NewsUCIPEM n. 694 – 25 marzo 2018

NewsUCIPEM n. 694 – 25 marzo 2018

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02 ADDEBITO                                                    Se il coniuge tradisce può essere cacciato di casa?

02 ADOZIONE                                                   Gli adottati hanno diritto di conoscere i fratelli e le sorelle naturali

02 ADOZIONE INTERNAZIONALE              Costi eccessivi, lungaggini. Il progetto “Donati” del Forum famiglie.

03 ADOZIONI INTERNAZIONALI                                Romania. 10mila bambini abbandonati: urge l’adozione europea.

05 AFFIDO ESCLUSIVO                                  Violazione doveri fondamentali della persona e violenza. Addebito

05 AMORIS LÆTITIA                                      Amoris lætitia: a Washington una conferma.

07 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI     Assegno fino a 30 anni per il figlio che cambia sesso.

07 ASSEGNO DIVORZILE                              Niente assegno alla ex che si è sempre dedicata ai figli.

08 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n.10, 21 marzo 2018

09 CHIESA CATTOLICA                                  La figura del papa nella chiesa. Professione teologo o pescatore?

11 CONSULTORI FAMILIARI                        18° Convegno CFC. Il futuro nelle nostre radici.

12                                                                          Seminari formativi. La famiglia nel tempo dell’individualismo.

12 CRISI DI COPPIA                                        Separazione e divorzio: ultime novità.

15 DALLA NAVATA                                         Domenica delle Palme e della Passione – Anno B –25 marzo 2018.5

15                                                                          Commento di E. Bianchi

17 DEPRESSIONE                                             Per la legge è una malattia?

20 ENTI TERZO SETTORE                               Le donazioni al non profit in Italia. E cosa cambia con la Riforma.

20 FECONDAZIONE ARTIFICIALE               Cicli eterologa raddoppiati in 1 anno, Italia a livelli Gb.

20 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    Al futuro Governo: “Niente tagli ai sostegni per mamme e vedove”.

21 FORUM TERZO SETTORE                        Al futuro Governo: “Niente tagli ai sostegni per mamme e vedove.

21 MOVIMENTO PER LA VITA                    Marina Casini Bandini eletta presidente nazionale

22 NONNI                                                          I nonni italiani, sempre più “custodi” delle famiglie

22 POLITICHE PER LA FAMIGLIA               Assegno natalità 2018: istruzioni aggiornate.

23 PSICOSESSUOLOGIA                                               Dividere equamente impegni domestici migliora qualità rapporti.

24 SEPARATI                                                    Divorziati e separati aumentati 57%vita grama dei papà separati.

24 SINODO                                                        Vogliamo una Chiesa meno moralista che ammetta i suoi errori

26 UCIPEM                                                        25° Congresso a Castel san Pietro (BO). 4-6 maggio 2018

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ADDEBITO

Se il coniuge tradisce può essere cacciato di casa?

Tra le violazioni dei doveri coniugali, il tradimento è sicuramente quella che crea maggiori problemi e conflittualità. Infatti, oltre alla crisi di coppia e alla cessazione del legame affettivo, un’infedeltà infligge sempre una profonda ferita nell’orgoglio e nella fiducia. Ecco perché, se per chiedere la separazione con addebito è necessario dimostrare che a rendere intollerabile la convivenza è stato il comportamento colpevole dell’altro coniuge, nel caso di tradimento ciò si presume in automatico bastando la semplice prova della relazione extraconiugale (anche solo occasionale o platonica).

E se è vero che basta una semplice scappatella per potersi ritenere definitivamente “chiusa” l’unione, è legittimo chiedersi come comportarsi subito dopo: in altri termini, se il coniuge tradisce può essere cacciato di casa? Ecco qual è la risposta al quesito legale che comunemente ci si pone.

  1. In quali casi la separazione è addebitabile a uno dei coniugi?
  2. Quali sanzioni per chi tradisce?
  3. Si può buttare fuori di casa il marito o la moglie?
  4. Mia moglie mi tradisce: la posso cacciare di casa?
  5. Mio marito mi tradisce: lo posso cacciare di casa?                Segue

Redazione La Legge per tutti                       20 marzo 2018

www.laleggepertutti.it/198470_se-il-coniuge-tradisce-puo-essere-cacciato-di-casa

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ADOZIONE

«Gli adottati hanno diritto di conoscere i fratelli e le sorelle naturali»

Dopo il via libera alla possibilità di risalire e anche conoscere la madre biologica, previo consenso della donna, arrivato il sì anche per la ricerca dei legami di sangue, alla stessa condizione Adesso è possibile per chi è stato adottato rintracciare anche i fratelli e le sorelle (Ansa)

Dopo il via libera alla possibilità di risalire e anche conoscere la madre biologica, previo consenso della donna, la Cassazione apre oggi alla possibilità, per i figli adottivi alla ricerca dei loro legami di sangue, di sapere che fine hanno fatto gli eventuali altri fratellini o sorelline dati anche loro in adozione e cresciuti da altre famiglie.

Con questa decisione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso di un uomo ormai adulto, adottato da piccolo da una famiglia piemontese, che vuole avere notizie delle due sorelline date in adozione, decenni fa come lui, a due famiglie diverse.

Già per due volte, l’ultima nel 2013, Pierluigi Z. si è sentito rispondere “no” dalla Corte di Appello di Torino che gli ha detto che il diritto alla riservatezza sull’identità delle sue sorelle prevale sul suo diritto a recuperare i legami biologici.

La Suprema Corte – con un verdetto depositato oggi – ha invece accolto la richiesta di Pierluigi e ha incaricato la Corte torinese di tornare sui suoi passi e dare una chance alla sete di verità e affetto di questo fratello maggiore che non ha dimenticato le due piccole sorelle dalle quali è stato separato, e finite separate anche loro.

“L’adottato ha diritto di conoscere le proprie origini – ha stabilito la Cassazione – accedendo alle informazioni concernenti, non solo l’identità dei propri genitori biologici, ma anche quella delle sorelle e fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo all’esercizio del diritto”.

Ora per Pierluigi, e per tante altre persone che non si arrendono alla cappa di segretezza – non più inespugnabile – delle adozioni, la strada è aperta e per percorrerla basta il “sì” di chi si sta cercando.

Redazione Internet Avvenire 20 marzo 2018

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/cassazione-adozione-conoscere-fratelli-sorelle

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Sul calo pesano costi eccessivi e lungaggini dell’iter. Il progetto “Donati” del Forum famiglie

Nel 2017 le adozioni internazionali in Italia sono diminuite del 23% rispetto all’anno precedente: sono stati 1.439 i bambini adottati rispetto ai 1.872 del 2016. Lo si legge nel Rapporto presentato dalla Commissione adozioni internazionali sui principali dati degli anni 2016 e 2017 e quelli relativi a gennaio e febbraio 2018.

Le coppie che hanno richiesto l’autorizzazione all’ingresso in Italia di minori stranieri sono state 1.168 nel 2017 contro le 1.548 nel 2016. Le coppie più attive risultano quelle delle aree del Centro-Nord. Tra i Paesi di provenienza dei piccoli al primo posto c’è la Federazione russa. Aumenta anche l’età dei bambini: nel 2017 quasi un bambino su due aveva tra i 5 e i 9 anni al momento dell’ingresso in Italia. A gennaio 2018 sono 59 le coppie italiane che hanno concluso il percorso adottivo con l’ingresso in Italia di almeno un minore e 67 i minori autorizzati; mentre a febbraio sono 77 le coppie residenti in Italia che hanno concluso il percorso adottivo con l’ingresso nel nostro Paese di almeno un minore, facendo registrare un incremento del 31% rispetto al mese precedente e i minori autorizzati 92 (+37% rispetto a gennaio 2018).

Per sostenere le adozioni anche il Forum nazionale delle associazioni familiari sta per lanciare un progetto. “Il Forum – spiega Cristina Riccardi del direttivo nazionale – è riuscito a coordinare tutte le più grandi associazioni familiari a livello nazionale, anche attraverso il sostegno dell’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia; l’obiettivo è sensibilizzare e far nascere il desiderio di accoglienza nelle famiglie, a partire anche dall’ Amoris lætitia, che sottolinea come la genitorialità non sia solo quella biologica. Il progetto sarà lanciato attraverso un evento che si terrà a Roma, presso il Galoppatoio di Villa Borghese, nel pomeriggio del 25 aprile 2018 all’interno delle manifestazioni del ‘Villaggio per la Terra’ promosso da Earth Day Italia. Sarà una giornata di festa con testimonianze di famiglie, associazioni e ospiti.

            Il progetto si chiama ‘Donati’ perché attraverso il dono di sé si arriva poi a ricevere il dono. Con il progetto parleremo della bellezza di adozione e affido e dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Non nascondiamo le difficoltà, ma mettiamo in evidenza gli aspetti positivi e il bene che l’accoglienza genera. Dopo il lancio del progetto a livello nazionale, sarà compito dei Forum provinciali e territoriali farlo conoscere localmente”.

            Sulla crisi delle adozioni internazionali abbiamo chiesto un parere a Francesco Bianchini, componente della Commissione adozioni internazionali, designato dal Forum nazionale delle associazioni familiari.

            Quali fattori hanno inciso sul calo delle adozioni internazionali?

            Sul calo delle adozioni internazionali pesa sicuramente il fattore economico in un periodo di crisi. Si aggiunge a questo la durata delle procedure, a volte allungate a dismisura per pastoie burocratiche sia in Italia sia nei Paesi di origine dei minori da adottare. Si dovrebbe agire sui due fronti. Per chi desidera un figlio l’adozione internazionale è una strada tortuosa, lunga e costosa rispetto ad altre gratuite e più veloci, come la fecondazione artificiale.

            Quali sono le maggiori differenze tra queste due vie?

            L’adozione è una bella forma di genitorialità perché il bambino esiste già. Nella fecondazione artificiale il bambino deve essere ancora “programmato”. Per farlo nascere si mette in atto un percorso che è stato inserito nei Lea, a carico dello Stato: il Servizio sanitario nazionale fa pagare il ticket. Nell’adozione c’è una famiglia che ha lo stesso desiderio di maternità e paternità. Accostarsi a questo tipo di genitorialità è più complesso, c’è un bambino abbandonato: allora, perché nella fecondazione il percorso è a carico della collettività, mentre la genitorialità nell’adozione, che esprime il massimo della generosità, della solidarietà e dell’accoglienza per un bambino che già esiste e soffre, non riceve lo stesso trattamento?

Se è cura la fecondazione assistita per soddisfare i desideri di genitorialità di una coppia, dovrebbe essere ancora di più cura l’adozione perché si aiuta una coppia ma soprattutto un bambino a trovare una famiglia. Questa disparità di trattamento discrimina i bambini che già esistono e soffrono rispetto a quelli che devono essere concepiti, così come le coppie che decidono di adottare, spendendo un patrimonio, rispetto a quelle che scelgono la fecondazione assistita.

Lei parlava anche delle lungaggini della burocrazia tra i freni all’adozione internazionale.

            Il secondo aspetto sono i tempi delle procedure adottive, che dovrebbero essere semplificate salvaguardandone la linearità, la limpidezza e la trasparenza.

            Questo basta?

            Con questi due accorgimenti molte coppie, anche al Sud, si avvicinerebbero all’adozione internazionale. Qui le famiglie pronte ad accogliere ci sono.

            L’Italia continua a essere un Paese generoso da questo punto di vista.

            Certo, l’adozione internazionale non può essere l’unica soluzione al crollo demografico in Italia, ma è una bella realtà anche dal punto di vista dell’accoglienza, dell’integrazione tra le culture dei popoli e come esempio di solidarietà familiare. Se l’interesse primario è dare una famiglia a bimbi abbandonati, si devono trovare soluzioni.

Negli Stati Uniti, ad esempio, c’è la possibilità dell’adozione in pancia di bimbi che le mamme avrebbero altrimenti abortito. Con le dovute cautele e il controllo della magistratura per evitare il rischio di compravendita di bambini, è un’ipotesi di contrasto all’aborto, fermo restando la facoltà della mamma biologica di ripensarci entro un certo termine dal parto. Se la mamma alla fine decide di tenere il bambino, le spese restano coperte dalla coppia che ha adottato la pancia.

Gigliola Alfaro           Servizio Informazione Religiosa       22 marzo 2018

https://agensir.it/italia/2018/03/22/adozioni-internazionali-bianchini-cai-sul-calo-pesano-costi-eccessivi-e-lungaggini-delliter-il-progetto-donati-del-forum-famiglie/

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Romania. In un anno 10mila bambini abbandonati alla nascita: urge l’adozione europea.

Nel Paese dell’est Europa, come in molti altri Paesi europei, non sono stati ancora risolti i problemi legati all’accoglienza dei minori abbandonati. Fra l’altro, l’adozione internazionale è bloccata dal 2005, salvo che per le coppie rumene residenti all’estero o per famiglie con almeno un componente di nazionalità rumena

Inoltre, con circa 20mila bambini che vivono in orfanotrofi dei 57mila abbandonati, il numero di famiglie disponibili all’adozione non è sufficiente rispetto a quello dei bambini adottabili: nel 2017 per 3.250 minori adottabili c’erano soltanto 1.881 famiglie idonee all’adozione.

            Romania, troppi bambini abbandonati rispetto alle famiglie disponibili: urge l’adozione europea. In Romania si conferma un trend di numeri importanti, nel quadro dell’Unione Europea, riguardo ai minori abbandonati: sono circa 57mila, 20mila dei quali vivono in orfanotrofio, non avendo trovato una famiglia disponibile ad accoglierli.

            Intanto, però, nel periodo tra luglio 2016 e giugno 2017 l’Autorità Nazionale rumena preposta alla tutela e al processo di adozione ha calcolato che sono stati abbandonati oltre 10mila bambini. Tra le quattro principali cause individuate ci sono la povertà (36%), la disabilità, l’abuso e la negligenza.

E l’allargamento della ‘forchetta’ tra ricchi e poveri nel Paese ha favorito la crescita esponenziale di nuovi casi di abbandono minorile. Ancora lo scorso anno, rispetto alla disponibilità di circa 3.250 minori all’adozione, solo 1.880 coppie avevano i documenti in ordine per poter eventualmente adottare.

            Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini è uno dei 5 enti italiani accreditati dalle autorità locali ad operare in Romania e ad oggi, con il nuovo sistema previsto dopo la riapertura nel 2014, ha portato a termine 11 adozioni internazionali, riscontrando un’ottima collaborazione con le autorità locali, sia per le procedure che per i tempi di attesa.

            La proposta di Ai.Bi.

Di fronte ai numeri sopra indicati, con più bambini adottabili che coppie disponibili in Romania – realtà verosimilmente identica anche negli altri paesi europei (in Italia sono circa 400 ogni anno i bambini dichiarati adottabili che non vengono adottati) – perché non pensare a una formula di adozione ‘europea’ che faciliti, velocizzi e favorisca con ogni mezzo, nel nostro continente, i percorsi adottivi per questi minori senza famiglia tra i vari Paesi UE?

            Fin dal 2006 Amici dei Bambini sostiene la necessità di realizzare l’adozione europea. In un documento che l’associazione ripropone in tutti gli incontri dedicati ai diritti dei minori, Ai.Bi. sostiene la necessità di riconoscere la mancanza di una famiglia come “abuso istituzionale”, e quindi “il diritto negato del minore alla famiglia” come una violazione del diritto fondamentale della persona. Una ‘rivoluzione’, quella proposta da Ai.Bi, basata su sei punti.

  1. Prevedere regole uniformi e omogenee sul rilascio di un’idoneità all’adozione europea, valida in tutti gli Stati aderenti all’Unione.
  2. Una banca dati europea dei potenziali genitori adottivi, a cui attingere in caso di fallimento delle banche dati nazionale.
  3. Una banca dati dei minori europei dichiarati adottabili e non accolti attraverso l’adozione nazionale.
  4. Realizzare un albo degli enti autorizzati all’adozione europea, con iscrizione obbligatoria quale presupposto per operare.
  5. Quinto. Creare un’autorità centrale europea, con il compito di predisporre e vigilare sugli strumenti di attuazione dell’adozione europea.
  6. Introdurre il principio di gratuità dell’adozione europea.

Anche per questo, l’avvocato Enrica Dato illustrerà la proposta di Amici dei Bambini in occasione della prossima Conferenza EurAdopt, in programma a Milano il 24 e 25 maggio 2018.

News Ai. Bi. 20 marzo 2018

www.aibi.it/ita/romania-in-un-anno-10mila-bambini-abbandonati-alla-nascita-urge-ladozione-europea-la-proposta-di-ai-bi/

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AFFIDO ESCLUSIVO

Violazione doveri fondamentali della persona e violenza. Addebito e affido esclusivo

Tribunale di Trani, Sezione civile, Sentenza n. 215, 29 gennaio 2018

www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/19351.pdf

Nella materia delle violenze endofamiliari, la prova dei fatti è tipicamente indiziaria, raramente sussistendo prove dirette di vicende che si svolgono all’interno delle mura domestiche. In tale prospettiva, possono assumere valore indiziario anche la dichiarazione de relato actoris, i referti di pronto soccorso, i rapporti di intervento della forza pubblica, elementi che, unitariamente considerati, possono essere sono illuminanti della incapacità del soggetto violento di resistere ai propri agiti e controllare i propri impulsi violenti, particolarmente quando lo stesso abbia fatto assistere i figli a scene di violenza nei confronti della madre ingenerando in loro uno stato di agitazione e terrore, tale da compromettere i rapporti con gli stessi.

            Le condotte di minaccia, violenza psicologica e fisica, data la loro gravità, traducendosi in una violazione dei beni e diritti fondamentali della persona sono di per sé stesse causalmente rilevanti della crisi coniugale e tali da esonerare il giudice, ai fini della dichiarazione dell’addebitabilità della separazione, dal dovere di comparare con essi il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze.

            La violenza perpetrata dal padre nei confronti dalla madre alla presenza dei figli denota l’inidoneità del padre non solo sotto il profilo dell’accudimento primario, ma anche sotto quello delle esigenze affettive e evolutive della prole minore e in grado di garantire la figura genitoriale paterna, che rende allo stato non attuabile un affidamento condiviso. Deve quindi disporsi l’affido esclusivo.

avv. Maria Cristina Capurso            Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19351 – 23 marzo 2018

http://divorzio.ilcaso.it/sentenze/ultime/19351/divorzio

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AMORIS LÆTITIA

Amoris lætitia: a Washington una conferma

Mentre sembrano placarsi i venti delle critiche, continuano a spirare senza sosta quelli della condivisione nei confronti dell’esortazione apostolica post-sinodale di papa Francesco. Dopo intere conferenze episcopali, è la volta di una diocesi americana che, se non è certamente una delle maggiori dal punto di vista dei numeri (sfiora solo i 700 mila cattolici in 139 parrocchie), è comunque altamente significativa, sia perché si tratta della capitale federale degli Stati Uniti, Washington D.C., sia perché guidata da un arcivescovo come il card. Donald Wuerl, che ha partecipato ai due Sinodi sulla famiglia ed è stato membro della commissione incaricata di raccogliere i contributi in vista della Relatio finalis.

            Dire che le sue “Riflessioni sull’Amoris lætitia” (per curiosità scritto all’inglese tutto in maiuscolo «Amoris Laetitia») «per condividere la gioia dell’amore» – pubblicate domenica 4 marzo a cura dell’Ufficio diocesano vocazioni e indirizzato a tutti i fedeli, compresi quanti si preparano al sacerdozio e al futuro servizio alle famiglie – rappresentino una condivisione potrebbe apparire quantomeno riduttivo in quanto i 5 capitoli e le 22 pagine del documento di attualizzazione pastorale appaiono una vera e propria sponsorizzazione entusiasta dello spirito autentico dello scritto post-sinodale.

            E dire che in terra americana non è davvero una novità: certo, hanno fatto più notizia le “frenate” del card. Chaput a Philadelphia e, ancor più, i famosi dubia firmati anche dall’americano Burke (tanto che il quotidiano Washington Post il 16 marzo parla di «un documento controverso»), ma negli Stati Uniti sono ben note (e hanno scavalcato i confini nazionali) sia la catechesi del card. Cupich a Chicago sia il sinodo diocesano sull’Amoris lætitia che si è svolto a San Diego.

“The Joy of Love” un documento fondamentale. Con un linguaggio accattivante e leggibilissimo, praticamente quasi privo dell’ingombro di citazioni di qualsiasi natura (le poche sono a parte), 16 fotografie a colori e un’impaginazione decisamente stile aziendale l’attualizzazione pastorale dell’arcivescovo Wuerl riconosce che “The Joy of Love” si configura come «un documento di fondamentale importanza per comprendere e trasmettere la visione della Chiesa sul matrimonio e la vita di famiglia e la sua applicazione pastorale nella società e nella cultura contemporanee». Frutto di un’ampia consultazione sinodale in linea con le acquisizioni del Concilio e in ideale continuità con il magistero dei predecessori, esso rappresenta «un autentico dono per la Chiesa» e, in particolare, per tutti gli operatori di pastorale familiare.

            Il mistero del matrimonio e della famiglia può essere pienamente compreso solo alla luce dell’infinito amore del Padre che rivolge il medesimo sguardo anche verso quanti non riflettono esattamente l’insegnamento della Chiesa. Punto di partenza è sempre lo sguardo misericordioso di Dio, eliminando il rischio di una dottrina arida e priva di vita per seguire piuttosto la legge della gradualità (cf. AL 295), in quanto il compito della Chiesa non è mai quello di condannare, bensì di sostenere e di guidare le persone nel loro cammino di fede, nella convinzione che ciascuno – non importa dove si trovi –, con l’aiuto di un accompagnamento fraterno, può riavvicinarsi al Signore e la grazia di Dio farà il resto.

            Studi alla Gregoriana con dottorato sulla teologia di san Tommaso, membro dal 2012 della Congregazione per la dottrina della fede, il card. Wuerl ha partecipato ai sinodi dei vescovi a partire da quello del 1990 sulla formazione dei preti, e poi nel 1997 sulla Chiesa in America, nel 2005 sull’eucaristia, nel 2008 sulla parola di Dio, nel 2012 sulla Nuova evangelizzazione, di cui era stato anche relatore generale fino agli ultimi due con un incarico di sintesi finale. Un’esperienza formidabile – accompagnata a quella didattico-pastorale – che emerge nello stile dello scritto e soprattutto nell’impianto che si rivela sistematico e propositivo.

La sfida della sinodalità. In quest’ottica, che possiamo definire didattica, non è casuale che l’intero primo capitolo sia dedicato a quello che viene definito “Lo sviluppo storico dei sinodi e della sinodalità” («nata per intuizione di papa Paolo VI»). Un tema cui l’arcivescovo Wuerl sembra tenere molto nell’intento anche di sottolineare la collegialità delle scelte sinodali. Una conferma la ritroviamo nell’appendice dove sono indicati alcuni interventi/interviste di padri sinodali (come la presentazione del cardinale di Vienna, Christoph Schönborn) da seguire accedendo ai link dal sito diocesano. «La sinodalità – scrive Wuerl – rappresenta una particolare espressione di quella legittima partecipazione delle Chiese locali alla governance della Chiesa universale, attraverso una consultazione».

            Significativa pure la sottolineatura della data di pubblicazione: «Il 19 marzo, festa di san Giuseppe, patrono della nostra famiglia spirituale, la Chiesa».

Il richiamo alla continuità. L’attuale contesto secolarizzato della società americana («che ha letteralmente spazzato via consolidate certezze») viene richiamato attraverso le parole pronunciate dai due papi che hanno fatto visita di recente alla Chiesa oltreoceano: Benedetto XVI nel 2008 e Francesco nel 2015.

            Se il capitolo terzo era dedicato al consenso che ha accompagnato l’uscita dell’esortazione post-sinodale, un testo che ha ricevuto «l’approvazione di oltre i due terzi dei padri sinodali», il quarto intende mettere un ulteriore punto fermo: la continuità con il magistero precedente, in particolare le scelte conciliari (e quindi Giovanni XXIII e Paolo VI) e i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ed è proprio nella continuità che si spiega l’amplissimo consenso. «Al centro del vangelo del matrimonio e della famiglia c’è l’amore del Padre e il suo sguardo sull’amore umano e questo costituisce il punto di partenza per ogni azione pastorale, da parte di operatori adeguatamente formati».

L’approccio di misericordia. Nel quinto capitolo sulle “Applicazioni pastorali” si ribadisce la necessità della progettazione di seri cammini di preparazione, fin dagli anni dell’adolescenza, di un accompagnamento discreto e costante dei fidanzati e delle giovani coppie (con l’imprescindibile collaborazione degli operatori laici) e di una ri-evangelizzazione dei nubendi.

            Ma il card. Wuerl non si limita a questo e affronta, senza alcun timore, la questione di quel capitolo VIII su cui si sono concentrate le critiche. La risposta è tanto immediata quanto significativa: accompagnando fidanzati e famiglie, accade che gli operatori incontrino frequentemente quanti si discostano in vario modo dal disegno d’amore originario, ma ricordiamoci tutti quanti che «nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo!».

            A rimarcare il concetto un’ampia citazione (a intera pagina) da John Grabowski, docente di teologia morale alla Catholic University of America, laico e coniugato (5 figli e 2 nipoti) che, insieme alla moglie Claire, è stato membro del Pontificio consiglio per la famiglia e anche uditore agli ultimi Sinodi. In sintesi: «L’insegnamento morale prima del Vaticano II era appesantito da un eccessivo concentrarsi sui singoli atti, su norme e peccati, ma i Padri conciliari hanno chiesto un contatto più vivo con il mistero di Cristo e la storia della salvezza, sul primato della grazia rispetto alla legge e l’Amoris lætitia: a Washington una conferma invita a imitare lo sguardo misericordioso di Gesù».

            Non è più il tempo – continua Wuerl – di predicare norme rigide (alla lettera, «cementificate»), per imboccare piuttosto la via della misericordia indicata da papa Bergoglio: accompagnare le persone attraverso un processo individuale di discernimento delle coscienze nella consapevolezza che ciascuno può avvicinarsi a Dio in modi e tempi diversi e, non da ultimo, che il giudizio finale spetta solo a Dio (cf. AL 300).

            L’Amoris lætitia spiega l’arcivescovo di Washington – non costituisce una lista di risposte ad ogni singolo problema umano, ma rappresenta «un appello per un approccio pastorale all’insegna della misericordia». In continuità con i suoi predecessori, l’invito di papa Francesco è nella direzione di una nuova evangelizzazione. Il segno distintivo del suo pontificato – «la voce del pastore che parla al suo gregge» – è l’accento sulla Chiesa in uscita così da offrire alle persone la bellezza del Vangelo e lo stupore dell’incontro con Gesù («contro la tentazione di predicare semplicemente una dottrina»).

            Quindi, la chiusura: «Nessuno di noi può pretendere di essere perfetto, com’è perfetto il Padre dei Cieli, ma dobbiamo essere tutti consapevoli di aver bisogno della sua grazia. Mentre ci assumiamo ciascuno le nostre responsabilità pastorali, ringraziamo innanzitutto Dio per la nostra vocazione e per la guida della santa Chiesa e del santo padre Francesco».

Maria Teresa Pontara Pederiva                  SettimanaNews          21 marzo 2018

www.settimananews.it/chiesa/amoris-laetitia-washington-conferma

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO FIGLI

Assegno fino a 30 anni per il figlio che cambia sesso

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 5883, 12 marzo 2018.

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29567_1.pdf

Per la Cassazione la situazione di vulnerabilità connessa con l’adeguamento dell’identità sessuale può giustificare il mantenimento per un periodo più esteso del normale. L’ordinanza della Corte di cassazione ha decretato che i figli che cambiano sesso possono avere diritto a essere mantenuti dai genitori per più tempo rispetto ai figli che non hanno problemi di identità sessuale.

Maggiore vulnerabilità. Per i giudici, il giovane che affronta un processo di adeguamento della propria identità di genere può infatti trovarsi frequentemente in una situazione di vulnerabilità e di difficoltà psicologica e relazionale che può avere ricadute importanti e significative sul suo inserimento sociale e lavorativo e, di conseguenza, sull’acquisizione di un’indipendenza economica dai genitori.

Tre anni per trovare un lavoro. Tuttavia ciò non vuol dire che il mantenimento possa andare avanti all’infinito: decorso qualche tempo da quando si è concluso l’iter di adeguamento dei caratteri sessuali, l’assegno può essere revocato in assenza di specifiche deduzioni circa il permanere della vulnerabilità psicologica e sociale e delle sue conseguenze nella ricerca di un lavoro.

            Nel caso di specie, mancando tali deduzioni, essendo trascorsi oltre tre anni dal cambio di sesso e avendo il figlio raggiunto i trent’anni di età, i giudici non hanno più ritenuto giustificato il mantenimento e hanno quindi accolto il ricorso del padre che chiedeva di essere esonerato dal versamento periodico dell’assegno al giovane.

avv. Valera Zeppilli               studio Cataldi             15 marzo 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29567-assegno-fino-a-30-anni-per-il-figlio-che-cambia-sesso.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Niente assegno alla ex che si è sempre dedicata ai figli

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 6663, 16 marzo 208

Per la Cassazione ai fini della spettanza dell’esborso conta la non autosufficienza economica dell’ex coniuge mentre il contributo personale dato al ménage familiare conta per la quantificazione dell’assegno. Non spetta l’assegno divorzile alla ex che assume di essersi prodigata, durante il matrimonio e anche più del marito, alla cura e all’educazione dei figli.

Dopo il revirement operato dalla giurisprudenza ciò che deve essere valorizzato, nella fase di riconoscimento o meno dell’esborso, è il criterio della non autosufficienza economica, mentre il contributo personale e patrimoniale dato al ménage familiare potrà rilevare solo nella diversa e successiva fase destinata a determinare la misura dell’esborso.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, con cui i giudici si sono pronunciati sul ricorso di un uomo che si era visto condannato dalla Corte d’Appello a corrispondere alla moglie un assegno divorzile. In Cassazione, tuttavia, l’uomo contesta l’operato della Corte territoriale laddove ha riconosciuto alla ex l’assegno in ragione di “vaghe finalità compensative”, senta tuttavia dimostrare la cura e l’educazione dei figli verso i quali la donna si sarebbe prodigata durante la vita matrimoniale, mentre, addirittura, sarebbe stato vero il contrario.

Divorzio: niente assegno “compensativo” alla moglie. Doglianze che vengono accolte dagli Ermellini i quali, in prima battuta, ritengono che la sentenza impugnata abbia errato ad attribuire l’assegno divorzile in ragione della inadeguatezza dei mezzi a disposizione della donna, intesa come inidoneità a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Assunto che collide, infatti, con il revirement della giurisprudenza di legittimità: a partire dalla sentenza n. 11504/2017, infatti, si è chiarito come il riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio presupponga una verifica giudiziale da articolarsi necessariamente in due fasi, progressive e tra loro nettamente distinte.

La prima, quella dell’an debeatur, ha come oggetto esclusivamente l’accertamento della sussistenza o meno del diritto all’assegno, fatto valere dall’ex coniuge richiedente; la seconda fase, riguardante il quantum debeatur è, invece, improntata al principio della solidarietà economica tra i coniugi, ovverosia dell’ex obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole, e investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso.

Il nuovo orientamento prescelto dalla giurisprudenza appare più coerente con il principio di uguaglianza dei coniugi anche nella fase post matrimoniale, dovendosi ritenere superata la concezione paternalistica che, in passato, imponeva al marito di somministrare alla moglie tutto quanto necessario ai bisogni della vita in proporzione alle sue sostanze.

Nel valutare se l’assegno spetti o meno, ovverosia se il coniuge sia o meno indipendente o autosufficiente economicamente, il giudice potrà far riferimento a una serie di indici presuntivi, quali la mancanza di mezzi adeguati e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari o immobiliari, la capacità e possibilità effettive di svolgere un lavoro personale e la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

Tra questi indici non figurano, invece, i criteri che la sentenza impugnata ha utilizzato nel riconoscere alla ex l’assegno divorzile (fase dell’an debeatur) i quali, invece, riguardano la fase di quantificazione dello stesso: si tratta della valutazione comparativa dei redditi dei coniugi (tra l’altro, nel caso di specie, sostanzialmente equivalenti) e del contributo personale ed economico dato dalla conduzione familiare del coniuge richiedente l’assegno.

In particolare, chiarisce la Cassazione, quest’ultimo criterio (contributo personale dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio personale di ciascun coniuge e di quello comune) è espressamente indicato dalla legge del 1970 ai fini della quantificazione e non dell’attribuzione dell’assegno; ancora, tale circostanza, dovrà costituire pur sempre oggetto di prova del giudizio, seppur in via presuntiva, che dovrà fornire la parte che richiede l’assegno.

Ciò non è avvenuto nella vicenda in esame, dove non è risultata neppure una condizione di non autosufficienza economica della ex moglie tale da giustificare l’attribuzione dell’assegno in suo favore.

www.studiocataldi.it/articoli/29639-divorzio-niente-assegno-alla-ex-che-si-e-sempre-dedicata-ai-figli.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 10, 21 marzo 2018

Pregiudizio e circolarità del dono. Non servono parole di commento, a questo video, in cui “niente è come sembra”.                 http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/marzo2018/5071/index.html

Però una citazione, a cui sono molto affezionato, mi pare molto pertinente (F.Belletti) “C’è una sorta di legge sociale che fa sì che quel che non circola muore, come è per il Mar Morto e per il Lago di Tiberiade, che pur formati dallo stesso fiume, il Giordano, sono l’uno morto e l’altro vivo, perché il primo consegna tutta l’acqua per sé, il secondo la dà ad altri fiumi” (J. Godbout, 1992).

19 marzo: un’occasione per riflettere sulla paternità. Il Cisf ha partecipato alla stimolante giornata di studio Padri e Figli. Giornata di studi sulla paternità in Italia, promossa a Roma lunedì 19 marzo dall’Istituto di Studi sulla Paternità e dal Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università RomaTre.        http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf0818_allegato6.pdf

v  Nel suo intervento il Direttore Cisf (F. Belletti) ha ricordato che le rilevanti trasformazioni oggi riscontrabili per la paternità (e per la genitorialità in senso lato) devono fare i conti con la riscoperta del valore del concetto di “legame”, nelle relazioni familiari, di fronte ad una progressiva individualizzazione narcisistica dei progetti di vita. Senza il desiderio consapevole di “costruire la propria felicità attraverso i legami”, anche le responsabilità paterna e materna diventano obiezione alla propria autorealizzazione, anziché entusiasmante esperienza di cura, dono circolare e crescita della propria personalità.

Vedi anche, su Famiglia Cristiana on line, a partire da una recente indagine sulla nuova generazione di padri (i cosiddetti “padri Millennials”), l’intervista a commento dell’indagine (F. Belletti) a RadioMarconi. «Essere padri e madri moderni non vuol dire essere “genitori uguali”».

 http://www.famigliacristiana.it/articolo/francesco-belletti-essere-padri-e-madri-moderni-non-vuol-dire-essere-genitori-uguali.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_21_03_2018

Corso di formazione online multidisciplinare (FAD-FORMAZIONE A DISTANZA) basato sull’Approccio capacitante: Alzheimer. Come favorire la comunicazione nella vita quotidiana (locandina). Saranno erogati 15 crediti ECM per Infermiere, Medico Chirurgo (tutte le discipline), Psicologo, Educatore professionale, Logopedista, Fisioterapista, Terapista Occupazionale. Possono aderire anche gli Operatori Socio Sanitari. L’attestato di partecipazione servirà anche come titolo per partecipare al Corso di 2° livello, residenziale, promosso dal Gruppo Anchise. Il Corso inizierà il 13 aprile.

            www.formalzheimer.it/wp-content/uploads/2018/03/2018.FAD_.FORMAT.pdf

Rapporto UNICEF: infanzia e sviluppo sostenibile. Progress for Every Child in the SDG (Sustainable Development Goals) Era [leggi il report integrale pp. 106 – in inglese] (Migliorare la condizione di ogni bambino nell’epoca degli obiettivi dello sviluppo sostenibile). Un dettagliato Rapporto con indicatori nazionali che consentono di rilevare che in troppe nazioni gli obiettivi 2030 per uno sviluppo sostenibile dell’infanzia mostrano una scarsissima evoluzione positiva.

            http://data.unicef.org/wp-content/uploads/2018/03/Progress_for_Every_Child_V4.pdf

Monza: “Il Paese ritrovato” [vedi rendering e caratteristiche] Nasce a Monza il primo Villaggio in Italia dedicato alla cura di persone con forme di demenza e affette dalla sindrome di Alzheimer, promosso dalla Cooperativa La meridiana. Il complesso è stato aperto al pubblico sabato 24 febbraio 2018 e nei prossimi mesi potranno essere inseriti i primi ospiti.

www.cooplameridiana.it/il-paese-ritrovato

www.ilcittadinomb.it/stories/Cronaca/monza-allavanguardia-inaugurato-il-paese-dellalzheimer_1270719_11/?attach_a_&src=title&site_source=RelatedBottom-1270719

Regione Piemonte. Il rientro delle mamme al lavoro. La Regione Piemonte per sostenere concretamente il rientro al lavoro delle neo-mamme di famiglia ha lanciato il progetto Ri.Ent.R.O. (Rimanere Entrambi Responsabili e Occupati), un intervento decisamente innovativo che punta ad incentivare il ritorno al lavoro delle donne in seguito alla nascita di un figlio attraverso la condivisione delle responsabilità di cura familiare tra i genitori, stimolando i papà a fruire più spesso dei congedi parentali. Il fatto che la cura dei figli ricada ancora quasi esclusivamente sulle mamme è infatti una forte causa, purtroppo poco tematizzata e affrontata, della bassa natalità in Italia. Lo stanziamento per sostenere economicamente la misura a vantaggio della famiglia è pari a 500mila euro, tra fondi regionali ed europei. Le mamme lavoratrici possono presentare domanda per ottenere un contributo una tantum di 400 euro al mese, replicabile per ogni mese in cui il padre rimane in congedo fino al primo anno di vita del bimbo.  L’iniziativa è valida anche in caso di adozione o affidamento di minori ed è riconosciuta alle lavoratrici dipendenti del settore privato, alle lavoratrici autonome e alle titolari o socie di micro imprese.

www.regione.piemonte.it/bandipiemonte/cms/finanziamenti/rientro-rimanere-entrambi-responsabili-e-occupati-incentivo-il-rientro-al-lavoro-dopo

Save the date

  • Nord   I bambini e l’arte. Immagini, messaggi e bellezza per crescere tra didattica museale, editoria e laboratori scolastici, convegno internazionale a Venezia a cura di «Storie di Bambini», mostra itinerante di Letizia Galli, Venezia, 24-25 marzo 2018.

http://storiedibambini.org/wp-content/uploads/2018/02/Programma-convegno-24-25-marzo-1.pdf

I nonni nella Bibbia, incontro promosso dall’Associazione Nonni 2.0 in collaborazione con il Servizio per la Famiglia della Diocesi di Milano, Milano, 5 aprile 2018.

www.nonniduepuntozero.eu/wp-content/uploads/2018/03/VOLANTINO-INCONTRO-5-APRILE.pdf

  • Centro Il futuro nelle nostre radici, convegno per il 40° anniversario di costituzione della Confederazione Italiana dei Consultori familiari di ispirazione cristiana (CFC), Roma, 14 aprile 2018

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1018_allegato2.pdf

  • Sud      Children 2018. Convegno promosso dalla FIMP (Federazione Italiana Medici Pediatri), con crediti formativi ECM, Bari, 17-19 maggio 2018.

http://sippuglia.it/wp-content/uploads/2018/01/programma-Children-2018-5.pdf

  • Estero Shaping the Future: Domestic and International Migration in Europe (Dare forma al futuro: migrazioni interne ed internazionali in Europa), 7.o Forum Demografico di Berlino (BDF), Berlino, 10-11 aprile 2018        www.berlinerdemografieforum.org/__trashed/focus-2018/?lang=en

Iscrizione alle newsletter  http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

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CHIESA CATTOLICA

La figura del papa nella chiesa. Professione teologo o pescatore?

            Gli arruolati a tempo pieno al partito antipapista hanno preso molto male la testimonianza dell’ex papa Benedetto a sostegno di papa Francesco, con tanto di riconoscimento della sua sapienza teologica e della continuità del suo pontificato con quello precedente. Così hanno cercato di distruggerne il significato, svelando che nella lettera in cui Ratzinger si compiaceva per l’iniziativa della Libreria Editrice Vaticana che aveva pubblicato una collana di commenti sui primi cinque anni dell’attuale pontificato, c’era anche una riserva per uno dei teologi che vi aveva collaborato. In realtà per quanto la critica a uno degli autori della collana potesse essere fondata, ciò nulla toglie alla notizia principale, che sta nel rifiuto del vecchio papa di prendere le parti o addirittura la guida della fazione anti-Bergoglio.

Piuttosto c’è da dire che questo strascico polemico seguito alla limpida presa di posizione dell’ex papa, ha avuto il merito di portare alla ribalta, come oggetto di riflessione nella Chiesa, la natura stessa del papato, anche al di là del giudizio sull’oggi. E ciò proprio perché è stato papa Benedetto a far cadere l’ostacolo che impediva un ripensamento della natura e del modo di esercizio del primato petrino, e perciò impediva la riforma del papato. Riforma ormai matura nella coscienza della Chiesa, come doveva risultare nel Conclave che ha eletto Bergoglio e come doveva annunciare lo stesso papa Francesco nel programma del suo pontificato, la “Evangelii Gaudium”, in cui al n. 32 scriveva: “Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato”, e come doveva ripetere il 17 ottobre 2015 nel discorso per il cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo, dicendo che la Chiesa è una piramide capovolta, dove il vertice si trova al di sotto della base.

L’ostacolo a questa riforma era però che nel corso del secondo millennio cristiano il papato era stato fortemente mitizzato, quasi messo al posto di Dio. La mia generazione ne ha visto il culmine nella figura ieratica di Pio XII, il “Pastor Angelicus”; poi, dopo la parentesi di Giovanni XXIII, la mitizzazione è giunta ai fasti di papa Wojtyla, che si disse avesse sconfitto da solo il comunismo e che le folle plaudenti volevano “santo subito!”.

Ma è in Paolo VI che il mito giunse alla sua massima crisi. Egli se ne era fatto custode, quando al Vaticano II aveva imposto (e aggiunto in via “previa”) una sua interpretazione restrittiva al documento conciliare sulla collegialità episcopale, per toglierne qualsiasi ombra che potesse minacciare di offuscare la dottrina del primato e scolorire la figura del papa; e il 1 settembre 1966 in una sosta ad Anagni dove Bonifacio VIII aveva ricevuto il mitico schiaffo francese, rivendicò i meriti di quel papa “che più degli altri aveva affermato la più piena e solenne autorità pontificia” nel quadro concettuale “dei due poteri, uno spirituale l’altro temporale” disposti però su una “scala dei valori” per cui lo spirituale doveva “condizionare gli altri valori umani”, e infine interpellò i fedeli così: “Questa comunità (la Chiesa) è organizzata e non può vivere senza l’innervazione di una organizzazione precisa e potente che si chiama la Gerarchia. Figlioli miei, è la Gerarchia che vi sta parlando, è il Vicario di Cristo che oggi è davanti a voi… Posso domandarvi, figlioli carissimi, questa grazia che voi certamente non mi rifiutate: amate il Papa, amate il Papa, perché senza alcun suo merito e senza certamente alcuna sua ricerca gli è capitata questa strana singolare vocazione di rappresentare Nostro Signore. Non guardate a noi, guardate il Signore di cui rappresentiamo…”, e la frase non finì per gli applausi. Ed è certamente per la forte coscienza di questa rappresentanza ricapitolata in lui che papa Montini compì i suoi gesti più estremi, come la Humanæ Vitæ, disattesa dalla Chiesa, o la decapitazione e riduzione al silenzio della Chiesa di Bologna.

Ma il mito si rovescia in tragedia quando Aldo Moro, nonostante la supplica montiniana alle Brigate Rosse che lo hanno rapito, viene ucciso. E nella preghiera agli agghiaccianti funerali di Stato che Moro aveva detto di non volere, Paolo VI si mostra sgomento perché lo scambio con Dio non ha funzionato, e lo interpella con un lamento che assomiglia più al “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” di Gesù, che alle rimostranze di Giona a Dio che si era pentito di voler distruggere Ninive e non l’aveva distrutta. In tale lamento Paolo VI rompe nel grido e nel pianto il sigillo “dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente – dice – soffoca la nostra voce”, e si duole, quasi incredulo, con Dio: “Tu, o Dio della vita e della morte, Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, quest’uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico”; e tanto ne fu il dolore, che dopo pochi mesi Paolo VI morì.

E infine giunge Benedetto XVI, “il papa teologo”, che pone soavemente l’atto più eversivo del mito, con le sue dimissioni da papa, demitizzando in tal modo il papato. E proprio da lì comincia la riforma della Chiesa.

Ma in quale direzione? La disputa intorno alla lettera di Ratzinger su Bergoglio si è svolta come se la discussione vertesse sul tasso di teologia dei papi: Ratzinger legittimato come papa teologo venuto dalle cattedre della dotta Europa ma poco esperto in umanità, Bergoglio fuori posto come papa ma atto a comprendere la concretezza della vita cristiana, venuto dalle strade della fine del mondo; disputa che Ratzinger risolve dicendo che né lui è un teorico senza umanità concreta, né Francesco è un uomo pratico senza teologia. Ma l’errore di questa disputa sta nel presupposto secondo cui il necessario predicato del papa è “professione teologo”. Certamente c’è un senso in cui si debba parlare di papi teologi, come anche a vescovi teologi pensava il Concilio e come anzi ci si attenderebbe che fossero tutti i cristiani. Altra cosa però è fare della teologia la professione del papa.

La professione di Pietro non era teologo, ma pescatore. Così lo prese Gesù, e con lui anche gli altri.

Del resto anche come pescatori lasciavano a desiderare, e se non era per Gesù che faceva gettare le reti e distribuire i pesci, le folle restavano digiune.

Il papa non è lo scienziato di Dio, ma ne è il messaggero. Il termine stesso “teologia” del resto è esagerato. Non c’è una “scienza” di Dio, Dio non si può racchiudere nella nostra conoscenza, non sta lì, sta “in una brezza leggera”. Dice il vangelo di Giovanni: Dio nessuno l’ha mai visto, è il Figlio che lo svela, che lo racconta, che ne fa “l’esegesi”. Dunque a rigore c’è un solo teologo, che è Gesù, come un solo maestro, che è lui.

Perciò papa Francesco non deve passare al vaglio di un’accademia, e non sono su questo piano la continuità e le differenze col suo predecessore. Ed è proprio qui che comincia allora il fascino della ricerca, la fatica dell’interpretazione, l’impegno a capire il “mistero Bergoglio”, come ai tempi del Concilio fummo sfidati a comprendere “le mystère Roncalli”, come fu chiamato dai francesi il segreto del papa che col Concilio stava cambiando la Chiesa. Per questo è così affascinante la domanda su chi è veramente Francesco, e per quale forza sta cambiando, presso l’uomo moderno, l’idea stessa di religione e l’immaginario di Dio.

Raniero La Valle       20 marzo 2018                       Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri.

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/professione-teologo-o-pescatore

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CONSULTORI FAMILIARI

18° Convegno nazionale della Confederazione dei consultori familiari di ispirazione cristiana

Il futuro nelle nostre radici

Roma. Università Cattolica Sacro Cuore 14 aprile 2018, ore 9,30-18,30

La ricorrenza del quarantesimo anniversario di costituzione della Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana rappresenta un appuntamento propizio per fare memoria grata delle nostre radici e per cogliere i frutti preziosi della lungimirante iniziativa di istituire specifici servizi per la famiglia.

Lo sviluppo dei consultori familiari si accompagna al progressivo interessamento verso la famiglia da parte della chiesa italiana che con le Deliberazioni della XII Assemblea generale della CEI ha dato origine alla ricca storia della Confederazione.

Il Convegno proposto in occasione del 40° anniversario della Confederazione non vuole essere un omaggio ai numeri, ma provvidenziale occasione per una riflessione prospettica sui temi della vita affettiva, per dissodare il terreno su cui crescono le relazioni e i legami tra le persone, e segnatamente il legame coniugale tra uomo e donna, in cui radica la vita familiare e lo sviluppo dell’identità dei suoi membri. In questo crocevia in cui si gioca la relazione tra i generi e le generazioni, molto spesso la famiglia è affaticata e confusa. Allora il consultorio diventa un luogo di ascolto e di accompagnamento per una famiglia che ha bisogno di ritrovare il senso profondo della propria esperienza e di recuperare la propria capacità progettuale.

Il convegno intende favorire l’individuazione di ambiti privilegiati per l’azione educativa e di sostegno che i consultori familiari possono offrire alle persone, alle coppie e alle famiglie; proporre indicazioni metodologiche adeguate per l’ideazione, la progettazione e la realizzazione di progetti innovativi in grado di sostenere ed incrementare le risorse educative della famiglia; dare valore alle buone pratiche che già vengono condotte nelle varie regioni italiane perché possano stimolare nuove iniziative a favore delle famiglie, secondo lo spirito raccomandato da Papa Francesco in Amoris Lætitia ed espresso nel pieghevole dall’immagine della Chiesa che abita in mezzo alle famiglie e delle famiglie che colorano la realtà ecclesiale.

 

v  Il via ai lavori, dopo i saluti, con monsignor Nunzio Galantino (Segretario Generale della Cei) e monsignor Claudio Giuliodori (Assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore).

v  La moderatrice dr Paola Paolini (segretaria generale Cfc) introdurrà la prima parte del convegno:

  1. Trasformazioni antropologiche e legami familiari. L’esodo dalla tirannia dell’io alla terra promessa del noi, mons. Pierangelo Sequeri, preside dell’istituto per le scienze del matrimonio e della famiglia.
  2. Custodire legami nella coppia e generare futuro, prof. Maria Luisa Gennari, docente psicologia UCSC-Brescia.
  3. I figli ci guardano e ci riguardano. Le competenze educative dei consultori familiari, prof. Domenico Simeone, docente pedagogia UCSC-Milano
  4. Dibattito

v  La moderatrice sarà la prof. Livia Cadei, docente pedagogia UCSC- Brescia e Milano, presidente commissione scientifica CFC

  1. dr Stefano Pasta, docente UCSC Milano. Presentazione del libro che racconta i quarant’anni della CFC con l’intervento Fare memoria per guardare al futuro. I protagonisti dei 40 anni della Cfc.
  2. Complessiva-mente. Il sapere e i saperi del consultorio per le famiglie di oggi, dr Paola Cavatorta psichiatra, psicoterapeuta, direttore del Consultorio familiare UCSC-Roma
  1. Percorsi normativi per lo sviluppo dei consultori. prof. Andrea Bettetini, docente di Diritto canonico UCSC-Milano, vicepresidente CFC
  2. Dibattito
  3. Interventi conclusivi e le prospettive future. Don Paolo Gentili (direttore Ufficio Pastorale familiare della Cei), Gigi De Palo (Forum delle Associazioni familiari) e Francesco Lanatà (presidente Consultori Ucipem).
  4. Conclusioni. Don Edoardo Algeri (presidente Cfc).

Iscrizioni ed info                                              www.cfc-italia.it/cfc

Ciclo di Seminari formativi. La famiglia nel tempo dell’individualismo.

La Federazione Toscana dei consultori familiari UCIPEM e CFC, in collaborazione con il Centro Italiano di Sessuologia, il Consultorio familiare Il Campuccio della Misericordia, l’AICCeF organizza un Ciclo di Seminari informativi a partecipazione gratuita

v    14 Aprile 2018. Relazioni pericolose

v    13 Ottobre 2018. Ruoli e copioni affettivi e sessuali

  • 2019 Interazioni e complicazioni: istruzioni per l’uso
  • 2019 La solitudine nella famiglia: dove ci siamo persi?

Responsabile scientifico e Segreteria scientifica: Rosanna Intini

Il seminario si svolge presso la Residenza Il Bobolino, Via Dante da Castiglione, 13 50125 Firenze

Inviare l’scrizione a                 ilcampuccio@gmail.com

www.cfc-italia.it/cfc/index.php/federazioni-regionali/regione-toscana/71-federazioni-regionali/regione-toscana/articoli-toscana/411-ucipem-federazione-toscana-ciclo-di-seminari-formativi

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CRISI DI COPPIA

Separazione e divorzio: ultime novità

Tutte le novità in materia di crisi di coppia tra marito e moglie dopo la sentenza di separazione e quella di divorzio: gli effetti della sentenza Grilli della Cassazione e i nuovi orientamenti.

Se c’è una materia che, per anni, è rimasta sempre uguale a sé stessa è il diritto di famiglia. Dalla riforma avvenuta nel 1975 [Legge n. 151/1975; Legge n. 39/1975], anticipata dall’introduzione nel 1970 del divorzio [Legge n. 898/1970], poco è cambiato fino al 2012. Quasi quarant’anni di sostanziale staticità nella gestione dei conflitti tra coniugi. Fino al 10 maggio 2017 [Cass. sent. n. 11504/10.05.2017], quando la Cassazione ha stravolto le regole sulla determinazione e quantificazione dell’assegno divorzile (il mantenimento cioè che viene fissato con la sentenza di divorzio). Da quel giorno, quotidianamente la Cassazione sta tentando di chiarire meglio quali sono i nuovi principi a cui attenersi e, in definitiva, le ultime novità in materia di separazione e divorzio.

Ecco perché abbiamo creato questo articolo come osservatorio costante: qui troverai, giorno per giorno, tutte le sentenze più interessanti che escono in materia di crisi della coppia. Non dovrai trovare altri link su Google: potrai mettere questa pagina tra le preferite del tuo browser in modo da richiamarla, di tanto in tanto, e scoprire cosa di nuovo è successo in materia di separazione e divorzio.

 

  1. Assegno di divorzio misurato sulla base della durata del matrimonio. La durata delle nozze viene presa in considerazione come elemento per determinare se e quanto accordare come assegno divorzile, anche dopo la famosa sentenza Grilli. È quanto emerge da una ordinanza recente della Cassazione [Cas. ord. n. 7342, 23.03.2018]. La Suprema Corte “apre” alla durata del matrimonio come elemento che può essere tenuto in considerazione nell’ambito della valutazione sull’autosufficienza economica per stabilire se il coniuge richiedente ha diritto all’assegno divorzile o meno. Un matrimonio durato oltre 25 anni dà diritto all’assegno, sempre che il coniuge richiedente non abbia le capacità economiche per mantenersi da solo.
  2. Se la moglie non deposita in causa le dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni. Nella causa di separazione e di divorzio il giudice ordina alle parti di produrre le dichiarazioni dei redditi degli ultimi due anni. Se la moglie che chiede il mantenimento nell’ambito del giudizio di divorzio non ottempera a tale obbligo, perde ogni diritto economico sull’ex marito anche se l’assegno le era stato riconosciuto con la sentenza di separazione. Lo dice il Tribunale di Genova [Trib. Genova, sent. n. 834/2018] L’impossibilità di valutare la reale situazione economica della richiedente esclude, infatti, a priori il riconoscimento dell’assegno divorzile, non sussistendo elementi per ritenere che la signora sia economicamente non autonoma. Come chiarito dalla Cassazione, l’accertamento del diritto all’assegno divorzile si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice verifica l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente o, comunque, all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, mentre nella seconda procede alla determinazione in concreto dell’ammontare dell’assegno, che va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tali elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio. Il giudizio sull’inadeguatezza o meno dei mezzi, peraltro, deve essere individuato con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica del richiedente. Ebbene, ha proseguito il collegio, nel caso in esame la signora non ha assolto all’onere che su di lei incombeva di provare l’inadeguatezza dei propri redditi a renderla economicamente autonoma. Ella infatti ha depositato solo vecchie dichiarazioni dei redditi ma non ha prodotto, benché invitata a farlo, quelle degli ultimi tre anni. In questo contesto, ha concluso il tribunale, l’impossibilità di valutare i redditi percepiti dal coniuge richiedente l’assegno divorzile negli ultimi tre anni preclude a priori il riconoscimento dell’assegno divorzile in suo favore, non sussistendo elementi per ritenere che la signora sia economicamente non autonoma.
  3. Breve storia del diritto di famiglia. Volendo ripercorrere una breve storia, ricordiamo solo che nel 2004 sono state approvate le norme in materia di procreazione assistita [L. n. 40/2004]; nel 2006 sono state adottate le norme sull’affidamento del figlio che hanno stabilito, come regola, l’affidamento condiviso (al posto di quello esclusivo) [L. n. 54/2006]. Nel 2012 è arrivata l’equiparazione dei figli naturali con quelli legittimi (ora chiamati rispettivamente «figli nati fuori il matrimonio» e «figli nati dentro il matrimonio») [L n. 2019/2012 e D.lgs. n. 54/2014], mentre nel 2014 è stata introdotta la possibilità di separarsi o di divorziare davanti al sindaco o con un accordo firmato dai rispettivi avvocati (negoziazione assistita) [DL n. 132/2014]. Infine, nel 2015, è stato approvato il cosiddetto divorzio breve che riduce a più di un terzo i tempi per passare dalla separazione al divorzio: se, in precedenza, erano necessari 3 anni, oggi il termine si riduce a 6 mesi (se la separazione è stata consensuale) e a 1 anno dalla prima udienza del tentativo di conciliazione (se la separazione è stata giudiziale) [L. n. 55/2015].
  4.  La sentenza “Grilli” della Cassazione sull’assegno di divorzio. Se nulla è cambiato rispetto al passato per quanto riguarda l’assegno di mantenimento (quello cioè a seguito della separazione, il cui scopo resta ancora quello di garantire all’ex coniuge il medesimo tenore di vita che aveva durante la convivenza, con una sostanziale divisione dei redditi tra i due coniugi), dal 10 maggio del 2017 le cose cambiano radicalmente quando si divorzia. Col divorzio, infatti, cessa ogni legame tra moglie e marito e ciascuno dei due deve iniziare a badare a sé stesso. Questo significa che il coniuge con il reddito più elevato non è più tenuto a garantire all’ex – come invece è tutt’ora obbligatorio subito dopo la separazione – lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, ma solo l’autosufficienza economica. Autosufficienza che consiste nel minimo per sopravvivere e sempre che lo stesso coniuge non sia in grado, per età e condizioni di salute, a procurarselo da solo. Scopo dell’assegno di divorzio – ed è qui la grande differenza con quello di mantenimento – è garantire all’ex moglie l’autosufficienza economica (ossia mantenersi da sola). Il che non significa necessariamente (come una volta) essere benestante qualora il marito lo sia; vuol dire solo «poter badare a se stessa». Ben si potrà quindi avere una situazione in cui, a fronte di un uomo con un reddito di 10mila euro al mese per attività imprenditoriale, la donna riceve un mantenimento di solo mille euro al mese. Dall’altro lato, se la donna ha già un proprio reddito minimo o altre forme di ricchezza (mobili o immobiliari) o dispone di aiuti da parte dell’ex famiglia, non ha diritto all’assegno di divorzio. Tanto per esemplificare, in una coppia dove l’uomo guadagna 5mila euro al mese e la moglie mille, se in passato alla donna sarebbe spettato un assegno di circa 1.500/2.000 euro mensili, oggi non le tocca più nulla. L’ex coniuge che rivendica il mantenimento non deve però solo dimostrare di avere un reddito insufficiente a vivere, ma anche di non essere nelle condizioni di procurarselo, avendo ad esempio superato l’età per reimmettersi sul mercato del lavoro o per non essere nelle condizioni fisiche di cercare un impiego. La conseguenza è che, allo stato attuale, possono ottenere l’assegno divorzile solo le donne che:
  • sono state casalinghe per tutto l’arco del matrimonio e ormai hanno raggiunto i 50 anni, età “limite” – secondo la Cassazione – oltre la quale è difficile immettersi nel mercato del lavoro;
  • per ragioni di salute non possono lavorare.

La Cassazione ha infatti escluso il mantenimento anche per la donna disoccupata, se giovane e con un bagaglio formativo tale da consentirle di cercare un posto. Non spetta quindi l’assegno di divorzio alla ex moglie che si rifiuta di cercare un lavoro. Il fatto di versare in stato di disoccupazione e in precarie condizioni economiche non è più una giustificante se le condizioni fisiche, mentali e la formazione della donna le consentono di cercare occupazioni. A complicare la vita alla donna si ci mette anche l’aspetto processuale, quello cosiddetto dell’onere della prova. È l’ex moglie, che rivendica l’assegno di divorzio, a dover dimostrare il mancato reperimento di un’entrata economica frutto della propria individuale attività lavorativa. In pratica, è lei che deve dar prova di una «disoccupazione incolpevole». Ed è incolpevole tutto ciò che non dipende dalla volontà del coniuge quando questi si è dato animo di cercare un lavoro e che le sue proposte non sono state accettate [Cass. ord. n. 25697/2017].

  1. Nulla cambia durante la separazione. La Cassazione ha chiarito che il criterio di calcolo dell’assegno di mantenimento resta invariato per quanto riguarda la separazione. In questo caso l’ex coniuge più benestante deve garantire all’altro – sempre che non abbia subito l’addebito – lo stesso tenore di vita che aveva durante la vita coniugale. In questo modo si offre a quest’ultimo un ombrello di salvataggio per provvedere alle proprie esigenze nella immediatezza della mutata situazione familiare. In pratica, nel periodo intermedio che va tra la separazione e il divorzio, la Cassazione ha preferito lasciare le cose com’erano un tempo. Affinché il coniuge con un reddito più basso non si trovi, dalla sera alla mattina, senza possibilità di mantenersi e organizzare il proprio nuovo futuro, il coniuge col reddito più alto deve versargli un mantenimento tale da garantirgli lo stesso tenore di vita di cui godeva quando ancora conviveva col primo. Nel caso però di matrimonio lampo, durato pochi mesi, il giudice può escludere del tutto il mantenimento.
  2. Nulla cambia per il mantenimento dei figli. La Cassazione ha chiarito che per i figli resta l’obbligo di versare il mantenimento garantendo loro lo stesso tenore di vita che avevano quando stavano con entrambi i genitori. Per loro quindi nulla cambia [Cass. sent. n. 3922/2018.10].
  3. La convivenza stabile con un’altra persona fa perdere il mantenimento. È ormai costante anche la giurisprudenza secondo cui perde il diritto all’assegno di mantenimento o a quello divorzile l’ex coniuge che va a vivere stabilmente con un’altra persona iniziando una vita di coppia basata sugli stessi principi del matrimonio (cosiddetta convivenza more uxorio, ossia la tradizionale coppia di fatto).
  4. Quando una donna si può dire autosufficiente? Abbiamo detto che, dopo il divorzio, all’ex moglie non spetta più l’assegno di mantenimento se è autonoma e autosufficiente, a prescindere dal tenore di vita di cui ha goduto quando era ancora sposata. Il punto però è che ancora pochi tribunali hanno capito come capire se la moglie è autonoma e indipendente. Secondo il tribunale di Milano è autosufficiente la donna che riesce a procurarsi almeno mille euro al mese [Trib. Milano, ord. del 22.05.2017]; tale è infatti la soglia di reddito sotto la quale spetta il gratuito patrocinio. La Cassazione ha però messo in guardia: nessun automatismo nella determinazione dell’indipendenza economica, bisogna valutare le situazioni concrete e reali [Cass. sent. n. 3015/7.02.2018]. Tale parametro va valutato con la «necessaria elasticità e la considerazione dei bisogni del richiedente l’assegno, considerato come persona singola e non come ex coniuge, ma pur sempre inserita nel contesto sciale». Per determinare la soglia dell’indipendenza economica – scrivono ancora i giudici supremi – occorre aver riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità. È il giudice, secondo la propria coscienza, a dover interpretare questi parametri così generici. Insomma, chi si aspettava di leggere un importo preciso, come invece avevano fatto i giudici di Milano, è rimasto sicuramente deluso. Anzi, sembrerebbe quasi che la Cassazione voglia proprio evitare definizioni nette come è avvenuto nel capoluogo lombardo. Ma è anche vero che a nulla vale la svolta contenuta nella sentenza dello scorso anno se ai giudici viene di nuovo data la libertà di definire quando la donna possa essere indipendente e quando non lo è, perché in un campo così libero c’è il rischio che si torni ai medesimi criteri di un tempo.

Per entrare più nel dettaglio e capire se e quando la moglie è autosufficiente – e come tale non può accampare pretese economiche – bisogna considerare i seguenti fattori:

  • il possesso di redditi di lavoro autonomo o dipendente; così ad esempio, se la moglie ha un contratto part time di 400 euro al mese e il marito guadagna 5mila euro al mese, il giudice potrebbe obbligare quest’ultimo a versare alla moglie solo 600 euro al mese e non già – come sarebbe successo con le vecchie regole – qualche migliaio. Infatti ora la ricchezza non va più “divisa” tra gli ex coniugi e la moglie può dirsi soddisfatta integralmente se ha quel minimo per vivere;
  • il possesso di altri redditi di natura mobiliare (ad esempio investimenti o quote societarie) o immobiliari (ad esempio l’affitto di fondi rustici o di appartamenti); così il coniuge che percepisce un canone di affitto da un immobile di sua proprietà, dato in locazione, potrebbe non aver diritto al mantenimento se tale importo gli garantisce l’autosufficienza;
  • le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;
  • la disponibilità di una casa di abitazione: così, se il giudice assegna la casa familiare alla donna e il marito viene costretto ad andare via, il mantenimento viene ridotto in proporzione al risparmio di spesa che da tale situazione l’ex moglie ottiene.
  1. In crisi anche l’assegno di mantenimento. Di recente la Corte di Appello di Roma ha stabilito che, se la moglie è autosufficiente non va mantenuta sin dal momento della separazione. E non importa se il reddito del marito è significativamente più elevato. Conta la capacità dei coniugi, dopo la cessazione dell’unione, di badare a se stessi con i propri mezzi: capacità che, se sussistente, esclude il diritto a percepire qualsiasi assegno da parte dell’ex più ricco.
  2. La morte del coniuge in causa. A fronte di un contrasto, la Cassazione ha affermato [Cass. sent. n. 4092/2018.] che la morte del coniuge in pendenza di giudizio fa cessare la materia del contendere.

Redazione La Legge per tutti           23 marzo 2018

www.laleggepertutti.it/196184_separazione-e-divorzio-ultime-novita

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DALLA NAVATA

Domenica delle Palme e della Passione del Signore – Anno B –25 marzo 2018

Isaia                50, 04 Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.

Salmo                         21, 20 Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto.

Filippési          02, 06 Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.

Marco             14, 61 Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono!

 

 

 

Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)

Il racconto della passione di Gesù, che la liturgia oggi ci propone accanto a quello dell’entrata festosa di Gesù in Gerusalemme (Mc 11,1-10), occupa un quinto dell’intero vangelo secondo Marco. È il racconto più antico contenuto nei vangeli, una lunga narrazione nella quale troviamo l’eco dei testimoni, innanzitutto di Pietro, il cui nome torna sovente, e poi degli altri discepoli. Tutti, però, al momento dell’arresto si danno alla fuga. Il racconto è composto di due parti: la prima, che narra gli eventi vissuti da Gesù insieme alla sua comunità fino alla cattura (cf. Mc 14,1-42), e la seconda che presenta il processo nelle sue fasi, l’esecuzione della condanna in croce e il seppellimento del corpo di Gesù in una tomba (cf. Mc 14,43-15,47). Data l’ampiezza di questo brano, non possiamo farne un commento puntuale, dunque ci limiteremo a uno sguardo d’insieme che evidenzi la buona notizia, il Vangelo contenuto nel racconto della passione.

Questa narrazione mette alla prova il nostro sguardo di fede su Gesù: siamo quasi costretti a patire lo scandalo e la follia della croce (cf. 1Cor 1,23), siamo posti di fronte all’esito fallimentare della vita di Gesù. Colui che è passato in mezzo alla sua gente facendo il bene (cf. At 10,38), curando i malati e talvolta guarendoli, e costringendo il demonio a obbedirgli (cf. Mc 1,27) e ad arretrare; colui che, quale profeta potente in opere e in parole, “tutti cercavano” (cf. Mc 1,37); colui che ha attirato a sé le folle, le quali lo hanno acclamato benedetto e veniente nel nome del Signore (cf. Mc 11,9); colui che è riuscito a radunare intorno a sé una comunità itinerante di uomini e donne che lo riconosceva quale Profeta e Messia; quest’uomo, Gesù di Nazaret, conosce una fine impensabile e approda a una morte fallimentare. Ogni lettore attento del vangelo, ogni discepolo che ha seguito Gesù dal suo battesimo fino alla fine non può non essere profondamente scosso, turbato da tale esito.

Dov’è finita – viene da chiedersi – la forza di Gesù, la potenza con cui egli liberava dalla malattia e dalla morte quanti ne erano segnati? “Ha salvato altri, non può salvare se stesso!” (Mc 15,31) – lo scherniscono i suoi avversari… Dov’è finito quel carisma profetico con cui egli annunciava ormai vicinissimo, anzi presente, il Regno di Dio (cf. Mc 1,15)? Perché nella passione Gesù è ridotto al silenzio e si lascia umiliare senza aprire la bocca (cf. Is 53,7)? Dov’è quell’autorevolezza riconosciutagli tante volte da chi lo chiamava maestro, lo acclamava profeta, lo invocava come Messia e Salvatore? Tutti coloro che sembravano suoi seguaci e simpatizzanti sono scomparsi, e Gesù è solo, abbandonato da tutti, inerme e senza alcuna difesa.

Ma l’enigma è ancora più radicale: dov’è Dio durante la passione di Gesù? Quel Dio che sembrava essergli così vicino e che egli chiamava confidenzialmente “Abba”, cioè “Papà caro”; quel Dio che lo aveva dichiarato “Figlio amato” al battesimo (cf. Mc 1,11) e alla trasfigurazione (cf. Mc 9,7); quel Dio per il quale Gesù aveva messo in gioco e consumato tutta la propria vita, dov’è ora? Non lo si dimentichi: la morte di croce – come ha compreso l’Apostolo Paolo – è la morte del maledetto da Dio (cf. Dt 21,23; Gal 3,13), giudicato tale dalla legittima autorità religiosa di Israele, e, nel contempo, è il supplizio estremo inflitto a chi è ritenuto nocivo alla società umana. Gesù è veramente morto come un impostore, nell’ignominia, appeso tra cielo e terra perché rigettato da Dio e dagli uomini.

È assai difficile rispondere a queste domande. Si può cominciare col notare che Gesù ha percorso questo cammino – giustamente definito via crucis, via della croce – pregando il Padre affinché lo sostenesse in quell’ora tenebrosa, “supplicando Dio con forti grida e lacrime” (cf. Eb 5,7); in tutto questo, però, ha sempre lottato per abbandonarsi in Dio e cercare di compiere la sua volontà, non la propria (cf. Mc 14,36). Sì, Gesù ha vissuto la passione mantenendo la sua piena fiducia nel Padre, ha creduto che Dio non lo avrebbe abbandonato, che sarebbe rimasto con lui, dalla sua parte, nonostante le apparenze di segno opposto e il reale fallimento umano della sua vita e della sua missione.

Ma nel racconto della passione secondo Marco c’è una rivelazione somma, fatta da Gesù stesso durante il processo avvenuto nella notte in casa del sommo sacerdote, dove sono riuniti tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi, dunque tutte le autorità religiose di Israele. Costoro cercano una testimonianza contro Gesù ma non la trovano, e le false prove accumulate, discordanti tra loro, risultano invalide. Ecco allora che il sommo sacerdote si alza nel mezzo e interroga Gesù: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?” (Mc 14,61). La domanda è decisiva, richiede una confessione sulla sua identità di Cristo-Messia e di Figlio di Dio (il Benedetto).

Gesù, che aveva ricevuto la confessione di Pietro: “Tu sei il Cristo” (Mc 8,29), replicando all’apostolo e agli altri di non parlarne a nessuno (cf. Mc 8,30), ora dice con parrhesía, con franchezza: “Io lo sono” (Egó eimi)” (Mc 14,62). È la piena rivelazione! Sì, Gesù è il Cristo, è il Figlio di Dio, veniente da colui che si era rivelato come “Io sono” (Es 3,14; cf. Is 41,4.10). Il vangelo secondo Marco si era aperto con le parole: “Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1), testimoniando la fede della chiesa in Gesù. Qui è Gesù stesso che si rivela quale Cristo e Figlio di Dio. E continua: “E vedrete il Figlio dell’uomo che siede alla destra della Potenza di Dio e viene con le nubi del cielo” (Mc 14,62). Ci sarà una manifestazione nel futuro, secondo la visione profetizzata da Daniele (cf. Dn 7,13-14), che si imporrà e rivelerà la vera identità di Gesù, ora catturato, prigioniero e condannato alla morte violenta: l’imputato nel processo sarà il Giudice alla fine dei tempi (cf. Mc 13,26-27)! Questa rivelazione di Gesù davanti al sommo sacerdote sarà ripresa dal centurione sotto la croce il quale, “vedendolo morire in quel modo, disse: ‘Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!’” (Mc 15,39).

Durante tutta la sua missione, l’identità di Gesù quale Figlio di Dio era stata occultata e non pubblicamente proclamata, per volontà di Gesù stesso, ma nella passione avviene la sua piena rivelazione: Gesù è il Figlio di Dio, il Messia manifestato al popolo di Israele e confessato da un pagano sotto la croce. Davvero, come ha saputo esprimere in modo magistrale un monaco del XII secolo: “Senza bellezza né splendore, e appesa alla croce, va adorata la Verità”.

Cosa resta da dire? Per comprendere in profondità la passione di Gesù, così da poterlo seguire in essa senza scandalizzarsi, possiamo ancora meditare sul senso del gesto eucaristico dell’ultima cena (cf. Mc 14,17-25). Gesù ha compiuto tale atto per evitare che i discepoli leggessero la sua morte come un evento subito per caso, oppure dovuto a un destino ineluttabile voluto da Dio. Nulla di tutto questo. Gesù ha infatti vissuto la propria fine nella libertà: avrebbe potuto fuggire prima che gli eventi precipitassero, avrebbe potuto cessare di compiere azioni e pronunciare parole al termine delle quali lo attendeva una condanna a morte. Ma non lo ha fatto; anzi, è rimasto fedele alla missione ricevuta da Dio, ha continuato a realizzare in tutto e puntualmente la volontà del Padre, anche a costo di andare incontro a una fine ignominiosa. E questo perché sapeva bene che solo così poteva amare Dio e i suoi fino alla fine (cf. Gv 13,1). Gesù ha concluso la sua esistenza così come l’aveva sempre spesa: nella libertà e per amore di Dio e di tutti gli esseri umani! Affinché ciò fosse chiaro, Gesù ha anticipato profeticamente ai discepoli la sua passione e morte, spiegandola loro con un gesto capace di narrare l’essenziale di tutta la sua vicenda: pane spezzato, come la sua vita lo sarebbe stata di lì a poco; vino versato nel calice, come il suo sangue sarebbe stato sparso in una morte violenta.

Se, all’inizio del vangelo, Marco aveva scritto che i discepoli, “abbandonato tutto, seguirono Gesù” (cf. Mc 1,18.20), nell’ora della passione si vede costretto ad annotare che essi, “abbandonato Gesù, fuggirono tutti” (Mc 14,50). Lo scandalo della croce permane in tutta la sua durezza e non va attutito, ma il segno eucaristico, memoriale della vita, passione e morte di Gesù sarà capace di radunare di nuovo i discepoli intorno al Cristo Risorto. La comunità dei discepoli di Gesù potrà così attraversare la storia e giungere fino a noi, senza temere di affrontare anche le ore buie e le crisi: il suo Signore l’ha infatti preceduta anche in queste prove, vivendole nella libertà e per amore.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12185-passione-palme-2018

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DEPRESSIONE

Depressione: per la legge è una malattia?

La depressione è un disturbo dell’umore che colpisce il 15% del popolo italiano. La Società Italiana di Psicopatologia considera preoccupante questo fenomeno sociale, provocato dalla crisi economica globale. Disoccupazione e povertà causano inevitabilmente una grave perdita dell’autostima, che a sua volta scatena depressione e altri disturbi psichici. In questa sede, anche se l’invalidità è riconosciuta per altre patologie mentali, che possono presentare “sintomi” depressivi (es: disturbo bipolare, anoressia, etc.), si parlerà esclusivamente della depressione in senso stretto.

  • Depressione: che cos’è? La depressione, sia nella forma del “disturbo depressivo maggiore” che in quella endoreattiva è una malattia invalidante che compromette grandemente la salute fisica, psichica, sociale, familiare e lavorativa del soggetto che ne è affetto.
  • Depressione: malattia invalidante? La depressione ha ottenuto il riconoscimento di malattia invalidante e come tale, prevede che chi ne è affetto goda di determinati diritti. Le patologie psichiche infatti, sono state inserite nelle tabelle ministeriali sull’invalidità.

Il disturbo depressivo maggiore, infatti, oltre a provocare una ridotta capacità lavorativa può comportare la necessità di un supporto per svolgere anche le più banali attività quotidiane.

Degna di nota però anche la depressione reattiva, ricollegabile a eventi improvvisi e traumatici come un lutto, una separazione, una malattia o alla perdita del lavoro.

            I principali segni psicologici della sindrome depressiva sono:

  • la sensazione d’inutilità,
  • l’incapacità di vedere aspetti positivi,
  • sensi di colpa,
  • assenza di autostima
  • pensieri ricorrenti di suicidio o di morte.
  • Depressione: sintomi fisici della malattia

Spesso i sintomi psicologici descritti sono accompagnati dai seguenti segnali fisici:

  • dolori muscolari e articolari;
  • mal di testa frequenti e intensi;
  • disturbi del sonno;
  • problemi a carico del tratto gastro intestinale;
  • mal di schiena;
  • dolori al torace e nella zona intercostale;
  • variazione del peso corporeo;
  • vertigini e sensazione di stordimento.
  • Il “male oscuro” colpisce soprattutto il sesso femminile: il 75% dei pazienti infatti sono donne. L’adolescenza è la prima fase della vita a cui prestare attenzione, anche se a esserne maggiormente colpite sono le donne adulte, costrette a gestire casa, lavoro e assistenza di genitori e parenti anziani. L’assenza di sostegno da parte del partner e dello Stato le sottopone a una fatica e a uno stress che le rende particolarmente fragili e le fa sentire sole nell’affrontare tutte queste fatiche.
  • Depressione: l’approccio alla malattia di uomini e donne

I sintomi della depressione maschile e femminile sono identici, a essere diverso è il modo in cui i due sessi la affrontano.

  • Le donne hanno una visione intima della sofferenza e una maggiore facilità a parlare delle proprie emozioni e a chiedere aiuto a medici, psicologi e psichiatri;
  • gli uomini, invece, soffrono maggiormente per i riflessi esterni della patologia (carriera, rapporti sociali e familiari) e hanno più difficoltà ad ammettere di avere bisogno di un supporto.
  • Depressione: l’assenza dal lavoro. Nel momento in cui a un lavoratore dipendente viene diagnosticata la depressione, il medico curante può decidere che sia necessario un periodo di malattia per curarsi. La procedura da seguire per l’assenza dal lavoro prevede i seguenti passaggi:
  1. il medico curante redige il certificato di malattia;
  2. il documento deve essere inviato entro il giorno successivo, in modalità telematica, all’I.N.P.S;
  3. il lavoratore deve avvertire il datore di lavoro e inviargli il numero di protocollo telematico del certificato, nel rispetto degli accordi collettivi o individuali intercorrenti.
  • Depressione: visite fiscali ed eccezioni. Durante il periodo di malattia il lavoratore è tenuto a rispettare le fasce di reperibilità per la visita fiscale dell’I.N.P.S, a meno che:
  • il lavoratore rischi la vita;
  • la lavoratrice abbia una gravidanza a rischio;
  • la malattia sia conseguenza di un infortunio sul lavoro;
  • la patologia derivi da cause di servizio;
  • il lavoratore venga ricoverato in ospedale o sia colpito da eventi morbosi legati all’invalidità attestata;
  • il soggetto depresso sia costretto a uscire di casa per partecipare a un’attività all’aperto per finalità terapeutiche.
  • Depressione: riconoscimento dell’invalidità civile e dell’handicap.
  1. Il riconoscimento dell’invalidità civile in una certa misura percentuale dipende dalla riduzione della capacità lavorativa. Occorre precisare tuttavia che questa riduzione non pregiudica completamente la possibilità di lavorare, ma solo la difficoltà a svolgere una determinata attività in condizioni di normalità.
  2. Il riconoscimento dell’handicap ai sensi della legge 104, invece, prende in considerazione la difficoltà d’inserimento sociale provocata dalla malattia o dalla menomazione fisica, psichica o sensoriale.

La diversità dei metodi utilizzati per la valutazione sono importanti poiché una patologia può comportare il contemporaneo riconoscimento di un’invalidità inferiore al 100% e di una condizione di handicap grave (ai sensi dell’art. 3, comma 3, Legge 104/92).

  • Depressione: le percentuali d’invalidità civile. Le percentuali che consentono di fare domanda all’I.N.P.S per ottenere il riconoscimento dell’invalidità legata alla depressione sono:
  1. depressione maggiore – episodio ricorrente – moderato: invalidità dal 61 all’80%;
  2. depressione maggiore – episodio ricorrente – grave: invalidità del 100%.
  • Invalidità civile da sindrome depressiva: come si ottiene. Per ottenere il riconoscimento dell’invalidità civile da sindrome depressiva, si deve:
  • fare domanda all’I.N.P.S, servendosi del contact center, dei patronati o accedendo al sito dell’istituto;
  • sottoporsi a visita medica della competente commissione medica. Qualora il soggetto non sia in grado di recarsi a visita presso la sede indicata, la commissione potrà visitarlo a casa.
  • Depressione: l’assegno d’invalidità ordinario. L’assegno d’invalidità ordinario è erogato per invalidità superiori al 67%, se sussistono i requisiti contributivi:
  1. 5 anni di contribuzione,
  2. Almeno 3 anni di contributi versati negli ultimi 5 anni.
  • L’assegno si calcola tenendo conto:
  1. della contribuzione versata (con metodo retributivo o contributivo)
  2. della presenza o assenza di 18 anni di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995.
  • Depressione: pensione di invalidità civile per invalidi civili parziali. Se i requisiti contributivi previsti per l’assegno ordinario non sussistono è possibile chiedere il riconoscimento della pensione d’invalidità civile per gli invalidi civili parziali, in presenza delle seguenti condizioni:
  1. un’ invalidità superiore al 74%;
  2. e un reddito non superiore a 4.805,19 euro (per il 2018).

L’assegno mensile per il 2018 è di 282,54 euro. Trattasi di un reddito esente da Irpef, che non viene concesso se il soggetto svolge attività lavorativa.

  • Depressione: le percentuali della legge 104 per il riconoscimento dell’handicap. Percentuali previste dalla legge 104 per il disturbo depressivo:
  1. sindrome depressiva endoreattiva lieve: 10%;
  2. sindrome depressiva endoreattiva media: 25%;
  3. sindrome depressiva endoreattiva grave: dal 31% al 40%;
  4. sindrome depressiva endogena lieve: 30%;
  5. sindrome depressiva endogena media: dal 41% al 50%;
  6. sindrome depressiva endogena grave: dal 71% all’80%.
  • Depressione: cosa prevede la legge n. 104. Quando la depressione provoca un handicap mentale, motorio o sensoriale così gravi da inibire o limitare l’integrazione lavorativa, personale, sociale e familiare, il lavoratore che ne è affetto ha diritto ai seguenti benefici di legge:
  1. permessi retribuiti: diritto di assentarsi dal lavoro per 3 giorni al mese;
  2. facoltà di scegliere la sede di lavoro;
  3. possibilità di rifiutare un eventuale trasferimento;
  4. agevolazioni fiscali per l’acquisto di automobili, computer e apparecchiature informatici;
  5. diritto a detrarre le spese di assistenza;
  6. possibilità di dedurre le spese mediche e di assistenza.
  • Depressione: l’assegno di accompagnamento. Il lavoratore depresso che necessita di una persona che lo assiste nel compimento degli atti della vita quotidiana ha diritto all’assegno di accompagnamento, nella misura di 516,35 euro mensili, per un totale di 6.196,20 euro pari a dodici mensilità.
  • Depressione: pensione anticipata per i dipendenti privati. La pensione anticipata spetta quando dalla depressione derivi una certa percentuale d’invalidità:
  1. al lavoratore depresso con invalidità superiore al 74% ha diritto a 2 mesi di contributi figurativi aggiuntivi annui, fino a 5 anni;
  2. al lavoratore depresso con invalidità superiore all’80%, spetta il diritto di anticipare la pensione di vecchiaia.

Per poterla richiedere è necessario che il lavoratore abbia compiuto 60 anni e 7 mesi di età per gli uomini e 55 anni e 7 mesi per le donne e che abbia versato almeno 20 anni di contributi.

  • Depressione: licenziamento. Chi soffre di depressione non può essere licenziato a causa della sua patologia. La Cassazione, con sentenza n. 11798/2012 ha dichiarato inefficace il licenziamento nei confronti di un dipendente emotivamente fragile in modo esasperato, nonostante l’omessa tempestiva comunicazione della patologia.
  • Depressione: collocamento mirato. L’art. 1 della legge n. 68/1999 prevede che le: “persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile in conformità alla tabella indicativa delle percentuali di invalidità per minorazioni e malattie invalidanti approvata, ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509 , dal Ministero della sanità” abbiano diritto al collocamento e al collocamento mirato che, ai sensi dell’art. 2 della stessa legge è definito come “quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione”.

Annamaria Villafrate Studiocataldi.it – Newsletter 19 marzo 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29575-depressione-per-la-legge-e-una-malattia.asp

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ENTI TERZO SETTORE

Le donazioni al non profit in Italia. E cosa cambia con la Riforma del Terzo Settore

Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 117

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/08/2/17G00128/sg

Come avviene la raccolta fondi per il non profit oggi in Italia?

All’articolo 7, il Codice del Terzo Settore definisce raccolta fondi “il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva”.

Al comma successiva si specifica che gli enti “possono realizzare attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa“, ”impiegando risorse proprie e di terzi, inclusi volontari e dipendenti“.

Di fatto, come nota questo articolo del Sole 24 Ore, l’attività di raccolta fondi viene riconosciuta come “connaturata a quella degli enti non profit”.

www.fiscooggi.it/files/u12/rassegnastampa/articolo_0_2018031938575558.pdf

La raccolta fondi, spiega il decreto dovrà svolgersi ”in conformità a linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”. Ma il decreto con le linee guida non è ancora stato approvato.

per approfondimenti           pag. 3 di                             www.uneba.org/wp-content/uploads/2018/03/NP3_b.pdf

UNEBA          22 marzo 2018                                              www.uneba.org/34462-2

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FECONDAZIONE ARTIFICIALE

            Cicli eterologa raddoppiati in 1 anno, Italia a livelli Gb.

Le donne che utilizzano ovociti donati da altre per diventare madri sono drasticamente aumentate negli ultimi 10 anni in Inghilterra: se nel 2006 erano 1.912, nel 2016 risultano 3.924. Quasi un raddoppio, come emerge dalle stime dell’Autorità per la fecondazione e l’embriologia umana (Hfea) del Regno Unito.

            Ma il nostro Paese sembra non essere da meno. Per fare un raffronto con l’Italia, dove questa pratica è peraltro consentita solo dalla metà del 2014, i dati della Relazione sulla legge 40 del ministero della Salute parlano di circa 2.000 cicli effettuati con questa metodica nel 2015. E “secondo quanto emerge dai dati dei centri aderenti alla Società italiana di fertilità e sterilità e medicina della riproduzione (Sifes-Mr), nel 2016 il numero sembra sia quasi raddoppiato.

            Attendiamo comunque i dati ufficiali della prossima relazione ministeriale, sulla base del registro dell’Iss”, dice all’Adnkronos Salute Andrea Borini, presidente della società scientifica. Ciò che ancora manca nel Belpaese sono le donatrici volontarie di ovociti. Per cui, per effettuare la fecondazione eterologa, i centri specializzati acquistano gameti da banche estere.

            Fra i motivi, la mancata ‘retribuzione’ delle aspiranti donatrici.

La direttrice della Hfea, Sally Cheshire, ha spiegato alla Bbc che Oltremanica sta invece aumentando “la sensibilità nei confronti della donazione di ovociti, pratica cresciuta di circa un terzo nell’arco di tempo considerato”. Secondo la legge inglese, le donatrici non possono essere pagate, esattamente come in Italia, ma possono ricevere un rimborso spese fino a 750 sterline a ciclo. “In Inghilterra – prosegue Borini – le donazioni non sono anonime.

            Ma bisogna considerare che non è consentito importare gameti, mentre da noi, a seguito della sentenza della Consulta, questo si può fare”. Ed è ciò che di fatto sta consentendo di effettuare la fecondazione eterologa, oggi nel nostro Paese. “Anche in Italia, dunque – prosegue il presidente Sifes-Mr – sono in crescita i cicli di fecondazione assistita da ovodonazione, perché aumentano le coppie che intraprendono questa strada, dopo aver tentato senza successo con i propri gameti; è sempre più alta, poi, la quota di donne che cercano un figlio più avanti con l’età, e sempre più spesso dopo aver tentato con i propri ovociti.

            Con i quali, a 40-41 anni, hanno il 10% di chance di successo, contro il 40% con le uova di una donatrice sotto i 35 anni.

            E’ evidente, però, che in Italia non essendo state fatte campagne di informazione e sensibilizzazione, esistono pochissimi centri con una certa quota di donatori di seme e ovociti, per il resto ci si affida a banche di gameti all’estero”.

            “Come centri privati – ricorda Borini – abbiamo cercato anche di fare delle campagne di sensibilizzazione, ma le ragazze che sono disposte a donare gli ovociti preferiscono farsi un week-end in Spagna e rientrare con qualche soldo in tasca come compenso del proprio gesto.

            Anche l’egg-sharing, infine, cioè la condivisione di gameti fra coppie infertili, è diventato sempre più difficile da attuare, perché è stato limitato il numero di terapie ormonali a carico dello Stato”, conclude.

AdnKronos Salute                 22 marzo 2018

www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=41513

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Al futuro Governo: “Niente tagli ai sostegni per mamme e vedove. O a rimetterci saranno le famiglie”

Apprendiamo dalla stampa che il Fondo Monetario Internazionale suggerisce all’Italia di tagliare la spesa pensionistica statale. Purtroppo, nel nostro Paese tra le spese previdenziali sono comprese anche quelle contributive e assistenziali, dunque pensioni di reversibilità e benefici per le madri lavoratrici. Un ‘unicum’ in Europa. Se questa richiesta avesse seguito, verrebbero coinvolti anche quegli istituti che fanno da ammortizzatore sociale alle famiglie italiane”: è quanto dichiara il presidente nazionale del Forum delle Famiglie, Gigi De Palo. “Non va sottovalutato il danno che tale consiglio arrecherebbe alle famiglie vedove – prosegue De Palo – con il taglio della reversibilità e l’esclusione dei familiari. Non è chiaro, inoltre, che cosa s’intende per minimo d’età del coniuge superstite: se si è abbastanza ‘vecchi’ la pensione si elargisce, tanto prima o poi il destinatario morirà, se si è giovani no?”.

            “Lo scorso novembre – prosegue De Palo – il Governo uscente si è impegnato con i sindacati a rivedere il bilancio previdenziale dello Stato, in vista di uno scorporo delle spese assistenziali. Chiediamo al Governo che verrà di scongiurare il pericolo di tagli ai sostegni per le madri e di far fede all’impegno assunto da chi l’ha preceduto”, aggiunge il presidente nazionale del Forum delle Famiglie.

            “Non vorremmo che, mentre la politica si concentra sulle poltrone, siano le famiglie a pagare le conseguenze dei calcoli economici internazionali. La stessa Banca d’Italia ha ribadito più volte che la famiglia, nel nostro Paese, è stata la realtà che ha saputo affrontare la crisi di questi ultimi anni meglio di chiunque altro, nonostante tutto. Evitiamo di bastonarla ulteriormente”, conclude De Palo.

Comunicato stampa   23 marzo 2018

www.forumfamiglie.org/2018/03/23/famiglia-appello-del-forum-al-futuro-governo-niente-tagli-ai-sostegni-per-mamme-e-vedove-o-a-rimetterci-saranno-le-famiglie

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MOVIMENTO PER LA VITA

Marina Casini Bandini eletta presidente nazionale

Marina Casini Bandini è la nuova presidente del Movimento per la vita italiano. Eletta dal direttivo nazionale uscito dall’assemblea del 17 marzo 2018, succede a Gian Luigi Gigli.

            Nata nel 1966, giurista e bioeticista, figlia del fondatore del Movimento per la vita Carlo Casini, è docente all’Istituto di Bioetica e Medical humanities dell’Università Cattolica di Roma e autrice di un gran numero di pubblicazioni su bioetica, diritti umani, obiezione di coscienza, famiglia, inizio e fine vita.

Vicepresidente uscente del Movimento per la vita e, al suo interno, membro della Commissione di biodiritto, è tra i protagonisti dell’iniziativa nei Paesi e nelle istituzioni della Ue per il riconoscimento giuridico dell’embrione umano, e si è battuta perché «la cultura europea si alzi in piedi a rendere testimonianza che davvero ogni figlio, fin dal concepimento, è Uno di noi», facendo di questa convinzione un «essenziale strumento di prevenzione dell’aborto e di dialogo con tutta la società». Si è spesa con passione per denunciare l’influsso di «una cultura aggressiva che in nome dell’autodeterminazione si appropria dei più elementari diritti umani e cerca di stravolgerli».

            Sposata con Michele Bandini, docente di filologia classica all’Università della Basilicata, è madre di Giovanni, 20 anni.

            Le viene ora affidata la responsabilità nazionale del Mpv, una federazione di oltre seicento movimenti locali, di centri e servizi di aiuto alla vita, di case di accoglienza, una realtà multiforme attiva in tutta Italia nel promuovere e difendere il diritto alla vita e la dignità di ogni persona umana, dal concepimento alla morte naturale, favorendo una cultura dell’accoglienza nei confronti dei più deboli e indifesi e, prima di tutti, del bambino concepito e non ancora nato.

            I Centri di aiuto alla vita (Cav) – forse il lato di Mpv più conosciuto dagli italiani – costituiscono le sedi operative di Mpv e si prodigano per rispondere in modo concreto alle necessità delle donne che vivono una gravidanza difficile o inattesa. Il Movimento ha sedi locali in tutto il territorio nazionale ed è articolato in 20 federazioni regionali.

Francesco Ognibene                          Avvenire 24 marzo 2018

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/marina-casini-presidente-mpv

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NONNI

I nonni italiani, sempre più “custodi” delle famiglie

Hanno in media 68 anni, 2 figli e 3 o 4 nipoti, di cui circa la metà al di sotto dei 5 anni. Sono i nonni italiani, ai quali il Patto federativo a tutela degli anziani ha dedicato il 20 marzo 2018, l’incontro organizzato al Collegio Leoniano. A spiegarne l’obiettivo, Franco Pardini, del Comitato di coordinamento: «Valorizzare il ruolo degli anziani nella società odierna» guardando anche alle parole di Papa Francesco che «ha più volte riconosciuto nella memoria che i nonni rappresentano il fondamento di un popolo». Della stessa opinione il vicecoordinatore Michele Boerio, che vede nei nonni «i guardiani e i baluardi della famiglia e della comunità».

            A Maria Rita Parsi, psicoterapeuta, già membro della Comitato Onu per i diritti dei fanciulli e presidente della Fondazione Fabbrica della Pace e Movimento Bambino onlus, è stato assegnato il compito di riflettere su “I nonni come inestinguibili radici e risorsa della e nella vita dei bambini e degli adolescenti”. «Il ruolo primo cui sono chiamati i nonni – ha chiosato la psicoterapeuta – è quello di tendere verso i nipoti il ponte di sapienza che, soli, possono costruire a motivo dell’esperienza fatta ed acquisita». Guardando alla senilità come «all’occasione per indagare su ciò che siamo stati e dare senso alla vita, fruendo della saggezza», Parsi ha infatti evidenziato come «i nonni possano davvero godere con i nipoti del tempo del gioco, dell’ascolto e, primariamente, del racconto essendo i depositari di una storia e di un patrimonio familiare inestinguibile».

            È proprio nel ricordo, «che i nonni costruiscono oggi con i bambini», che in futuro, una volta cresciuti, i nipoti troveranno conferme e rassicurazioni, frutto di un legame autentico «fatto di tempo speso assieme e “addomesticamento”», ha detto ancora Parsi citando il famoso dialogo tra la volpe e il Piccolo Principe, protagonisti del libro di Saint Exupery. Infine, la psicoterapeuta ha auspicato che la figura dei nonni non sia limitata al contesto familiare ma possa essere messa a disposizione della società, «soprattutto nelle scuole dove immagino laboratori pomeridiani nei quali viene colmato il gap generazionale»: accanto al racconto del passato degli anziani, corsi di digitalizzazione e informatica da parte dei più giovani.

            Di nonni come «archetipo culturale e anello di congiunzione tra le generazioni» ha parlato anche Ester Dini, responsabile del Centro studi Cnpi (Consiglio nazionale dei periti industriali) – Fondazione Opificium, che ha fornito una fotografia sulla presenza e la funzione dei nonni in Italia a partire dai dati Istat. «Si parla molto di anziani – ha esordito – ma poco del loro ruolo nel tessuto sociale e delle sfide a cui sono chiamati oggi»: i 13,8 milioni di nonni presenti nel nostro Paese nel 2017 rappresentano il 52,8% della popolazione italiana con più di 50 anni e sono «i principali soggetti che si prendono cura, anche da un punto di vista economico, dei nuclei familiari dei propri figli», a causa di «una carenza sul fronte dei servizi per le famiglie che interessa l’Italia rispetto agli altri Paesi europei».

            La maggioranza dei nonni “medi” italiani oggi non lavora ma «gli scenari futuri – ha evidenziato Dini – ci prospettano una situazione diversa perché sta crescendo la permanenza lavorativa: dal 2006 ad oggi il numero di over 65 occupati è cresciuto del 77%». Per questo è importante riconoscere e valorizzare il ruolo di cura e sostegno economico dei nonni ma è altrettanto significativo «tenere conto della longevità e dell’aumento della speranza di vita che procede di pari passo con un sovraccarico di impegni legati al nucleo familiare», rispetto ai quali è utile che l’anziano «sappia ritagliarsi momenti di autonomia e di cura di sé per non soccombere allo stress generato dalle esigenze familiari di figli e nipoti».

 

Michela Altoviti         Newsletter Romasette                      23 marzo 2018

www.romasette.it/i-nonni-italiani-sempre-piu-custodi-delle-famiglie

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POLITICHE PER LA FAMIGLIA

Assegno natalità 2018: istruzioni aggiornate

L’Inps pubblica una circolare di riepilogo e precisazioni sull’assegno di natalità (Bonus bebè) ancora in vigore per il 2018 con durata ridotta: la circolare INPS n. 50 del 19 marzo 2018 che riepiloga la normativa sull’assegno di natalità introdotto dall’articolo 1, commi 125-129, della legge n. 190/2014, c.d. bonus bebè, e riconfermato dalla recente legge di bilancio anche per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2018, ma solo fino al compimento del primo anno di età ovvero del primo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione.

www.inps.it/bussola/VisualizzaDoc.aspx?sVirtualURL=%2fCircolari%2fCircolare%20numero%2050%20del%2019-03-2018.htm

La circolare ricorda che questa prestazione è attualmente in vigore in due forme:

  1. quella prevista inizialmente dalla legge n. 190/2014, entrata in vigore il 1° gennaio 2015, riferita agli eventi verificatisi nel triennio 2015-2017, che prevede un assegno di durata massima triennale e, proprio per tale specifico motivo, ancora in corso di applicazione
  2. e quella della  legge n. 205/2017, relativa agli eventi che si verificheranno nel corso del 2018, che prevede un assegno di durata massima annuale.

Ne deriva che, ad eccezione di ciò che attiene al periodo della natalità/adozione (triennio 2015-2017 ovvero anno 2018), alla durata massima dell’assegno (triennale ovvero annuale) e ai limiti di spesa, ogni altro aspetto dell’assegno di natalità ex L. n. 205/2017 resta disciplinato dalla normativa contenuta nella legge n. 190/2014 e nel D.P.C.M. 27 febbraio 2015, così come illustrata nelle circolari e nei messaggi INPS in materia e ai quali l’istituto fa espresso rinvio.

            Valgono in ogni caso quindi i seguenti comuni principi:

  • la corresponsione dell’assegno avviene su domanda degli interessati ed è a carico dell’INPS
  • l’ importo dell’assegno va da 80 a 160 euro mensili in base al valore dell’ISEE non superiore alle soglie di 25.000 e 7.000 euro annui, erogati mensilmente;
  • termini di presentazione della domanda (a 90 giorni dall’evento) in forma telematica,
  • decorrenza della prestazione (dall’evento in caso di domanda entro 90 giorni dall’evento, dalla data della domanda in caso di domanda tardiva),
  • estensione all’affidamento preadottivo (ex art. 22 della legge n. 184/1983);
  • normative collegate (es. disciplina dell’affidamento temporaneo di cui alla L. n. 184/83, ISEE corrente, ecc.).

I requisiti dei richiedenti sono anch’essi riconfermati:

  • cittadinanza italiana, comunitaria; in caso di cittadini extracomunitari si rinvia alle circolari n. 93/2015 e n. 214/2016);
  • residenza in Italia e convivenza del genitore richiedente con il minore
  • ISEE in corso di validità non superiore a 25.000 euro (cfr. la circolare n. 93/2015)-(occorre prendere a riferimento l’ISEE minorenni del minore per il quale si richiede il beneficio, riportato nella specifica tabella dell’attestazione, denominata “prestazioni agevolate rivolte a minorenni o a famiglie con minorenni”)

Nella circolare sono riepilogate le precedenti circolari e messaggi INPS in materia.

Fisco e Tasse              21 marzo 2018

www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/24866-assegno-natalit-2018-nuove-istruzioni-.html

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PSICOSESSUOLOGIA

Sesso: dividere equamente faccende domestiche migliora qualità rapporti

La parità in casa di fronte al bucato da stendere fa bene alla vita sessuale della coppia. Una ripartizione equilibrata dei lavori domestici, infatti, aumenta il numero di rapporti e la soddisfazione dei partner, secondo uno studio pubblicato su ‘Social Forces’, rivista del Dipartimento di Sociologia dell’università del North Carolina e Chapel Hill, da ricercatori dell’università della Florida che hanno monitorato per 2 anni 1.100 coppie di 55enni, sposate in media da 27 anni.

            Dall’analisi è emerso che, al 2013, le donne statunitensi nella coppia lavoravano a tempo pieno nel 57% dei casi e si occupavano delle faccende domestiche ancora 2 volte più degli uomini contro le 7 volte degli anni ’60.

            Ma il dato più ‘psicologico’ – e trasferibile anche a contesti europei – è la scoperta che un’equa divisione delle pulizie di casa ha ripercussioni positive a letto. Un dato, secondo i ricercatori, legato a due fattori: la mancanza del sentimento di ingiustizia, nocivo alle relazioni, e il fatto che le pulizie domestiche sono ‘cronofaghe’, ovvero riducono il tempo da dedicare all’intimità.

            “Quando la ripartizione dei compiti è ingiusta verso le donne – spiega Anne Barrett, principale autrice dello studio – la soddisfazione sessuale si riduce, in una scala da 0 a 10, di un punto e mezzo in tutti e due i partner”.

AdnKronos Salute     Roma, 22 marzo 2018

www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=41517

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SEPARATI

Divorzi e separazioni aumentate del 57%: la vita grama dei papà separati

            Le stime sono dell’associazione Crescere Insieme, che ha calcolato quanto la famiglia in generale e in particolare il papà rischi di essere penalizzato dal fallimento matrimoniale: un esito esponenzialmente cresciuto in Italia dopo l’approvazione del ‘divorzio breve’

Ma il nostro Paese resta ancora lontano da un’applicazione effettiva della legge 54/2006, che ha istituito l’affido condiviso: nel 94% dei casi il padre paga l’assegno e la madre si tiene il figlio.

Come lievitano i costi in caso di separazione, specialmente per i papà. Separarsi tra coniugi non è soltanto un fallimento enorme dal punto di vista umano e sentimentale: dietro quella decisione ‘fatale’ c’è anche un immenso costo sociale per i figli e un enorme costo economico per la coppia, che nella maggioranza dei casi ancora oggi, in Italia, finisce per gravare soprattutto sulle spalle del padre.

            A confermarlo, dopo la notizia del ritardo di 12 anni nell’aggiornamento dei moduli richiesti per la rilevazione delle separazioni, mai aggiornati fino a qualche mese fa in base ai dettami della legge 54/2006, c’è ora anche il calcolo dei costi tra moglie e marito rilevato dall’associazione Crescere Insieme.

            Le cifre del calcolo del costo dei figli sulla base dei dati Istat con la ripartizione delle spese per i due genitori hanno confermato che, in una famiglia, se mamma guadagna 1.500 euro e papà 2.500 euro, quando il bimbo ha due anni d’età il costo di pertinenza materna è intorno ai 300 euro, quello del padre ammonta a 520 euro. Quando il figlio raggiunge i nove anni, i costi salgono a 620 euro per il papà e a 370 per la mamma. Lieve crescita anche dopo i 15 anni, quando al papà sono richiesti 700 euro al mese, 400 alla mamma.

            In caso di separazione, però, queste cifre possono lievitare anche fino al 30% in più, incidendo per la gran parte sulle tasche del marito. Tutto questo nonostante dal 2006 la legge n.54 avesse previsto la nascita dell’affido condiviso. Opzione che voleva mettere l’Italia al passo degli altri Paesi europei, ma che, ad oggi, non è applicata in Tribunale nel 94% dei casi, nei quali il padre viene caricato dell’obbligo di assegno e la madre della cura esclusiva dei figli.

            Dunque, per un marito separato, oltre il 50% di quanto guadagna se ne va in spese di sostentamento dei figli, a cui vanno aggiunti, oltre a quelli per avvocati e varie, pure i costi per la propria sussistenza: ecco perché non sono pochi i padri separati che alla fine non ce la fanno e finiscono per toccare con mano i morsi della povertà.

            Una povertà che negli ultimi tempi l’introduzione (2015) del cosiddetto ‘divorzio breve’ ha acuito, probabilmente anche a causa della crescita del 57% in un anno delle pratiche per certificare il fallimento della propria storia d’amore. Pratiche che, forse, sono diventate ora più vantaggiose nei tempi (accelerati dalla legge), ma che i numeri continuano a indicare ancora come decisamente deleterie per la qualità della vita, la serenità, l’equilibrio nella crescita dei figli e, infine, anche per la capacità economica di entrambi i coniugi, con i padri nettamente più svantaggiati.

            Fonte: Libero   news Ai. Bi. 21 marzo 2018

www.aibi.it/ita/famiglia-la-vita-grama-dei-papa-separati-tra-affido-condiviso-negato-e-spese-lievitate-del-30-rispetto-a-quelle-di-una-coppia-unita

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SINODO DEI GIOVANI

Vogliamo una Chiesa meno moralista che ammetta i suoi errori

Testo intero www.lindicedelsinodo.it/2018/03/che-cosa-dice-il-pre-sinodo-dei-giovani.html#more

Il Papa aveva chiesto loro di parlare con «faccia tosta», lasciandogli carta bianca sui temi da affrontare e su come affrontarli. E i giovani di tutto il mondo, venuti in 300 a Roma per la riunione del pre-Sinodo, preparatoria alla grande assise di ottobre, insieme ad altri 15mila loro coetanei collegati online tramite gruppi Facebook, non se lo sono fatto ripetere due volte. Quindi nelle quindici pagine del documento finale redatto a conclusione della riunione iniziata lo scorso 19 marzo 2018 e diffuso oggi, i ragazzi non hanno esitato ad esprimere le loro istanze e i loro desideri, le aspettative e le necessità, e anche le critiche verso una Chiesa che «appare troppo severa» e «spesso associata ad un eccessivo moralismo», dalla quale si aspettano, anzi pretendono, di non ricevere «risposte annacquate e preconfezionate».

Il testo – che domani sarà consegnato al Papa da due giovani di Panama, dove a gennaio 2019 si terrà la Gmg – è concepito come riassunto di tutti i contributi dei partecipanti basati sul lavoro di 20 gruppi linguistici, e di ulteriori 6 gruppi tramite i social media. «È stato condiviso e redatto con un metodo a tutti gli effetti sinodale che costituisce una delle fonti che contribuiranno alla stesura dell’Instrumentum laboris per il Sinodo» di ottobre, ha spiegato in conferenza stampa il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi.

In esso si ritrovano quindi i giovani alle prese con le nuove tecnologie e i loro pericoli: dal cyberbullismo alla pornografia; i giovani che litigano e discutono su temi caldi come omosessualità, gender, convivenza e contraccezione, che si interrogano sulla «vocazione», intesa come «chiamata universale alla santità» non solo alla vita religiosa, che “bacchettano” l’istituzione Chiesa perché «dovrebbe esser solerte e sincera nell’ammettere i propri errori passati e presenti», come gli abusi o la cattiva amministrazione finanziaria, «presentandosi come formata da persone capaci di sbagli e incomprensioni».

Speranza dei firmatari del documento «è che la Chiesa e le altre istituzioni possano imparare dal processo di questa Riunione pre-sinodale ed ascoltare le voci dei giovani». I quali, ad esempio, riferiscono del «grande disaccordo» tra di loro, «sia nella Chiesa che nel mondo, riguardo a quegli insegnamenti che oggi sono particolarmente dibattuti». Tra questi: «contraccezione, aborto, omosessualità, convivenza, matrimonio e anche come viene percepito il sacerdozio nelle diverse realtà della Chiesa». Su tali questioni c’è «un dibattito aperto», «indipendentemente dal livello di comprensione degli insegnamenti della Chiesa». Da una parte c’è chi vorrebbe «che la Chiesa cambiasse i suoi insegnamenti o, perlomeno, che fornisca una migliore esplicazione e formazione su queste questioni», ma che comunque seppur «in contrasto» col magistero tradizionale desidera comunque «essere parte della Chiesa». D’altra parte, ci sono tanti giovani cattolici che «accettano questi insegnamenti e trovano in essi una fonte di gioia» e, anzi, «desiderano che la Chiesa non solo si tenga ben salda ai suoi insegnamenti, sebbene impopolari, ma li proclami anche con maggiore profondità».

Se divise sugli insegnamenti entrambe le “fazioni” si trovano unite ad un punto e, cioè, lo «stile» di Chiesa che desiderano: «I giovani di oggi bramano una Chiesa autentica», scrivono nel documento. «Con questo vogliamo esprimere, in particolar modo alla gerarchia ecclesiastica, la nostra richiesta per una comunità trasparente, accogliente, onesta, invitante, comunicativa, accessibile, gioiosa e interattiva. Una Chiesa credibile è proprio quella che non ha paura di mostrarsi vulnerabile. Per questo, la Chiesa dovrebbe esser solerte e sincera nell’ammettere i propri errori passati e presenti, presentandosi come formata da persone capaci di sbagli e incomprensioni».

Tra questi errori, i ragazzi del pre-Sinodo menzionano «i vari casi di abusi sessuali e una cattiva amministrazione delle ricchezze e del potere». «La Chiesa – affermano – dovrebbe continuare nel rafforzare la sua politica di tolleranza zero all’interno delle proprie istituzioni, e così riconoscendosi umile e umana potrà aumentare la propria credibilità e la capacità di entrare in empatia con tutti i giovani del mondo». Secondo i giovani, «tale atteggiamento» distinguerebbe la Chiesa dalle tante «istituzioni e autorità verso le quali i giovani di oggi, nella maggior parte dei casi, già non nutrono alcuna fiducia».

«I giovani – si legge nel documento – hanno molti interrogativi, ma non per questo chiedono risposte annacquate o preconfezionate. Noi, giovani della Chiesa, chiediamo alle nostre guide di parlare con una terminologia concreta su argomenti scomodi, come l’omosessualità e il dibattito sul gender, riguardo i quali i giovani già liberamente discutono senza alcuna inibizione. Alcuni percepiscono la Chiesa anche come “antiscientifica”; per questo il dialogo con la comunità scientifica è altresì importante, in quanto la scienza è in grado di illuminare la bellezza della creazione». In questo senso, «la Chiesa dovrebbe anche prendersi cura delle tematiche ambientali, in particolar modo del problema dell’inquinamento» e mostrarsi «solidale e protesa verso coloro che lottano nelle periferie, verso chi è perseguitato e chi è povero». Perché, ed è il Papa il primo a dirlo, «una chiesa attraente deve essere necessariamente relazionale».

E dato che la maggior parte delle relazioni oggi si consuma sul web, in particolare sui diversi social network, i giovani mettono in guardia dal fatto che: «Le relazioni on line possono diventare disumane. Gli spazi digitali ci rendono ciechi alla fragilità dell’altro e ci impediscono l’introspezione. Problemi come la pornografia pervertono la percezione che il giovane ha della propria sessualità. La tecnologia usata in questo modo crea una ingannevole realtà parallela che ignora la dignità umana». Pertanto i ragazzi si appellano alla Chiesa perché possa prestare «maggior attenzione alla piaga, includendo gli abusi in rete sui minori, il cyberbullismo e il conto salato che essi presentano alla nostra umanità».

Ciò non toglie che «internet offre alla Chiesa un’opportunità mai vista nell’evangelizzazione, specialmente attraverso i social media e i contenuti multimediali online. Essendo giovani, siamo nativi digitali in grado di guidare questa strada. È inoltre un luogo dove poter relazionarsi con chi proviene da una tradizione religiosa differente, o con chi non ne ha una. La serie di video di Papa Francesco è un buon esempio di come internet possa esprimere un potenziale di evangelizzazione».

Nella loro relazione i ragazzi e le ragazze del pre-Sinodo rivendicano anche un loro coinvolgimento «nei processi decisionali» della Chiesa che deve «offrire loro ruoli di leadership» da individuare «in parrocchie, diocesi, a livello nazionale e internazionale, e persino a livello delle commissioni in Vaticano». «Siamo fermamente convinti di esser pronti per poter essere guide, capaci di maturare e imparare da membri più esperti della Chiesa, siano essi religiosi o laici», scrivono.

Immancabile, in quest’ambito, l’appunto sulla «mancanza di figure di riferimento femminili all’interno della Chiesa» percepita con rammarico dalle giovani donne che vorrebbero «donare i loro talenti intellettuali e professionali». Allo stesso tempo i giovani ritengono «che seminaristi e religiosi, a maggior ragione, dovrebbero essere ancor di più».

I ragazzi si dichiarano poi «interessati alle attività politiche, civili e umanitarie». Come cattolici affermano di voler essere più «attivi nella sfera pubblica per il miglioramento della società comune» e essere «presi seriamente in considerazione in quanto membri responsabili della Chiesa». Chiesa, sottolineano, che «dovrebbe provare a sviluppare creativamente nuove strade per andare ad incontrare le persone esattamente là dove stanno, nei luoghi a loro consoni e dove comunemente socializzano: bar, caffetterie, parchi, palestre, stadi, e qualsiasi altro centro di aggregazione culturale o sociale». Secondo gli autori del documento, «andrebbero presi in considerazione anche spazi meno accessibili, quali gli ambienti militari, l’ambiente di lavoro e le aree rurali». Ma è altrettanto importante che «la luce della fede giunga in luoghi travagliati come orfanotrofi, ospedali, periferie, zone di guerra, prigioni, comunità di recupero e quartieri a luci rosse». «Se da una parte la Chiesa viene già a incontrarci attraverso le numerose sue scuole e università sparse in tutto il mondo, vorremmo vederla qui ancora più presente e efficace».

In questo suo movimento la Chiesa deve anche «adottare» un linguaggio «in grado di relazionarsi con gli usi e i costumi dei giovani, in modo che tutti possano avere l’opportunità di ascoltare il messaggio del Vangelo». E magari dovrebbe ripensare, in tal senso, il suo raggio d’azione visto che «al di fuori della Chiesa, molti giovani vivono una spiritualità combattuta». La Chiesa, quindi, «potrebbe relazionarsi con loro attraverso strumenti adeguati».

Buona parte del documento finale è dedicato infine alla «vocazione», tema sul quale verte il Sinodo di ottobre. La vocazione, chiariscono i giovani, non è «sinonimo della chiamata al presbiterato e alla vita religiosa»: «L’idea generale che la vocazione è una chiamata non è chiara ai giovani», spiegano loro stessi, e per questo «occorre una maggiore comprensione della vocazione cristiana (al presbiterato, alla vita religiosa, all’apostolato laicale, al matrimonio e alla famiglia, etc…) e della chiamata universale alla santità». Al contempo serve un aiuto durante il processo di discernimento della propria vocazione, visti i tanti e diversi «fattori» che lo influenzano: «la Chiesa, le differenze culturali, l’offerta di lavoro, il mondo digitale, le aspettative familiari, la salute mentale e lo stato d’animo, la pressione sociale dei propri pari, gli scenari politici, la vita di preghiera e devozioni, la Scrittura, la società, la tecnologia».

Salvatore Cernuzio               La Stampa Vatican Insider   24 marzo 2018

www.lastampa.it/2018/03/24/vaticaninsider/ita/vaticano/i-giovani-del-presinodo-vogliamo-una-chiesa-meno-moralista-che-ammetta-gli-errori-LfBPEvbiu2jH50e0LxO9WI/pagina.html

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

25° Congresso a Castel san Pietro (BO). 4-6 maggio 2018

Nel 50° della sua fondazione, è programmato il 25° Congresso Nazionale dell’Ucipem, che si svolgerà a Castel San Pietro Terme presso il Centro Congressi Artemide, da venerdì 4 a domenica 6 maggio 2018.

Il Congresso ha come tema: Una storia proiettata nel futuro. Il buon seminatore.

Il Consultorio familiare Ucipem dai bisogni attuali della famiglia agli scenari futuri.

Quali possono essere gli scenari futuri della famiglia e delle relazioni umane? Quali risposte i nostri consultori potranno e dovranno dare alle persone e alla società e quali cambiamenti dovranno affrontare per poter dare queste risposte? Saranno questi i temi del XXV Congresso Nazionale dell’UCIPEM. Le risposte verranno da studiosi e soprattutto dagli operatori dei nostri consultori, che vivendo quotidianamente in prima linee le sofferenze e i disagi delle famiglie sono in grado di coglierne le possibili evoluzioni future.

venerdì 4 maggio ore 14,00

v  Accoglienza e Registrazione

v  Presentazione del congresso Francesco Lanatà, presidente UCIPEM

v  Le nostre origini: “Il buon seme”. Introduce e coordina Chiara Camber

  • Alice Calori ricorda Don Paolo Liggeri e Sergio Cammelli.
  • Intervista a Don Paolo Liggeri.
  • Paolo Benciolini: La nascita dell’UCIPEM e il contesto sociale.
  • Luisa Solero: la legge 405/1975.
  • Rosalba Fanelli ricorda p. Luciano Cupia.
  • Con gli occhi dei presidenti: Beppe Sivelli e Gabriela Moschioni.
  • Interviste registrate a p. Domenico Correra SJ, Giancarlo Marcone, p. Michelangelo Maglie SJ, Duccia Rossi, Anita De Meo, don Charles Vella.
  • Interventi dall’aula
  • UCIPEM e società oggi: Introduce Luca Proli

Edoardo Polidori: Genitori e figli di fronte alle droghe. 

 

v  ore 21,00 Cineforum: con la proiezione del film La felicità umana di Maurizio Zaccaro

 

                        sabato 5 maggio ore 9,00

v  Tavola Rotonda: Professionalità in rete al servizio del territorio. Introduce Gabriela Moschioni.

  • Elisabetta Gualmini, vicepresidente Regione Emilia Romagna Il principio di sussidiarietà nel rapporto pubblico – privato.
  • Emanuela Elmo (UCIPEM Bologna): La riforma del terzo settore.
  • Gigi De Palo (Presidente Forum delle Associazioni Familiari): Il Forum e la sua rete.
  • don Edoardo Algeri (Presidente C.F.C.): UCIPEM e CFC – Un cammino insieme.
  • Rita Roberto (Presidente AICCeF): La legge 4/2013 oggi.
  • don Ermanno D’Onofrio (CISPEeF): Le scuole per consulenti familiari.
  • p. Tommaso Guadagno SJ (UCIPEM Napoli) Professionalità e amore nella consulenza.

v  Letture Magistrali su: “La famiglia tra bisogni attuali e scenari futuri” Introduce Giancarlo Odini

  • Matteo Lancini: Abbiamo bisogno di adulti autorevoli: Aiutare gli adolescenti a diventare adulti.

v  15,00 World Cafè: Il Consultorio dai bisogni attuali agli scenari futuri della famiglia.

  • Introduce don Cristiano Marcucci    Coordina Raffaella Moioli

www.dors.it/page.php?idarticolo=1161

v  21,30 Serata conviviale con il coro gospel VOCAL LIVE

 

domenica 6 maggio ore 9,00

v  Consultorio e Famiglia: possibili scenari futuri (riflessioni sui risultati del World Cafè)

Chiara Camber e Luca Proli

v  Interventi dalla platea

v  Conclusioni. Francesco Lanatà

v  Questionario di apprendimento

Sono stati richiesti i crediti formativi per le seguenti professioni: Assistenti sociali, Avvocati, Consulenti familiari, Infermieri professionali, Insegnanti, Medici, Ostetriche, Psicologi.

–        

–       Sede Del Congresso. Hotel Castello – Centro Congressi Artemide

–       Viale delle Terme, 1010/b – 40024 Castel San Pietro Terme (BO) ITALY – tel.39 051 943509

–        info@hotelcastello.com

–       Come raggiungere l’Hotel Castello:

  • 5 minuti dalla fermata degli autobus di linea urbani ed extra urbani provenienti da Bologna
  • 3 Km dalla stazione ferroviaria di Castel San Pietro Terme (treni ogni 30-40 minuti)
  • 4 Km dal Casello Autostradale di Castel San Pietro Terme sulla A14 Bologna-Ancona
  • 34 Km dall’aeroporto G. Marconi di Bologna.

–       Quota di iscrizione: Euro 50 per le iscrizioni effettuate entro il 10 aprile 2018. Euro 60 dal giorno 11 aprile in poi.

–       Le iscrizioni devono essere effettuate dopo il pagamento della quota di iscrizione, sul sito UCIPEM NAZIONALE entro il 30 aprile 2018. Sarà ritenuta valida l’attestazione dell’avvenuto pagamento che dovrà essere effettuato tramite bonifico bancario intestato all’ U.C.I.P.E.M. codice IBAN: IT19D0335901600100000015560

–       Sulla causale è necessario scrivere: XXV CONGRESSO NAZIONALE UCIPEM, nome e cognome, consultorio di provenienza, nominativi di eventuali accompagnatori non iscritti al congresso.

–       La quota di iscrizione da diritto alla partecipazione alle sessioni, al kit congressuale, ai coffe break e ai crediti formativi se richiesti.

–       La quota di iscrizione non comprende i costi delle camere in hotel, il pranzo di sabato e le cene di venerdì e sabato che vanno pagati a parte, direttamente all’hotel Castello.

–        

Prenotazione camere esclusivamente all’hotel Castello: tel. 051.943509, specificando di essere congressisti UCIPEM anche tramite     info@hotelcastello.com        www.hotelcastello.com

–       Costi del soggiorno: camera singola € 51,00 – camera doppia € 56,00iva inclusa. Le tariffe sono da considerarsi a camera, a notte, con prima colazione a buffet.

Qualora il numero degli iscritti dovesse superare la capacità dell’Hotel Castello, sarà disponibile l’Hotel Anusca posto nelle immediate vicinanze a prezzi superiori di soli 4 euro. Le prenotazioni saranno comunque gestite dall’Hotel Castello.

Alla tariffa su indicata bisogna aggiungere l’imposta di soggiorno di € 2,00 a persona a notte.

Pasti: Cena del venerdì: € 23,00 IVA inclusa. Pranzo del sabato: € 19,00 IVA inclusa. Cena del sabato: € 26,00 IVA inclusa. Nota bene: Eventuali allergie alimentari o intolleranze dei partecipanti dovranno essere comunicate per iscritto a alla accettazione dell’hotel prima dell’evento.

 

www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=article&id=621:xxv-congresso-nazionale-ucipem-bologna&catid=9&Itemid=136

 

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Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14. Il responsabile è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea

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