NewsUCIPEM n. 648 – 7 maggio 2017

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01 ADOZIONE INTERNAZIONALE Report CAI: il bambino ha quasi 6 anni, è russo, polacco o cinese

02 AFFIDAMENTO CONDIVISO Coniugi non possono derogare con scrittura privata tempi di visita

03 Collocazione prevalente da invertire o da eliminare?

06 Verso l’applicazione della legge sull’affido condiviso

06 AMORIS LÆTITIA Oltre Veritatis Splendor, ovvero al di qua del massimalismo morale.

08 ASSEGNO DIVORZILE Riduzione, se la moglie è tornata a vivere dai genitori.

09 CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 17/2017, 3 maggio 2017.

13 CONSULTORI FAMILIARI CFC Genova. Giornata di formazione: “La coppia è un legame?”

14 Milano. Maternità. Riflettere insieme.

15 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Brescia. Le donne che hanno la ventura di invecchiare.

15 CONVIVENZE Famiglia: via di casa la convivente se muore il partner, con calma.

17 DALLA NAVATA 4°Domenica – Anno A – 7 maggio 2017

17Gesù, il pastore bello e buono.Commento di Enzo Bianchi,

19 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Cuneo. Torna famiglia sei granda.

19 GRAVIDANZA In gravidanza cervello mamma si riduce per accogliere bebè.

20 POLITICHE FAMILIARI Decreto di riparto del fondo per le politiche della famiglia

20 Belletti: per ripartire l’Italia deve investire sulla famiglia

21Perché la famiglia può salvare il cuore malato dell’economia

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Report CAI biennio 2014/15: il bambino ha quasi 6 anni, è russo, polacco o cinese e non è orfano

La Commissione Adozioni Internazionali ha pubblicato il Rapporto Statistico per il biennio 2014-2015. L’ultimo report pubblicato risaliva al lontano 2013 dato che l’ex vicepresidente della CAI, Silvia Della Monica aveva deciso, nel corso della sua presidenza e vicepresidenza, di non pubblicare il rapporto statistico che pure era stato redatto come di consueto in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti.

Un report, dunque, tanto atteso ma che non lesina ombre e incongruenze come quelle riguardanti i dati “ballerini” relativi a ingressi dei minori (i bambini RDC entrati in Italia nel 2016 ma conteggiati nel ‘bilancio’ del 2015 e alcuni di loro già calcolati nel 2013) ed enti (come Airone) i cui dati di ingressi di minori compaiono nel report della CAI del 2013, nei rapporti statistici del 2014 pubblicati dalle Province di Brescia e Parma per sparire in quest’ultimo report 2014-2015 della stessa CAI. Come è possibile? Che fine hanno fatto le adozioni di Airone?

Non entrando nel merito di questi “misteri” ciò che maggiormente interessa è evidenziare chi sono i bambini adottati, il loro profilo, età media, sesso e Paesi di Provenienza. Secondo il report, l’Italia nel 2014 con 2.206 minori adottati e nel 2015 con 2.216 minori adottati si conferma come primo Paese di accoglienza in Europa per numero di minori adottati e secondo al mondo dopo gli Stati Uniti (6.641 minori adottati nel 2014 e 5.648 minori adottati nel 2015). Nella rosa dei primi 10 Paesi di accoglienza seguono nell’ordine e con un notevole divario Spagna, Francia, Canada, Svezia, Olanda, Germania e Danimarca e Svizzera.

Ciò non toglie che in 10 anni nel mondo si sia registrato un calo delle adozioni del 73,5%. Nello specifico, per quanto riguarda l’Italia, nello specifico, c’è stato un calo del 34,9% passando da 3.402 minori adottati nel 2004 ai 2.216 minori adottati nel 2015. Tutto vero, se non che fra il 2004 e il 2010 le adozioni in Italia sono però cresciute: il numero più alto di adozioni in Italia è stato nel 2010, con 4.130 minori entrati. Rispetto a quel picco pertanto il calo delle adozioni nel 2015 è stato del 46%.

L’Italia dunque ha adottato 2.206 minori nel 2014 e 2.216 nel 2015. I bambini adottati nel biennio 2014-2015 sono per il 58,3% maschi e per il 41,7% femmine. L’età media è stata di 5,9 anni: oltre 4 bambini su dieci (41,2%), nel biennio 2014-2015, hanno un’età compresa fra 1 e 4 anni, il 44% dei minori autorizzati all’ingresso ha un’età compresa fra 5 e 9 anni, l’11,9% un’età pari o superiore a 10 anni, mentre solo il 2,9% dei bambini autorizzati all’ingresso si posiziona sotto l’anno d’età.

La Federazione Russa si conferma di gran lunga il primo paese di provenienza, con 1.060 minori adottati nel biennio. Seguono la Polonia (365 minori), la Repubblica Popolare Cinese (360), la Colombia (293), il Vietnam (225), la Bulgaria (219), il Brasile (204), l’Etiopia (200), l’India (186) e il Cile (153).

Subito dopo vengono la Repubblica Democratica del Congo con 152 minori adottati, tutti nel 2015 (ma a pagina 82 del report sono 155 i bambini adottati in RDC nel 2015), e la Bielorussia, con 144 minori adottati (104 nel 2014 e 40 nel 2015).

Complessivamente, nel biennio 2014-2015, dai primi dieci Paesi sono stati autorizzati all’ingresso in Italia 3.262 minori, pari a circa il 75% del totale dei minori autorizzati all’ingresso a scopo adottivo.

Nel 2015 è, inoltre, aumentata la quota di bambini autorizzati all’ingresso provenienti dai Paesi che hanno ratificato la Convenzione de L’Aja che passano dal 55,3% del 2014 al 60,1% del 2015, la percentuale più alta di sempre.

Non da ultimo ciò che risalta è anche la “quota” degli special needs. I dati del monitoraggio indicano che, nel biennio 2014-2015, il 25,2% del totale dei minori adottati sono stati segnalati come bambini con bisogni speciali e/o particolari. Il maggior numero di minori segnalati con bisogni speciali proviene dall’Asia, circa 2 su 3 (66,8), gli altri provengono da paesi europei (21,9%) ed in misura minore da America Centrale e del Sud (5,5%) e infine in Africa con il 1,7 dei casi.

La motivazione più frequente è legata all’infertilità della coppia: l’88,2% delle coppie che hanno scelto di iniziare il percorso adottivo lo ha fatto a causa dell’impossibilità di procreare. Questo dato è inferiore sia rispetto al 2013 quando era del 95,3%, sia rispetto al 2012 quando assommava al 93,5%.

Per quanto riguarda invece il motivo che ha reso adottabili i bambini adottati in Italia nel 2014/2015, per il 61% si tratta di perdita della potestà genitoriale e per il 31% di abbandono. Solo l’1% dei bambini è orfano.

Gli enti autorizzati: il loro numero è attualmente pari a sessantadue. Dal 2013 ad oggi non sono state rilasciate nuove autorizzazioni ad operare nei Paesi di origine. Quanto alle autorizzazioni all’ingresso di minori secondo l’ente scelto dai genitori (cfr pp. 90-91 del report) i primi dieci enti nel 2015 sono stati Cifa (227 adozioni), Ai.Bi. (175), Naaa (120), Nadia (93), SOS Bambino International Adoption (83), Fondazione Patrizia Nidoli (80), Spai (72), Azione per Famiglie Nuove (69), GVS (67) ed EnzoB (65).

Infine, il report illustra i dati relativi alle dichiarazioni di disponibilità all’adozione di minori stranieri: hanno avuto un andamento costantemente decrescente a partire dall’anno 2004 quando furono 8.274 per arrivare alle 3.857 del 2014.

News Ai. Bi. 2 maggio 2017 www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-report-cai-2014-15

Vedi pag. 16 di newsUCIPEM n. 647, 30 aprile 2017

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AFFIDAMENTO CONDIVISO

Marito e moglie non possono derogare con una scrittura privata tempi di visita dei figli stabiliti.

Corte di Cassazione – sesta Sezione Penale, Sentenza n. 20801, 2 maggio 2017

I coniugi ormai separati o divorziati non possono mettersi d’accordo tra loro per regolamentare il diritto di visita ai figli che il genitore con loro non convivente dovrà rispettare. Questo perché è sempre il giudice a dover mettere il «nulla osta» sulle intese private. Quindi, per esempio, se la coppia ha già provveduto a separarsi consensualmente o a seguito di una causa e successivamente dovesse ritenere di modificare i giorni in cui il papà può vedere i bambini deve passare nuovamente dal tribunale, con un ricorso, per far modificare la precedente decisione. È quanto chiarito dalla Cassazione. La Corte non fa che enucleare il seguente principio: dopo la separazione o il divorzio, le visite ai figli non possono mai essere stabilite con accordo privato siglato dai coniugi, anche se c’è il consenso reciproco.

Per comprendere la sentenza qui in commento facciamo un esempio. Immaginiamo che una coppia, con figli ancora minorenni, decida di separarsi. I due raggiungono un’intesa su tutto, anche sul diritto di visita del padre verso i figli, i quali andranno a vivere con la madre. Marito e moglie, assistiti dai rispettivi avvocati, si presentano in tribunale e procedono con la separazione consensuale. L’accordo viene “ratificato” dal giudice e diventa obbligatorio. Senonché, dopo qualche mese, l’uomo cambia lavoro e i suoi turni sono diversi rispetto a quelli che aveva in precedenza. In particolare deve lavorare spesso nei weekend e non può più prendere i ragazzi all’uscita dalla scuola per come inizialmente concordato nella separazione consensuale. Così, d’accordo con l’ex moglie, decide di modificare le condizioni di visita dei figli, stabilendo giorni diversi ed orari differenti. Quale valore ha questo accordo? Nessuno, a detta della Cassazione. I coniugi, per fare tutto in regola, avrebbero dovuto presentare un nuovo ricorso al giudice e modificare le condizioni di separazione e, segnatamente, il diritto di visita nei confronti dei figli.

Secondo la sentenza in commento è dunque nulla la scrittura privata fra coniugi con la quale si regolano le visite ai figli. È infatti sempre necessario l’intervento del giudice per modificare le condizioni contenute nel decreto di omologazione della separazione: altrimenti scatta l’illecito penale. Infatti, il genitore che non rispetta il provvedimento del magistrato ne risponde a titolo di reato per «mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice» [Art. 388 cod. pen.].

Nessuna possibilità viene quindi riconosciuta agli ex coniugi – sebbene in ottimi rapporti – di modificare le disposizioni contenute nel decreto di omologazione della separazione oppure nell’ordinanza presidenziale, ma è necessario l’intervento del giudice sull’accordo modificativo. Il tutto a tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole ossia il figlio. Ciò perché un accordo che cambia le modalità di visita dei figli stabilite inizialmente dal giudice potrebbe in teoria risultare pregiudizievole per i preminenti interessi di questi ultimi, alla cui tutela i suddetti provvedimenti sono rivolti.

L’elusione delle prescrizioni del giudice in tema di visita ai figli costituisce un illecito penale. Il codice infatti prevede l’incriminazione per chi non ottempera o aggiri le finalità di un provvedimento del giudice.

Redazione La legge per tutti 2 maggio 2017

www.laleggepertutti.it/159930_divorzio-visite-ai-figli-mai-con-accordo-privato

Sentenza www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_26023_1.pdf

 

Affido condiviso e alienazione genitoriale: collocazione prevalente da invertire o da eliminare?

Una proposta di legge – la 4377, recentemente depositata alla Camera e ora all’esame della commissione giustizia – affronta il problema della genesi e della “terapia” dell’alienazione genitoriale, con il lodevolissimo scopo di fornire strumenti per limitare un fenomeno che procura sempre più frequentemente gravi danni ai figli di genitori separati.

 

PdL n. 4377. Turco e altri. Modifica all’articolo 337-ter del codice civile, in materia di provvedimenti del giudice in caso di inosservanza delle condizioni di affidamento dei figli da parte del genitore affidatario. Assegnato alla 2ª Commissione permanente (Giustizia) in sede referente il 19 aprile 2017.

Pareri delle commissioni 1ª (Aff. costituzionali), 12ª (Aff. sociali)

www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0051080&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=4377-e-sede=-e-tipo=

 

Lo sviluppo del ragionamento, tuttavia, se preso alla lettera risulta poco convincente, oscillando tra l’accettazione e la contestazione dello stato dell’arte. Già il titolo della proposta – “… in caso di inosservanza delle condizioni di affidamento dei figli da parte del genitore affidatario” – appare non pertinente, sia perché limitato a situazioni residuali (ovvero numericamente esigue) sia perché, essendo relative a casi in cui un genitore costituisce per le sue inadeguatezze potenziale motivo di pregiudizio per i figli, una sua emarginazione potrebbe anche essere letta come una più attenta tutela dei figli.

E in effetti la lettura del testo chiarisce che si intende trattare gli affidamenti condivisi, non quelli esclusivi. Tuttavia anche questa correzione suscita perplessità, a partire dall’assunto che solo il genitore che trascorre più tempo con i figli possa effettuare manovre di allontanamento dell’altro. Ora, in generale è vero che il cosiddetto “genitore collocatario” ha maggiori opportunità di condizionamento, sia perché trascorre più tempo con i figli sia, soprattutto, perché l’investitura ufficiale ricevuta gli conferisce un ruolo ben più prestigioso e concretamente incisivo. Tuttavia esistono anche casi, numericamente non trascurabili, di manipolazioni effettuate con successo dal genitore meno presente.

Strategie di prevenzione dell’alienazione genitoriale. In aggiunta, più importante ancora, e ancor meno condivisibile, è l’analisi dei metodi di prevenzione e dei rimedi a posteriori svolta nell’introduzione, che poi si concretizzano nell’articolato. Tutto si fonda sulla presunta “necessità” di effettuare una scelta tra i due genitori, della quale si depreca la frettolosità: “il primo provvedimento che il tribunale civile ordinario prende … viene assunto, sulla base delle sensazioni che in quella sola udienza ogni genitore ha saputo dare di sé, ma senza poter avere la certezza che quello individuato sia il genitore più adatto al ruolo cui è stato chiamato.”

Tutto questo, evidentemente appartiene a rigore ad una cornice normativa antica, da undici anni non più in vigore: quella dell’affidamento esclusivo. Il che sorprende non poco. Il mistero viene tuttavia svelato poco oltre, quando viene chiarita la supposta base giuridica dell’affermazione attraverso il rimedio suggerito: “disporre una modifica della «residenza abituale» del minore”. Si sta, dunque, ragionando in forza di un assunto più che discutibile: ovvero che l’introduzione, nell’art. 337 ter comma III c.c., ad opera del D. Lgs 154/2013 dell’obbligo di concordare una residenza abituale del minore, abbinato all’art. 316 c.c. che opera genericamente la stessa previsione per la coppia genitoriale, legittimerebbe l’elezione di un “genitore collocatario”: rectius, la renderebbe obbligatoria.

La residenza abituale e il D. Lgs 154/2013. Ora, a parte il fatto che tale decreto aveva solo l’incarico di equiparare la filiazione naturale a quella legittima coordinando in tal senso le norme, ovvero nel momento in cui ha modificato le regole dell’affidamento condiviso è intervenuto illegittimamente; a parte il fatto che l’art. 316 c.c. proprio perché operante in generale – e quindi tipicamente per coppie conviventi – come “residenza abituale” non è plausibile che intenda l’indirizzo di casa di uno solo dei due; a parte il fatto che la stessa relazione di accompagnamento al testo del decreto esclude che si tratti di una residenza anagrafica; a parte il fatto che la stessa circostanza è stata ribadita in interviste ufficiali da chi ha redatto il testo; a parte il fatto che anche se si intendesse per residenza abituale quella anagrafica, quest’ultima, appunto perché anagrafica, starebbe ad indicare un riferimento puramente amministrativo e non relazionale; a parte tutto ciò, resta il fatto che il concetto di residenza abituale nasce nel diritto internazionale per fornire un criterio di individuazione del territorio ove si è (nel passato) radicata la vita dei figli al fine di individuare il tribunale competente in caso di controversie, con particolare riferimento alla sottrazione di minore e non dovrebbe avere nulla a che fare con i genitori collocatari.

Lettura confermata dalla Suprema Corte (6197/2010) che ne dà una definizione “territoriale”, come: «il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione» e «prescinde dall’eventuale diritto soggettivo del genitore di pretendere una diversa collocazione del figlio, e prescinde altresì dai progetti di vita, eventualmente concordi, degli adulti ».

Pertanto, ogni scostamento da questa filosofia, che fondi il concetto di residenza abituale sulle intenzioni o gli accordi dei genitori – o, peggio ancora, di uno solo dei due, a partire da un dato prettamente amministrativo – prescindendo dall’effettivo radicamento del minore in un particolare ambiente di vita, caratterizzato da relazioni, abitudini e interessi, nonché letto nel suo vissuto, obbedisce a una logica evidentemente adultocentrica.

L’affidamento “condiviso” quale emerge dai dati Istat. Se poi qualcuno non fosse ancora convinto che nominare un genitore prevalente appartiene alla stessa filosofia e ignora volontà e interessi dei figli, viene in soccorso il rilevamento compiuto dall’Istat sulle schede compilate dalle coppie in separazione dal 2005 al 2015, quindi passando attraverso la riforma del 2006: quella “rivoluzione copernicana” che doveva mettere al centro il minore, divenuto soggetto di diritti da oggetto di decisioni.

 

Anni

2005

2010

2011

2012

2013

2014

2015

Casa a madre

57,4

56,2

57,6

58,2

58,3

59,7

60,0

assegnodapadre

95,4

93,6

95,7

95,8

92,6

94,1

94,1

Media€iassegni

483,13

480,90

529,00

521,20

494,90

485,00

485,43

 

La tabella mostra come l’affidamento esclusivo alla madre sia solo apparentemente crollato (primo rigo) perché tutti i parametri concreti che caratterizzano la sostanza dell’affidamento (casa, obbligo di un assegno e sua entità, ignorando la partecipazione diretta alle spese) sono rimasti invariati. Tanto che lo stesso Istat così commenta: “In altri termini, al di là dell’assegnazione formale dell’affido condiviso, che il giudice è tenuto a effettuare in via prioritaria rispetto all’affidamento esclusivo, per tutti gli altri aspetti considerati in cui si lascia discrezionalità ai giudici la legge non ha trovato effettiva applicazione” Pertanto, se prima si operava all’interno di un’ottica adultocentrica e nulla è cambiato vuol dire che tuttora il modello applicato coltiva i medesimi interessi. Dunque, il legislatore che nel 2006 si è sforzato – cancellando accuratamente tutte le differenze tra i ruoli genitoriali prima presenti nel codice civile – di mettere al centro del focus il minore e i suoi diritti (e primo fra tutti quello alla bigenitorialità), non avrebbe certamente deciso di istituzionalizzare un genitore prevalente. Curiosamente la Pdl 4377 in effetti si rende conto, criticandolo, del fatto che il legislatore del 2006 “non ha previsto … alcun rimedio d’urgenza in materia”, come l’inversione del ruolo dominante. Certo che no: non poteva prevederlo perché non poteva immaginare un’applicazione diametralmente opposta al senso della riforma, come quella di restaurare la figura dell'”affidatario esclusivo”, limitandosi a indicarlo con un termine diverso. In effetti va riconosciuto che ha perfettamente ragione chi sostiene che i nomi non hanno importanza, ma conta la sostanza. Come non ha alcun rilievo che oggi l’affidatario esclusivo si chiami collocatario, così non paga il pianto del bambino privato in concreto del diritto alla bigenitorialità averlo posto in un affidamento che solo nominalmente è condiviso invece che esclusivo.

Invertire la collocazione privilegiata o eliminarla?

Pertanto, identificata correttamente la responsabilità negativa statisticamente prevalente della discriminazione tra i genitori come agente patogeno che favorisce – per non dire causa – l’alienazione genitoriale, il suggerimento di invertire la collocazione prevalente resta sicuramente valida per tutti quei casi in cui la circostanza sia stata inevitabile, come quando le abitazioni dei genitori sono sensibilmente distanti; o il piccolo è allattato al seno; ecc. Sono queste le situazioni disciplinate dall’art. 337-sexies, che il legislatore non poteva ignorare: se non si può fare a meno di assegnare la casa familiare prescindendo dai criteri ordinari il criterio prevalente non può essere che l’interesse dei figli. Ma questo non vuol dire che i criteri ordinari non esistono più in assoluto: vuol dire solo che possono essere superati in talune circostanze, caso per caso Difatti, quali regole sono previste per l’assegnazione? Il legislatore avrebbe potuto privilegiare la conservazione dell’habitat, come avveniva in precedenza, ma non lo ha fatto. Non per caso. Non lo ha fatto perché ai figli può convenire trascorrervi più tempo possibile, ma anche meno tempo possibile; ad es., quando la casa familiare suscita solo bruttissimi ricordi. Ipotesi a cui nessuno pensa…. Il criterio della conservazione dell’habitat come presunzione a priori in assoluto, escluso per l’appunto il caso in cui il genitore collocatario voglia trasferirsi altrove (autorizzato praticamente sempre, o legittimato a posteriori se allontanatosi unilateralmente), senza guardare il caso specifico e soprattutto senza sentire il parere dei figli, è dunque un altro esempio di approccio adultocentrico e un’altra gratuita invasione di campo del diritto nei confronti della psicologia.

Restano fuori, però, da questa analisi tutti i casi – decisamente più comuni – in cui sia possibile una frequentazione equilibrata. La conclusione è ovvia. Se si evitano soluzioni asimmetriche si previene a monte la tentazione, che il genitore prevalente può avere e concretamente attuare con facilità, di emarginare l’altro.

Cosa si perde se manca il genitore collocatario?

Naturalmente è giusto porsi la domanda di quale sia il costo di questa soluzione, in termini di minore stabilità abitativa e conseguenti disagi. Chi scrive non ha la presunzione di dare risposte in materie non di sua competenza e si rimette a quanto documentato dagli esperti del settore, facilitato dal fatto che si tratta di questioni già lungamente dibattute. Rammentato velocemente che molti inconvenienti legati al cambiar casa, sono identici – se non maggiori – anche con il genitore prevalente (basta confrontare il sistema dominante a w-e alternati più uno/due pomeriggi presso il non collocatario con un sistema a settimane alternate e contare quante volte si sposta il figlio), può essere sufficiente dare la parola al Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi che così conclude in audizione in Senato “Nel bilancio complessivo della salute del figlio certamente è quindi per lui meno di sacrificio perdere un po’ di tempo a frequentare due case che non perdere la possibilità di avere un riferimento in entrambi i genitori.”

Ovvero, nessuno nega i vantaggi della stabilità logistica in assoluto, ma non si può ignorare che il caso della famiglia separata è particolare: se in quel contesto il prezzo è la stabilità affettiva e la crescita di tensioni e liti familiari, come quasi sempre avviene, complessivamente il figlio soffre di più e il suo bilancio è negativo (anche senza arrivare all’alienazione). Conclusioni in linea con tutte le indagini scientifiche precedenti e successive, su decine di migliaia di casi (v. ex multis, Abarbanel 1979; Steinman 1981; Underwood 1989; Luepnitz 1986; Neugebauer 1989; Smart et al. 2001; Poussin, 1999; Bauserman, 2002; Luecken, 2003; Fabricius, 2007; Melli & Brown 2008; Haugen 2010; Luftensteiner 2010, Bjarnason et al. 2012; Bergström 2012; Suenderhauf 2013; Nielsen 2014; Framsson 2017; ecc.).

Il modello di frequentazione proposto in Italia. Preme, tuttavia, a chi scrive chiarire che i suddetti studi si riferiscono alla shared residence, modello di frequentazione temporalmente paritetica, mentre la propria proposta (ad es., attraverso due disegni di legge all’attenzione del Senato) è diversamente strutturata, proponendo la pari dignità sostanziale dei genitori, investiti di pari responsabilità, ma con pari opportunità per i figli di fruire dell’apporto educativo e affettivo di ciascuno dei due, anche a tempi occasionalmente disuguali, se serve. Concretamente ciò significa che nessuno dei genitori potrà assumere atteggiamenti prepotenti o arroganti in forza di una prevalenza riconosciuta, ufficializzata e stabile per effetto del provvedimento del giudice – così come nessuno potrà defilarsi per i motivi opposti – ma che il figlio avrà la possibilità di organizzarsi temporalmente in modo asimmetrico in funzione dei propri bisogni del momento. Pertanto, caso per caso, il giudice potrà dettare le regole base più adatte alla specifica situazione, di partenza equilibrate, ma derogabili in funzione delle esigenze dei figli. Per maggiore chiarezza, un figlio potrebbe anche pranzare e studiare sempre a casa di un genitore e cenare e dormire dall’altro, se questo in certi periodi gli conviene.

Concludendo, con tutta probabilità gli estensori della Pdl 4377 hanno inteso suggerire rimedi utili a partire – come dato di fatto – da una prassi non corretta, ma tuttora certamente dominante, pur nella consapevolezza che le norme prescrivono altro e che sicuramente la scienza altro suggerisce.

Marino Maglietta Newsletter Studio Cataldi 2 maggio 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25961-affido-condiviso-e-alienazione-genitoriale-collocazione-prevalente-da-invertire-o-da-eliminare.asp

 

Verso l’applicazione della legge sull’affido condiviso

La “promessa” del ministro ha ricevuto il plauso da parte dell’associazione che spinge per l'”effettiva applicazione della riforma del 2006 – attesa – da undici anni dal paese”. La legge n. 54, 8 febbraio 2006 sulla riforma dell’affido condiviso, si legge infatti in una nota di Crescere Insieme, “doveva realizzare il diritto dei figli di genitori separati a ricevere le cure e il contributo educativo e affettivo di entrambi i genitori, ugualmente impegnati e gravati da pari responsabilità”. www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm

Ciò, tuttavia, stando ai dati Istat del novembre 2016, “non è affatto avvenuto e il sistema legale si è limitato a introdurre modifiche puramente nominalistiche, come chiamare collocatario l’affidatario esclusivo, e non collocatario l’altro genitore, conservando vecchi ruoli e funzioni, arroganza e disimpegno”.

Oltre al danno, ossia il “malessere e la delusione – subiti – dai figli”, per loro, prosegue la nota, “si aggiunge anche la beffa di vedere la spoliazione di un diritto indisponibile motivata con ‘il loro esclusivo interesse’, a dispetto della unanimità degli studi scientifici che attestano esattamente il contrario, ovvero che la stabilità logistica deve andare in secondo piano rispetto a quella affettiva, pena gravi scompensi nella loro vita”.

La muta protesta dei figli è stata in ogni caso raccolta da madri e padri, rincara l’associazione, e sotto la spinta “di questa imponente componente sociale (circa 4 milioni di persone) si è iniziato a sgretolare il fronte della conservazione, tanto che nel marzo 2017 a partire dai tribunali di Brindisi e Salerno si sono avuti nuovi orientamenti, in linea con la riforma del 2006”.

Ora, l’auspicio è che al messaggio del guardasigilli, conclude la nota di Crescere Insieme, “seguiranno concrete iniziative per rispettare la promessa – a nome – di tutte le famiglie separate, per un risultato così a lungo sperato e atteso”.

Marina Crisafi Newsletter Studio Cataldi 2 maggio 2017

www.studiocataldi.it/articoli/25994-affido-condiviso-orlando-al-lavoro-per-l-effettiva-applicazione-

Guidawww.studiocataldi.it/guide_legali/affidamento_dei_figli/affidamento-condiviso.asp

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AMORIS LÆTITIA

Oltre “Veritatis Splendor”, ovvero al di qua del massimalismo morale

Nel cuore del testo di Amoris Lætitia non vi è semplicemente una svolta nella pastorale matrimoniale e familiare, ma una profonda e accurata rilettura della tradizione morale della Chiesa cattolica. Vorrei cercare di illustrare in modo semplice uno dei punti più evidenti di recupero della tradizione che Amoris Lætitiarealizza con grande forza e con vera profezia. Prima voglio però chiarire un punto decisivo. Diversamente da quanto viene ripetuto dai settori più restii ad accettare tale svolta, non si tratta di una discontinuità che AL introduce nella tradizione morale della Chiesa. Bisogna piuttosto riconoscere apertamente il contrario. La discontinuità era stata introdotta da alcuni documenti del XX secolo – che vanno da Casti Connubii, a Humanae Vitae a Veritatis Splendor – i quali avevano introdotto un “massimalismo morale” del tutto inedito fino ad allora, con una grande forzatura nella lettura delle fonti tradizionali, e rispetto a cui Amoris Lætitiaopera un vero e proprio atto di “riconciliazione con la tradizione”. Come era stato il Concilio Vaticano II, AL, seguendone le orme, va letta anzitutto come “servizio alla tradizione”.

La delicata correlazione di oggetto e soggetto in Amoris Lætitia.Per comprendere questo punto viscerale in vista di una adeguata recezione del testo di AL, dobbiamo partire da uno dei punti-chiave del suo magistero, ossia dalla luminosa distinzione tra “legge oggettiva” e “circostanze soggettive”. Tutta la esortazione apostolica riposa, fin dai suoi primi numeri, sulla chiara coscienza della superiorità del tempo sullo spazio, con la conseguenza che “non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero” (AL 3). Sulla base di questa onesta considerazione, AL elabora, nel cap. VIII, una comprensione delle “ferite della famiglia” in cui si propone una relazione tra “norme” e “discernimento” che recupera una antica sapienza ecclesiale, rispetto a cui una “morale fredda da scrivania” (AL 312) aveva preteso di prendere le distanze in modo drastico e massimalistico. Il punto centrale di questa ri-acquisizione può essere detto in positivo o in negativo. Consideriamo entrambe queste esposizioni:

  1. In positivo: “La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante” (AL 301)

  2. In negativo: “E’ meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano” (AL 304)

Questa comprensione discende da un “luogo comune” classico della teologia morale, che AL presente con grande autorevolezza mediante le parole di S. Tommaso (S. Th., I-II, 94, 4). Tale principio può essere chiamato della “indeterminazione del particolare” e suona nel testo di Tommaso – dedicato alla domanda “sembra che la legge naturale non sia la stessa per tutti” – con queste parole: “Sed ratio practica negotiatur circa contingentia, in quibus sunt operationes humanae, et ideo, etsi in communibus sit aliqua necessitas, quanto magis ad propria descenditur, tanto magis invenitur defectus” e che AL spiega in questo modo illuminante: “E’ vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari” (AL 304). Qui AL riprende un principio classico del diritto – che Triboniano aveva elaborato alla corte di Giustiniano – sulla “poikilia” della realtà storica, mai del tutto catturabile da una norma generale. Ed è significativo che questo sia un forte contrappeso alla tendenza razionalistica, imposta dalla codificazione napoleonica, di cui ha risentito nell’ultimo secolo anche la tradizione ecclesiale. Da questa comprensione del tutto tradizionale del rapporto tra legge e discernimento scaturiscono nel campo della teologia matrimoniale una serie di conseguenze molto chiare, che aprono spazi nuovi alla prassi e alla teoria:

  • “…è possibile che entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa” (AL 305).

  • “…bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno, lasciando spazio alla misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile…Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente in suo insegnamento obiettivo, non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada” (AL 308).

Il massimalismo morale di Veritatis Splendor e la irrilevanza delle circostanze soggettive. Una generazione prima, nel 1993, il testo di una enciclica di Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, dedicata ad “alcune questioni fondamentali nell’insegnamento morale della Chiesa”, dedicava allo stesso tema un approccio che non sarebbe esagerato definire “diametralmente opposto”. Se leggiamo infatti i numeri 79-83, dedicati al tema dell’intrinsece malum, vediamo all’opera una lettura di Tommaso e della tradizione irrigidita in un razionalismo massimalista estremamente pericoloso. Seguiamo in sintesi in questo delicato passaggio:

  • È sufficiente la considerazione dell’oggetto di un atto umano per definire moralmente tale atto come cattivo, visto che “l’elemento primario e decisivo per il giudizio morale è l’oggetto dell’atto umano, il quale decide sulla sua ordinabilità al bene e al fine ultimo, che è Dio” (VS 79)

  • “Si danno degli oggetti dell’atto umano che si configurano come ‘non ordinabili a Dio”, perché contraddicono radicalmente il bene della persona, fatta a sua immagine” (VS 80)

  • Nella tradizione morale della Chiesa gli atti umani che si orientano a tali oggetti “sono denominati intrinsecamente cattivi (intrinsece malum): lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce o dalle circostanze” (VS 80)

  • Si pretende – con spregiudicata ermeneutica – di far coincidere questa definizione massimalista degli atti illeciti con Gaudium et Spes 27, che elenca le diverse forme di attentato alla dignità della persona umana (cfr. VS 80)

  • Si aggiunge, in modo certamente più coerente, un riferimento a HV e alle “pratiche contraccettive mediante le quali l’atto coniugale è reso intenzionalmente infecondo” (VS 80)

  • Se ne deduce che “Le circostanze e le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto ‘soggettivamente’ onesto o difendibile come scelta” (VS 81)

Il riassunto, evidentemente scarno, ma fedele, di questa posizione illustra bene le sue conseguenze “massimalistiche”: ossia la applicazione della “legge oggettiva” – o della norma sull’oggetto della intenzione – può prescindere totalmente dalla considerazione della “intenzioni ulteriori” e delle “circostanze” riguardanti il soggetto. Le conseguenze di questa impostazione sono due:

  1. Da un lato, se l’obiettivo è il bene della persona,” gli atti, il cui oggetto non è ordinabile a Dio e indegno della persona umana si oppongono sempre e in ogni caso a questo bene…In tal senso il rispetto delle norme che proibiscono tali atti e che obbligano semper et pro semper, ossia senza alcuna eccezione, non solo limita la buona intenzione, ma costituisce addirittura la sua espressione fondamentale” (VS 82)

  2. Dall’altro, tale lettura massimalista, non riesce a comprendere le buone ragioni della tradizione, che ha saputo contemperare sapientemente le ragioni dell’oggetto con le circostanze del soggetto. Infatti ne trae la conseguenza che “è da respingere come erronea l’opinione che ritiene impossibile qualificare moralmente come cattiva secondo la sua specie la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati, prescindendo dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili di quell’atto per tutte le persone interessate” (VS 82)

Nella enciclica del 1993 si legge una preoccupazione fondamentale per una determinazione razionale della moralità dell’agire umano che smentisce secoli di accurata distinzione tra logiche oggettive e logiche soggettive: la demonizzazione del soggetto moderno, della sua coscienza e della sua storia non permette di leggere serenamente le fonti. Agostino e Tommaso sono travolti e resi irriconoscibili, in questa preoccupazione apologetica e antimodernistica, che cade nello stesso errore che vuole combattere. Ossia in una lettura razionalistica e intellettualistica della tradizione, che idealizzando la realtà si immunizza dal rapporto con essa. Questa “morale fredda di scuola” viene superata apertamente e serenamente da AL, che la giudica come un prospettiva “meschina” (AL 304).

Amoris Lætitia, recuperando proprio ciò che da Veritatis Splendor era stato escluso e giudicato erroneo, ritorna finalmente sul sentiero della tradizione. E lo fa non solo ascoltando i testi antichi con orecchio sensibile, ma mettendosi in ascolto della esperienza degli uomini e delle donne. E ci suggerisce, con finezza e benevolenza, che non si resta nella tradizione sostando al balcone o alla scrivania, ma uscendo per strada. Anche a costo di sporcarsi le scarpe col fango della vita.

Andrea Grillo blog: Come se non 3 maggio 2017

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-recezione-di-amoris-laetitia-14-oltre-veritatis-splendor-ovvero-al-di-qua-del-massimalismo-morale

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ASSEGNO DIVORZILE

Riduzione, se la moglie è tornata a vivere dai genitori.

Corte di Cassazione, ordinanza n. 10787, 3 maggio 2017

Congrua la richiesta di riduzione dell’assegno divorzile da corrispondere alla moglie, se la stessa è tornata a vivere dai genitori. La modifica effettiva delle condizioni di vita dopo la fine del matrimonio è indice indiscutibile di cambiamento delle condizioni economiche che erano state assunte a fondamento del divorzio. Così la Corte di Cassazione, con ordinanza, dispone la correttezza della riduzione dell’assegno divorzile che era stato stabilito a favore della moglie da parte di un uomo il quale però, nel frattempo, aveva perso il lavoro ed era in difficoltà a garantire l’obbligazione assunta. Corrispondentemente la di lui ex moglie era invece tornata a vivere dai propri genitori e non aveva necessità, di continuare a percepire la somma predefinita in sede di divorzio, non avendo avuto sensibile peggioramento delle condizioni di vita.

Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia 5 maggio 2017

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506880/congrua-la-richiesta-di-riduzione-dell-assegno-divorzile-da-corrispondere-alla-m.html

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter n. 17/2017, 3 maggio 2017.

Pietro Sarubbi: da Barabba a Gesù. Una distanza colmata da uno sguardo. In questo filmato (poco più di sei minuti) viene raccontata la sorpresa dell’imprevedibile, la storia di un attore che sul set del film “The Passion” di Mel Gibson incontra lo sguardo di Qualcuno che gli cambia la vita. L’intervista è del 2012, ma la nuova vita di Pietro Sarubbi continua anche oggi. “Il Signore sempre di nuovo ci viene incontro attraverso gli occhi di uomini attraverso cui Egli traspare”. Imperdibile, a fine intervista, la letterina della figlia di Pietro. www.youtube.com/watch?v=WI9GziwiSkU

Messaggio CEI per la giornata del 1° maggio 2017. Il Lavoro al centro verso la 48ª Settimana sociale dei cattolici in Italia. newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1717_allegato1.pdf

“[…] C’è prima di tutto una questione di giustizia. Se il lavoro oggi manca è perché veniamo da un’epoca in cui questa fondamentale attività umana ha subito una grave svalorizzazione. La “finanziarizzazione” dell’economia […] ha reso il lavoro quasi un inutile corollario. […] Non sarà possibile nessuna reale ripresa economica senza che sia riconosciuto a tutti il diritto al lavoro e promosse le condizioni che lo rendano effettivo (Costituzione Italiana, art.4). […] C’è poi una seconda questione legata al senso del lavoro. Il lavoro, infatti, ha una tale profondità antropologica da non poter venire ridotto alla sola, pur importante, dimensione economica. Il lavoro è, infatti, espressione della creatività che rende l’essere umano simile al suo Creatore. Secondo la tradizione cristiana, il lavoro è sempre associato al senso della vita[…]”.

Settimana sociale- Cagliari, 26-29 ottobre 2017 www.settimanesociali.it

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Una buona pratica ormai consolidata di responsabilità sociale, per una economia solidale, per non chiedere tutto allo stato. La terza fase del Fondo Famiglia Lavoro della Diocesi di Milano. “diamo lavoro”. Borse lavoro e tirocini aziendali per rientrare nel mondo del lavoro [leggi dal sito]. Nella settimana del Primo Maggio, al di là di formalismi celebrativi ormai un po’ usurati, conviene ricordare la grande emergenza lavoro tuttora perdurante nel nostro Paese, attraverso la proposta di una concreta azione di sostegno alle storie delle persone: non solo discorsi, non solo concerti, ma concreti percorsi di reinserimento lavorativo. In particolare, dopo diversi anni di operatività il Fondo Famiglia Lavoro della diocesi di Milano ha deciso di concentrare tutte le iniziative e le risorse raccolte dalle libere donazioni promuovendo esperienze di tirocinio/borsa lavoro di tre/sei mesi in azienda, grazie ad accordi con diverse associazioni di categoria. Destinatari sono persone con almeno un figlio e prive di lavoro da giugno 2015. Una proposta concreta, che è anche un invito a tutte le realtà aziendali della diocesi ad aprire le proprie porte a questa “piccola grande” opportunità, offerta a chi rischia di perdere anche la speranza di poter ricominciare.

www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/diamo-lavoro-ecco-il-fondo-famiglia-lavoro-3-0-1.140173

Notizie – dall’Italia e dall’estero

Belgio. Si sta avvicinando il convegno “Families on the move“, il prossimo 12 maggio 2017 a Bruxelles, promosso da COFACE (Confederazione delle associazioni familiari presso gli organismi comunitari europei), sul tema della mobilità delle famiglie in Europa. Il convegno si presenta particolarmente interessante perché, oltre al consolidato nodo delle migrazioni provenienti dall’esterno dell’Europa, in esso si affronteranno anche le sfide di una mobilità “economica” delle famiglie all’interno della Comunità Europea (per lavoro, ricerca di migliori servizi e benefit di varia natura), di una mobilità “digitale” (affrontare la crescente presenza del web nella vita delle famiglie) e la mobilità “sociale” nei modelli lavorativi di coppia (monoreddito, doppia carriera, modelli di conciliazione famiglia lavoro…).

Sul rapporto famiglia-immigrazione è ancora particolarmente attuale il Rapporto Cisf 2014, “Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione”, offerto dalla casa Editrice Erickson al prezzo (scontatissimo, per acquisti on line) di 7,25€.

www.erickson.it/Libri/Pagine/Scheda-Libro.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_03_05_2017&ItemId=40704

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FAFCE. Lotta alla pornografia. Lettera dell’associazionismo familiare al Parlamento Europeo. A fronte della discussione sulla modifica dei regolamenti europei sulla possibile messa in onda di contenuti pornografici e/o di violenza gratuita, la FAFCE (Federazione europea delle associazioni familiari cattoliche, cui aderisce in Italia il Forum delle associazioni familiari) insieme ad altre importanti reti associative internazionali ha inviato una lettera al Parlamento europeo. La riforma in discussione intende infatti cancellare la proibizione di trasmettere contenuti pornografici/violenti, consentendola con la sola protezione di sistemi di “parental control”. In tal modo l’accesso a tali contenuti da parte dei minori sarebbe estremamente facilitato, vista la diversità di piattaforme tecnologiche su cui la visione sarebbe possibile (smartphones, tablet, pc, tv), e sdu cui i blocchi di parental control diventano scarsamente efficaci, considerata anche l’elevata competenza tecnologica delle nuove generazioni di nativi digitali. Analoga discussione si era sviluppata anche nel nostro Paese. La lettera chiede di non cancellare il divieto, segnalando anche l’impressionante percentuale di bambini che in vari Paesi è già stata esposta a contenuti pornografici (In Italy, a survey found that 67% of boys aged 14-19 and 15% of girls have watched pornographic material. In Sweden, 92% of boys and 57% of girls of 15-18 years of age have watched pornography. Exposure to pornography can happen even earlier. In the UK, a survey of children aged 11-16 found that more than half were exposed to such contents).

http://fafce.org/index.php?option=com_content&view=article&id=395:prevent-child-exposure-to-pornography-and-violence-call-to-meps-to-protect-children-from-harmful-audiovisual-contents&catid=37:events&Itemid=237&lang=en

Italia. Padri che cambiano. Primo Rapporto sulla paternità – marzo 2017, a cura di Università RomaTre, Dipartimento di Scienze della Formazione e dell’Istituto di Studi sulla Paternità. “Perché un Rapporto sulla paternità in Italia? … Perché la trasformazione della figura paterna da 50 anni a questa parte … costituisce una novità storica che dunque richiedeva una “fotografia” e una analisi nei suoi elementi di profonda novità; perché la rapidissima evoluzione dei costumi sociali e delle relazioni intra-familiari necessitava di un “fermo immagine”, … perché il mutamento della paternità … è oggetto continuo di ricerche, studi, saggi, articoli, convegni, trasmissioni… perché, infine, nel panorama variegato e abbondante di dati, osservazioni, informazioni e notizie sul tema della paternità mancava, con ogni evidenza, una conoscenza sistematica, una visione unificante delle parti” (Maurizio Quilici).

http://sfp.uniroma3.it/files/97876eb6-88ff-4a3a-a564-9584c162fa0a.pdf

Per approfondire, sulla paternità puoi leggere anche “Essere padri”, di Francesco Belletti, saggio e insieme testimonianza dal vivo della paternità, che così si conclude, con voce di padre: “Qualche volta, in tutta sincerità, si sente un po’ di nostalgia per la stagione delle pappe, dei pannolini, del passeggino che va dove voglio io; poi però succede anche che vedi tuo figlio sbrigarsela brillantemente, da solo, in una situazione complessa, e finalmente pensi: ‘Ti sono spuntate le ali: vola!'”.

www.edizionisanpaolo.it/varie_1/famiglia_1/famiglia-2000/libro/essere-padri.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_03_05_2017

Le proiezioni demografiche ISTAT. Il futuro della popolazione in Italia secondo il Direttore del Cisf su Radio Vaticana. “Atilde; ˆ questo che descrive una popolazione in regresso e che non ha progetto, che non ha futuro; un Paese che non riesce ad aiutare le persone ad avere figli, Atilde; ¨ un Paese che rinuncia a costruire il proprio futuro”.

http://it.radiovaticana.va/news/2017/05/01/istat_tra_50_italia_sempre_pi%C3%B9_anziana/1308745

Corpo, emozioni, amore: un’indagine a Verona in collaborazione con il CISF. È stata presentata a Verona lo scorso 20 aprile 2017 l’indagine curata dal CISF per conto dell’INER-Verona (Istituto per l’educazione alla sessualità e alla fertilità), condotta su un campione di circa 1.200 adolescenti e preadolescenti, sui temi della sessualità e dell’affettività oggetto dei corsi formativi che l’INER da anni svolge, con riscontri decisamente positivi, nelle scuole di Verona e provincia.

www.confederazionemetodinaturali.it/it/Istituto-per-l-Educazione-alla-Sessualita-e-alla-Fertilita-INER-Verona/cms/Pagina.action?pageAction=&page=CMS_Pagina.112

Molto interessanti i risultati, che sfatano alcuni luoghi comuni: i nostri figli sono molto interessati a conoscere ma soprattutto a capire il senso profondo dei rapporti tra maschi e femmine, degli impulsi sessuali, dei sentimenti contrastanti che li abitano, con notevoli differenze – malgrado i messaggi di apparente omologazione unisex – tra i ragazzi e le ragazze. Per un’ampia sintesi dei principali risultati, vedi l’articolo sull’ultimo numero di “Noi Famiglia&Vita” – aprile 2017 (per gentile concessione di Avvenire).

newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1717_allegato2.pdf

E’ possibile anche ascoltare la presentazione dei dati tenuta da Pietro Boffi (30 minuti ca.).

www.youtube.com/watch?v=ZMTxkiCvDkM&feature=youtu.be

Per richiedere una copia del rapporto completo di ricerca, scrivere a iner.verona1986@gmail.com.

 

Ultimi arrivi dalle case editrici.

  • Effatà, Grazie a te il cielo. Percorso interiore per coppie

  • Infinito Edizioni, La prepotenza invisibile. Bulli e cyberbulli: chi sono, come difendersi

  • Sonzogno, Una gioventù sessualmente liberata (o quasi)

  • Cairo, Lettere a mia figlia. Sul senso della vita

Belletti Paola, Osservazioni di una mamma qualunque, Berica editrice, Arzignano (VI), 2015, pp. 154, € 14,00. Questo libro costituisce un plastico esempio di quanto si fosse sbagliato, Lev Tolstoj, nel famoso incipit di Anna Karenina, quando sosteneva che “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo”. La storia raccontata da Paola Belletti è infatti certamente quella di una famiglia felice, la sua, anche se questa felicità non ha niente di scontato, ma è faticoso frutto di fatiche, dolori, rabbia, lacrime, e anche di tanti sorrisi, abbracci e solidarietà. Una famiglia con quattro figli, che vive sulle rive del Garda, e che si trova a fare i conti con la disabilità di Lodovico, ultimo nato, il primo, unico e desiderato maschio. Lo sguardo della madre, voce narrante di pagine scritte in prima persona, è appassionato e leggero, drammatico e ironico, e tutti i volti che appaiono nella giornata hanno una sorprendente concretezza: il marito sdraiato sul divano ma anche grande roccia su cui appoggiarsi, le figlie, ancora piccole ma dalle personalità precise, le vie crucis tra ospedali, medici, burocrazia, amici e sconosciuti che portano gioia, aiuti insperati ma anche parole che feriscono, sguardi che giudicano… e le reazioni spesso viscerali dell’autrice, che prega, grida, reagisce e si affida ad una Volontà più grande. Diario della fede, questo libro, oltre che documento di denuncia sociale su come centinaia di migliaia di famiglie vivono la fatica, la speranza e la gioia della nascita di un bambino speciale e ferito. Nessun buonismo, nessuna facile risposta, ma la verità di una storia che attraversando il dolore e la fatica trova comunque senso e felicità. Perché, contrariamente a Tolstoj, Paola Belletti conferma che “ogni famiglia ha un romanzo da raccontare”. E il suo vale proprio la pena di leggerlo. Il fatto poi, abbastanza curioso in effetti, che abbiamo lo stesso cognome (senza alcuna parentela, da quel che mi risulta) è stato solo un motivo in più per scegliere di prendere in mano con più attenzione queste pagine. E non me ne sono certo pentito! (Francesco Belletti)

Save the date – dall’Italia e dall’estero

Nord: Stand by me. Accoglienza, sviluppo locale e buone pratiche d’inclusione, iniziativa dell’Associazione Me. Dia. Re. in collaborazione con Psicologi nel Mondo-Torino, ospitata dal Sermig, Torino, 25-26 maggio 2017.

www.me-dia-re.it/wp-content/uploads/2017/04/STAND-BY-ME-locandina_DEF.pdf

Sostare in famiglia. Nuovi sistemi di servizi per garantire i diritti dei minori e delle loro famiglie, convegno organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII; Padova, 15 maggio 2017.

www.eventbrite.it/e/registrazione-sostare-in-famiglia-33517571960

12° Festival della comunicazione – Cesena, 19-29 maggio 2017. “Si terrà a Cesena, dal 19 al 29 maggio, la dodicesima edizione del Festival della comunicazione, appuntamento che la società editrice San Paolo e le Paoline portano in giro per l’Italia una volta all’anno. L’evento – organizzato dal “Corriere Cesenate”, settimanale della diocesi di Cesena-Sarsina, assieme all’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali – avrà per titolo “Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo”, dal messaggio di Papa Francesco per la Giornata delle Comunicazioni sociali che verrà celebrata domenica 28 maggio. Dieci giorni intensi di appuntamenti, conferenze, cinema, teatro, concerti, mostre, confronti”. [vai al sito per altre informazioni].

www.settimanadellacomunicazione.it

Centro: “Sussidiarietà e crisi demografica”, presentazione del Rapporto curato dalla Fondazione per la Sussidiarietà. Roma (CNEL), 11 maggio 2017

www.secondowelfare.it/news/presentazione-del-rapporto-sussidiarieta-e-crisi-demografica.html

Sud: zero-sei. Tutela e accoglienza dei bambini piccoli con genitori in difficoltà, Convegno Nazionale di Studi promosso da Progetto Famiglia Onlus, Pompei (NA), 19 maggio 2017.

http://www.progettofamiglia.org/it/uploads/2017%20-%20Settimana%20Diritto%20Famiglia/Programma%20Convegno%20di%20Studi%20-%20Pompei%2019%20maggio%202017.pdf?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=programma_pompei_19_maggio_2017_convegno_nazionale_di_studi_sullaccoglienza&utm_term=2017-04-27

Estero: Multi-disciplinary Interagency Approaches to the Prevention and Treatment of Child Abuse and Neglect (Approcci multidisciplinari tra diverse istituzioni per la prevenzione ed il trattamento dell’abuso e della trascuratezza dell’infanzia), 15.a Conferenza Regionale Europea dell’ISPCAN (International Society for the Prevention of Child Abuse and Neglect), L’Aja (NL), 1-4 ottobre 2017 (iscrizioni a prezzo agevolato entro il 1 luglio 2017).

www.ispcan.org/15th-ispcan-european-regional-conference/?utm_source=email&utm_campaign=April_eNB&utm_medium=email

Testo e link integrali http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/maggio2017/2037/index.html

Archiviohttp://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspxIscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

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CONSULTORI FAMILIARI CFC

Giornata di formazione: “La coppia è un legame?”

Confederazione Italiana Consultori Familiari di ispirazione Cristiana (ONLUS)

 

 

www.cfc-italia.it/cfc

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Brescia. Le donne che hanno la fortuna di invecchiare.

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CONVIVENZE

Famiglia: via di casa la convivente se muore il partner ma … con calma.

Corte di Cassazione, terza Sezione civile, sentenza n. 10377, 27 aprile 2017

Per la Cassazione la L. 76/2016 non si applica ai rapporti more uxorio precedenti.

www.gazzettaufficiale.it/atto/vediMenuHTML?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-05-21&atto.codiceRedazionale=16G00082&tipoSerie=serie_generale&tipoVigenza=originario

Non oltre 5 anni all’interessato per trovare una nuova sistemazione. La convivente more uxorio deve lasciare la casa del compagno deceduto alla moglie separata e alla figlia in quanto eredi. Per le relazioni antecedenti la legge sulle unioni civili (76/2016), infatti, non è riconosciuto il diritto a permanere nella casa del compagno. In seguito alla Cirinnà, invece, la permanenza è concessa per il tempo necessario a trovare una nuova sistemazione, ma non oltre cinque anni, periodo modulabile in base alla durata della convivenza e altri parametri, come la presenza di figli minori o disabili.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso di una donna condannata in sede di merito al rilascio di un immobile detenuto sine titulo a favore della moglie e della figlia del suo convivente separato.

Per il giudice di merito il prolungato rapporto di convivenza “more uxorio” tra la donna e il compagno non attribuiva alla prima alcun titolo idoneo a possedere o detenere l’immobile, né il diritto di abitazione ex art 540, comma 2 e 1022 c.c. riservato al coniuge (avendo la Corte costituzionale n. 310/1989 ritenuto la esclusione del convivente more uxorio compatibile con gli artt. 2 e 3).

In Cassazione, la ricorrente sostiene che l’evoluzione del sistema sociale e la preminenza assunta nell’ordinamento dalle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost. hanno portato la giurisprudenza costituzionale e della Corte di legittimità a qualificare come interesse meritevole di tutela l’affectio derivante dal rapporto di convivenza “more uxorio” ove caratterizzato da apprezzabile stabilità.

Si sarebbe così, a detta di parte, riconosciuto al convivente non titolare di diritti reali o relativi sull’immobile destinato ad abitazione della coppia, la titolarità di una relazione con il bene qualificata come detenzione autonoma, tale da legittimare il godimento del bene anche dopo il decesso del convivente.

Il convivente ha una “detenzione qualificata” dell’immobile. Ciononostante, per gli Ermellini il motivo è infondato. I giudici evidenziano che la convivenza “more uxorio“, quale formazione sociale che dà vita a un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente.

Questo è diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità e assume i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare, con la conseguenza che l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta da terzi e finanche dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio.

Tuttavia, la detenzione qualificata del convivente non proprietario né possessore, è esercitabile e opponibile ai terzi in quanto permanga il titolo da cui deriva e cioè in quanto perduri la convivenza “more uxorio”. Ne segue che una volta venuto meno il titolo, per cessazione della convivenza, dovuta a libera scelta delle parti ovvero in conseguenza del decesso del convivente proprietario-possessore, si estingue anche il diritto avente a oggetto la detenzione qualificata sull’immobile.

Una continuazione della relazione di fatto tra il bene e il convivente (già detentore qualificato) superstite, potrà ritenersi legittima soltanto in base alla eventuale istituzione del convivente superstite come coerede o legatario dell’immobile in virtù di disposizione testamentaria oppure alla costituzione di un nuovo e diverso titolo di detenzione da parte degli eredi del convivente proprietario.

La rilevanza sociale e giuridica che riveste la convivenza di fatto, non incide infatti, salvo espressa disposizione di legge, sul legittimo esercizio dei diritti spettanti ai terzi sul bene immobili: non è ratione temporis applicabile alla fattispecie, spiega la Cassazione, la norma dell’art. 1, comma 42, della legge 20 maggio 2016 n. 76 che conferisce al convivente superstite un diritto di abitazione temporaneo (non oltre i cinque anni) modulato diversamente in relazione alla durata della convivenza e alla presenza di figli minori o disabili.

Nelle situazioni antecedenti la legge Cirinnà, dunque, potrà al più venire in rilievo il canone di buona fede e di correttezza “dettato a protezione dei soggetti più esposti e delle situazioni di affidamento” che impone al soggetto che legittimamente intende rientrare, in base al suo diritto, nella esclusiva disponibilità del bene, di concedere all’ex convivente un termine congruo per la ricerca di una nuova sistemazione abitativa.

“Gratuità” delle prestazioni rese more uxorio. Ancora, la ricorrente di aver depositato in giudizio “dettagliati conteggi” della retribuzione spettante a una “badante” e che il valore patrimoniale di tali prestazioni, da lei effettuate negli ultimi due anni a favore del convivente poi deceduto, avrebbero determinato un arricchimento della figlia di questi.

Anche tale motivo è infondato e vanno esclusi i presupposti dell’art. 2041 c.c. in quanto l’assistenza e la cura prestate al convivente fino al decesso dovevano ricomprendersi tra gli obblighi morali derivanti dal rapporto “more uxorio”, come tali non riconducibili a causa di scambio connotata da nessi di corrispettività e commutatività tra le reciproche prestazioni. Ancora, il “de cuius” era percettore di pensione e aveva sostenuto con le proprie risorse economiche tutte le spese di assistenza e cura.

Non può essere accolto l’assunto difensivo secondo cui non sussiste gratuità nelle prestazioni rese tra conviventi in ambito “more uxorio”: questa teoria, spiegano i giudici, configge con la ricostruzione della convivenza di fatto come formazione sociale volta costituire una comunità familiare, nella quale l’apporto collaborativo economico e morale di ciascun convivente va riguardato non come adempimento di una serie di prestazioni autonomamente valutabili, ma come spontaneo contributo di ciascun convivente al perseguimento del benessere materiale e spirituale della comunità.

Ancora, l’affermazione si pone in evidente contrasto con la tesi affermata dalla stessa ricorrente secondo cui la rilevanza giuridica della convivenza more uxorio doveva rinvenirsi nella “affectio” della coppia (non quindi nello scambio di reciproche attribuzioni patrimoniali tra i conviventi).

Sicché, avuto riguardo alla lunga durata della convivenza (quarantasette anni) appare del tutto implausibile una sorta di interversione della affectio in un rapporto di lavoro subordinato, come pretenderebbe la donna.

Lucia Izzo Newsletter Studio Cataldi 4 maggio 2017 sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/26003-famiglia-via-di-casa-la-convivente-se-muore-il-partner-ma-8230-con-calma.asp

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DALLA NAVATA

4° Domenica di Pasqua –- Anno A – 7 maggio 2017

Atti 02, 39 Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro.

Salmo23, 03 Rinfranca l’anima mia. Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome.

1Pietro02, 25 Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime.

Giovanni 10, 09 Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.

 

Gesù, il pastore bello e buono. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose (BI).

Al tempo di Gesù i pastori erano presenti ovunque in Palestina e li si incontrava nelle campagne e nelle città, nelle pianure e sui monti. La figura del pastore era nota e si conoscevano i luoghi nei quali di giorno o di notte stava con le pecore, che fornivano latte, carne e formaggio. Nella Bibbia la figura del pastore è molto presente non solo come protagonista della narrazione, ma anche come parabola e tipologia. Sicché Dio, il Signore, è chiamato e riconosciuto come “Pastore d’Israele” (Sal 80,2), il suo popolo è detto “suo gregge” (cf. Sal 78,52; 95,7; 100,3), pecore che sono la sua proprietà. Le diverse situazioni in cui possono venire a trovarsi il pastore e il gregge servono pertanto a descrivere concrete condizioni storiche, quale lettura dei rapporti tra Dio e il suo popolo.

Dio è il Pastore, ma affinché questa sua qualità sia riconosciuta dai credenti, egli invia al suo gregge dei pastori, scelti “perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore” (Nm 27,17). Ma questi pastori a volte diventano infedeli alla loro missione, diventano “cattivi pastori”; nello stesso tempo, altri che non sono stati inviati da Dio “si fanno pastori”, assumendo una funzione di servizio finalizzata in realtà al perseguimento dei propri fini. I profeti hanno più volte denunciato queste situazioni, nelle quali il popolo del Signore geme e soffre, ma hanno anche annunciato la venuta di Dio o del suo Messia quale pastore delle sue pecore (cf. Ger 23,1-6; 31,10; Ez 34,1-31).

Nel quarto vangelo, mentre Gesù si trova a Gerusalemme per celebrare la festa della Dedicazione del tempio, viene descritto uno scontro tra Gesù stesso e alcuni farisei, dopo la guarigione da parte sua in giorno di sabato di un cieco nato (cf. Gv 9). Grazie alla fede in Gesù, il cieco giunge a vedere, mentre le guide religiose appaiono cieche, incapaci di riconoscere in lui la missione di Dio. Gesù afferma dunque di essere venuto ad aprire un processo che manifesterà chi è cieco e chi invece vede, chi resta nell’incredulità e chi invece giunge alla luce (cf. Gv 9,40-41).

Questo però costituisce un esodo, un’uscita dal sistema religioso giudaico verso la comunità che aderisce a Gesù. La pretesa di Gesù è lampante e scandalosa, come ci viene presentata dalle espressioni che la comunità giovannea ha forgiato a partire dalle sue parole e azioni, contemplate, meditate e interpretate. Il discorso di Gesù è organizzato attorno alla formulazione di una paroimía (Gv 10,6), ossia di un enigma costruito per immagini (cf. Gv 10,1-6), cui segue la spiegazione che lo risolve in mistero di fede (cf. Gv 10,7-18) e infine una conclusione (cf. Gv 10,19-21).

Ecco dunque l’enigma: “Amen, amen io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante”. Le solenni parole di Gesù mettono in rilievo un’opposizione: vi sono quelli che entrano nel recinto del gregge non attraverso la porta, che è sorvegliata, ma scavalcando il recinto. Questi sono i ladri e i briganti: le pecore non appartengono a loro, ma essi vogliono impossessarsene. Sono ladri perché rubano e sono briganti, che possono entrare nel recinto solo con l’inganno; sono in realtà lupi (cf. At 20,28-30), falsi pastori che non si curano dei bisogni delle pecore ma pensano solo a se stessi.

Invece “il pastore delle pecore entra attraverso la porta” e il guardiano posto all’ingresso del recinto lo riconosce e gli apre; allora “le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori”. Gesù è questo pastore e il Padre è il guardiano che gli apre. È infatti il Padre che gli ha dato le pecore (cf. Gv 17,6-8), che lo ha inviato (cf. Gv 8,16.42), che gli ha messo tutte nelle mani (cf. Gv 3,35; 5,22). Dunque il Padre riconosce Gesù come pastore unico del gregge, e così fanno anche le pecore: esse riconoscono la sua voce, la ascoltano ed esultano, sentendosi da lui chiamate ciascuna con il proprio nome.

Gesù ha un compito preciso: chiamando le pecore per nome, le fa “uscire”, fa compiere loro un esodo dal recinto ai pascoli aperti, alla libertà. Questa azione è più del far uscire di Mosè dall’Egitto verso la terra promessa, perché è un far uscire dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita per sempre. In queste poche parole è delineato tutto il cammino del discepolo, pecora del gregge di Gesù: deve ascoltare la voce del pastore, deve riconoscerla come parola per sé, deve dunque conoscere il pastore e quindi seguirlo verso i pascoli della libertà, in vista di una “vita in abbondanza”.

Il pastore si definisce poi anche “porta”. L’enigma viene così spiegato mediante due affermazioni: “io sono la porta” (Gv 10,7.9) e “io sono il buon pastore” (Gv 10,11.14). Si faccia attenzione: Gesù non dice di essere la porta del recinto, ma la porta delle pecore! Egli non è una porta che fa accedere a un recinto, a un’istituzione, ma una porta a servizio delle pecore. Nell’Antico Testamento l’immagine della porta è rivelativa di un passaggio verso il cielo (cf. Gen 28,17), di un passaggio per accedere alla presenza del Signore, alla sua Shekinah, nel tempio (cf. Is 60,11; Sal 118,19-20); ma qui è Gesù che diventa porta piccola e stretta (cf. Mt 7,13-14; Lc 13,24), unica via di entrata e di uscita verso Dio, il Padre.

Venuta la pienezza dei tempi, quando “si adora Dio in Spirito e Verità” (cf. Gv 4,23-24), Gesù è ormai l’unico accesso a Dio, l’unica via per far parte del gregge del Signore: è una porta aperta su uno spazio senza limiti. Negli ultimi discorsi ai suoi discepoli dirà: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), parole che esplicitano l’affermazione: “Io sono la porta”, che esprimono e sono il cammino che conduce alla conoscenza di Dio e dunque alla vita per sempre (cf. Gv 17,3). Queste parole di Gesù ci possono sorprendere e anche destabilizzare: com’è possibile che un uomo abbia vantato simili pretese? Eppure Giovanni mette in bocca a Gesù tali rivelazioni, perché così vuole la fede in colui che è il Figlio di Dio, il Messia venuto nel mondo.

Ecco allora la richiesta di discernimento su quanti sono venuti prima di Gesù, con la pretesa di essere pastori inviati da Dio: molti sono già venuti, ma erano ladri, briganti, estranei “venuti per rubare e sacrificare” (Gv 10,10), come dice letteralmente il testo (verbo thýo). Gesù non delegittima certo i “pastori” inviati da Dio – da Abramo fino ai profeti –, ma i falsi Messia, come aveva ben inteso già Ignazio di Antiochia: “Cristo è la porta del Padre, attraverso la quale sono entrati Abramo, Isacco, Giacobbe, i profeti, gli apostoli e la chiesa” (Ai Filadelfesi 9).

In ogni tempo appaiono nel mondo e anche nella chiesa pretesi “unti”, falsi inviati, che Dio non ha mandato, uomini e donne che imputano al Signore le loro elucubrazioni, ma sono sempre riconoscibili da chi è credente attento in Gesù: non stanno in mezzo al gregge, ma al di sopra; non conoscono le pecore per nome, ma vogliono solo comandarle; non proteggono la pecora debole, ma la abbandonano; non vanno alla ricerca della pecora perduta, ma preferiscono stare con le altre dentro al recinto.

Gesù è dunque la porta da attraversare in libertà per andare e venire, per spingersi verso i pascoli del cielo e rientrare al riparo quando sopraggiunge la minaccia. È una porta di salvezza, che dona una salvezza non transitoria, come quella che talvolta gli umani si danno nella storia. Di conseguenza, è anche il pastore che desidera per le pecore una cosa sola: “la vita in abbondanza”. Per questo le fa uscire in libertà, su cammini di esodo nei quali si aprono orizzonti nuovi e si conoscono nuovi pascoli. Ecco la libertà dei figli di Dio, nella quale c’è anche protezione, perché – dice Gesù– “nessuno può rapire le mie pecore dalla mia mano” (Gv 10,28).

L’altra spiegazione dell’enigma consiste nell’autorivelazione di Gesù quale “pastore bello e buono”: “Io sono il pastore bello e buono (kalós), che depone la propria vita per le pecore” (Gv 10,11). La manifestazione della venuta “pastorale” di Gesù non consiste nelle idee, nella dottrina, nel solo insegnamento, ma nel deporre e spendere la vita per le pecore. Se Dio era cantato nel salmo quale Pastore del credente al quale nulla manca (cf. Sal 23,1), Gesù dice di sé che egli stesso dà la sua vita per le pecore. E se nei vangeli sinottici il pastore della parabola era pieno di amore, fino ad andare a cercare la pecora smarrita per riportarla a casa (cf. Mt 18,12-14; Lc 15,4-7), qui il pastore dà la sua vita sia per la pecora smarrita sia per quella che resta nel recinto.

Viene così individuato il rapporto tra il pastore e le pecore: una conoscenza reciproca che diventa amore, una conoscenza penetrativa attraverso la quale il pastore conosce le pecore in profondità nelle quali esse stesse non giungono a conoscersi; e le pecore giungono a riconoscere il pastore come colui che ha cura di loro perché le ama. Esperienza indicibile, eppure autentica, nella quale si ascolta la voce del pastore, si giunge a discernere la sua presenza elusiva, ma soprattutto ci si sente amati, compresi, perdonati da un amore che è sempre anche misericordia.

Ma accanto al buon pastore appare anche “il pastore salariato” (Gv 10,12), che svolge il suo compito e realizza il suo lavoro solo per il salario. Molti erano i pastori di questo tipo al tempo di Gesù e molti sono ancora oggi: non sono cattivi, non fanno del male, non rubano al popolo di Dio né lo maltrattano, ma sono meri funzionari! Se la chiesa fosse una macchina, potrebbe anche andare avanti così; ma la chiesa è il gregge del Signore, è una realtà viva, un corpo nel quale, se non c’è l’amore gratuito, avviene un triste sfiguramento. Il pastore salariato adempie il suo mestiere per quanto è pagato; per questo, se vede arrivare il lupo, pensa a salvare se stesso, non le pecore (cf. Gv 10,12-13). Gesù invece no! La sua missione di pastore è motivata solo dall’amore, e il Padre lo ama proprio per questo: perché sa donare la vita per le pecore, per poi riceverla di nuovo da lui (cf. Gv 10,14-15.17-18). La sua missione di dare e spendere la vita è indirizzata a tutti gli esseri umani, anche a quelli che appartengono ad altri ovili, non solo a quello di Israele. Verrà il giorno in cui anche queste pecore provenienti dalle genti potranno ascoltare la voce di Cristo e così divenire pecore del gregge che è il suo (cf. Gv 10,16): di lui, il solo pastore dell’umanità, di tutta la creazione.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11403-gesu-il-pastore-bello-e-buono

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Cuneo. Torna famiglia sei granda.

In 10 centri della provincia di Cuneo (Alba, Busca, Boves, Bra, Cuneo, Fossano, Saluzzo, Savigliano, Sant’Albano Stura e Vicoforte Mondovì) dal 6 maggio al 2 giugno 2017 si terrà la settima edizione di “FamigliaseiGranda”, la grande festa diffusa della famiglia ideata e realizzata dal Forum delle associazioni familiari della provincia di Cuneo.

Per quasi un mese le piazze, i parchi, i teatri e i santuari della Granda si riempiranno di una miriade di iniziative dedicate alla famiglia, organizzate in occasione della Giornata internazionale della famiglia, indetta il 15 maggio di ogni anno dall’Onu.

Lo scopo principale è quello di proporre un tempo e uno spazio di festa pensato dalle famiglie per le famiglie, in cui protagonista sia la famiglia con tutti i suoi componenti, incoraggiando e dando visibilità al suo ruolo e alle tante realtà del territorio che operano con e per la famiglia.

http://www.forumfamiglie.org/2017/05/03/cuneo-torna-famiglia-sei-granda/

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GRAVIDANZA

Medicina: in gravidanza cervello mamma si riduce per accogliere bebè

Durante la gravidanza non si modifica solo la forma fisica delle future mamme. Anche il cervello cambia per accogliere meglio il bebè. E si restringe.

Una modificazione temporanea, che dura fino a due anni dopo il parto e che servirebbe a acuire e ‘concentrare’ il senso materno, secondo uno studio spagnolo-olandese pubblicato su ‘Nature Neuroscience’.

La materia grigia, nei 9 mesi, si perde nelle aree cerebrali implicate nelle interazioni sociali, come ad esempio nella percezione e interpretazione dei desideri, delle emozioni e dell’umore degli altri. Ma a questa diminuzione, al contrario di quanto si potrebbe pensare, corrisponde una maggiore efficienza del cervello.

Nel corso dello studio i ricercatori diretti da Elseline Hoekzema dell’università di Leiden (Olanda), esperta di scienze cognitive, hanno analizzato il cervello di 25 donne incinte del loro primo figlio.

Le mamme sono state sottoposte a risonanze magnetiche durante e dopo la nascita del bambino, e i risultati comparati con quelli ottenuti su 19 uomini al loro primo figlio, 17 uomini senza figli e 20 donne che non avevano mai partorito.

Si sono così evidenziati i cambiamenti strutturali e funzionali sul cervello delle future mamme, legati soprattutto alla perdita di materia grigia in alcune aree cerebrali.

AdnKronos Salute 5 maggio 2017 www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=34106

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POLITICHE FAMILIARI

Decreto di riparto del fondo per le politiche della famiglia

Documento della Conferenza delle Regioni del 20 aprile 2017.Nella Conferenza Unificata del 20 aprile 2017 le Regioni “hanno espresso l’assenso al perfezionamento dell’intesa sul Decreto di riparto del fondo per le politiche della famiglia – si legge nell’atto della stessa Conferenza – con la richiesta contenuta nel documento consegnato in seduta” hanno espresso un’intesa. Poiché però, “nella medesima seduta, si è registrata la mancata intesa da parte dell’Anci e dell’Upi” e pertanto, si legge sempre negli atti della Conferenza Unificata. “Non si sono create le condizioni di assenso previste per il perfezionamento dell’intesa”, il Governo ha dovuto registrare la “mancata intesa”.

 

Si riporta comunque di seguito il documento con la richiesta della Conferenza delle Regioni consegnato al Governo e pubblicato sul sito www.regioni.it.

Richiesta per l’intesa ai sensi dell’articolo 1, comma 1252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sullo schema di decreto di riparto del fondo per le politiche della famiglia per l’anno 2017

Punto 4) O.d.g. Conferenza Unificata. La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome esprime l’Intesa con la seguente richiesta: Art. 1 – comma 1. Dopo “nazionale”, aggiungere il seguente periodo: “anche in continuità con le azioni e gli interventi realizzati mediante il fondo per le politiche della famiglia per l’anno 2016”. Roma, 20 aprile 2017

Documento Approvato – Sociale: politiche della famiglia, richiesta per intesa sul decreto di riparto del fondo per l’anno 2017. Atto della Conferenza Unificata del 20.04.2017 sull’Intesa sullo schema di decreto di riparto del Fondo per le politiche della famiglia per l’anno. 17/42/CU04/C8

Intesa ai sensi dell’articolo 1, comma 1252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sullo schema di decreto di riparto del fondo per le politiche della famiglia per l’anno 2017

Punto 4) O.d.g. Conferenza Unificata. La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome esprime l’Intesa con la seguente richiesta:

Art. 1 – comma 1. Dopo “nazionale”, aggiungere il seguente periodo: “anche in continuità con le azioni e gli interventi realizzati mediante il fondo per le politiche della famiglia per l’anno 2016”.

(Regioni.it 3155 – 05/05/2017)

http://www.regioni.it/newsletter/n-3155/del-05-05-2017/famiglia-la-richiesta-per-lintesa-sul-fondo-16582/?utm_source=emailcampaign2939&utm_medium=phpList&utm_content=HTMLemail&utm_campaign=Regioni.it+n.+3155+-+venerd%C3%AC+05+maggio+2017

 

Belletti: per ripartire l’Italia deve investire sulla famiglia

La mancanza di lavoro in un Paese è anche mancanza di investimenti, non solo sulle cose ma sulle persone. E l’Italia è un Paese che continua a non investire sulla famiglia, quindi sulle nuove generazioni, quindi sul suo sviluppo e sul suo futuro. E’ il quadro che emerge dal recente rapporto Istat sul calo demografico: fra 50 anni l’Italia conterà sette milioni di residenti in meno. Tra le ragioni di questi dati, le difficoltà delle giovani coppie di mettere su famiglia.

Entro il 2065 la vita media in Italia passerà da 80 a 86 anni per gli uomini e da 84 a 90 anni per le donne, con un numero di ultranovantenni che saliranno da 700 mila a un milione e mezzo. Le conseguenze di questo invecchiamento della popolazione sarà un saldo negativo tra decessi e nascite di 450 mila unità, con due morti ogni nuovo nato. Il risultato, sebbene l’indice di fertilità passerà da 1,34 figli per donna a 1,59 è che gli abitanti dell’Italia scenderanno dagli attuali 60 a 53 milioni. Non solo: aumenteranno i residenti del centro-nord e diminuiranno gli abitanti del sud. Stabile sarà l’apporto dei migranti, che ogni anno saranno tra i 270 mila e i 300 mila, mentre saranno tra i 6 e i 7 milioni gli italiani che emigreranno all’estero.

Tutti dati che nel loro complesso disegnano uno scenario da “blocco demografico”, come spiega il prof. Francesco Belletti, direttore Centro internazionali di studi sulla famiglia:

R. – Abbiamo il grande problema del blocco demografico, stanno arrivando alla condizione di età anziana le generazioni del boom demografico e questo è uno scenario che ci segnerà per molto tempo. La questione grave è che non c’è nessuna attenzione, nessun segnale di ripresa per quanto riguarda le nuove nascite. Non sono preoccupatissimo che ci sia qualche centinaia di migliaia di persone in meno nel prossimo futuro nel nostro Paese; quello che mi preoccupa è che gli anziani passeranno dal 22-23 al 30-35% e che i giovani e i bambini passeranno a percentuali minime. È questo che descrive una popolazione in regresso e che non ha progetto, che non ha futuro; un Paese che non riesce ad aiutare le persone ad avere figli, è un Paese che rinuncia a costruire il proprio futuro.

D. – Che politiche si possono implementare per cambiare questo trend?

R. – C’è bisogno di una doppia azione: una di tipo culturale ed una di tipo politico che sarebbe più semplice, basterebbe volerlo. Dal punto di vista culturale oggi è presente una forte tentazione nel dire: “Un figlio in più è un danno alla comunità” e non si riesce a far passare nei media, nella comunicazione, nel sentire comune della gente, che chi mette al mondo un figlio sta investendo sul proprio futuro e sul futuro di un intero popolo. Quando vedi una famiglia con tre o quattro figli, questa si sente dire: “Ma siete degli irresponsabili che li avete messi al mondo!”. Questo deve cambiare; è complicato, è un compito di comunicazione, di testimonianza che richiede tempi lunghi, ma non possiamo dimenticarcelo.

D. – E invece da un punto di vista strettamente politico, quali sono le misure da intraprendere?

Q R. – Dal punto di vista delle politiche è sorprendente che il nostro Paese sia stato paralizzato per tutti questi decenni. La Francia, la Svezia, la Germania, sono tutti Paesi che hanno in qualche modo messo mano a politiche attive per favorire la natalità. Da noi questo è un tabù. Le cose che facciamo in Italia sono una tantum, sono dei bonus, … Hanno tutte le parole delle precarietà. Invece ci sarebbe bisogno di politiche strutturali spostando le risorse economiche a sostegno delle giovani famiglie. Dovrebbe essere il primo passo della prossima legge di stabilità e della prossima legge finanziaria. Dobbiamo spostare soldi a sostegno di due giovani che decidono di mettere su casa, di mettere su famiglia e poi di aver un figlio. Se non facciamo questo, come altri Paesi hanno già fatto, resteremo condannati a questa marginalità dei giovani e delle famiglie con bambini piccoli.

D. – Dal rapporto emergono altri dati interessanti. Tra 50 anni la popolazione del Nord Italia aumenterà del cinque% a scapito della popolazione del Sud, del Mezzogiorno. Sono così gravi gli squilibri socio-economici fra queste due parti del Paese?

R. – Non ci siamo neanche accorti che c’è stato un rovesciamento dei trend demografici: vent’anni fa le popolazioni del Sud erano più fertili, avevano più figli per famiglia, erano più giovani; oggi la popolazione del Sud è maggiormente in difficoltà. Quindi, è vero, questo è un trend segnalato dall’Istat per il prossimo futuro che dice che il Sud, oltre ad essere in difficoltà dal punto di vista dello sviluppo economico, della coesione sociale, è anche in difficoltà dal punto di vista della speranza. Noi siamo in una situazione in cui la fatica del sistema economico si scarica direttamente sull’impossibilità di pensare al futuro. Dovrebbe essere un allarme sociale che non ci fa dormire perché, di fatto, abbiamo – come dire – sterilizzato intere generazioni.

Michele Raviart: radio vaticana 1 maggio 2017

http://it.radiovaticana.va/news/2017/05/01/istat_tra_50_italia_sempre_pi%C3%B9_anziana/1308745

 

Perché la famiglia può salvare il cuore malato dell’economia

La sovrabbondanza di beni relazionali, di funzioni e di risorse, è anche cura e custodia del futuro dell’umanità. Da Lubomir Mlcoch una lezione di «Family economics»

Oggi la famiglia esce con le ossa rotte, nel corpo a corpo quotidiano con l’economia, soprattutto nei Paesi a più avanzata modernizzazione e globalizzazione. La disuguaglianza sociale cresce e così le famiglie in condizione di povertà, l’offerta di lavoro femminile patisce in troppi Paesi uno svantaggio che non ha alcuna ragionevole motivazione, i compiti di cura verso le nuove generazioni e verso le persone fragili sono in prevalenza scaricati sulle scelte di vita familiare, penalizzando così sviluppi professionali, traiettorie di carriera, progresso economico. Cresce anche l’individualismo esasperato della società dei consumi, «facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto» (Amoris Lætitia, n.33). E la vita familiare rimane emarginata in una privatizzazione che, anziché liberarla e rafforzarla, la rende socialmente irrilevante, e sempre meno ‘interessante’, per le persone e per la società.

Eppure non è sempre stato così. In molti periodi storici, in molte culture, nelle più diverse parti del mondo, alla famiglia veniva riconosciuta una rilevanza economica che non doveva nemmeno essere dimostrata. Era evidente che attorno alla famiglia si costruivano e ordinavano non solo i temi identitari, giuridici, affettivi e demografici di un popolo, ma anche la costruzione, l’accumulo e la trasmissione ordinata della ricchezza, da una generazione all’altra, in una ‘naturale’ alleanza tra valore famiglia, bene comune e generazione del benessere economico. La stessa parola ‘economia’ ha a che fare con ‘le regole della casa’, con lo sviluppo ordinato della vita familiare: quasi a dire che senza una famiglia che funziona non può esserci nemmeno ricchezza per la società. Oggi invece, soprattutto nella quotidianità della vita di tante famiglie, il rapporto con l’economia, con i suoi valori, con i suoi criteri, sembra aver perso questa possibilità di ‘alleanza’, ed è molto più facile percepirsi come ‘nemici-amici’: due mondi inevitabilmente costretti a doversi mettere d’accordo, ma troppo spesso con obiettivi, regole e risultati discordanti.

Queste riflessioni sono state stimolate dalla lettura di un volume di prossima uscita, «Family economics. Come la famiglia può salvare il cuore dell’economia», di Lubomir Mlcoch, economista di Praga e membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (edito nel 2014 in lingua originale, e tradotto in inglese e in italiano nel 2017 – in Italia presso le Edizioni San Paolo). L’ipotesi centrale del testo è che la razionalità economica della famiglia sia diversa da quella che potremmo definire ‘economicista’ e riduzionista, che include solo motivazioni strumentali, utilitaristiche, valutabili e misurabili in termini monetari (e solo in quelli). L’agire economico della famiglia (la sua reale soggettività economica, potremmo dire) manifesta invece altri criteri e altri valori, magari meno misurabili, ma non per questo meno efficaci e rilevanti, nell’influenzare l’agire concreto (anche economico) della famiglia. Solo così la famiglia diventa un attore economico comprensibile e razionale, e non un elemento di disturbo rispetto alla teoria economica costruita a tavolino. Inoltre negli ultimi anni il rapporto tra sistema economico e famiglia è diventato sempre più problematico e condizionante, a causa della seduzione del consumismo e della subordinazione delle scelte familiari alle ferree leggi del mercato.

Questa dinamica ha generato una progressiva fragilità delle famiglie, che fa parlare di ‘disintegrazione verticale’ della famiglia nei rapporti con il mercato, in analogia con ‘l’integrazione verticale’ che avviene invece tra impresa e mercato. In altri termini, i confini e le regole della famiglia non tengono, e il territorio e i valori familiari sono invasi e sostituiti dal nuovo mercato dei consumi, dell’individualismo, dei desideri insaziabili e perciò mai soddisfatti. Paradossalmente, anche l’intervento pubblico, anziché controbilanciare questa invasione del territorio familiare da parte di un mercato sempre più potente, transnazionale ed aggressivo, troppo spesso si concretizza in una ulteriore colonizzazione dello spazio familiare, invaso anche dai servizi e dagli interventi pubblici, espropriato delle proprie funzioni e quindi reso irrilevante, trasparente, evanescente.

È in gioco, in questo ambito, un irrinunciabile principio della Dottrina della Chiesa, il principio di sussidiarietà, l’unico approccio che consentirebbe alle famiglie di proseguire nel proprio processo di sviluppo, se sostenute ed aiutate nelle funzioni proprie e specifiche, anziché essere sostituite o peggio espropriate delle proprie titolarità. In questo senso è particolarmente interessante la rassegna dei modelli di welfare nei vari Paesi europei, incluso il modello delle nazioni post-comuniste, questa volta raccontate da chi ha vissuto al suo interno per lunghi anni, confrontati sulla base di una domanda decisiva: «Quanto l’intervento dello Stato aiuta la famiglia ed essere se stessa, quanto ne rispetta l’autonomia, e quanto invece tende a toglierle funzioni, rendendola così irrilevante e in ultima analisi privatizzata, oppure strumentalizzandola e sfruttandola come risorsa a basso costo per un welfare statocentrico»?

La famiglia quindi, in questa triangolazione con il mercato e con lo Stato, sembra davvero essere ‘vaso di coccio tra vasi di ferro’: soggetto debole, davanti a luoghi e dinamiche macro-sociali certamente più forti della capacità di risposta della singola storia familiare. Eppure, nonostante questo scenario, per certi versi preoccupante e cupo, la famiglia continua ad essere soggetto forte, e la vita familiare resta nell’orizzonte di senso e di progetto di milioni e milioni di persone nel mondo: non grazie al contesto esterno, ma nonostante le pressioni, le sollecitazioni, i condizionamenti e le minacce che dall’esterno arrivano nel vivo delle relazioni familiari. La soggettività che la famiglia può mettere in campo esige quindi legittimazione e riconoscimento sia in ambito economico che in ambito socio-politico. L’operazione è complessa, perché se si rappresenta la famiglia come un soggetto puramente economico, la tentazione – e il tentativo – è quella di ridurla solo ai suoi aspetti economici. Niente dono, niente reciprocità, niente apertura alla vita e alla nascita dei figli, perché conta solo la partita doppia del conto profitti e perdite, la valutazione costi – benefici economici, la previsione di rendimento economico (profitto) rispetto a qualsiasi ‘investimento’ sul futuro.

Ed è proprio qui che l’Autore concentra i suoi sforzi di economista, convinto che sia possibile – e necessario – rifondare i paradigmi antropologici (l’idea di persona, insomma) sulla base dei quali si costruiscono le teorie economiche. «Family Economics» di Lubomir Mlcoch ci offre in sostanza un originale percorso di riflessione per leggere con occhiali diversi il ruolo della famiglia nella società contemporanea: occhiali capaci di vedere quel suo alone immateriale di gratuità ulteriore, che la vecchia economia e la vecchia cultura dei diritti di cittadinanza non riescono a vedere. E siccome non lo vedono, affermano che non esiste. Ma la vita vera, la quotidianità delle persone si occupa di smentire questo ideologico riduzionismo. Così come lo smentiscono le migliaia di esperienze concrete di chi ha tentato, in questi anni, di costruire un’economia diversa, capace di solidarietà, pur nel rispetto delle regole dell’efficacia dell’efficienza, capace di generare profitto economico, ma anche un valore aggiunto di fiducia e generatività.

La famiglia infatti ha un proprium specifico, che la mette in relazione con entrambi gli altri mondi, ma che non si fa esaurire da nessuno dei due. Nel rapporto con l’economia e con lo Stato la famiglia mette in gioco una sovrabbondanza di beni relazionali, un’eccedenza generosa di funzioni e di risorse, grazie al dono, al legame solidaristico, all’apertura generosa alla vita, che è anche cura e custodia del futuro dell’umanità, nell’accoglienza dei figli e nella disponibilità a costruire la società. Per questo essa, anche di fronte al grande ‘Dio mercato’ e alla forza del potere politico, rimane risorsa fondamentale per la dignità di ogni persona e insieme insostituibile generatrice di capitale sociale.

Francesco Belletti Avvenire 4 maggio 2017

www.avvenire.it/opinioni/pagine/perch-la-famiglia-pu-salvare-il-cuore-malato-delleconomia

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