NewsUCIPEM n. 673 – 29 ottobre 2017

NewsUCIPEM n. 673 – 29 ottobre 2017

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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02 ABORTO VOLONTARIO Puglia. Aborti record, ma la Regione vuole di più.

03 Blitz sventato: stop alla proposta di legge sugli aborti più facili.

03 ACCADEMIA PER LA VITA L’alternativa «conservatrice».

04 ADDEBITO Se l’infedeltà è precedente alla crisi si ravvisa l’addebito.

04 AFFIDO ESCLUSIVO Genitore condannato per lesione del diritto alla bigenitorialità.

05 AMORIS LÆTITIA Il Vangelo dell’amore tra coscienza e norma

05 ASSEGNO DIVORZILE Divorzio dopo 35 anni: spetta l’assegno all’ex 71enne disoccupata.

06 La responsabilità economica ha matrice assistenziale.

06 Diritto all’assegno divorzile, non cessa con la mera convivenza.

06 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – N. 38, 18 ottobre 2017.

08 CHIESA CATTOLICA Le donne, futuro della Chiesa? Due riviste pongono la domanda.

10 Papa Bergoglio: un discorso magistrale.

11 Per la Chiesa è sempre tempo di Riforma.

12 COMM. ADOZ. INTERNAZIONALI Confronto con gli Enti autorizzati sulle criticità.

12 CONSULENTI COPPIA e FAMIGLIA Si festeggiano quarant’anni dell’AICCeF – Milano 22 ottobre 2017.

14 CONSULTORI FAMILIARI Il ruolo del Consultorio Familiare in una società che cambia. Roma.

15 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Mantova. Etica, Salute & Famiglia – ottobre 2017.

15 Parma. Famigliapiù. Gruppi per persone in lutto e ciclo del bullismo.

16 DALLA NAVATA XXIX domenica del tempo ordinario – Anno A – 29 ottobre 2017.

16 COMMENTO Il comandamento più grande (Enzo Bianchi).

18 ETS (già onlus) NON PROFIT Il Codice entra in vigore entro un anno dall’emanazione del decreto.

18 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARIIntervista. Renzi: insisto sul bonus stavolta per tutti i minori.

19 Il bonus di Renzi? «Non è il Fattore famiglia ma apre dibattito».

20 HUMANÆ VITÆ Bettazzi. Anche per Humanæ vitæ è ora di attuare il Concilio.

21 La dottrina è cambiata molte volte: tanti esempi di rinnovamento.

23 Gregoriana e Angelicum: due opposte voci sull’Humanæ vitæ.

24 MINORI 21mila minori in comunità, uno su due è straniero

25 Minori stranieri non accompagnatiRicercasi persone disponibili a esercitare la rappresentanza legale

26 Chi sono i minori stranieri non accompagnati in Italia?

27 PARLAMENTO Camera dei Deputati. 2° Commissione Giustizia. Assegno divorzile

27 Intervista alla presidente della Commissione Donatella Ferranti.

29 PENSIONE Niente reversibilità se il mantenimento non è disposto dal giudice.

30 PROCREAZIONE RESPONSABILE Regolare la fertilità secondo natura.

30 PROGETTO FAMIGLIA ONLUS Seminario sul tema “Disagio familiare: problema o opportunità?”

30 SEPARAZIONE Padri separati ridotti alla povertà.

31 SESSUOLOGIA Parlare di sessualità è «allenare a pensare e a comunicare».

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ABORTO VOLONTARIO

Puglia. Aborti record, ma la Regione vuole di più

In Puglia tasso di abortività dell’8,1 per mille (quello nazionale è 6,6), ma oggi arriva in commissione una proposta per favorire i medici non obiettori. Il paradosso elevato a sistema, anzi a legge regionale. Non servono ragionamenti complessi per convincersene. La questione è semplicissima, forse troppo per i politici con il cuore appesantito dall’ideologia. Si potrebbe porre così: qual è l’intervento più urgente in una regione dove gli aborti sono già tantissimi – quasi due punti oltre la media nazionale – e l’indice di natalità è tra i più bassi d’Italia? Risposta scontata. Puntare sull’incremento demografico, mettere a punto interventi per sostenere le famiglie in difficoltà che non fanno più figli, risolvere i problemi delle donne costrette a ricorrere all’interruzione di gravidanza come risposta – tragica e tutt’altro che risolutiva – a situazioni di solitudine, povertà, emarginazione. Qualsiasi politico di media capacità propositiva riuscirebbe a mettere a fuoco questo semplice programma e si darebbe da fare per realizzarlo.

Scontato no? Non in Puglia, dove hanno pensato bene di rovesciare tutto. Invece di sostenere le nascite, hanno deciso di promuovere l’aborto. La proposta di legge regionale che oggi arriva in commissione, con probabilità elevatissime – per non dire con la quasi certezza – di essere approvata e poi approdare in Aula per il voto finale, va proprio in questa direzione. Possibile? Purtroppo sì. «Si tratta di una legge che – spiega la presidente del Forum regionale, Lodovica Carli – prevede la possibilità di indire concorsi pubblici esclusivamente per “personale sanitario non obiettore” anche se la dicitura, dopo le nostre proteste, è stata cambiata in “appositi concorsi”. Si è pensato in questo modo di proteggere la proposta dal rischio dell’illegittimità». Non è un mistero infatti, neppure per i politici pugliesi, che l’obiezione di coscienza costituisca un diritto inviolabile protetto dalla legge e che un concorso pubblico con una discriminante così evidente, verrebbe annullato dal Tar. Da qui il tentativo di mascherare la proposta di legge, presentata dal consigliere Mino Borracino, sotto il titolo ambiguo di “Norme in materia di concreta attuazione in Puglia della legge 194/1978”. Preoccupazione, quasi a senso unico, quella di garantire il diritto all’aborto e non di attuare la parte preventiva della “194”.

Verrebbe da pensare che l’aborto nella regione governata dalla giunta Emiliano, sia un diritto in bilico e che i medici “non obiettori” siano insufficienti. Niente di tutto questo. A fronte di una media nazionale che parla di 6,6 aborti ogni mille donne, in Puglia si arriva a 8,1. Mentre i medici “non obiettori” eseguono in media 3,5 aborti la settimana. Anche qui meno della media nazionale.

«Siamo purtroppo una delle regione dove si ricorre più frequentemente all’aborto. Solo Liguria ed Emilia fanno peggio di noi – riprende Carli – e invece di interrogarsi sulle cause di questa carneficina, vogliamo rendere più agevole l’accesso all’interruzione di gravidanza? Assurdo».

Vista la latitanza delle istituzioni, i dati sulle donne che abortiscono arrivano dal Forum delle associazioni familiari. In Puglia le donne che decidono di “eliminare” il figlio concepito hanno tra i 25 e 34 anni. Per le minorenni il tasso di abortività è il più alto d’Italia dopo la Liguria. Sono nubili o coniugate, casalinghe e – per la maggior parte – hanno già due figli. Insomma, si ricorre all’interruzione di gravidanza per povertà, per paura del licenziamento e, nel caso delle immigrate, perché spesso vittime di organizzazioni criminali. Un quadro desolante di miseria e di bisogno. E di fronte a queste emergenze di cosa si preoccupa la Del tutto prive di fondamento – secondo i dati diffusi dal Forum – le premesse della proposta di legge regionale che oggi arriva in commissione, secondo cui il ricorso all’obiezione di coscienza di molti sanitari «impedisce anche in Puglia, in molti casi, di poter rispondere con tempestività ed efficacia alle richieste di molte donne che intendono consapevolmente interrompere la loro gravidanza».

Ma, secondo l’ultima relazione del Ministero, in Puglia nel 2015, si sono registrate 7.574 interruzioni, con un triste record nazionale di recidiva (35%). Una donna su tre ha fatto ricorso due o più volte all’aborto. Dato che sottolinea ancora di più il livello di disperazione di chi bussa alle porte dei consultori pubblici (dove i medici obiettori sono solo il 19%). «Negli ultimi vent’anni in Puglia – osserva ancora la presidente del Forum regionale – abbiamo avuto un calo medio di nascite di novemila bambini l’anno, più o meno lo stesso numero di quelli abortiti. Ma se consideriamo l’aumento esponenziale delle vendite di “Ellaone”, la pillola dei cinque giorni dopo, schizzate dalle 16.797 confezioni del 2014 alle 145mila del 2015, vediamo come siamo di fronte a una vera e propria emergenza sociale». Da qui la bocciatura della proposta di legge in questione e la richiesta di un confronto più ampio, per mettere a fuoco le cause reali che inducono le donne ad abortire. «Promuoviamo insieme, consultori e associazioni, uno studio per mettere a punto misure preventive, e magari – conclude Lodovica Carli – dare vita a un albo regionale in grado di assicurare alle donne in gravidanza assistenza, accompagnamento e solidarietà».

Luciano Moia Avvenire giovedì 26 ottobre 2017

https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/aborti-record-ma-la-regione-vuole-di-piu

 

Puglia. Blitz sventato: stop alla proposta di legge sugli aborti più facili. Estratti

Non passa in Commissione sanità del Consiglio regionale la norma contro gli obiettori. Ieri, in Commissione Sanità del Consiglio regionale, è ugualmente approdata la proposta di legge presentata dal consigliere Cosimo Borraccino (Sinistra Italiana) in materia di “concreta attuazione in Puglia della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza”, la 194 del 1978. Come se, insomma, il diritto all’aborto in Regione (che ha anche l’indice di natalità tra i più bassi d’Italia) non fosse sufficientemente garantito.

Colpa del ricorso all’obiezione di coscienza che, secondo il testo della norma, «impedisce anche in Puglia, in molti casi, di poter rispondere con tempestività ed efficacia alle richieste di molte donne che intendono consapevolmente interrompere la loro gravidanza».

La proposta, per fortuna, non è stata approvata: con 4 voti a favore, 4 contrari e una astensione la commissione non ha espresso parere positivo all’articolo 1, determinando così la sospensione dell’iter legislativo. Decisivi i 5 Stelle, nello specifico Marco Galante e Mario Conca, che hanno deciso di non partecipare al voto ritenendo che «le criticità non possano essere risolte con una legge che applica un’altra legge».

Per il capogruppo di Forza Italia Nicola Marmo «una legge regionale che riprende quanto scritto in una legge nazionale, nel primo articolo, non è votabile». Entra nel merito del testo il capogruppo di Alternativa popolare, Giannicola De Leonardis: «Il vero problema da affrontare è quello della denatalità, tenendo conto che la Puglia è la terza regione per numero di aborti». Soddisfatto il Forum delle famiglie, da settimane impegnato nella battaglia contro la proposta di legge: «La 194 andrebbe integralmente applicata sì – ha sempre sostenuto la presidente regionale Lodovica Carli – ma aiutando le donne gravide in difficoltà a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza». Come previsto al suo articolo 2. Anche per i Medici cattolici, infine, sarebbe piuttosto necessaria «una proposta di legge regionale a sostegno della vita nascente e della maternità».

Redazione Interni Avvenire 26 ottobre 2017

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/puglia-stop-a-legge-aborti-piu-facili

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ACCADEMIA PER LA VITA

Accademia per la vita, l’alternativa «conservatrice»

Si sono dati appuntamento in trecento, nell’aula magna dell’Angelicum, sotto il ritratto di papa Francesco e quello di san Tommaso (entrambi, a diverso titolo, padroni di casa ma anche testimoni scomodi) per insistere sulla profezia di Humanæ vitæ sulla “quasi” eresia di Amoris lætitia. Ma anche per annunciare la nascita di una nuova Accademia per la vita e la famiglia che sarà intitolata a Giovanni Paolo II. Sarà un istituto laico, cattolico, ma senza riferimenti diretti al magistero. Almeno a quello del Papa regnante.

I nuovi sedicenti accademici si sono idealmente posti sul capo la feluca ieri a Roma, alla Pontificia Università San Tommaso, al termine di una lunga mattinata di studi dedicata al significato di Humanæ vitæ. L’annuncio è arrivato da Josef Seifert, già docente all’Accademia internazionale di filosofia di Granada, sospeso dall’insegnamento il 31 agosto scorso, dall’arcivescovo locale, Javier Martinez Fernandez, per aver scritto una serie di articoli in cui sosteneva che l’Esortazione postsinodale sulla famiglia costituisce «un’immensa minaccia per l’insegnamento morale della Chiesa» e in cui invitava il Papa «a ritrattare». Con lui Roberto De Mattei, presidente della Fondazione Lepanto e critico altrettanto implacabile di papa Francesco. E poi padre Serafino Lanzetta, francescano dell’Immacolata, da qualche tempo “emigrato” in Inghilterra dove è diventato punto di riferimento per un nutrito gruppo di tradizionalisti. In prima fila anche l’arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio, Luigi Negri. Mentre il cardinale Walter Brandmueller, uno tra i firmatari dei Dubia, che aveva aperto il convegno, si era già allontanato. Non si sa quanto strategicamente.

In questo contesto, con il patrocinio di Voice of the family, coalizione di 25 associazioni per la vita e per la famiglia costituita – come si legge – «per difendere l’insegnamento cattolico sulla famiglia», la costituzione di una nuova Accademia per la vita pretenderebbe di rappresentare un’alternativa di rottura rispetto all’esistente Accademia pontificia. E i “separatisti” non hanno fatto mistero dei loro obiettivi. Seifert ha detto che l’impresa è sostenuta da tanti ex membri dell’istituto oggi presieduto dall’arcivescovo Vincenzo Paglia. Soprattutto da coloro che, dopo il rivisitazione degli statuti voluta da papa Francesco, non sono stati confermati nel loro ruolo.

Ha annunciato che tra gli obiettivi ci sarà quello di ristabilire «la verità della dottrina» proclamata dalle encicliche di papa Wojtyla Fides et ratio e Veritatis splendor. Combattere, naturalmente, il proporzionalismo morale di Amoris lætitia, smascherare i tanti «falsi uomini» che nella Chiesa sostengono la liceità di adulterio, aborto, rapporti omosessuali e tutto quanto da lui definito «intrinsecamente malvagio».

La notizia della nuova Accademia ha fatto passare in secondo piano i contenuti del convegno, peraltro un po’ ripetitivi, tutti tesi come sono stati, a tracciare una linea direttissima tra il “magistero infallibile” della Casti connubii di Pio XI, gli interventi sul tema di Pio XII e l’Humanæ vitæ di Paolo VI. Ricostruzione tutt’altro che limpida ma su cui i nuovi accademici non intendono riaprire la riflessione. «Il caso è chiuso», ha sentenziato

Luciano Moia Avvenire 29 ottobre 2017

Rassegna stampa Scienza&Vita 29 ottobre 2017 www.scienzaevita.org/rassegna

file:///C:/Users/Giancarlo/Downloads/L.-Moia-Avvenire(1).pdf

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ADDEBITO

Se l’infedeltà è precedente alla crisi del matrimonio si ravvisa l’addebito della separazione.

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, sentenza n.25505, 26 ottobre 2017.

www.studiocataldi.it/visualizza_allegati_news.asp?vai=ok

file:///C:/Users/Giancarlo/Downloads/allegato_27993_1(3).pdf

Se la moglie non riesce a dimostrare che il tradimento è avvenuto prima della crisi scatenante la separazione e non è stata la causa stessa, come in effetti appare evidenziare l’ordinanza della Suprema Corte, alla stessa va correttamente addebitata la separazione e come diretta conseguenza dell’addebito, che determina la cessazione del diritto di percepire assegno di mantenimento, lo stesso le va revocato.

Osservatore nazionale sul diritto di famiglia 27ottobre 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507155/se-l-infedelt%C3%A0-%C3%A8-precedente-alla-crisi-del-matrimonio-si-ravvisa-l-addebito-dell.html

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AFFIDO ESCLUSIVO

Genitore condannato per lesione del diritto alla bigenitorialità

Tribunale di Cosenza, seconda Sezione civile, sentenza n. 2044, 18 ottobre2017

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_27895_1.pdf

Paga i danni a madre e figlio il padre che ostacola i rapporti tra i due. Ma per il tribunale di Cosenza, se neanche la donna è in grado di prendersi cura del piccolo, il minore va affidato a terzi

Il Tribunale di Cosenza ha condannato un padre a risarcire i danni cagionati alla ex compagna e al figlio per aver gravemente pregiudicato la loro relazione affettiva screditando continuamente la figura genitoriale materna dinanzi al piccolo e cogliendo ripetutamente l’occasione per sottolineare le carenze della madre rispetto ai bisogni del figlio. Così facendo, infatti, l’uomo ha leso sia il diritto del minore alla bigenitorialità e a una crescita equilibrata e serena che il diritto della donna a svolgere il proprio ruolo genitoriale e, pertanto, per i giudici deve pagare 5mila euro in favore di ciascuno dei soggetti danneggiati.

Peraltro, il pregiudizio arrecato dal padre al diritto del figlio alla bigenitorialità deve essere considerato tale da attenuare sensibilmente la sua idoneità genitoriale posto che questa deve essere valutata anche considerando la capacità di un genitore di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore.

Esclusa nel caso di specie la strada dell’affidamento condiviso posta l’incapacità del genitore di gestire adeguatamente il conflitto personale, anche l’affidamento esclusivo al padre non è quindi consigliabile: ad esso ostano sia la sua “incapacità di promuovere l'”accesso” dell’altro genitore”, sia il rischio che il regime di affidamento esclusivo “non potrebbe che produrre l’effetto di marginalizzare ulteriormente, anche agli occhi del minore, il ruolo della madre”.

Nella vicenda alla base della sentenza del Tribunale di Cosenza, purtroppo, non è stato ritenuto ipotizzabile neanche un affidamento esclusivo alla madre che, per i tratti caratteriali e temperamentali suoi propri e per l’oggettiva problematicità della dinamica relazionale con il figlio, non è stata giudicata pronta ad assumersi le correlate responsabilità.

In assenza di persone affettivamente vicine al minore in grado di farsi carico dell’affidamento in maniera equidistante rispetto alle due figure genitoriali, la soluzione più idonea, per il giudice, è quindi quella dell’affidamento del piccolo ai Servizi Sociali comunali.

Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica Studio Cataldi 23 ottobre 2017

www.studiocataldi.it/articoli/27895-paga-i-danni-a-madre-e-figlio-il-padre-che-ostacola-i-rapporti-tra-i-due.asp

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AMORIS LÆTITIA

Il Vangelo dell’amore tra coscienza e norma

Sabato 11 novembre si terrà a Roma il III Simposio sull’Amoris lætitia organizzato dall’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia. All’incontro porterà il suo saluto il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei.

Il tema in questione, “il Vangelo dell’amore tra coscienza e norma”, oltre al metodo sinodale, chiede un approccio che integra la sapienza teologica con le scienze umane illuminate dall’antropologia cristiana. Per offrire frutti fecondi, in una pastorale incarnata, occorrerà far defluire questa ricchezza nell’esistenza concreta delle famiglie.

Alle relazioni introduttive seguirà l’esame di casi concreti di vita coniugale e familiare e scelte da operare.

L’evento sarà riservato esclusivamente agli invitati, ma chiunque lo desidera potrà collegarsi via streaming attraverso il Sito dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia, dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle ore 16.30.

http://famiglia.chiesacattolica.it

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ASSEGNO DIVORZILE

Divorzio dopo 35 anni: spetta l’assegno alla ex 71enne e disoccupata

Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 24805, 19 ottobre 2017

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_27911_1.pdf

Per la Cassazione è corretto il sostanzioso assegno alla donna poiché compatibile con le capacità economiche del marito. È legittimo che alla ex moglie, ormai settantunenne e priva di occupazione lavorativa, spetti un assegno compatibile con le capacità economiche del marito a seguito della cessazione degli effetti civili di un matrimonio durato 35 anni.

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito che, a seguito del divorzio di una coppia “attempata”, avevano imposto al marito il versamento di un assegno divorzile nei confronti della moglie. La somma, inizialmente fissata in 1.300,00 euro mensili, rideterminata in appello in 1.700,00 euro mensili, appare giustificata dalla sperequazione reddituale e patrimoniale tra i due: in particolare, l’ex marito poteva contare, non solo, su un reddito complessivo di 60mila euro annui, ma anche su beni di proprietà dal valore stimato in 400mila euro.

La vicenda giunge al vaglio degli Ermellini a seguito del ricorso, principale e incidentale, di entrambe le parti. La partner, invece, aveva lamentato la totale assenza di redditi, nonostante fosse proprietaria di beni stimati in complessivi 100mila euro. La moglie si duole che l’importo dell’assegno non sia stato, in sede d’appello e come da lei richiesto, raddoppiato in considerazione delle istanze probatorie da lei avanzate e non accolte. Sul punto, tuttavia, i giudici di Piazza Cavour non concordano: le censure sono non solo inammissibili, perché intese sostanzialmente a una riedizione del giudizio di merito, ma anche infondate.

La Corte d’Appello, infatti, è pervenuta alla sua decisione, che presuppone l’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione della donna, prendendo in considerazione aspetti essenziali quali la mancata percezione di redditi, la sua condizione di sostanziale preclusione al mercato del lavoro, la modestia del capitale disponibile per effetto dello scioglimento delle situazioni comproprietarie con il marito, la durata del matrimonio e l’apporto garantito nel suo corso non solo alla vita familiare e alla crescita dei figli, ma anche all’attività economica del marito.

Invece, l’ex marito censura in Cassazione l’acritico recepimento delle conclusioni della C.T.U. operato dal giudice d’appello, oltre che la quantificazione operata dalla medesima consulenza quanto ai redditi diversi attribuiti alle parti. Tuttavia, per il Collegio, anche tali doglianze sono inammissibili per la loro strumentalità a una riedizione de giudizio di merito e anche infondate nel loro nucleo centrale.

Dalla consulenza tecnica, infatti, la Corte d’Appello ha tratto l’accertamento e la definizione di fatti che sostanzialmente le parti non contestano: con giudizio sufficientemente e logicamente motivato la Corte d’Appello ha ritenuto che l’ex moglie, dopo un matrimonio durato 35 anni e dichiarato sciolto definitivamente, non è apparsa in possesso di mezzi adeguati ad affrontare la propria vita di donna ormai 71enne e priva di redditi lavorativi. L’accertamento peritale, inoltre, ha ritenuto compatibile l’ammontare dell’assegno con le capacità economiche dell’uomo, motivazione non sindacabile in Cassazione.

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 23 ottobre 2017

 

La responsabilità economica post coniugale ha matrice esclusivamente assistenziale.

Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n.25327, 25 ottobre 2017.

www.miolegale.it/sentenze/cassazione-civile-i-25327-2017

Se i due coniugi hanno vissuto autonomamente 30 anni dopo la separazione prima di chiedere il divorzio non sussistono i parametri per l’assegno divorzile.

Secondo i nuovi parametri indicati nella nota sentenza del maggio scorso in materia di assegno divorzile, esso non è dovuto se vi sia una buona capacità economica di entrambi, a prescindere dal tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio, che non è più considerato come tale parametro principale di valutazione per il riconoscimento dell’obbligo.

I coniugi dalla separazione, avvenuta nel 1982, sino al 2012, avevano condotto vite separate ed economicamente autonome, pertanto era da escludersi che vi fosse titolo a ricollegare la richiesta di assegno divorzile della donna relativa al tenore di vita tenuto dalla coppia per i due anni di matrimonio, essendo indimostrabile che la stessa non fosse stata autonoma economicamente per i trenta anni precedenti, avendo comunque svolto attività che, se anche precarie, erano state oggettivamente adeguate a garantirle un’indipendenza economica.

Osservatore nazionale sul diritto di famiglia 27 ottobre 2017

 

Diritto all’assegno divorzile, non cessa con la mera convivenza

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 25074, 23 ottobre 2017.

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_27928_1.pdf

Prova del nuovo rapporto familiare. Spetta al coniuge onerato dell’assegno. A meno non assuma i connotati di “famiglia di fatto”

Il diritto a percepire l’assegno divorzile da parte dell’ex coniuge, non cessa per il solo fatto che il beneficiario intraprenda una convivenza con altra persona. A meno che, tuttavia, siffatta convivenza non assuma i caratteri di una vera e propria famiglia “di fatto”, basata su un modello ed un programma di vita comuni; prova che incombe sul coniuge onerato di versare l’assegno.

A stabilirlo la Corte di Cassazione, respingendo il ricorso di un uomo, avverso la pronuncia di secondo grado, che aveva confermato l’obbligo di corrispondere alla ex moglie dell’assegno di divorzio, nonostante quest’ultima avesse intrapreso una convivenza con un altro uomo.

La Cassazione, come già la Corte di merito, ha ribadito come la convivenza de quo, non integrasse i connotati di una vera e propria famiglia di fatto – tale da far venire meno l’obbligo di corrispondere l’assegno – posto che dalle prove fornite poteva evincersi una mera relazione di coabitazione protrattasi per circa sei mesi, senza alcun riscontro di apporti economici dal nuovo convivente alla donna.

Sul punto, il ricorrente lamentava come fosse stato ingiustamente gravato di dimostrare la continuità degli apporti di natura economica da parte dell’attuale convivente alla ex moglie, malgrado avesse già provato l’esistenza della relazione e della convivenza tra i due (il che, a suo parere, sarebbe stato sufficiente a far venir meno l’assegno).

Censura tuttavia respinta dalla Corte Suprema –secondo cui l’instaurazione da parte del coniuge beneficiario di un nuovo rapporto familiare che assuma i connotati sopra spiegati, spetta, in linea di principio, al coniuge onerato, quale fatto estintivo del diritto all’assegno di divorzio.

Eleonora Mattioli eDotto 24 ottobre 2017

www.edotto.com/articolo/diritto-allassegno-divorzile-non-cessa-con-la-mera-convivenza?newsletter_id=59ef1f8afdb94d27b8755443&utm_campaign=PostDelPomeriggio-24%2f10%2f2017&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=diritto-allassegno-divorzile-non-cessa-con-la-mera-convivenza&guid=f9412de1-41bd-46da-baab-2780a4bdf940

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 39, 25 ottobre 2017

  • Un video, una provocazione. Mamme, lavoro e solidarietà. Cosa succede agli italiani di fronte a una richiesta di una madre disperata, da tempo senza lavoro, in cerca di un’opportunità per garantire un’infanzia e un futuro migliore alla sua bambina? Come reagiscono se una mamma esasperata arriva a fare una richiesta improbabile e apparentemente folle per uscire dal circolo della povertà? In quanti le darebbero fiducia? Quasi un esperimento sociale, in una situazione controversa. Per provare a mettersi nei panni di, senza giudicare.

www.youtube.com/watch?v=li–08q4JA0&feature=youtu.be

  • Il divorzio e poi la povertà, il caso del comico di Zelig. “Il caso di Marco Della Noce, già comico di Zelig e ora padre separato, costretto a dormire per giorni nella propria auto, innesca sentimenti e riflessioni contrastanti, ma soprattutto mette ancora una volta sotto i riflettori la vulnerabilità generata dalla rottura dei legami familiari e di coppia” commento di Francesco Belletti, su Famiglia Cristiana on line].

www.famigliacristiana.it/articolo/la-poverta-dei-padri-separati–pochi-soldi-e-tanta-vulnerabilita.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_25_10_2017

Qualche ulteriore informazione sulla vicenda si trova anche su questo intervento di Orsola Vetri.

www.famigliacristiana.it/articolo/il-divorzio-e-poi-la-poverta.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_25_10_201

  • Coppia. Sfide e risorse del vivere insieme. A cura di Rita Roberto, AICCeF (Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari). Questa settimana una presentazione particolare, specificamente dedicata ad un volume collegato ad un evento e ad una rete professionale. Si tratta di un volume presentato a Milano, presso l’Auditorium don Zilli, il 22 ottobre 2017, in occasione della giornata di studio “Dalla coppia alla famiglia e ritorno. Il ciclo di vita tra legame e progetto”. Volume prezioso e articolato, che raccoglie sia documenti storici sui primi incontri formativi relativi alla consulenza familiare, negli anni Settanta e Ottanta, sia le riflessioni più recenti di una professione in cambiamento. In effetti “…leggendo tra le righe di queste pagine, mentre si legge la storia dei consultori e dei consulenti familiari, si può ritrovare anche la complessa vicenda del welfare del nostro Paese, e del posto (tendenzialmente marginale) che è stato riservato in esso alla famiglia, alle sua capacità di resistenza e soprattutto al suo sostegno…” (Dalla presentazione di Francesco Belletti). In tale occasione si sono festeggiati anche i 40 anni dell’AICCeF, l’associazione professionale che raccoglie, rappresenta, forma e aggiorna professionalmente i “consulenti familiari”. Con tanto di torta e candeline! Notizie sul volume, sull’incontro e sull’associazione sul sito www.aiccef.it

Molto vivaci anche le foto e i commenti raccolti durante la giornata e nei giorni seguenti sulla pagina Facebook dell’AICCeF. Durante il convegno è stato anche rivolto un caldo invito a partecipare alla 64.a Conferenza Internazionale ICCFR, a Malta, dal 6 al 9 febbraio 2018, “Couple Relationships in the 21st Century. Evolving Contexts and Emergent Meanings”(Relazioni di coppia nel 21° secolo: contesti in mutamento e significati emergenti), in cui AICCeF presenterà un workshop (a Malta sarà presente anche il Cisf). www.um.edu.mt/events/cr21c2018/conferenceprogramme

http://iccfr.org/conference-2018-malta

  • Rapporto UNICEF sulla mortalità infantile nel mondo. In calo la mortalità sotto i 5 anni, ma ogni giorno muoiono 7 mila neonati Ogni giorno 15 mila bambini sotto i 5 anni perdono la vita (cifra che non è mai stata così bassa) ma la mortalità neonatale è aumentata dal 41 al 46%: la metà di tutte le morti neonatali in 5 paesi. Nel 2016 deceduti circa 1 milione di bambini 5-14 anni.

file:///C:/Users/Giancarlo/Downloads/Child_Mortality_Report_2017.pdf

www.minori.it/it/manuale-dei-servizi-educativi-per-linfanzia-come-supporto-al-lavoro-di-progettazione-e-sviluppo

Nord Violenza e dialogo. Esperienze di dialogo sulla violenza: culture, istituzioni, generi e generazioni, congresso internazionale promosso da SIRTS (Società Italiana di Ricerca e Terapia sistemica), Milano, 24-25 novembre 2017.

file:///C:/Users/Giancarlo/Downloads/brochure_congresso_internazionale_sirts_24_e_25_novembre_2017_violenza_e_dialogo.pdf

Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo, solidale, convegno di apertura dell’anno sociale, in diretto collegamento con la 48.a Settimana sociale di Cagliari (26-29 ottobre 2017), UCID (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti), Padova, 4 novembre 2017.

http://ucid.it/sezionepadova/2017/10/09/il-lavoro-che-vogliamo-libero-creativo-partecipativo-solidale

file:///C:/Users/Giancarlo/Downloads/volantino.pdf

Centro Una vita per amare. A dieci anni dalla morte di don Oreste Benzi, evento promosso dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, Rimini, 31 ottobre 2017.

www.apg23.org/it/convegno_don_oreste_una_vita_per_amare

Sud Disagio familiare: problema o opportunità? Disagio familiare, deontologia e vissuto dell’operatore sociale, introduzione al metodo delle Family Group Conference, intervento formativo (con crediti formativi per assistenti sociali) promosso da progetto Famiglia onlus, Bari, 23 novembre 2017 (altra edizione a Potenza, 7 novembre 2017.

file:///C:/Users/Giancarlo/Downloads/Locandina%20Bari.pdf

file:///C:/Users/Giancarlo/Downloads/Locandina%20Potenza(1).pdf

Estero Opening Up to an Era of Social Innovation (Aprirsi ad un’era di innovazione sociale), promosso da Commissione Europea, Governo Portoghese e Fondazione Calouste Gulbenkian, Lisbona, 27-28 novembre 2017. http://ec.europa.eu/research/conferences/2017/era/index.cfm?pg=programme

Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Con tutti i link http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/ottobre2017/5052/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Le donne, futuro della Chiesa? Due riviste dei gesuiti francesi pongono la domanda.

Nella loro saggezza, le scritture bibliche insegnano che per aprirsi all’intelligenza del futuro, è necessario ripassare per l’origine. Perciò, ancora e sempre, dobbiamo riaprire il libro della Genesi per riprendere contatto con l’originale — al di fuori della cronologia — che illumina la condizione umana, individua le controversie che deve affrontare e indica i mezzi per superarle.

Dobbiamo quindi soffermarci su un dettaglio del secondo racconto della creazione, nel capitolo due della Genesi. Ebbene, nell’istante in cui nasce la donna, appare anche l’uomo, che come tale non esisteva prima. E in quello stesso istante il racconto è attraversato dall’avvento della parola, o comunque del linguaggio. Al verso 23, di fatto, l’uomo che ha appena visto la vita, apre la bocca: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa». Confesso di essere stata a lungo sensibile al fatto che le prime dimensioni del linguaggio siano qui parole di celebrazione di una donna da parte di un uomo.

Una felice interpretazione del testo che mi ha però nascosto l’evidenza su cui l’esegeta André Wénin mi ha fatto infine aprire gli occhi: questa parola è meno edificante di quanto possa sembrare! L’uomo, le cui labbra si aprono sotto la pressione di uno stupore pieno di ammirazione, parla però a suo nome. Ricorre all’io, ma per indicare la donna alla terza persona, quella “non-persona” che è l’oggetto del discorso, come l’identifica la teoria linguistica. In altre parole, il linguaggio che si schiude qui non stabilisce ancora una relazione. Le parole risuonano in uno spazio vuoto della presenza autentica dell’altro. L’uomo che nasce qui alla parola per il momento perde l’occasione di entrare nella piena esperienza della differenza: la sua ammirazione tra l’altro si esaurisce nella costatazione che la donna è come lui! Di conseguenza qui siamo solo alle soglie della parola. C’è ancora tanto cammino da percorrere affinché lo spazio del linguaggio sia investito dalla presenza di quel “lei” metamorfizzato in atteggiamento di “tu”, e affinché tra i due avvenga qualcosa di simile a una “conversazione”.

Ma c’è dell’altro: in un colloquio con lo psicanalista Jean-Pierre Lebrun, André Wénin analizza più a fondo le parole del testo. Sottolinea allora un’altra evidenza: la donna in questa scena non parla. Non prende alcuna iniziativa per rompere il circolo dell’oggettivazione in cui la parola dell’uomo l’inscrive. Si accontenta di essere detta dall’uomo, come se la sua contentezza consistesse nel fatto di schivare il rischio di dirsi personalmente. All’orizzonte di questa analisi, prende forma l’idea che ci sarà forse una complicità delle donne con il discorso degli uomini che le parlano. Un discorso degli uomini che, volendo che esse stiano in silenzio, le dispensa dal confrontarsi con la loro identità.

Sottolineiamo che questa lettura delle parole della Genesi permette di valutare la profondità delle realtà coinvolte in quella che viene chiamata la “questione femminile”. Se di fatto bisogna parlare del “posto” delle donne nella Chiesa, interrogare l’istituzione ecclesiale su pratiche che continuano molto spesso a emarginarle, a trattarle con condiscendenza, se non con disprezzo, bisogna altresì percepire che il problema di fondo è proprio quello della relazione tra uomini e donne.

La questione delle “donne nella Chiesa” è quindi strettamente legata a quella del futuro di questa relazione, contrassegnata dal marchio della bontà, come cantano tutte le canzoni d’amore del mondo, ma anche motivo di dolore, di sofferenza, come attesta l’esperienza delle società umane, anche laddove si è entrati nella novità cristiana… E il futuro della Chiesa è certamente collegato al futuro di questa relazione:

  • La Chiesa entrerà nella sua verità accettando di tener conto di essere costituita in egual misura da uomini e donne, quel duello che fa l’umanità a immagine e somiglianza di Dio?

  • Farà di questa relazione un banco di prova del suo futuro, affrontando difficoltà che si cristallizzano — non esclusivamente, ma singolarmente — proprio nel modo di gestire la parola tra uomini e donne?

  • L’istituzione ecclesiale s’interrogherà sul modo in cui far circolare questa parola o serbarla, suscitarla al di là degli ambiti consentiti oggi, permetterle di dichiarare un’esperienza propria o, al contrario farla tacere, nel presentimento di un pericolo, di un pericolo per l’altro?

Alla luce della storia degli ultimi decenni, tali questioni ci pressano sempre più. Perché, di fatto, — diciamo a partire dagli anni preconciliari — la questione delle donne si è aperta un varco sempre più grande nel discorso ecclesiale. L’omaggio reso alle donne e le perorazioni a favore della loro dignità e dei loro diritti sono divenuti un tema ricorrente e insistente nel discorso magisteriale. Eppure l’appuntamento è stato ampiamente mancato, come ha mostrato con una franchezza sconvolgente l’articolo di padre Joseph Moingt pubblicato sulla rivista «Études» nel 2011. D’altronde le pratiche sono così poco cambiate che Papa Francesco, appena eletto, ha dovuto quasi chiedere di aprire un cantiere in merito.

Come intenderlo? «Dopo tutto quello che si è fatto per le donne» si meravigliano alcuni. Di fatto, bisognerebbe rettificare il discorso e riformularlo così: «Dopo tutto quello che si è detto delle donne», perché è proprio questo dire a essere la realtà che va interrogata.

In effetti sono state pronunciate moltissime parole. E ciò costituisce un’incontestabile novità. Ecco però che, forse senza volerlo — ma si sa esattamente ciò che si vuole o non si vuole? — si è ritornati spesso, in questi tempi, alla scena di Genesi 2, 23. Le donne sono certo entrate nel campo della parola magisteriale, ma più di una volta nella temibilissima posizione della terza persona. Il che è evidente quando si tratta del rapporto con il loro corpo, con la vita, con l’altro, con la procreazione. In realtà è una vecchia tradizione presentata con tinte rinfrescate. Il che è evidente pure quando si tratta di celebrare la femminilità della Chiesa, il suo carattere mariano, il suo essere sposa. O anche di argomentare una complementarietà riconciliatrice, in un’ecclesiologia che indica due poli — petrino e mariano — intendendo così dare un posto privilegiato al femminile — la parte migliore, si dice — ma in una modalità che resta speculativa e astratta.

Siamo quindi giusti: le donne sono anche entrate nel discorso magisteriale sotto forma d’indirizzi personali, interpellandole in una modalità vibrante. Così è stato in numerosi interventi di Papa Giovanni Paolo II. E già, in modo esemplare, di Paolo VI, nel suo messaggio alle donne, in chiusura del concilio Vaticano II. E tuttavia osiamo dire che molti di quei discorsi, inserendosi proprio nel registro del sublime, sono inesorabilmente ricaduti nello schema delle “donne parlate”. Parlate in modo diverso, ma sempre nell’orizzonte di un’identità più o meno immaginaria e, alla fine, con lo stesso effetto. Perché una donna troppo celebrata in una singolarità d’eccezione è di nuovo una donna tenuta a distanza. In realtà scartata dallo spazio in cui si trattano le cose serie, quelle che riguardano la decisione e l’effettività del potere.

Così, questi nuovi discorsi di celebrazione del femminile si sono ripiegati su se stessi. Hanno riportato le donne al mondo delle rappresentazioni maschili che sostengono, in un modo o nell’altro, le strutture di autorità e di governo. D’altronde non bisogna meravigliarsene, perché tali discorsi non includono un ascolto della donna, che libera da sola lo spazio della sua parola. Non corrono davvero il rischio di un incontro con l’altro, così come questo altro può dirsi, con l’imprevisto della sua esperienza, con la sua differenza che bisogna lasciargli formulare e non assorbire in nuovi discorsi di dominio maschile. La posta in gioco è che le donne nella Chiesa prendano parte alla parola/Parola.

Dobbiamo essere precisi su questo punto: non si tratta di far prendere loro la parola «come si è presa la Bastiglia», per citare una frase celebre. E neppure di dare loro la parola, come una concessione condiscendente. Si tratta di farle entrare con gli uomini nella inter-locuzione. Ossia che compaia una parola della Chiesa in cui il “io-tu” implichi la cooperazione dei due sessi. In poche parole, si tratta di superare l’impasse di Genesi 2, 23 e la preclusione del linguaggio nell’esclusiva parola maschile.

Si tratta di far sì che la parola delle donne esista nella Chiesa oggi. Come d’altronde — contestando un po’ André Wénin — essa è esistita ieri, ma colpita da quella impotenza che le viene dal suo essere posta al margine, dal suo essere rinchiusa in una singolarità che si è potuta esprimere, per esempio, attraverso l’etichettatura di “mistica”. Una parola che permette di tenere a distanza ciò che non si vuole ascoltare troppo, anche se non si tratta più delle pratiche antiche, che fecero tacere questa parola annientandone i corpi.

A tale proposito particolarmente interessante è l’articolo di padre François Marxer riportato nel numero di Études dal titolo «Ces femmes qu’on dit mystiques». Donne le cui voci costellano il XX secolo, come lo stesso autore ha mostrato in un libro recente che dà loro la parola, per dire la fede al femminile, la fede «au péril de la nuit», ossia la fede in sé, e non rabberciata a partire da sicurezze sognate, da assicurazioni infantili.

Quella parola femminile che continua a esprimersi oggi, con un’energia tonica, come attestano l’italiana Luisa Muraro, la francese Marion Muller-Collard, la spagnola Dolores Aleixandre, e molte altre ancora.

Ma, giustamente, non si tratta solo di far sì che le donne dicano la loro verità, ma anche che la loro parola possa lasciare il recinto a cui è stata assegnata, possa entrare nel campo dell’ascolto e dello scambio. Dobbiamo di fatto concentrare la nostra attenzione non soltanto sul contenuto dei discorsi, ma anche sulla sua enunciazione: laddove il linguaggio vale non solo per quello che dice, ma anche per quello che costruisce di relazione al livello dei suoi interlocutori. Si tratta dunque, accogliendo la parola delle donne come quella di interlocutrici, di far cambiare profondamente le identità. Una donna che dice “io” costituisce l’uomo in “tu”, e ridefinisce così l’identità di ognuno. Così come salva il linguaggio dello sviamento che inscena Genesi 2, 23.

Una parola potrebbe fornire un buon modello di questa enunciazione trasformatrice delle identità. È “conversazione”. Indipendentemente dalle sue forti risonanze ignaziane, sotto la sua modestia, designa una modalità preziosa della parola e della relazione che essa instaura. L’incontro tra il re Salomone e la regina di Saba nel 1 Libro dei Re ne è un bell’esempio. Ricordiamo la scena: una donna, per di più straniera, viene a mettere alla prova — a provare — la saggezza di Salomone. Tra i due interlocutori inizia quindi una conversazione. Noi ne conosciamo gli effetti finali: il riconoscimento reciproco della saggezza dell’altro, che conferma la prosperità che ognuno fa vedere attraverso la magnificenza dei doni che offre all’altro (1 Re 10, 1-13). Abbiamo qui lo schema di un vero incontro tra un uomo e una donna. E al livello più alto, poiché il tema della conversazione è nientemeno che la Saggezza!

Ebbene, è a questa altezza che probabilmente uomini e donne sono attesi oggi nella Chiesa. È l’altezza della “diaconia della Parola”. Sappiamo fin troppo bene che, da tale diaconia, le donne sono oggi ancora attentamente escluse. Noi celebriamo Maria Maddalena, la chiamiamo “apostola degli apostoli”, ma nella pratica non è così. O, per essere più esatti, le donne sono in prima linea in questa diaconia nella vita della Chiesa, ma ancora lontane dal suo riconoscimento istituzionale. L’ingiunzione: «la donna impari il silenzio» (1 Timoteo 2, 12 {redatta da un discepolo? ndr}) continua a pervadere le menti, associata al privilegio sacerdotale legato a questa forma di diaconia. https://it.wikipedia.org/wiki/Lettere_di_Paolo#Lettere_autentiche

Un fatto che in realtà ci riporta a ciò che probabilmente costituisce il punto nevralgico della nostra ecclesiologia: intendiamo il battesimo, la realtà del sacerdozio battesimale, con tutto quel che implica di dignità insuperabile e tutto quel che autorizza di parresia, ossia di garanzia e autorità, senza arroganza. Secondo san Paolo, questo sacerdozio battesimale qualifica innegabilmente la diaconia della Parola. Qualifica dunque anche le donne. Tanto più che, in una religione della Parola incarnata, queste ultime avrebbero varie qualifiche da far valere per questo servizio: in particolare una familiarità con l’incarnazione che le rende capaci di muoversi nello spessore carnale delle Scritture, laddove la rivelazione prende forma. Un titolo che dovrebbero far valere per il bene di tutti, in una Chiesa che superi il dialogo fallito di Genesi 2, 23 ed entri pienamente nel compimento del linguaggio e della relazione, che si realizza con così chiaro giubilo nel “io-tu” del Cantico dei cantici!

Anne-Marie Pelletier Osservatore Romano 19 ottobre 2017

www.osservatoreromano.va/it/news/le-donne-futuro-della-chiesa

 

Papa Bergoglio: un discorso magistrale

La giornalista Ester Palma ha dato ampia notizia di un discorso fatto dal papa il 5 ottobre 2017 all’assemblea generale della Pontificia accademia per la vita.

https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/october/documents/papa-francesco_20171005_assemblea-pav.html

Ha fatto bene, si tratta infatti di un discorso notevolissimo che porta Bergoglio ai primi posti nella storica graduatoria degli amici delle donne. Nessuna se l’aspettava. Dirò tre punti salienti del discorso, punti non annegati in un mare di parole già dette. Al contrario, sono l’ossatura del discorso. Dirò infine il problema che secondo me resta aperto.

  1. L’autore del discorso non usa la parola “coscienza evolutiva” ma ha chiara l’idea che siamo in un passaggio importante, un vero e proprio salto, nella consapevolezza umana di quello che è la vita. Elenca le circostanze di questo passaggio, specialmente quelle che lo rendono altamente rischioso. Non parla contro “la potenza delle biotecnologie”, ma segnala l’esistenza di un materialismo tecnocratico che ci può portare fuori strada.

  2. Secondo punto. Ci sono due bersagli polemici più nettamente indicati. Uno è il narcisismo, che il papa chiama egolatria (culto dell’ego), con l’aggiunta mia che questa è una piega e piaga molto più maschile che femminile. L’altro bersaglio è la convinzione che neutralizzando la differenza sessuale si possa correggere le ingiustizie storiche contro le donne. Il papa indica l’alternativa in termini a me (e a una parte delle femministe) chiarissimi, ma buoni per tutte e tutti: “Un nuovo inizio dev’essere scritto nell’ethos dei popoli, e questo può farlo una rinnovata cultura dell’identità e della differenza”.

  3. L’autore sa, terzo punto, che il nuovo inizio si deve alla rivoluzione femminista. Parla di rivoluzione e non usa la seconda parola, che però sottende la parte centrale del discorso, quella che ha attirato l’attenzione della giornalista. Comincia con l’alleanza dell’uomo e della donna, per dire che “va ben oltre il matrimonio e la famiglia”. Da sottolineare. Si tratta, dice il testo, di una vera e propria rivoluzione culturale che sta all’orizzonte della storia di questo tempo. Meglio di così non si poteva dire. Questa alleanza è chiamata “a prendere nelle sue mani la regia dell’intera società”: donne e uomini portano la responsabilità del mondo in politica, nella cultura, nel lavoro e nell’economia. La radicalità di questa visione detta le parole di critica al femminismo della parità (“non si tratta di pari opportunità o di riconoscimento reciproco”), e quelle che invitano la Chiesa cattolica a riconoscere onestamente i suoi ritardi e le sue mancanze.

Una domanda s’impone: eliminato il confinamento domestico delle donne e la loro subordinazione agli uomini, aperta la strada al senso libero della differenza sessuale, scartata la deprimente utopia del neutro, quali sono le nuove poste in gioco nei rapporti tra i sessi?

È la questione che apro: la sessuazione della vita, per cui questa si riproduce con l’incontro di due viventi tra loro differenti, quando arriva fino a noi esseri umani, crea squilibrio, un fecondo e ineliminabile squilibrio. E questo per una ragione leggibile nella storia umana. E cioè che l’uomo sa, vuole e mira a fare uno (Fare Uno è il titolo di un bel saggio sulla mistica al maschile) mentre le donne sanno farsi due nel corpo come nell’anima. Bisogna cominciare a dire qualcosa di concreto su questo punto; la differenza si salva accettando lo squilibrio della dissimmetria.

Luisa Muraro Libreria delle donne 13 ottobre 2017

www.libreriadelledonne.it/papa-bergoglio-un-discorso-magistrale

 

Per la Chiesa è sempre tempo di Riforma.

Nella nostra lettura della storia abbiamo sempre bisogno che ogni “svolta epocale” sia contrassegnata da una data, un luogo e un evento precisi e – qualora questi non siano sufficientemente definiti o significativi, li si colora di enfasi e di risvolti non sempre verificabili. Così il lento processo che conduce a una realtà non immaginabile fino a poco tempo prima si cristallizza in un punto preciso della storia fino a fargli assumere connotazioni leggendarie. È avvenuto così per la riforma protestante.

E’ ormai opinione prevalente tra gli storici che l’immagine così nitida del monaco agostiniano Martino Lutero – che il mattino del 31 ottobre 1517 affigge sul portone della chiesa del castello di Wittenberg un foglio contenente 95 tesi – sia con ogni probabilità un evento mai avvenuto nelle modalità che l’iconografia classica ha descritto per secoli. Eppure oggi, a cinquecento anni esatti da quel giorno, ci ritroviamo giustamente a fare memoria di tutto ciò che quell’immagine racchiude: un profondo, sofferto desiderio di riforma evangelica dell’unica Chiesa di Dio.

In verità la Chiesa ha sempre sentito nei suoi membri il bisogno, l’anelito alla conversione, alla riforma; ma se nel primo millennio questa “riforma” ha un significato essenzialmente individuale e spirituale di conversione interiore, nel secondo millennio è stata invocata quale rinnovamento della chiesa, della sua forma istituzionale, quale ritorno alla primitiva forma ecclesiae: un atto di obbedienza allo Spirito e a “ciò che lo Spirito dice alla Chiesa”.

Ma cosa può indicare il termine “riforma”, reformatio? Nel cristianesimo, che è ricezione della rivelazione, viene data una forma canonica, più che esemplare: la forma Evangelii, la forma della vita Jesu, la forma ecclesiae. Dunque la riforma è azione per riportare alla forma canonica ciò che con il passare del tempo è stato oscurato, ferito o addirittura perduto: è azione di conversione, di ritorno. Innanzitutto questo movimento deve essere incessante, “finché verrà il Signore”: proprio in attesa di quel giorno della parusia, la Chiesa, la sposa, deve farsi bella per il suo sposo (cf. Ap 21,2), deve riformarsi per essere secondo la forma nella quale lo Sposo attende. In questo senso la riforma della Chiesa è epiclesi [invocazione] della parusia [presenza].

Ma il termine “riforma”, soprattutto nel secondo millennio in occidente, ha avuto il significato di ritorno alla primitiva forma perduta o molto contraddetta. La tradizione cristiana ha sempre guardato ai sommari degli Atti degli apostoli (At 2,42-45; 4,32-35; 5,12-16), nei quali viene presentata la chiesa nata dalla Pentecoste, come descrizione della Chiesa voluta dal Signore e plasmata dallo Spirito Santo, dunque come sua forma canonica in ogni tempo nella storia. La descrizione della comunità primitiva ha ispirato costantemente la vita cristiana, anche se occorre sempre ribadire che solo il Signore Gesù può riformare la Chiesa, così come solo Dio può fare il dono della conversione, come affermava sant’Agostino: «Proprio colui che ti ha formato sarà anche il tuo riformatore».

Sì, la Chiesa, in quanto istituzione umana, in quanto organismo nella storia, deve essere riformata e purificata, per essere conforme alla volontà del suo Signore. Solo una sordità istituzionale a istanze di riforma presenti nella Chiesa d’occidente fin dagli inizi del secondo millennio, condurrà la volontà riformatrice di Lutero agli esiti laceranti che abbiamo conosciuto: la riforma tanto desiderata, a causa del suo ritardo diverrà così scisma, rottura, irreparabile divisione della Chiesa cattolica. Dopo gli eventi della Riforma protestante vi sarà di fatto una Riforma cattolica (a lungo definita Controriforma) dovuta al concilio di Trento e soprattutto ai santi riformatori e alle loro fondazioni religiose. Tuttavia la parola “riforma” non godrà di buona fama nella Chiesa cattolica dopo il grande scisma del XVI secolo, definito ancora nel 1937 dal Dictionnaire de théologie catholique «la rivoluzione protestante». Presente al cuore del secolo scorso quale titolo di un libro decisivo di Yves Congar – Vera e falsa riforma della Chiesa – il termine “riforma” ricorre solo due volte nei documenti conciliari ed entrambe le volte nel decreto sull’unità dei cristiani, Unitatis redintegratio. Vi è una tale diffidenza verso questo termine, che il testo ufficiale latino dell’enciclica Ecclesiam suam di Paolo VI (1964) traduce il vocabolo italiano “riforma” presente nel manoscritto del papa con il più neutro renovatio.

A partire dal Vaticano II il termine “riforma” è stato comunque reintrodotto nel dibattito ecclesiale cattolico, anche se appare raramente nei testi del magistero papale. Il suo uso con papa Francesco è diventato più frequente, quasi un termine programmatico del suo pontificato: riforma, potremmo dire con il concilio di Costanza (1414-1418), «in fide et in moribus, in capite et in membris», cioè riforma di tutta la Chiesa, dal papato a ogni battezzato. Così il cammino di rilettura della riforma protestante compiuto in questo anno commemorativo ha assunto una forte valenza ecumenica e di riconciliazione, aiutando le Chiese a passare “dal conflitto alla comunione”.

Stiamo forse assistendo a quanto auspica, ormai ultracentenario, il teologo gesuita francese loseph Moingt nel libro che raccoglie i suoi scritti dedicati all’urgente riforma della Chiesa? Il titolo ben riassume l’anelito di ogni riformatore e di ogni istanza riformatrice: Il Vangelo salverà la Chiesa. Sì, attraverso la sua obbedienza al Vangelo, al suo tentare ogni giorno la riforma, la Chiesa attenderà la parusia con maggiore fedeltà al Signore, per essere la sposa bella, pronta per il suo Sposo, Gesù Cristo il Signore.

Enzo Bianchi Avvenire 29 ottobre 2017

www.avvenire.it/agora/pagine/enzo-bianchi-riforma-della-chiesa-500-anni-tesi-di-lutero

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Confronto con gli Enti autorizzati sulle criticità

La Commissione per le Adozioni Internazionali ha ritenuto di dover riallacciare un proficuo confronto con gli Enti autorizzati sulle criticità relative ai singoli paesi nei quali essi operano.

Nel quadro del calendario degli incontri, stilato considerando le priorità e le problematiche insorte nei paesi di origine dei minori adottati, si sono svolti dei giorni scorsi, presso la sede della Commissione, un tavolo-paese con gli enti accreditati in Vietnam ed un tavolo-paese con gli enti accreditati in Etiopia.

La Commissione, alla luce di quanto emerso nei due incontri, programmerà nei prossimi mesi un incontro con rappresentanti delle Autorità Centrale dei due paesi.

Comunicato stampa 27 ottobre 2017 www.commissioneadozioni.it/it.aspx

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CONSULENTI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA

Si festeggiano quarant’anni dell’AICCeF – Milano 22 ottobre 2017.

La Presidente Rita Roberto apre i lavori della Giornata ricordando i Soci fondatori dell’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari che, il 5 febbraio del 1977, si riunirono a Bologna per dar vita ad una Associazione professionale che avrebbe dovuto raccogliere, indirizzare, formare, tutelare e promuovere i Consulenti familiari di tutt’Italia, dettando i principi etici e le regole deontologiche fondamentali di questa professione.

Ha proseguito ricordando i Presidenti che si sono succeduti dal ’77 ad oggi e alle risorse su cui l’Associazione fonda attualmente la sua attività: le persone che ricoprono gratuitamente le cariche statutarie e gli impegnativi ruoli associativi; gli strumenti informativi e tecnologici che vengono utilizzati per dialogare all’interno dell’Associazione e per arrivare ad informare sempre di più l’opinione pubblica, ed i luoghi in cui si svolgono tali attività.

https://youtu.be/5dwhGPjyF5k

La Presidente ha presentato il nuovo Comitato Scientifico dell’AICCeF, allargato a personalità di spicco del mondo scientifico nazionale e internazionale, che coadiuveranno il Consiglio Direttivo nella ricerca e nello studio dei temi di interesse della Consulenza familiare, della formazione permanente dei Consulenti e dei contenuti delle pubblicazioni che l’Aiccef riterrà di editare.

Anne Berger, Presidente della Commissione internazionale della coppia e della famiglia, ICCFR, saluta da Boston gli amici italiani presenti al convegno AICCeF del 22 ottobre 2017 a Milano

https://www.youtube.com/watch?v=iY5K6c_rBO4

La Presidente poi presenta l’ultima pubblicazione edita dall’AICCeF dal titolo “Coppia Sfide e risorse del vivere insieme”. Un libro che contiene un’ampia raccolta di temi relativi alla coppia e degli articoli che sull’argomento sono stati pubblicati sulla Rivista Il Consulente Familiare. La raccolta, è stata curata da Rita Roberto, presidente dell’AICCeF, viene presentata da Francesco Belletti, Direttore del CISF e autore della prefazione al libro stesso.

«Farsi prossimo alle coppie e alle famiglie: un servizio mai concluso. Rileggere il ricco materiale di questo volume è stato un po’ ripercorrere una parte trascurata della storia più recente d’Italia, e scoprirne un interesse e una attualità che meritano certamente una rinnovata attenzione.

In primo luogo queste pagine meritano attenzione perché raccontando la storia della consulenza familiare nel nostro Paese si racconta anche la storia della famiglia, dei servizi socio-sanitari e di welfare, e soprattutto della difficile relazione tra questi due mondi. Entrambi questi mondi sono stati raramente centrali nelle pagine dei giornali e nelle voci degli speaker radiofonici e televisivi. Attenti piuttosto alla storia dei grandi gruppi industriali, o alle vicende della politica, o dello star-system dello spettacolo, del cinema, del calcio. Di povertà, di welfare, di servizi per persone e famiglie non si è parlato molto, e anche l’attenzione alla famiglia, benché molto usata nel discorso politico retorico, è stata quasi sempre sfruttata, anziché essere raccontata. Leggendo tra le righe di queste pagine, mentre si legge la storia dei consultori e dei consulenti familiari, si può ritrovare anche la complessa vicenda del welfare del nostro Paese, e del posto (tendenzialmente marginale) che è stato riservato in esso alla famiglia, alle sua capacità di resistenza e soprattutto al suo sostegno.

Un secondo buon motivo per dedicare attenzione a queste pagine è la scelta progettuale e culturale della curatrice di questo grande lavoro di riflessività di non parlare della famiglia in generale, ma di concentrare l’attenzione in modo particolare (anche se non esclusivo) sulla relazione di coppia. Questa scelta è evidentemente legata anche alla storia stessa raccontata in queste pagine: fin dall’inizio chi voleva fare consulenza familiare si trovò a fare i conti con il luogo sorgivo della famiglia, vale a dire con il rapporto di coppia, e quindi l’intervento di aiuto, laddove necessario, non poteva non partire proprio da lì, dall’origine.

Questo non significa che la famiglia si esaurisca nella coppia, e il volume ben descrive questa multidimensionalità del familiare. Ma è utile ricordare che sono prima di tutti i due “compagni di viaggio” che devono rimettersi in gioco, anche quando il problema sembra essere il disagio di un figlio adolescente, e la fatica di mantenere le relazioni con i suoceri, o la necessità di affrontare fragilità di personalità di un membro della coppia stessa o della famiglia (continua).

L’intervento della professoressa Eugenia Scabini ha messo a fuoco in un primo tempo le principali trasformazioni che segnano oggi culturalmente la relazione di coppia e la relazione genitori/figli, entrambe fortemente centrate sul versante emotivo/affettivo e poco sensibili agli aspetti “etici”, di senso e responsabilità del legame.

In una seconda parte verranno illustrati i fondamenti e i compiti di sviluppo della relazione di coppia e della relazione genitori/figli alla luce del modello relazionale simbolico elaborato da Scabini e Cigoli.

Costruire il patto coniugale nelle sue componenti etico-affettive e saperlo rilanciare nei vari passaggi critici della vita è il compito permanente della relazione di coppia.

Prendersi cura dei figli adeguandosi alle varie fasi del loro sviluppo e saper trasmettere il patrimonio affettivo ed etico della linea paterna e materna è il compito impegnativo della coppia genitoriale.

Riuscire in questa impresa rappresenta la sfida della generatività

https://www.youtube.com/watch?v=54GmGALb9EQ&feature=youtu.be

La consulenza a genitori in fase neonatale. Paola Marozzi Bonzi

La consulenza ai genitori di figli piccoli. Elisabetta Baldo

La consulenza a genitori di adolescenti. Raffaello Rossi

La consulenza a genitori adottivi. Alice Calori

La consulenza a genitori separati. Patrizia Margiotta

La consulenza a genitori con figli emancipati e ai nonni. Rita Roberto

http://ilconsulente36.blogspot.it

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CONSULTORI FAMILIARI

Convegno “Il ruolo del Consultorio Familiare in una società che cambia”

Roma, 21 novembre 2017 ore 9-18 Ministero della Salute, viale G. Ribotta n.5, Auditorium Biagio d’Alba

I Consultori Familiari (CF), istituiti con legge nazionale 405/1975, costituiscono un esempio unico di servizio multidisciplinare a tutela della salute della donna, dell’età evolutiva e delle relazioni di coppia e familiari. Attraverso l’integrazione di attività socio-sanitarie di base, si connotano come servizi fortemente orientati ad attività di prevenzione e di promozione della salute.

Nonostante la riconosciuta validità dei loro principi costitutivi, caratterizzati da un approccio olistico, multidisciplinare e non direttivo, l’implementazione dei CF nel corso dei decenni ha seguito un percorso non lineare ed è stata disomogenea sul territorio nazionale.

I CF, concepiti sin dalla loro istituzione nel 1975 come servizi facilmente accessibili e capaci di entrare in relazione con le diverse tipologie di utenti, comprese quelle che esprimono un disagio sociale o una specifica fragilità come i migranti o gli adolescenti, devono fronteggiare oggi nuovi bisogni emergenti in una società in continua trasformazione dal punto di vista socio-culturale dove la struttura stessa della famiglia risulta cambiata.

Il convegno ha l’obiettivo di avviare una riflessione sul ruolo del consultorio e delle sue modalità operative nel contesto delle nuove esigenze di salute, in considerazione dei mutamenti sociali e demografici e delle realtà multietniche e multiculturali in cui il Consultorio si trova ad agire, specialmente se attivo nelle periferie delle grandi aree urbane. Il Focus del convegno verterà in primo luogo sulla salute della donna come fattore di salute della famiglia e della società e a partire da questa prospettiva approfondirà ambiti di particolare criticità di grande importanza sia sotto il profilo della rilevanza sociale, sia sotto il profilo della loro prevalenza e urgenza.

Gli obiettivi formativi del convegno sono:

  • Identificare e descrivere i cambiamenti sociali, demografici e culturali che concorrono a determinare la salute della donna e il benessere psico-fisico e relazionale del nucleo familiare

  • Prospettare gli scenari e delineare i percorsi per l’attività dei Consultori Familiari nell’ottica della crescente necessità di integrazione tra i servizi socio-sanitari

  • Favorire il confronto tra le esperienze e le professionalità di operatori così da individuare modelli organizzativi e itinerari formativi che possano essere validamente estesi agli altri Consultori.

Il convegno è rivolto a quanti operano nel settore socio-sanitario, e particolarmente agli operatori consultoriali, e prevede 4 workshop paralleli, anche al fine di favorire il confronto tra le esperienze e le professionalità degli operatori, quale momento di riflessione e confronto costruttivo tra gli operatori dei servizi per individuare strumenti e azioni per rispondere alle necessità emergenti sui seguenti temi:

  • Salute riproduttiva e percorso nascita

  • Lavorare con le nuove generazioni

  • Crisi della coppia e sostegno alla genitorialità

  • Famiglie multiculturali e sostegno alle donne immigrate.

Oltre al ruolo di prevenzione ed educazione svolto dai consultori, ci si soffermerà a riflettere sulla possibilità che il Consultorio funga da importante soggetto di raccordo all’interno del territorio in un contesto di medicina di iniziativa e di sviluppo della rete dei servizi territoriali, così da individuare modelli organizzativi e itinerari formativi che possano essere validamente di stimolo anche ad altre realtà consultoriali.

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Programma

I Sessione. Modera: mons. Andrea Manto, vicario di Roma.

  • Lettura “Salute della donna, salute della famiglia, salute della societàGiovanni Scambia, UCSC

  • Il Consultorio Familiare è ancora utile per la salute pubblica?

  • Giorgio Bartolomei, consultorio familiare CFC Al Quadraro-Roma

  • Serena Battilomo, Ministero della Salute, direzione della Prevenzione sanitaria

  • Angela Spinelli, Istituto superiore di sanità

  • Maria Vicario, Federazione collegi ostetriche

  • Workshop paralleli di confronto tra operatori dei servizi

Strumenti e azioni per rispondere a necessità emergenze su

  1. Salute riproduttiva e percorso nascita. Coluzzi Maria Lisa, Federazione collegi ostetriche,

Simona Marocchini, consultorio familiare CFC Al Quadraro-Roma,

Susanna Pazienza, consultorio familiare CFC Al Quadraro-Roma,

Marina Toschi, UOS lago Trasimeno Servizi consultoriali, Asl Umbria 1

  1. Lavorare con le nuove generazioni. Giuseppina Adorno, consultorio adolescenti,ASL Roma 1,

Alfredo p. Feretti, consultorio familiare UCIPEM La famiglia Roma,

Maria Rosa Giolito, coordinatricecc. ff. Regione Piemonte,

  1. Crisi della coppia e sostegno alla genitorialità. Benedetta Carminati, consultorio familiare CFC UCSC,

Paola Cavacorta, consultorio familiare CFC UCSC,

Ermes Luparia, Centro per la promozione della famiglia AS,

Loredana Masi, UOS consultori familiariASL Roma 5.

  1. Famiglie multiculturali e sostegno alle donne immigrate. Francesca Cappello, coordinatricecc.ff. Reg. Sicilia,

Salvatore Geraci, Caritas Roma,

Lourdes Landeo, Caritas Roma.

Chiara Magliano, Fatebenefratelli s.Giovanni Calibita

Antonietta Valente, c. f. Pomezia, ASL Roma 6

II Sessione. Resoconto e dibattito in plenaria sui risultati dei Workshop.

Moderano: Giorgio Bartolomei, Serena Battilomo, Angela Spinelli, Maria Vicario.

  • Tavola rotonda: Quali strategie per il futuro del Consultorio nelle politiche per la salute della famiglia?

Modera: Enrico Negrotti, “Avvenire

  • Beatrice Lorenzin, Ministra della Salute

  • Walter Ricciardi, Istituto superiore di sanità

  • Antonio Saitta, Conferenza Stato Regioni

  • Rocco Bellantone, UCSC facoltà di medicina e chirurgia

  • Mons. Andrea Manto, vicario di Roma.

  • Test finale ECM.

  • Conclusioni

La domanda di partecipazione deve essere debitamente compilata, stampata, firmata e inviata via fax al numero 06 4990.4110, oppure digitalizzata e inviata per e-mail all’indirizzo sabrina.sipone@iss.itentro il 13 novembre 2017.

www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_2_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=eventi&p=daeventi&id=493

{Non vi è alcun accenno per aggiornare\modificare la Legge 405 del 29 luglio 1975 (42 anni fa) “Istituzione dei consultori familiari”. Il prof. Paolo Benciolini, per conto e a nome dell’UCIPEM aveva presentato un testo alla 2° conferenza nazionale della famiglia (Milano 9/11/2010) nell’ambito del secondo gruppo: “famiglia, accoglienza della vita e servizi consultoriali”. Ndr}

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Mantova. Etica, Salute & Famiglia – ottobre 2017

E’ il periodico a cura del Consultorio e dell’Associazione Virgiliana di Bioetica

  • Armando Savignano – Regno Unito, primo paese a permettere la fecondazione con tre genitori. Interrogativi morali.

  • Aldo Basso – Educazione ecologica in prospettiva cristiana.

  • Anna Orlandi Pincella – Le Madri Contadine: gravidanze e parti.

  • Alessandra Venegoni – pavimento pelvico: questo sconosciuto!

  • Giuseppe Cesa – “Centro di gravità permanente”.

  • Gabrio Zacchè – Amazing Grace.

www.consultorioucipemmantova.it/consultorio/index.php/pubblicazioni/etica-salute-famiglia/117-etica-salute-famiglia-ottobre-2017

 

Parma. Famiglia più. Gruppi di incontro per persone in lutto e per interrompere il ciclo del bullismo.

  • Tu che mi manchi, tu che mi sorridi. Gruppo di incontro per persone in lutto. Quarta edizione.

La lenta e faticosa elaborazione del lutto per la perdita di una persona cara è un processo squisitamente personale che può manifestarsi in modo del tutto diverso a partire dal “modo di essere” di chi lo vive. Ciò nonostante il confrontarsi con chi fa esperienza dello stesso vissuto di perdita può aiutare a sviluppare una maggiore autoconsapevolezza e ridurre il sentimento di solitudine.

Scopo del gruppo: offrire a chiunque un luogo protetto e non giudicante in cui approfondire, legittimare ed elaborare i propri vissuti di fronte a Perdite più o meno recenti.

Il gruppo, a numero chiuso, si articolerà in cinque incontri a cadenza settimanale a partire da venerdì 10 novembre 2017, presso la sede del Consultorio Famiglia Più. Le iscrizioni dovranno pervenire entro martedì 7 novembre 2017.

Conduttore: dr Cecilia Sivelli, psicologa psicoterapeuta, si occupa di accompagnamento alla morte e supporto al lutto a Parma e presso l’Azienda Ospedaliera di Cremona.

www.famigliapiu.it/FamPiu2017.html#Lutto4

  • Spazio ascolto bullismo. Per ragazzi e ragazze che vivono un’esperienza di bullismo, per genitori, amici, insegnanti, allenatori che osservano atti di bullismo e che desiderano capire e cambiare la situazione. Il bullismo è un insieme di comportamenti, ripetuti nel tempo, compiuti da un individuo o un gruppo nei confronti di qualcuno considerato più debole, che vanno dall’offesa verbale alla minaccia, dalla esclusione dal gruppo alla maldicenza, dall’appropriazione di oggetti …fino a picchiare o costringere la vittima a fare qualcosa contro la propria volontà. Può essere fisico, psicologico, verbale, o attraverso chat, video che vengono diffusi. Il bullo è spesso, a sua volta, una persona ferita.

La consulenza è gratuita e svolta da psicologi dell’Associazione

www.famigliapiu.it

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DALLA NAVATA

XXX domenica del tempo ordinario – Anno A – 29 ottobre 2017

Esodo 22, 20 Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto.

Salmo 18, 04 Invoco il Signore, degno di lode, e sarò salvato dai miei nemici.

1 Tessalonicesi 01, 05 Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene.

Matteo 22, 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti.

 

Il comandamento più grande. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose

Nel brano evangelico odierno leggiamo la terza controversia di Gesù a Gerusalemme. Questa volta sono i farisei i quali, avendo constatato che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, lo mettono alla prova, tentano un’altra volta di coglierlo in fallo attraverso uno dei loro esperti della Torah. La domanda che costui pone a Gesù esprime una preoccupazione frequente da parte della tradizione rabbinica del tempo. Se infatti è vero che le parole, i comandamenti per eccellenza di Dio erano dieci (cf. Es 20,1-17; Dt 5,6-21), tuttavia i precetti contenuti nella Torah erano moltissimi, 613 secondo la tradizione dei maestri. Ma tra tanti comandi ve n’era uno più importante degli altri, uno che potesse essere di orientamento per il credente che voleva compiere la volontà di Dio?

Gesù, quale rabbi conoscitore della Torah, e soprattutto esercitato nella preghiera del suo popolo, risponde citando lo Shema‘Jisra’el (cf. Dt 6,4-9), ossia la grande professione di fede nel Signore Dio ripetuta due volte al giorno dal credente ebreo, che si apre con queste parole: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore” (Dt 6,4). Questa preghiera, che per la tradizione ebraica è la preghiera per eccellenza, proclama innanzitutto che Dio è uno e unico, e che ascoltare lui, conoscerlo grazie alla rivelazione, significa aderire a lui e amarlo con tutto il cuore, con tutta la vita, con tutta la mente. La dinamica è chiara: dall’ascolto alla fede, dalla fede alla conoscenza, dalla conoscenza all’amore.

Ma cosa significa questo comando di amare Dio? Come si può amare un Dio che non si vede, che non parla le lingue umane, la cui presenza è elusiva? Questa è una domanda sempre attuale, una domanda che ognuno di noi deve porre a se stesso per discernere se è nella fede (cf. 2Cor 13,5) e se “dimora nell’amore” (1Gv 4,16). Perché amare Dio può anche essere una nostra volontà di amore verso una realtà che noi chiamiamo Dio ma che in realtà è un idolo, una proiezione umana, un nostro manufatto tanto più amato quanto più è opera nostra. Abbiamo noi umani la possibilità di valutare il nostro amore per Dio? Non può bastare, infatti, coltivare o fare esperienza di un forte desiderio, di una nostalgia di colui che chiamiamo Dio… Proprio per questo, il nostro amore per Dio può nascere solo dall’averlo prima ascoltato. Ecco il primato dell’ascolto, espresso dalla prima parola dello Shema‘: “Ascolta!”. È ascoltando Dio, rinnovando l’atteggiamento di chi riceve e accoglie la sua parola, che possiamo rinunciare alle immagini di Dio che ci siamo fatti e invece accogliere da lui la conoscenza del suo volto, perché egli stesso alza per noi il velo.

Conosciamo bene, d’altra parte, come l’amore per Dio è cantato dal credente: “Io ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia rupe, mia difesa, mio liberatore, Dio mio, roccia su cui mi rifugio, mio scudo, mia forza di salvezza, mio baluardo” (Sal 18,2-3); “O Dio, dall’aurora io ti cerco, il mio essere ha sete di te” (Sal 63,2), ecc. Il linguaggio dell’amore umano può esprimere il nostro amore per Dio, ma in realtà ciò non è sufficiente per verificare la verità del nostro amore. Per amare veramente il Dio vivente, è assolutamente necessario fare, vivere ciò che egli vuole. Non c’è possibilità di un amore di desiderio senza che tale amore sia fame di compiere la volontà di Dio. Sono ancora i salmi ad aiutarci: “Ecco, Signore, il mio impegno: custodire, cioè fare, i tuoi precetti” (Sal 119,56); “Io cerco i tuoi precetti” (Sal 119,94); “Tu sai che io amo i tuoi precetti, Signore” (Sal 119,159)… Ce lo ripete anche l’apostolo Giovanni, attestando queste parole di Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23); “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore” (Gv 15,10). Dunque, amare Dio senza limiti, cioè con tutto il cuore, con tutta la vita, con tutta la mente, significa entrare in una conoscenza che può anche essere passionale, penetrante, folle d’amore, ma va sempre vissuta come ascolto e realizzazione della sua volontà. Occorre per questo aver conosciuto l’amore di Dio su di noi, il suo amore preveniente, mai meritato: di conseguenza, lo si ama come risposta a tale amore, come obbedienza non derivante da una legge ma dalla contemplazione del volto di colui che “è Amore” (agápe: 1Gv 4,8.16).

Proprio perché l’amore per Dio è realizzare la sua volontà, l’amore per il prossimo è un comando che ne deriva direttamente. In ogni cultura della terra si è formulata la regola della realizzazione dell’amore per il prossimo anche da parte di chi non conosce Dio e non lo confessa. “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18): questo era un precetto dato da Dio a Israele, ma Gesù lo pone accanto al primo comando, come simile (homoíos) a quello dell’ascolto e dell’amore per Dio. Potremmo dire che la fede in Dio agisce nell’amore per il prossimo, per colui che rendiamo vicino, che decidiamo di amare quando lo incontriamo (cf. Lc 10,29-37). L’amore del prossimo non è teorico, non è amore in generale per tutta l’umanità, ma è concreto, e la sua forma la dobbiamo decidere ogni volta in modo intelligente e creativo, come richiede l’amore vero, autentico per l’altro. La regola d’oro, “Fa’ agli altri ciò che vuoi sia fatto a te” (cf. Mt 7,12; ma è attestata anche nella sapienza delle genti), chiede poi a ciascuno di determinare ciò che deve essere fatto come “amore efficace”, assumendo la responsabilità dell’amore e anche dei possibili errori in questo cammino. Errori che però mai saranno gravi come il peccato di omissione, di non fare nulla per amare…

A questo punto Matteo, e solo lui, riporta le parole di Gesù: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”, mentre secondo MarcoGesù dichiara: “Non c’è altro comandamento più grande di questi” (Mc 12,31). E così, secondo Matteo, questo due comandi, letti insieme, diventano ricapitolazione di tutta la Legge (cf. Rm 13,8-10; Gal 5,14; Gc 2,8), mentre il primo da solo non è sufficiente a sintetizzarla.

Purtroppo noi contrapponiamo facilmente i due comandamenti o li mettiamo in concorrenza, ma guai a chi attua mefitiche distinzioni! Noi umani abbiamo un solo modo di amare in verità, e l’amore per il prossimo è il criterio per verificare il nostro amore per Dio. Lo esprimerà mirabilmente ancora l’apostolo Giovanni: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). E potremmo anche parafrasare: chi non sa ascoltare il fratello che vede, non può ascoltare Dio che non vede; chi non sa fare fiducia al fratello che vede, non può fare fiducia a Dio che non vede!

Questo vangelo dovrebbe risuonare ai nostri orecchi non come un testo conosciuto e talmente ripetuto che supponiamo di averlo capito una volta per sempre, ma dovrebbe essere un’occasione per esaminare ogni giorno la nostra capacità di amare Dio e il prossimo. “Tu amerai”: in questa espressione sta tutta la nostra vocazione, tutto ciò che quotidianamente possiamo e dobbiamo cercare di vivere. “Tu amerai”… Per questo Agostino può commentare: “L’amore di Dio è primo nell’ordine dei precetti, l’amore del prossimo è primo nell’ordine della prassi … Amando il prossimo rendi puro il tuo sguardo per poter vedere Dio” (Commento al vangelo secondo Giovanni 17,8).

A conclusione di questa lettura, vorrei far notare che l’ultima parola detta da Gesù ai farisei: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”, può essere colta in altra forma negli insegnamenti dell’Apostolo Paolo. È vero che per lui tutta la Legge e i Profeti sono riassunti nel comando dell’amore del prossimo, ma chi agisce in questo modo è “il giusto” che “per fede vivrà” (Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38; Ab 2,4), dove la fede è operosa e mai contraddice l’amore. È significativo che, con un ragionamento parallelo, i rabbini arrivassero a dire: Rabbi Simlaj disse: “Sul monte Sinai a Mosè sono stati enunciati 613 comandamenti: 365 negativi, corrispondenti al numero dei giorni dell’anno solare, e 248 positivi, corrispondenti al numero degli organi del corpo umano … Poi venne David, che ridusse questi comandamenti a 11, come sta scritto [nel Sal 15] … Poi venne Isaia che li ridusse a 6, come sta scritto [in Is 33,15-16] … Poi venne Michea che li ridusse a 3, come sta scritto: ‘Che cosa ti chiede il Signore, se di non praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio?’ (Mi 6,8) … Poi venne ancora Isaia e li ridusse a 2, come sta scritto: ‘Così dice il Signore: Osservate il diritto e praticate la giustizia’ (Is 56,1) … Infine venne Abacuc e ridusse i comandamenti a uno solo, come sta scritto: ‘Il giusto per fede vivrà’ (Ab 2,4)” (Talmud di Babilonia, Makkot 24a).

Infine, non si dimentichi il “comandamento nuovo” dato da Gesù ai suoi discepoli nel vangelo secondo Giovanni: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 13,34; 15,12). Gesù non dice: “Come io ho amato voi, così voi amate me”, in una simmetria responsoriale, ma dà il comando di un amore diffusivo: l’amore del Signore per noi ci abilita ad amare gli altri del suo stesso amore, fino a dare la vita per loro.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11899-il-comandamento-piu-grande

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ETS (già ONLUS) NON PROFIT

Il Codice del Terzo settore entrerà in vigore entro un anno dall’emanazione del decreto.

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/08/2/17G00128/sg

Il Codice del Terzo Settore, introdotto con il D.Lgs del 3 luglio 2017 n. 117 pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 2 agosto, si propone di fare ordine nel mondo delle organizzazioni non profit, sino ad ora disciplinato da una disciplina frammentata e disorganica. Se pur la riforma sia ritenuta dagli esperti del settore “epocale e necessaria”, dato che sposta il Terzo settore da una posizione residuale ad una normativamente disciplinata all’interno di uno specifico Codice, per la sua piena attuazione si dovrà attendere l’emanazione di circa quarantadue decreti attuativi.

Ma facciamo chiarezza sul punto al fine di cercare di fornire una risposta all’importante domanda: quando dovranno ritenersi concretamente in vigore le disposizioni fiscali introdotte dal D. Lgs. 117/2017?

Dall’analisi del testo del Codice è possibile reperire una prima informazione sul tema, ossia che le disposizioni di cui al Titolo X inerenti al regime fiscale degli enti del Terzo settore, si applicano agli ETS iscritti al Registro unico nazionale (ex art. artt. 11 e 53), dal periodo d’imposta successivo all’autorizzazione della Commissione Europea e comunque non prima del periodo d’imposta successivo all’operatività del Registro unico nazionale.

Infatti, l’art 53 Codice del terzo Settore prevede che la procedura di iscrizione al Registro unico nazionale sia resa obbligatoria entro un anno dall’entrata in vigore del D.Lgs. 117/2017, ossia entro il 3 agosto 2018.

Sono inoltre riconosciuti alle regioni:

  • 180 giorni, dalla data di cui sopra, per adottare i procedimenti di iscrizione; prorogando così il termine al 30 gennaio 2019;

  • Un ulteriore periodo di 6 mesi, dalla predisposizione della struttura informatica, per dare operatività effettiva allo strumento del Registro.

Quanto detto, sposta così la data di entrata in vigore delle disposizioni fiscali relative agli ETS, pressappoco al periodo d’imposta 2020

Fisco e tasse 27 ottobre 2017

www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/24180-codice-del-terzo-settore-entrata-in-vigore-delle-novit-fiscali.html

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Intervista. Renzi: insisto sul bonus stavolta per tutti i minori. Estratto

Il segretario “lascia” la stretta attualità e guarda avanti. (…). E alle misure con cui ridare forza all’Italia. Una è nella testa del segretario. Una più di tutte le altre: «Abbiamo fatto poco per le famiglie. Dobbiamo fare di più. Mille euro netti all’anno per tutti i ragazzi under 18. Un bonus di ottanta euro al mese, una misura universale per i figli. La chiamerei la via italiana al quoziente familiare».

Si sente di prendere un impegno forte?

Sarà la prima misura della prossima legislatura. Abbiamo già fatto simulazioni, abbiamo già chiari i conti. Restano da definire i dettagli. Sarà anche una sfida alla politica: il “mio” Pd non sta a discutere di galateo istituzionale, si concentra sui temi concreti. Ecco il punto: io voglio allargare il meccanismo degli 80 euro al mese, Salvini e Di Maio vorrebbero eliminarlo.

Il bonus per i figli è la proposta del senatore dem Lepri?

Io penso a una misura simile ma più semplice, facilmente comprensibile: bonus a tutti gli “under 18”, ma con un limite di reddito. Insomma, non sarà per i figli di Marchionne e di Elkann, ma per la gran parte delle famiglie italiane sì.

Ci saranno le coperture? Gli “under 18” in Italia sono 10 milioni e facendo due conti serviranno 10 miliardi.

Il Fiscal compact dovrà diventare un Social compact. Significa un’Europa che si occupa più della vita delle persone che della finanza.

Il bonus per i figli è un passo. Ci sono altre misure allo studio?

Va studiato un meccanismo di detrazione fiscale per chi tiene in casa un anziano non autosufficiente. Uno sgravio forte, molto forte; oppure una sorta di “bonus badanti”. Sono due priorità diverse, legate a due emergenze.

Parleranno di mancia elettorale…

Non è così. Mi attaccheranno anche su questo, ma io andrò dritto. Ho un disegno per l’Italia. E penso che sia giusto fissare nuovi diritti, ma anche mettere in chiaro i nuovi doveri. Penso al servizio civile obbligatorio almeno per un mese.

Tra i diritti c’è anche la cittadinanza ai minori residenti in Italia. La legge passerà con un voto di fiducia?

Se Gentiloni chiederà di mettere la fiducia, sono dalla sua parte. Se non la chiede, non ci sfileremo dal nostro premier. (…)

Arturo Celletti ed Eugenio Fatigante Avvenire 23 ottobre 2017

www.avvenire.it/attualita/pagine/renzi-nessun-problema-se-resta-visco

 

Forum delle famiglie. Il bonus di Renzi? «Non è il Fattore famiglia ma apre dibattito»

Dopo la proposta formulata da Renzi nell’intervista ad Avvenire, De Palo ribadisce che la strada da percorrere è il Fattore famiglia perché incide sul sistema fiscale

Non è certo il Fattore famiglia, perché non incide sul sistema fiscale, insistendo sulla logica dei bonus. Ma la proposta formulata da Matteo Renzi nell’intervista ad Avvenire, è comunque un elemento positivo che rilancia il dibattito sulla famiglia. Dibattito che Gianluigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari, sta conducendo con tutti i partiti. In vista di un incontro pre-elettorale a gennaio sui temi della famiglia con tutti i segretari delle forze politiche.

Cosa ne pensate di questa misura che il segretario dem annuncia come ‘la via italiana’ al quoziente familiare?

La via italiana al quoziente familiare è il Fattore famiglia che il Forum propone da sette anni. Questa di Renzi può essere un’altra soluzione. Non va, infatti, ad intaccare i meccanismi della fiscalità. Piuttosto va a dare degli assegni universali, come accade in tanti Paesi. Perciò è improprio parlare di ‘via italiana’ al quoziente.

Questi 80 euro mensili sarebbero in più rispetto al meccanismo detrazioni.

Questa è la domanda che ci poniamo. Sono in più rispetto ai vari bonus bebè, mamma, nido, e gli altri che ci sono? Oppure sono in sostituzione? Nel primo caso avrebbe un senso. Ma ci chiediamo come mai, fatti i conti e trovati 8 miliardi, non si inizi invece con un primo step, anche sostanzioso, del Fattore famiglia, che va a dare una risposta più ampia. Nel secondo caso, invece, tanto varrebbe mantenere la proposta Lepri, che dà 150 euro a figlio fino a 25 anni e 200 da zero a tre. In qualsiasi caso occorre andare oltre la logica dei bonus per cercare di dare una risposta strutturale che resti nel tempo.

È comunque un segnale positivo?

La cosa interessante è che si apra un dibattito. Lo fa il segretario di uno dei partiti più grandi. Ne siamo contenti. Poi spero che la proposta finale sia frutto dei dialoghi e dei contatti che stiamo avendo con tutti i partiti. Mi meraviglio che questo dibattito sul futuro del Paese interessi molto poco la politica.

Molti leggeranno prese di posizione come questa in chiave elettoralistica.

In realtà secondo me sono i primi frutti della Conferenza nazionale sulla famiglia, che è stata un’occasione per rimettere al centro del dibattito in vista delle prossime elezioni la famiglia, anche se le risposte dalla politica sono state blande e adesso vedremo cosa ci sarà nella legge di stabilità. Nei giorni scorsi abbiamo incontrato Giorgia Meloni e Maurizio Lupi. Prossimamente dovremmo incontrare Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Speriamo in una risposta positiva anche da parte di Luigi Di Maio. Abbiamo intenzione di fare un evento, prima delle elezioni, con i segretari dei partiti. L’obiettivo è quello di fare in modo che nei programmi per il governo la prima misura sarà di attenzione a una riforma delle politiche familiari. Perché la famiglia, così come la natalità, non è ‘un’ tema, ma ‘il’ tema. Riusciremo per una volta a trovare un punto dove siamo tutti d’accordo?

Che risposte state avendo sul Fattore famiglia?

È apprezzato da destra e sinistra. A noi, comunque, non interessa tanto difendere il Fattore come una bandiera, ma la famiglia. Se dal confronto con partiti e pezzi di società civile uscisse una proposta migliore, ben venga. Ci interessa che i giovani possano sposarsi e che le famiglie già esistenti possano vivere dignitosamente e venga riconosciuto il loro ruolo. Tra l’altro, sempre grazie alla Conferenza, stiamo incontrando anche pezzi di mondo con i quali non avevamo mai dialogato: sindacati, banche, imprese. Infatti, siamo convinti che non basti una riforma fiscale, ma occorre che tutti i pezzi della società cooperino a rendere questo paese sempre più a misura di famiglia. Tocca ai cattolici rammendare questo Paese ancora troppo sfilacciato e diviso.

Gianni Santamaria Avvenire 25 ottobre 2017

www.avvenire.it/attualita/pagine/il-bonus-non-tocca-il-fisco-ma-renzi-apre-il-dibattito

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HUMANÆ VITÆ

Bettazzi. Anche per Humanæ vitæ è ora di attuare il Concilio

http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html

La decisione di Paolo VI fu tormentata. Temeva di non essere compreso e scelse il rigore. Mezzo secolo dopo è forse arrivato il momento di ripensare alle conclusioni indicate da Paolo VI nell’Humanæ vitæe di “scongelare”, come sta tentano di fare Francesco, l’eredità del Vaticano II. Lo afferma il vescovo emerito di Ivrea, Luigi Bettazzi, 94 anni il prossimo novembre. È l’unico vescovo italiano presente al Concilio Vaticano II oggi vivente, ultimo testimone del Concilio.

Che rapporto c’è tra la teologia di Humanæ vitæ e quella espressa dal Vaticano II?

Era uno dei temi che Paolo VI si era riservato. Al Concilio non fu possibile parlare di contraccezione. Com’è noto della questione si occupò una commissione. Il Papa ne allargò la partecipazione e poi sposò la tesi della minoranza.

Perché questa scelta?

Pensava che forse, lasciando la possibilità di discutere il tema al Concilio, sarebbe uscita una linea che non condivideva. Sul piano provvidenziale non riteneva che fosse opportuno aprire modifiche alla teologia consolidata. Ora, cinquant’anni dopo, può darsi invece che sia arrivato il momento di ripensare la questione. Ma affermare questo oggi, non vuol dire concludere che allora la decisione di Paolo VI non fu chiara.

Fu comunque tormentata. La stessa scelta di aprire un supplemento di indagini dopo l’esito della commissione, non dimostra che il Papa stesso soppesò a lungo la questione?

Non poteva che essere così. Sapeva che sia la maggioranza dei padri conciliari, sia della commissione di esperti, propendeva per un parere più sfumato rispetto al “no” che poi sarebbe arrivato nell’Humanæ vitæ. Per questo venne contestato sia da molti teologi sia da tante conferenze episcopali.

Da dove nascevano le sue incertezze?

Temeva di non essere compreso. La Chiesa non ama i balzi in avanti. Nella storia è sempre stato così. Nell’Ottocento si aveva paura della democrazia. Cinquant’anni fa Paolo VI si convinse di non poter venire meno al rigore dottrinale sui temi della generazione. Oggi forse è arrivato il momento di ascoltare Giovanni XXIII: non è il Vangelo che cambia, siamo noi che con il trascorrere degli anni, riusciamo a capirlo sempre meglio. E quindi non sono le dottrine a cambiare, siamo noi che riusciamo a comprenderne sempre meglio il significato leggendole alla luce dei segni dei tempi.

Oggi la situazione sociale è profondamente diversa e anche la riflessione teologica è andata molto avanti. Amoris lætitia esprime questo cambio di prospettive.

Sì, perché riprende il Vaticano II. Non era facile a quei tempi affermare che nel matrimonio quello che conta è l’amore degli sposi e poi c’è la procreazione. Non che non sia importante. Ma al primo posto c’è l’amore coniugale. Era una posizione molto avanzata.

Quando pesarono in quella scelta i pareri di chi consigliava Paolo VI di non staccarsi dalla tradizione?

L’enciclica venne firmata da lui e quindi dobbiamo pensare che la decisione fu sua. Forse non vedeva chiaramente gli esiti di una decisione diversa. Forse arrivarono pressioni importanti. Ma non possiamo mettere in discussione il fatto che fu lui a decidere. Certo, i tormenti ci furono. E anche le sollecitazioni. La posizione rigorosa del cardinale Ottaviani e dell’allora Sant’Uffizio non è un mistero.

È vero che di fronte al dilagare delle proteste, Paolo VI avrebbe voluto tornare sulla questione?

Questo non saprei dirlo. Certo, l’attuazione del Concilio era un tema che lo preoccupava molto. In un senso e nell’altro. Ci teneva, ma lo portava avanti con molta prudenza. Tanto che il vescovo brasiliano Helder Camara scrisse in un suo libro di aver sollecitato più volte Paolo VI perché istituisse una commissione per l’attuazione del Concilio.

Perché questa esigenza?

Ma è chiaro. Camara, e tanti vescovi con lui, si chiedevano come sarebbe stato possibile lasciare l’attuazione del Concilio in mano a quelli che non l’avevano voluto.

E invece andò proprio così.

Purtroppo sì. Poi arrivò la rivoluzione del ’68, la Chiesa si spaventò ancora di più. E prevalsero i nemici del Concilio. Non che non ci fossero esagerazioni postconciliari da correggere. Ma invece di correggere, abbiamo congelato tutto. Con l’acqua sporca abbiamo buttato via anche il bambino.

Adesso però papa Francesco sta tentato l’operazione “scongelamento del Concilio”. Ci riuscirà?

Sì, ma deve farlo con prudenza. Perché come già aveva intuito Paolo VI, non bisogna sgomentare i fedeli più semplici. E anche quella parte della Chiesa dove la situazione sociale è diversa rispetto all’Occidente. Non è un caso che le resistenze più forti ad Amoris lætitia siano arrivate dall’Africa e dall’Europa dell’Est. E poi ci sono i tradizionalisti. Ma questo dura fin dai tempi del Vangelo. Gli oppositori di Gesù provenivano dall’area più intransigente, da coloro che guardavano alla lettera della religione, scribi e farisei. Oggi come allora, cambiare significa rinunciare a determinate posizioni, a una fetta del proprio potere, quello politico e quello ideologico. Pensarla diversamente è normale e anche giusto, ma il confronto deve avvenire nella carità, nel rispetto reciproco.

Gli attacchi che oggi vengono rivolti al Papa non sembrano proprio nel segno della carità.

No, infatti. Mi ha molto amareggiato l’uscita dei quattro cardinali con i Dubia. Si sono giustificati dicendo che inizialmente avevano scritto in privato. Ma nel momento in cui si esce pubblicamente, si tratta quasi di una sovrapposizione al potere del Papa. Certa gente è papista finché pensa che il Papa sia dalla loro parte.

Anche dopo Humanæ vitæ si visse questo clima di attacco al papa?

Sicuramente sì. Nella sostanza l’opposizione, anche da parte di intere conferenze episcopali, fu molto netta. Si pronunciarono per un’applicazione estensiva di Humanæ vitæpiù di 40 conferenze episcopali. Ma in modo rispettoso, non come gli attacchi che abbiamo visto in questi mesi contro Francesco. Allora la preoccupazione dei vescovi era di tipo interpretativo. Non volevano che i divieti mettessero in secondo piano il tema dell’amore nella coppia, che anche il Concilio aveva indicato come punto di svolta.

Luciano Moia Avvenire 30 ottobre 2017

www.avvenire.it/chiesa/pagine/anche-per-humanae-vitae-e-ora-di-attuare-il-concilio

 

Ma la dottrina è cambiata molte volte Da Pio XII e Giovanni Paolo II ecco i tanti esempi di rinnovamento

Bergoglio ha spiegato che «la dottrina non va conservata in naftalina» ma vivificata e tradotta nel cammino della Chiesa. Non potrebbe essere un suggerimento per Humanæ vitæ?

Tutto dipende da come si interpreta Humanæ vitæ». Così papa Francesco nel primo colloquio con padre Spadaro. Sappiamo come andò. Su quel “no” alla contraccezione, mezzo secolo fa, ci fu dissenso immediato da parte di 49 conferenze episcopali. La questione aveva agitato il Concilio con insanabili contrasti e Paolo VI avocò a se la materia. La Commissione di esperti, dopo 4 anni, offrì due risposte: una forte maggioranza sulla scia di Gaudium et Spes a favore della scelta di coscienza dei coniugi per il sì anche ai contraccettivi non abortivi. Contraria una stretta minoranza, fatti salvi i cosiddetti metodi naturali, vietati fino alla Casti Connubii di Pio XI (1931), ma dichiarati poi leciti da Pio XII nel novembre 1951. Quello fu vero cambiamento di dottrina.

La duplice risposta della Commissione e il rischio che Paolo VI accogliesse il parere della maggioranza scatenarono l’opposizione della Curia. Un piccolo gruppo di cardinali, guidati da Ottaviani e Ciappi, espresse al papa totale obiezione: aprire ai contraccettivi sarebbe stato scandalo assoluto e avrebbe smentito secoli di magistero. Così Paolo VI, pur con un’impostazione personalista che avrebbe giustificato anche una diversa conclusione, scelse il “no”, ma in coscienza non volle chiudere ogni alternativa e chiese che l’enciclica non fosse intesa come affermazione dottrinale definitiva. Per presentarla incaricò monsignor Ferdinando Lambruschini, ordinario di teologia morale al Laterano, di spiegare a suo nome che non si trattava di magistero né infallibile né irreformabile.

Alla pubblicazione il clamore fu enorme: proteste di episcopati, dissensi di teologi e comunità ecclesiali. Il ’68 toccò anche la Chiesa. Ma qui va ricordato che, pur addolorato, Paolo VI volle chiarire che non condannava ogni obiezione, e concluse la prima udienza dopo la pubblicazione dicendo che da parte sua benediceva chi l’aveva “accolta”, e anche chi l’aveva “criticata”. Se si fosse trattato di una dottrina di fede la cosa sarebbe risultata assurda.

Non basta: il 4 maggio 1970, parlando agli sposi delle Equipe Notre Dame, provenienti da ogni parte del mondo, raccomandò di non angosciarsi troppo sul problema dei “metodi”. Eppure milioni di coppie di fedeli preferirono allontanarsi dalla Chiesa e anche tanti teologi furono puniti ed emarginati in nome dell’obbligo dell’accettazione totale, “infallibilista”, della norma. Tra gli altri questa posizione costò cara a uomini di fede e sapienza come Dalmazio Mongillo, domenicano, cui fu impedita più volte l’elezione a rettore dell’Angelicum. Altre “vittime” furono don Enrico Chiavacci, ma anche padre Bernard Haering, redentorista e grande innovatore della teologia morale cattolica.

Che cosa dire dopo 50 anni? Se davvero «tutto dipende da come si interpreta l’Humanæ vitæ», allora non è scontato che «la dottrina non cambia mai». In ambito morale è evidente il contrario, su parecchi temi. Va ricordato il contributo altissimo dato alla possibile “evoluzione” – anche del “dogma” – dal beato Henry Newman. Per la morale sociale l’evoluzione storica è evidente, ma questo si è verificato anche nella morale della sessualità.

Per secoli sul tema ha pesato molto «l’ombra lunga» del pur grandissimo sant’Agostino, e poco la lucida e serena visione di san Tommaso, più volte citato Francesco in Amoris lætitia. Mi pare necessario, in tema di sessualità, citare per esempio la dottrina della «superiorità della verginità sul matrimonio». Pio XII nella Sacra Virginitas (1954, nn. 21 e 28) definiva «verità e dogma di fede la dottrina che afferma la superiorità della verginità e del celibato sul matrimonio». Eppure Giovanni Paolo II nell’udienza del 14 aprile 1982 dichiarò che «le parole di Cristo (Mt.19, 11-12 e I Corinzi 7) non forniscono motivo per sostenere né l’inferiorità del matrimonio, né la superiorità della verginità e del celibato». Difficile sostenere che non ci sia, qui, un cambiamento dottrinale.

Proprio di recente Francesco ha ricordato che la dottrina non va conservata come in “naftalina”, ma vivificata e tradotta senza tradimento nel cammino della Chiesa, e quindi anche della teologia. Può essere un bel suggerimento anche in vista del 50° anniversario di Humanæ vitæ, nel rispetto del passato, del presente e del futuro, alla luce dello Spirito Santo, che certo accompagna la Chiesa da sempre.

Gianni Gennari Avvenire 29 ottobre 2017

Rassegna stampa Scienza&Vita 29 ottobre 2017 www.scienzaevita.org/rassegna

file:///C:/Users/Giancarlo/Downloads/L.-Moia-Avvenire(1).pdf

 

Humanæ vitæ (25 luglio 1968)

§ 24. Vogliamo ora esprimere il nostro incoraggiamento agli uomini di scienza, i quali ” possono dare un grande contributo al bene del matrimonio e della famiglia e alla pace delle coscienze, se, unendo i loro studi, cercheranno di chiarire più a fondo le diverse condizioni che favoriscono una onesta regolazione della procreazione umana “.

È in particolare auspicabile che, secondo l’augurio formulato da Pio XII, la scienza medica riesca a dare una base sufficientemente sicura ad una regolazione delle nascite, fondata sull’osservanza dei ritmi naturali. Così gli uomini di scienza, e in modo speciale gli scienziati cattolici, contribuiranno a dimostrare con i fatti che, come la chiesa insegna, “non vi può essere vera contraddizione tra le leggi divine che reggono la trasmissione della vita e quelle che favoriscono un autentico amore coniugale”.

Concilio Vaticano II Gaudium et spes (7 dicembre 1965)

§ 50. I coniugi sappiano di essere cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla; ciò deve essere considerato come missione loro propria.

(…) Il matrimonio tuttavia non è stato istituito soltanto per la procreazione; il carattere stesso di alleanza indissolubile tra persone e il bene dei figli esigono che anche il mutuo amore dei coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità.

§ 51. Il Concilio sa che spesso i coniugi, che vogliono condurre armoniosamente la loro vita coniugale, sono ostacolati da alcune condizioni della vita di oggi, e possono trovare circostanze nelle quali non si può aumentare, almeno per un certo tempo, il numero dei figli; non senza difficoltà allora si può conservare la pratica di un amore fedele e la piena comunità di vita. Là dove, infatti, è interrotta l’intimità della vita coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli: allora corrono pericolo anche l’educazione dei figli e il coraggio di accettarne altri.

 

{Di fronti a situazioni con condizioni biologiche incerte, aspetti psicologici e sessuologi gravi come comportarsi? Il cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino, nell’autunno del 1968 disse ad alcuni operatori consultoriali eporediesi: gli sposi agiscano sempre nel rispetto della vita nascente e dell’armonia della loro vita coniugale. Ndr}

{Nel testo di Humanæ vitæ sul merito non vi sono citazioni e riferimenti alla Bibbia e tanto meno ai Vangeli. Il 9 aprile 1969 le Edizioni Dehoniane di Bologna pubblicarono “Humanæ vitæ e Magistero episcopale (34 dichiarazioni di Conferenze episcopali. Ndr}

 

Gregoriana e Angelicum: due opposte voci sull’Humanæ vitæ

Cinquant’anni fa, con l’enciclica Humanæ vitæ Paolo VI confermò in maniera vincolante la posizione della Chiesa sulla contraccezione. Nel documento pubblicato il 25 luglio 1968, il Papa ribadì che «è esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. (…) È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda».

L’enciclica di Paolo VI provocò le ire dei cattolici progressisti e liberali dell’epoca, capeggiati dal cardinale primate del Belgio Leo Suenens. La contestazione fu violenta e l’enciclica criticata da vescovi e teologi, fu disapplicata da larga parte del mondo cattolico. Giovanni Paolo II però confermò la dottrina enunciata dal suo predecessore e nell’enciclica Veritatis splendor proclamò l’esistenza di verità morali assolute, valide in ogni tempo e in ogni luogo, che a nessuno è lecito trasgredire.

Benedetto XVI, il 10 maggio 2008, affermò che a quarant’anni dalla sua pubblicazione, l’insegnamento dell’Humanæ vitæ «non solo manifesta immutata la sua verità, ma rivela anche la lungimiranza con la quale il problema venne affrontato». Questo insegnamento è destinato ad essere capovolto? In vista del cinquantesimo anniversario della Humanæ vitæ, papa Francesco ha nominato una commissione presieduta da mons. Gilfredo Marengo per «ricostruire, esaminando la documentazione conservata presso alcuni archivi della Santa Sede, l’iter compositivo dell’Enciclica, che si è sviluppato con fasi distinte dal giugno 1966 alla sua pubblicazione, il 25 luglio 1968».

Gli anni dal 1966 al 1968 furono quelli in cui la commissione pontificia nominata nel 1963 da Giovanni XXIII si orientò sempre più nettamente verso l’apertura alla contraccezione e cercò di convincere Paolo VI ad ammettere la liceità dell’interruzione delle nascite. Che senso la riesumazione di questi eventi, se non quello di una revisione, per fare dire all’ Humanæ vitæ il contrario di quanto essa allora stabilì? Il tentativo avviene attraverso la rilettura della Humanæ vitæ alla luce della Amoris lætitia, l’esortazione post-apostolica di papa Francesco che oggi viene presentata come un nuovo “paradigma morale”, destinato a modificare la dottrina dei Papi precedenti.

Per capire quale sarà la direzione dei novatori, basterà seguire il ciclo di lezioni su Il cammino della famiglia a cinquant’anni da Humanæ vitæ, inaugurato il 19 ottobre all’Università Gregoriana al fine di dare, come osserva Edward Pentin, un «new look» alla Humanæ vitæ. Secondo Emilia Palladino, uno dei sedici relatori che si alterneranno, in otto incontri, da ottobre 2017 a maggio 2018, il corso si propone di «capire come mettere in sintonia il quadro normativo di Humanæ vitæ con la tensione al rinnovamento alla luce del primato della coscienza che si respira in Amoris lætitia». La Palladino cita le parole di papa Francesco secondo cui «la Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare».

Il 14 dicembre 2017 Emilia Palladino discuterà sul tema Rileggere Humanæ vitæ (1968) a partire da Amoris lætitia (2016) con Maurizio Chiodi, teologo della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, lo stesso che nel suo libro Etica della vita apre all’ammissione della procreazione artificiale, se sorretta da una «intenzione generante». I personaggi che si confrontano e il tema dell’incontro già dicono tutto.

Sul fronte opposto, i cattolici fedeli al perenne insegnamento della Chiesa non indietreggiano, convinti che se la Chiesa potesse modificare ad libitum la sua morale, guiderebbe le anime non alla salvezza, ma verso il caos e la perdizione. Sabato 28 ottobre 2017, su iniziativa di Voice of the Family, un’organizzazione inglese che riunisce 25 associazioni pro-life internazionali, si riuniranno nell’aula magna della Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum) alcuni tra i più apprezzati studiosi e leader pro-life di tutto il mondo.

La perenne validità dell’insegnamento della Chiesa in materia di contraccezione e la denuncia degli errori opposti, sarà esposta da John Smeaton, Direttore della Society for the Protection of Unborn Children (UK); Roberto de Mattei, Presidente della Fondazione Lepanto; Josef Seifert, Fondatore e primo Rettore della International Academy of Philosophy; padre Serafino Lanzetta, dell’ Università di Lugano; don Shenan Boquet, Presidente di Human Life International; Jean Marie Le Méné, Presidente della Fondazione Lejeune; Thomas Ward, Fondatore e Presidente della National Association of Catholic Families; Philippe Schepens, Segretario Generale della World Federation of Doctors Who Respect Human Life; John-Henry Westen, Co-fondatore e Direttore di Life Site News. Il convegno sarà aperto dal cardinale Walter Brandmüller e concluso dall’arcivescovo Luigi Negri.

Ciò che è in gioco non sono le opinioni di due scuole di pensiero, ma i fondamenti della morale cattolica. L’incontro dell’Angelicum, idealmente opposto a quello della Gregoriana, è un importante evento in cui risuonerà in maniera chiara non solo la voce della famiglia, ma la voce della Chiesa, oggi così spesso offuscata e deformata

Emmanuele Barbieri Corrispondenza romana 25 ottobre 2017

www.corrispondenzaromana.it/gregoriana-angelicum-due-opposte-voci-sullhumanae-vitae

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MINORI

21mila minori in comunità, uno su due è straniero

L’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza ha presentato ieri il suo secondo monitoraggio sui minori fuori famiglia che vivono in strutture di accoglienza: i numeri parlano di un +9,3% rispetto al 2014. In arrivo le Linee di indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni. Cresce anche il numero di comunità attive, +5%

www.garanteinfanzia.org/content/la-tutela-dei-minorenni-comunit%C3%A0

Sono 21.035 in Italia i ragazzi che vivono fuori dalla propria famiglia di origine, ospiti delle 3.352 comunità sparse su tutto il territorio nazionale (dati al 31 dicembre 2015). Si tratta in prevalenza di maschi, di età compresa tra i 14 e i 17 anni. È la fotografia scattata dalla pubblicazione “La tutela dei minorenni in comunità”, la seconda raccolta dati sperimentale elaborata con le procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni e presentata ieri dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.

Le strutture di accoglienza ogni sei mesi inviano per legge informazioni alle procure minorili e proprio dall’elaborazione di questi dati deriva la pubblicazione odierna. I dati raccolti mettono a fuoco, oltre alla dimensione quantitativa, anche le principali caratteristiche qualitative dell’accoglienza in comunità.

«L’obiettivo della pubblicazione», spiega la Garante Filomena Albano, «è approfondire il tema dell’accoglienza dei minorenni che vivono fuori della famiglia di origine. Un lavoro complesso, che abbiamo potuto realizzare grazie alla preziosa collaborazione delle procure minorili, attraverso il quale è possibile tracciare una fotografia del fenomeno sufficientemente ampia e aggiornata. Le peculiari condizioni di vulnerabilità di questi ragazzi rappresentano un serio ‘fattore di rischio’ per lo sviluppo armonico della loro personalità, proprio per questo occorre tenere un occhio vigile, per poter garantire quanto più possibile l’eguaglianza dei diritti e delle opportunità».

Sono molteplici le ragioni che portano all’ingresso di una persona minore di età in una comunità. Si va dalle difficoltà educative della famiglia di origine legate a uno stato precario di salute psico-fisica, ai bambini e ragazzi vittime di abusi o maltrattamenti a quelli entrati nel circuito penale, senza tralasciare i minori che fuggono da guerre e povertà, giungendo nel nostro paese privi di adulti di riferimento e in condizioni di particolare fragilità. I bisogni di tutela che ruotano attorno all’accoglienza nelle comunità non si esauriscono nelle difficoltà che determinano l’ingresso nella struttura ma riguardano anche la fase di uscita dal percorso di accoglienza dei ragazzi divenuti maggiorenni: ancora una volta la Garante ha ricordato come sia necessario «impegnarci affinché il giorno del diciottesimo compleanno per questi ragazzi sia una data da festeggiare e non da temere in vista del rientro in una famiglia di origine che, il più delle volte non ha ancora colmato le riscontrate carenze, o di un repentino salto verso la dimensione di autonomia propria della vita adulta che, spesso, non si è ancora in grado di affrontare da soli».

Le tre criticità dell’accoglienza in comunità. Nel corso dell’osservazione sono emerse tre criticità, dice l’indagine.

  1. La prima è la presenza, sul territorio nazionale, di classificazioni differenti delle strutture residenziali per minori, cosa che rende arduo il confronto tra i dati esistenti e, conseguentemente, difficile il monitoraggio del fenomeno.

  2. Un secondo punto critico riguarda l’esigenza di definire a livello nazionale standard minimi e criteri comuni per le comunità che ospitano i minorenni: importanti passi avanti su questo fronte saranno compiuti con l’approvazione in Conferenza Stato-Regioni delle Linee di indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni, redatte nell’ambito di un tavolo istituzionale che ha visti coinvolti, oltre all’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della giustizia, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’ANCI, nonché membri esperti e coordinamenti nazionali.
 Ovviamente se ne auspica l’approvazione il prima possibile.

  3. La terza criticità è la mancanza di dati completi e aggiornati sui bambini e i ragazzi collocati nelle strutture residenziali: non esiste, infatti, un’anagrafe dei minori che vivono fuori dalla propria famiglia di origine condivisa fra le diverse istituzioni che se ne occupano e i dati più recenti relativi al fenomeno dei minorenni fuori dalla propria famiglia visto nel suo complesso risalgono al 31 dicembre 2012 (cfr rapporto “Affidamenti familiari e collocamenti in comunità”, realizzato dal Centro nazionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza).

www.vita.it/it/article/2015/03/03/litalia-non-sa-piu-farsi-carico-dellinfanzia-in-difficolta/129716

Le cifre dell’accoglienza in comunità. I numeri dell’accoglienza in comunità dei minorenni allontanati dalla propria famiglia d’origine al 31 dicembre 2015 mostrano una tendenza in aumento rispetto a quanto rilevato per l’anno precedente. In particolare, i minori di età presenti nelle strutture di tipo familiare sono 21.035. Si registra quindi un incremento percentuale del 9,3%, rispetto al dato rilevato al 31 dicembre 2014.

I neo- maggiorenni presenti nelle strutture al 31.12.2015 invece sono diminuiti: 1.940 rispetto ai 2.072 registrati nella precedente rilevazione. Quei 21mila e più minori in comunità rappresentano circa lo 0,2% dell’intera popolazione under18.

Fra il 2014 e il 2015 è aumentato del 5% il numero di strutture per minori attive sul territorio nazionale, passate dalle 3.129 del 2014 alle 3.352 del 2015. Il numero medio di ragazzi accolti in ogni struttura (la legge prevede un massimo di 10 posti ospiti nei presidii per minorenni più 2 posti per far fronte alle situazioni di emergenza e un massimo di 6 ospiti nel caso di comunità di tipo familiare) varia molto: dai 3,7 di Piemonte e Valle d’Aosta ai 13,6 ospiti per struttura di Bolzano e ai 12, 4 dell’Umbria.

Dove risulta maggiore la diffusione del fenomeno dell’accoglienza in comunità? Un quarto di tutti i minori accolti in comunità sta nell’Italia Insulare (24%) e in particolare in Sicilia, che ha il 21,5% dei minori in comunità. Segue a notevole distanza dalla Lombardia (12,1%) e la Campania (10%). Questi numeri vanno correlati alla forte presenza in Sicilia di minori non accompagnati che hanno necessità di accoglienza: il 33,9% della complessiva accoglienza in comunità di MNA avviene infatti nella sola Sicilia.

Le caratteristiche dei minori accolti. Il 48% degli ospiti presenti nelle comunità è di origine straniera, un dato in crescita rispetto al 42,8% del 31 dicembre 2014. Il 67% di essi, ossia ben più della metà, è rappresentato da minorenni non accompagnati.

Sei ragazzi su dieci, fra quelli accolti in comunità, ha un’età compresa fra i 14 e i 17 anni (il 61,6%), percentuale in crescita rispetto al 57,2% registrato nella precedente rilevazione. Tutte le altre fasce d’età sono in calo: il 13,2% dei minorenni collocati in comunità ha un’età inferiore ai 6 anni. Una delle ragioni dell’elevata presenza di ragazzi in età tardo adolescenziale è l’alta incidenza della presenza di minori di origine straniera e in particolare di minori non accompagnati, che hanno prevalentemente un’età fra i 16 e i 17 anni.

Quanto al numero in calo dei neomaggiorenni ancora presenti nelle comunità, ci possono essere due letture: da un lato ciò potrebbe costituire un indizio di un miglioramento dell’efficacia degli interventi di sostegno ma d’altro canto potrebbe rivelarsi invece l’indicatore di una difficoltà dei servizi residenziali a far fronte anche alle necessità di chi, pur divenuto maggiorenne, non è ancora in grado di affrontare autonomamente la sua vita da adulto.

L’inserimento dei minorenni nelle strutture di accoglienza avviene, nella maggioranza dei casi (57,8%), a seguito di provvedimento dell’autorità giudiziaria, mentre la percentuale di collocamenti di cui è stata espressamente dichiarata la natura consensuale si ferma al 13,7%.

La percentuale di minorenni presenti in comunità da più dei 24 mesi previsti dalla legge passa dal 26,5% rilevato al 31 dicembre 2014 al 23% del 31 dicembre 2015. Il restante 77% degli ospiti di minore età si trova in comunità, al 31 dicembre 2015, da meno di 24 mesi.

Sara De Carli VITA newsletter 26 ottobre 2017

www.vita.it/it/article/2017/10/19/21mila-minori-in-comunita-uno-su-due-e-straniero/144846

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MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI

Si cercano privati cittadini disponibili ad esercitare la rappresentanza legale

Cerchiamo privati cittadini disponibili ad esercitare la rappresentanza legale di ogni minore arrivato in Italia senza adulti di riferimento e aver cura che vengano tutelati i suoi interessi, ascoltati i suoi bisogni, coltivate le sue potenzialità e garantita la sua salute senza la presa in carico domiciliare ed economica.

Dopo aver seguito il corso di formazione, organizzato dai garanti regionali e dalle province autonome, gli aspiranti tutori volontari verranno inseriti nell’elenco istituito presso il tribunale per i minorenni competente della regione di residenza o domicilio. Da questo elenco il giudice selezionerà un tutore volontario per ogni minore.

Tutori volontari: un quadro riepilogativo della selezione e formazione nelle diverse regioni italiane

 

Di seguito è possibile consultare gli avvisi pubblicati dalle diverse regioni per presentare la propria candidatura a tutore volontario:

News Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza 25 ottobre 2017

www.garanteinfanzia.org/news/tutori-volontari-un-quadro-riepilogativo-della-selezione-e-formazione-nelle-diverse-regioni

 

Chi sono i minori stranieri non accompagnati in Italia?

Per minore straniero non accompagnato si intende il “minorenne non avente cittadinanza italiana o dell’Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano” (art. 2 l. 47/2017).

I dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali riportano che l’83% dei minori non accompagnati ha un’età fra i 16 e i 17 anni; il 92,9% è di sesso maschile. La maggior parte di loro arriva da Gambia, Egitto, Albania, Nigeria, Guinea e Costa d’Avorio.

Chi nomina i tutori volontari?

I tutori volontari sono nominati dal giudice.

Sono previste forme di rimborso o retribuzione per l’attività di tutore?

No. L’attività ha carattere gratuito. Non è attualmente riconosciuto il diritto a permessi di lavoro.

Se divento tutore volontario, sarò anche affidatario del minore?

Non necessariamente. I minori non accompagnati possono essere affidati a strutture di accoglienza, oppure ad affidatari diversi dal tutore volontario. In questo caso, affidatario e tutore collaborano nel reciproco rispetto delle proprie competenze. Qualora desideriate diventare la famiglia affidataria di un minore straniero non accompagnato, si prega di rivolgersi ai servizi sociali del vostro Comune.

Quando cessa la tutela volontaria?

La tutela volontaria cessa con il raggiungimento della maggiore età del minore non accompagnato. Tuttavia, in ragione del fatto che attraverso questo istituto si vuole instaurare e diffondere un sistema di “genitorialità sociale” incentrato sulla cura della persona, si auspica che anche dopo il compimento dei 18 anni proseguano i rapporti di affettività tra gli ex tutori e i ragazzi. A tale proposito, si richiama l’esempio della figura del “Mentor”, istituita a Piacenza.

Il tutore volontario può avere responsabilità penale se il minore non accompagnato commette un reato?

Assolutamente no. L’art. 27 della Costituzione italiana dice espressamente che la responsabilità penale è personale. Ciò significa che solo chi ha commesso un reato sarà imputabile per esso.

Il tutore dovrà provvedere al risarcimento, se il minore non accompagnato provoca danni a cose o persone?

Non sempre. Il codice civile stabilisce che il tutore è responsabile per i danni cagionati dal minore soggetto alla sua tutela solo quando abita insieme a lui.

Quali sono le attività più importanti che un tutore volontario può essere chiamato a svolgere?

Le attività sono molteplici. Le più importanti sono:

  • Presentazione della richiesta di soggiorno per minore età;

  • Presentazione della eventuale richiesta di asilo politico, o protezione sussidiaria e umanitaria anche ai sensi dell’art. 18 ter del T.U. immigrazione per i minori vittime di tratta;

  • Dovere di informare il minore che in un procedimento giurisdizionale può essere assistito da un difensore di fiducia e di avvalersi del gratuito patrocinio;

  • Partecipazione alla fase di identificazione del minore ai sensi dell’art. 5, commi 3, 5, 6 e 7, della legge n. 47 del 2017;

  • Deve essere sentito per il rimpatrio assistito o volontario ai sensi dell’art. 8, comma 1, della legge n. 47 del 2017;

  • Richiesta di avvio delle eventuali procedure per le indagini familiari e per il conseguente ricongiungimento familiare;

  • Richiesta applicazione del Regolamento UE Dublino III, sussistendone i presupposti;

  • Richiesta all’EASO per inserimento nell’elenco del minore (se appartenente alle nazionalità previste) al fine del ricollocamento negli Stati membri dell’UE;

  • Rapporti con i servizi sociali che hanno in carico il minore, le comunità residenziali o le famiglie affidatarie;

  • Attività di contatto e di rappresentanza legale nell’ambito delle procedure scolastico/formative;

  • Richiesta di iscrizione al Servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art. 14, comma 2, della legge n. 47 del 2017;

  • Prestazione del consenso informato nelle decisioni e interventi sanitari;

  • Monitoraggio delle scelte di accoglienza per il minore secondo le indicazioni dell’art. 12 della legge n. 47 del 2017;

  • Richiesta per i minori vittime di tratta un programma specifico ai sensi dell’art. 17 della legge n. 47 del 2017.

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PARLAMENTO

Camera dei Deputati. 2° Commissione Giustizia. Assegno divorzile

26 ottobre 2017.La Commissione ha svolto l’audizione di Enrico Quadri, professore di istituzioni di diritto privato presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II”, di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, di Gianfranco Dosi, direttore della rivista “Lessico di diritto di famiglia” e di rappresentanti del Consiglio nazionale forense (CNF), nell’ambito dell’indagine conoscitiva in merito all’esame della proposta di legge C. 4605 Ferranti, recante modifiche all’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile.

file:///C:/Users/Giancarlo/Downloads/leg.17.bol0900.data20171026.com02.pdf

VedinewsUCIPEM n. 672, 22 ottobre 2017, pag.23

 

Intervista alla presidente della commissione giustizia della Camera, Donatella Ferranti

Assegno divorzio: arriva la riforma. Potrebbe essere approvato in sede legislativa il disegno di legge diretto a modificare i parametri per la determinazione dell’assegno di divorzio.

Addio al tenore di vita ma anche all’indipendenza economica, a favore di una riforma dell’assegno di divorzio che recuperi il parametro “compensativo” garantendo l'”equità familiare”. È quanto propone il Ddl 4605, presentato il 27 luglio 2017, all’esame della commissione giustizia della Camera che potrebbe diventare legge, a breve, prima della fine della legislatura.

Una proposta che mira a correggere le “storture” createsi in giurisprudenza, dove, a seguito della recente rivoluzione compiuta dalla Cassazione si è passati da un eccesso all’altro: dall’assegno sempre e comunque riconosciuto, all’assegno solo se si è sulla soglia di povertà.

www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0054400&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=4605-e-sede=-e-tipo=

Ne parliamo con la presidente della Commissione giustizia della Camera, Donatella Ferranti, prima firmataria del disegno di legge.

Onorevole Ferranti, perché questo disegno di legge? Cosa si vuole ottenere?

La ragione è presto detta, è un disegno di legge che modificando l’articolo 5 della legge sul divorzio intende rispondere a una duplice esigenza: un’esigenza di certezza e un’esigenza di equità. La recente sentenza della Cassazione, che in tema di assegno postmatrimoniale ha rovesciato l’orientamento che si era consolidato nel tempo, ha inevitabilmente creato una certa confusione giurisprudenziale rendendo opportuno un intervento legislativo. Un intervento che, tenendo conto di quella che è stata l’evoluzione culturale, sociale ed economica in questi anni, offra al giudice strumenti più adeguati per una valutazione ponderata.

Dopo la sentenza della Cassazione che ha detto addio al tenore di vita, si è passati da un eccesso di ingiustizia all’altro (ossia dall’assegno sempre dovuto al mantenimento solo se si è sulla soglia di povertà). Questo Ddl servirà a trovare un equilibrio?

Certamente, è quello che ci proponiamo e ci auguriamo. Il punto è che dopo la pronuncia della Cassazione abbiamo avuto da un lato provvedimenti che si sono adeguati alla nuova lettura dell’articolo 5 della legge sul divorzio e dall’altro sentenze che invece valorizzano l’idea secondo cui fondamentale resta l’apporto che il coniuge ha dato alla vita matrimoniale. C’è insomma un’oscillazione tra due estremi che va riportata a un punto di sintesi che risponda a una esigenza di giustizia, ragionevolezza e prevedibilità delle decisioni.

Quali sarebbero dunque i parametri di cui i giudici dovrebbero tenere conto per garantire l'”equità familiare” di cui si parla nella relazione?

E’ chiaro che il parametro non può più essere il reddito precedente, il reddito in costanza di matrimonio. La novità è che noi abbiamo introdotto diversi parametri – cito, tra gli altri, le condizioni economiche in cui versano i coniugi alla fine del matrimonio, la durata del matrimonio, il contributo dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio, il reddito di entrambi, l’impegno di cura personale dei figli – che consentono di valutare la situazione effettiva e concreta in cui si trovano i due divorziati. C’è poi la grande novità della durata dell’assegno, nel senso che il tribunale può disporre che l’aiuto economico sia, per così dire, a tempo.

Tra i parametri indicati, vi è anche il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e l’impegno di cura personale dei figli. Nell’interpretazione giudiziale, ciò potrebbe essere tradotto nel garantire sempre e comunque l’assegno a chi ha fatto la casalinga tutta la vita rinunciando alla propria realizzazione?

Non la metterei in questi termini. Il problema non è ritornare a una visione, per così dire, protezionistica della donna o a un’applicazione meccanica della nozione di coniuge debole. Il problema è valutare nel concreto una serie di situazioni, tra cui certamente un certo peso avrà anche l’eventuale rinuncia alla crescita professionale o alla carriera lavorativa per assistere i figli o contribuire all’andamento familiare. E’ chiaro che rinunce e cure coinvolgono solitamente le donne, ma non è sempre detto e soprattutto non è automatico, conta il fatto che vi sia stata una effettiva rinuncia a opportunità, capacità, titoli per supportare l’altro coniuge.

E nel caso, invece, dell’ex coniuge che lavora? Alla luce dei nuovi parametri l’assegno sarà escluso in via assoluta o sarà possibile valutare una eventuale “integrazione” del reddito onde evitare l’effetto “punitivo” scatenato dall’abbandono del criterio del tenore di vita a favore di quello dell’autosufficienza?

Il ragionamento è speculare a quanto ho appena detto. Il disegno di legge non intende né penalizzare chi lavora né premiare, per così dire, rendite di posizione. Ripeto: occorre che il giudice valuti nel concreto il rapporto matrimoniale e quindi la concretizzazione di diritti, doveri, responsabilità negli anni di vita di coppia. La filosofia del provvedimento è in qualche modo quella di compensare, a tutela del coniuge divorziato debole, lo squilibrio economico determinato dallo scioglimento del matrimonio valorizzando l’apporto dato nel rapporto familiare.

L’obiettivo dell’assegno a favore di un coniuge è quello di “compensare” per quanto possibile le disparità che il divorzio crea. Rappresenta, quindi, anche una tutela per i padri separati, spesso ridotti in uno stato di semipovertà?

E’ inevitabile che sia così. Nel momento in cui l’entità dell’assegno divorzile è stabilita sulla base di parametri che fanno riferimento a concrete condizioni economiche della vita derivante dall’attuale situazione postmatrimoniale, credo sia piuttosto improbabile che si possa arrivare al paradosso di tutelare il coniuge debole rendendo più debole l’altro.

L’indicazione specifica dei parametri cui i giudici dovranno attenersi, attenuerà il rischio di interpretazioni “creative”?

Io direi solo che i parametri offrono al giudice una più salda base valutativa e motivazionale per determinare il se e il quanto dell’assegno.

Il Ddl introduce il concetto dell’assegno a tempo ispirato ai modelli di alcuni paesi europei? Cosa significa?

Significa che l’assegno può avere una durata predeterminata. Se il coniuge che lo chiede è in una situazione di reddito ridotto per ragioni contingenti o superabili, perché l’assegno dovrebbe essere permanente? Francia e Spagna, paesi a noi vicini per cultura e tradizione giuridica, hanno disposizioni analoghe.

Viene introdotta anche una sorta di “divorzio con addebito”. Non crede possa esservi il rischio di scatenare processi infiniti?

E’ una norma che stiamo valutando, anche alla luce delle audizioni che stiamo svolgendo in commissione Giustizia. Risponde, in un certo senso, all’idea di valorizzare il senso di responsabilità dei coniugi, ma ne soppeseremo i pro e i contro. Una norma simile, peraltro, è prevista dal codice civile francese.

Il Ddl è stato incardinato in commissione giustizia. Pensa vi siano chance che venga approvato in questa legislatura?

Non voglio spingermi in previsioni francamente azzardate o creare inutili aspettative. E’ chiaro che ormai siamo nella fase conclusiva di questa legislatura. Io dico solo che questo disegno di legge risponde a una urgenza innegabile, che è quella – lo ripeto – di riportare ordine a una normativa che in sede di applicazione giurisprudenziale sta creando incertezze per i cittadini. Nei prossimi giorni si capirà se ci sono le condizioni politiche per accelerarne l’iter, considerando magari il percorso dell’approvazione diretta in sede legislativa.

Marina Crisafi – Studio Cataldi 27 ottobre 2017

www.studiocataldi.it/articoli/27972-assegno-divorzio-arriva-la-riforma-intervista-alla-presidente-della-commissione-giustizia-della-camera-donatella-ferranti.asp

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PENSIONE

Niente pensione di reversibilità se il mantenimento non è disposto dal giudice

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile lavoro, ordinanza n. 25053, 23 ottobre 2017.

https://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_27935_1.pdf

Per la Cassazione, il solo accordo tra ex coniugi sulla corresponsione di un assegno divorzio non basta per far sorgere il diritto al beneficio previdenziale. Il diritto alla pensione di reversibilità per il coniuge divorziato è subordinato alla circostanza che il superstite fosse titolare dell’assegno di mantenimento. A prevederlo è l’articolo 9 della legge numero 898/1970, al quale la Corte di cassazione ha ora aggiunto un tassello in più.

Gli accordi tra coniugi non bastano. Con l’ordinanza la sezione lavoro ha infatti chiarito che, per il riconoscimento del predetto diritto, non bastano la semplice debenza in astratto di un assegno di divorzio né la percezione in concreto del mantenimento se queste non derivano da una liquidazione del giudice. In altre parole, se l’assegno che il defunto corrispondeva all’ex coniuge era frutto di semplici convenzioni intercorse tra le parti, la reversibilità non spetta.

Nel caso di specie la moglie, superstite, quando l’ex marito era ancora in vita percepiva da quest’ultimo un importo mensile che, però, non era stato determinato nella sentenza di divorzio. La corresponsione della somma, infatti, era derivata da un accordo che i coniugi avevano raggiunto in sede di udienza presidenziale, al quale, tuttavia, non era seguita alcuna domanda di riconoscimento dell’assegno divorzile per via della contumacia della donna.

Di conseguenza, quando il Tribunale aveva poi pronunciato il divorzio, non aveva potuto far altro che dare atto in motivazione dell’accordo senza tuttavia statuire in alcun modo sul punto.

Di conseguenza, ora che il marito è deceduto, alla ex moglie vedova non spetta alcun importo a titolo di pensione di reversibilità.

Avv. Valeria Zeppilli Newsletter Giuridica Studio Cataldi 26 ottobre 2017

www.studiocataldi.it/articoli/27935-niente-pensione-di-reversibilita-se-il-mantenimento-non-e-disposto-dal-giudice.asp

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PROCREAZIONE RESPONSABILE

Regolare la fertilità secondo natura

Trento. Sabato 18 e domenica 19 novembre 2017 Iner Trentino propone un corso base per l’apprendimento del metodo sintotermico di regolazione naturale della fertilità rivolto a coppie di fidanzati e sposi e ad ogni donna\ragazza che vuole approfondire il significato di alcuni fenomeni che si verificano nel proprio ciclo mestruale ed acquisire più consapevolezza del suo essere donna.

Scarica volantino Scarica locandina

Famiglia n. 17 27 ottobre 2017

www.diocesitn.it/famiglia/2017/10/26/regolare-la-fertilita-secondo-natura-2/?year=2017&monthnum=10&day=26

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PROGETTO FAMIGLIA ONLUS

Seminario formativo sul tema “Disagio familiare: problema o opportunità?”

Disagio familiare, deontologia e vissuto dell’operatore sociale

Introduzione al metodo delle Family Group Conference

23 novembre 2017 – Bari Auditorium del 2° Municipio, Stradella del Caffè, 26

7 dicembre 2017 – Potenza Presso Caritas diocesana “A casa di Leo”

Il seminario ha la durata di 5 ore e si svolge dalle 9.00 alle 14.00.

Per info: Manuela Iervolino , e-mail iscrizioni@progettofamiglia.org

www.progettofamiglia.org/it/index.php?page=crisi-familiare

progettofamiglia.org/it/index.php

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SEPARAZIONE

Padri separati ridotti alla povertà

Secondo i dati cresce il dramma dei padri separati costretti a stati di indigenza e allontanamento dai figli. Quello dei padri separati è un dramma che si consuma silenzioso tra stati di indigenza ed allontanamento dai figli. Migliaia e migliaia di uomini che, a causa della crisi economica, per mantenere l’ex moglie e ai figli, non hanno i soldi per pagare un affitto e così vivono dentro un’automobile o peggio si riducono a stare in mezzo ad una strada. L’ultimo caso a destare clamore mediatico è stato quello di Marco Della Noce, il comico di Zelig finito sul lastrico a causa di un divorzio conflittuale, con impegni economici gravosi che non è riuscito a soddisfare e dai quali sono derivati pignoramenti e sequestri.

Padri sulla soglia della povertà. Secondo i dati raccolti dalla Caritas (aggiornati al 2015) sono 800mila in Italia i padri sulla soglia di povertà, che fanno un pasto adeguato ogni due giorni e arrivano a fine mese con grande difficoltà. L’Ami (Associazione degli avvocati matrimonialisti), spiega che solo 50mila vivono a Milano e 90mila a Roma. Senza l’aiuto delle famiglie d’origine, questi uomini spesso si ritrovano sul lastrico.

Dati Istat: età media di separazione tra i 45 e i 48 anni. È il Sole 24 Ore a riportare i dati su matrimoni e divorzi in aumento. Nel 2015, con l’arrivo del “divorzio breve”, l’aumento degli scioglimenti delle unioni è stato del 57% rispetto al 2014. Sono state 82.469 coppie che hanno divorziato, alle quali si aggiungono le ulteriori 91.706 che si sono separate. Secondo i dati Istat, al momento della separazione i mariti hanno mediamente 48 anni e le mogli 45 anni. Un momento particolare per cui chi subisce il blocco della partita Iva difficilmente riesce a trovare un nuovo lavoro. Proprio nel momento in cui lavorare serve maggiormente per far fronte agli impegni di padri separati che devono lasciare l’abitazione ma continuare a pagarne il mutuo, al quale si aggiunge il fitto del nuovo alloggio con bollette maggiorate perché questo risulta come seconda casa. E poi ancora ci sono l’assegno per i figli e quello per la moglie. Per non parlare dei costi dei legali per affrontare la separazione o il divorzio.

Sempre secondo i dati dell’istituto di statistica, inoltre, la percentuale di separazioni in cui la casa coniugale è stata assegnata alle mogli è aumentata dal 57,4% del 2005 al 60% del 2015 e arriva al 69% per le madri con almeno un figlio minorenne. Inoltre, nel 94% delle separazioni, il tribunale impone al padre un assegno di mantenimento.

Il lato peggiore di tutte queste situazioni è che le difficoltà economiche si ripercuotono nel rapporto coi figli. A volte il locale in affitto per abitare è così piccolo che separati o divorziati non riescono ad avere il permesso di pernottamento per i bambini che passeranno meno tempo col padre.

Tutela per i padri divorziati. Su questa triste tematica qualche regione ha cercato di correre al riparo. Un assegno mensile per i papà divorziati che si trovano in grave difficoltà e una corsia privilegiata nelle graduatorie per gli alloggi erano al centro di proposta di legge del Friuli Venezia Giulia, che costituisce senz’altro un modello replicabile a livello nazionale, dato che la categoria dei padri separati e divorziati rientra ormai, insieme a precari, licenziati e altre situazioni di disagio, nelle “nuove povertà”. Ma diverse realtà regionali, tra cui la Lombardia, stanno cercando di porre un freno al problema.

Gabriella Lax Newsletter Giuridica Studio Cataldi 26 ottobre 2017

www.studiocataldi.it/articoli/27907-padri-separati-ridotti-alla-poverta.asp

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SESSUOLOGIA

Parlare di sessualità è «allenare a pensare e a comunicare»

Educare con serenità ad una cultura della salute sessuale può aiutare gli adolescenti a coniugare la dimensione del piacere con quella relazionale ed emozionale

L’uomo, fin dalla nascita, è un essere sessuale; la sessualità viene appresa e si sviluppa in diverse fasi durante la vita. Il periodo dell’adolescenza, da sempre, è stato considerato una fase della vita che ha destato un grande interesse culturale, sia dal punto di vista della scienza che da quello della letteratura. Il bisogno di identificazione sessuale porta il bambino a voler scoprire come si comportano e cosa pensano le persone del suo stesso sesso. I gruppi che si formano spontaneamente sono monosessuali ed al loro interno si trasmettono modelli, atteggiamenti e notizie (spesso confuse e distorte) sulla sessualità. Gruppi di sesso diverso si fronteggiano, ma il contatto personale e diretto viene evitato: l’altro sesso è troppo sconosciuto e fa paura. Con l’avanzare della pubertà e dell’adolescenza, inizia il desiderio dell’altro sesso che viene percepito come totalmente diverso e dal cui riconoscimento («sì, tu mi piaci») dipende la legittimazione della propria identità.

La pubertà e l’adolescenza rappresentano un profondo cambiamento nella sessualità dell’individuo. Lo sviluppo degli organi genitali, della peluria, del seno e le conseguenti modificazioni psichiche caratterizzano in gran parte l’adolescenza. Questi profondi cambiamenti fisiologici e psicologici avranno influenza sia dal punto di vista della realtà concreta sia da quello del mondo interno del ragazzo: assume così particolare importanza l’immagine del proprio corpo. L’adolescente lo ama e lo odia, spesso è motivo di vergogna, passa ore davanti allo specchio, cura la capigliatura seguendo o contrastando mode, e così via. Per le ragazze la prima mestruazione è una esperienza di grande importanza, in quanto sottolinea inequivocabilmente la loro femminilità e la possibilità di generare. La preparazione ricevuta e l’atteggiamento degli adulti ne influenzeranno il vissuto.

Il corpo, in quanto osservabile da sé e dagli altri, è il mezzo con cui il ragazzo si presenta al mondo, in particolare ai coetanei; molte delle convinzioni che si possono avere su se stessi si basano sul sé fisico, che comprende sia l’aspetto corporeo che le abilità fisiche. Facilmente l’adolescente trae un senso di sé sulla base della definizione che gli altri danno di lui e del suo apparire fisico.

È una stagione della vita che racchiude un insieme di cambiamenti e di informazioni a vari livelli (sociale, culturale, familiare, scolastico, ecc.), che spinge il ragazzo ad una analisi di sé e della relazione con gli altri. Oltre ai rapporti con gli adulti ed alla ricerca dell’autonomia, l’adolescente si deve confrontare con la crescita fisica, con le relative ansie derivanti da una maggiore consapevolezza di un corpo che cambia, con l’interesse sessuale e con le prime esperienze sentimentali. L’importanza del ruolo del corpo risiede non tanto nell’ampiezza delle trasformazioni, poiché queste avvengono anche in altri periodi della vita, quanto nella capacità del ragazzo di osservare se stesso in cambiamento e l’influenza di tale cambiamento su altri aspetti, tra i quali il modo di viversi la sessualità. L’aumentata osservazione di se stessi è accompagnata da una accresciuta capacità osservativa nei riguardi dei coetanei, ai quali si guarda con attenzione e con i quali ci si confronta continuamente soprattutto per valutare la propria adeguatezza ed il proprio valore personale. Questo è il contesto di riferimento dove si formano opinioni e si trasmettono atteggiamenti: sono gli amici ed i compagni di scuola che diventano fonte di informazioni sulla sessualità.

Sembra che il rapporto tra genitori e figli tenda ad oscillare tra autoritarismo – che nega il conflitto – e permissivismo, che evita il conflitto. È difficile per gli adulti accettare un clima di conflitto e considerarlo per la sua parte sana, che invece porterebbe alla comprensione e all’accettazione dell’altro come essere in grado di esprimere e discutere le proprie perplessità e disaccordi. Pertanto, l’adolescente si trova meno esposto alle critiche ed alle proibizioni se si rivolge ai coetanei. Sembra difficile per i ragazzi effettuare comunicazioni che portino a mettere in gioco la loro affettività\sessualità (sia con genitori che insegnanti), perché il loro vissuto pare essere il rischio di ottenere una risposta autoritaria e giudicante piuttosto che un supporto che possa aiutarli a rafforzarsi.

L’adolescente, in ambito sessuale, ha svolto una elaborazione personale delle esperienze biologiche, relazionali, sociali e morali maturata attraverso le azioni educative del contesto familiare e successivamente scolastico. Gli adolescenti, con l’irruenza e la provocazione che li contraddistinguono, spesso lanciano un appello chiaro, facendo intuire che si aspettano da parte dell’adulto, più che delle informazioni precostituite (sia sull’argomento sesso, ma anche più in generale), una disponibilità ad entrare in relazione con loro.

Parlare di sessualità con i ragazzi non dovrebbe significare “addestrare”, ma allenare a pensare, a ragionare, a comunicare e a mettersi in relazione con gli altri. Ai ragazzi vanno forniti strumenti che consentano una migliore interpretazione delle situazioni relative alla sessualità, allo scopo di colmare l’inadeguatezza ed il vuoto tra l’aspetto fisico e quello psicologico. Educare con serenità ad una cultura della salute sessuale può significare aiutare gli adolescenti a coniugare la dimensione del piacere con quella relazionale ed emozionale.

Lucia Calabrese, psicoterapeuta e sessuologa Consultorio diocesano Al Quadraro Roma

Romasette 27 ottobre 2017

www.romasette.it/parlare-sessualita-allenare-pensare-comunicare

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