newsUCIPEM n. 621 – 30 ottobre 2016

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Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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ADOZIONE COPPIE SAME SEX Stepchild adoption e coppie same sex: via libera in casi particolari.

ADOZIONI INTERNAZIONALI Ucraina 104mila minori in istituti; pochi trovano genitori in patria.

AFFIDO CONDIVISO Affido figli: la madre non è prevalente.

Criterio della cd. Maternal preference.

AMORIS LAETITIA Divorziati risposati: le 50 sfumature di grigio del card. Kasper.

Struttura e significato dell’esortazione apostolica Amoris laetitia.

Trento La grande bellezza. Sussidio a schede ai Amoris laetitia.

Amoris Laetitia – L’indice dei 98 documenti pubblicati dal blog.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO Assegno di mantenimento e redditi in nero

CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF Newsletter n. 21/2016, 26 ottobre 2016.

CHIESA CATTOLICACelibato dei preti. La parola alla difesa

CONSULTORI FAMILIARI Abruzzo. Finanziamento per i consultori familiari, pubblici e privati

Latina. Avviato il Servizio diocesano di Ascolto familiare ‘Il Pozzo’.

Torino. Il tempo della separazione: incontri per cittadini e operatori

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEMPescara. Percorsi programmati.

DALLA NAVATA 31° Domenica del tempo ordinario – anno C – 30 ottobre 2016.

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).

DEMOGRAFIA L’incubo del 2031: Italia senza nascite.
DIACONATO Del diaconato e delle diacone.
La possibilità del diaconato femminile oggi.

DIVORZIO Divorzio al comune: sì all’assegno di mantenimento.

EUROPA La mancata audizione dei minori deve essere motivata.

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Il Papa: «Sconcertante voler cancellare la differenza uomo-donna»

MINORI Protezione dei minori stranieri non accompagnati.

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ADOZIONE COPPIE SAME SEX

Cassazione Civile: stepchild adoption e coppie same sex: via libera in casi particolari

Corte di Cassazione Civile, prima Sezione civile, Sentenza n. 12962, 22 giugno 2016.

Nel silenzio del legislatore, la Corte di Cassazione ha preso una posizione importante sul delicato tema della stepchild adoption, espressione anglofona con cui s’intende la possibilità di adozione dei figli naturali o adottivi del partner.

Lo ha fatto, in species, con la storica sentenza, relativa al caso di una domanda di adozione di una minore da parte di una partner stabilmente convivente con la madre biologica. Un primo via libera era stato dato dal Tribunale dei minorenni di Roma, la cui pronuncia veniva successivamente confermata in appello.

Per la cassazione della sentenza ricorreva la Procura Generali Di Roma deducendo, da un lato, il potenziale conflitto di interessi tra la minore e la madre adottante, onde la necessità della nomina un curatore speciale e, dall’altro, la circostanza che la “constata impossibilità” di affidamento preadottivo richiesta dalla lettera d) dell’articolo 44 della Legge n. 184 del 1983 presuppone sempre una situazione di abbandono.

Entrambe le censure suddette non hanno, tuttavia, incontrato favorevole sorte. Ed invero – previo respingimento della richiesta del preliminare del Procuratore Generale di rinvio del ricorso alle Sezioni Unite per non annoverabilità della questione tra quelle “di massima di particolare importanza” – con riferimento al primo motivo di doglianza, il Supremo Collegio ha osservato che “l’appezzamento dell’esistenza di un potenziale conflitto di interessi, che non sia previsto normativamente in modo espresso […]e non sia ricavabile dall’interpretazione coordinata delle norme che regolano il giudizio […]è rimesso in via esclusiva al giudice del merito e non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità”.

L’ipotesi normativa di adozione in casi particolari ex 44, comma 1, lettera d), della Legge n. 184 del 1983 mira, infatti, a dare riconoscimento giuridico, previo rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all’interesse del minore, a relazioni affettive continuative e di natura stabile instaurate con il minore e caratterizzate dall’adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione analoghi a quelli genitoriali. La ratio dell’istituto è, dunque, quella di consolidare, ove ricorrano le rigorose condizioni dettate dalle legge, legami preesistenti e di evitare che si protraggano situazioni di fatto prive di uno statuto giuridico adeguato.

All’interno di tale paradigma “non può ravvisarsi una situazione di incompatibilità di interessi in re ipsa, desumibile cioè dal modello adottivo astratto, tra il genitore-legale rappresentante ed il minore adottato”.

Una tale situazione – spiegano gli Ermellini – potrebbe semmai configurarsi in concreto, nel corso del procedimento, ove espressamente dedotta; nella specie, la Corte d’appello, con motivazione logicamente coerente, avulsa da qualsiasi violazione di legge, aveva peraltro escluso una situazione di conflitto d’interessi tra la minore e la madre, tale da imporre la nomina di un curatore speciale.

Peraltro, l’unica ragione posta a sostegno della denunciata incompatibilità di interessi – scrivono i giudici di piazza Cavour in relazione al ricorso presentato dalla Procura generale di Roma – è stata individuata nell’interesse personale della madre della minore al consolidamento giuridico del proprio progetto di vita relazionale e genitoriale con la compagna.

Sul punto, la Corte laconicamente osserva che “o si ritiene che sia proprio la relazione sottostante (coppia omoaffettiva) ad essere potenzialmente contrastante, in re ipsa con l’interesse della minore, incorrendo però in una inammissibile valutazione negativa fondata esclusivamente e comunque priva di qualsiasi allegazione e fondamento probatorio specifico; oppure si deve escludere tout court la configurabilità in via generale e astratta di una situazione di conflitto”.

Ciò in quanto l’apprezzamento dell’esistenza di un potenziale conflitto d’interessi, che non sia previsto normativamente in modo espresso o non sia ricavabile dall’interpretazione coordinata delle norme che regolano il giudizio), è rimesso in via esclusiva al giudice del merito e non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità.

Venendo poi all’esame del secondo motivo di ricorso, la Cassazione focalizza la propria indagine sul contenuto da attribuire alla disposizione “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, condizione questa – in cui deve trovarsi il minore adottando – indispensabile per l’applicazione della fattispecie di adozione disciplinata dall’articolo 44 lettera d) Legge n. 184 del 1983.

Previa analitica disamina della norma sopra citata e della sua evoluzione normativa ed applicativa, alla luce, in particolare, della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Strasburgo, il Supremo Collegio giunge ad affermare che la “constata impossibilità” di procedere all’affidamento preadottivo deve essere intesa – contrariamente alla restrittiva prospettazione della Procura – anche in senso giuridico e non solo fattuale.

Ed invero, sostenere che, per integrare la condizione della “constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo”, debba sempre sussistere la situazione di abbandono “oltreché contrastare con l’articolo 44, comma 1 – nella parte in cui ne esclude la necessità per tutte le ipotesi descritte dalla norma, senza distinzione tra le singole fattispecie, come invece si riscontra nel terzo comma dell’articolo 44 relativamente agli altri requisiti relativi all’età o all’insussistenza dello status coniugale – condurrebbe sempre ad escludere che, nell’ipotesi di cui alla lettera d), l’adozione possa conseguire ad una relazione già instaurata e consolidata con il minore, essendo tale condizione relazionale contrastante con l’accertamento di una situazione di abbandono così come descritta nel citato articolo 8, comma 1, della Legge n. 184 del 1983”.

In sintonia con l’odierno quadro costituzionale e convenzionale, occorre, quindi, ricomprendere nella formula in questione anche l’impossibilità “di diritto”, e con essa “tutte le ipotesi in cui, pur in difetto dello stato di abbandono, sussista in concreto l’interesse del minore a vedere riconosciuti i legami affettivi sviluppatisi con altri soggetti, che se ne prendano cura”.

Sulla scorta di queste argomentazioni, la Suprema Corte ha ritenuto di applicare i principi sopra enucleati anche al caso – come quello di specie – di coppia omogenitoriale, relativo, quindi, ad un rapporto giuridicamente non riconosciuto.

Ed invero, conclude la Corte di Piazza Cavour, “poiché all’adozione in casi particolari prevista dall’articolo 44 lettera d) possono accedere sia le persone singole che le coppie di fatto, l’esame de requisiti e delle condizioni imposte dalla legge, sia in astratto (“la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”), sia in concreto (l’indagine sull’interesse del minore imposta dalla legge) non può essere svolto – neanche indirettamente – dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner”.

Ilaria Stellato filo diritto news letter 615 25 ottobre 2016

www.filodiritto.com/news/2016/adozione-cassazione-civile-stepchild-adoption-e-coppie-same-sex-via-libera-in-casi-particolari.html?utm_source=Filodiritto&utm_medium=email&utm_campaign=Newsletter+615

Sentenza

https://renatodisa.com/2016/07/01/corte-di-cassazione-sezione-i-civile-sentenza-22-giugno-2016-n-12962

VedinewsUCIPEM n. 603, pag. 18 – 26 giugno 2016

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Ucraina: 104mila minori negli istituti, ma pochi di loro trovano genitori in patria.

Per tutti gli altri l’unica speranza è l’adozione internazionale. Per i bambini ucraini, il percorso dall’abbandono all’adozione è ancora troppo lungo e pieno di ostacoli. Tanto che solo pochi arrivano alla meta. Il rapporto tra la quantità di minori che vivono negli istituti e il numero di quelli che trovano una nuova famiglia è ancora molto basso. Per ragioni diverse che, analizzate nel loro complesso, portano a una indubitabile conclusione: anche nel Paese ex sovietico è necessario incoraggiare l’adozione internazionale.

Secondo la portavoce dell’Ukraine Without Orphans Alliance, Svitlana Kharchenko, attualmente negli orfanotrofi ucraini risiedono 104mila bambini. “Di questi, però – spiega Kharchenko – 12 mila sono in fase di definizione della loro condizione di adottabilità e solo poco più di 6.500 possono essere adottati. Tutti gli altri sono stati collocati nelle strutture di accoglienza su richiesta dei rispettivi genitori. E quindi non possono essere adottati”.

Tuttavia, non è assolutamente detto che tutti i 6.500 minori adottabili troveranno effettivamente una famiglia pronta ad accoglierli. Per quanto riguarda le possibilità di adozione nazionale, infatti, gli aspiranti genitori adottivi ucraini sembrano tendere ancora a ricercare quello che, ai loro occhi, è “il figlio perfetto”: sano, sotto i 10 anni, senza fratelli né sorelle. Ma sono solo poche centinaia i bambini ospiti degli istituti in Ucraina che rispondono pienamente a questa descrizione. La stessa Kharchenko spiega che quasi il 90% dei minori adottabili ha più di 10 anni o è affetto da qualche patologia. E nella quasi totalità dei casi hanno fratelli o sorelle. Di contro, solo il 5% delle coppie connazionali di questi bambini si è detta pronta ad adottare minori di età superiore ai 12 anni.

A fronte di questa situazione, l’esperta ritiene necessario un profondo cambiamento culturale: passare cioè dal principio “trovare un bambino per una famiglia” a quello opposto, “trovare una famiglia per un bambino”. Per ottenere questo, però, sottolinea Kharchenko, serve che le famiglie vengano preparate con attenzione, perché adottare adolescenti di 10-12 anni vuol dire accogliere minori già profondamente feriti nel loro cuore.

Viceversa, le coppie straniere sono maggiormente disposte ad accogliere minori affetti da qualche patologia. L’adozione internazionale è quindi la speranza più grande per i bambini orfani e abbandonati del Paese est-europeo. Tuttavia, negli ultimi anni, il numero di minori ucraini adottati da famiglie straniere è crollato: dai 2mila del 2012 si è scesi infatti ai 674 del 2013, ai 524 del 2014 e ai 379 del 2015. E il 2016 non sembra aver invertito la tendenza: nei primi 9 mesi dell’anno, solo 272 bambini ucraini hanno travato una nuova famiglia all’estero. Ciò a causa di diversi fattori: l’eccessiva selezione e, di contro, la scarsa formazione degli aspiranti genitori, la poca trasparenza di molti funzionari locali e una serie di ostacoli giuridici. Risolvere questi problemi vuol dire ridare forza all’adozione internazionale e restituire fiducia alle famiglie, in modo da riportare speranza tra le fredde mura degli affollati istituti ucraini dai quali migliaia di bambini non vedono l’ora di uscire, portati per mano dai loro nuovi genitori.

Fonte: http://www.unian.info/society/1591551-orphans-and-adoption-ukrainian-deadlock.html News Ai. Bi. 28 ottobre 2016 www.aibi.it/ita/ucraina-104mila-minori-negli-istituti

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AFFIDO CONDIVISO

Affido figli: la madre non è prevalente.

Tribunale di Milano, nona Sezione civile, Decreto 19 ottobre 2016.

Il Tribunale di Milano nega rilevanza giuridica al principio della maternal preference, dovendosi guardare al superiore interesse del minore. Niente maternal preference in caso di conflitto tra genitori per il prevalente collocamento dei figli: il criterio a cui fare riferimento è quello del superiore interesse del minore, non essendo ammissibile fare riferimento alla prevalenza materna come guida per giudice alla scelta del miglior genitore collocatario.

Lo ha precisato il Tribunale di Milano rigettando la domanda di una madre e veder modificato il collocamento della figlia a suo favore. La dettagliata e tempestiva relazione dell’Ente Affidatario aveva evidenziato elementi univocamente orientati a escludere un rientro della minore presso la madre: ha destato, ad esempio, serie perplessità il comportamento tenuto dalla donna verso gli operatori, mostrando una tenuta personologica su cui difficilmente il Tribunale potrebbe fondare oggi il convincimento che la madre collaborerebbe seriamente e diligentemente con gli enti preposti, per tutti gli interventi a favore della minore, nonché per l’accesso alla figura del genitore non convivente.

La figura del padre, al contrario, è emersa essere matura nella responsabilità genitoriale, al punto da non aver contrastato il desiderio della ricorrente ed essere altresì apparso in udienza molto focalizzato sull’effettivo interesse della figlia, dimostrando ampia collaborazione e valido rispetto del diritto di accesso della madre alla figlia.

Il Collegio precisa che non può valere come argomento giuridico il fatto che con la sua domanda, la ricorrente intenda ottenere il mutamento del collocamento della figlia, con spostamento dall’abitazione del padre alla sua, per creare “una situazione di fatto in cui madre e figlia convivono”: infatti, né gli articoli 337-ter e ss. del codice civile, né la Carta Costituzionale assegnano rilevanza o utilità giuridica a quello che taluni invocano come “principio della maternal preference” (nella letteratura di settore: Maternal Preference in Child Custody Decisions).

Al contrario, come hanno messo bene in evidenza gli studi anche internazionali, il principio di piena bigenitorialità e quello di parità genitoriale hanno condotto all’abbandono del criterio della maternal preference a mezzo di “gender neutral child custody laws”, ossia normative incentrate sul criterio della neutralità del genitore affidatario, potendo dunque essere sia il padre, sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore, il genitore di prevalente collocamento, non potendo essere il solo genere a determinare una preferenza per l’uno o l’altro ramo genitoriale.

Normative del genere sono univocamente anche quelle da ultimo introdotte in Italia dal Legislatore, in particolare, la legge 54 del 2006, ma anche la legge 219 del 2012 e il Dlgs. 154 del 2013. Il ricorso deve essere dunque respinto.

Lucia Izzo • Studio Cataldi 26 ottobre 2016

www.studiocataldi.it/articoli/23806-affido-figli-la-madre-non-e-prevalente.asp

 

Criterio della cd. Maternal preference (preferenza per il collocamento presso la madre)

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 18087, 14 settembre 2016

Il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell’altro coniuge non perde l’idoneità ad avere in affidamento i figli minori o a esserne collocatario. Pertanto, se i figli sono di età prescolare o scolare, la madre resta il genitore con il quale i bambini devono convivere prevalentemente, secondo il criterio presuntivo della “maternal preference”. Il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell’altro coniuge non perde l’idoneità ad avere in affidamento i figli minori o a esserne collocatario.

Pertanto, se i figli sono di età prescolare o scolare, la madre resta il genitore con il quale i bambini devono convivere prevalentemente, secondo il criterio presuntivo della “maternal preference”.

Il Caso.it n.16065 – 309 ottobre 2016 sentenza in pdf

www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/fmi.php?id_cont=16065.php

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AMORIS LAETITIA

Divorziati risposati: le 50 sfumature di grigio del card. Kasper e della chiesa di Germania.

Prosegue l’eterna e sempreverde confusione – divisione sull’Amoris Laetitia, e sulla liceità o meno di dare o meno la comunione ai divorziati risposati. Dalla Germania abbiamo un intervento lungo e dettagliato del cardinale Walter Kasper, grande ispirato del Pontefice regnante, e un manuale di istruzioni (Un amore caloroso pieno di discernimento. Impulsi e idee per l’accettazione dell’Amoris Laetitia) piuttosto ampio, e il cui contenuto certamente solleverà eccezioni e discussioni da parte di chi difende la Dottrina della Chiesa sul matrimonio e l’indissolubilità.

Kasper offre il suo contributo, dal tono piuttosto trionfante, su “Stimmen der Zeit”, le Voci del Tempo, una rivista tedesca cattolica molto nota. Una relazione del suo lavoro lo potete trovare, in inglese, in questo articolo di Lifesitenews. In buona sostanza il porporato, il più acceso sostenitore dell’abbandono del magistero professato finora sul tema, alla domanda se sia possibile ora, dopo l’Amoris Laetitia, dare la comunione ai divorziati risposati, in alcuni casi, risponde. “Sì. Punto”. E anche se questa frase non la si trova in Amoris Laetitia, “corrisponde al ductus (comando, linea, tracciato, N.d.R.) generale”.

Spesso, afferma Kasper, dobbiamo scegliere il male minore. “Nella vita non c’è bianco e nero, ma solo diverse nuances e sfumature… Amoris Laetita non cambia uno iota dell’insegnamento della Chiesa, ma tuttavia cambia tutto”. Secondo il cardinale si passerebbe da una “moralità legale” alla “moralità della virtù”.

Giovanni Paolo II, e Benedetto XVI, nella legislazione sul tema insistevano sulla necessità che i divorziati risposati, per avvicinarsi all’eucarestia, cercassero di seguire la via della castità coniugale. Per Kasper, si va “un passo più avanti, mettendo il problema in un processo di un approccio pastorale che abbraccia, di integrazione graduale”. Kasper sostiene che “l’astinenza sessuale appartiene alla sfera più intima e non abolisce la contraddizione oggettiva fra l’attuale legale matrimoniale e il primo matrimonio sacramentale”. Il cardinale fa la differenza fra “peccato mortale oggettivo” e “colpabilità soggettiva”. E sottolinea che il Pontefice “enfatizza gli aspetti soggettivi senza ignorare gli elementi oggettivi”.

“La coscienza di molte persone è spesso cieca e sorda a ciò che viene loro presentato come legge divina. Questa non è una giustificazione del loro errore, ma comprensione e misericordia con la persona che sbaglia”. Amoris Laetita “non indica conclusioni chiare e pratiche da queste premesse”, ma il fatto che il Pontefice lasci la questione aperta “è in se stessa una decisione magisteriale di grande conseguenza”. E conclude con la risposta già scritta in testa all’articolo: “Sì. Punto”.

Sulla stessa linea è il documento dell’Istituto per la pastorale della diocesi di Freiburg, che possiamo tradurre poveramente “Discernimento pieno, amore caloroso”. Ci scusiamo per gli errori causati dalla nostra imperfetta conoscenza della lingua di Goethe. Da un veloce excursus ci sembra che il clima del documento sia molto orientato verso la scelta “fai da te” del singolo fedele. Si ricorda che “la cosa difficile è creare un ponte fra l’ideale della dottrina e del diritto canonico e la situazione reale delle persone”.

Si sottolinea come Amoris Laetitia inizi parlando non della Sacra Famiglia, ma di Adamo ed Eva, per fare vedere che ci sono queste situazioni difficili, e che la Sacra Famiglia è soltanto un ideale, mentre Adamo ed Eva sono la situazione reale, perché loro sono peccatori. Se prima si diceva in un altro modo, ora è tutto cambiato.

Si ricorda che del documento il capitolo più atteso era “L’ottavo capitolo, quello relativo ai divorziati risposati, era quello più atteso da noi in Germania”. E dal momento che il Papa di per sé non dice chiaramente, si rimandano i lettori alle risposte alle “FAQ” alle risposte alle domande più frequenti. Per cui alla domanda se in campo morale ci sia solo giusto o sbagliato, la risposta è negativa: “In campo morale, o ci sono altre alternative. C’è anche il grigio”. Per cui i divorziati risposati possono accedere alla comunione ma non deve diventare una regola. E alla fine si dice: possono accedere alla comunione quelli che nella loro coscienza pensano di essere giustificati a farlo

Marco Tosatti 27 ottobre 2016

www.marcotosatti.com/2016/10/27/amoris-laetitia-divorziati-risposati-le-50-sfumature-di-grigio-del-card-kasper-e-della-chiesa-di-germania

 

Struttura e significato dell’esortazione apostolica “Amoris laetitia”

“Nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare”. Con queste parole Papa Francesco indica nell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia un criterio fondamentale per la comprensione della famiglia.

Proprio questa sottolineatura è stato il nucleo centrale della relazione di don Aristide Fumagalli, professore di teologia morale al Seminario Arcivescovile di Varese e alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano.

La novità del nuovo documento sulla famiglia non è dunque un nuovo modo di amare, ma riuscire a raccontare il comandamento dell’amore dentro dinamiche umane e che comprendono anche il desiderio dell’altro.

25 ottobre 2016 Video

www.cercoiltuovolto.it/incontri/struttura-significato-dellesortazione-apostolica-amoris-laetitia

 

Trento La grande bellezza Sussidio a schede ai Amoris laetitia

È un agile sussidio di 10 schede sintetiche, una per capitolo, dell’Esortazione Amoris laetitia di papa Francesco, più una di presentazione generale del documento. È il frutto del lavoro di molti collaboratori del Centro di Pastorale Familiare della Diocesi. Sono pensate in particolare per i Gruppi famiglie, con l’augurio che possano essere un’utile guida alla scoperta delle tante perle disseminate tra le righe di questo testo.

Per ogni scheda c’è un ulteriore sezione con materiale di approfondimento.

www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/s2magazine/createPageUffici.jsp?script=si&idTable=3472930&idUfficio=207&id_css=0

 

Amoris Laetitia – L’indice dei 98 documenti pubblicati dal blog

Amoris Laetitia, pubblicata il 19 marzo scorso 2016, com’era prevedibile ha suscitato e sta suscitando nella Chiesa diverse letture: di esse vorremmo dare conto in questa sezione del blog. È un lavoro non piccolo e suscettibile di miglioramento: preghiamo pertanto chi volesse segnalarci delle migliorie, di farlo tempestivamente.

In sostanza, abbiamo racchiuso gli studi su AL (Amoris Laetitia) in quattro (poi cinque) gruppi.

  1. Uno è decisamente contrario ad AL e, nei casi più estremi, sostiene che sebbene formalmente si dica il contrario in realtà Papa Francesco desideri cambiare la dottrina della Chiesa sul matrimonio; in questo gruppo alcuni giungono a sostenere che AL non abbia il rango di magistero papale.

  2. Un secondo gruppo si limita ad offrire discorsi generali, sintesi del documento e puntualizzazioni dottrinali senza però entrare nel merito del capitolo ottavo di AL.

  3. Un terzo gruppo sottolinea che non cambia la dottrina sul matrimonio ma invece è cambiata l’impostazione pastorale;

  4. Un quarto gruppo, infine, è semplicemente “entusiasta” delle “novità” di AL. Di seguito poi i documenti di chi cerca di spiegare la differente impostazione pastorale mantenendo intatta la dottrina sul matrimonio. Mi sembrano i più impegnati e costruttivi.

  5. Dopo l’estate abbiamo aggiunto una quinta categoria di raggruppamento, che adesso appare per prima perché è la più consultata: è quella delle linee guida di applicazione date dai diversi vescovi in ossequio a quanto richiesto da AL al n. 300. Cliccare sui titoli

https://mauroleonardi.it/2016/10/17/amoris-laetitia-materiali

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Assegno di mantenimento e redditi in nero

Ecco cosa può fare il coniuge per dimostrare che il reddito dell’ex è più alto di quello dichiarato. Uno dei momenti cruciali dell’iter di separazione e divorzio è quello della determinazione (o modifica) dell’eventuale assegno di mantenimento da corrispondere all’ex, strettamente connessa all’individuazione della parte che, a seguito dello scioglimento del vincolo matrimoniale, risulti più svantaggiata e tesa a farle mantenere il medesimo tenore di vita che godeva in costanza di matrimonio.

Il primo passo che si compie quando si va a determinare l’ammontare dell’assegno di mantenimento è quello di guardare la situazione economica di ciascun coniuge, quale emerge dalle rispettive dichiarazioni dei redditi relative agli ultimi anni. Anche se non dovrebbe accadere, non sono rari i casi in cui alcuni dei redditi dei quali effettivamente un soggetto gode non siano dichiarati al fisco. Quello di trattenere soldi in nero è però un comportamento che, oltre a rappresentare un’illecita forma di evasione, deve essere preso in considerazione al fine di determinare un assegno di mantenimento coerente ai principi che lo ispirano.

L’interesse ad occultare le reali disponibilità economiche, agendo in una maniera considerata illecita dal nostro ordinamento, può essere di entrambi i coniugi: sia di quello chiamato a corrispondere l’assegno sia di quello che ne intende beneficiare. Il primo, infatti, meno ha meno paga; il secondo, invece, meno ha più riceve.

Come provare la presenza di redditi in nero. Quando si ha il sospetto o si sappia che l’altro coniuge non dichiara al fisco tutte le sue entrate è quindi opportuno allegare, tra i documenti prodotti unitamente alla domanda di separazione o divorzio, tutti gli elementi utili a dimostrare il reale tenore di vita goduto dalla famiglia in costanza di matrimonio. Molti Tribunali a tal proposito non si limitano a richiedere le ultime dichiarazioni dei redditi ma esigono anche altri documenti, come visure al Pra, estratti dei conti correnti bancari e quanto serva a dimostrare l’eventuale proprietà di immobili, natanti, auto di lusso e così via. Il primo consiglio, quindi, è quello di portare tutta la documentazione (anche se non richiesta) utile a sostenere che l’altro coniuge, in realtà, abbia delle disponibilità economiche maggiori di quelle dichiarate al fisco.

Spesso, però, neanche questi documenti sono idonei a dare la prova che l’ex abbia in realtà delle entrate extra, in nero. A tal fine, uno dei mezzi migliori di prova trova il suo punto di partenza nelle indagini svolte autonomamente o avvalendosi di investigatori privati: in tal modo si riesce spesso a trovare documenti utili a provare l’effettivo stile di vita del coniuge. Tuttavia, se si sceglie di avvalersi dell’opera di un investigatore privato bisognerà ricordarsi che la sua relazione, da sola, ha semplice valore indiziario e non basta a provare il nero e che a tal fine essa deve essere quindi suffragata da altri mezzi di prova (come, ad esempio, anche la deposizione testimoniale dell’investigatore).

Un altro modo per “smascherare” l’ex è quello di avvalersi delle dichiarazioni testimoniali di soggetti che abbiano avuto rapporti professionali con lo stesso e che siano a conoscenza di fatti utili a provare che egli, effettivamente, conseguiva guadagni maggiori di quelli noti al fisco.

Fermo restando che l’onere della prova circa l’effettiva disponibilità di redditi dell’altro coniuge spetta in capo a colui che ha interesse a che essa sia dimostrata (vedi ad esempio Cass. n. 14051/2015), in alcuni casi anche il giudice gioca la sua parte nell’effettivo accertamento. Se le informazioni che gli sono offerte risultano carenti o contrastanti, è infatti possibile che il magistrato chieda l’intervento della polizia tributaria affinché compia le indagini necessarie a “scovare” l’evasione.

Sebbene infatti tali indagini sono state pensate dalla legge 898/1970 con lo scopo principale di tutelare la prole, esse possono essere volte anche al riconoscimento e alla quantificazione dell’assegno divorzile (cfr. Cass. n. 14081/2009).

Anche la giurisprudenza è ormai pressoché allineata nel riconoscere che i redditi in nero devono essere valutati nella determinazione dell’assegno di mantenimento, in quanto contribuiscono a determinare l’effettivo tenore di vita della famiglia. Si veda, tra le molte, Cass. n. 21047/2004, secondo la quale: “Il reddito da lavoro nero può negare l’assegno di mantenimento. In sede di separazione, il giudice, nel ricostruire le situazioni patrimoniali dei rispettivi coniugi, al fine di verificarne l’adeguatezza alla conservazione del precedente tenore di vita, può tenere conto del reddito da attività lavorativa non dichiarata”.

Sotto altro punto di vista è interessante anche Cass. n. 4312/2012. Con essa, infatti, si è affermato che: “La comparazione dei redditi e delle potenzialità di reddito delle parti, al fine della determinazione dell’assegno di mantenimento, non può utilizzare l’argomento per cui il coniuge potrebbe comunque procurarsi da guadagnare ricorrendo al mercato del lavoro domestico in nero il che presuppone che questi sarebbe tenuto a violare la normativa fiscale e previdenziale o ad assumersi la responsabilità di tale più che legittimo rifiuto e vedere ridotta la misura dell’assegno di mantenimento”.

Valeria Zeppilli studio Cataldi 27 ottobre 2016

www.studiocataldi.it/articoli/23812-assegno-di-mantenimento-e-redditi-in-nero.asp

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CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF

Newsletter n. 21/2016, 26 ottobre 2016.

I conti del governo, una manovra cerchiobottista. Un commento del prof. Luigino Bruni alla manovra Economica del Governo, dal sito di Famiglia Cristiana. L’economista esperto di economia sociale commenta la Legge di Stabilità: interventi che accontentano varie categorie sociali, ma si fa poco per i giovani, il vero motore dell’innovazione e della ripresa. «Il Governo in realtà può fare poco, anche se non lo può dire. Gli esecutivi possono incidere per non più del dieci%, perché le scelte più importanti – il 90% – avvengono in Europa e nei mercati transnazionali».

www.famigliacristiana.it/articolo/bruni-una-manovra-cerchiobottista.aspx

Notizie: dall’estero. Avere un papà e una mamma o avere genitori dello stesso sesso non fa differenza? Una puntuale riflessione sui risultati di ricerca che vengono divulgati più frequentemente, per un invito a non arrendersi ad un “luogo comune”, magari politicamente corretto, ma invece a verificare l’affidabilità dei dati e delle metodologie rispetto alla realtà dei fatti. Un documentato intervento del ricercatore statunitense Mark Regnerus. (“The claim that there are no differences in outcomes for children living in same-sex households arises from how scholars collect, analyze, and present data to support a politically expedient conclusion, not from what the data tend to reveal at face value”). Mark Regnerus, Hijacking Science: How the “No Differences” Consensus about Same-Sex Households and Children Works, (“Il Dirottamento della Scienza: come funziona il consenso sulla ipotesi di Nessuna differenza” per i bambini nei nuclei di persone dello stesso sesso), The Public Discourse (rivista on line), 14 ottobre 2016. www.thepublicdiscourse.com/2016/10/18033

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Notizie: dall’Italia. Malattie rare, integrare aspetti sanitari e sociali: bando Iss e Federsanità-Anci. Promuovere la conoscenza, la comunicazione e l’interazione dei soggetti e dei percorsi della Rete nazionale malattie rare, in un’ottica di integrazione di aspetti sanitari e sociali: è questa la finalità dell’accordo di collaborazione “ReMaRe – Orientare e fare REte nelle MAlattie raRE” appena firmato dal Centro nazionale malattie rare dell’Istituto superiore di sanità e Federsanità Anci. I due soggetti hanno deciso di avviare un progetto “che metta a sistema quanto già attivo sul territorio italiano in tema di malattie rare e che fornisca strumenti di lavoro concreti per attivare modelli organizzativi in grado di dare risposte ai pazienti in tutte le regioni, in linea con quanto definito all’interno del Piano Nazionale Malattie Rare 2013-2016, avvalendosi di finanziamenti esterni”. www.iss.it/binary/pres/cont/Bando_ReMaRe.pdf

In sostanza si tratta della richiesta di fondi ad enti, istituzioni e privati, per realizzare un ambizioso e prezioso progetto per supportare i malati e le loro famiglie, valorizzando le buone pratiche e diffondendo informazioni.

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Ultimi arrivi dalle case editrici. Prosegue il servizio di segnalazione di alcuni volumi (pochi e selezionati) che arrivano dalle Case editrici per il nostro Centro Documentazione.

http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/centro-documentazione.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_26_10_2016

In ogni Newsletter daremo una breve “segnalazione argomentata” del volume che ci appare più stimolante. Tutti i volumi sono consultabili presso il Centro Documentazione del Cisf Essi sono inoltre acquistabili su www.sanpaolostore.it

newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf18_allegato1.pdf

Scholé, La famiglia e l’educazione: nuovi scenari storici e pedagogici, Editrice La Scuola, Brescia, 2016, pp. 186, € 30,00. Sappiamo bene quanto sia paradossale la situazione nella quale si trova la famiglia nel mondo contemporaneo. Per un verso sta in cima ai desideri di tutti, ma nella sfera dei desideri e comunque strettamente personale, e per l’altro verso, quello più pubblico, è tra le istituzioni più indebolite, dimenticate e comunque sfruttate. È perciò indispensabile ritornare a riflettere, a pensare a questa dimensione centrale della società umana, qual è la famiglia, senza la quale la stessa società viene come scossa nelle sue fondamenta. Papa Francesco ha chiamato tutta la Chiesa Cattolica a porre al centro della sua attenzione la realtà concreta nella quale vivono le famiglie. Il tema centrale è che la famiglia vera, quella concreta, sta attraversando una crisi a tal punto grave che i suoi membri più deboli possono morire appunto per mancanza di protezione. All’urgenza di ritrovare un nuovo orizzonte in cui ridisegnare la vocazione e la missione della famiglia l’associazione Scholé ha dedicato il suo LIV convegno, di cui questo volume riporta gli Atti, e che ha visto in qualità di relatori principali mons. Vincenzo Paglia, Luigi Pati, Guido Gili e Giovanni Bazoli.

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Save the date

Nord: Il tempo della separazione: tre incontri per cittadini e operatori, Centro per le Relazioni e le Famiglie e La Rete dei Consultori Familiari del Privato Sociale, Torino, 8 novembre, 22 novembre, 6 dicembre 2016.

www.consultorioasfa.ideasolidale.org/index.asp

Natalità, Giovani e Famiglia. Le politiche di transizione all’età adulta. Quinta edizione del Festival della Famiglia, promosso da Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia e Provincia Autonoma di Trento – Agenzia per la famiglia, la natalità e le politiche giovanili, Trento, 1-3 dicembre 2016.

Centro: Femmine e Maschi: sfida o alleanza? incontro con Costanza Miriano e Stefano Zecchi, Roma, 3 novembre 2016.

Sud: Stiamo lavorando per farti invecchiare meglio, 61° Congresso nazionale della SIGG (Società Italiana di Gerontologia e Geriatria), Napoli, 30 novembre – 3 dicembre 2016 (vedi anche, nel file allegato, anche il 17° Corso per infermieri, Napoli, 1-2 dicembre 2016).

Estero: La gestation pour autrui: resituer la France dans le monde – Représentations, encadrements et pratiques / Surrogacy: situating France within the world – Representations, regulations, and experiences,

(La gestazione per terzi: la posizione della Francia nel mondo: rappresentazioni, regole ed esperienze)

Primo colloquio internazionale scientifico in Francia sulla procreazione medicalmente assistita, INED, Parigi, 17-18 novembre 2016.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/ottobre2016/21/index.html

Iscrizione alle newsletterhttp://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

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CHIESA CATTOLICA

Celibato dei preti. La parola alla difesa. Passim

Non se ne discuterà in un sinodo, ma crescono le pressioni a favore dell’ordinazione di uomini sposati. Il più stimato dei teologi italiani ha messo a fuoco la questione su un’autorevole rivista. E opta per tener fermo il celibato: non solo “opportuno” ma “necessario”. Intervistato alcuni giorni fa da Gianni Cardinale per il quotidiano della conferenza episcopale italiana “Avvenire”, il segretario generale del sinodo dei vescovi, cardinale Lorenzo Baldisseri, ha confermato che il tema scelto da papa Francesco per la prossima assise del 2018 – “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” – era lo stesso che i quindici cardinali e vescovi della segreteria sinodale avevano messo in cima alla lista delle loro proposte.

Baldisseri ha però anche detto che subito dopo, nella lista, c’erano i ministeri ordinati. Senza altre specificazioni, ma con l’ovvia, sottintesa questione dell’ordinazione di uomini sposati. Già una volta, nel 1971, un sinodo aveva affrontato questo argomento. E molte voci si erano levate a favore dell’ordinazione di “viri probati”, cioè di “uomini sposati di età matura e di comprovata probità”. Quella richiesta fu messa ai voti e battuta solo di poco da quella contraria: per 107 voti contro 87. E oggi di nuovo sono molto forti e diffuse le richieste di introdurre su più larga scala nella Chiesa latina un clero sposato, con papa Francesco che ha fatto capire più volte di essere pronto all’ascolto:

Ma, appunto, non sarà il prossimo sinodo a occuparsi dell’ordinazione di uomini sposati. Stando a quanto confidato da Baldisseri al consiglio della segreteria del sinodo, Francesco, al quale spettava la scelta, avrebbe alla fine preferito lasciar cadere questo tema e ripiegare sul più innocuo tema dei giovani anche per non aggiungere un nuovo conflitto intraecclesiale a quello sempre più drammatico già acceso dal precedente sinodo e dall’esortazione postsinodale “Amoris laetitia”. Ciò non toglie che la questione dell’ordinazione di uomini sposati resta all’ordine del giorno, nella Chiesa. E Francesco non la lascerà certo cadere.

L’ha messa a fuoco recentemente con rara chiarezza un teologo tra i più stimati, Giacomo Canobbio, docente di teologia sistematica alla Facoltà teologica di Milano e già presidente dell’Associazione dei teologi italiani, in un articolo sull’influente e autorevole “Rivista del Clero Italiano“, edita dall’Università cattolica di Milano e diretta da tre vescovi di primo piano: Franco Giulio Brambilla, Gianni Ambrosio e Claudio Giuliodori.

L’articolo ha per titolo: “Ripensare il celibato dei preti?”. E inizia sottolineando che tale ripensamento è stato di recente riconosciuto “legittimo” anche dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, in un suo intervento dello scorso febbraio alla Pontificia Università Gregoriana. Ma il ripensamento al quale Canobbio si dedica non segue affatto canoni scontati. Smonta i luoghi comuni e conduce il lettore a conclusioni in buona misura controcorrente. Per cominciare, Canobbio libera il campo dall’illusione che un clero sposato sia il rimedio al calo delle vocazioni al sacerdozio. Basta guardare, scrive, cosa avviene tra gli ortodossi e i protestanti, dove preti e pastori sono sposati ma le vocazioni sono in crisi anche lì. Tale crisi, infatti, “deriva dalla scristianizzazione, non dal legame tra ministero ordinato e celibato”.

“La questione tuttavia permane”, prosegue Canobbio. E si chiede: “In un contesto di scristianizzazione che significato può assumere il celibato dei preti in ordine all’evangelizzazione?”. Non appartenendo tale legame ai contenuti fondamentali della fede, “si potrebbe ipotizzare che, stante l’urgenza della missione alla quale papa Francesco richiama costantemente, sia opportuno attenuare l’obbligo del celibato?”. Nella parte iniziale dell’articolo, Canobbio tratteggia come storicamente il celibato si è congiunto col ministero ordinato, nella Chiesa latina: prima sul terreno pratico e poi sempre più per ragioni di carattere mistico e cristologico, approdando a considerare il prete celibe come colui che opera “in persona Christi”, in dedizione totale a lui e agli uomini, nella Chiesa.

E così commenta: “La dimensione ecclesiologica del rapporto tra ministero ordinato e celibato non potrà pertanto essere superficialmente messa da parte. Noi siamo figli della storia (e della riflessione da essa sgorgata) e non possiamo immaginare cosa saremmo se essa si fosse svolta in forma diversa. Di fatto il celibato per il Regno dei cieli ha modellato non solo la vita dei presbiteri, ma pure l’impostazione generale della Chiesa latina, e va messo in conto che una figura diversa di ministro ordinato comporterebbe una reimpostazione generale della vita della medesima Chiesa. La legittimità di tale reimpostazione è a priori fuori discussione: la storia ne ha conosciute tante. Ci si dovrebbe tuttavia domandare se la dedizione a tempo pieno al ministero non patirebbe alcuni limiti qualora il presbitero dovesse provvedere alla necessaria cura della sua famiglia, e coerentemente se la comunità cristiana potrebbe adire il suo presbitero con la libertà che ora, almeno idealmente, ritiene giustamente di avere”.

Dopo di che affronta la questione di petto. Ma lasciamo da qui in avanti all’autore la parola, riportando i passaggi essenziali del suo saggio.

Celibi per il Regno dei cieli di Giacomo Canobbio Estratto Passim

Sul valore della tradizione. Che nei primi tempi del cristianesimo i responsabili delle comunità fossero sposati appare innegabile. Addurre però tale ragione per sostenere che anche oggi così dovrebbe essere è almeno ingenuo, allo stesso modo in cui si sostenesse che si dovrebbe tornare a una organizzazione ecclesiastica sul modello delle Chiese apostoliche. […]

Non pare cogente neppure l’argomentazione che si appella ai due polmoni della Chiesa, quello occidentale e quello orientale, per immaginare una reciproca contaminazione. […] Se è vero che la forma compiuta del ministero ordinato è l’episcopato, si dovrebbe semmai riflettere sulle ragioni per le quali anche nelle Chiese orientali, cattoliche o ortodosse che siano, i vescovi vengano scelti tra i monaci che sono celibi. […] Osservando con sguardo disincantato la storia si può dire che la decisione di legare ministero ordinato e celibato non è altro che attualizzazione di un dato di fatto presente nel Nuovo Testamento, benché questa decisione abbia tardato a essere presa in senso definitivo e anche una volta presa sia stata per alcuni secoli disattesa. […] Di fatto però si giunse gradualmente ad affermare che il celibato è un obbligo di stato dei ministri ordinati, e la Chiesa latina legittimamente sceglie di ordinare soltanto coloro che decidono di restare celibi. L’obiezione più volte risuonata circa la legittimità di tale scelta pare avere poca consistenza: la Chiesa infatti può decidere le condizioni da richiedere ai suoi ministri poiché costoro entrano a servizio della missione della Chiesa e non sono liberi di stabilire chi e come si possa diventare partecipi della medesima missione. Ritenere che detta decisione sia autoritarismo e quindi negazione della libertà dello Spirito richiederebbe dimostrare che i singoli fedeli possano precisare l’articolazione della vita ecclesiale.

Necessità della missione e opportunità del celibato. Il problema non riguarda pertanto la legittimità della decisione, bensì l’opportunità di mantenerla a fronte della situazione odierna: qualora non ci fossero sufficienti ministri ordinati celibi, la Chiesa potrebbe cambiare la sua decisione? Sappiamo che sia il Vaticano II sia Paolo VI avevano preso in considerazione il problema e ciò nonostante avevano ribadito che, fatte salve alcune eccezioni, la disposizione non sarebbe cambiata. […]

Nella scelta tra le due prospettive si deve richiamare la ragione fondamentale che ha portato alla decisione di ordinare soltanto uomini celibi: la dedizione totale alla causa del Regno nella imitazione di Cristo. Si deve riconoscere che tale ragione è apparsa in forma chiara in tempi relativamente recenti e non sempre è stata disgiunta da pregiudizi sessuofobici, che portavano a considerare il matrimonio una forma di vita cristiana inferiore a quella celibataria. Ciò non toglie che essa resta plausibile, sebbene non cogente e non sempre del tutto scevra da sovrapposizione con ragioni che oggi appaiono spurie. […]

La ragione cristologica richiamata potrebbe quindi giustificare anche oggi il legame tra celibato e ministero presbiterale? […] Oppure possono le esigenze della vita e della missione della Chiesa richiedere che si interrompa una tradizione, che pur con fluttuazioni rimonta ai primi secoli? […]

La questione è resa ancora più acuta dall’attuale situazione religiosa. Di fonte al processo di scristianizzazione riscontrabile nei paesi del Nord del mondo, che va di pari passo con la banalizzazione della dimensione sessuale delle persone e delle relazioni, si può ipotizzare che il mantenimento della legge del celibato svolga una funzione evangelizzatrice? […] Se lo scopo è far entrare in forma determinante il Dio di Gesù Cristo nella vita delle persone, perché non mantenere uno stile di esistenza che significhi come Dio possa prendere possesso di una vita in modo tale da renderla trasparenza della sua signoria? Si tratta ovviamente di “un” modo, non l’unico – nessuna delle figure di vita cristiana può pretendere di esaurire la trasparenza della signoria di Dio – e non si può dire che sia il migliore. Pare però si possa dire che è quello che maggiormente si collega con la funzione del ministero ordinato. Del resto è questa la motivazione gradualmente maturata nel corso del tempo. Il ministro ordinato ha il compito non solo di portare altri a vivere la vita cristiana, ma pure di mostrare che il Vangelo può assorbire tutte le energie, anche quelle più nobili – gli affetti, le relazioni sessuali – e riempire una vita. […]

Ovviamente una prospettiva di questo genere richiede che non si ponga l’accento solo sul celibato, ma su tutti gli aspetti della “imitatio Christi“, a partire dalla povertà. La causa del Regno capace di assorbire tutte le energie buone di una persona umana dovrebbe essere mostrata come fonte di una vita in pienezza. […] E la dedizione alla causa del Regno ha di per sé forza evangelizzatrice. Lo si riscontra nella storia: i mistici sono sempre stati efficaci poli di evangelizzazione. Un ministero presbiterale senza dimensione mistica rischia di diventare una nobile funzione burocratica. Assumere in forma coerente il valore evangelizzatore del celibato comporta necessariamente ripensare anche il modo di esercitare il ministero, liberandolo da compiti burocratici e organizzativi che impediscono di fatto la coltivazione della dimensione mistica. Pare sia anche questa, oltre che il riconoscimento dei ministeri laicali, la via per declericalizzare la Chiesa.

Comporta inoltre che si ammettano al ministero ordinato persone in grado di reggere alle alte esigenze di una vita celibataria per la causa del Regno. Qua e là si avverte un’eterogenesi dei fini: per avere un numero sufficiente di presbiteri non si presta adeguata attenzione alle condizioni psicologiche e spirituali dei candidati al ministero, con la conseguenza di defezioni e/o di comportamenti sessualmente deviati.

Comporta altresì che si faccia chiarezza nei casi di ambiguità: tollerare situazioni di “matrimoni clandestini” per non far mancare ministri ordinati nelle comunità non aiuta a far comprendere il valore del celibato per il ministero. Forse si potrebbe accettare che in alcune situazioni – per incapacità delle persone, per portati culturali – valgano le eccezioni previste per ministri di altre confessioni cristiane che aderiscono alla Chiesa cattolica. Si tratterebbe di eccezioni, da valutare con grande circospezione per sottolineare che nella Chiesa latina si riconosce il valore evangelizzatore del celibato dei presbiteri anche quando il numero di questi diminuisce e non a causa della richiesta celibataria.

Conclusione. Ripensare il celibato dei preti appare non solo opportuno, ma necessario per le seguenti ragioni:

  1. Aiuta a riscoprire le ragioni che nella Chiesa latina hanno portato a conferire il ministero presbiterale solo a uomini celibi;

  2. Invita a considerare il valore evangelizzatore di una scelta di vita che si accompagni al ministero ordinato;

  3. Stimola a riconsiderare le forme di esercizio del ministero presbiterale;

  4. Provoca a domandarsi come la Chiesa possa svolgere la sua missione in un contesto di scristianizzazione;

  5. Apre al coraggio di ammettere, senza infingimenti né percorsi superficiali, eccezioni alla legge del celibato per presbiteri che per motivi seri di carattere culturale o personale non sono in grado di mantenere l’impegno assunto dopo un rigoroso percorso formativo.

Resta il problema di come garantire un numero sufficiente di presbiteri per l’eucaristia che è il centro della vita delle comunità cristiane. Vale però l’interrogativo già posto da Karl Rahner: come stabilire di quanti preti ha bisogno oggi la Chiesa? È ovvio che, se si mantiene il modello tradizionale (ma a partire da quando?) di pastorale, il numero di preti necessariamente dovrà essere alto. Quand’anche si continuasse a pensare secondo tale modello, si può tuttavia presumere che nell’attuale situazione sociale il numero dei preti non aumenterà togliendo l’obbligo del celibato. Pare sia piuttosto necessario ripensare l’impostazione della pastorale e con essa dell’articolazione dei ministeri tutti nella Chiesa.

Sandro Magister 24 0ttobre 2016 http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351395

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CONSULTORI FAMILIARI

Abruzzo. Finanziamento per il funzionamento dei consultori familiari, pubblici e privati.

Via libera, in giunta regionale, alla ripartizione di un finanziamento di 500mila euro per il funzionamento dei consultori familiari, pubblici e privati, operanti sul territorio regionale.

Il 70% del fondo sarà destinato alle strutture delle 4 Asl, il 20% a quelle private, mentre una quota del 10% servirà a sostenere le attività di formazione del personale. (…)

Gli 8 consultori privati riceveranno ognuno 12mila 500 euro, mentre per la formazione saranno investiti complessivamente 50mila euro (30mila per le strutture pubbliche e 20mila per le private).

I contributi dovranno essere utilizzati, prioritariamente, per le seguenti attività: affettività e sessualità nell’infanzia e nell’adolescenza, educazione alla genitorialità, mediazione familiare e linee guida sulla contraccezione di emergenza.

«La funzione dei consultori, negli ultimi anni spesso trascurata – sottolinea Paolucci – riveste, al contrario, una grande importanza nella visione del nuovo modello di sanità territoriale, in cui l’integrazione dei servizi socio-sanitari è fondamentale e imprescindibile. Di qui la nostra scelta di sostenerne l’attività e, soprattutto, la concreta operatività».

Il consultorio offre un servizio socio-sanitario rivolto a uomini, donne, ragazzi, singoli o coppie, per aiutare a prevenire e a risolvere i problemi personali e interpersonali dei rapporti familiari o di coppia, con l’aiuto di assistenti sociali, psicologi, ostetriche, ginecologi, pediatri, infermieri.

Le consulenze sono gratuite e l’accesso avviene senza prescrizione medica. Possono rivolgersi al consultorio cittadini italiani, stranieri e soggiornanti temporanei.

http://www.primadanoi.it/news/abruzzo/569227/sanita-via-libera-al-finanziamento-dei-consultori-familiari.html

 

Latina. Avviato il Servizio diocesano di Ascolto familiare ‘Il Pozzo’

In questi giorni inizierà l’attività del nuovo Servizio diocesano di Ascolto familiare “Il Pozzo”. Sarà ubicato presso il centro pastorale di Latina, in via Sezze 16, raggiungibile in giorni e orari prestabiliti, anche previo contatto telefonico. Un servizio che esprime la sollecitudine della Chiesa pontina a quelle famiglie che vivono un momento di difficoltà nei rapporti tra i loro componenti, specie tra i coniugi. Una vicinanza reale espressa fornendo informazioni e consigli alla persona che pone una sua problematica precisa, all’occorrenza anche avvalendosi di altri uffici e servizi della diocesi (es. il Consultorio familiare). A rispondere saranno 15 persone tra sacerdoti, coppie di coniugi e professionisti di questo genere di servizi.

Don Paolo Spaviero, direttore dell’Ufficio per la Pastorale familiare, ha spiegato: «Sono sempre di più i fedeli che si trovano nella condizione di dover sciogliere il legame coniugale, quindi di vivere nella Chiesa da separati; a volte si accompagnano ad altri separati, costituendo un nuovo nucleo familiare senza essere consapevoli dei limiti che la nuova condizione comporta per la vita di fede. Allo stesso modo le difficoltà economiche e sociali vedono aumentare le coppie di conviventi, che possono allontanarsi dalla chiesa quando prendono consapevolezza dell’irregolarità della propria condizione: ciò avviene soprattutto quando chiedono di essere ammessi come padrini o madrine». Non finisce qui, ha aggiunto don Spaviero, perché «a tutto ciò possiamo aggiungere la confusione tra i cristiani in materia di morale e di diritto canonico, dovuta ad una non sempre chiara o uniforme trasmissione dell’insegnamento della chiesa e delle motivazioni sottostanti ad alcuni principi; confusione e mancanza di conoscenza che alimentano problematiche individuali e relazionali che possono generare malessere nel nucleo familiare e ostacolo a una vita di fede in serenità, gioia e libertà».

(…) Un punto di riferimento per ideare questo progetto, senza dubbio, è stata Amoris Laetitia, l’esortazione post-sinodale di papa Francesco. «A ciò aggiungiamo anche il forte incoraggiamento e sostegno, non solo ideale, che abbiamo trovato nel nostro vescovo Mariano Crociata. D’altronde, lui stesso sin da quando è arrivato tra noi alla fine del 2013, nei suoi interventi ha sempre sottolineato l’urgenza di dedicarci in modo specifico alle famiglie. Anche nella Lettera pastorale per il 2016/2017 che ci invita all’annuncio, ci suggerisce proprio la famiglia (insieme ai giovani e immigrati) come ambito verso cui indirizzare il nostro impegno pastorale».

Latina notizie 25 ottobre 2016 www.latinanotizie.it/articolo.php?id=44228

 

Torino. Il tempo della separazione: tre incontri per cittadini e operatori

Il Centro per le Relazioni e le Famiglie e La Rete dei Consultori Familiari del Privato Sociale ripropongono “Il tempo della separazione”, separazione tre incontri rivolti alla cittadinanza e agli operatori sugli aspetti giuridici, psicologici e relazionali collegati al tema della separazione e divorzio.

In particolare, un aggiornamento sulla più recente normativa in materia di separazione e divorzio e un approfondimento delle opportunità di sostegno che la città offre alle persone ed alle famiglie durante la trasformazione che segue l’evento separativo.

8 novembre 2016: Normativa recente in materia di separazione e divorzio. Coppie coniugate e conviventi.

Avv. Lia Grignani – Consultorio AS-FA Avv. Luigi Pivetta – Associazione Punto Familia

Modera Avv. Antonella Cataldo, Centro Consulenza Familiare CCF-UCIPEM

22 novembre 2016. Trasformazione dei legami familiari dopo la separazione: ricaduta sui figli e sulle singole persone adulte. Laboratori per Separati e Gruppi di Parola per figli di separati.

Monica Bonaldo, psicologa, psicoterapeuta – Centro Relazioni e Famiglie

Jessica Ghioni, psicologa, psicoterapeuta – Consultorio Familiare To-Sud

Federico Mariotti, psicologo – Consultorio AS-FA

6 dicembre 2016: La mediazione familiare nella gestione del conflitto separativo.

Silvia Bandoli, counselor, mediatrice – Centro Consulenza Familiare CCF UCIPEM

Sonia Rossato, psicologa, mediatrice – Centro per le Relazioni e le Famiglie-Asl To2

Andrea Salza, psicoterapeuta, mediatore, – Associazione Punto Famiglia

Centro Relazioni e Famiglie www.comune.torino.it/relazioniefamiglie/?p=5693

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Pescara. Percorsi programmati.

Tra gli scopi principali del nostro Consultorio, oltre al supportare le persone in difficoltà, ci sono la formazione e la prevenzione, cioè svolgere percorsi e attività personali e di gruppo, per informare, prevenire, supportare le persone e le famiglie, al fine di evitare (per quanto possibile) situazioni non funzionali. Pertanto il Consultorio propone una serie di attività sulla conoscenza di se stessi, sulla genitorialità, sulla crescita umana e interiore, in quanto crediamo al valore della persona e ai suoi infiniti potenziali, alla famiglia come bene comune, alla bellezza dello stare bene con sé e con gli altri. Offre pertanto percorsi che valorizzino il benessere della persona.

I corpi della famiglia…. contemporanea. Laboratorio crossower di coppia: 13 incontri, ricerca espressiva corporea, per scoprire insieme altri territori fisici dell’unione coniugale. Attraverso le riflessioni dell’Amoris Laetitia di papa Francesco.

Scuola di Bibliodrammatica. Laboratorio Triennale Espressivo corporeo – Lavoro individuale

Costellazioni Familiari

Percorso di conoscenza di sé stessi.Alla scoperta di nuove possibilità e relazioni soddisfacenti

Percorso Crescita Interiore e Maturazione Umana

legAmi – laboratori esperienziali 2016/17 sulle relazioni nella complessità del nostro tempo

www.ucipempescara.org/percorsi

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DALLA NAVATA

31° Domenica tempo ordinario-anno C–30 ottobre 2016

Sapienza 11, 23. Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento.

Salmo 145, 13. Fedele è il Signore in tutte le sue parole e buono in tutte le sue opere.

2 Tessalonicesi 01, 12. perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.

Luca 19, 09. Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo.

 

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose (BI).

Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. Oggi il vangelo ci narra l’incontro tra Gesù e Zaccheo. È un testo che raccoglie in sé nel frammento numerosi fili che attraversano la trama complessiva del vangelo secondo Luca. Gesù è sulla via che dalla Galilea sale verso Gerusalemme, la meta del viaggio da lui intrapreso con grande decisione (cf. Lc 9,51). Una tappa di questo viaggio è la città di Gerico, zona di confine della provincia romana della Giudea. Mentre Gesù sta attraversando Gerico, entra in scena un altro personaggio. Egli è “un uomo”, questa la sua qualità primaria: l’evangelista la evidenzia subito, per chiarire ciò che il protagonista principale del racconto, Gesù, vede in lui. Gesù sa andare oltre l’opinione comune, è capace di sentire in grande, di vedere in profondità: vede un uomo dove gli altri vedono solo un delinquente, coglie in ogni suo interlocutore la condizione di essere umano, senza alcuna prevenzione. Il suo nome è Zakkaj, che significa “puro, innocente”: ironia della sorte oppure un altro particolare che ci dice tra le righe ciò che solo Gesù sa vedere in lui? Quanto al suo mestiere, non è solo un pubblicano, ma un “capo dei pubblicani”, l’emblema per eccellenza del pubblico peccatore, arricchitosi grazie a un’ingiusta condotta.

Zaccheo è consapevole di essere peccatore, di non avere meriti da vantare. Non può affermare, come un altro ricco: “Ho osservato i comandamenti fin dalla giovinezza” (cf. Lc 18,21). Umiliato da questa condizione di disprezzato da tutti, ha nel cuore un grande desiderio di conoscere il profeta e maestro Gesù, nella speranza che l’incontro con lui possa cambiare qualcosa nella sua vita. Lo mostra il suo comportamento: “Cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura”. Anche noi, come lui, andiamo a Gesù e lo cerchiamo non in un’inesistente perfezione, in uno splendore candido e luccicante, ma con i nostri propri limiti, le nostre particolarissime tare e oscurità. O accettiamo di andarci in questo modo, oppure, mentre sogniamo di farci belli per accoglierlo, la vita ci scorre alle spalle senza che ce ne rendiamo conto e così manchiamo inesorabilmente l’ora decisiva dell’incontro con il Signore!

Certo, occorrono desiderio, passione per Gesù, in modo da assumere con intelligenza questi limiti e poter portare anche quelli a lui. Tale passione traspare dal comportamento di Zaccheo: “Corse avanti precedendo Gesù e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché stava per passare di là”. Quest’uomo passa avanti a Gesù: è un unicum nei vangeli, dove il discepolo sta sempre dietro a Gesù (cf. Lc 7,38; 9,23; 14,27), alla sua sequela. Tale gesto apparentemente sfrontato narra in modo icastico la verità di una parola paradossale di Gesù: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31). Per raggiungere il suo scopo, inoltre, Zaccheo non esita a rendersi ridicolo agli occhi altrui. Si immagini la scena: un uomo noto, che ha un certo potere, il quale si arrampica su un albero. Ed ecco un improvviso ribaltamento: “Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo, lo vide e gli parlò”. Zaccheo desidera vedere e scopre di essere visto da Gesù: in questo incrocio c’è tutto il senso della vita cristiana. Noi vogliamo vedere Gesù, ma è lui che ci vede, ci ama in anticipo, ci chiama e ci offre la vita in abbondanza. D’altra parte, se è vero che l’iniziativa è di Gesù ed è gratuita, si innesta però su una disponibilità dell’uomo, a cui spetta la responsabilità di predisporre tutto all’entrata di Gesù nella sua vita: se Zaccheo quel giorno non fosse salito sull’albero, per Gesù sarebbe rimasto un anonimo in mezzo alla folla!

Qui è necessario sostare pazientemente sulle parole di Gesù. Certo, nella realtà la scena deve essersi svolta con una fretta dettata dall’urgenza del momento. Ma nel narrare questo episodio Luca dosa sapientemente le parole, per permettere al lettore di ogni tempo di comprendere il valore paradigmatico di questo incontro: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo rimanere, dimorare a casa tua”.

Zaccheo”: Gesù lo chiama con il suo nome proprio. “Scendi”. È come se gli dicesse: “Torna a terra, aderisci alla terra: lo straordinario ti è servito per un momento, ma ora fa ritorno alla tua condizione quotidiana!”. “Subito, in fretta”: non c’è tempo da perdere, l’occasione è da afferrare senza indugio!

“Oggi”: non ieri né domani. Parola chiave in Luca, dalla nascita di Gesù quando gli angeli annunciano ai pastori: “Oggi, nella città di David, è nato per voi un Salvatore” (Lc 2,11); all’inizio della sua attività pubblica, quando nella sinagoga di Nazaret pronuncia quella brevissima omelia: “Oggi questa Scrittura si compie nei vostri orecchi” (Lc 4,21); poi alcune altre volte, fino all’ora della croce, quando Gesù dice al “buon ladrone”: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). Sempre noi incontriamo Gesù oggi!

“Devo, è necessario”: altra parola chiave (deî, che compare per ben 18 volte in questo vangelo, da Lc 2,49 fino a Lc 24,44). Esprime il modo in cui Gesù, nella sua piena libertà, va incontro alla necessitas umana e divina della passione, compiendo la volontà di salvezza di Dio per tutti gli uomini. “Rimanere, dimorare” (non semplicemente “fermarmi”), come avviene per il Risorto con i discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,29).

“A casa tua”: entrare nella casa di un altro significa condividere con lui l’intimità; nello specifico, essendo Zaccheo un peccatore pubblico, questo auto-invito di Gesù significa compromettersi in modo scandaloso con il suo peccato.

Esaminate nel loro insieme, queste parole di Gesù mostrano anche una grande delicatezza. Gesù non dice: “Scendi subito perché voglio convertirti”, oppure, come forse avrebbe fatto il Battista: “Convertiti, fai frutti degni di conversione (cf. Lc 3,8), poi scendi e vedremo il da farsi”. No, chiede a Zaccheo di essere suo ospite. Ovvero, si fa bisognoso, si “spoglia” per entrare in dialogo con lui, parla il suo linguaggio, quello di chi era abituato a dare banchetti e ad accogliere persone in casa propria per fare affari. E qui sta per compiere l’affare della sua vita!

E così siamo giunti non solo al centro del nostro testo, ma al cuore di una verità che, se ci crediamo davvero, può cambiare la nostra vita: non è la conversione che causa il perdono da parte di Dio, di Gesù, ma è il perdono che può suscitare la conversione! Si pensi alla parabola del Padre prodigo d’amore (cf. Lc 15,11-32): il figlio minore, trovandosi in difficoltà, si era preparato il discorso di circostanza, ma le sue parole gli muoiono in bocca quando vede il padre che, “mentre è ancora lontano, lo vede, è preso da viscerale compassione, gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia” (cf. Lc 15,20). È in questo momento che è convertito, non in base a un suo programma di conversione! Con il suo comportamento Gesù rivela un volto di Dio che ci offre gratuitamente il suo perdono: se lo accogliamo, potremo anche convertirci, non viceversa!

Lo dimostra la reazione di Zaccheo, che “scende in fretta e lo accoglie pieno di gioia”, gioia che è un tratto caratteristico della vita del discepolo di Gesù (cf. Lc 6,23; 8,13, ecc.). Con questa annotazione il testo potrebbe concludersi: nel mistero del faccia a faccia tra Gesù e Zaccheo si compirà la salvezza per la vita di quest’uomo. Ma ecco che, come spesso è accaduto a Gesù, i benpensanti non sopportano la sua libertà e non tollerano che egli si rivolga di preferenza ai peccatori manifesti, narrando così il desiderio di Dio di “salvare tutti gli umani” (cf. 1Tm 2,4), a partire da quelli additati come “perduti” (cf. Lc 15,6.9.24.32). Più volte nel vangelo secondo Luca Gesù è disprezzato dagli uomini religiosi, che mormorano per il suo sedere a tavola con i peccatori (cf. Lc 5,30; 15,1-2). Nel nostro brano si registra addirittura una condanna generalizzata: “Tutti mormoravano: ‘È entrato in casa di un peccatore!’”. Resta sempre la possibilità di uno sguardo cattivo, che continua a vedere in Zaccheo solo il peccatore e in Gesù solo un falso maestro.

La prima reazione a queste voci di condanna è di Zaccheo, che sta in piedi, nella sua bassa statura, e parla con risolutezza. Gesù non ha detto nulla a Zaccheo sulla sua ingiusta condotta di capo dei pubblicani, ma la fiducia accordatagli da questo rabbi gli è sufficiente per comprendere che deve cambiare radicalmente. Zaccheo allora, restituito alla sua soggettività, parla rivolto a Gesù, che chiama “Signore” (grande confessione di fede!), senza curarsi dei falsi giusti che li accusano. Costoro peccano nel loro cuore e con il loro occhio cattivo; lui si impegna a compiere un gesto concreto che riguarda le sue ricchezze, e soprattutto riguarda gli altri, i destinatari del suo peccato: “Ecco, Signore, io dò la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”, ben oltre il dovuto secondo la Legge. Il gesto di quest’uomo è all’insegna della giustizia e della condivisione: questo il modo di impiegare le ricchezze per un discepolo di Gesù.

A questo punto Gesù, rivolto al solo Zaccheo, fa un commento articolato in due momenti. Prima dice: “Oggi la salvezza è avvenuta in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo”, cioè non solo un uomo, ma anche un membro della comunità di fede, un figlio suscitato dalle pietre del peccato (cf. Lc 3,8). E come si manifesta la salvezza, come avviene la storia di salvezza? Nella salvezza delle storie di coloro che Gesù incontra. Sì, l’accoglienza della salvezza è ormai direttamente accoglienza di Cristo stesso, è esperienza di chi incontra Gesù, mette in lui la sua fiducia e si lascia da lui salvare.

Lo esprime bene il commento finale: “Il Figlio dell’uomo” – ossia Gesù stesso che parla di sé in terza persona, prendendo una misteriosa distanza da sé – “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. È una parola che ne ricorda altre di Gesù: “Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Lc 5,32); o la conclusione della parabola già citata: “Bisognava fare festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32). Di più, è un detto straordinario, che ricapitola e rilancia in avanti questo brano, illuminando la nostra vita quotidiana. Ci dice infatti che, come è entrata quel giorno nella vita e nella casa di Zaccheo, così la salvezza portata dal Signore Gesù può entrare ogni giorno, ogni oggi, nelle nostre vite. Il Signore ci chiede solo di aprire il nostro cuore all’annuncio che ha la forza di convertire le nostre vite: egli “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”, è venuto a offrirci di vivere con lui, anzi di venire lui a dimorare in noi. Davvero ciascuno di noi dovrebbe confessare: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io” (1Tm 1,15)!

Il suo cercarci e il suo salvarci sono la nostra indicibile gioia, la fonte della nostra possibile conversione. Anche quando ci sentiamo perduti, mai dobbiamo disperare dell’amore misericordioso del Signore Gesù, più tenace di ogni nostro peccato, più profondo di ogni nostro abisso: con lui la salvezza è la possibilità di ricominciare a camminare veramente liberi sulle strade della vita. Ciò che è accaduto quel giorno a Zaccheo, può accadere anche a noi, oggi, grazie all’incontro con Gesù. Questo oggi è sempre di nuovo possibile: niente e nessuno può opporsi al perdono di Dio in Gesù Cristo, che ci consente di ricominciare ogni giorno.

http://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10942-il-figlio-dell-uomo-e-venuto-a-cercare-e-a-salvare-cio-che-era-perduto

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DEMOGRAFIA

L’incubo del 2031: Italia senza nascite

Declino, decrescita, recessione. Tutti termini che, ripetuti senza tregua dai mezzi di comunicazione, sono ormai entrati a far parte del linguaggio comune e dei discorsi quotidiani. La preoccupazione ricorrente è di dover “andare indietro” invece che progredire, di “perdere terreno” lungo la via della crescita e della qualità della vita. Ma non è solo l’economia a togliere il sonno agli italiani del nostro tempo. Un altro ambito da cui arrivano indicazioni di continuo regresso è quello della demografia, dove i segnali di declino si manifestano nei fenomeni che segnano il futuro delle persone e della società.

Chi pensava che il 2015 – l’anno passato alla storia per la più bassa natalità di sempre e per un calo di popolazione che non si ricordava dai tempi della Grande Guerra – dovesse rappresentare un caso eccezionale, deve ricredersi. Abbiamo appena scoperto che i 222mila nati nel primo semestre del 2016 sono il 6% in meno di quelli registrati nello stesso periodo dello scorso anno (236mila) e che il corrispondente saldo naturale (nati-morti) è già “in rosso” per 93mila unità. Tutto lascia supporre che su base annua si arrivi al nuovo record (al ribasso) di 456mila nati e a un saldo naturale negativo per quasi 150mila unità. Se qualche mese fa si parlava provocatoriamente della scomparsa dei matrimoni religiosi entro il 2031 – essendosi ridotti mediamente di 6mila unità ogni anno durante l’ultimo ventennio – che dire della prospettiva di una “natalità zero”?

A questi ritmi di decrescita, 30mila nati in meno ogni anno, basterebbe un quindicennio e, guarda caso ancora nel 2031, avremmo chiuso con quello che è da sempre l’evento gioioso che celebra la vita: il primo vagito di un bimbo. Potremmo così riconvertire i reparti di ostetricia in unità geriatriche, sostituire pannolini e passeggini con pannoloni e deambulatori, e finalmente smettere di adoperarci (spesso con sacrifici) per dare ai nostri figli un’istruzione, una casa, un lavoro, in un parola: un futuro.

Avremmo quindi la prospettiva di sopravvivere in un mondo di pensionati – senza per altro immaginare qualcuno che ci paghi la pensione – immersi nel presente e in attesa che si esaurisca quella che in demografia è chiamata “l’aspettativa di vita”. Follia? Fantascienza? Pessimismo cosmico? Forse. O più semplicemente un gioco di numeri che però mira a sottolineare, con la forza del paradosso, la pericolosità di quelle tendenze su cui ripetutamente abbiamo richiesto, alla società e a chi ne ha le leve di comando, più attenzione e più azioni capaci di contrastarne le dinamiche e gli effetti. «Senza nascite non c’è futuro» titolava Avvenire giusto quattro anni fa (25 ottobre 2012) richiamando il messaggio della Cei per la 35a Giornata nazionale per la vita. E quel messaggio non solo non ha perso attualità, ma è andato sempre più assumendo i toni di accorata preoccupazione.

Una preoccupazione che si è accresciuta partendo dalla stessa diagnosi di quattro anni fa, ulteriormente aggravata dal fatto che mentre il “paziente Italia” segnalava allora 534mila nascite, oggi ne conteggia quasi 80mila in meno: abbiamo perso nell’ultimo quadriennio il 15% dei nati. Altro che calo del Pil!

E la terapia? Quella resta la stessa di allora ed è di comprensione immediata: più famiglia. Un “più famiglia” da declinare con azioni concrete, orientate a recuperare equità nella imposizione tributaria e nelle politiche tariffarie, a favorire la conciliazione nel mondo del lavoro, a rendere accessibili i servizi di cura e a sviluppare politiche abitative a misura di famiglia. Si tratta di attivare iniziative di “politica demografica e familiare” che, senza venir circoscritte alla sola sfera dell’emersione dalla povertà/esclusione sociale (come si è soliti pensarle) abbiano carattere universale. Perché c’è bisogno di coinvolgere, e se necessario supportare (quand’anche in modo differenziato ma con un comune segnale di gratificazione), l’intero universo familiare che è chiamato a svolgere un difficile impegno nella produzione e formazione del capitale umano di cui il Paese non può fare a meno. Il tutto senza tergiversare inseguendo le aspettative (di comodo) secondo cui il problema della denatalità verrà magicamente risolto grazie al contributo dell’immigrazione – importante ma certo non risolutivo – o a seguito di alquanto improbabili nuovi comportamenti capaci di generare spontanee inversioni di tendenza.

Non illudiamoci, senza un forte segnale di attenzione da parte della società e della politica prevarrà sempre l’inerzia dettata da orientamenti culturali e da condizioni di contesto che certo non sono favorevoli a chi ha (più) figli. Riguardo poi a chi dovrebbe farsi carico della progettazione e dell’esecuzione dei necessari interventi di natura terapeutica sulla “demografia malata” di questa nostra Italia, va purtroppo ancora denunciata la persistente grave latitanza da parte delle istituzioni e della politica, oggi come quattro anni fa. D’altra parte, se è vero che ogni azione con riflessi (diretti e non) in ambito demografico richiede un’ottica lungimirante, coerente nelle scelte e paziente nell’attesa dei frutti – si semina oggi per raccogliere dopodomani – è anche vero che essa mal si concilia con una classe politica che ha un respiro di breve periodo. I tempi della demografia sono la distanza tra due generazioni (oggi circa trent’anni), mentre quelli della politica guardano, nel caso migliore, la durata di una legislatura (cinque anni).

Chi rischia il consenso elettorale in nome di un intervento con ricadute in campo demografico – magari con scelte controverse che ridisegnano la redistribuzione di risorse scarse – vorrebbe quell’immediato riscontro che, viceversa, la natura stessa dell’oggetto dell’intervento diluisce nel tempo. Che fare dunque per eliminare il gap? Occorre svolgere un paziente lavoro, anche sul piano della comunicazione, per far nascere una cultura condivisa del cambiamento demografico come fenomeno da conoscere, nelle manifestazioni e nelle conseguenze, ma soprattutto da poter governare di comun accordo, accettando e ripartendoci gli eventuali costi e i sacrifici che derivano da scelte che mirano al bene comune. Ben consapevoli che anche in un mondo globalizzato, con una popolazione in crescita e sempre più aperta alla mobilità, le grandi problematiche sul fronte demografico sono e restano “locali”. Il crollo della natalità in Italia va innanzitutto risolto in Italia, restituendo a chi vive nel nostro Paese, con o senza il passaporto italiano, il coraggio di costruire il proprio futuro e il piacere di farlo insieme a tanti altri.

Giancarlo Blangiardo, demografo Avvenire 24 ottobre 2016

www.avvenire.it/opinioni/pagine/incubo-culle-vuote-nel-2031-l-italia-rischia-natalita-zero

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DIACONATO
Del diaconato e delle diacone.
Il 22 ottobre 2016 a Rete Viandanti ha tenuto a Bologna il suo secondo Convegno nazionale che faceva il punto su carismi, ministeri e servizi per un popolo di donne e di uomini: “Chiesa di che genere sei?” Al convegno tre teologhe hanno parlato di empowerment nella Chiesa
Fatta salva la tavola rotonda interconfessionale (con Gianfranco Bottoni, Yan Redalié e Dionisios Papavasiliou) tre teologhe, accademiche di primo piano – Cettina Militello, Maria Cristina Bartolomei e Serena Noceti – hanno ragionato in termini “di genere” per rappresentare il punto di vista delle donne ai fini di un empowerment necessario (e dovuto) all’interno di una Chiesa che, nonostante le innumerevoli testimonianze e, soprattutto, l’imponente produzione, teologica e non teologica, sui diritti femminili nella Chiesa, resta segnata, come dice Serena, dalla parzialità clericale dell’essere “maschia” che ormai la rende incapace di capire la propria identità. Il femminile pertanto rimane “residuale” perché non solo in dottrina, ma nelle abitudini mentali, il cattolicesimo ecclesiastico ha “naturalizzato” la differenza sessuale e l’ha compressa nella “complementarietà dei ruoli” senza accorgersi del paternalismo escludente.
Cettina Militello ritiene fondamentale l’esigenza di un “cambio di passo” per tutto il popolo di Dio e per la gerarchia: partire dalla grazia battesimale e dai doni dello Spirito. Regalità (occorre sempre spiegare che regale è Dio e che il dono che fa a tutti i suoi figli non è il potere), profezia, sacerdozio sono comuni a tutti, mentre ancor oggi risulta superata perfino la Lumen gentium se riserva il munus docendi et operandi alla sacralità clericale. Il senso originario è stato stravolto e il presbiterato di fatto si trova “ontologizzato”. E’ invece il popolo di Dio che è soggetto sacerdotale, regale e profetico ed è un popolo paritariamente composto di battezzati e battezzate. Nella Chiesa infatti manca ancora la “comunione di genere”.
Maria Cristina Bartolomei chiama “Esodo mentale” il rapporto asimmetrico fra donne e uomini nella Chiesa: è uno “stare nel deserto” non per i 40 anni biblici, ma senza uscita. E’ mancato ogni vero “riconoscimento”. Se Gesù, davanti alla peccatrice, dice a Simone “Vedi questa donna?” è perché Gesù la vede, mentre gli altri, anche i discepoli, non la “vedono”; e gli uomini di chiesa sembrano ancora averne solo paura. Per questo il sacerdozio, che è comune a tutti battezzati, negato alle donne, ha prodotto la sacerdotalizzazione del sacrificio e, in figura Christi, è diventato potere esclusivo ed escludente. Ovvio che è un fenomeno antropologico e non si tratta di un’invenzione cattolica, ma le questioni antropologiche nella cultura corrente sono state superate.
Penetrante l’analisi di Serena Noceti che parte dalla tradizionale riduzione del problema al semplicismo del tema “la donna nella Chiesa”, quando invece è in questione l’ecclesiologia. Se è comunemente acquisito che il soggetto umano non è mai asessuato, non si comprende come possa essere accaduto che la questione di genere sia ancora tabù. L’inclusione finora offerta (ma negata per ciò che concerne il sacerdozio e dubbia per il diaconato) appare rischiosa: dopo che le donne avevano preso la parola, la Mulieris dignitatem le vide come spose e madri e, anche nell’esaltazione di Maria, la Chiesa è passata a “ipervisualizzare” un ruolo che va invece decostruito. Si resta fissi al Tridentino, mentre le innovazioni del Vaticano II sono rimaste sospese e le donne “restano visibili sopra gli altari, mai dietro”. Eppure è urgente risimbolizzare la differenza, anche per intercettare la visione piramidale del potere che da troppo ha invaso il Vangelo, e riflettere sui modi di avviare a guarigione la “cecità di genere” ecclesiastica, impegnando la ricerca a tutti i livelli, dall’ermeneutica alla catechesi, dal rapporto sinodale all’organizzazione delle diocesi, alla liturgia. Anche Papa Francesco ritiene giuste le rivendicazioni femminili, ma rimane nell’alveo della paternità paternalistica. Per far capire che non siamo più al concilio di Trento – anche se di questi tempi a qualcuno Trento e la dialettica top/down continuano a piacere – potrà diventare significativa – ed è una proposta suggestiva – la scelta di una domenica in cui ogni anno le donne rifiuteranno qualunque attività collaborativa nelle chiese.
Il convegno non è stato certo convenzionale e la partecipazione di rappresentanti di gruppi e riviste della rete Viandanti – sul cui sito si potranno leggere le relazioni – ha espresso un consenso assai vivo, a conferma dell’urgenza di avviare a concreta soluzione la questione. “Chiesa di che genere sei?”.
Inserito da Giancarla Codrignani |24 ottobre 2016
http://www.donneierioggiedomani.it/6575/Del-diaconato-e-delle-diacone
 
Una sintesi ufficiale della Giornata di Studio sulla Donna Diacono Un ministero im-possibile?
Oltre 150 persone, provenienti da tutta Italia, hanno partecipato alla giornata di studio su “Donne diacono. Un ministero im possibile?”, organizzato a Vicenza il 29 ottobre 2016 dalla Pia società San Gaetano, dal Coordinamento delle teologhe italiane, dal Centro di documentazione e studi “Presenza donna” delle suore Orsoline e dalla Comunità dei diaconato in Italia. L’iniziativa aveva lo scopo di contribuire alla riflessione sul ruolo della donna nella Chiesa e, soprattutto, sulla possibilità di restaurare il diaconato femminile, oggetto quest’ultimo dei lavori della Commissione di dodici esperti ed esperte recentemente istituita da papa Francesco.
Dopo il saluto di don Venanzio Gasparoni, superiore generale della Pia società San Gaetano, il quale ha ricordato come, nel percorso della famiglia religiosa fondata da don Ottorino Zanon, la nascita del ramo femminile avesse fatto pensare alla possibilità di una loro ordinazione una volta che la Chiesa avesse ripristinato il diaconato delle donne, l’incontro ha avuto il suo fulcro nelle tre relazioni di taglio storico, teologico e pastorale.
Nella prima la teologa Moira Scimmi ha ripercorso, alla luce delle fonti scritturistiche e delle testimonianze delle comunità cristiane dei primi secoli, l’evoluzione storica della presenza delle diacone, cercando di individuarne forme di istituzione, ruolo ecclesiale e funzioni.
Poi Serena Noceti, ecclesiologa e vicepresidente dell’Associazione teologica italiana (Ati), ha ricostruito il dibattito sul diaconato durante il Concilio Vaticano II e nel processo di recezione dei suoi documenti, evidenziando la necessità di ricollocare questa “figura ministeriale dimenticata” nell’orizzonte di un complessivo ripensamento teologico del ministero ordinato a partire dalle relazioni con il soggetto “Noi ecclesiale”.
Infine don Luca Garbinetto, pastoralista e presbitero della Pia società San Gaetano, partendo dalla constatazione della crescita numerica dei diaconi, ma anche di un loro non ancora pienamente definito profilo pastorale, ha prospettato alcuni possibili spazi per il diaconato femminile: un atteggiamento di tenerezza, un’attenzione alle periferie dell’esistenza, un’accoglienza della diversità, una capacità di far maturare quanto nell’altro è già in germe, nel quadro di un’enfasi posta sulla dimensione del servizio.
Il pomeriggio è stato aperto da Andrea Grillo, liturgista e docente di Teologia dei sacramenti al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, che ha discusso l’anacronismo di un’applicazione letterale dell’esclusione delle donne dal ministero ordinato fondata da San Tommaso sulla sua soggezione nella società medioevale.
Quindi Enzo Petrolino, diacono coniugato della diocesi di Reggio Calabria-Bona e presidente della Comunità del diaconato in Italia, ha rilevato la contraddizione tra l’auspicio della promozione della donna nella società formulato dalla Chiesa e il suo mantenimento in condizioni di inferiorità ecclesiale. Il dibattito, coordinato da Cristina Simonelli, patrologa e presidente del Coordinamento delle teologhe italiane, ha approfondito aspetti teorici e pratici della questione, dal rapporto tra presbiterato e diaconato al rapporto tra ministero diaconale e professione lavorativa.
Nelle conclusioni, Simonelli, oltre ad evidenziare la convergenza tra istituzioni diverse nella promozione della giornata, con l’istituzione della commissione di studio sul diaconato delle donne da parte di Papa Francesco abbia creato un nuovo clima, in cui la ricerca, riflessione e la discussione ecclesiali possano svilupparsi liberamente, nel quadro di un ripensamento dell’intera teologia del ministero ordinato, affrontando le questioni del potere, dell’autorità e del servizio nella Chiesa.
Comunicato stampa Vicenza, 29 ottobre 2016
Andrea Grillo Blog Come se non 31 ottobre 2016
www.cittadellaeditrice.com/munera/una-sintesi-ufficiale-della-giornata-di-studio-sulla-donna-diacono
 
La possibilità del diaconato femminile oggi. Una piccola dimostrazione tomista “a contrario”
Cum ergo in sexu femineo non possit significari aliqua eminentia gradus, quia mulier statum subjectionis habet; ideo non potest ordinis sacramentum suscipere. (S. Thomae, Super Sent., lib. 4 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 1 co.)
Nel mio breve intervento vorrei proporre una dimostrazione teologica paradossale. Siccome alcuni autori di rilievo (come Mueller, Menke e Hauke) hanno utilizzato come “argomento decisivo” la definizione della esclusione della ordinazione della donna “de necessitate sacramenti”, traendo tale argomentazione direttamente da S. Tommaso (dal Commento alle Sentenze e dal Supplemento alla Summa theologica), vorrei mostrare che questa procedura di argomentazione risulta per loro stessi controproducente, perché, se seguita secondo la coerenza interna al testo stesso, così come concepito e proposto da Tommaso, conduce oggi alla soluzione opposta rispetto a quella proposta da Tommaso e sposata, acriticamente, dagli autori contemporanei.
Dunque la fedeltà al buon senso di Tommaso conduce a conclusioni opposte rispetto alle sue. Perché Tommaso non è un martello, ma un faro. E non è un maestro che impedisca ai suoi allievi di arrivare a conseguenze diverse dalle sue!
Al centro della questione sugli “impedimenti” alla ordinazione. Coloro che ritengono “impossibile” la ordinazione delle donne procedono con una somma di argomenti quasi solo di autorità:
  • Ordinatio sacerdotalis sarebbe applicabile anche al diaconato.
  • La storia di una “assenza” di legittimazione del diaconato femminile.
  • Il ridimensionamento di “ogni presenza” attestata.
  • L’assunzione di un “principio di impedimento”, maturato dal pensiero di Tommaso d’Aquino.
Qui un primo punto da acquisire è: non si può far dire alla “tradizione premoderna” ciò che è stato acquisito soltanto con la tradizione tardo-moderna. Se dalla fine del XVIII secolo inizia un mutamento culturale e sociale, questo cambiamento condiziona anche la lettura delle fonti storiche.
La citazione decisiva di Tommaso. Ritengo che la citazione decisiva, per comprendere la posizione “negativa” sulle donne diacono, sia quella che fa discendere la negazione “de necessitate sacramenti”. Come a dire che la impossibilità di inserire il “sesso femminile” nell’ordine sacro non è contingente, ma discende da una esigenza “di diritto divino”, che la Chiesa non potrebbe modificare. Ecco il testo di Tommaso nella duplice versione del Commentario alle Sentenze e del Supplementum alla Summa Theologiae: Cum ergo in sexu femineo non possit significari aliqua eminentia gradus, quia mulier statum subjectionis habet; ideo non potest ordinis sacramentum suscipere. (Super Sent., lib. 4 d. 25 q. 2 a. 1 qc. 1 co.). “Nel sesso femminile non può essere significata una ‘eminenza di grado’, poiché la donna ha una condizione di soggezione e perciò non può ricevere il sacramento dell’ordine.”(Thomas Aquinas, S.Th., Suppl, 39, 1, c).
Il procedimento di Tommaso, non solo la conclusione. E’ molto interessante il destino di questo, come di moltissimi altri testi di Tommaso. Essi vengono citati fuori contesto, spesso contro la sua stessa argomentazione. In questo caso è utile tener presente che:
  1. La “necessitas sacramenti” viene distinta dalla “necessitas praecepti”;
  2. La soluzione negativa riservata alla “donna” sta in un contesto in cui vengono affrontati, in successione, i seguenti “impedimenti alla ordinazione”: sesso femminile, minore età o incapacità nell’uso della ragione, condizione di schiavitù, essere stati condannati per assassinio, essere figli illegittimi, essere disabili fisicamente. Ognuno di questi “impedimenti” viene giudicato in rapporto alle due “necessità”.
  3. La “condizione femminile” viene letta, tuttavia, esclusivamente sul piano della recezione culturale e sociale della “donna come segno di autorità”: “quod mulier statum subjectionis habet”.
  4. Sulla base di questa costatazione culturale e sociale – che pochissimi oggi si azzarderebbero a definire “di diritto divino” – Tommaso esclude “de necessitate sacramenti” che possa essere soggetto di ordinazione una donna.
La conclusione opposta, in un altro tempo. Seguendo oggi lo stesso procedimento di Tommaso, ossia considerando l’orizzonte culturale e sociale in cui si inserisce la “questione”, molte altre sarebbero le letture di tutti questi diversi impedimenti. Partendo dal fondo: il disabile, il figlio illegittimo, il criminale e lo schiavo, possiamo valutare con grande semplicità quanto diverso sia il mondo che oggi viviamo!
Se oggi si considera la stessa questione, con la medesima lucidità di Tommaso, ma senza avere più attorno a noi la stessa società di Tommaso, si deve giungere alla conclusione opposta. Potremmo allora dire così, mettendo in parallelo il 1274 con il 2016:
  • Nel 1274: La ordinazione delle donne è impossibile “de necessitate sacramenti”, sulla base della costatazione di “convenienza” secondo cui nella società il sesso femminile non può significare alcuna “eminenza di grado”, data la condizione di soggezione della donna. E’ la condizione di soggezione ad imporre una soluzione univoca e per certi versi perfettamente coerente.
  • Nel 2016: La ordinazione di donne è possibile “de necessitate sacramenti” sulla base della costatazione di convenienza secondo cui nella società il sesso femminile può significare una “eminenza di grado”, dato che la condizione di soggezione è stata “culturalmente e civilmente giudicata inadeguata, ingiusta e quindi superata”. E’ la conquistata “eguaglianza” a consigliare, con prudenza e lungimiranza, di inserire gradualmente il “sesso femminile” nella articolazione ministeriale e sacramentale della Chiesa.
Ciò che veramente non è tradizionale è attribuire “potere” alla donna al di fuori della struttura sacramentale. Se ha autorità deve averla nel sacramento. Se non l’ha nel sacramento, non le viene davvero riconosciuta, fosse anche elevata al titolo di cardinale. Senza nulla togliere alla libertà dello Spirito, e alle altre forme di autorità che la Chiesa conosce, al di qua e al di là dell’ordine sacro, io credo che un vero riconoscimento della soggettività femminile nella Chiesa debba passare “de necessitate sacramenti” attraverso una ordinazione “uguale”. La Chiesa non è più “societas inaequalis”. Il ministero di Cristo non è più controllabile né “ratione repraesentationis”, né “ratione significationis”: la eguaglianza civile e sociale non cambia il Vangelo, ma permette di comprenderlo meglio.
Alcune conclusioni.
  1. Dietro la soluzione proposta da Mueller, Menke e Hauke c’è non solo il mancato riconoscimento della questione femminile, ma appare chiaramente il profilo inconfondibile di quel teorema della “rinuncia all’autorità” escogitato da curia e teologi di corte per mantenere intatto e immutato il potere. Le donne oggi non chiedono potere, ma il riconoscimento dell’autorità. Non ha senso cadere nella trappola di una “attribuzione di potere senza autorità”. Essa sarebbe la conferma del teorema che Francesco dimostra di voler superare. Il diaconato attende di poter essere arricchito dalla autorità che la donna ha dimostrato di saper esercitare nella cultura, nella politica, nella economia, nella ricerca e nell’arte di una “società aperta”. La strategia di “negarsi autorità” per concedersi ancora un “monopolio maschile del potere” non risponde né al primato del tempo sullo spazio, né al primato della realtà sulla idea. L’ordine sacro è la forma dell’esercizio della autorità nella Chiesa. Attribuire alle donne un potere solo se “diverso dall’ordo” – sulla base di una anacronistica proiezione della società medievale sul terzo millennio – vorrebbe dire non voler uscire da una concezione della Chiesa come “societas inaequalis” e “struttura autoreferenziale”.
  2. Quando Tommaso d’Aquino risolve la questione della “non ordinabilità” della donna ragiona secondo logiche sociali e culturali, antropologiche e istituzionali. Forse potrà risultare sorprendente, ma Tommaso, più di 700 anni fa, sapeva identificare con cura il livello della questione della autorità nella Chiesa. Esso non si collocava “a mezz’aria”, ma riguardava direttamente le esperienze di potere, di autorità e di esercizio istituzionale. Le soluzioni che Bonaventura e Tommaso elaborano nel XIII secolo sono o sul piano della “rappresentanza” e della “mediazione”, o sul piano del “significato” e della “rilevanza”. Da un lato si valuta la possibilità della donna di essere mediazione di Cristo; dall’altro la possibilità per essa di significare una “eminenza di grado”; in entrambi i casi la argomentazione è “di convenienza”. Entrambi queste argomentazioni, elaborate nel XIII secolo, non possono essere ripetute oggi senza cadere in forme grossolane di ingenuità o di ingiustizia. Il ragionamento sulla “ordinabilità delle donne” non può essere sottratto alle comuni valutazioni sulla capacità di “mediazione” e di “significazione” del sesso femminile. Questo è un livello di valutazione che esiste nella Chiesa da più di 700 anni e che non è stato inventato negli ultimi decenni. Ciò che è mutato, negli ultimi due secoli, è la posizione culturale, sociale e istituzionale della donna. La teologia non può non tener conto di questi mutamenti, recependone la novità. Se non lo fa, finisce per assolutizzare giudizi contingenti, rendendo contingenti e fragili le soluzioni attuali.
  3. Alla luce di queste considerazioni, noi dobbiamo riconoscere che oggi la istituzione di una commissione per lo studio storico del diaconato femminile, che è un passaggio assai importante, non deve illudere nessuno sulla possibilità che sia la storia a risolvere il nostro imbarazzo. La storia non potrà mai dirci ciò che dovremo fare domani del ministero ecclesiale. Può dirci al massimo ciò che è stato ieri e l’altro ieri. Per questo credo che il magistero ecclesiale, se non vuole ignorare la questione, debba assumere responsabilmente il compito di riconoscersi autorizzato a decisioni importanti. Non può nascondersi dietro una “mancanza di autorità”. Ma una cosa dovrebbe risultare chiara: oggi non è in gioco la dimostrazione della “ordinabilità” delle donne al diaconato. L’onere della prova, nel mondo tardo-moderno, risulta capovolto: nel contesto di un mondo che ha superato ogni discriminazione nei confronti della autorità femminile, dovremmo attenderci giustificati motivi che impediscano la ordinazione. Se sentiremo ripetere i motivi di impedimento elaborati 700, 500 o 300 anni fa – pensati in un mondo radicalmente pre-moderno – resteremmo al di qua del compito che ci è chiesto. In assenza di convincenti ragioni di impedimento, credo che la Chiesa, dopo aver studiato tutta la storia possibile, potrà serenamente riconoscere che le donne possono esercitare l’autorità nella Chiesa anche nella forma ordinaria: ossia come ministri ordinati.

Andrea Grillo blog Come se non 30 ottobre 2016

www.cittadellaeditrice.com/munera/dibattito-sul-diaconato-femminile-4-il-metodo-di-s-tommaso-daquino

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DIVORZIO

Divorzio al comune: sì all’assegno di mantenimento.

Consiglio di Stato, sentenza n. 4478, 26 ottobre 2016

Per il Consiglio di Stato il divieto di patti di trasferimento patrimoniale riguarda semmai l’assegno una tantum. Ribaltata la posizione del TAR del Lazio. Il Consiglio di Stato, con la sentenza numero 4478/2016 del 26 ottobre 2016 ha aperto le porte all’assegno di mantenimento anche in caso di divorzio in Comune.

Con una netta inversione di marcia rispetto a quanto sancito dal TAR del Lazio nella sentenza numero 7813/2016,

www.studiocataldi.it/articoli/22738-niente-assegno-di-mantenimento-nel-divorzio-davanti-al-sindaco.asp

il Consiglio ha infatti sancito che la previsione di un assegno periodico sovente rispetta pienamente la ratio della riforma di cui all’articolo 132/2014, comunque ispirata alla tutela del coniuge più debole.

L’accordo raggiunto sui coniugi sul punto, infatti, ha l’obiettivo di ricalibrare lo squilibrio economico che consegue alla crisi del rapporto patrimoniale e precludere il suo raggiungimento in via semplificata de plano non avrebbe alcun senso, in assenza di figli minori o bisognosi di tutela e di sostanziali contrasti.

Il divieto di patti di trasferimento patrimoniale, semmai, riguarda gli accordi traslativi della proprietà e la corresponsione di un assegno una tantum o la titolarità di altri diritti di un coniuge sui beni dell’altro.

Per il Consiglio di Stato, quindi, il timore condiviso dal TAR di lasciare privo di tutela il coniuge economicamente più debole vista l’assenza del difensore non ha alcun senso: manca infatti una soggezione rispetto a un “ipotetico diritto potestativo del coniuge più forte”, dato che quest’ultimo non può comunque imporre all’altro di prestare il consenso dinanzi all’ufficiale di stato civile anche a condizioni inique.

Il coniuge più debole, in ogni caso, ha la libertà di aderire alle condizioni inerenti l’assegno di mantenimento e può rifiutare il proprio consenso senza alcuna conseguenza giuridica.

Anzi: se egli non intende acconsentire a pattuizioni che giudica inique, può comunque ricorrere all’assistenza legale per raggiungere un accordo equo e soddisfacente anche nell’ambito delle procedure deflattive di cui al d.l. n. 132/2014 mediante negoziazione assistita, e può anche decidere di ottenere una pronuncia del Tribunale che trovi delle condizioni economiche di scioglimento del legame coniugale che siano bilanciate. Il suo diritto di difesa è, insomma, garantito.

La posizione del TAR del Lazio va quindi ribaltata e l’assegno di mantenimento, a conclusione di un complesso e interessantissimo percorso argomentativo, ottiene il via libera del Consiglio di Stato anche nel divorzio davanti al sindaco.

Valeria Zeppilli Studio Cataldi 28 ottobre 2016 Sentenza

www.studiocataldi.it/articoli/23824-divorzio-al-comune-si-all-assegno-di-mantenimento.asp

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EUROPA

La mancata audizione dei minori deve essere motivata

Nei procedimenti di divorzio in cui si discute l’affidamento dei figli, il giudice deve ascoltare i minori coinvolti. E’ vero che non esiste un diritto assoluto dei minori, ma nei casi in cui il tribunale nazionale si rifiuti sistematicamente di audire i figli al centro del procedimento di affidamento, l’organo giurisdizionale ha l’obbligo di giustificare il rifiuto opposto alla richiesta di uno dei genitori. E’ la Corte europea a chiarirlo nella sentenza Iglesias Casarrubios e Cantalapiedra Iglesias contro Spagna depositata l’11 ottobre 2016 (ricorso n. 23298/12, affaire-iglesias-casarrubios-et-cantalapiedra-iglesias-c-espagne) con la quale i giudici internazionali hanno condannato la Spagna per violazione dell’articolo 6 della Convenzione che assicura l’equo processo. Il procedimento nazionale riguardava il divorzio di una coppia e l’affidamento delle figlie, minorenni all’epoca dei fatti. La madre aveva chiesto ai giudici competenti di sentire le bambine, ma la sua istanza era stata respinta. Tuttavia, l’affidamento condiviso aveva causato numerosi problemi con ulteriori dissidi tra i genitori, che avevano portato la donna a proseguire la sua richiesta fino alla Corte costituzionale. Ma ogni sua istanza era stata rigettata. Di qui il ricorso a Strasburgo che le ha dato ragione. Prima di tutto, Strasburgo ha dichiarato irricevibile il ricorso delle bambine che avevano affiancato la madre nell’azione alla Corte europea. Questo non perché minorenni (tanto più che è ben possibile, anche in questi casi, il ricorso alla Corte europea), ma perché solo la madre era stata parte nel procedimento nazionale. Detto questo, però, Strasburgo ha dato ragione alla donna. E’ vero – osserva la Corte – che non si può affermare un diritto assoluto a sentire i minori perché ciò dipende dalle circostanze particolari di ciascun caso, con un obbligo di valutare l’età e la maturità del minore, ma la conclusione cambia se è la legge interna a stabilire un simile obbligo. Se poi tale obbligo viene disatteso, è indispensabile una giustificazione, che era mancata nel caso arrivato a Strasburgo, con la consequenziale condanna della Spagna

Marina Castellaneta 25 ottobre 2016

www.marinacastellaneta.it/blog/la-mancata-audizione-dei-minori-deve-essere-motivata.html

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Il Papa: «Sconcertante voler cancellare la differenza uomo-donna»

Francesco riceve i vertici dell’Istituto Giovanni Paolo II e definisce «sconcertante» la cultura odierna che vuole cancellare la differenza tra uomo donna che non è solo una «ricchezza» ma è parte dello stesso «disegno di Dio». Invita a mettere da parte idee astratte del matrimonio ricordando che la Chiesa è vicina a tutti e che bisogna avere «grande compassione e misericordia per la vulnerabilità e la fallibilità dell’amore fra gli esseri umani»

Definisce «sconcertante» la cultura odierna che vuole cancellare la differenza tra uomo donna che non è solo una «ricchezza» ma è parte dello stesso «disegno di Dio», invita a «sviluppare, sul piano dottrinale e pastorale, la nostra capacità di leggere e interpretare, per il nostro tempo, la verità e la bellezza» della famiglia e ricorda che più decisivo ancora della «lontananza di molti dall’ideale e dalla pratica della verità cristiana» è la «vicinanza della Chiesa», anche «alle situazioni di debolezza umana, perché la grazia possa riscattarle, rianimarle e guarirle».

Papa Francesco riceve in udienza nella Sala Clementina la comunità accademica del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, di cui ha recentemente rinnovato i vertici. Ad agosto, infatti, aveva nominato monsignor Vincenzo Paglia gran cancelliere del Pontificio Istituto, oltre che presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e il teologo milanese Pierangelo Sequeri preside dell’istituto.

Il Papa ha tenuto il discorso all’avvio dell’anno accademico soffermandosi su quattro punti che investono oggi la famiglia. Anzitutto la crisi dovuta a quei «legami coniugali e famigliari che sono in molti modi messi alla prova». Francesco si è soffermato sulla cultura odierna «che», ha detto, «esalta l’individualismo narcisista, una concezione della libertà sganciata dalla responsabilità per l’altro, la crescita dell’indifferenza verso il bene comune, l’imporsi di ideologie che aggrediscono direttamente il progetto famigliare, come pure la crescita della povertà che minaccia il futuro di tante famiglie».

Un altro aspetto è quello legato alle nuove tecnologie «che rendono possibili», ha detto, «pratiche talvolta in conflitto con la vera dignità della vita umana». Prevale sempre più l’“io” sul “noi”, l’individuo sulla società: «È un esito», constata il Pontefice, «che contraddice il disegno di Dio, il quale ha il quale ha affidato il mondo e la storia alla alleanza dell’uomo e della donna».

Il secondo punto riguarda l’ideologia del gender, che Francesco non ha nominato esplicitamente ma ha parlato della necessità «di riconoscere la differenza come una ricchezza e una promessa, non come un motivo di soggezione e di prevaricazione. Il riconoscimento della dignità dell’uomo e della donna comporta una giusta valorizzazione del loro rapporto reciproco. Come possiamo conoscere a fondo l’umanità concreta di cui siamo fatti senza apprenderla attraverso questa differenza?», ha chiesto. E ha aggiunto: «È impossibile negare l’apporto della cultura moderna alla riscoperta della dignità della differenza sessuale. Per questo, è anche molto sconcertante constatare che ora questa cultura appaia come bloccata da una tendenza a cancellare la differenza invece che a risolvere i problemi che la mortificano». In effetti, prosegue il Papa, «quando le cose vanno bene fra uomo e donna, anche il mondo e la storia vanno bene. In caso contrario, il mondo diventa inospitale e la storia si ferma».

Teologia e pastorale vanno insieme. Il terzo punto toccato da Bergoglio è la testimonianza della «bellezza dell’esperienza cristiana della famiglia che», ha detto, «dovrà dunque ispirarci ancora più a fondo»; nello stesso tempo, ha rimarcato, è necessario avere «grande compassione e misericordia per la vulnerabilità e la fallibilità dell’amore fra gli esseri umani, ma senza rassegnarci al fallimento umano, per sostenere il riscatto del disegno divino sulla famiglia, icona dell’alleanza di Dio con l’intera famiglia umana».

E ha invitato a riconoscere che in passato tante volte «abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario».

Il recente doppio Sinodo sulla famiglia, ha detto il Papa, ha «manifestato la necessità di ampliare la comprensione e la cura della Chiesa per questo mistero dell’amore umano in cui si fa strada l’amore di Dio per tutti». In questo senso, «il tema pastorale odierno non è soltanto quello della “lontananza” di molti dall’ideale e dalla pratica della verità cristiana del matrimonio e della famiglia; più decisivo ancora diventa il tema della ‘vicinanza’ della Chiesa». Una vicinanza che va declinata in duplice modo: «Vicinanza alle nuove generazioni di sposi, perché la benedizione del loro legame li convinca sempre più e li accompagni», ha detto il Papa, «e vicinanza alle situazioni di debolezza umana, perché la grazia possa riscattarle, rianimarle e guarirle. L’indissolubile legame della Chiesa con i suoi figli è il segno più trasparente dell’amore fedele e misericordioso di Dio».

Infine, papa Francesco ha ricordato che teologia e pastorale vanno insieme: «Non dimentichiamo che anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini». E ha concluso: «Una dottrina teologica che non si lascia orientare e plasmare dalla finalità evangelizzatrice e dalla cura pastorale della Chiesa è altrettanto impensabile di una pastorale della Chiesa che non sappia fare tesoro della rivelazione e della sua tradizione in vista di una migliore intelligenza e trasmissione della fede»

Antonio Sanfrancesco Famiglia cristiana 29 ottobre 2016

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/october/documents/papa-francesco_20161027_pontificio-istituto-gpii.html

www.famigliacristiana.it/articolo/il-papa-sconcertante-voler-cancellare-la-differenza-uomo-donna-.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter+fc&utm_content=news&utm_campaign=fc1644

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MINORI

Protezione dei minori stranieri non accompagnati

Mercoledì 27 ottobre 2016 la Camera dei Deputati ha approvato la proposta di legge Zampa: Disposizioni in materia di protezione dei minori stranieri non accompagnati (C. 1658-A). Il provvedimento passa ora all’esame del Senato.

Articoli. Divieti (art.3), espulsione di stranieri (art.3), visto di ingresso (art.3), centri e strutture di utilità sociale (artt.4, 7, 13, 14, 20, 22, 23), decreti ministeriali (artt.4, 6), ministero del lavoro e delle politiche sociali (artt.4, 7, 10, 13, 23, 25), obbligo di fornire dati notizie e informazioni (art.5), tribunale per i minorenni (artt.5, 9), abrogazione di norme (art.5), polizia di frontiera (art.5), presidente del consiglio dei ministri (art.6), impronte digitali (art.6), età’ delle persone (art.6), famiglia (art.7), affidamento di minori (art.8), rimpatrio (artt.3, 9), basi di dati (art.10), permesso di soggiorno (artt.11, 21), albi elenchi e registri (art.12), tutela e curatela (art.12), assistenza sanitaria (art.15), scuola (art.16), diritti degli stranieri (artt.17, 18), gratuito patrocinio (art.18), riduzione in schiavitù’ (art.19), criminalità’ minorile (art.21), commissioni consigli e comitati amministrativi (art.23), cooperazione internazionale (art.24), fondi di bilancio (art.25), regolamenti (art.27).

Tra le varie misure di tutela dei minori stranieri non accompagnati, anche l’affido famigliare, promosso fin dal 2013 da Amici dei Bambini con la sua campagna Bambini in Alto Mare. Le organizzazioni impegnate nell’accoglienza dei migranti più fragili, tra cui Ai.Bi., esprimono soddisfazione per il voto favorevole di Montecitorio e auspicano un rapido proseguo dell’iter della legge fino all’approvazione definitiva che possa finalmente risolvere i problemi di accoglienza e protezione delle migliaia di migranti minorenni che sbarcano da soli sulle nostre coste. Sono già più di 20mila quelli approdati solo nel 2016.

Comunicato integrale sottoscritto dalle organizzazioni.

C’è grande soddisfazione per l’approvazione in prima lettura alla Camera della proposta di legge C 1658 in materia di accoglienza e protezione dei minori stranieri non accompagnati. Sono almeno 20.160 i minori soli arrivati sulle coste del nostro Paese dal 1 gennaio al 20 ottobre 2016, circa il doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Sono passati tre anni da quando è stata depositata la proposta e finalmente l’Italia si appresta a dotarsi di un sistema di accoglienza per i minorenni non accompagnati, che superi la gestione emergenziale di questi anni.

Le organizzazioni che si sono mobilitate per promuovere questo provvedimento, fornendo anche contributi concreti, affinché si arrivasse a questo risultato, sottolineano come in questo momento occorra che la calendarizzazione al Senato sia rapida, poiché migliaia di minori non possono aspettare ancora.

Ai minorenni che giungono in Italia soli, senza alcun familiare o adulto di riferimento al proprio fianco, dopo viaggi lunghi e pericolosi attraverso il Mediterraneo, deve essere garantito un sistema di accoglienza che li tuteli con la certezza di essere protetti.

Tra le principali novità introdotte dal testo, una modifica al testo unico sull’immigrazione che disciplina il divieto di respingimento dei minori stranieri non accompagnati alla frontiera; un sistema organico di prima e seconda accoglienza in Italia, con strutture diffuse su tutto il territorio nazionale; l’armonizzazione delle procedure di accertamento dell’età, per evitare accertamenti medici invasivi, quando inutili, e maggiori garanzie procedurali, tra cui la presenza di mediatori culturali, anche durante l’accertamento; il rafforzamento degli istituti della tutela e dell’affido familiare e maggiori tutele per il diritto all’istruzione e alla salute, nonché per i diritti del minore durante i procedimenti amministrativi e giudiziari.

Le associazioni. Amnesty International Italia, Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini, Centro Astalli, Comitato italiano per l’UNICEF, CNCA, Oxfam Italia, Save the Children, Terre des Hommes Italia onlus

Archivio News Ai. Bi. 27 ottobre 2016

www.aibi.it/ita/minori-non-accompagnati-le-associazioni-soddisfazione-per-approvazione-alla-camera

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