore delle famiglie numerose è un segnale importante e una scelta lungimirante. Un messaggio che arriva a tutto il Paese proprio da quel Sud tante volte bistrattato e additato, ma che con scelte di questo tipo mostra di voler iniziare a guardare al proprio futuro senza dimenticare l’importanza della famiglia”: è il commento del Delegato al Fisco del Forum delle associazioni familiari, Francesco Bianchini, alla notizia dell’inserimento, nel Ddl di stabilità 2018 della Regione siciliana, di un emendamento che permetterà ai nuclei familiari con tre o più figli di poter contare su una soglia di esclusione dall’addizionale regionale IRPEF pari alla soglia di povertà ISTAT moltiplicata per i coefficienti della scala di equivalenza ISEE.

“È il riconoscimento dovuto a quelle famiglie che assicurano il ricambio generazionale e la sostenibilità del futuro welfare regionale. Una proposta che peraltro arriva da un giurista, il vicepresidente e Assessore all’Economia, Gaetano Armao”, sottolinea Bianchini.

Al provvedimento per le famiglie numerose, l’assise siciliana ha aggiunto anche lo stanziamento di 600mila euro per favorire l’adozione internazionale, forma di genitorialità ancora a pagamento nel nostro Paese, a differenza della fecondazione artificiale, rimborsata con ticket dal Servizio Sanitario Nazionale. “Entrambe le opzioni varate dalla Regione siciliana vanno nella direzione che il Forum regionale ha da sempre indicato, tanto a livello istituzionale che socio-economico”, aggiunge Dario Micalizio, presidente del Forum Famiglie della Sicilia. “Senza tornare a dare alla famiglia il peso che merita nella scala delle priorità sociali, la nostra isola non può sperare di avere un domani. Sono soddisfatto che il governo regionale se ne sia reso conto”, conclude Micalizio.

14 maggio 2018

www.forumfamiglie.org/2018/05/14/sicilia-no-tax-area-per-le-famiglie-numerose-bianchini-forum-famiglie-segnale-importante-che-arriva-dal-sud

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HUMANÆ VITÆ

Paolo VI. Humanæ Vitæ, la libertà e la verità nel gesto d’amore.

A cinquant’anni dall’Enciclica di Paolo VI i temi della generazione della vita, della paternità responsabile e dell’intimità coniugale secondo il disegno di Dio continuano a interrogare Chiesa e mondo.

Il lato sapienziale di Humanæ vitæ, lealmente affidato dal magistero all’intelligente approfondimento di tutti gli “esperti di umanità” della Chiesa – non solo teologi, filosofi e scienziati, per la loro parte: ma anche l’intero popolo di Dio nell’esperienza e nella riflessività della sua condizione coniugale-familiare, e della sua leale appartenenza credente-ecclesiale – ha il suo cardine nel nesso del concetto di responsabilità parentale. Il testo la nomina prevalentemente come “paternità responsabile”, l’integrazione della coppia è nella linea di una evoluzione logica della sostanza dell’insegnamento, tutto proteso ad assimilare il significato unitivo, e dunque l’intesa deliberata, che deve avvolgere interamente l’intimità sessuale e la generazione filiale. Non trascurerei però il fatto che, in questa giusta integrazione, non appare del tutto privo di senso tenere conto del fatto che l’inerzia del costume, il quale riflette l’esteriorità del maschio all’esperienza della gestazione – gioia e onere intimamente proprio della femmina – consiglia di fare comunque tesoro dell’enfasi posta sullo speciale significato responsabilizzante della formula, riferita all’uomo.

L’accesso al progetto matrimoniale e alla costituzione familiare dei affetti e dei suoi legami significa già di per sé entrare liberamente e responsabilmente nella prospettiva di un ordinamento dell’intimità coniugale alla generazione filiale. L’enciclica rammenta opportunamente la limpida formulazione del dettato conciliare di Gaudium et spes: «Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il preziosissimo dono del matrimonio e contribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori». Non si tratta dunque di una opzione aggiuntiva da valutare, in ordine a quel tipo di amore che si stabilisce nell’intimità coniugale dell’uomo e della donna. Si tratta propriamente della sua destinazione, ossia del senso al quale e per il quale esso è intrinsecamente predisposto. È proprio in questa prospettiva che esso definisce la qualità del proprio contenuto affettivo e la logica della giusta soddisfazione che esso può conseguire. In altri termini, è proprio nella coerenza intenzionale e pratica con questo ordinamento che l’amore coniugale fiorisce (o sfiorisce).

La responsabilità dell’amore reciproco e quella della generazione filiale sono intrinsecamente unite: si comprendono nella loro correlazione, si definiscono nella loro armonizzazione, si sostengono nella loro alleanza. Lungi dal mortificarsi a vicenda, devono esaltarsi nella dinamica della loro storia familiare. Rimane però il fatto che, a rigore, la generatività dell’amore definisce, qui, la giustizia dell’attrazione di eros che vi si iscrive e la modulazione del pathos affettivo che la sostiene. La vocazione generativa, qui, è il principio unificante dell’affezione che articola l’intera storia coniugale-familiare, giustificandone la bellezza e la benedizione. La prima Parola della vita, l’assoluto di tutti gli assoluti, il fondamento di tutte le possibilità e le giustizie dell’amore, si lascia intendere alle nostre orecchie e ai nostri sguardi quasi increduli, come generazione del Figlio. Quella che definisce l’increata disposizione della vita di Dio e interpreta l’amore creativo di Dio per la vita.

Mi chiedo come mai, nella pur generosa e pertinente ripresa sentimentale della eloquenza delle metafore nuziali, e persino erotiche, del simbolismo d’amore che illumina la relazione appassionata e struggente di Dio per il suo popolo, questo primato dogmatico della generazione del Figlio rimanga oscurato. Un qualche eccesso di innocente contaminazione romantica, nell’illustrazione dell’analogia trinitaria e cristologica, chiede forse di essere sorvegliata più riflessivamente. In ogni caso, la generazione del Figlio – che invece è un dogma vero, se mai ce n’è uno che qualifica la singolarità della fede cristiana – è un principio che va più generosamente svolto, se si vuole venire a capo dell’enigma e del mistero dell’amore. La beatitudine di Dio è felicità della generazione (e amore che non ripiega semplicemente su se stesso, ma si effonde come Spirito). Di qui procede, verosimilmente ogni amore e ogni giustificazione dell’amore. La depressione della felicità della generazione, perfezione originaria dell’amore, e non derivata dall’auto-affezione, minaccia concretamente di diventare una cifra dell’epoca. Certo, un qualche involontario incoraggiamento ha pur ricevuto dalla debolezza con la quale abbiamo ceduto alla volgarizzazione popolare-ecclesiastica dell’intimità sessuale come piacere e della generazione filiale come dovere, quasi per definizione.

In realtà, il piacere e il dovere, la felicità e la responsabilità abitano entrambi, in vista dell’affinamento della loro unione all’altezza dell’umana dignità dell’amore che istituisce la comunione coniugale-familiare della trasmissione della vita. In ordine a questo affinamento, Humanæ vitæ introduce il tema della parentalità responsabile «sulla quale oggi a buon diritto tanto si insiste e che va anch’essa esattamente compresa». L’intima unione del significato unitivo e del significato procreativo istituisce la giustizia dell’atto proprio dell’intimità coniugale. L’integrità di tale unione attiene alla struttura simbolica dell’atto coniugale: custodisce il significato naturale dell’affetto coniugale, anche indipendentemente dall’effetto procreativo, che i ritmi naturali delle sue condizioni già di per sé non impongono automaticamente. In questa cornice, appare giustificabile (onesta, lecita, coerente) la pratica dell’intimità coniugale che riconosce e asseconda la naturale sospensione dell’effetto generativo, mentre risulta ingiustificabile la pratica che procura e impone un’artificiosa sterilizzazione dell’atto coniugale.

L’evitamento della procreazione effettiva, che si giustifica in termini di generazione responsabile, rimane dunque saldamente ancorato alla volontà di custodire l’integrità simbolica dell’atto propriamente coniugale (e la felicità generativa della sua destinazione alla filiazione e alla fraternità). Esso si mostra, proprio così, affidato al dominio della libertà sulle passioni: che presidia la qualità umana dell’intimità e custodisce la disposizione divina della generazione. Il ritmo “personale” dell’unione e dell’astensione, che armonizza la signoria della volontà con il ritmo “naturale” della fecondità e dell’infertilità, appare come il paradigma di un percorso di educazione e di maturazione prezioso. Il Papa si mostra convinto della trasparenza di questo percorso e ne rilancia – non senza un pizzico di provocazione – la capacità di diventare addirittura un terreno di intesa culturalmente praticabile.

Paolo VI è consapevole del fatto che «questo insegnamento non sarà forse da tutti facilmente accolto» (HV 18). Nello stesso tempo, altrettanto francamente, riconosce l’onere che questa linea di responsabilità comporta, in ordine alla conciliazione delle dinamiche coniugali con la fedeltà ai suoi principi. La comprensione dei momenti in cui questa fatica deve fare i conti con la nostra fragilità e vulnerabilità è nel conto di questa consapevolezza.

Pierangelo Sequeri, convegno su Paolo VI tenuto il 9 e 10 maggio nell’Università Cattolica di Milano. Avvenire 10 maggio 2018 www.avvenire.it/agora/pagine/humanae-vitae

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NULLITÀ MATRIMONIALI

Assegno di mantenimento

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 11553, 11 maggio 2018.

L’assegno di mantenimento può essere cancellato con la sentenza del tribunale ecclesiastico che annulla il matrimonio, ma ciò solo purché la coppia non abbia già divorziato.

Una coppia si separa. Il giudice riconosce all’ex moglie un assegno di mantenimento di 200 euro. Senonché l’uomo, per evitare di pagarle mensilmente tale importo, si rivolge al tribunale ecclesiastico per chiedere l’annullamento del matrimonio. Fa presente, tra le tante cose, che lei si era sposata senza l’intenzione di avere figli, avendogli però taciuto tale circostanza. Ottiene così l’annullamento della Sacra Rota grazie alle dichiarazioni di alcuni testimoni che hanno sentito le affermazioni della giovane; poi si rivolge al giudice civile per chiedere anche la cancellazione dell’assegno di mantenimento in precedenza riconosciuto alla donna. Può farlo? Il mantenimento viene revocato con l’annullamento del matrimonio? A fornire una risposta è stata una sentenza della Cassazione di qualche giorno fa. Nella interessante motivazione, la Corte ha spiegato come sia diversa la soluzione a seconda che la coppia si sia solo separata o abbia già ottenuto il divorzio. Chiaramente, da tale circostanza deriva anche la risposta al problema di molti uomini: come eliminare l’assegno di mantenimento all’ex. Ma procediamo con ordine e vediamo cosa è stato spiegato in questa occasione.

Che succede con l’annullamento del matrimonio? La prima cosa che ti consiglio di fare è di leggere l’articolo Annullamento matrimonio Sacra Rota ed effetti civili.

www.laleggepertutti.it/164020_annullamento-matrimonio-sacra-rota-ed-effetti-civili

Lì troverai l’elenco di tutti i casi in cui è possibile rivolgersi al tribunale ecclesiastico e chiedere l’annullamento del matrimonio (in termini rigorosamente tecnici, non si deve parlare di “annullamento”, ma di “nullità”; precisioni letterarie del vocabolario legale). Una volta ottenuta tale pronuncia di nullità del matrimonio, la stessa deve essere “delibata”, ossia convalidata, dalla Corte di Appello competente per territorio. Con quest’ultimo passaggio il matrimonio viene definitivamente cancellato. Quali effetti ha sulla coppia? Innanzitutto viene cancellato qualsiasi legame tra i due ex coniugi (che, a questo punto, non sono neanche “ex”): uomo e donna sono immediatamente liberi di risposarsi anche in chiesa.

In secondo luogo, non essendoci il presupposto del matrimonio cade anche ogni vincolo: fedeltà, convivenza, assistenza morale e materiale. Proprio a quest’ultimo riguardo si registra il principale vantaggio dell’annullamento del matrimonio rispetto alla separazione: non può essere richiesto l’assegno di mantenimento.

Ci si è posto però il problema: che succede se l’annullamento della Sacra Rota arriva dopo la sentenza di separazione e quando questa non è più impugnabile? Prevale il cosiddetto «giudicato» ossia la sentenza civile ormai divenuta definitiva o la nullità del matrimonio? Sul punto la Cassazione si è espressa nei seguenti termini.

Effetti sul mantenimento se la nullità del matrimonio viene dichiarata dopo la separazione. Se una coppia si separa e la sentenza non viene impugnata, divenendo così definitiva, l’assegno di mantenimento deciso dal giudice è intoccabile, salvo sopraggiungano eventi successivi a modificare le condizioni economiche dei coniugi e a giustificare una richiesta di revisione.

L’immodificabilità dell’assegno di mantenimento trova una seconda eccezione: se dovesse intervenire una pronuncia di nullità del matrimonio da parte del tribunale ecclesiastico e questa dovesse essere delibata dal giudice civile. In tale ipotesi, scrive la Cassazione, viene meno il vincolo coniugale e, insieme ad esso, tutte le decisioni economiche stabilite dal tribunale, decisioni che non possono sopravvivere anche se la sentenza è divenuta definitiva. Quindi, nonostante il cosiddetto passaggio in giudicato della sentenza di separazione, il pagamento del mantenimento non è più dovuto dopo l’approvazione della sentenza ecclesiastica da parte della Corte di Appello.

Effetti sul mantenimento se la nullità del matrimonio viene dichiarata dopo il divorzio. La soluzione è opposta se la nullità del matrimonio interviene dopo il divorzio: qui l’assegno di mantenimento (che, in questo caso, si chiama «assegno divorzile») non può essere cancellato. Difatti non è possibile rivedere una sentenza divenuta ormai definitiva. Infatti, una volta accertata, con una pronuncia passata in giudicato, «la spettanza di un diritto», questo non può essere travolto da un altro giudizio. Ciò sul presupposto che nel decidere per l’assegno di divorzio, i giudici hanno già valutato l’esistenza di giustificati motivi, come la presenza di figli o l’assenza di mezzi adeguati della persona economicamente più debole, impossibilitata a procurarseli, ecc. Si tratta di una solidarietà post coniugale».

Ma perché la sentenza di separazione definitiva può essere rivista e quella di divorzio no? Perché quindi, nel caso di coppia separata, la nullità del matrimonio fa venir meno il già concesso assegno di mantenimento, mentre non fa cadere l’assegno divorzile? La ragione è semplice. La separazione non cancella del tutto il matrimonio, ma ne sospende solo alcuni vincoli (la coabitazione, la fedeltà), mentre altri restano in vita (l’assistenza materiale, i diritti di successione, ecc.). La separazione presuppone dunque l’esistenza di un matrimonio e ne conserva taluni effetti. È chiaro che, se il matrimonio viene dichiarato nullo e quindi cancellato, cessano anche gli effetti residui, come appunto quello dell’assistenza materiale che si sostanzia nell’obbligo del pagamento dell’assegno di mantenimento.

Viceversa, quando interviene la sentenza di divorzio, il matrimonio viene definitivamente cancellato. L’assegno divorzile qui non serve per attuare il dovere di assistenza materiale, ma ha una funzione assistenziale, rivolta a tutelare il coniuge più debole economicamente. Ecco perché non rileva più, in questo caso, se il matrimonio è esistito o meno (del resto è stato cancellato dallo stesso tribunale del divorzio): qui la sentenza definitiva è intangibile.

Redazione La legge per tutti 13 maggio 2018

www.laleggepertutti.it/205696_mantenimento-viene-revocato-con-lannullamento-del-matrimonio

 

No delibazione della sentenza per chi ha manifestato la propria omosessualità dopo 6 anni convivenza

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 11808, 15 maggio 2018.

Costituisce ragione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, la convivenza prolungata dai coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio stesso, in quanto espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito, con cui è incompatibile, quindi, l’esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge.

Studio Canestrini 15 maggio 2018 ordinanza

https://canestrinilex.com/risorse/coniuge-omosessuale-non-annulla-matrimonio-cass-1180818/

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OMOGENITORIALITÀ

Registrato all’anagrafe il primo figlio di due madri

Per la prima volta nel nostro paese un bambino nato in Italia da due donne che hanno utilizzato la procreazione medicalmente assistita in Danimarca, è stato registrato all’anagrafe come figlio di entrambe.

I registri anagrafici usano delle vecchie formule previste dal ministero del 2002, tali formule non tengono conto della procreazione medicalmente assistita e dunque obbligano le coppie, omosessuali e non, a dichiarare che la nascita deriva da un’unione naturale con un uomo, di cui si può non fare il nome, garantendo che non sia parente rientrante nei gradi di parentela vietati dal nostro ordinamento.

In Italia non è prevista alcuna legge che disciplina la possibilità di registrare un bambino con due genitori dello stesso sesso e al contempo non esiste alcuna legge che lo vieta espressamente.

Premesso ciò i responsabili dell’ufficio anagrafe del Comune di Torino hanno inserito una annotazione che si accompagna all’atto di nascita e che è valida a tutti gli effetti, perlomeno sino a quando qualcuno non impugnerà il provvedimento, basandosi su una alcune recenti pronunce della Cassazione o della Corte Costituzionale che hanno riconosciuto la genitorialità elettiva accanto a quella genetica.

Sino ad ora vi erano state unicamente trascrizioni di bambini concepiti all’estero, con tale ultimo avvenimento entrambi i nomi delle due mamme risultano nell’atto di nascita superando dunque l’obbligatorietà di indicare che il bambino è nato da un’unione naturale.

Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori.

AIAF Newsletter 16 maggio 2018 https://aiaf-avvocati.it

www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2018/04/23/figlio-due-mamme-registrato-all-anagrafe-primo-caso-italia_SCI5K9frrw43KbOK5eCbwM.html

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UNIONI CIVILI

Matrimonio omoaffettivo contratto all’estero trascrivibile come unione civile

Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 11696, 14 maggio 2018.

Gli atti di matrimonio e le unioni omoaffettive concluse con istituti analoghi, all’estero, producono senz’altro effetti giuridici nell’ordinamento italiano, secondo il regime della convertibilità. In particolare, si applica l’articolo 32-bis della legge n. 218 del 1995 che comporta la preminenza del modello adottato nel diritto interno, dell’unione civile. Il matrimonio contratto da coppia omoaffettiva all’estero, formata da cittadino italiano e da cittadino straniero, non è trascrivibile come tale, bensì come unione civile, in adesione al modello legislativo applicabile nel nostro ordinamento.

L’articolo 32-bis cit. non trova invece applicazione diretta nell’ipotesi in cui venga richiesto il riconoscimento di un’unione coniugale contratta all’estero da due cittadini stranieri. Il procedimento di cd. downgrading [declassamento] non può essere giudicato discriminatorio dal momento che la scelta del modello di unione riconosciuta tra persone dello stesso sesso negli ordinamenti facenti parte del Consiglio d’Europea è rimessa al libero apprezzamento degli Stati Membri, salva la definizione di uno standard di tutele coerenti con l’interpretazione del diritto alla vita familiare ex art. 8 fornita dalla Corte EDU.

dr Giuseppe Buffone, magistrato Il caso 15 maggio 2018 allegata sentenza

http://news.ilcaso.it/news_4680?https://news.ilcaso.it/?utm_source=newsletter&utm_campaign=solo%20news&utm_medium=e itmail

http://www.marinacastellaneta.it/blog/la-corte-di-cassazione-interviene-sulla-trascrizione-del-matrimonio-allestero-tra-coppie-dello-stesso-sesso-italian-court-of-cassation-on-transcription-of-same-sex-marriage-celebrated-abroad.html

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VIOLENZA

Obbligare la moglie ad avere rapporti sessuali è reato

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_30456_1.pdf

Chi impone al partner un rapporto sessuale indesiderato rischia una condanna per violenza sessuale. È quanto occorso a un marito, condannato ex art. 609-bis c.p. per aver costretto la moglie a subire atti sessuali consistiti in un rapporto completo, dopo averla buttata nel letto e averle tolto i pantaloncini e gli slip.

Un episodio, confermato dai familiari della donna e collocato in un contesto di sopraffazione che l’uomo aveva instaurato tra le mura domestiche, che gli è costato una condanna in sede di merito a tre anni e quattro mesi di reclusioni.

Sulla vicenda è stata poi chiamata a pronunciarsi la Corte di Cassazione,

Nella sua impugnazione, l’imputato ha puntato a screditare le accuse mosse dalla persona offesa, ritenute prive di riscontri, nonché la stessa attendibilità della ex le cui dichiarazioni si ritiene siano state l’unico fondamento per l’affermazione della sua responsabilità.

In particolare, la difesa sostiene che la donna avesse accusato falsamente il marito al solo scopo di ottenere l’affidamento della figlia: assunto che sarebbe confermato dal fatto che la denuncia per tali fatti era stata presentata solo dopo la notifica del ricorso al Tribunale per i minorenni, proposto dallo stesso marito per ottenere l’affidamento della figlia minore.

La Cassazione rammenta come, secondo consolidata giurisprudenza, le dichiarazioni della persona offesa possano da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto.

Questa, peraltro, deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone di specie quando, in particolare, la persona offesa sia anche costituita quale parte civile.

La peculiare disciplina sopra delineata, spiegano i giudici, costituisce un riflesso del dato, tratto dalla comune esperienza giudiziaria, secondo il quale, in genere, la vittima delle condotte di abuso sessuale costituisce l’unico testimone del reato, consumandosi la violenza spesso tra le mura domestiche o, comunque, in contesti riservati e inaccessibili a terzi spettatori.

Per i giudici di merito, il racconto della persona offesa era apparso lineare e coerente, ben strutturato nel suo nucleo essenziale e arricchitosi via via di dettagli relativi ad aspetti più periferici della vicenda, anche grazie alle contestazioni compiute dalle parti processuali. Inoltre, si è sottolineata la genuinità della deposizione della vittima anche in rapporto alla partecipazione emotiva palesata dalla ragazza nel corso dell’audizione.

Inoltre, sotto altro profilo, i giudici di merito hanno attribuito particolare rilevanza al racconto dei familiari della persona offesa, in particolare della madre e della sorella, che hanno corroborato la versione sottolineando di essere state informate della violenza sessuale e del contegno aggressivo tenuto dall’uomo in altre circostanze, a causa del quale la vittima era dovuta ricorrere alle cure dei medici.

Ha fornito elementi di riscontro al racconto della vittima anche la deposizione dell’assistete sociale: sebbene la dottoressa non sia stata in grado di confermare in alcun modo l’esistenza di abusi attinenti alla sfera sessuale, ha riferito di avere ricevuto informazioni dalla donna sulle violenze patite dal marito e di avere visto, in occasione di un colloquio, i lividi che la donna presentava e che aveva ricondotto proprio a un litigio con il marito.

Alcun deficit motivazionale può, pertanto, essere mosso al giudizio compiuto dalla Corte d’Appello sull’attendibilità della persona offesa, sostanzialmente collimante con quella del giudice di prime cure. Anzi, la stessa Corte territoriale ha smentito le affermazioni sul movente calunnioso delle accuse, poiché l’affidamento della figlia (come affermato dallo stesso imputato) era stato oggetto di accordo tra i genitori. Il ricorso va dunque respinto.

Lucia Izzo newsletter studio Cataldi 18 maggio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/30456-obbligare-la-moglie-ad-avere-rapporti-sessuali-e-reato.asp

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