newsUCIPEM n. 608 – 31 luglio 2016

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AMORIS LAETITIA                                           AL e l’etica del “bene possibile”.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO                 Calcolato su spese e conti correnti della coppia.

Non lo evita chi vende o dona i propri immobili.

Il figlio deve mantenere il genitore?

CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF                 Newsletter n. 14/2016, 27 luglio 2016.

CHIESA CATTOLICA                                        I tradizionalisti contro Francesco.

C. A. I.                                                                  Il decalogo di Maria Elena Boschi per tentare di salvare l’adozione.

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM            Varese. Il consultorio compie 50 anni.

DALLA NAVATA                                              18° Domenica del tempo ordinario – anno 31 luglio 2016.

Commento di Enzo Bianchi, priore.

FILIAZIONE NATURALE                                 Riconoscimento di figlio: il calcolo delle spese di mantenimento.

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA             A sposi novelli: Niente panico quando volano i piatti, perdonatevi.

GESTAZIONE PER ALTRI                               Roma. Utero in affitto “Il figlio sospeso” il film del regista Termine.

MATRIMONIO                                                 Il matrimonio tra cugini è possibile?

OMOFILIA                                                         Il fallimento della Chiesa nel difendere i gay contraddice il vangelo

PARLAMENTO Camera. Assemblea     Interrogazione: incontri di promozione per maternità surrogata.

2°C. Giustizia    Indagine attuazione della legislazione adozioni ed affido.

PATERNITÀ                                                       Si può obbligare un padre a riconoscere il figlio?

UCIPEM                                                              Congresso: La famiglia crocevia di relazioni e di fecondità.

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AMORIS LAETITIA

AL e l’etica del “bene possibile”.

Alla scoperta di AL (20) Limiti e possibilità di un documento sulla famiglia, oggi.

Intervista a Andrea Grillo a cura di Joao Vitor Santos per la rivista IHU-online

1) Qual era la Sua aspettativa, cosa aspettava dal documento?

Sulla base di ciò che avevo letto durante il Sinodo e di quanto Francesco aveva detto, lungo i lavori, avevo percepito la possibilità che il documento che avrebbe chiuso la fase sinodale avrebbe rappresentato un passaggio importante del Magistero di questo pontificato. E, in effetti, si tratta di un testo di grande rilevanza, non solo per comprendere il disegno pastorale di Francesco, ma nella storia del Magistero cattolico nella Chiesa moderna e contemporanea. E’ una svolta che realizza, per la prima volta in modo così pieno, il disegno concepito da Giovanni XXIII e proseguito, almeno in parte, solo da Paolo VI. E costituisce una reazione alle tendenze nostalgiche che hanno caratterizzato un parte del magistero di Giovanni Paolo II e una grande parte di quello di Benedetto XVI.

2) Sottolinei da tre a cinque punti importanti che trova nel documento e li giustifichi.

Ecco i 5 punti per me più rilevanti:

a)      il magistero non deve dire tutto: questo antico criterio ecclesiale, che era stato superato con il Concilio Vaticano II, chiamato in fondo a “ridire tutto almeno una volta”, ora ritorna in voga nella pratica magisteriale. Il ministero magisteriale restituisce alla dinamica ecclesiale la “mediazione della contingenza”, senza pretendere di incasellarla una volta per tutte in una “legge generale”;

b)      misericordia e giustizia non sono sullo stesso piano, ma la misericordia è la origine e il fine della giustizia. Questo ha conseguenze non piccole non solo sulla “gestione delle crisi” matrimoniali, ma sul modo di intendere il fondamento e il fine della famiglia. Esso non è affidato in primis ai diritti e ai doveri, ma alla esperienza di un dono;

c)      Nella storia della Chiesa si intrecciano due modalità di rapporto con le crisi: una vuole escludere e l’altra vuole integrare. Fin dal Concilio di Gerusalemme la seconda ha prevalso sulla prima, fino a far discendere il senso stesso della Chiesa da questa capacità di integrazione;

d)      Una profonda autocritica circa il rapporto della Chiesa con il mondo moderno diventa – indirettamente – una importante affermazione ecclesiologica: il rapporto tra Chiesa e mondo viene reimpostato non sul registro negazione/affermazione dei valori (non negoziabili) ma su quello del riconoscimento dei “segni dei tempi”. Da una logica metafisico/cognitiva/autoritaria ad una logica esperienziale/affettiva/ministeriale.

e)      Ricondurre tutto all’incontro concreto con la Parola di Dio come luogo del discernimento, evitando di consegnare il giudizio al linguaggio astratto di norme generali, che diventano “pietre” e che tradiscono il volto materno della Chiesa, irrigidendolo nella figura accigliata di un giudice.

3) Sottolinei tre avanzamenti, nuove prospettive che il documento porta con sé. Perché sceglie questi avanzamenti?

a)      cambia il magistero: il rapporto tra autorità centrali e autorità periferiche risulta profondamente modificato. Il papa aveva appreso a risolvere le controversie mediante una norma ecclesiale che riservava a sé la decisione. Francesco utilizza la propria autorità per investire di autorità Vescovi e presbiteri. Passa dalla logica del Motu Proprio a quella del Motu Communi

b)      cambia il rapporto tra pastorale e giuridico: ad una tradizione che aveva ridotto il campo matrimoniale ad una serie di istituzioni giuridiche, quasi erodendo ogni spazio per la cura pastorale, si risponde con una azione che sta riequilibrando la via giuridica con la via pastorale. Lo spazio che si è aperto appare “abissale”, ma è, in realtà, frutto non solo della tradizione, ma anche del buon senso.

c)      cambia il rilievo del soggetto, della coscienza e della storia: in questo percorso di apertura, nuovo rilievo “rivelato” acquista il soggetto. Dio non è solo nella massima esteriorità della legge, ma anche nella intima interiorità della coscienza. Dio come “intimior intimo meo” provoca ad una riconsiderazione del rapporto tra esteriorità e interiorità, con un recupero della seconda. Potremmo dire che Francesco legge Humanae vitae con gli occhiali di Dignitatis Humanae. Crea una nuova sintesi: Dignitatis Humanae Vitae!

4) Quali sono i limiti del documento?

Se dobbiamo parlare dei limiti dobbiamo riconoscere che il documento ha la forza di un “inizio”, o, meglio, dell’inizio di un inizio. La sua profezia si scontra, in qualche caso, con formulazioni ed espressioni ancora legate al modello che pure si sta superando. Alcune parti – ad es. quelle dedicate alle donne e quelle a riguardo delle diverse forme di convivenza – risentono di un linguaggio ancora formulato in un linguaggio pregiudiziale.

5) Quali dovranno essere gli impatti del documento su: a) il pontificato; b) la Chiesa? L’impatto primario è proprio una accurata ridefinizione del rapporto tra pontificato e Chiesa. Come dicevo, oggi, con Amoris Laetitia, siamo all’inizio di un inizio. La legge non è più solo pedagogia, la coscienza diventa passaggio obbligato, la contingenza non è più abbandonata alla mercé di una “oggettività” tanto idealizzata quanto aggressiva. L’inizio di un inizio non è mai facile. Agli occhi qualcuno può sempre apparire come l’inizio di una fine. Un magistero che affida al discernimento concreto la comunione ecclesiale è un magistero che riacquista forza, perché torna nell’alveo della sua originaria funzione: servire alla fede battesimale, che nel matrimonio realizza il Regno di Dio, pur con tutte le sue crisi e i suoi fallimenti. Accettare che il matrimonio possa fallire non è debolezza, ma forza del sacramento e della fede. Uscendo dal modello esclusivamente istituzionale di lettura dell’amore, papa Francesco fa una operazione di “traduzione della tradizione” di prima qualità. Ma avrà bisogno di una Chiesa che si sobbarchi la responsabilità di non farsi sostituire dal superiore di turno. Spogliandosi di un potere oggettivo e oppositivo, il papa ha investito la Chiesa della autorità dello Spirito, come dono di misericordia che non esclude nessuno.

6) Come l’esortazione Amoris laetitia dovrebbe essere letta? Quali sono le somiglianze con l’Evangelii gaudium? (In termini testuali, di stile delle fonti citate e di contenuto.)

Ora possiamo comprendere che Evangelii Gaudium è la premessa teorica e argomentativa di Amoris

Laetitia. E chi diceva che il primo non era “magistero”, ora è costretto a restare in questo registro imbarazzante…Dalla gioia del Vangelo scaturisce la lettura dell’amore come letizia. Ed è lo sguardo evangelizzato che può cogliere l’amore, lì dove si manifesta, come annuncio di grazia. Dobbiamo leggere AL come la esperienza della gioia del vangelo nel contesto delle forme familiari dell’amore.

7) Ci fu un grande silenzio, sia tra i giornalisti che i teologi, sia all’interno che all’esterno della Chiesa, nei giorni precedenti alla divulgazione della esortazione. Adesso, con il documento reso pubblico, quali sono le reazioni? E come Lei legge questo silenzio previo alla pubblicazione?

Credo che sia giusto leggere questo “altissimo silenzio” come il frutto di una attesa comprensibilmente inquieta. Questo itinerario di tre anni, lanciato dalle parole stesse di papa Francesco, aveva creato un clima di grande aspettativa (e, per alcuni, di estremo timore). Questo giustifica la tensione e la esitazione degli ultimi giorni. Ma non giustifica il fatto che soprattutto coloro che temevano il documento ora pretendano di interpretarlo senza leggerlo!

8) Come interpreta la dichiarazione del Papa che, all’inizio del documento, dice che è necessario uscire dell’opposizione sterile tra l’ansia del cambiamento e l’applicazione pura e semplice di norme astratte? E come questa idea riappare ed è sottolineata lungo l’esortazione?

Mi sembra che si debba giudicare questa affermazione di Francesco in due modi, che non debbono essere ritenuti alternativi: da un lato esprime il desiderio di lavorare per unire e non per dividere. Cerca di mediare tra chi voleva “tutto nuovo” e chi si aspettava la semplice “conferma del sistema”. Ma, d’altra parte, mi pare che questa sia la vera novità: ossia la rinuncia a “risolvere dall’alto” e la responsabilizzazione dei ministri “prossimi alle famiglie”. Se il papa avesse “deciso tutto”, avrebbe fatto prevalere lo spazio sul tempo. Delegando ai singoli vescovi e ai singoli parroci la “cura pastorale del discernimento nella misericordia” ha posto le premesse per dare inizio a “percorsi temporali di integrazione”. In tutto questo non c’è solo “diplomazia”, ma anzitutto una determinata lettura della Chiesa e delle sue dinamiche più delicate.

9) In che modo le discussioni che sono emerse durante tutto il processo sinodale sono organizzate nel documento? Cosa questa esortazione rivela su questo Sinodo in particolare?

Il papa si riferisce con rispetto e con libertà al testo della prima e della seconda Relatio Synodi. E utilizza anche il patrimonio di proposizioni che vengono da tutta la tradizione recente e meno recente. E’ significativo, tuttavia, che, come appariva già dopo la conclusione dell’ottobre scorso, l’impronta del documento scaturisce dal contributo di discorsi e di interventi che papa Francesco aveva tenuto, proprio in occasione dei due Sinodi. E non è azzardato affermare che il miglior teologo, il più acuto e il più limpido, in tutti questi tre anni, sia stato proprio papa Francesco.

10) Che concetto di famiglia è possibile recepire dalla lettura dell’esortazione? Fino a che punto il testo aggiorna il concetto della Chiesa sul matrimonio? Come Lei valuta il trattamento dato alle cosiddette famiglie non convenzionali (unioni omoaffettive, unione di coppie separate…)?

Nel giudicare la “immagine di famiglia”, dobbiamo riconoscere che per la prima volta, in modo pieno, dopo 140 anni, il Magistero papale, dopo aver compiuto tutto il lungo percorso sinodale, dopo aver ascoltato, interloquito, proposto, accolto, selezionato, dice una parola sull’amore e sulla famiglia, prova ad uscire dallo stereotipo “reattivo”, che il cattolicesimo si è fatto imporre dalla storia politica d’Europa. Poteva uscire dallo stereotipo soltanto un papa Non-Europeo. Soltanto il primo papa americano, soltanto il primo papa “figlio” del Concilio poteva avere la libertà e la forza di uscire dal “complesso di persecuzione” che sul matrimonio avevamo maturato da Leone XIII in poi. Il matrimonio, infatti, 140 anni fa, non significava anzitutto “amore di coppia”, ma società, generazione, educazione. E allora la contesa era: chi ha la competenza sul matrimonio? Lo Stato usurpatore o il Supremo legislatore, unico legittimo? Questa eredità era rimasta anche 50 anni dopo, quando, con Pio XI, il tema del contendere era diventato: chi ha il potere di generare? Dio, naturalmente, o l’uomo, artificialmente? E anche questo venne ad aggiungersi alla contesa precedente, fino al Vaticano II. Sulla famiglia le parole di Gaudium et Spes, per quanto ispirate ai testi precedenti, fecero epoca, ma per poco. Humanae Vitae tornò a polarizzare la tensione, con grande effetto mediatico, ma con poca efficacia pratica. Infine arrivò Familiaris Consortio, che iniziò a riconoscere la società differenziata, accettando che la comunione ecclesiale potesse essere diversa dalla comunione sacramentale. Ma non aveva ancora gli strumenti per rispondere a questa nuova condizione: sapeva riconoscerla, ma restava in imbarazzo sulle forme concrete della risposta. Riconosceva il problema, ma rispondeva come se non lo riconoscesse. Ora Francesco ha potuto riconoscere che la “famiglia naturale” non è a garanzia della competenza ecclesiale, ma forma originaria del mistero di Dio nell’uomo.

11) Vuole aggiungere qualcos’altro?

La rinuncia a porre una “nuova legge generale” – esplicitata da papa Francesco – non significa che AL non voglia ridefinire il linguaggio e la disciplina di FC e non viceversa! Siccome non è mancato chi – in modo tanto arrischiato quanto sorprendente – ha osato provare a capovolgere le cose, occorre ribadire che, almeno su questo piano, AL è inserita nell’alveo normale del magistero ecclesiale, con la sua gerarchia delle fonti. Ed è singolare, in questo caso, che siano uomini della gerarchia a non riconoscere la gerarchia! Per contestare seriamente tutto questo si dovrebbe poter provare o che AL non è una Esortazione Apostolica Postsinodale (esattamente come FC, ma di 35 anni dopo) oppure che FC è in realtà un testo del 2019! Ma ci sarebbe una alternativa ulteriore: riuscire a dimostrare, con opportuna retrodatazione, che AL è un testo del 1980, di modo che FC possa essere successiva e quindi superiore nella gerarchia delle fonti…Finzione per finzione, questa almeno avrebbe una sua parvenza di dignità.

Andrea Grillo           come se non   24 luglio 2016

www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Mantenimento calcolato su spese e conti correnti della coppia.

Tribunale di Trento – Sezione civile – Sentenza n. 394, 19 aprile 2016

            Separazione e divorzio: per determinare la misura dell’assegno di mantenimento, il giudice deve tenere conto non solo del tenore di vita goduto da marito e moglie durante il matrimonio, ma anche dei risparmi da questi accumulati negli anni sui conti correnti e mai spesi. È quanto chiarito dal Tribunale di Trento con una recente sentenza.

Come si calcola il mantenimento? Per determinare l’ammontare dell’assegno di mantenimento il giudice deve innanzitutto verificare se vi sono differenze di reddito tra i due coniugi: qualora uno dei due non disponga di un reddito tale da consentirgli di conservare, anche dopo la separazione, lo stesso tenore di vita di cui beneficiava durante il matrimonio, impone all’altro coniuge di bilanciare tale divario di risorse economiche, versando una parte del proprio reddito in favore dell’ex. È questo che si definisce assegno di mantenimento.

Per determinare la misura di tale assegno bisogna innanzitutto considerare l’entità della disparità economica tra marito e moglie, al fine di colmarla. Quindi, tanto più è “povero” l’uno dei due e/o “ricco” l’altro, tanto maggiore sarà l’assegno di mantenimento. In altre parole, i primi due criteri per determinare la misura dell’assegno di mantenimento sono:

  • il reddito del coniuge beneficiario del mantenimento;
  • il reddito del coniuge obbligato a versare il mantenimento.

Questi due sono i principali elementi sui quali il giudice si basa. Vengono poi in considerazione altre variabili come:

  • la durata del matrimonio: tanto più breve è stato, tanto più basso è il mantenimento;
  • l’età del coniuge beneficiario e la sua capacità lavorativa: tanto più questi è giovane e capace di trovare una occupazione per mantenersi, tanto meno elevato sarà l’assegno;
  • il risparmio di spesa che ottiene il coniuge beneficiario del mantenimento in caso di assegnazione della casa coniugale, cui potrebbe fare da contraltare l’aumento degli oneri per l’altro coniuge (pagamento di affitto, nuove utenze, ecc.);
  • l’esistenza di una nuova famiglia o la presenza di figli per il coniuge obbligato al mantenimento che possono portare a una riduzione della misura dell’importo dovuto per il mantenimento all’ex.

Il tenore di vita e i risparmi accumulati sul conto corrente. Come anticipato in apertura, in caso di separazione, l’assegno di mantenimento va calcolato in base al tenore di vita analogo a quello che si sarebbe potuto avere in caso di prosecuzione della convivenza coniugale, a prescindere da quello all’insegna del risparmio concretamente goduto dalla coppia. Pertanto il giudice deve quantificare l’assegno in favore della ex moglie (o dell’ex marito) tenendo conto non solo dei redditi dichiarati negli ultimi anni, ma anche dei risparmi accumulati dalla coppia nel tempo.

            È del tutto irrilevante quindi che, prima della separazione, il beneficiario dell’assegno abbia accettato un tenore di vita inferiore rispetto a quello possibile a fronte però di effettuare dei risparmi, magari in vista di un futuro più agiato. Dunque, se anche la famiglia ha mantenuto un tenore di vita basso, ma ha messo da parte i soldi, tutti i risparmi sul conto corrente devono essere considerati anch’essi come parametro per determinare la misura dell’assegno di mantenimento. Principio, quest’ultimo, espresso in passato anche dalla Cassazione [Cass. sent. n. 18547/2006 e n. 10210/2005].

Redazione Lpt                        28 luglio 2016            La sentenza

www.laleggepertutti.it/127488_mantenimento-calcolato-su-spese-e-conti-correnti-della-coppia

 

Mantenimento: non lo evita chi vende o dona i propri immobili.

Tribunale di Roma, Sentenza n. 6742/2015.

Separazione e divorzio: per evitare l’assegno di mantenimento all’ex coniuge non basta svuotare il conto corrente o dimostrare di non avere case e terreni, se questi sono stati venduti dopo la separazione.

            Inutile fare i furbi: non scampa all’assegno di mantenimento da versare all’ex coniuge chi svuota il proprio conto corrente e/o vende tutti gli immobili di proprietà (case, appartamenti o terreni). Il fatto di essersi sbarazzati dei propri beni dopo la sentenza di separazione o di divorzio non basta per ottenere una modifica delle condizioni economiche e chiedere al giudice una riduzione dell’assegno di mantenimento. Difatti, il tribunale è chiamato ad analizzare non solo la situazione economico-patrimoniale attuale dell’ex coniuge, ma anche quella pregressa se da essa trapela un comportamento fraudolento volto a far apparire una povertà invece insussistente. È quanto chiarito dal Tribunale di Roma con una sentenza.

            Vendere o donare i propri beni non salva dall’assegno di mantenimento. La vendita o la donazione dei propri beni per evitare di renderli pignorabili all’ex moglie o marito, titolare dell’assegno di mantenimento, non serve a un granché. E questo per diverse ragioni. Analizziamole.

            L’azione revocatoria. Innanzitutto, se il coniuge con il reddito superiore cede i propri beni già durante la causa di separazione (ad esempio li vende o li dà in donazione), l’ex può già agire con l’azione revocatoria e far dichiarare inefficace la cessione. E ciò nonostante il giudizio tra i due sia ancora in corso e la misura dell’assegno di mantenimento non sia stata ancora stabilita in via definitiva. Infatti, basta una situazione di potenziale debito per legittimare il futuro creditore ad agire con la revocatoria. Di tanto avevamo già parlato nell’articolo “Vendere o donare casa quando si è un debito è inutile”.

            Il mantenimento si calcola anche sulla base dei beni venduti. Secondo il tribunale di Roma, la misura dell’assegno di mantenimento non deve tenere conto soltanto della situazione di reddito attuale del coniuge se questi, in precedenza, si è spogliato di tutti gli immobili non facendo trovare alcuna somma, a titolo di corrispettivo, sul conto corrente. Non c’è peraltro bisogno che la vendita sia fittizia: basta il solo fatto di aver conseguito un reddito e averlo fatto sparire subito dopo. È chiaro l’intento fraudolento nei confronti dell’ex coniuge.

            Il pignoramento in corso non è pregiudicato dalla donazione. In caso di donazione di un immobile, se l’ex coniuge inizia il pignoramento entro un anno da tale donazione (iscrivendolo nei pubblici registri immobiliari) detto bene può essere ugualmente aggredito e messo all’asta, senza bisogno di avviare prima una causa o una revocatoria. Facciamo un esempio. Giovanni si separa da Carla. Il 1° gennaio Tizio regala la propria casa alla nuova compagna Marta. Caia, entro il 31 dicembre dello stesso anno avvia il pignoramento su tale casa: lo può ben fare, nonostante la proprietà sia ormai passata a Marta.

Redazione Lpt                        31 luglio 2016

www.laleggepertutti.it/127691_mantenimento-non-lo-evita-chi-vende-o-dona-i-propri-immobili

 

Il figlio deve mantenere il genitore?

L’obbligo dei figli di versare gli alimenti al genitore in stato di bisogno e prendersi cura di lui o con un assegno periodico o ospitandolo e mantenendolo in casa propria. È noto che i genitori debbano mantenere i figli non solo sino a quando questi diventano maggiorenni, ma anche fino a quando non acquistano la totale indipendenza economica; tuttavia, si parla poco spesso del dovere inverso, ossia quello del figlio di mantenere i genitori. Il padre o la madre possono obbligare il proprio figlio a versargli un mantenimento e a prendersi cura di loro? Fino a dove può arrivare tale loro diritto e, addirittura, possono fare causa al figlio affinché il giudice lo obblighi a versare gli alimenti al/ai genitore/i? Ma procediamo con ordine.

            L’assistenza ai genitori anziani è sempre fonte di problemi in tutte le famiglie; a volte crea veri e propri conflitti interni tra fratelli su chi debba sostenere le relative spese di eventuali badanti o case di riposo. Ma cosa prevede il codice civile a riguardo del dovere del figlio di mantenere il genitore?

            I figli devono versare gli alimenti ai genitori. Innanzitutto partiamo da una precisazione terminologica. Quando si parla di aiuti dei figli nei confronti dei genitori non si deve usare il termine “mantenimento” ma “alimenti”. La differenza è sostanziale, il mantenimento (termine che si usa, di solito, nei rapporti tra coppie separate o divorziate) è un concetto più ampio e attiene alle spese necessarie a mantenersi; quindi, non solo quelle essenziali alla sopravvivenza (vitto e alloggio), ma anche quelle rivolte a un tenore di vita decorso. Invece gli alimenti coinvolgono solo i bisogni primari per sopravvivere: in termini quantitativi si tratta di una somma di gran lunga più bassa. Si devono infatti garantire solo i mezzi necessari alla sussistenza (il necessario per mangiare e una somma per pagare le spese essenziali per la casa).

            Il codice civile stabilisce [Art. 433 e ss. cod. civ.] che, se un componente della famiglia versa in uno stato di bisogno e non è in grado di provvedere ai propri interessi o alle proprie necessità può chiedere al tribunale di obbligare gli altri componenti della sua famiglia, quindi anche i figli, secondo un ordine stabilito dalla legge, a intervenire per prestargli gli alimenti, ossia quanto necessario a soddisfare i bisogni essenziali.

            Chi viola gli obblighi di assistenza familiare commette un reato (si entra, quindi, nell’ambito del diritto penale).

            Chi è tenuto a versare gli alimenti? Se uno dei genitori è in stato di bisogno, il primo a doversi prendere cura di lui è il coniuge. Se il coniuge non c’è più (perché deceduto) oppure non c’è mai stato (genitore celibe/nubile) oppure è anch’egli in condizioni di indigenza e non ha disponibilità economiche, a doversi prendere cura del genitore e a versargli gli alimenti devono essere per forza i figli, anche adottivi.

            Se i figli non ci sono più, a doversi prendere cura del familiare in stato di bisogno sono i nipoti.

            Possono essere chiamati i discendenti entro il sesto grado. Il figlio è obbligato in grado posteriore rispetto al coniuge del familiare bisognoso; pertanto può agire contro uno dei genitori se non provvede al proprio obbligo e, quindi, lo sollevi dall’onere di versare gli alimenti all’altro genitore. Si pensi al caso di una coppia divorziata dove uno dei due debba versare all’altro gli alimenti ma non lo faccia. Se il genitore bisognoso chiede gli alimenti al figlio, quest’ultimo può chiamare in causa l’altro genitore inadempiente. Il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore decaduto dalla responsabilità genitoriale.

            Genitori, fratelli, parenti e affini. Se il coniuge, i figli o i discendenti prossimi non ci sono o non possono soddisfare l’obbligo alimentare il familiare in stato di bisogno può chiamare in via subordinata a prestare gli alimenti gli altri componenti della famiglia secondo l’ordine precisato dalla legge che è il seguente:

  • i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti;
  • i generi e le nuore;
  • il suocero e la suocera;
  • i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali. Il genitore adottivo è tenuto con precedenza sui genitori dell’adottato.

L’obbligo alimentare del suocero e della suocera e quello del genero e della nuora cessa quando:

  • la persona che ha diritto agli alimenti contrae un nuovo matrimonio;
  • il coniuge da cui deriva l’affinità e i figli nati dal matrimonio con l’altro coniuge sono morti.

Come chiedere gli alimenti al figlio? Per chiedere gli alimenti al figlio, il genitore bisognoso deve fare una causa in tribunale nella quale deve provare il suo stato di indigenza.

Chi chiede gli alimenti a un obbligato in ordine successivo deve dimostrare che gli obbligati di grado anteriore non hanno la possibilità economica di adempiere, in tutto o in parte, alla loro obbligazione.

Il soggetto chiamato a somministrare gli alimenti può liberarsi dall’obbligo provando che le proprie condizioni economiche non sono idonee a sopportare il carico degli alimenti.

Il tribunale per accertare lo stato di bisogno del richiedente può ordinare indagini presso istituti bancari e verifiche dei rapporti di conto corrente.

A quanto ammontano gli alimenti dei figli verso i genitori? Gli alimenti comprendono una somma necessaria per garantire la sopravvivenza a chi lo richiede, considerando la sua posizione sociale. Si differenzia quindi dal mantenimento che mira a soddisfare tutte le esigenze di vita del mantenuto, anche quelle non strettamente necessarie alla sopravvivenza. Gli alimenti devono essere assegnati in proporzione al bisogno di chi li richiede ed alle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Negli alimenti rientra anche l’attività di assistenza e supporto al soggetto in stato di bisogno, in termini di presenza, compagnia, conforto e affetto.

            Se ci sono più figli tutti obbligati nello stesso grado alla prestazione degli alimenti verso i genitori, le spese per gli alimenti ai genitori devono essere tra loro divise, non in parti uguali, ma in proporzione delle proprie condizioni economiche.

            Chi deve somministrare gli alimenti può scegliere se farlo mediante assegno periodico o accogliendo e mantenendo nella propria casa la persona che vi ha diritto.

            Il giudice, secondo le circostanze, può valutare l’opportunità della scelta e modificare il modo di somministrazione degli alimenti.

Quando il figlio non deve più mantenere il genitore? L’obbligo del figlio di mantenere i genitori cessa nelle seguenti ipotesi:

  • morte dell’obbligato;
  • mutamento della situazione economica dell’obbligato o del soggetto avente diritto;
  • annullamento del matrimonio;
  • revoca dell’adozione;
  • disconoscimento di paternità;
  • revocazione della donazione per cause diverse dalla violazione dell’obbligo alimentare.

Redazione Lpt            31 luglio 2016

www.laleggepertutti.it/127821_il-figlio-deve-mantenere-il-genitore

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CENTRO STUDI FAMIGLIA CISF

Newsletter n. 14/2016, 27 luglio 2016.

Contro ogni menzogna sulla droga leggera. Quando in parlamento un rinvio è una cosa buona.

Siamo ai saldi di fine stagione, nel Parlamento italiano, […] in un Parlamento deserto si discute e si tenta di decidere di cannabis, di liberalizzazione e/o di legalizzazione della marijuana, di una droga che sempre di più si diffonde tra adulti e minori (anche sotto i 12 anni!).

            Dalle case editrici.

Recalcati Massimo, Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno.

Dopo aver indagato la paternità nell’epoca contemporanea, l’Autore – psicoanalista tra i più noti in Italia – volge lo sguardo alla madre, andando oltre i luoghi comuni, anche di matrice psicoanalitica, che ne hanno caratterizzato le rappresentazioni canoniche. Attraverso esempi letterari, cinematografici, biblici e clinici, questo libro racconta i volti diversi della maternità, mettendo l’accento sulle sue luci e le sue ombre. Non esiste istinto materno; la madre non è la genitrice del figlio; il padre non è il suo salvatore. La generazione non esclude fantasmi di morte e di appropriazione, cannibalismo e narcisismo; l’amore materno non è senza ambivalenza. L’assenza della madre è importante quanto la sua presenza; il suo desiderio non può mai esaurire quello della donna; la sua cura resiste all’incuria assoluta del nostro tempo; la sua eredità non è quella della Legge, ma quella del sentimento della vita; il suo dono è quello del respiro; il suo volto è il primo volto del mondo.

Il nonno e la badante: basta ai matrimoni di comodo.

Alcune riflessioni (critiche) sulla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato le decurtazioni delle pensioni di reversibilità in certi casi. Non era toccato il principio di solidarietà e le casse pubbliche tiravano un po’ il fiato

L’eterologa gratis è una discriminazione per chi adotta.

Il Consiglio di Stato boccia la scelta della Regione Lombardia di far pagare la prestazione sanitaria per chi si avvale della fecondazione eterologa. E questo nonostante le risorse economiche siano sempre più scarse. Ma perché la stessa attenzione non viene prevista dallo Stato per l’adozione internazionale che resta tutta a carico delle famiglie?

Un nuovo indicatore per misurare le politiche familiari.

Un recente documento presenta il nuovo “Indice Globale Indipendente sulla Famiglia” (IGIF), promosso da Fondazione Novae Terrae e realizzato con la collaborazione scientifica del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’università Cattolica di Milano.

Save the date.

Nord   Prendersi cura”: un metodo per la condivisione del carico tra famiglie e servizi. Percorso di Formazione, per Assistenti sociali ed Educatori, Corso di I livello – Anno 2016

Seconda Edizione, METE noprofit, Milano, 11-12 e 25-26 novembre 2016

Sfide e opportunità per l’educazione di rifugiati e richiedenti asilo in Europa: ricerche e buone pratiche, Seminario dell’Inclusive Education Network European Educational

Research Association, Università di Bergamo, 18 novembre 2016.

Centro: Disabilità intellettive e del neurosviluppo: diritti umani e qualità della vita

Convegno internazionale ANFFAS onlus, Rimini, 2-3dicembre 2016.

Estero:“Pathways: A lifelong understanding of education, trauma, intervention and success”,

IFCO (International Foster Care Organisation), Sheffield (UK), 1-4 September 2016.

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CHIESA CATTOLICA

I tradizionalisti contro Francesco.

Ci hanno provato con Benedetto XVI. E adesso ritentano con la figura di Giovanni Paolo II: contrapporre Francesco ai due predecessori, come se avesse deviato dal loro corso dottrinario e rischiasse di portare la chiesa cattolica alla deriva. Il fronte del mugugno e del dissenso è sempre esistito. Ma ultimamente si sta allargando, nutrendosi della paura del terrorismo di matrice islamica e della cautela nelle denunce di Jorge Mario Bergoglio, quasi fosse una mancanza di coraggio; dell’ostilità all’immigrazione; e del contenuto di esortazioni come Amoris laetitia. Il blog cattolico ultraconservatore Corrispondenza romana accusa Francesco addirittura di favorire «la demolizione programmatica del matrimonio e della famiglia».

Ci sono alcuni politici, banchieri e perfino alti prelati che sottovoce parlano in modo liquidatorio dello stile del primo pontefice sudamericano: quasi la provenienza geografica fosse in sé un handicap. Un’eco è arrivata in questi giorni dalla stessa Polonia. Piotr Mucharski, caporedattore di un giornale cattolico, ha rivelato a Tv2000 , l’emittente della Cei, che nelle chiese «è stata letta la lettera dell’episcopato polacco in occasione della Giornata mondiale della gioventù. Non viene mai nominato Papa Francesco, ma per tre volte si cita Giovanni Paolo II, come se fosse ancora lui il pontefice». Vengono in mente alcune stanze vaticane nelle quali le foto di Francesco sono affiancate a quelle di Josef Ratzinger, il «Papa emerito» che si è dimesso. D’altronde, in quella nazione dove il binomio polacco-cattolico è automatico, tradizionalismo e xenofobia sono fortissimi. Nonostante gli stranieri siano appena lo 0,5 per cento della popolazione, le parole d’ordine papali sull’accoglienza ai migranti vengono vissute con ostilità. In Italia la fronda punta più su presunti cedimenti dottrinari. Spuntano appelli a «prelati e movimenti silenziosi» perché resistano all’insegnamento di Bergoglio. I firmatari sono 45 tra teologi, filosofi, storici e «pastori di anime». Il loro documento, di tredici pagine, è stato spedito all’ex segretario di Stato vaticano, Angelo Sodano, decano del Sacro Collegio, e ai 218 cardinali e patriarchi. I firmatari chiedono «di inoltrare al Santo Padre la richiesta di ripudiare gli errori presenti nel documento in modo definitivo e finale, e di dichiarare autorevolmente che non è necessario che i credenti credano a quanto affermato dall’Amoris laetitia».

La lista è apparsa il 22 luglio sul National Catholic Reporter, settimanale statunitense. E dietro di loro si intravede una filiera di vescovi e cardinali disseminati tra Europa, Africa e Americhe che elencano quasi quotidianamente quelle che a loro appaiono contraddizioni e sbavature di Francesco. Al punto che intellettuali cattolici come Rocco Buttiglione sono scesi in campo sulle pagine dell’Osservatore romano per difendere il contenuto di Amoris laetitia. Non era la prima volta. Già il 30 maggio Buttiglione aveva spiegato che quel testo non era una rottura con la tradizione. Nei giorni scorsi ci è tornato con un articolo ironico sui «sapienti» che mostrano di non capire il Papa. Si intravede soprattutto il fastidio per il tentativo di mettere Francesco e Giovanni Paolo II l’uno contro l’altro. Buttiglione vuole impedire che Karol Wojtyla, di cui il filosofo cattolico era uno dei consiglieri più apprezzati, venga arruolato strumentalmente dagli avversari di Bergoglio; e le sue parole piegate alla vulgata di un Papa argentino disinvolto sulle questioni dottrinali. «Alcuni sapienti fanno fatica a intenderlo, lo criticano, l’oppongono alla tradizione della Chiesa e in modo particolare al suo grande predecessore san Giovanni Paolo II», ha scritto. L’operazione parte da ambienti tradizionalisti come la Fondazione Lepanto e Alleanza cattolica. Ma preoccupa perché evidentemente incrocia malumori e perplessità più diffusi. Nell’episcopato italiano, e non solo, Francesco è osservato come un capo spirituale che lascia troppo spazio alle interpretazioni. La questione dei divorziati risposati continua a essere una questione controversa. E il suo rapporto diretto con i fedeli innervosisce una nomenklatura ecclesiastica che a volte si sente criticata e tagliata fuori. Quando in Vaticano si sente dire che Francesco rischia l’isolamento, non è mai chiaro quanto sia assediato il Papa e quanto i suoi critici. Ma di certo alcuni problemi rimangono irrisolti.

E agli attriti dottrinali si sta aggiungendo come detonatore il giudizio sull’Islam, nella scia delle stragi terroristiche in Europa. Proprio il National Catholic Reporter, il 22 luglio scorso ha riportato un’intervista del cardinale conservatore Raymond Burke, uno dei critici più duri di Francesco. Secondo Burke, «le nazioni cristiane dell’Occidente debbono contrastare l’influenza islamica». Per dare forza alla sua tesi ha citato gli esempi delle guerre tra forze musulmane e nazioni cristiane europee, a cominciare dalla battaglia di Lepanto del 1571 e quella di Vienna del 1683 che segnarono la sconfitta dell’Impero Ottomano. «Questi eventi storici», ha aggiunto, «sono riferibili alla situazione di oggi. Nessun dubbio che l’Islam voglia governare il mondo». Burke è stato bacchettato dall’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, in Polonia col Papa. Le tue parole «non sono d’aiuto», gli ha detto. Ma il tema del giudizio sull’Islam fondamentalista esiste. C’è attesa perché Francesco dica qualcosa di più, dopo avere precisato che sebbene sia in atto una guerra, non può essere definita di religione.

Soprattutto dopo l’uccisione in chiesa del parroco di Rouen da parte di due terroristi islamici, però, nel mondo occidentale la voglia di una reazione dura, conflittuale, sta crescendo. L’impressione è che Francesco stia ancora prendendo le misure al fenomeno. Sa che dietro le spinte a condannare il terrorismo di matrice islamica possono spuntare quelle tese a trasferire la blindatura sul piano della sicurezza a uno «scontro di civiltà religiose» che piace tanto ai nostalgici del tradizionalismo ma può fare danni imprevedibili quanto duraturi.

Massimo Franco        Corriere della Sera, 30 luglio 2016

www.corriere.it/cronache/16_luglio_30/i-tradizionalisti-contro-francesco-auschwitz-3103d840-55ca-11e6-af7a-c71c10cda3a8.shtml?refresh_ce-cp

vedi pure  Aldo Maria Valli. Perché il papa è forse fuori sincrono. E come aiutarlo       29 luglio 2016.

www.aldomariavalli.it/2016/07/29/perche-il-papa-e-forse-fuori-sincrono-e-come-aiutarlo

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Il “decalogo” di Maria Elena Boschi per tentare di salvare l’adozione internazionale.

Un compito più difficile del previsto. Elena Boschi nella sua qualità di neo presidente della CAI (Commissione Adozioni internazionali) nel corso dell’audizione di mercoledì 20 luglio 2016 in commissione Giustizia alla Camera, ha indicato la “ricetta” per tentare di tirare fuori l’adozione internazionale  dalle sabbie mobili nelle quali è stata fatta precipitare a causa di “disfunzioni, o comunque carenze organizzative” che hanno ‘costellato’ gli ultimi 2 anni e mezzo di CAI sotto l’egida della vicepresidente Silvia Della Monica: quasi tre anni in cui è andato distrutto ciò che di buono in più di 15 anni si è fatto, ovvero da quando è stata istituita la CAI e il sistema  degli Enti autorizzati (16 novembre 2000).

            Riuscirà il ministro Boschi in questa impresa sperando che il malato (le adozioni internazionali ndr) non sia entrato ormai in un “coma irreversibile”? Le famiglie, gli enti autorizzati (anche se non tutti), le associazioni familiari e soprattutto migliaia di bambini abbandonati se lo augurano…Certo è che si stanno perdendo giorni preziosi: ogni minuto che passa è “essenziale”: è una situazione che va affrontata subito e di petto, senza indugi e ulteriori ritardi. Altrimenti il clima di odio che è stato instillato nel sistema delle adozioni internazionali non solo non finirà, ma si inasprirà sempre di più.

            Ecco il decalogo della Presidente Boschi

  1. Le Adozioni Internazionali sono una ricchezza per l’Italia. Innanzitutto la neo presidente Boschi ci tiene a ribadire la positività delle adozioni internazionali, che devono tornare “se ci sono le condizioni e nel rispetto delle regole” a crescere. “Le Adozioni Internazionali sono non soltanto un elemento di generosità delle famiglie che decidono di intraprendere questo percorso ma anche di maggiore ricchezza per il nostro Paese…I nuovi cittadini italiani sono intelligenze, capacità, prospettive future importanti per il nostro Paese e che credo ci abbiano arricchiti in questi anni”.
  2. La CAI è una Commissione e come tale deve operare. La CAI non è un organo monocratico ma collegiale improntato alla logica della trasparenza, confronto e legalità. “La mia prima iniziativa una volta diventata presidente – ha detto –  è stata quella di chiedere che venissero individuati i sostituti dei membri della Commissione che nel frattempo sono decaduti o si sono dimessi per varie ragioni per poter reintegrare il plenum della Commissione” in modo tale da riprendere fin da settembre il normale funzionamento.
  3. Imprescindibile la collaborazione della CAI con gli Enti autorizzati. E’ necessario “ripristinare un rapporto di maggior confronto – precisa Boschi – collaborazione e periodicità con gli Enti che poi devono lavorare nei Paesi”. Confronto e collaborazione necessari per evitare di ricadere nella stessa paralisi degli ultimi due anni. Per questo la neo presidente Boschi ha messo in evidenza che bisogna “salvaguardare sempre quel rispetto della legalità e della trasparenza anche nel rapporto con gli enti che poi sono chiamati a svolgere un ruolo di intermediazione”.
  4. La CAI deve tornare ad essere un punto di riferimento per le famiglie. E’ necessario ripristinare una linea dedicata alle famiglie. “La Commissione intende ripristinare anche un accesso diretto – ha precisato – con un numero a disposizione per le famiglie per poter avere un’interlocuzione costante sia nella fase precedente all’adozione che successiva”. Proprio le famiglie, infatti, sono quelle che maggiormente si sono sentite abbandonate negli ultimi due anni dalla vicepresidente Della Monica. La neo presidente Boschi ha fatto riferimento anche al ruolo ricoperto dalle associazioni che rappresentano le famiglie. Occorre non solo ripristinare ciò che di buono c’era e che in questi ultimi 2 anni e mezzo è stato “cancellato” ma anche pensare a qualcosa di nuovo per rilanciare l’adozione internazionale: ecco allora gli altri punti.
  5. 62 Enti autorizzati sono troppi. Si deve anche valutare (come previsto dalla normativa che disciplina la CAI) la possibilità di “forme di aggregazione e collaborazione tra enti, perché molto numerosi nel nostro Paese”. Per la neo presidente Boschi “più sono gli enti, più è complicata la gestione del rapporto con gli altri Paesi e quindi già oggi è previsto che in qualche modo si debba cercare d’incentivare anche forme di maggiore collaborazione, coesione e meno frazionamento tra i vari enti che operano, riconoscendo anche il lavoro importante che è stato fatto in molte realtà”.  “Eventuali coordinamenti o possibili aggregazioni di quelli più piccoli – aggiunge -, può consentire economie di scala o maggiore efficienza sia nei Paesi stranieri sia in Italia”.
  6. Una CAI più “moderna”. E’ necessario aggiornare il DPR 108 (del 2007) che “ormai da dieci anni disciplina la CAI perché sono cambiate le esigenze e anche il tipo di professionalità e di competenze chiamate a contribuire al buon funzionamento della CAI per quanto concerne la relazione con i Paesi esteri, con le famiglie e i percorsi socio educativi”.
  7. Più veloci i tempi delle procedure adottive. Per la neo presidente Boschi “abbiamo procedure che purtroppo comportano dei tempi ancora abbastanza lunghi, e questa è ovviamente una criticità che viene riscontrata da molti”. Boschi ha sottolineato come “snellire le procedure sia l’obiettivo di tutti per non gravare con oneri burocratici che spesso sono sovrapposizioni o richiesta di documentazione che la Pubblica Amministrazione può anche ottenere senza un gravame per il cittadino”. Infatti “dobbiamo ammettere che non rispettiamo la tempistica prevista dalla legge – ha detto – e quindi siamo oltre i 6 mesi e mezzo previsti e sicuramente su questo dobbiamo cercare di intervenire per essere più rispettosi dei tempi”.
  8. Linee guida regionali per procedure omogenee. C’è una “situazione molto eterogenea sul territorio”. E’ quindi necessario istituire “delle linee guida che possono essere più uniformi e possano poi garantire su tutto il territorio italiano delle pratiche simili per non creare disparità tra i nostri cittadini a seconda della regione in cui vivono”.
  9. Una strada per recuperare risorse finanziarie. Anche i costi per adottare un minore continuano ad essere alti con il risultato che scoraggiano le adozioni internazionali. I rimborsi erogati dalla CAI (peraltro fermi al 2011) vedono risorse sufficienti per il ‘passato’ ma per il futuro? Una strada potrebbe essere quella di “diversificare il rimborso delle spese sostenute dalle famiglie per l’adozione sulla base dell’Isee”.
  10. Indispensabile uno stretto rapporto con il Ministero degli Affari Esteri. La neopresidente Boschi ha, infine, precisato che sul fronte internazionale “non è un caso che la CAI debba lavorare in stretta connessione con il MAECI (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale)” “proprio perché hanno relazioni internazionali con i Paesi rispetto ai quali si compiono percorsi di adozione internazionale che spesso sono accompagnati da rapporti più ampi di carattere politico istituzionale tra i due Paesi e riguardano progetti di Cooperazione in loco per minori che restano nei Paesi di origine sia sulla formazione degli educatori che vivono nelle strutture e accompagnano il percorso precedente all’adozione e che sono molto importanti e da questo punto di vista il nostro impegno è forte”.

Ai. Bi. 29 luglio 2016                         vedi newsUCIPEM n. 607, pag. 3

www.aibi.it/ita/il-decalogo-di-maria-elena-boschi-per-tentare-di-salvare-l-adozione-internazionale-un-compito-piu-difficile-del-previsto

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Varese. Il consultorio compie 50 anni.

            Il 19 marzo 1966, nella sede di via Bernascone 14, iniziava la sua attività l’Associazione La Casa di Varese. Nata per iniziativa dell’allora prevosto mons. Enrico Manfredini [nominato in seguito vescovo a Piacenza e arcivescovo metropolita di Bologna], in collaborazione con numerosi laici, aveva lo scopo di promuovere l’assistenza e la cura della famiglia.

Nel 2016, 50 anni dopo, la ‘Fondazione-Centro per la Famiglia-Istituto La Casa di Varese’ è una presenza viva in città, capace di accogliere, dialogare, collaborare, mettendosi al servizio della persona, della famiglia e della comunità locale. Questo grazie a persone che negli anni si sono spese, mettendo a disposizione la loro intelligenza e generosità.

Il Cinquantesimo rappresenta quindi un’occasione per riflettere sulla nostra storia, a partire dalle radici, per rilanciare la nostra mission nelle sfide del presente, che ci interpellano.

Per la celebrazione di questo anniversario sono stati pensati diversi momenti e la redazione di un libro sui Cinquantanni della Nostra Storia.

28 giugno 2016 Camminiamo: “Nello spazio e in rapporti dinamici che generano processi”. Marcia verso il Sacromonte. Riflessioni su alcune parti dell’esortazione apostolica “Amoris laetitia” scritta da Papa Francesco, interventodi Don Pino Gamalero                 testo in             www.lacasadivarese.it/?p=1237

            8 ottobre 2016 Convegno: “Dono e speranza: rigenerare i legami familiari”

Relatrici Prof.ssa Eugenia Scabini e Prof.ssa Costanza Marzotto (UCSC)

Collegio De Filippi Via Brambilla 15, Varese ore 8,30 www.lacasadivarese.it/?p=1203

25 novembre 2016 Evento rivolto alla cittadinanza: “Famiglia, soggetto di evangelizzazione”

 Incontro con l’Arcivescovo Sua Eminenza Cardinale Angelo Scola

Collegio De Filippi Via Brambilla 15, Varese ore 21 www.lacasadivarese.it/?p=1223

3 dicembre 2016 manifestazione concorso: nell’ascolto sono accolto

Concorso per classi quinte scuola primaria e terze scuole secondarie di primo grado

Consultorio “La Casa di Varese”, via Crispi 4 ore 9,30 www.lacasadivarese.it/?p=1229

www.lacasadivarese.it

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DALLA NAVATA

XVIII Domenica del tempo ordinario – anno C -31 luglio 2016.

Qoélet                         02,21 Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.

Salmo                         90, 14 Saziaci al mattino con il tuo amore: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.

Colossesi         03, 11 Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.

Luca               12, 13 In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».

 

Commento di Enzo Bianchi, priore del Monastero di Bose.

Gesù era considerato dalla gente un rabbi, un maestro autorevole nell’interpretare le sante Scritture, tra le quali la Torah, la Legge. Molte volte venne dunque interrogato da vari ascoltatori riguardo a temi in discussione nel giudaismo del tempo, ma anche su questioni quotidiane. Il vangelo secondo Luca testimonia che durante il suo viaggio verso Gerusalemme gli venne posta, tra le altre, una domanda molto concreta riguardo alla spartizione dell’eredità, affinché egli dirimesse la contesa tra due fratelli. La Legge stabiliva che alla morte di un soggetto proprietario di beni immobili, cioè terra e casa, l’eredità spettava al figlio maschio primogenito, così che il patrimonio non fosse diviso, spezzettato (cf. Dt 21,17). Tuttavia agli altri figli era riservata una parte dei beni mobili. Nel nostro caso, per l’appunto, sembrerebbe che sia il figlio minore a chiedere a Gesù di intervenire perché sia onorato il suo diritto, probabilmente non riconosciuto dal fratello maggiore. Era sempre possibile, anzi era la norma ideale che i fratelli condividessero l’eredità, mostrando in tal modo di riconoscere la fraternità come un bene (cf. Sal 132,1); ma non sempre ciò avveniva…

            Di fronte a questa richiesta, formulata più come un comando che come una domanda, Gesù non solo si rifiuta di esaudirla, ma in tono spazientito ribatte: “O uomo (ánthrope), chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”. Parole che possono anche sorprenderci e sono di non facile interpretazione. Perché Gesù risponde in questo modo? Per dire con chiarezza che a lui non interessano questioni economiche? Per manifestare che la sua missione è spirituale? Per lasciare ai due fratelli la responsabilità di decidere e risolvere il conflitto? Io credo che Gesù risponda in modo spazientito perché ha letto in quella pretesa non una sete di giustizia ma una brama di possesso. Lui che aveva detto di dare anche la tunica a chi ci toglie il mantello (cf. Lc 6,29), che raccomanderà di condividere i beni con i poveri (cf. Lc 12,33; 18,22), come potrebbe essere uno che regola questioni di eredità? La brama, la cupidigia, quando sono presenti nel cuore umano, finiscono per alimentare i conflitti, per accecare gli occhi, che non riescono più a vedere né i fratelli né il prossimo. Ecco perché Gesù prosegue con un’ammonizione: “Fate attenzione (horâte) e guardatevi (phylássesthe) da ogni cupidigia (pleonexía) perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”. È un avvertimento alla vigilanza continuamente rinnovata affinché la seduzione del possesso e dei beni, veri idoli, non impedisca al credente non solo il vero e autentico riconoscimento di Dio, ma anche una vita pienamente umana, che resta per ciascuno sempre un compito. Noi umani siamo preda di una facile illusione: credere che la pienezza della vita ci venga da ciò che possediamo, dal denaro, dalla proprietà, e non da ciò che siamo. Come scriveva quarant’anni fa Erich Fromm, con parole tuttora attualissime: “Si direbbe che l’essenza vera dell’essere sia l’avere; che, se uno non ha nulla, non è nulla”.

            Per imprimere meglio la sua ammonizione nel cuore e nella mente di chi lo sta ascoltando, Gesù racconta una parabola. C’è un grande proprietario terriero la cui campagna prospera in modo straordinario. Il frutto è abbondantissimo, tanto che egli si trova impreparato: dove ammassare tutto il raccolto? Comincia allora a pensare a come poter sfruttare quell’abbondanza e decide di demolire i vecchi magazzini, troppo piccoli, e di costruirne altri più grandi, per conservare in essi il grano e gli altri beni. Ma a quel punto si considera anche soddisfatto, autosufficiente, sicuro di sé, fino a poter dire a se stesso: “Ora che disponi di molti beni, per molti anni, riposati, mangia, bevi e divertiti!”. È un programma di vita nel quale il suo io diventa l’unico soggetto: “Io farò, io demolirò, io costruirò, io raccoglierò, io dirò a me stesso!”. E tutto il resto – raccolti, magazzini, e beni – sono accompagnati dall’aggettivo possessivo “miei”. Questo, in verità, è un programma che non ci è estraneo, ma che forse è sopito nel profondo del nostro cuore, pronto a diventare desiderio e progetto non appena sembra che i nostri beni aumentino e possano darci sicurezza. In questa situazione non si riesce nemmeno a intravedere la possibilità della condivisione, a leggere che l’abbondanza dei raccolti, o delle ricchezze da noi accumulate, è un’occasione per distribuire quei beni inattesi ai poveri e a chi non ha questa fortuna. Quest’uomo, presente anche in noi, sa vedere solo i propri beni, in una solitudine della quale non è consapevole, accecato dalle proprie ricchezze, inebetito…

            Ma ecco arrivare per lui una sorpresa, che fa apparire l’intero suo programma come grande stoltezza e stupidità: giunge improvvisa la fine della sua vita, ed egli non potrà portare con sé nulla di ciò che ha accumulato! Solo allora, troppo tardi, questo ricco si accorge che la ricchezza non dà la felicità, non assicura la vita autentica, ma solo addormenta, acceca, impedisce di vedere la realtà umana. Qui occorre ricordare la lezione del salmo 48, con il suo tagliente ma realissimo ritornello: “L’uomo nel benessere non capisce e non dura, ma è come gli animali avviati verso il mattatoio!” (cf. Sal 48,13.21). Lo stesso salmo afferma che anche se l’uomo si arricchisce e accresce il lusso della sua casa, quando muore non porta nulla con sé (cf. Sal 48,17-18): il suo unico pastore e padrone è la morte (cf. Sal 48,15)… Sì, ragionare e comportarsi in questo modo si dimostra folle, insensato, perché manifesta un’illusione mortifera: quella che la ricchezza e la proprietà di molti beni salvino, diano senso e significato alla vita. Spesso non lo ammettiamo, ma in realtà lo pensiamo, e facciamo di questo criterio l’ispirazione di molte nostre scelte. L’ora della morte sarà anche quella dell’incontro con il giudice, Dio, il quale renderà manifesto ciò che ciascuno di noi ha pensato, detto e fatto nei giorni della sua vita terrena. Allora sarà evidente la verità di ciò che si è vissuto qui e ora: ovvero, dell’aver tenuto conto o meno della volontà di Dio che tutti gli esseri umani siano fratelli e sorelle e partecipino con giustizia alla tavola dei beni della terra, in quella condivisione capace di combattere la povertà. Ma chi ha accumulato per sé con un folle egoismo, chi non si è “arricchito presso Dio”, cioè condividendo i suoi beni, sarà nella solitudine eterna. La vita umana non finisce qui, anche se spesso lo dimentichiamo.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10644-fate-attenzione-e-guardatevi-da-ogni-cupidigia

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FILIAZIONE NATURALE

Riconoscimento di figlio: il calcolo delle spese di mantenimento che il genitore deve rimborsare

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 14417, 14 luglio 2016

La sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento da cui conseguono tutti i doveri propri della procreazione legittima tra i quali l’obbligo di mantenimento. La relativa obbligazione si collega allo status genitoriale e assume decorrenza dalla nascita del figlio, con la conseguenza che l’altro genitore, il quale nel frattempo ha sostenuto l’onere di mantenimento anche per la porzione di pertinenza del figlio dichiarato giudizialmente, ha diritto di regresso per la corrispondente quota

Avv. Renato D’Isa     28 luglio 2016                                    ordinanza

renatodisa.com/2016/07/28/corte-di-cassazione-sezione-vi-civile-ordinanza-14-luglio-2016-n-14417

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Agli sposi novelli: “Niente panico quando volano i piatti, perdonatevi!”

Nel suo saluto dalla finestra dell’Arcivescovado, il Santo Padre ha ricordato la ‘formula’ per salvare i matrimoni: “Permesso, grazie, scusa”. Si è rivolto alle giovani coppie di sposi, Papa Francesco, nel saluto di questa sera dalla finestra dell’Arcivescovado, al termine della seconda giornata del viaggio in Polonia. Davanti a numerosi pellegrini che attendevano nel piazzale antistante il suo ritorno dal parco Blonia nonostante la pioggia, il Santo Padre ha ricordato la sua personale ‘formula’ per far funzionare un matrimonio, ovvero quelle tre parole utili “perché la famiglia vada sempre avanti e superi le difficoltà”: “Permesso. Grazie. Scusa”.

“Permesso – ha spiegato il Papa – perché bisogna sempre chiedere al coniuge, la moglie al marito e il marito alla moglie: ‘Cosa pensi? Facciamo così?’ Mai calpestare: permesso”. Grazie, perché si deve “essere grati”: “Quante volte il marito deve dire alla moglie: ‘Grazie!’. E quante volte la sposa deve dire al marito: ‘Grazie!’. Ringraziarsi a vicenda, perché il sacramento del matrimonio viene conferito dai due sposi, l’uno all’altro. E questa relazione sacramentale si mantiene con questo sentimento di gratitudine: grazie!”.

Infine “scusa”: “una parola molto difficile da pronunciare. Nel matrimonio sempre – tra marito e moglie – sempre c’è qualche incomprensione. Sapere riconoscerla e chiedere scusa. Chiedere perdono fa molto bene”, ha sottolineato il Pontefice.

Queste tre parole – ha aggiunto – “esprimono tre atteggiamenti” e “possono aiutarvi a vivere la vita matrimoniale, perché nella vita matrimoniale ci sono difficoltà. Il matrimonio è qualcosa di tanto bello, tanto splendido che dobbiamo preservarlo, perché è per sempre”. “Mi congratulo con voi per il coraggio necessario a unirsi per tutta la vita” ha poi detto Papa Francesco, rassicurando le coppie anche per tutti quei momenti in cui i litigi sono più frequenti dei momenti di pace. “Sempre nella vita matrimoniale ci sono problemi o discussioni. È normale! E succede che lo sposo e la sposa discutano, alzino la voce, litighino e a volte volano i piatti! Non vi spaventate, però, quando succede”.

Il consiglio del Papa è piuttosto a “non terminare mai il giorno, senza fare pace”. “Sapete perché? Perché la guerra fredda il giorno seguente è molto pericolosa. ‘E come posso fare, padre, per fare pace?’, può domandare qualcuno di voi. Non occorrono discorsi, basta un gesto… e finisce e la pace è fatta. Quando c’è amore, un gesto sistema tutto”.

Invitando infine a pregare “per tutte le famiglie presenti, per gli sposi novelli, per quelli che sono già sposati da tempo e sanno quello che io vi ho detto, e per quelli che si sposeranno”, Bergoglio ha concluso il suo saluto chiedendo di recitare insieme un’Ave Maria, “ciascuno nella sua lingua”. E se ieri la raccomandazione ai giovani era a “fare chiasso”, quella di stasera era un invito a riposare, accompagnato dalla consueta richiesta: “Pregate per me! Davvero, pregate per me! Buona notte e buon riposo!”.

            Salvatore Cernuzio    Zenit   29 luglio 2016

https://it.zenit.org/articles/francesco-agli-sposi-novelli-niente-panico-quando-volano-i-piatti-perdonatevi

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GESTAZIONE PER ALTRI

Roma. Utero in affitto “Il figlio sospeso” il film del regista Termine.

“Solo se conosciuta la verità rende liberi”. Parte da questo assunto ‘Il figlio sospeso’, l’opera del regista siciliano Egidio Termine proiettato ieri, 27 luglio 2016, alla Camera dei deputati nell’ambito un’iniziativa organizzata dal Movimento per la vita. L’evento è stato organizzato dal Mibact, Regione Siciliana, Sicilia Film Commission e dal Comune di Palermo, in collaborazione con Taormina FilmFest e BIFest – Bari International Film Festival.

Il film, nelle sale il prossimo autunno, affronta il tema della maternità surrogata senza entrare nel merito di questioni bioetiche o legali, ma piuttosto affrontando lo stato di sospensione del protagonista, Lauro, la cui sete di verità lo spinge ad un “viaggio” alla ricerca della sua identità. Senza essere un film di “denuncia”, “Il figlio sospeso” riesce a raccontare tutta la drammaticità legata alla pratica dell’utero in affitto.

“Si parla spesso di maternità surrogata focalizzando l’attenzione sulle madri che oggi possono essere anche quattro – ha detto il regista – Nessuno pensa invece al bambino, al figlio che è il protagonista di questo fatto sociale nuovo. Quindi mi sono messo dalla parte del bambino e lo stesso titolo ‘Il figlio sospeso’ è esplicativo di questo mio punto di vista che parte appunto dalla necessità di attenzionare il bambino, il protagonista che viene scambiato nella maternità surrogata”.

Per il regista Termine “il Vangelo stesso ci dice che la verità ci fa liberi, e la verità è Gesù. Ma anche laicamente questa frase ha il suo valore essenziale: solo con la verità si può raggiungere una concretezza di situazioni che fanno migliorare l’essere umano. Con la bugia accade tutto il contrario; l’essere umano si perde”.

“Questo personaggio, il protagonista del film – precisa -, va alla ricerca della verità in quanto insito nell’essere umano, nell’antropologia vera. Questa ricerca della verità si ottiene pagando anche a caro prezzo con una ferita che comunque resterà per sempre incisa nell’essere umano. La conoscenza della verità ti fa soffrire, ma ti rende anche libero con una ferita, quindi rende vero, reale. Tutto questo non può che portare un beneficio anche a coloro che sono responsabili di questa sofferenza. Le madri alla fine si riconciliano e riescono a continuare a vivere dal momento in cui il figlio li riconcilia un po’. Il personaggio principale è Lauro che paga ma dà la vita agli altri, dà l’armonia nella crescita anche alle madri che hanno commesso il fatto”.

La proiezione del film ieri è stata anche l’occasione per registrare un’ampia convergenza politica. Presenti in sala oltre al presidente di Scienza&Vita Alberto Gambino, c’erano le deputate Eleonora Cimbro, Teresa Piccione e Simonetta Rubinato del Pd, Mariastella Gelmini e Gabriella Giammanco di Forza Italia, Alessandro Pagano Ncd, Paola Binetti dell’Udc e Tiziana Ciprini di M5S. Fra gli intervenuti, nel dibattito seguito al film, si è registrata piena consapevolezza dei rischi che l’entrata in vigore delle unioni civili e la discussione sulla riforma delle adozioni comportano in relazione alla controversa politica della stepchild adoption.

Ai. Bi.  28 luglio 2016

www.aibi.it/ita/roma-utero-in-affitto-il-figlio-sospeso-il-film-del-regista-termine-per-dire-no-alla-maternita-surrogata

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MATRIMONIO

Il matrimonio tra cugini è possibile?

I soggetti che non possono sposarsi tra loro, parenti, familiari, affini, ascendenti, discendenti, fratelli e sorelle, zio e nipote. Il matrimonio tra cugini è possibile, ma non per la chiesa cattolica, la quale richiede, in questi casi, un’apposita dispensa.

            In caso di parentela, affinità o adozione sono previsti dei limiti al diritto di sposarsi. In Italia esistono, in questi casi, dei divieti di contrarre matrimonio: essi possono essere inderogabili o derogabili mediante autorizzazione (cosiddetta dispensa) del tribunale.

            I cugini sono, tra loro, parenti di quarto grado. Non esiste una norma che vieta il matrimonio tra cugini. In assenza di un divieto specifico, quindi, i cugini si possono sposare tra loro. Se però la legge italiana non vieta il matrimonio tra cugini, la chiesa cattolica richiede che vi sia una esplicita autorizzazione secondo le regole della procedura canonica. Lo stesso dicasi per i figli di cugini. In altre parole, la Chiesa deve dare la dispensa ai cugini per sposarsi. Se manca tale dispensa i cugini possono sposarsi solo in Comune, ma non in chiesa. Il matrimonio avrà effetti per la legge italiana, ma non per l’ordinamento ecclesiastico.

            Chi non può sposarsi? Non possono sposarsi tra loro, neanche con la dispensa:

  • genitori e figli;
  • nonni e nipoti;
  • fratelli e sorelle;
  • adottante e adottato;
  • figli adottivi della stessa persona;
  • adottato e figli del genitore adottivo;
  • adottato e fratelli e sorelle della famiglia di origine;
  • adottato e genitori della famiglia di origine;
  • adottato e nonni della famiglia di origine.

Non possono sposarsi tra loro, ma può sussistere la dispensa:

  • zia e nipote maschio;
  • zio e nipote femmina;
  • affini in linea retta ossia: suocero e nuora, suocera e genero, patrigno e figliastra; matrigna e figliastro.

La dispensa può essere accordata solo quando l’affinità deriva da un matrimonio dichiarato nullo, non quando il matrimonio da cui deriva l’affinità è sciolto per morte, per divorzio o cessazione degli effetti civili;

  • cognati;
  • adottato e coniuge dell’adottante;
  • adottante e coniuge dell’adottato;
  • adottato e parenti in linea collaterale degli adottanti.

Come ottenere la dispensa per sposarsi. I soggetti che abbiamo elencato nella seconda lista non possono sposarsi, salvo però chiedere o ottenere la dispensa dal tribunale (di residenza di entrambi, se comune, o alternativamente al tribunale del luogo di residenza dell’uno o dell’altro nubendo, se diversi). La richiesta deve essere congiunta ed è volta a farsi autorizzare a contrarre matrimonio.

                        Più precisamente sono legittimati a richiedere tale dispensa:

  • lo zio e la nipote femmina;
  • la zia e il nipote maschio;
  • gli affini in linea collaterale di secondo grado;
  • gli affini in linea retta quando l’affinità deriva da un matrimonio dichiarato nullo.

Nel matrimonio concordatario la dispensa è necessaria anche in caso di nozze tra figli di cugini o di procugini. Il tribunale valuta le ragioni addotte dai richiedenti e decide con decreto motivato. Il decreto diventa definitivo dopo 10 giorni senza che sia stato proposto reclamo. Se l’autorizzazione è concessa, uno dei nubendi deve presentare copia del relativo provvedimento per la richiesta di pubblicazione.

                        Possono impugnare il decreto di autorizzazione – entro massimo 10 giorni dalla notifica – eventuali controinteressati.

Redazione Lpt            28 luglio 2016          www.laleggepertutti.it/127503_il-matrimonio-tra-cugini-e-possibile

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OMOFILIA

Il gesuita Mertes: “il fallimento della Chiesa cattolica nel difendere i gay contraddice il vangelo”

Un gesuita tedesco ha criticato l’omofobia sistematica della Chiesa cattolica, dopo che papa Francesco ha raccomandato alla Chiesa di chiedere perdono alle persone LGBT e alle altre che aveva ferito. Il Global Pulse riporta la notizia che il gesuita Klaus Mertes di Berlino, in Germania, ha chiesto alla Chiesa cattolica di riflettere su come l’omofobia funzioni nell’insegnamento e nella pratica ecclesiastica. In un articolo per l’accademico journaltheologie.geschichte (giornale di storia teologica), Mertes sottolinea le aree dove l’omofobia è rinforzata dall’insegnamento della Chiesa e anche gli ambiti della chiesa in cui è all’opera la sua influenza.

Mertes afferma che l’omofobia viola il comandamento della carità e che la Scrittura e il cristianesimo delle origini testimoniavano chiaramente relazioni inclusive e paritarie, in opposizione all’odierna omofobia.

Citando Galati 3:28 – “Non c’è ebreo né gentile, né schiavo né libero, né maschio né femmina, perché tutti siamo uno in Gesù Cristo” – il sacerdote afferma che un moderno adattamento potrebbe includere che “non ci sono più omosessuali o eterosessuali”. Scrive infatti: “Che la Chiesa non può spingersi a difendere i diritti basilari delle persone gay e, al tempo stesso, permettere ai suoi rappresentanti più in vista di difendere tradizioni culturali che minacciano gli omosessuali con la morte. Ciò contraddice il messaggio del vangelo”.

Mertes ha esaminato come l’omofobia nella Chiesa cattolica influenza la sua interpretazione delle Scritture. Ha notato che i pregiudizi contemporanei anti-gay “vengono da una lettura, che non è storico-critica, di alcuni passaggi rilevanti” nelle scritture e in altri testi storici non canonici. I pregiudizi portano qualcuno a preferire un’esegesi fondamentalista della Bibbia in disaccordo con l’approccio storico-critico approvato durante il Vaticano II.

Gli studiosi hanno ripetutamente ridimensionato l’idea che ogni condanna biblica dell’attività omosessuale si possa intendere come una condanna della comprensione moderna delle relazioni e dell’orientamento omosessuale.

Il gesuita Mertes ha criticato l’insegnamento della Chiesa com’è espresso nel Catechismo della Chiesa cattolica. Nelle spiegazioni del Catechismo non solo ha riconosciuto un’omofobia attiva, ma vede anche “punti oscuri e contraddizioni sostanziali”. Per esempio nel Catechismo l’omosessualità è vista come un’offesa alla castità, suggerendo che il solo essere gay sia un’offesa, come lo sono alcuni desideri. Mertes a tal proposito scrive: “Questi sono gli effetti penosi che le persone gay sperimentano ogni giorno nella Chiesa. Invece di venire ascritta al campo della ‘castità’ l’omosessualità dovrebbe essere vista sotto la lente dei diritti umani”.

Dove il Catechismo parla contro la discriminazione dei gay, il messaggio è strano e si “perde in mezzo ad affermazioni discriminatorie”, osserva Mertes che la spesso citata sezione n. 2358 del Catechismo, dove è chiesto alla Chiesa di trattare le persone gay con “rispetto, compassione e sensibilità”, è un affermazione “condiscendente e dannosa”. A quelle persone che credono che l’omosessualità sia una croce da portare, Mertes risponde che nessun orientamento è una croce, ma lo è l’“avversione e l’ostilità dell’omofobia” imposta a chi è gay, lesbica o bisessuale.

L’articolo, pubblicato in tedesco, sottolinea che i pregiudizi contro i gay affliggono la Chiesa anche in altri ambiti e critica la concezione platonica e aristotelica della sessualità e dell’identità di genere che, nei secoli, hanno avuto un impatto negativo sull’insegnamento della Chiesa e sulla teologia. Nel suo articolo Mertes critica la persistente associazione che si fa, nella chiesa cattolica, dell’omosessualità con gli abusi sessuali sui bambini; contesta l’idea di una “lobby gay” in Vaticano e il modo in cui l’omofobia e la misoginia funzionano in una società composta da soli uomini, come è il clero cattolico.

Mertes conclude raccontando la storia della coppia australiana che ha partecipato al sinodo del 2014, dove parlò dei loro amici con un figlio gay e del suo compagno. In seguito gli oratori australiani furono criticati per aver parlato dell’aiuto dato dai loro amici alla coppia gay. Mertes così commenta questa critica: “Questo riflette il volto dell’omofobia. Non vogliono il dialogo. Questo è il problema. L’omofobia sperimenta il dialogo come una minaccia e così lotta contro di esso. Quanto accadde in Vaticano mostra anche il potere della testimonianza personale: il dialogo non è innescato dalla parlare “in terza persona singolare”, ovvero quando si “parlare di”; ma quando si parla in prima persona singolare (o plurale). Ecco perché il contributo alla riduzione dell’omofobia è il dialogo in prima persona”.

Non è la prima volta che Mertes critica la Chiesa per il suo approccio all’omosessualità. In un’intervista di giugno (2016) ha affermato che i vescovi della Chiesa devono cambiare la “mentalità ristretta” che hanno sull’argomento e lodare i cattolici LGBT che rimangono nella Chiesa nonostante l’oppressione.

Facendo commenti sulle nazioni in cui bisessuali, lesbiche e gay rischiano la pena di morte, il gesuita Mertes ha detto di essere “costernato che la Chiesa sia così silenziosa su questo argomento”. Il sacerdote tedesco è molto conosciuto in Germania per aver affrontato pubblicamente il tema dell’abuso sessuale nelle scuole gesuitiche tedesche.

Molto di quello che ha scritto Mertes nell’articolo non è nuovo, come la ricerca sulle Scritture o le critiche di come gli ecclesiastici concepiscono l’abuso sessuale da parte dei religiosi. Quello che è impressionante, comunque, è il modo potente e conciso con cui ha mappato un’omofobia sistematica in tutte le aree della vita della Chiesa. Quando lo si legge tutto insieme, anche le persone LGBT e i loro sostenitori sono colpiti dai grandi problemi che provoca affrontare il tema dell’omosessualità e dell’identità di genere della nostra Chiesa.

I due maggiori contributi di Mertes sono, in primo luogo, la sua raccomandazione che la Chiesa cattolica sposti l’obiettivo su ciò che sa dell’omosessualità, portando l’attenzione dalla castità ai diritti umani. Se una edizione aggiornata del Catechismo facesse solo questo cambiato sarebbe già una buona cosa. Il sacerdote gesuita identifica, di nuovo, quel che i sostenitori delle persone LGBT sanno da tempo, ovvero il potere del racconto (e della testimonianza) di se stessi. Condividere le storie e parlare in prima persona porta a camminare insieme e apre la mente in modo potente. L’omofobia è intensamente presente nella nostra Chiesa, come ricorda il gesuita Mertes, ma sono speranzoso perché ci sono anche le testimonianze coraggiose e forti di tante persone LGBT e dei loro cari, che contribuiscono a far cadere i pregiudizi e alla costruzione di un mondo più giusto.

Testo originale: Church’s Failure to Defend Gay Rights Contradicts Gospel, Says German Priest

Articolo di Bob Shine pubblicato su Bondings 2.0, blog dell’associazione cattolica New Ways

Ministry (Stati Uniti), il 21 luglio 2016, liberamente tradotto da Silvia Lanzi

Bob Shine       www.gionata.org, 25 luglio 2016

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage?tipo=numaut7569

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PARLAMENTO

            Camera dei deputati. Assemblea                  Interrogazioni a risposta immediata.

27 luglio 2016. n. 3-02421 Iniziative di competenza volte ad evitare lo svolgimento di incontri aventi come oggetto la promozione e la commercializzazione di pratiche relative alla maternità surrogata.

Pag.39         www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0663&tipo=stenografico#sed0663.stenografico.tit00100.int00010

2°Commissione Giustizia       Indagine attuazione della legislazione adozioni ed affido.

Infine, ha svolto l’audizione di Anna Genni Miliotti, professoressa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Firenze, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido

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PATERNITÀ

                        Si può obbligare un padre a riconoscere il figlio?

L’azione di accertamento giudiziale della paternità: la sentenza del giudice che, dopo il test del DNA, dichiara di chi è il figlio; gli obblighi del padre di mantenimento del figlio accertato.

            Se il padre si rifiuta di riconoscere il proprio figlio la madre o il figlio possono agire in tribunale per ottenere una sentenza di accertamento della paternità: in buona sostanza la pronuncia del giudice – che certo non può obbligare fisicamente il padre a riconoscere il figlio – comporta essa stessa il riconoscimento e ha gli stessi effetti di tale dichiarazione, senza quindi bisogno che ci sia il consenso del padre. Questo perché il riconoscimento del figlio è un atto dovuto dal genitore e, anzi, se omesso, legittima i figli ad agire contro di quest’ultimo per il risarcimento del danno, anche dopo molti anni dalla nascita e una volta divenuti maggiorenni.

Si tratta della cosiddetta dichiarazione giudiziale di paternità (ossia la paternità dichiarata dal giudice); tale procedura può essere avviata, qualora sia già morto il presunto padre, anche nei confronti degli eredi di quest’ultimo (purché entro 2 anni dalla sua morte). Ciò, ovviamente, per il riconoscimento dei diritti ereditari in capo ai figli legittimi.

            Se il padre si rifiuta di riconoscere il figlio, il riconoscimento giudiziale può avvenire tramite l’esame di DNA ordinato dal giudice nel corso della causa – avviata dalla madre – per il riconoscimento della paternità. Anche in questo caso, non si può obbligare materialmente l’uomo a subire il prelievo del sangue, tuttavia – secondo l’orientamento ormai stabile della Cassazione. Il rifiuto non giustificato dell’uomo a sottoporsi al test costituisce un comportamento tale da poter dedurre, da esso, il tacito riconoscimento della paternità. In sintesi, basta il semplice rifiuto a sottoporsi all’esame del DNA per far dichiarare, al giudice, la paternità e il cosiddetto rapporto di filiazione. È dunque inutile per l’uomo (se non addirittura controproducente) non collaborare pienamente all’accertamento giudiziale della paternità.

            Il rifiuto ingiustificato di sottoporsi agli esami ematologici costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ., anche in assenza di prove di rapporti sessuali tra le parti, in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi assolutamente certi e difficilmente acquisibili circa la natura dei rapporti intercorsi e circa l’effettivo concepimento a determinare l’esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti (Cass. sent. n. 3470/2016, n. 25675/2105, n. 13885/2015. Inoltre non vi è alcuna gerarchia tra i mezzi di prova della filiazione, pertanto, non è necessario dar corso preliminarmente all’istruttoria orale, potendosi esperire subito la prova ematologica (Cass. sent. n. 24361/2013).]

            Con il riconoscimento della paternità da parte del giudice scatta in automatico l’obbligo per il padre di mantenere, assistere e crescere i figli, partecipando alle spese a ciò necessarie, insieme alla madre e in relazione alle rispettive capacità economiche.

            Se il padre non riconosce il figlio: come far accertare la paternità. Il figlio, nato da una coppia di fatto non sposata, che non è stato riconosciuto dal padre può ricorrere alla cosiddetta azione di accertamento giudiziale della paternità affinché il tribunale accerti con sentenza chi sia il genitore e, di conseguenza, dichiari la paternità e la maternità e quindi il suo status di figlio.

            L’azione è imprescrittibile riguardo al figlio.

            L’azione può essere esercitata se ricorrono tutte le seguenti condizioni:

– il figlio è nato fuori dal matrimonio;

– il figlio non è stato riconosciuto da uno o da entrambi i genitori;

– il riconoscimento è ammesso.

Nei casi di figlio incestuoso l’azione può essere promossa soltanto dopo aver ottenuto l’autorizzazione del giudice.

L’azione può essere esercitata dal figlio nato fuori del matrimonio che non è stato riconosciuto. Se il figlio è:

– minore, l’azione è proposta, nel suo interesse, dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale; in mancanza del genitore o in caso di sua impossibilità, è esercitata dal tutore, previa autorizzazione del giudice;

– interdetto: l’azione può essere promossa dal tutore previa autorizzazione del giudice.

Se il figlio muore:

– dopo aver intrapreso l’azione, questa può essere proseguita dai discendenti;

– prima di aver iniziato l’azione, questa può essere promossa dai suoi discendenti entro 2 anni dalla sua morte.

La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo. La maternità è dimostrata provando l’identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre. Come detto, però, la prova principale è il test del DNA al quale il padre non può rifiutarsi senza giusta causa: il suo diniego è interpretabile come una tacita ammissione della paternità.

            La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità.

            Se il tribunale accerta la fondatezza della domanda, emette una sentenza che produce gli effetti del riconoscimento: in pratica, si verifica ciò che si sarebbe verificato se il padre spontaneamente avesse riconosciuto il figlio.

            Il giudice può anche dare provvedimenti che ritiene utili per l’affidamento, il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela dei suoi interessi patrimoniali.

Redazione Lpt                        28 luglio 2016

www.laleggepertutti.it/127328_si-puo-obbligare-un-padre-a-riconoscere-il-figlio

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

La famiglia crocevia di relazioni e di fecondità.

XXIV CONGRESSO NAZIONALE U.C.I.P.E.M.

Oristano, 2-4 Settembre 2016 Hotel Mistral, via XX settembre 84

Programma, scheda di iscrizione, note organizzative, informazioni, pieghevole, prenotazioni, ospitalità in www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=article&id=399:congresso-ucipem-di-oristano-bozza-del-programma&catid=61&Itemid=203

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