newsUCIPEM n. 592 –10 aprile 2016

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ADOZIONE E AFFIDO                   Incoraggio quanti non possono avere figli ad aprire il loro amore.

ADOZIONI INTERNAZIONALI    Della Monica: “Ora le adozioni tornano a crescere”.

                                   Cinque domande dopo le risposte della presidente Della Monica

Adozioni internazionali. Enti autorizzati e associazioni familiari.

Giovanardi: Da ex Presidente della Cai, ecco la verità su accuse.

ASSEGNO DIVORZILE                  Va mantenuta l’ex che trova lavoro se questo non è adeguato.

C. I. S. F                                            Newsletter CISF n. 6, 6 aprile 2016

CHIESA CATTOLICA                    Il “bene possibile” e le secche della legge universale e astratta.AL1

CINQUE PER MILLE                      5 per mille, dove sono gli elenchi del 2014?

C. A. I.                                                           Protocollo d’intesa tra la Polizia di Stato e la Commissione.

CONFERENZA ICCFR –                 Famiglie forti, comunità forti. Sostenere le relazioni familiari

CONSULTORI Familiari UCIPEM Messina.Coordinamento interistituzionale tutela socialegiuridica

Pescara. Progetto nascere.

Gruppi di parola per figli di separati/divorziati.

Taranto. 9ª Giornata di Studio per la Consulenza Familiare.

Testi relativi ai consultori familiari presenti su AMAZON

CORTE COSTITUZIONALE          Sulla stepchild adoption la Consulta passa la mano

DALLA NAVATA                             3° Domenica di Pasqua – anno C –10 aprile 2016.

FEDELTÀ                                         L’arte erotica (e inaspettata) della fedeltà.

FRANCESCO Vescovo di ROMA    Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris laetitia. Sintesi

                                                           Brani scelti d’interesse per gli operatori dei consultori familiari.

Conferenza Stampa per la presentazione dell’Esortazione.

GESTAZIONE PER ALTRI             Maternità surrogata senza reato. Consentita all’estero?

MATRIMONIO                                No riconoscimento a quello gay: non sostituirsi al Parlamento.

NON PROFIT                                               Raccolta fondi attraverso i lasciti testamentari.

OMOADOZIONE                             Trascrizione delle adozioni di due figli di coniugi omosessuali.

PARLAMENTO Camera 1° Comm.            Giornata nazionale della famiglia.

2° C. Giustizia Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.

PATERNITÀ                                     Dichiarazione giudiziale di paternità naturale

SESSUALITÀ                                               Storie d’amore (I) La sessualità alla luce della Bibbia

                                                           L’annuncio cristiano della sessualità.

SINODO SULLA FAMIGLIA          Schönborn: superata la divisione tra «regolare» e «irregolare»

«Eucaristia ai divorziati? Non sarà un ticket». Mons. Brambilla

Spadaro: Amoris Laetitia, la dottrina è radicalmente pastorale.

Struttura e significato dell’esortazione apostolica post-sinodale.

Francesco e la riforma dell’amore. Melloni

La meravigliosa complicatezza del bene possibile. Grillo

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ADOZIONE E AFFIDO

Papa Francesco: incoraggio quanti non possono avere figli ad aprire il loro amore.

È stata resa pubblica e presentata questa mattina l’Esortazione apostolica post sinodale di Papa Francesco “Amoris laetitia sull’amore nella famiglia. Papa Francesco conclude e corona il lavoro del Sinodo indetto nel 2013 e sviluppato in due successivi momenti: nel 2014 con l’Assemblea sinodale straordinaria e nel 2015 con la XIV Assemblea generale ordinaria. Il testo, ultimato e firmato da Papa Francesco il 19 marzo 2016, è ora inviato a tutti Vescovi del mondo per il bene di tutte le famiglie e di tutte le persone, giovani e anziane, affidate al loro ministero pastorale. In particolare, Papa Francesco riprende la sensibilità e la consapevolezza del dramma vissuto dall’infanzia che vive l’esperienza dell’abbandono quando non dell’abuso; e nel terzo capitolo indica la scelta dell’adozione e dell’affido quale esperienza in grado di esprimere una particolare fecondità dell’esperienza coniugale (cf n. 82).

È nel cuore dell’Esortazione, il quinto capitolo dedicato all’amore che diventa fecondo, che ritroviamo alcune dei più significativi passaggi dedicati da Papa Francesco al tema dell’accoglienza adottiva e affidataria non senza aver chiaramente posto un chiaro quesito; il Santo Padre è consapevole di come tanti bambini siano rifiutati, abbandonati, derubati della loro infanzia e del loro futuro e ritiene vergognoso che qualcuno osi dire, quasi per giustificarsi, che sia stato un errore farli venire al mondo. “Che ne facciamo delle solenni dichiarazioni dei diritti dell’uomo e dei diritti del bambino, se poi puniamo i bambini per gli errori degli adulti?” si chiede Papa Francesco (cf n. 166).

Sviluppando il paragrafo dedicato all’amore di madre e di padre, Papa Francesco richiama come ogni bambino abbia il diritto di ricevere l’amore di una madre e di un padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra e armoniosa e che rispettare la dignità di un bambino significa affermare la sua necessità e il suo diritto naturale ad avere una madre e un padre. I genitori, uomo e donna, padre e madre, sono cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti, mostrando ai figli il volto materno e il volto paterno del Signore (cf n. 172), la medesima chiamata e missione dei genitori adottivi chiamati ad essere cooperatori di Dio Salvatore. Papa Francesco è peraltro consapevole di come il sentimento di essere orfani che sperimentano oggi molti bambini e giovani sia più profondo di quanto si pensi (cf n. 173).

Affrontando il tema della sterilità di molte coppie di sposi, nel paragrafo dedicato alla fecondità allargata, Papa Francesco ricorda come questa situazione comporti sofferenza insieme alla consapevolezza che il matrimonio non sia stato istituito soltanto per la cosiddetta procreazione (cf n. 178). Papa Francesco mentre evidenzia come l’adozione sia una via per realizzare la maternità e la paternità in un modo molto generoso, desidera inoltre “incoraggiare quanti non possono avere figli ad allargare e aprire il loro amore coniugale per accogliere coloro che sono privi di un adeguato contesto familiare. Non si pentiranno mai di essere stati generosi” (cf n. 179). Adottare – sottolinea Papa Francesco – è l’atto d’amore di donare una famiglia a chi non l’ha e per il Santo Padre è importante insistere affinché la legislazione possa facilitare le procedure per l’adozione, soprattutto nei casi di figli non desiderati, al fine di prevenire l’aborto o l’abbandono. Coloro che affrontano la sfida di adottare e accolgono una persona in modo incondizionato e gratuito, diventano mediazione dell’amore di Dio che afferma: “Anche se tua madre ti dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (cfr Is 49,15).

Condividendo il pensiero dei padri sinodali Papa Francesco richiama con estrema chiarezza come la scelta dell’adozione e dell’affido esprima una particolare fecondità dell’esperienza coniugale, al di là dei casi in cui è dolorosamente segnata dalla sterilità. A fronte di quelle situazioni in cui il figlio è preteso a qualsiasi costo, come diritto del proprio completamento, l’adozione e l’affido rettamente intesi mostrano un aspetto importante della genitorialità e della figliolanza, in quanto aiutano a riconoscere che i figli, sia naturali sia adottivi o affidati, sono altro da sé ed occorre accoglierli, amarli, prendersene cura e non solo metterli al mondo (cf n. 180).

            Ai. Bi. 8 aprile 2016                                       www.aibi.it/ita/category/archivio-news

cfr.                  http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Della Monica: “No a speculazioni sulla pelle dei bimbi, ora le adozioni tornano a crescere”

            La difesa della presidente della Commissione che segue le pratiche internazionali: “In passato troppe opacità. Non è vero che è tutto fermo: lavoriamo giorno e notte ma la priorità è sradicare il conflitto d’interessi. Nuovi accordi con Cina Russia, Bielorussia e Cile. Con Cambogia e Burundi siamo molto avanti. Ci sono enti che hanno avuto gestioni discutibili. Saccheggiati i fondi per i rimborsi alle famiglie”

            Per mesi è rimasta in silenzio. Lavorando nell’ombra. Cercando di riportare trasparenza in un settore, offeso, dice, “da troppe opacità negli ultimi anni”. Accusata di immobilismo, di “metodi polizieschi” da una parte degli enti autorizzati, attaccata, ma anche difesa da molti aspiranti genitori, oggi il magistrato Silvia Della Monica, presidente della Commissione adozioni internazionali, alla vigilia dell’atteso arrivo dei bimbi del Congo, ha deciso di parlare. “Ho affrontato situazioni durissime nel mio lavoro, dalla lotta al mostro di Firenze con Vigna, alle guerre di mafia con Falcone. Ma in questa commissione si decide del futuro di bambini che hanno già subito abusi e abbandoni. Per questo si deve essere rigorosi, senza sconti per nessuno. Il rischio è farsi dei nemici, lo so, ma ci sono abituata”. E confessa: “Oggi questo incarico mi coinvolge umanamente più di quanto pensassi”.

            Dalla sede che si affaccia sul verde di Villa Borghese, Della Monica, classe 1948, consigliere di Cassazione, eletta alla Commissione adozioni (Cai) nell’aprile del 2014, racconta due anni in trincea.

Presidente, una parte degli enti la accusa di aver bloccato il percorso “virtuoso” delle adozioni in Italia.

“Ci sono molti più enti, e tra i più importanti, che in una lettera mi hanno appena ribadito il loro sostegno. L’adozione sta cambiando e in tutto il mondo c’è stato un calo. E invece noi restiamo un Paese leader nell’accoglienza dei bambini”.

            Però gli ultimi dati dicono il contrario. E la commissione non ha ancora pubblicato quelli relativi al 2014-2015.

“Le nuove statistiche verranno rese note entro la fine del mese. Ma posso già anticipare che per la prima volta i numeri ricominciano a crescere”.

            Lei è stata accusata di non aver fatto abbastanza per sbloccare la situazione dei bambini bloccati in Congo.

“Ad oggi tutte le procedure sono state sbloccate e i bambini verranno accompagnati nel nostro Paese al più presto. Abbiamo lavorato in silenzio giorno e notte, tenendo però costantemente informate le famiglie. Non abbiamo perso un giorno. Alla conferenza dell’Aja, nel giugno del 2015, il Congo ha proprio portato ad esempio la trasparenza delle procedure italiane. Adesso quello che conta è che i bambini arrivino. Niente altro”.

            Dal suo insediamento lei non ha mai riunito la Commissione.

“Prima di tutto perché, per lavorare, la Commissione non ha bisogno di sedute plenarie, ma soprattutto perché esiste un conflitto d’interessi”.

            Ci spieghi.

“La Commissione adozioni ha il compito di tutelare e sovrintendere sull’operato degli enti autorizzati. Al mio arrivo ho trovato che all’interno della Commissione, seppure in modo indiretto, erano presenti enti che non dovrebbero invece partecipare ai lavori”.

            Il controllato che sorveglia il controllore?

“Esattamente. Riunirò la commissione quando avrò sanato questa anomalia”.

E ne ha trovate altre?

“Sì, non lo nego. Ci sono enti che si comportano bene e altri che hanno avuto gestioni discutibili. Sia sul fronte economico che rispetto al rigore delle procedure adottive. Io sto cercando di ripristinare la legalità. Anche sottoponendo gli enti a vigilanza e controlli”.

            La accusano di metodi polizieschi.

“Pazienza. Le gestioni precedenti hanno usato in modo scriteriato i fondi della Commissione. Per questo migliaia di famiglie sono rimaste senza rimborsi. Con i fondi del 2016 potremo iniziare, in parte, a sostenere di nuovo le coppie”.

            I soldi, appunto. La Cai deve rimborsare molti progetti di cooperazione?

“Attenzione. Quanti di quei progetti di cui oggi gli enti chiedono il rimborso sono stati effettuati davvero? Quale rigore nelle spese? Soltanto quando avrò tutti questi elementi si potrà procedere ai rimborsi”.

            E i rapporti internazionali?

“Non ci sono Paesi in attesa. È falso. Abbiamo nuovi eccellenti rapporti con la Bielorussia, con il Cile, la Cina, la Federazione Russa. Con la Cambogia gli accordi sono già sottoscritti, stiamo aspettando che emanino i decreti attuativi della loro nuova legge sulle adozioni. In Burundi le trattative sono avanzate, ma la guerra civile sta rendendo tutto più difficile”.

Cosa direbbe oggi a una coppia che vuole adottare?

“Di andare avanti. Di avere fiducia. Però si devono affidare a un ente serio. È l’unica vera garanzia “.

 Novella De Luca       La Repubblica                        6 aprile 2016

www.repubblica.it/cronaca/2016/04/06/news/della_monica_no_a_speculazioni_sulla_pelle_dei_bimbi_ora_le_adozioni_tornano_a_crescere_-137029144/?ref=search

Cinque domande dopo le risposte della presidente Della Monica.

            La Presidente della Commissione Adozioni Internazionali, Silvia Della Monica, dopo tanto silenzio – ultimo in ordine cronologico quello andato in onda domenica sera con Le Iene – ha rilasciato ieri due interviste, una a la Repubblica e una a Rai Radio 3. Alle interviste della Presidente sono seguite immediatamente reazioni opposte: plausi da un lato e delusioni dall’altro. Fresca di oggi è invece la notizia che la CAI e la Polizia di Stato hanno siglato un protocollo d’intesa per rendere più efficace l’azione di tutela e garanzia nelle adozioni internazionali.

«La accusano di metodi polizieschi», diceva la giornalista di la Repubblica ieri: «Pazienza», rispondeva la Della Monica. E oggi annuncia che la Polizia di Stato «supporterà la Commissione nello svolgimento delle attività di controllo nei confronti degli enti autorizzati a curare le procedure di adozione e, qualora si renda necessario, attiverà i collaterali organi di polizia a livello internazionale».

Intanto, tornando a ieri, Anpas per esempio per la prima volta ha preso posizione pubblicamente, dichiarando la propria adesione alla lettera a sostegno di Silvia Della Monica. Quanto all’intervista, Luigi Negroni, responsabile per le adozioni internazionali di Anpas, dice: «Sono molto soddisfatto delle risposte della Presidente. Ritengo che il sistema si può e si deve migliorare ma credo necessario, proprio a tal fine, che il lavoro debba essere congiunto, rivalorizzando la collaborazione fra Enti ed Istituzioni con l’obiettivo della trasparenza e legalità di tutto il sistema che coinvolge bambini e coppie adottive». Il Ciai invece in una nota afferma che «le recenti affermazioni della Presidente Silvia Della Monica non rispondono alle domande che il Ciai ha posto al Presidente del Consiglio Renzi. È per questo che vogliamo entrare nel merito dei punti che ancora non trovano adeguate risposte». Hanno evidenziato quattro punti, in gran parte sono gli stessi interrogativi che anche noi ci siamo posti ieri mattina, leggendo risposte della Presidente. Nulla di che, ma forse cose che un lettore generico di la Repubblica potrebbe non avere così presenti. Per rispetto del lavoro istituzionale e delle famiglie, lasciamo fuori ogni domanda sulla delicatissima e sofferta vicenda nella Repubblica Democratica del Congo, mentre confidiamo nella pubblicazione dei dati statistici 2014/2015 entro fine aprile, come ormai più volte annunciato dalla Presidente.

  1. Convocazione della Commissione. La Presidente spiega per la prima volta perché in quasi due anni non abbia mai convocato la Commissione: ci sono dei conflitti di interesse, poiché «all’interno della Commissione, seppure in modo indiretto, erano presenti enti che non dovrebbero invece partecipare ai lavori. Riunirò la commissione quando avrò sanato questa anomalia». Che nella CAI debbano sedere tre rappresentanti di associazioni nazionali familiari lo prevede il Regolamento con cui l’allora ministro Rosy Bindi ha riordinato la Cai nel 2007 (articolo 4 comma m del DPR 8 giugno 2007, n. 108). Qui si legge che fra i componenti della CAI ci devono essere «tre rappresentanti designati […] da associazioni familiari a carattere nazionale, almeno uno dei quali designato dal Forum delle associazioni familiari, con eccezione degli enti di cui all’articolo 39-ter della legge sull’adozione», ovvero degli enti autorizzati alle adozioni. A marzo 2015 Graziano Delrio, all’epoca Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha abrogato quel regolamento e firmato un DPCM contenente i nuovi “Criteri per la designazione dei rappresentanti delle Associazioni familiari a carattere nazionale, nominati componenti della Commissione per le adozioni internazionali”: il DPCM elimina il favor per il Forum delle Associazioni Familiari, nel senso che non vi è più traccia del fatto che «almeno un» commissario deve essere indicato dal Forum e in realtà esclude de facto che il Forum possa d’ora in poi esprimere un commissario Cai, stabilendo che i commissari designati «non possono essere espressi da enti autorizzati» o «rappresentarne, comunque, gli interessi». Del Forum Famiglie (che conta 47 associazioni nazionali e 20 Forum regionali) fanno parte due enti autorizzati, AiBi e AFN – Azione per Famiglie nuove. Se il conflitto di interessi è questo, è già stato risolto da marzo 2015 con il DPCM Delrio. Uno dei tre commissari CAI espressione delle associazioni famigliari sarebbe quindi decaduto da un anno per effetto del DPCM Delrio (anche se l’avvocato Pillon, del Forum Famiglie, precisa di non aver mai ricevuto alcuna notifica in merito alla sua decadenza) e gli altri due sono scaduti a luglio 2015 (sul sito della CAI non vi è notizia di decreti di nomina o rinnovo per nessun commissario, fatta eccezione per i due esperti Piazza e De Ioris): per una CAI senza conflitti di interessi non basta quindi semplicemente nominare tre nuovi commissari? O ci sono altri conflitti di interessi a cui la presidente si riferisce?
  2. Controllo degli Enti. La presidente dice che ci sono Enti «che hanno avuto gestioni discutibili, sia sul fronte economico che rispetto al rigore delle procedure adottive. Io sto cercando di ripristinare la legalità. Anche sottoponendo gli enti a vigilanza e controlli». A chiusura dell’intervista invita le famiglie ad avere fiducia, «però si devono affidare a un ente serio. È l’unica vera garanzia». Ma non è un preciso compito della Commissione Adozioni verificare e controllare l’attività degli enti che lei stessa autorizza, sanzionando o togliendo dall’albo quelli che non si comportano secondo quanto definito dalle legge e dalle linee guida per gli enti autorizzati? La Commissione «cura la tenuta del relativo albo e lo verifica almeno ogni tre anni», dice il Regolamento. Quali sono questi enti non seri? Le famiglie hanno diritto di saperlo. In questi due anni l’Albo egli enti autorizzati pubblicato sul sito della Commissione è rimasto identico a se stesso, con 62 enti autorizzati, nessuno è stato cancellato: ovvio che ogni famiglia vorrebbe rivolgersi a un ente serio, ma questo Albo è l’unico strumento ufficiale che hanno a disposizione per orientare le proprie scelte. La Presidente ha parlato più volte di verifiche e controlli, in un’altra intervista ha parlato esplicitamente di qualche ente «sotto inchiesta». Ovviamente non ci aspettiamo che la Presidente parli in pubblico di queste attività di verifica e controllo, solo chiediamo, insieme alle famiglie, che dopo due anni ci sia una conclusione chiara da rendere pubblica. Le uniche dichiarazioni pubbliche in merito ai controlli sono invece per il momento quelle fatte dal sottosegretario Andrea Olivero in una risposta a un’interrogazione parlamentare, il 5 marzo 2015: «sono in corso due verifiche sulla permanenza dei requisiti di idoneità degli enti autorizzati e sulla correttezza, trasparenza ed efficienza della loro azione avviate a seguito di qualificate segnalazioni pervenute. Le verifiche sono state avviate nei confronti dell’ente Associazione Adozioni Alfabeto, e dell’ente AiBi». Quella di AiBi ad esempio, dice il presidente Marco Griffini «è iniziata il 26 settembre 2014 e si è conclusa il 26 marzo 2015».
  3. Progetti di sussidiarietà. Il tema è stato sollevato da Vita qualche giorno fa. La Cai deve rimborsare molti progetti di cooperazione, approvati e finanziati dalla Cai stessa. «Attenzione. Quanti di quei progetti di cui oggi gli enti chiedono il rimborso sono stati effettuati davvero? Quale rigore nelle spese? Soltanto quando avrò tutti questi elementi si potrà procedere ai rimborsi», ha detto la Presidente. Ne approfittiamo intanto per chiarire un punto su cui forse non siamo stati chiari: gli enti autorizzati non fanno solo progetti di sussidiarietà finanziati dalla Cai, ma anche altri progetti con il sostegno di soci e famiglie adottive, che instaurano spesso un legame affettivo forte con il Paese d’origine dei loro figli. Alcuni Enti, poi, sono anche ONG e per questo realizzano ancora altri progetti di cooperazione allo sviluppo, con finanziamenti pubblici e privati: sono però tre cose diverse. I progetti di sussidiarietà finanziati dalla CAI di cui stiamo parlando, sono stati conclusi, rendicontati e tutta la documentazione è stata inviata alla Commissione entro il 31 agosto 2014, come richiesto dalla delibera 1/2012/SG. Mancano informazioni? La Commissione vuole contestare la documentazione presentata? È tutto in mano sua, perché non lo fa? Si tratta però inevitabilmente di una verifica progetto per progetto, ente per ente, fattura per fattura: diverso dal non rispondere alle richieste di informazioni degli enti sull’iter di questi rimborsi, come se questi progetti non fossero mai esistiti o gettare sospetti in blocco sulla attività di cooperazione realizzata. Possibile che tutto vada così male?
  4. Rimborsi alle famiglie. «Le gestioni precedenti hanno usato in modo scriteriato i fondi della Commissione. Per questo migliaia di famiglie sono rimaste senza rimborsi. Con i fondi del 2016 potremo iniziare, in parte, a sostenere di nuovo le coppie», ha affermato la Presidente. Come noto, i rimborsi delle spese sostenute per le adozioni internazionali (è deducibile dal reddito complessivo il 50% delle spese sostenute dai genitori adottivi, purché debitamente documentate e certificate dall’ente autorizzato) sono fermi alle adozioni concluse nell’anno 2011, rimborsi effettuati dalla CAI «con le risorse assegnate e destinate al sostegno delle adozioni internazionali nell’anno 2013 (disponibili da marzo 2014) e nell’ anno 2014 (da poco rese disponibili)», come dice il comunicato del 31 gennaio 2015, poiché il «DPCM del gennaio 2012 relativo alle adozioni concluse nel 2010 e nel 2011 [era] privo della copertura necessaria a coprire tali rimborsi». Che i rimborsi riprendano è quindi un’ottima notizia. Teniamo presente che a questo punto sono in attesa di rimborsi le coppie che hanno adottato dal 2012 in poi, ben quattro anni: 2.469 nel 2012 (fonte CAI) e 2.291 nel 2013 (idem), più quelle degli anni 2014 e 2015, di cui non abbiamo dati. Quante risorse sono disponibili per loro? La legge di stabilità 2016 ha infatti creato un fondo da 15 milioni «allo scopo di sostenere le politiche in materia di adozioni internazionali e di assicurare il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali»: le attività che rientrano sotto quella dicitura sono tante, per cui è evidente che solo una parte di quel fondo potrà essere destinata ai rimborsi alle famiglie. Ma quanto? Un’interpellanza presentata il 2 febbraio 2015 da Michela Vittoria Brambilla, presidente della Commissione Bicamerale Infanzia, chiedeva, fra l’altro, «quale percentuale delle risorse del fondo per le adozioni internazionali il Governo intenda destinare al funzionamento della Commissione e quali alle misure di sostegno delle adozioni internazionali, come il rimborso delle spese sostenute dai genitori adottivi per l’espletamento della procedura di adozione e la defiscalizzazione di tali spese e delle spese sostenute dalle famiglie adottive di minori con bisogni speciali (special needs)»: quell’interpellanza è stata ritirata, ma la domanda resta.
  5. Chi è il più importante? Infine, una curiosità. Ma davvero, senza polemica. «Ci sono molti più enti, e tra i più importanti, che in una lettera mi hanno appena ribadito il loro sostegno», ha detto la Presidente. Criteri ce ne sarebbero molti, di solito noi giornalisti prediligiamo quello numerico e facciamo le top ten, ma riconosco non sia un criterio esaustivo e forse nemmeno quello più significativo. Però se quell’inciso l’ha fatto, significa che per la Presidente una gerarchia fra gli enti esiste: Presidente, come si misura l’importanza di un ente?

Redazione Vita          7 aprile 2016

www.vita.it/it/article/2016/04/07/cinque-domande-dopo-le-risposte-della-presidente-della-monica/138937

Adozioni internazionali. Enti autorizzati e associazioni familiari.

“È una guerra che non serve a nessuno e dalla quale prendiamo le distanze avendo come unico interesse il funzionamento del sistema adozioni in Italia”. Il premier Renzi intervenga in prima persona: ci convochi per trovare una soluzione condivisa”

            E’ unanime la reazione dei 25 Enti autorizzati e delle 33 organizzazioni familiari aderenti al Care (Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in Rete) che si dicono “fortemente preoccupati per le dichiarazioni” rilasciate dalla presidente della Cai, a La Repubblica pubblicate il 06 aprile 2016. “Ci preoccupa fortemente il clima di crescente confusione – dicono Pietro Ardizzi portavoce dei 25 enti autorizzati e Monya Ferritti presidente del Care e portavoce delle 33 associazioni familiari – e inasprimento tra famiglie, operatori e istituzioni che si è venuto a creare”.

Pertanto i 25 enti autorizzati e le 33 associazioni familiari ritengono irrinunciabile che:

  • la Commissione, essendo un organo collegiale, torni a riunirsi avendo da tempo superato l’ipotetico conflitto d’interessi con decreto del Presidente del Consiglio del marzo 2015
  • la Commissione operi la sua attività di vigilanza e controllo sugli enti nei tempi previsti evitando di lanciare accuse generiche e un clima di sospetto che può creare smarrimento e confusione nelle famiglie e sfiducia nelle istituzioni. La commissione adozioni garantisca la correttezza di tutti gli enti iscritti all’albo
  • la Commissione torni a riesaminare le richieste degli enti per l’operatività in nuovi Paesi, e dia esecuzione ai protocolli firmati con i Paesi esteri (Cambogia e Burundi)
  • la Commissione informi e pubblichi i dati relativi alle adozioni con regolarità comprendendo anche le annualità mancanti 2014 e 2015
  • la Commissione proceda alla verifica e alla liquidazione dei progetti di prevenzione all’abbandono già realizzati e rendicontato dagli enti nel 2014
  • la Commissione riprenda il dialogo costante con gli attori del sistema nelle forme e con gli strumenti previsti dal dpr 108/2007 che le precedenti commissioni avevano realizzato

“Ma soprattutto – precisano Ardizzi e Ferritti – chiediamo, oggi più di ieri, che il premier Matteo Renzi intervenga immediatamente in prima persona e, come già richiesto nelle settimane scorse, ci convochi al più presto alla ricerca di una soluzione comune e condivisa”.

Ai. Bi. 7 aprile 2016                                     www.aibi.it/ita/category/archivio-news

Sen. Giovanardi (Idea). “Da ex Presidente della Cai, ecco la verità su accuse di Della Monica”

Le gravi dichiarazioni rilasciate dalla vicepresidente della Cai, Silvia Della Monica, nell’intervista a Repubblica pubblicata il 06 aprile 2016, continua a scatenare reazioni. Dopo il comunicato stampa dei 25 Enti autorizzati e 33 organizzazioni familiari aderenti al Care (Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in Rete), interviene il senatore del movimento Idea Carlo Giovanardi che nella qualità di Presidente della Cai dal 2008 al 2011, in una lettera aperta al direttore di Repubblica, Mario Calabresi, precisa punto per punto le questioni sollevate da Della Monica relativa alle gestioni precedenti della Commissione stessa. In particolare precisa quali sono i requisiti necessari per ricoprire il ruolo di Presidente e vice presidente della Cai; l’opportunità (se non obbligatorietà) di operare in sedute plenarie; l’assenza di conflitti d’interesse e difende la trasparenza della gestione e impiego dei fondi destinati al funzionamento dell’Autorità centrale rigorosamente esaminati in sede collegiale e sottoposti al controllo della Corte dei Conti.

            Riportiamo la versione integrale della lettere aperta.

            Al signor Direttore de La Repubblica dr Mario Calabresi

            Caro Direttore,            la legge vigente stabilisce che la Commissione per le adozioni internazionali è presieduta dal presidente del Consiglio dei ministri o dal ministro per le Politiche della famiglia, e la dottoressa Silvia Della Monica non è né l’uno né l’altro. Il vice presidente della Commissione deve essere – per legge – magistrato avente esperienza nel settore minorile, la Dottoressa Della Monica che ricopre anche questo incarico non possiede questi requisiti.

            La Commissione, da me presieduta per quasi quattro anni (2008-2011) – composta dal Vice-presidente e dai dirigenti apicali delle amministrazioni centrali competenti, delle regioni e degli enti locali, nonché dai rappresentanti delle associazioni familiari dalle stesse designati –  ha sempre operato in seduta plenaria, essendo l’Autorità centrale italiana preposta alla piena esecuzione alla Convenzione de L’AJA per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale.

            La Commissione, nella perfetta legalità della sua composizione, dettata dalla legge, dove non c’è mai stato nessun membro in situazione di conflitto d’interesse, deve assumere decisioni d’indirizzo politico e di cooperazione internazionale, deliberare l’autorizzazione o la revoca degli enti autorizzati, vigilare sugli stessi con l’ausilio anche di altri organi dello Stato, assumere decisioni complesse o ratificare provvedimenti monocratici in tema di adozioni, promuovere ogni possibile misura di sostegno ed ascolto delle famiglie che intraprendono il percorso adottivo.

            E’ pertanto assolutamente falso che della Commissione abbiano fatto parte membri che non dovevano invece partecipare ai lavori.

            Non posso rispondere della gestione dei Ministri Andrea Riccardi e Cecile Kyenge, miei successori alla Presidenza della Commissione, ma per quanto riguarda  la mia gestione posso garantire assieme alla vice presidente d.ssa Daniela Bacchetta (magistrato di cassazione con esperienza nel settore minorile) e al Direttore Generale d.ssa Maria Teresa Vinci, che i fondi destinati per legge al parziale rimborso delle spese per adozione (con esclusione della quota parte detraibile) sono stati integralmente versati alle famiglie adottive con reddito più basso, in tempi congrui, con criteri trasparenti ed informatizzati, in coordinamento con il Ministero dell’Economia,  come previsto dalla legge; analogamente è stato fatto per i fondi destinati al funzionamento dell’Autorità centrale, utilizzati quasi integralmente per promuovere accordi ed intese internazionali ed interventi di sussidiarietà,  rigorosamente esaminati in sede collegiale e sottoposti al controllo della Corte dei Conti: non vi è stato pertanto alcun uso scriteriato dei  fondi medesimi”.

            Ai. Bi  .           8 aprile 2016

www.aibi.it/ita/sen-giovanardi-idea-da-ex-presidente-della-cai-ecco-la-verita-su-accuse-di-della-monica

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ASSEGNO DIVORZILE

               Cassazione: va mantenuta l’ex che trova lavoro se l’occupazione non è adeguata.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 6433, 4 aprile 2016.

La retribuzione percepita infatti non consente alla donna di conservare lo stile di vita goduto durante il matrimonio. Va confermato il diritto all’assegno di mantenimento se l’ex trova lavoro ma percepisce un reddito basso che non le consente di conservare il tenore di vita goduto durante il rapporto matrimoniale. A stabilirlo è la Cassazione, con l’ordinanza allegata rigettando il ricorso di un uomo che contestava la conferma da parte del giudice d’appello dell’onere di corrispondere l’assegno alla ex moglie.

L’uomo denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della legge n. 898/1970 poiché, ai fini del riconoscimento e della determinazione dell’assegno, la sentenza impugnata non aveva tenuto conto della capacità lavorativa della ex moglie, comprovata dalla giovane età e dalla titolarità di un impiego retribuito, né della sua possibilità di aspirare ad un’occupazione più adeguata alle sue esigenze economiche, trascurando inoltre la breve durata del rapporto coniugale, che aveva impedito la maturazione di aspettative in ordine al mantenimento di un elevato standard di vita. Ma per gli Ermellini la sentenza è corretta essendosi il giudice di merito semplicemente attenuto all’orientamento consolidato della giurisprudenza che, ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno, “nell’ambito del relativo accertamento distingue due fasi, la prima diretta a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, e la seconda volta alla determinazione in concreto dell’assegno, sulla base delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, da valutarsi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

Nulla da eccepire, inoltre, circa la valutazione dell’adeguatezza delle risorse economiche a disposizione della donna: la corte di merito infatti, secondo piazza Cavour, non ha affatto omesso di conferire rilievo alla capacità lavorativa della stessa, avendo dato atto che a seguito della separazione la donna aveva trovato un lavoro come dipendente, ma avendo anche accertato che la relativa retribuzione non le consentiva “di mantenere un tenore di vita comparabile a quello goduto nel corso della convivenza”, né peraltro che la stessa, in conseguenza dell’età e della crisi economica poteva essere in grado di trovare un’occupazione più adeguata.

Ciò in piena conformità al principio più volte ribadito dalla S.C. secondo cui “la mera attitudine al lavoro del coniuge che richiede l’assegno non è sufficiente, se valutata in modo ipotetico ed astratto, a dimostrare il possesso di un’effettiva capacità reddituale, dovendosi tener conto delle concrete prospettive occupazionali connesse a fattori di carattere individuale ed alla situazione ambientale, nonché delle reali opportunità offerte dalla congiuntura economico-sociale in atto” (cfr., tra le altre, Cass. n. 21670/2015).

Né, infine, può trovare accoglimento la doglianza relativa alla breve durata del matrimonio, giacché la funzione eminentemente assistenziale dell’assegno, volto a tutelare il coniuge economicamente più debole, hanno chiosato i giudici, “esclude la possibilità di negarne l’attribuzione in virtù della breve durata della convivenza, la quale può venire in considerazione, in concorso con altri elementi, esclusivamente ai fini della commisurazione del relativo importo”. Da qui il rigetto in toto del ricorso oltre alla condanna alle spese.

Marina Crisafi – newsletter StudioCataldi.it           7 aprile 2016

www.studiocataldi.it/articoli/21637-cassazione-va-mantenuta-l-ex-che-trova-lavoro-se-l-occupazione-non-e-adeguata.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA – CISF

Newsletter CISF n. 6, 6 aprile 2016

  • Da oggi è possibile iscriversi alla 63ma Conferenza Internazionale ICCFR “Famiglie forti, Comunità forti. Sostenere le relazioni familiari per generare bene comune” (Trento, 17-19 giugno 2016). Un’occasione unica di confronto internazionale sul valore della famiglia e delle relazioni familiari per costruire una società più solidale e più umana.
  • I giovani badanti. È stato stimato che in Italia 169mila ragazzi tra i 15 e i 24 anni si prendono regolarmente cura di adulti o anziani malati, disabili, fragili. Sono i figli, o i fratelli, o i nipoti di persone ammalate, disabili o comunque fragili.
  • Il blocco delle adozioni internazionali: accorata lettera delle associazioni a Renzi
  • Famiglie, anziani e povertà: qualche sorpresa dai dati ISTAT
  • Funeral poverty: una originale indagine in Gran Bretagna, su rischio povertà connesso alle spese per i funerali. Tema strettamente collegato a tematiche squisitamente familiari come il lutto, le tradizioni culturali,la ritualità, i costi
  • Save the date

v  Nord – Centro di Ateneo di Studi e Ricerche sulla Famiglia, Università Cattolica, Milano. I fallimenti nell’adozione. Risultati di ricerca e indicazioni per la prevenzione. Seminario internazionale, Giovedì 12 maggio ore 14.00-17.00, Università Cattolica, Via Nirone, 15 Milano

v  Nord – CNCA, La continuità degli affetti. La legge 175/2015, Bologna, 15 aprile 2016

v  Sud – Famiglie in difficoltà: uno sguardo misericordioso. Ciclo formativo promosso da CFC/Ucipem Puglia, aprile – giugno 2016 (Bari, Foggia, Lecce, Taranto)

v  Estero – Relazioni familiari in cambiamento – Genere e Generazioni (Changing Family Relations – Gender and Generations) VIII Congresso ESFR (European Society on Family Relations), Dortmund (D), 31 agosto – 3 settembre 2016

www.stpauls.it/newsletter/cisf/2016/aprile/06/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Alla scoperta di Amoris Laetitia (/1) Il “bene possibile” e le secche della legge universale e astratta

            Vorrei dedicare una serie di interventi ad una progressiva scoperta di aspetti rilevanti della nuova Esortazione Apostolica Postsinodale. Saranno sempre intitolati “Alla scoperta di Amoris Laetitia” e un numero progressivo permetterà di distinguerli. Spero possano aiutare ad una migliore intelligenza delle intenzioni e delle conseguenze di questo testo magisteriale.                                    Andrea Grillo

La novità di AL non deve essere cercata soltanto nel capitolo VIII, come tende a fare la maggioranza dei commentatori. Questa concentrazione sulla “irregolarità” ha le sue brave giustificazioni, ma è anche causa di un grave fraintendimento, che tende ad unire, indifferentemente, letture chiuse e letture aperte, conservatori e progressisti. I quali hanno in comune di dare per scontato un “orizzonte normativo” e di scegliere semplicemente se modificarlo con norme nuove oppure se lasciarlo identico a prima. Ma condividono l’orizzonte. Mentre a me pare che AL voglia lavorare ad una riforma proprio dell’orizzonte normativo, ossia voglia cambiare la pretesa che siano “norme generali e astratte” a modificare la prassi ecclesiale. Vediamo meglio questa premessa

  1. Da Arcanum Divinae Sapientiae (1880) a Familiaris Consortio (1981). Per comprendere adeguatamente questo passaggio delicato occorre fare più di un passo indietro. Occorre risalire all’origine di questa “pretesa normativa”, che io collocherei nel contesto “caldo” del sorgere dello Stato liberale, durante il XIX secolo, con la sua nuova produzione normativa. Di fronte ai “nuovi codici” la Chiesa reagisce con durezza e con una contrapposizione che non abbiamo dimenticato. Si sente “usurpata” di una autorità che non riesce a riconoscere ad altri che a sé. E qui si trova, probabilmente, una delle radici più insidiose della sua “autoreferenzialità”. Nel contesto del discorso “sul matrimonio” questa reazione si precisa nel 1880, con l’Enciclica Arcanum Divinae Sapientiae, di Leone XIII, in cui il Magistero papale pretende per sé l’esclusiva di produzione normativa a proposito del matrimonio, contestando radicalmente quella degli stati liberali. Da lì inizia, in modo ufficiale, questo incrocio complesso e delicatissimo tra “tema matrimoniale” e “tema istituzionale”. La difesa del matrimonio sacramentale si identifica, pericolosamente, con la difesa del potere normativo della Chiesa. E la rivendicazione del “piano naturale” corrisponde troppo facilmente alla esclusione della competenza altrui. A partire da quel testo, del 1880, per arrivare a Familiaris Consortio, nel 1981, e quindi un secolo dopo, la linea fondamentale del discorso ecclesiale cattolico sul matrimonio e sulla famiglia si svolge all’interno di questo “difficile contrasto istituzionale”: la Chiesa contesta la competenza statale e tende a valorizzare la “natura” contro ogni convenzione diversa da essa. Questa impostazione è profonda e trova ancora una certa presenza anche nel testo di AL: il discorso sulla “famiglia naturale” risente di questa lunga e ripetuta tradizione, che tuttavia, nella sensibilità maturata da papa Francesco, – lontano dall’Europa – subisce una declinazione nuova. Essa appare, chiaramente, in tutti quei passi in cui il testo di AL esplicitamente rinuncia ad una concezione “assolutamente normativa” del matrimonio. Qui voglio spiegarmi bene: questo non significa affatto una perdita del senso e del valore della dimensione legale, giuridica e normativa della vita e in particolare della vita coniugale e familiare, ma il superamento di quella impostazione che, dal 1880, attraverso il Codice del 1917, ha permeato profondamente tutta la cultura matrimoniale cattolica, facendone, in primis, una questione di “ordinamento giuridico alternativo”. Questo punto appare profondamente mutato. Vediamone in dettaglio alcuni aspetti.
  2. La “messa in relazione” della norma generale in Amoris Laetitia. Nessuno avrebbe mai potuto dire a livello magisteriale, fino a qualche anno fa, che “i dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche” (AL, 2). Il sospetto verso le “normative generali” – e verso le teologie che le alimentano e le amplificano – viene da uno “sguardo diverso” e da una considerazione “non normativistica” della tradizione. Più avanti, citando la Relatio Synodi, si afferma che “non si tratta soltanto di presentare una normativa, ma di proporre valori, rispondendo al bisogno di essi che si constata oggi, anche nei paesi più secolarizzati” (AL, 201). Questo orizzonte porta a determinare la “differenza” tra normativa canonica generale e discernimento pastorale: “è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari” (AL 300). Questa affermazione potrebbe essere letta in “modo minore”, ma va invece considerata una affermazione strutturale e paradigmatica: essa descrive un “approccio diverso alla questione matrimonio/famiglia”. Al numero successivo, infatti, si precisa che: “La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale” (AL 301). Questa formulazione fa saltare l’automatismo oggettivo tra “situazione irregolare” e “peccato mortale”. In qualche modo non identifica più – in generale – il “divorziato risposato” con l’”adultero”. Questo, tuttavia, corrisponde ad un “principio generale” che viene espresso così: “È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano” (AL 304). Di qui, per mediazione di alcune puntuali citazioni dalla I-II della Summa Theologica di S. Tommaso, si giunge alla conclusione per cui: “È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione” (AL, 304) Qui viene chiarita la necessità del diritto canonico e della dottrina dogmatica sul matrimonio, ma anche la loro insufficienza al discernimento concreto delle singole situazioni. In questo passaggio, delicato e potente, si formula un nuovo equilibrio e una nuova prospettiva ecclesiale, che riguarda non la “patologia”, ma la “fisiologia matrimoniale”. Lo schema, che viene messo alla prova soprattutto come “rimedio alle patologie”, assume il suo ruolo portante – e nuovo – come comprensione della “fisiologia matrimoniale”, sottratta ad una comprensione normativistica, formalistica e istituzionalistica.
  3. Continuità più facile con S. Tommaso che con S. Giovanni Paolo. Alla luce di quanto detto fin qui, non stupisce, quindi, che si possa rilevare come AL si collochi in continuità con un concetto di “discernimento” (e di male minore/bene possibile) tipico della stagione scolastica, ma poi, gradualmente superato in una prospettiva moderna, più pedagogico-istituzionale. Ciò che, tuttavia, dobbiamo notare è questo: la pretesa di una “norma generale oggettiva” – che superi ogni soggettività – è una tipica esigenza tardo-moderna, che la legislazione liberale ha introdotto nella sensibilità e che il Codice del 1917 ha introdotto nella Chiesa. Alla luce di questa sensibilità noi abbiamo potuto identificare la “fedeltà alla tradizione” con la obbedienza ad una “norma generale e astratta”. Abbiamo tradotto i “principi” in “norme universali”. Ma questo è un procedimento che “perde il rapporto con la realtà”, tanto con quella del Vangelo quanto con quella degli uomini. Da questo punto di vista FC, che pure aveva compiuto passi importanti di avanzamento rispetto alla disciplina precedente, restava ancora totalmente inserita nella prospettiva di Arcanum Divinae Sapientiae e del Codex 1917: poteva identificare la identità tradizionale solo nella obbedienza ad una norma oggettiva, anche se poteva già permettersi di parlare di “comunione ecclesiale”, conservando però una “scomunica sacramentale”. Come è giusto riconoscere, è stata FC ad aprire una “falla” nel sistema impostato con il Codex 1917. La assoluta identificazione tra contratto e sacramento, pretesa dal Codice, rende letteralmente “incomprensibile” il testo di S. Giovanni Paolo. Come può esserci una “comunione ecclesiale” per chi non gode della “comunione sacramentale”? Quella “falla” – benedetta – ha permesso alla realtà di irrompere nuovamente nel discorso teologico e magisteriale. Ma la “condizione” di questa possibilità è il “disinserimento” di una analogia, che la storia europea ha imposto al nostro linguaggio ecclesiale: è la analogia tra “oggettività della norma” e “perdita di autorità dell’uomo”. In un modello del genere, interpretato dalla sensibilità normativistica tardo-moderna, in buona fede si può credere che la Rivelazione sia “norma oggettiva” e che quindi solo “escludendo le eccezioni” io posso “vivere la fedeltà al vangelo”. Solo “norme oggettive” – e senza eccezioni – mi tengono in rapporto con Cristo e con i suoi comandamenti. Ma i passaggi delicatissimi tra parola, comandamento, legge e norma vengono totalmente scavalcati e si arriva a pretendere che la “parola del Signore” sia immediatamente applicabile come se fosse la norma di un codice. Questo fondamentalismo normativo e dogmatico è una caratteristica della teologia matrimoniale a partire dal 1880, ma non di quella scolastica o di quella tridentina. Per questo è molto facile per AL essere in continuità forte con S. Tommaso, mentre è più difficile conservare l’impianto “normativo” di S. Giovanni Paolo. Con il quale la continuità si manifesta bene sul piano della “istanza ecclesiale di comunione”, ma non su quello dei mezzi per raggiungerla e per conservarla. La soluzione moderna evitava il “doppio registro” tra universale e particolare – con una virata massimalista – ma produceva di fatto doppie identità; la soluzione pastorale di AL esplicita apertamente il doppio registro – generale e particolare – mirando a produrre una comunione effettiva e non formale. Accettare di volta in volta il “bene possibile” diventa occasione per vivere la tensione al “bene massimo” come esperienza di integrazione e non di esclusione.
  4. La teologia da scrivania, la teologia al balcone e la teologia di strada. Papa Francesco è consapevole che la sua operazione ermeneutica certamente presuppone, ma anche sollecita diffusamente, una nuova stagione di riflessione teologica, coraggiosa e fedele. Con una fedeltà diversa dall’irrigidimento su posizioni astratte e generali, che non riescono a mediare la realtà del Vangelo e della esperienza umana. Di qui alcune belle immagini, che Francesco ci ha regalato in questi tre anni. Una viene direttamente da questo ultimo testo: “L’insegnamento della teologia morale non dovrebbe tralasciare di fare proprie queste considerazioni, perché seppure è vero che bisogna curare l’integralità dell’insegnamento morale della Chiesa, si deve sempre porre speciale attenzione nel mettere in evidenza e incoraggiare i valori più alti e centrali del Vangelo, particolarmente il primato della carità come risposta all’iniziativa gratuita dell’?amore di Dio” (AL 311) e quindi “ questo ci fornisce un quadro e un clima che ci impedisce di sviluppare una morale fredda da scrivania nel trattare i temi più delicati e ci colloca piuttosto nel contesto di un discernimento pastorale carico di amore misericordioso, che si dispone sempre a comprendere, a perdonare, ad accompagnare, a sperare, e soprattutto a integrare” (AL 312). Ad una “teologia da scrivania” non bisogna nemmeno sostituire una “teologia al balcone”, che non si lascia contagiare dalla storia e dalla realtà, ma che resta astratta e asettica. Solo una “teologia di strada” svolge bene il suo servizio. Dove “di strada” non significa affatto meno attrezzata, meno critica, meno elaborata, ma più sensibile al reale effettivo, meno inclina all’autocompiacimento. In un bel testo dell’anno scorso J-P Vesco [domenicano, vescovo di Orano, Algeria]diceva, a proposito delle responsabilità dei vescovi in materia matrimoniale: “Dovremo un domani chiedere scusa per le sofferenze che abbiamo inflitto alle persone, oltre a quelle che già vivevano”. Ho l’impressione che anche noi teologi dovremo fare altrettanto: il nostro errore di metodo è diventato, non raramente, sofferenza inflitta, indifferenza contagiata o parola inascoltata. Discernimento, accompagnamento e integrazione sono compiti non solo del pastore, ma anche del teologo. E lo sono non anzitutto per “rimediare ai mali”, ma per “ragionar d’amore” e per “intendere il bene”.

Andrea Grillo            “Come se non”                                  10 aprile 2016

www.cittadellaeditrice.com/munera/alla-scoperta-di-amoris-laetitia-1-il-bene-possibile-e-le-secche-della-legge-universale-e-astratta

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CINQUE PER MILLE

5 per mille, dove sono gli elenchi del 2014?

Ci risiamo. Anche quest’anno non si conoscono ancora gli elenchi con gli importi definitivi destinati alle organizzazioni beneficiarie del 5 per mille di due anni fa. Eppure il fisco li conosce da oltre un anno, e in passato le liste erano state rese note anche a febbraio. Perché bisogna alzare la voce per ottenere un diritto?

            Burocrazia. Il 5 per mille è diventato finalmente legge dello Stato, eppure c’è qualcosa che resiste al nuovo corso: i ritardi nella pubblicazione degli elenchi con gli importi destinati a ciascuna organizzazione. Un ritardo che purtroppo è cresciuto negli ultimi anni: se infatti le liste relative al 2008 vennero rese note il 18 marzo e quelle del 2009 addirittura il 28 febbraio, nel 2014 i dati del 2012 furono resi noti il 9 aprile, e l’anno scorso si rese necessaria una grande mobilitazione sul web, contrassegnata dall’hashtag #fuorileliste, per arrivare finalmente alla pubblicazione dei dati il 14 maggio.

            E visto il silenzio del 2016, sembra che la campagna non abbia insegnato niente all’amministrazione finanziaria che, come sottolinea il consulente esperto di non profit Carlo Mazzini, «conosce bene questi dati da tempo». «Continuiamo a chiederci», prosegue Mazzini, «come mai i partiti politici sappiano persino prima della chiusura delle scadenze fiscali il numero e gli importi (parziali) del 2 per mille, numeri confermati e resi concreti, col saldo da parte della Ragioneria dello stato, entro l’anno di dichiarazione dei redditi, e invece il non profit debba passare un anno sabbatico (quello successivo a quello di dichiarazione) e in più ulteriori quattro-cinque mesi, per sapere ciò che da più di un anno l’amministrazione finanziaria conosce ampiamente».

            E a confermare ulteriormente il fatto che l’Agenza delle Entrate debba fare probabilmente solo un clic per mettere online le liste, basti aggiungere il fatto che l’anno scorso la campagna #fuorileliste venne lanciata appena un paio di giorni prima della pubblicazione degli elenchi. «Perché, per ottenere un diritto, bisogna far così tanto rumore?», si era giustamente chiesto allora Edoardo Patriarca, presidente Centro Nazionale del Volontariato e deputato Pd. «La pubblica amministrazione non si rende conto che le organizzazioni hanno bisogno di queste cifre per realizzare ciò che – spesso – la stessa pubblica amministrazione dovrebbe fare. E che ottenere in ritardo queste somme equivale a far saltare progetti importanti per la collettività», conclude Mazzini. «Questo ritardo testimonia il fatto che evidentemente non siamo ancora al nuovo corso, al new deal sognato da molti e promesso da altrettanti. Ancora una volta diamo ragione alle leggi di Murphy, ad una in particolare che sentenziava: se hai un problema che deve essere risolto da una burocrazia, ti conviene cambiare problema».

Gabriella Meroni       vita.it  5 aprile 2016

                          www.vita.it/it/article/2016/04/05/5-per-mille-dove-sono-gli-elenchi-del-2014/138900

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COMMISSIONE INTERNAZIONALE per le RELAZIONI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA

International Commission on Couple and Family Relations

63a CONFERENZA INTERNAZIONALE ICCFR – Trento, 17, 18 e 19 giugno 2016

Famiglie forti, comunità forti. Sostenere le relazioni familiari per generare bene comune

Venerdì 17 giugno 2016 Castello del Buonconsiglio – Trento

16.00 – 17.00: Registrazione dei partecipanti

17.00 – 19.00: Saluto delle autorità e avvio dei lavori

Ugo Rossi, Presidente della provincia Autonoma di Trento

Mons. Lauro Tisi, Vescovo della diocesi di Trento

Anne Berger, Presidente ICCFR

Rita Roberto, Presidente Aiccef

Francesco Belletti, direttore Cisf

Gianluigi De Palo, Presidente del Forum delle associazioni familiari

19.00 – 22.00: Visita guidata al Castello e cena inaugurale, offerta dall’Ente Castello del Buonconsiglio

Sabato 18 giugno 2016 Sala della Cooperazione trentina

8.30 – 9.00: Registrazione dei partecipanti

9.00 – 10.30: prima sessione – area socio-culturale

La famiglia come sorgente di beni (e mali) relazionali per se stessa e per la comunità

Pierpaolo Donati, Professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, Università di Bologna

Introduce e coordina: Rita Roberto

11.00 – 12.30: seconda sessione: area giuridico istituzionale

Sostenere le relazioni familiari per la cittadinanza attiva

Carlo Rimini, Professore di Dritto Privato, Università di Pavia

Introduce e coordina: Anne Berger

13.30 – 14.00: Trasferimento alle sale per gruppi di discussione/seminari di approfondimento

16.00 – 18.30: Seminari di approfondimento su

  • Benessere familiare, capitale sociale e sviluppo locale. Quale relazione (IT)
  • Il ruolo dei consultori nello sviluppo dell’empowerment familiare (IT)

Francesco Lanatà, Ginecologo, specialista in sessuologia clinica, La Spezia; Presidente dell’ UCIPEM, Unione dei Consultori Prematrimoniali e Matrimoniali

Domenico Simeone, Ordinario di Pedagogia della famiglia, Università Cattolica di Milano; Presidente della Confederazione Italiana dei consultori familiari d’ispirazione cristiana

  • Happy Hour: un progetto di consulenza di coppia per il personale delle cliniche prenatali in Finlandia
  • Affrontare simultaneamente il Trauma e la Vergogna (EN)
  • Di quali politiche familiari ha bisogno l’Europa? (EN)
  • Associazionismo familiare e family enrichment: come le famiglie generano capitale sociale (IT)

18.30 – 19.00: Trasferimento e visita guidata al Museo delle Scienze di Trento (MUSE)

Domenica 19 giugno 2016 Sala della cooperazione trentina

9.00 – 10.30: terza sessione: area psico relazionale

Relazioni di aiuto e protagonismo delle famiglie

Sabine Walper, Professore di Pedagogia, Istituto Tedesco della Gioventù (DJI), Monaco

Introduce e coordina: Francesco Belletti

10.30 – 11.00: Trasferimento alle sale per gruppi di discussione/seminari di approfondimento su:

  • Il “Servicestelle Netzwerk Familie stärken”: un punto di servizi centralizzati per le istituzioni che sostengono la famiglia (Renania-Palatinato, Germania) (EN)
  • Le politiche di conciliazione famiglia-lavoro (IT)
  • Lo sviluppo degli Studi sulla Famiglia come disciplina a livello internazionale: la creazione di un corso di laurea in studi internazionali sulla famiglia (EN
  • Riflessioni sull’attuale de- e ri-costruzione della famiglia (EN)
  • Da famiglia a famiglia: l’incontro tra diverse culture. L’accoglienza familiare di rifugiati e delle loro famiglie (IT)
  • La consulenza coniugale e familiare come accompagnamento, sostegno e orientamento nell’intero ciclo di vita della coppia e della famiglia (IT)

Rita Roberto, educatrice, consulente coniugale e familiare, President AICCeF (Associazione italiana consulenti coniugali e familiari

Raffaello Rossi: insegnante, consulente coniugale e familiare, Vice-President AICCeF, direttore della Scuola di formazione in consulenza coniugale e familiare, Bologna

14.30 – 16.30: “Il Labirinto Mandala”

Chiusura del convegno e saluti attraverso una sessione interattiva dinamica. Offerto da Aiccef

Informazioni ulteriori, iscrizioni

http://iccfr.net/conference-2016-trento-italy/programma-it

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Protocollo d’intesa tra la Polizia di Stato e la Commissione per le Adozioni Internazionali

            Questa mattina, 7 aprile 2016, presso il Dipartimento di P.S. del Ministero dell’Interno, Il Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza Prefetto Alessandro Pansa ed il Presidente della Commissione per la Adozioni Internazionali Cons. Silvia Della Monica hanno siglato un protocollo d’intesa relativo ai rapporti di collaborazione tra la Polizia di Stato e la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissione Adozioni Internazionali al fine di rendere più efficace l’azione di tutela e garanzia nelle adozioni internazionali.

            La Polizia di Stato supporterà la Commissione nello svolgimento delle attività di controllo nei confronti degli enti autorizzati a curare le procedure di adozione, qualora si renda necessario, attiverà i collaterali organi di polizia a livello internazionale per il tramite della Direzione Centrale della Polizia Criminale e, infine, sosterrà l’attività della Commissione anche con studi e ricerche e attività formative in ambito nazionale e  internazionale.

            L’intesa mira a potenziare le attività necessarie per proteggere il minore da violazioni circa la sua identità, a prevenire e contrastare qualsiasi attività di lucro, traffico, abuso ai danni di minori, anche se realizzate con strumenti informatici, nell’ambito delle adozioni internazionali.

            L’obiettivo è quindi quello di assicurare la piena attuazione della tutela dei diritti fondamentali e degli interessi dei minori coinvolti nelle procedure adottive.

                        Comunicato stampa   7 aprile 2016.

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2016/protocollo-polizia-di-stato.aspx

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

            Messina. Coordinamento interistituzionale di tutela sociale-giuridica di donne e minori abusati

L’obiettivo del Progetto è sviluppare un coordinamento interistituzionale tra servizi territoriali pubblici e privati, Istituzioni e terzo settore per attivare percorsi di tutela sociale e giuridica delle donne e dei minori abusati in un’ottica di Rete. Si è prevista l’istituzione di un Portale e di una Banca Dati Informatizzata ai quali afferiranno tutti i dati su donne e minori vittime di violenza intra ed extra familiare, inviati da ciascun membro della rete. Il Portale, inoltre, avrà lo scopo di fornire informazioni sulla rete dei servizi attiva e sulle attività svolte.

            Il consultorio familiare aderisce alla Rete con altri Partner

www.reteantiviolenzamessina.it

Pescara. Progetto nascere

Ogni stagione della vita è contrassegnata dalle aspirazioni individuali e dalla necessità di stabilire una fertile relazione con gli altri, da intime angosce e dall’ opportunità di lasciare un segno forte e positivo sul mondo e sulla propria esistenza. La gravidanza è un processo dinamico in cui la donna vive una vera e propria crisi d’identità che lascerà un segno indelebile in tutto il suo essere; in cui realizza di aver intrapreso un percorso a senso unico, ma ha tutto il tempo per potersi adattare, superare le paure e prepararsi ad affrontare le nuove responsabilità. La gravidanza è un processo fisico ed emotivo che costituisce la vera preparazione al parto.

Il progetto è rivolto a donne in gravidanza (terzo trimestre) e/o coppie che desiderano conoscere meglio il periodo dell’attesa e della nascita e che desiderano viverlo in modo attivo.

La finalità è di fornire stimoli e strumenti per riflettere sul senso dell’attesa, affrontare e vivere meglio questo tempo di cambiamenti e creare uno spazio di condivisione e di esperienza.

Il percorso vuole offrire:

  • una maggiore conoscenza e consapevolezza dell’aspetto fisiologico nel periodo di attesa
  • un’occasione di incontro per le mamme e i papà, per approfondire alcuni temi e mettere a confronto la propria esperienza e il proprio vissuto
  • la possibilità di esprimere liberamente preoccupazioni e aspettative
  • uno stimolo per sviluppare maggiore fiducia in se stessi

Il percorso è a cadenza settimanale, con incontri della durata di 2 ore ciascuno. Si consiglia un abbigliamento comodo.

  1. “Come mi vedo?” Cambiamenti nella donna durante la gravidanza
  2. “Cosa succede?” Riconoscere le fasi del travaglio
  3. “Ce la posso fare!” Il parto attivo
  4. “Nutrimento e tenerezza per crescere” Allattamento, coccole e carezze
  5. “Cosa e come lo posso fare?” Le prime cure del bambino, gestione dei vari momenti della giornata
  6. “Spazio alla fantasia e alle emozioni”

Il progetto prevede anche attività da proporre a conclusione del percorso, quali massaggio neonatale.

Sarà condotto dall’ostetrica Dott.ssa Silvia Acciavatti dalla psicologa Dott.ssa Marialetizia Scannella mercoledì 6 aprile, 13 aprile 2016; venerdì 22 aprile, mercoledì 27 aprile, venerdì 6 maggio, mercoledì 11 maggio 2016.                                                                               www.ucipempescara.org/progetto-nascere

Gruppi di Parola per figli di genitori separati/divorziati in età della latenza (6 – 12 anni)

Un “Gruppo di Parola” è un luogo per lo scambio di esperienze e di sostegno tra bambini dai 6 ai 12 anni i cui genitori sono separati o divorziati. I bambini sono coinvolti nella separazione dei loro genitori, o nella complessità di famiglie ricostituite: non sanno bene come esprimere la rabbia, la tristezza, i dubbi, le speranze, le difficoltà che incontrano per la separazione di papà e mamma. A volte non sanno con chi parlarne.

            Partecipare al “Gruppo di Parola” permette loro di:

  • Esprimere ciò che vivono attraverso la parola, il disegno, i giochi di ruolo, la scrittura;
  • Avere delle informazioni, porre delle domande;
  • Mettere parola su sentimenti, inquietudini, paure;
  • Uscire dall’isolamento e trovare una rete di scambio e di sostegno tra pari;
  • Scoprire modi per dialogare con i genitori e per vivere la riorganizzazione familiare;

Affrontare tutto questo in un ambiente accogliente, per un tempo limitato, con il consenso dei due genitori e con l’aiuto di professionisti esperti nell’ascolto di bambini che vivono in famiglie separate. Attraverso la parola, il gioco, il disegno, la scrittura, le storie, il gioco di ruolo i bambini possono confrontarsi, in un contesto sicuro ed accogliente, sulle proprie paure e condividere le proprie strategie imparando poi ad attingere a questa esperienza nei momenti di bisogno. Nel gruppo, i bambini possono sentirsi liberi di parlare ed esprimersi, oppure di rimanere in silenzio, ascoltando le proprie emozioni e quelle degli altri, e ponendosi interrogativi importanti su di sé e sulla propria famiglia. Il gruppo protegge e rassicura i bambini, e permette di metter parola su temi “indicibili”, e di costruire una nuova fiducia e una nuova continuità nei legami. La ricerca ha dimostrato che partecipare ai Gruppi di Parola incrementa l’autostima e l’autoefficacia, libera dai sensi di colpa, contiene l’ansia e riduce il disagio dei bambini.

            Partecipanti: bambini dai 6 ai 12 anni in età della latenza; per un minimo di 4 ad un massimo di 8 partecipanti per ogni ciclo di gruppo. Il Percorso prevede sei incontri ad aprile/maggio 2016

  • Il primo incontro di un ora solo con i genitori destinato all’introduzione e alla chiarificazione delle dinamiche del laboratorio.
  • Tre incontri con i bambini di due ore ciascuno intervallati dalla “merenda”;
  • Quinto incontro diviso in due momenti: la prima parte di un’ora con i bambini, la seconda di un’ora anche con i papà e le mamme, per uno scambio tra genitori e figli.
  • Il sesto incontro prevede un colloquio finale di trenta minuti in cui le conduttrici incontreranno il singolo genitore/coppia genitoriale per chiarire quanto emerso nel gruppo di parola. La prenotazione a quest’ultimo incontro andrà concordato con la segreteria percorsi.

Le conduttrici sono la dr.ssa Simona Foschini, consulente psicopedagogista, mediatrice familiare e formatrice e la dr.ssa Luisa Palmerio, psicologa e psicoterapeuta, entrambe specializzate e diplomate presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma in Conduzione di Gruppi di Parola.

www.ucipempescara.org/percorsi/gruppi-di-parola-per-figli-di-genitori-separati-1

Taranto. 9ª Giornata di Studio per la Consulenza Familiare

Domenica 17 aprile 2016 si terrà la 9ª Giornata di Studio con laboratori esperienziali su “Le Dipendenze: dalle sostanze ai comportamenti – l’aiuto del Consulente Familiare”, con relatrice la dott.ssa Margherita Taddeo – psicologa e psicoterapeuta (Dirigente Asl/TA)

                        Testi relativi ai consultori familiari presenti su AMAZON

www.amazon.it/s/?ie=UTF8&keywords=consultorio+familiare&tag=slhyin-21&index=aps&hvadid=83672579783&ref=pd_sl_7olp3g6l7x_b

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CORTE COSTITUZIONALE

Sulla stepchild adoption la Consulta passa la mano

Sentenza n. 76, 7 aprile 2016

Norme impugnate: Artt. 35 e 36 della legge n. 184, 04 maggio 1983

Oggetto: Adozione e affidamento – Riconoscimento in Italia della sentenza straniera che ha pronunciato l’adozione del minore in favore del coniuge del genitore – Fattispecie relativa a unione omogenitoriale fra adottante e genitore biologico confluita in matrimonio same-sex celebrato all’estero – Possibilità per il giudice di valutare, nel caso concreto, se il riconoscimento risponda all’interesse del minore, “a prescindere dal fatto che il matrimonio [non] abbia prodotto effetti in Italia (come per la fattispecie del matrimonio tra persone dello stesso sesso)”.

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2016&numero=76

Inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale per i minorenni di Bologna sul “paletto” posto dalla legge 184 del 1983 al riconoscimento dell’adozione pronunciato all’estero in favore del coniuge del genitore. La Consulta ha depositato le motivazioni della sentenza n. 76 sulla stepchild adoption, il cui esito era già stato reso noto con un comunicato il 24 marzo2016.

I giudici emiliani erano stati chiamati a riconoscere in Italia la sentenza con cui negli Stati Uniti, era stata disposta l’adozione del figlio della compagna in una coppia dello stesso sesso. Nel mirino del Tribunale erano finiti gli articoli 35 e 36 della legge 184 del 1983 (Diritto del minore ad una famiglia) per la parte in cui, come interpretati dal diritto vivente, non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore adottato all’estero il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato l’adozione in favore del genitore a prescindere dal fatto che il matrimonio abbia prodotto effetti in Italia. Il giudice remittente ricorda che l’articolo 41 della legge 218/1995 dà il via libera al riconoscimento dei provvedimenti di adozione in Italia con il limite della contrarietà all’ordine pubblico e al diritto di famiglia fissato proprio dalle norme la cui costituzionalità era dubbia. Inutilmente il giudice di Bologna invoca la giurisprudenza della Cedu e della stessa Consulta perché a essere fuori fuoco non sono gli argomenti ma il contesto normativo.

Il caso da cui ha avuto origine il giudizio di costituzionalità non è, infatti, riconducibile all’articolo 36, comma 4 della legge 184/1983. Il Tribunale aveva ritenuto determinante il fatto che la ricorrente fosse, al momento del ricorso, cittadina italiana. Senza considerare che al tempo dell’adozione era solo cittadina americana e che l’adozione pronunciata negli Stati uniti riguardava una bambina di cittadinanza americana. Sbagliato il riferimento a una norma volta a impedire l’elusione, da parte dei soli cittadini italiani, della disciplina nazionale sull’adozione di minori in stato di abbandono, attraverso un fittizio trasferimento di residenza all’estero. Per questo la Consulta non esamina l’eccezione di inammissibilità dell’Avvocatura di Stato che, secondo i giudici delle leggi, aveva comunque «argomenti inconferenti rispetto alle questioni di costituzionalità sollevate».

Il realtà l’avvocatura dello Stato riteneva che il Tribunale avesse omesso la ricerca di una soluzione costituzionalmente orientata. Per conseguire comunque il risultato la “chiave” era l’articolo 44, comma 1, lettera d) della legge 184 del 1983 che apre le porte all’adozione in casi particolari. La difesa del presidente del Consiglio ricorda che sulla base di tale disposizione è stata già applicata dal Tribunale dei minorenni di Roma (sentenza 299/2014) per l’adozione da parte di una donna della figlia naturale della sua compagna e coniuge. Una via che non sarebbe ostacolata neppure dalla sentenza con la quale la Cassazione (3572/2011) aveva escluso la possibilità di trascrizione nei registri di Stato civile dell’adozione legittimante, se non per i coniugi. In quel caso non era stata, infatti, negata la possibilità di riconoscere l’adozione del singolo con effetti non legittimanti. Inoltre, secondo l’Avvocatura, la Suprema corte avrebbe ammesso anche l’adozione legittimante se in nome dell’interesse superiore del minore (sentenza 6078/2006).

Patrizia Maciocchi     il sole 24 ore   8 aprile 2016

www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2016-04-08/sulla-stepchild-adoption-consulta-passa-mano-093122.shtml?uuid=ACTT7d3C

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DALLA NAVATA

3° Domenica di Pasqua – anno C –10 aprile 2016.

Atti                 05, 32 «E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono.»

Salmo              30, 05 «Cantate inni al Signore, o suoi fedeli, della sua santità celebrate il ricordo, perché la sua collera dura un istante, la sua bontà per tutta la vita.»

Apocalisse                  05, 14 «E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.»

Giovanni           21, 19 «E, detto questo, aggiunse: “Seguimi”».

Commento di Enzo Bianchi, priore a Bose.

Quando un autore finisce un libro e scrive la conclusione, manifestando lo scopo per cui ha scritto, il libro può essere pubblicato. Se poi a questa conclusione si sente il bisogno di aggiungere un altro capitolo di narrazioni, in continuità con quelle precedenti, allora ci devono essere ragioni decisive, importanti. Questo, come è noto, è ciò che è avvenuto anche per il quarto vangelo, terminato con il capitolo 20 e poi allungato di un nuovo capitolo, il testo liturgico odierno. Perché una ripresa breve ma ricca di episodi? Difficile per noi rispondere con certezza, ma possiamo almeno fare un’ipotesi. L’autore o i redattori ritennero necessario mettere in relazione “il discepolo che Gesù amava” (cf. Gv 13,23; 19,26; 20,2; 21,7.20.23) con Simone, il discepolo al quale fin dal primo incontro Gesù aveva dato il nome di Pietro, roccia salda tra tutti gli altri (cf. Gv 1,42). In ogni caso, questa appendice è straordinaria perché non è tentata di raccontare fatti straordinari o sovrumani riguardanti Gesù risorto, ma vuole dirci solo la sua presenza discreta, elusiva, fedele e paziente in mezzo alla sua comunità.

            Questa manifestazione del Risorto avviene sulle rive del mare di Galilea, là dove secondo i sinottici era avvenuta la chiamata delle prime due coppie di fratelli: Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, pescatori uniti in una piccola impresa (cf. Mc 1,16-20 e par.). Dopo la morte e resurrezione di Gesù i discepoli sono tornati in Galilea, alla loro vita ordinaria fatta di lavoro, vita comune, vita di fede e di attesa. Ed ecco, in uno di quei giorni ordinari Pietro prende l’iniziativa, dicendo agli altri: “Io vado a pescare”. Gli altri sei ribattono: “Veniamo anche noi con te”. Questo racconto vuole dirci molto di più di ciò che è avvenuto a quei pescatori. Qui, infatti, c’è solo un pugno di discepoli – neanche undici, tanti quanti erano rimasti, e neppure le donne! – che rappresenta la comunità di Gesù; c’è Pietro che prende l’iniziativa di una pesca che non è pesca di pesci; c’è la disponibilità degli altri sei a seguirlo nella sua iniziativa.

            “Ma quella notte non presero nulla”: una pesca infruttuosa, un lavoro e una fatica senza risultati. Questo risultato fallimentare indica qualcosa? Credo di sì: ovvero, Pietro può pretendere l’iniziativa, ma senza la parola, il comando, l’indicazione del Signore, la pesca resterà sterile, la missione senza frutti. Al levare del giorno, però, ecco sulla spiaggia un uomo di cui i discepoli ignorano l’identità. D’altronde mancano le condizioni per riconoscerlo: è ancora chiaroscuro ed egli non è vicino, né ha detto nulla perché i discepoli abbiano potuto riconoscerne la voce. È lui a rompere il silenzio, raggiungendoli con una domanda: “Piccoli figli, avete qualcosa da mangiare?”. Domanda sentita tante volte, per bocca di un mendicante sulla strada o sulla porta di casa. Sì, domanda di un mendicante che chiede qualcosa da mangiare per sostenersi. I discepoli devono averla sentita spesso sulle strade della Palestina, la sentono ora nell’alba e la sentiranno sempre in tutte le vicende della storia. La loro risposta è un secco: “No”. Non c’è stata pesca, non c’è cibo.

            Ma quell’uomo continua: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. Così fanno, un po’ meravigliati, quei discepoli pescatori, e la rete si riempie di una tale quantità di pesci che è faticoso trascinarla a riva. Dunque una pesca abbondante, straordinaria, che desta stupore in tutti. Nello stupore, però, c’è chi discerne qualcosa di più e d’altro: è il discepolo che Gesù amava, il quale aveva vissuto un’intimità unica con Gesù, fino a posare il capo sul suo petto nell’ultima cena (cf. Gv 13,25). L’amore passivo di cui aveva fatto esperienza lo rendeva dioratico, uomo dall’occhio penetrante, uomo capace di vedere con il cuore e non solo con gli occhi. Ecco perché, indicando con il dito Gesù, può gridare: “È il Signore!” (ho Kýriós estin). Attenzione: lo dice a Pietro, indicando quell’uomo sulla spiaggia e rivelandogli ciò che egli non era stato in grado di vedere. Pietro non esita un istante e nel suo entusiasmo pieno di desiderio di essere con il Risorto si tuffa subito in acqua per raggiungerlo a nuoto.

Inutile tacerlo: nel quarto vangelo tra il discepolo amato e Pietro c’è una vera e propria “santa concorrenza”, non una concorrenza di gelosia, perché i due discepoli sono diversi e il loro rispettivo rapporto con Gesù è diverso. Nell’ultima cena Pietro sta dopo il discepolo amato presso Gesù e a lui, che è abbracciato a Gesù, sul suo petto, deve chiedere di informarsi su chi è il traditore (cf. Gv 13,24-25). E il discepolo amato, ricevuta da Gesù la risposta, non dice nulla a Pietro (cf. Gv 13,26). Poi nell’alba della resurrezione, informati da Maria di Magdala, Pietro e il discepolo amato corrono insieme al sepolcro, ma questi arriva primo (cf. Gv 20,3-4). Lascia entrare Pietro nel sepolcro (cf. Gv 20,5-7), ma è lui che “vide e credette” (Gv  20,8), mentre Pietro è annoverato tra quelli che “non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti” (Gv  20,9). Il discepolo amato precede Pietro nel discernimento, nella conoscenza, nella fede, e tuttavia riconosce sempre che nell’ordo della vita comunitaria Pietro è il primo per volontà di Gesù!

            Quando poi i discepoli hanno trascinato a riva la rete piena di pesci, vedono un fuoco acceso con del pesce sopra e del pane, mentre Gesù chiede loro di portare un po’ del pesce che hanno preso. In ogni caso, Gesù ha preparato per loro un pasto: anche da risorto resta colui che serve a tavola, che prepara il cibo e lo distribuisce. Pietro intanto si dà da fare per scaricare il pesce e tutto avviene senza che la rete si rompa, perché egli sa maneggiarla impedendo che avvengano strappi. È il suo lavoro di unità, di comunione: spetta a lui conservare intatta, senza strappi la tunica di Gesù tessuta dall’alto in basso (cf. Gv 19,23-24); spetta a lui fare sì che la missione non provochi lacerazioni nella comunità dei credenti. Ed ecco il banchetto: “Venite a mangiare!”, dice Gesù, e nessuno replica, perché basta guardarlo, basta sentire la sua presenza, basta vedere il suo stile nello spezzare il pane e porgere il cibo per riconoscerlo. Non si dimentichi inoltre che, quando questo capitolo viene scritto, ormai Gesù è indicato con il termine ichthús, “pesce”, anagramma di cinque parole:

Iesoûs Christòs Theoû Hyiòs Sotér, Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore.

Ed eccoci infine al racconto che è la vera motivazione dell’aggiunta di questo capitolo 21. Finito di mangiare, Gesù inizia un dialogo con Simon Pietro:……                                segue

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/10376-pietro-seguimi

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FEDELTÀ

                        L’arte erotica (e inaspettata) della fedeltà.

            Il tempo ipermoderno sputa sulla fedeltà inneggiando una libertà fatta di vuoto. Tutto ciò che ostacola il dispiegarsi della volontà di godimento del soggetto appare come un residuo moralistico destinato ad essere spazzato via da un libertinismo vacuo sempre più incapace di attribuire senso alla rinuncia. Il principio si applica tanto ai legami con le cose quanto, soprattutto, a quelli con le persone. Non è un caso che nel nostro paese la fedeltà sia stata recentemente considerata dai legislatori come una forma arcaica del legame amoroso al punto da volerla sopprimere negli articoli del Codice che normano le unioni civili e quelle matrimoniali.

Perché evocare inutilmente un fantasma anacronistico reo di aver pesato come un macigno inutile sulla libertà affettiva e sessuale delle vite umane? Meglio liberarsene come di un tabù decrepito dalle armi desolatamente spuntate, come un ferro vecchio che non serve più a niente. Oggi è il tempo del “poliamore”, della libertà senza inibizioni, della curiosità sperimentale, dell’esperienza senza vincoli, della morte dell’amore pateticamente romantico e dell’affermazione, al suo posto, dell’amore narcisistico che rende l’aspirazione degli amanti al “per sempre” una farsa o una ingenuità bigotta di qualche credulone, o, peggio ancora, una catena repressiva alla nostra libertà di amare che deve essere finalmente spezzata. Anche l’elevazione della fedeltà ad un rango superiore a quello della mera fedeltà (sessuale) dei corpi, teorizzata, non a caso, soprattutto dagli uomini, tradisce, in realtà, la stessa difficoltà a concepire un legame capace di durare nel tempo senza essere necessariamente mutilato nella spinta del desiderio. Sembra un insegnamento fatale dell’esperienza: più una relazione dura nel tempo più il desiderio erotico si infiacchisce e necessita di nuovo carburante, o, meglio, di dopamina. Le neuroscienze lo confermano senza incertezza: il cervello per mantenere animato il desiderio deve essere dopato dall’eccitazione proveniente da un nuovo oggetto. L’anima, forse, si pensa, può restare fedele, ma non lo si può chiedere al corpo la cui spinta erotica non deve conoscere vincoli.

            Il problema è che il nostro tempo non è più in grado di concepire la fedeltà come poesia ed ebbrezza, come forza che solleva, come incentivazione, potenziamento e non diminuzione del desiderio, come esperienza dell’eterno nel tempo, come ripetizione dello Stesso che rende tutto Nuovo. Il nostro tempo non sa né pensare, né vivere l’erotica del legame perché contrappone perversamente l’erotica al legame. È un assioma che deriva da una versione solo nichilistica della libertà: la libertà dell’amore – come la libertà in generale per l’uomo occidentale – deve escludere ogni forma di limite, deve porsi come assoluta. In questo senso la fedeltà diviene un tabù logoro che appartiene ad un’altra epoca e destinato ad essere sfatato. Quello che l’ideologia neo-libertina del nostro tempo però non vede è che ogni forma di disincanto tende, come spiegarono già Adorno e Horkheimer in Dialettica dell’illuminismo, a ribaltarsi nel suo contrario.

Il culto del poliamore, della libertà narcisistica, la polverizzazione dell’ideale romantico dell’amore porta davvero verso una vita più ricca, più soddisfatta, più generativa? La clinica psicoanalitica ci consiglia di essere prudenti: la ricerca affannosa del Nuovo spesso non è altro che la ripetizione monotona della stessa insoddisfazione. Il punto è che il nostro tempo rischia di smarrire ogni possibile sguardo sulla trascendenza, sull’altrove, anche di quella che si dà nell’esperienza assolutamente immanente dei corpi. Perché non esiste amore se non del corpo, del volto, della particolarità insostituibile dell’Altro. L’ideale della fedeltà può diventare – come lo è stato per diverse generazioni – una camicia di forza che sacrifica il desiderio sull’altare dell’Ideale divenendo dannosa per la vita. Quando questo accade è bene liberarsene al più presto. Ma l’esperienza della fedeltà, vissuta non in opposizione alla libertà, ma come la sua massima realizzazione, offre alla vita una possibilità di gioia e di apertura rare. Quella che scaturisce dall’esperienza di rendere sempre Nuovo lo Stesso: la ripetizione della fedeltà rivela infatti che giorno dopo giorno il volto di chi amo può essere, insieme, sempre lo Stesso e sempre Nuovo. Mentre il nostro tempo oppone lo Stesso al Nuovo, il miracolo dell’amore è, infatti, quando c’è, quello di rendere lo Stesso sempre Nuovo.

Accade anche nella lettura dei cosiddetti classici. Lo diceva bene Italo Calvino: quando un libro diventa un classico se non quando risulta inesauribile di fronte ad ogni lettura? Quando la sua forza non si esaurisce mai, ma dura per sempre eccedendo ogni possibile interpretazione? E non è, forse, la fedeltà (ad un amore, ad un autore, ad un’idea) un nome di questa forza? Non è la fedeltà ciò che ci spinge a rileggere lo stesso libro – o un corpo che si trasforma in libro – scoprendo in esso sempre qualcosa di Nuovo? Non è il suo miracolo quello di fare Nuovo ogni cosa, soprattutto quella “cosa” che crediamo di conoscere di più? Non è questa la sua potenza: trasformare la ripetizione dello Stesso in un evento ogni volta unico e irripetibile?

Massimo Recalcati                La Repubblica 3 aprile 2016

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/04/03/larte-erotica-e-inaspettata-della-fedelta50.html?ref=search

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Esortazione apostolica post-sinodale “Amoris laetitia.

Sintesi a cura della Sala Stampa della Santa Sede

“Amoris laetitia” (AL – “La gioia dell’amore”), l’Esortazione apostolica post-sinodale “sull’amore nella famiglia”, datata non a caso 19 marzo, Solennità di San Giuseppe, raccoglie i risultati di due Sinodi sulla famiglia indetti da Papa Francesco nel 2014 e nel 2015, le cui Relazioni conclusive sono largamente citate, insieme a documenti e insegnamenti dei suoi Predecessori e alle numerose catechesi sulla famiglia dello stesso Papa Francesco. Tuttavia, come già accaduto per altri documenti magisteriali, il Papa si avvale anche dei contributi di diverse Conferenze episcopali del mondo (Kenya, Australia, Argentina…) e di citazioni di personalità significative come Martin Luther King o Erich Fromm. Particolare una citazione dal film “Il pranzo di Babette”, che il Papa ricorda per spiegare il concetto di gratuità.

L’ Esortazione apostolica è rivolta ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, agli sposi cristiani e a tutti i fedeli laici sull’amore nella famiglia

Premessa

L’Esortazione apostolica colpisce per ampiezza e articolazione. Essa è suddivisa in nove capitoli e 325 paragrafi in 264 pagine, con 391 citazioni. Ma si apre con sette paragrafi introduttivi che mettono in piena luce la consapevolezza della complessità del tema e l’approfondimento che richiede. Si afferma che gli interventi dei Padri al Sinodo hanno composto un «prezioso poliedro» (AL 4) che va preservato. In questo senso il Papa scrive che «non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero». Dunque per alcune questioni «in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, “le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato”» (AL 3). Questo principio di inculturazione risulta davvero importante persino nel modo di impostare e comprendere i problemi che, aldilà delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa, non può essere «globalizzato».

Ma soprattutto il Papa afferma subito e con chiarezza che bisogna uscire dalla sterile contrapposizione tra ansia di cambiamento e applicazione pura e semplice di norme astratte. Scrive: «I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche» (AL 2).

Capitolo primo: “Alla luce della Parola”

Poste queste premesse, il Papa articola la sua riflessione a partire dalle Sacre Scritture con il primo capitolo, che si sviluppa come una meditazione sul Salmo 128, caratteristico della liturgia nuziale ebraica come di quella cristiana. La Bibbia «è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari» (AL 8) e a partire da questo dato si può meditare come la famiglia non sia un ideale astratto, ma un «compito “artigianale”» (AL 16) che si esprime con tenerezza (AL 28) ma che si è confrontato anche con il peccato sin dall’inizio, quando la relazione d’amore si è trasformata in dominio (cfr AL 19). Allora la Parola di Dio «non si mostra come una sequenza di tesi astratte, bensì come una compagna di viaggio anche per le famiglie che sono in crisi o attraversano qualche dolore, e indica loro la meta del cammino» (AL 22).

Capitolo secondo: “La realtà e le sfide delle famiglie”

A partire dal terreno biblico nel secondo capitolo il Papa considera la situazione attuale delle famiglie, tenendo «i piedi per terra» (AL 6), attingendo ampiamente alle Relazioni conclusive dei due Sinodi e affrontando numerose sfide, dal fenomeno migratorio alla negazione ideologica della differenza di sesso (“ideologia del gender”); dalla cultura del provvisorio alla mentalità antinatalista e all’impatto delle biotecnologie nel campo della procreazione; dalla mancanza di casa e di lavoro alla pornografia e all’abuso dei minori; dall’attenzione alle persone con disabilità, al rispetto degli anziani; dalla decostruzione giuridica della famiglia, alla violenza nei confronti delle donne. Il Papa insiste sulla concretezza, che è una cifra fondamentale dell’Esortazione. E sono la concretezza e il realismo che pongono una sostanziale differenza tra «teorie» di interpretazione della realtà e «ideologie».

Citando la Familiaris consortio Francesco afferma che «è sano prestare attenzione alla realtà concreta, perché “le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia”, attraverso i quali “la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia”» (AL 31). Senza ascoltare la realtà non è possibile comprendere né le esigenze del presente né gli appelli dello Spirito, dunque. Il Papa nota che l’individualismo esasperato rende difficile oggi donarsi a un’altra persona in maniera generosa (cfr AL 33). Ecco una interessante fotografia della situazione: «Si teme la solitudine, si desidera uno spazio di protezione e di fedeltà, ma nello stesso tempo cresce il timore di essere catturati da una relazione che possa rimandare il soddisfacimento delle aspirazioni personali» (AL 34).

L’umiltà del realismo aiuta a non presentare «un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono» (AL 36). L’idealismo allontana dal considerare il matrimonio quel che è, cioè un «cammino dinamico di crescita e realizzazione». Per questo non bisogna neanche credere che le famiglie si sostengano «solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia» (AL 37). Invitando a una certa “autocritica” di una presentazione non adeguata della realtà matrimoniale e familiare, il Papa insiste che è necessario dare spazio alla formazione della coscienza dei fedeli: “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (AL37). Gesù proponeva un ideale esigente ma «non perdeva mai la vicinanza compassionevole alle persone fragili come la samaritana o la donna adultera» (AL 38).

Capitolo terzo: “Lo sguardo rivolto a Gesù: la vocazione della famiglia”

Il terzo capitolo è dedicato ad alcuni elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa circa il matrimonio e la famiglia. La presenza di questo capitolo è importante perché illustra in maniera sintetica in 30 paragrafi la vocazione alla famiglia secondo il Vangelo così come è stata recepita dalla Chiesa nel tempo, soprattutto sul tema della indissolubilità, della sacramentalità del matrimonio, della trasmissione della vita e della educazione dei figli. Vengono ampiamente citate la Gaudium et spes del Vaticano II, la Humanae vitae di Paolo VI, la Familiaris consortio di Giovanni Paolo II.

Lo sguardo è ampio e include anche le «situazioni imperfette». Leggiamo infatti: «”Il discernimento della presenza dei “semina Verbi” nelle altre culture (cfr Ad gentes, 11) può essere applicato anche alla realtà matrimoniale e familiare. Oltre al vero matrimonio naturale ci sono elementi positivi presenti nelle forme matrimoniali di altre tradizioni religiose”, benché non manchino neppure le ombre” (AL 77). La riflessione include anche le «famiglie ferite» di fronte alle quali il Papa afferma —citando la Relatio finalis del Sinodo del 2015 —«occorre sempre ricordare un principio generale: “Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni” (Familiaris consortio, 84). Il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, e possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione. Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione» (AL 79).

Capitolo quarto: “L’amore nel matrimonio”

Il quarto capitolo tratta dell’amore nel matrimonio, e lo illustra a partire dall’”inno all’amore” di San Paolo in 1 Cor 13, 4-7. Il capitolo è una vera e propria esegesi attenta, puntuale, ispirata e poetica del testo paolino. Potremmo dire che si tratta di una collezione di frammenti di un discorso amoroso che è attento a descrivere l’amore umano in termini assolutamente concreti. Si resta colpiti dalla capacità di introspezione psicologica che segna questa esegesi. L’approfondimento psicologico entra nel mondo delle emozioni dei coniugi — positive e negative —e nella dimensione erotica dell’amore. Si tratta di un contributo estremamente ricco e prezioso per la vita cristiana dei coniugi, che non aveva finora paragone in precedenti documenti papali.

A suo modo questo capitolo costituisce un trattatello dentro la trattazione più ampia, pienamente consapevole della quotidianità dell’amore che è nemica di ogni idealismo: «non si deve gettare sopra due persone limitate — scrive il Pontefice —il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica “un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio”» (AL 122). Ma d’altra parte il Papa insiste in maniera forte e decisa sul fatto che «nella stessa natura dell’amore coniugale vi è l’apertura al definitivo» (AL 123), proprio all’interno di quella «combinazione di gioie e di fatiche, di tensioni e di riposo, di sofferenze e di liberazioni, di soddisfazioni e di ricerche, di fastidi e di piaceri» (Al 126) che è appunto il matrimonio.

Il capitolo si conclude con una riflessione molto importante sulla «trasformazione dell’amore» perché «il prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca appartenenza devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni, e questo comporta la necessità di ritornare a scegliersi a più riprese» (AL 163). L’aspetto fisico muta e l’attrazione amorosa non viene meno ma cambia: il desiderio sessuale col tempo si può trasformare in desiderio di intimità e “complicità”. «Non possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita. Ma possiamo certamente avere un progetto comune stabile, impegnarci ad amarci e a vivere uniti finché la morte non ci separi, e vivere sempre una ricca intimità» (AL 163).

Capitolo quinto: “L’amore che diventa fecondo”

Il quinto capitolo è tutto concentrato sulla fecondità e la generatività dell’amore. Si parla in maniera spiritualmente e psicologicamente profonda dell’accogliere una nuova vita, dell’attesa propria della gravidanza, dell’amore di madre e di padre. Ma anche della fecondità allargata, dell’adozione, dell’accoglienza del contributo delle famiglie a promuovere una “cultura dell’incontro”, della vita nella famiglia in senso ampio, con la presenza di zii, cugini, parenti dei parenti, amici. L’Amoris laetitia non prende in considerazione la famiglia «mononucleare», perché è ben consapevole della famiglia come rete di relazioni ampie. La stessa mistica del sacramento del matrimonio ha un profondo carattere sociale (cfr AL 186). E all’interno di questa dimensione sociale il Papa sottolinea in particolare sia il ruolo specifico del rapporto tra giovani e anziani, sia la relazione tra fratelli e sorelle come tirocinio di crescita nella relazione con gli altri.

Capitolo sesto: “Alcune prospettive pastorali”

Nel sesto capitolo il Papa affronta alcune vie pastorali che orientano a costruire famiglie solide e feconde secondo il piano di Dio. In questa parte l’Esortazione fa largo ricorso alle Relazioni conclusive dei due Sinodi e alle catechesi di Papa Francesco e di Giovanni Paolo II. Si ribadisce che le famiglie sono soggetto e non solamente oggetto di evangelizzazione. Il Papa rileva «che ai ministri ordinati manca spesso una formazione adeguata per trattare i complessi problemi attuali delle famiglie» (AL 202). Se da una parte bisogna migliorare la formazione psico-affettiva dei seminaristi e coinvolgere di più la famiglia nella formazione al ministero (cfr AL 203), dall’altra «può essere utile (…) anche l’esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati» (AL 202).

Quindi il Papa affronta il tema del guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio, dell’accompagnare gli sposi nei primi anni della vita matrimoniale (compreso il tema della paternità responsabile), ma anche in alcune situazioni complesse e in particolare nelle crisi, sapendo che «ogni crisi nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore» (AL 232). Si analizzano alcune cause di crisi, tra cui una maturazione affettiva ritardata (cfr AL 239).

Inoltre si parla anche dell’accompagnamento delle persone abbandonate, separate o divorziate e si sottolinea l’importanza della recente riforma dei procedimenti per il riconoscimento dei casi di nullità matrimoniale. Si mette in rilievo la sofferenza dei figli nelle situazioni conflittuali e si conclude: “Il divorzio è un male, ed è molto preoccupante la crescita del numero dei divorzi. Per questo, senza dubbio, il nostro compito pastorale più importante riguardo alle famiglie è rafforzare l’amore e aiutare a sanare le ferite, in modo che possiamo prevenire l’estendersi di questo dramma nella nostra epoca” (AL 246). Si toccano poi le situazioni dei matrimoni misti e di quelli con disparità di culto, e la situazione delle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale, ribadendo il rispetto nei loro confronti e il rifiuto di ogni ingiusta discriminazione e di ogni forma di aggressione o violenza. Pastoralmente preziosa è la parte finale del capitolo: “Quando la morte pianta il suo pungiglione”, sul tema della perdita delle persone care e della vedovanza.

Capitolo settimo: “Rafforzare l’educazione dei figli”

Il settimo capitolo è tutto dedicato all’educazione dei figli: la loro formazione etica, il valore della sanzione come stimolo, il paziente realismo, l’educazione sessuale, la trasmissione della fede, e più in generale la vita familiare come contesto educativo. Interessante la saggezza pratica che traspare a ogni paragrafo e soprattutto l’attenzione alla gradualità e ai piccoli passi «che possano essere compresi, accettati e apprezzati» (AL 271).

Vi è un paragrafo particolarmente significativo e pedagogicamente fondamentale nel quale Francesco afferma chiaramente che «l’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare (…). Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazionedella sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia» (AL 261).

Notevole è la sezione dedicata all’educazione sessuale, intitolata molto espressivamente: “Sì all’educazione sessuale”. Si sostiene la sua necessità e ci si domanda “se le nostre istituzioni educative hanno assunto questa sfida (…) in un’epoca in cui si tende a banalizzare e impoverire la sessualità”. Essa va realizzata “nel quadro di un’educazione all’amore, alla reciproca donazione” (AL 280). Si mette in guardia dall’espressione “sesso sicuro”, perché trasmette “un atteggiamento negativo verso la naturale finalità procreativa della sessualità, come se un eventuale figlio fosse un nemico dal quale doversi proteggere. Così si promuove l’aggressività narcisistica invece dell’accoglienza” (AL 283).

Capitolo ottavo: “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità”

Il capitolo ottavo costituisce un invito alla misericordia e al discernimento pastorale davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore propone. Il Papa qui scrive usa tre verbi molto importanti: “accompagnare, discernere e integrare” che sono fondamentali nell’affrontare situazioni di fragilità, complesse o irregolari. Quindi il Papa presenta la necessaria gradualità nella pastorale, l’importanza del discernimento, le norme e circostanze attenuanti nel discernimento pastorale, e infine quella che egli definisce la «logica della misericordia pastorale».

Il capitolo ottavo è molto delicato. Per leggerlo si deve ricordare che «spesso il lavoro della Chiesa assomiglia a quello di un ospedale da campo» (AL 291). Qui il Pontefice assume ciò che è stato frutto della riflessione del Sinodo su tematiche controverse. Si ribadisce che cos’è il matrimonio cristiano e si aggiunge che «altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo». La Chiesa dunque «non manca di valorizzare gli “elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più” al suo insegnamento sul matrimonio» (AL 292).

Per quanto riguarda il “discernimento” circa le situazioni “irregolari” il Papa osserva: “sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione” (AL 296). E continua: “Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia ‘immeritata, incondizionata e gratuita’”(AL 297). Ancora: “I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale” (AL 298).

In questa linea, accogliendo le osservazioni di molti Padri sinodali, il Papa afferma che “i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni forma di scandalo”. “La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali (…) Essi non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa (…) Questa integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli” (AL 299).

Più in generale il Papa fa una affermazione estremamente importante per comprendere l’orientamento e il senso dell’Esortazione: “Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete (…) è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. E’ possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché il ‘grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi’, le conseguenze o gli effetti di una normanon necessariamente devono essere sempre gli stessi” (AL 300). Il Papa sviluppa in modo approfondito esigenze e caratteristiche del cammino di accompagnamento e discernimento in dialogo approfondito fra i fedeli e i pastori. A questo fine richiama la riflessione della Chiesa “su condizionamenti e circostanze attenuanti” per quanto riguarda la imputabilità e la responsabilità delle azioni e, appoggiandosi a San Tommaso d’Aquino, si sofferma sul rapporto fra “le norme e il discernimento” affermando: “E’ vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti a una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma” (AL 304).

Nell’ultima sezione del capitolo: “La logica della misericordia pastorale”, Papa Francesco, per evitare equivoci, ribadisce con forza: “Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture” (AL 307). Ma il senso complessivo del capitolo e dello spirito che Papa Francesco intende imprimere alla pastorale della Chiesa è ben riassunto nelle parole finali: “Invito i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi con fiducia a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Non sempre troveranno in essi una conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce che permetterà loro di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno scoprire un cammino di maturazione personale. E invito i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa” (AL 312). Sulla “logica della misericordia pastorale” Papa Francesco afferma con forza: «A volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio. Poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e questo è il modo peggiore di annacquare il Vangelo» (AL 311).

Capitolo nono: “Spiritualità coniugale e familiare”

Il nono capitolo è dedicato alla spiritualità coniugale e familiare, «fatta di migliaia di gesti reali e concreti» (AL 315). Con chiarezza si dice che «coloro che hanno desideri spirituali profondi non devono sentire che la famiglia li allontana dalla crescita nella vita dello Spirito, ma che è un percorso che il Signore utilizza per portarli ai vertici dell’unione mistica» (AL 316). Tutto, «i momenti di gioia, il riposo o la festa, e anche la sessualità, si sperimentano come una partecipazione alla vita piena della sua Risurrezione» (AL 317). Si parla quindi della preghiera alla luce della Pasqua, della spiritualità dell’amore esclusivo e libero nella sfida e nell’anelito di invecchiare e consumarsi insieme, riflettendo la fedeltà di Dio (cfr AL 319). E infine la spiritualità «della cura, della consolazione e dello stimolo». «Tutta la vita della famiglia è un “pascolo” misericordioso. Ognuno, con cura, dipinge e scrive nella vita dell’altro» (AL 322), scrive il Papa. È profonda «esperienza spirituale contemplare ogni persona cara con gli occhi di Dio e riconoscere Cristo in lei» (AL 323).

Nel paragrafo conclusivo il Papa afferma: “Nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare (…). Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante. Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare ! (…). Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa” (AL 325).

L’Esortazione apostolica si conclude con una Preghiera alla Santa Famiglia (AL 325).

* * *

Come è possibile comprendere già da un rapido esame dei suoi contenuti, L’Esortazione apostolica Amoris laetitia intende ribadire con forza non l’«ideale» della famiglia, ma la sua realtà ricca e complessa. Vi è nelle sue pagine uno sguardo aperto, profondamente positivo, che si nutre non di astrazioni o proiezioni ideali, ma di un’attenzione pastorale alla realtà. Il documento è una lettura densa di spunti spirituali e di sapienza pratica utile ad ogni coppia umana o a persone che desiderano costruire una famiglia. Si vede soprattutto che è stata frutto di esperienza concreta con persone che sanno per esperienza che cosa sia la famiglia e il vivere insieme per molti anni. L’Esortazione parla infatti il linguaggio dell’esperienza.

Sintesi a cura della Sala Stampa della Santa Sede.  8 aprile 2016

http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/04/08/0240/00534.html

il testo ufficiale dell’Esortazione apostolica

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

Brani scelti d’interesse per gli operatori dei consultori familiari.

Aggressione giuridica alla famiglia.

53. […] In diversi paesi la legislazione facilita lo sviluppo di una molteplicità di alternative, così che un matrimonio connotato da esclusività, indissolubilità e apertura alla vita finisce per apparire una proposta antiquata tra molte altre. Avanza in molti paesi una decostruzione giuridica della famiglia che tende ad adottare forme basate quasi esclusivamente sul paradigma dell’autonomia della volontà. Benché sia legittimo e giusto che si respingano vecchie forme di famiglia “tradizionale” caratterizzate dall’autoritarismo e anche dalla violenza, questo non dovrebbe portare al disprezzo del matrimonio bensì alla riscoperta del suo vero senso e al suo rinnovamento.

Utero in affitto e falsa emancipazione della donna

54. […] La violenza verbale, fisica e sessuale che si esercita contro le donne in alcune coppie di sposi contraddice la natura stessa dell’unione coniugale. Penso alla grave mutilazione genitale della donna in alcune culture, ma anche alla disuguaglianza dell’accesso a posti di lavoro dignitosi e ai luoghi in cui si prendono le decisioni. La storia ricalca le orme degli eccessi delle culture patriarcali, dove la donna era considerata di seconda classe, ma ricordiamo anche la pratica dell’“utero in affitto” o la “strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica”. C’è chi ritiene che molti problemi attuali si sono verificati a partire dall’emancipazione della donna. Ma questo argomento non è valido, “è una falsità, non è vero. È una forma di maschilismo”.

            Ideologia del “gender”

56. Un’altra sfida emerge da varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata “gender”, che “nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo”. È inquietante che alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini.

            Aborto ed eutanasia

83. In questo contesto, non posso non affermare che, se la famiglia è il santuario della vita, il luogo dove la vita è generata e curata, costituisce una lacerante contraddizione il fatto che diventi il luogo dove la vita viene negata e distrutta. È così grande il valore di una vita umana, ed è così inalienabile il diritto alla vita del bambino innocente che cresce nel seno di sua madre, che in nessun modo è possibile presentare come un diritto sul proprio corpo la possibilità di prendere decisioni nei confronti di tale vita, che è un fine in sé stessa e che non può mai essere oggetto di dominio da parte di un altro essere umano. La famiglia protegge la vita in ogni sua fase e anche al suo tramonto. Perciò a coloro che operano nelle strutture sanitarie si rammenta l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza.

Omosessualità e unioni omosessuali

250 […] Con i Padri sinodali ho preso in considerazione la situazione delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, esperienza non facile né per i genitori né per i figli. Perciò desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, v a rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare “ogni marchio di ingiusta discriminazione” e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. […]

251. Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che “circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”; ed è inaccettabile “che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il ‘matrimonio’ fra persone dello stesso sesso”.

            Castità prima del matrimonio

283. Frequentemente l’educazione sessuale si concentra sull’invito a “proteggersi”, cercando un “sesso sicuro”. Queste espressioni trasmettono un atteggiamento negativo verso la naturale finalità procreativa della sessualità, come se un eventuale figlio fosse un nemico dal quale doversi proteggere. Così si promuove l’aggressività narcisistica invece dell’accoglienza. È irresponsabile ogni invito agli adolescenti a giocare con i loro corpi e i loro desideri, come se avessero la maturità, i valori, l’impegno reciproco e gli obiettivi propri del matrimonio. Così li si incoraggia allegramente ad utilizzare l’altra persona come oggetto di esperienze per compensare carenze e grandi limiti. È importante invece insegnare un percorso sulle diverse espressioni dell’amore, sulla cura reciproca, sulla tenerezza rispettosa, sulla comunicazione ricca di senso. Tutto questo, infatti, prepara ad un dono di sé integro e generoso che si esprimerà, dopo un impegno pubblico, nell’offerta dei corpi. L’unione sessuale nel matrimonio apparirà così come segno di un impegno totalizzante, arricchito da tutto il cammino precedente.

Divorziati risposati e situazioni “irregolari”

297. […] Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino.

Ovviamente, se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità (cfr Mt 18,17). Ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione. Ma perfino per questa persona può esserci qualche maniera di partecipare alla vita della comunità: in impegni sociali, in riunioni di preghiera, o secondo quello che la sua personale iniziativa, insieme al discernimento del Pastore, può suggerire.

Riguardo al modo di trattare le diverse situazioni dette “irregolari”, i Padri sinodali hanno raggiunto un consenso generale, che sostengo: “In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro”, sempre possibile con la forza dello Spirito Santo.

298. I divorziati che vivono una nuova unione, per esempio, possono trovarsi in situazioni molto diverse, che non devono essere catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide senza lasciare spazio a un adeguato discernimento personale e pastorale.

Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui “l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione” (329).

C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di “coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”.

Altra cosa invece è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere, o la situazione di qualcuno che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari.

Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia. I Padri sinodali hanno affermato che il discernimento dei Pastori deve sempre farsi “distinguendo adeguatamente”, con uno sguardo che discerna bene le situazioni. Sappiamo che non esistono “semplici ricette”.

299. Accolgo le considerazioni di molti Padri sinodali, i quali hanno voluto affermare che “i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Questa integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti”.

No a norme generali, ma valutazioni caso per caso

300. Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, come quelle che abbiamo sopra menzionato, è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi.

È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché “il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi”, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi (336).

I presbiteri hanno il compito di “accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno”.

Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che “orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere.

Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cfr “Familiaris consortio”, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa”.

Questi atteggiamenti sono fondamentali per evitare il grave rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente “eccezioni”, o che esistano persone che possano ottenere privilegi sacramentali in cambio di favori. Quando si trova una persona responsabile e discreta, che non pretende di mettere i propri desideri al di sopra del bene comune della Chiesa, con un Pastore che sa riconoscere la serietà della questione che sta trattando, si evita il rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale.

Le circostanze attenuanti

301. Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo.

La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante.

I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere “valori insiti nella norma morale” o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, “possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione”. Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù, in modo che anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: “Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù”.

302. Riguardo a questi condizionamenti il Catechismo della Chiesa Cattolica si esprime in maniera decisiva: “L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali”.

In un altro paragrafo fa riferimento nuovamente a circostanze che attenuano la responsabilità morale, e menziona, con grande ampiezza, l’immaturità affettiva, la forza delle abitudini contratte, lo stato di angoscia o altri fattori psichici o sociali (344). Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta. Nel contesto di queste convinzioni, considero molto appropriato quello che hanno voluto sostenere molti Padri sinodali: “In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. […] Il discernimento pastorale, pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi”.

            Lo spazio della coscienza

303. A partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti, possiamo aggiungere che la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio. Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno.

Le norme e il discernimento

304. È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: “Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare”. È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione.

305. Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa “per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”.

In questa medesima linea si è pronunciata la Commissione Teologica Internazionale: “La legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione”. A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato –che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno–si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa (351). Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che “un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà”. La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà.

306. In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la “via caritatis”. […]

Misericordia pastorale

307. Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza. […] La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi. Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture.

308. Tuttavia, dalla nostra consapevolezza del peso delle circostanze attenuanti – psicologiche, storiche e anche biologiche – ne segue che “senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno”, lasciando spazio alla “misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile”.

Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, “non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada”. I Pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti. Il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare. […]

311. […] A volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio (364). Poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e questo è il modo peggiore di annacquare il Vangelo. È vero, per esempio, che la misericordia non esclude la giustizia e la verità, ma anzitutto dobbiamo dire che la misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio. […]

312. Questo ci fornisce un quadro e un clima che ci impedisce di sviluppare una morale fredda da scrivania nel trattare i temi più delicati e ci colloca piuttosto nel contesto di un discernimento pastorale carico di amore misericordioso, che si dispone sempre a comprendere, a perdonare, ad accompagnare, a sperare, e soprattutto a integrare. Questa è la logica che deve prevalere nella Chiesa.

Tratto da       Selezione a cura di Sandro Magister

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351270

Conferenza Stampa per la presentazione dell’Esortazione Apostolica-

Intervento del Card. Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi

Intervento del Card. Christoph Schönborn, O.P., arcivescovo di Vienna

Intervento dei coniugi Prof. Francesco Miano, Docente di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e Prof.ssa Giuseppina De Simone, Docente di Filosofia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli;

            8 aprile 2016  ore 11,30

http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/04/08/0241/00531.html

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GESTAZIONE PER ALTRI

Maternità surrogata senza reato. Consentita all’estero? Niente atto falso.

Corte di Cassazione – quinta Sezione penale – Sentenza n. 13525, 5 aprile 2016

E’ stata confermata da parte della Corte di cassazione la decisione con cui il Gup del Tribunale di Napoli aveva assolto una coppia dai reati di alterazione dello stato civile e di falsa attestazione per aver iscritto la nascita di un minore, nato a seguito di tecniche di maternità surrogata in Ucraina, presso un ufficio dello stato civile italiano, a seguito della dichiarazione della madre surrogata, attestata da apposita certificazione.

Non ravvisabile alcuna alterazione stato civile. La Corte di legittimità ha ritenuto corretto l’operato del giudice di merito e con cui, in primo luogo, era stato dato atto della conformità della procedura seguita dalla coppia alla disciplina dello Stato in cui il minore, cittadino italiano in quanto figlio di un padre italiano, era nato. Con la detta decisione, gli imputati erano stati assolti “perché il fatto non sussiste” in quanto gli stessi – a detta del Gup –  senza attestare alcunché, si erano limitati a richiedere la trascrizione di un atto ufficiale redatto dai pubblici ufficiali in conformità alla normativa vigente. Non era quindi individuabile, nei loro confronti, alcun atto falso o dolosamente creato sulla base di dichiarazioni non veritiere.

            Sul punto, la Suprema corte ha sottolineato come, sulla base della ricostruzione dei fatti, non era ravvisabile alcuna alterazione dello stato civile del minore nell’atto di nascita in discussione, atto di nascita che, per contro, risultava perfettamente legittimo alla stregua della normativa nella quale doverosamente era stato redatto.

Rispetto all’ulteriore contestazione loro mossa, ed ossia la fattispecie di cui all’articolo 12, comma 6 della Legge n. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, l’organo giudicante nel merito aveva ritenuto che il fatto non costituisse, nella specie, reato in quanto, comunque, gli imputati non avevano avuto alcuna volontà di commettere l’illecito; questo era dimostrato dal fatto che si erano recati in una nazione ove la sopra citata pratica era lecita, con la conseguenza che era configurabile la causa scriminante dell’esercizio putativo del diritto. Respinto, in definitiva, il ricorso promosso in sede di legittimità da parte del Procuratore della Repubblica.

            Eleonora Pergolari    edotto 6 aprile 2016

www.edotto.com/articolo/maternita-surrogata-senza-reato?newsletter_id=5704ee93fdb94d1e547de206&utm_campaign=PostDelPomeriggio-06%2f04%2f2016&utm_medium=email&utm_source=newsletter&utm_content=maternita-surrogata-senza-reato&guid=e942ee4f-c31e-49f5-83f1-ac53a72c52c7

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MATRIMONIO

No a riconoscimento matrimonio gay, Tribunale di Roma: Non possiamo sostituirci al Parlamento.

            Il tribunale civile di Roma rigetta il ricorso di due donne che si erano sposate in Portogallo e avevano chiesto al giudice la trascrizione del loro matrimonio nei registri dello stato civile del comune. È la prima sentenza del Tribunale della Capitale dopo la querelle che aveva opposto l’ex sindaco Ignazio Marino (che aveva trascritto alcuni matrimoni di coppie gay celebrati all’estero), e il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che gliel’aveva vietato con una circolare.

Le motivazioni del giudice. Secondo Franca Mangano, presidente del Tribunale, la legge che consente la trascrizione dei matrimoni tra omosessuali non c’è. Quindi, il giudice non può decidere in assenza di un vuoto normativo o sostituirsi al legislatore. “Non può essere colmato per via giudiziaria – scrive la dottoressa Mangano – il vuoto normativo conseguente alla inerzia del legislatore italiano (rilevata dalla Corte di Strasburgo con la pronuncia del 21 luglio 2015), il quale ancora non si è adeguato alle plurime indicazioni dei giudici nazionali, della Corte Europea dei diritti dell’uomo, e anche del Parlamento Europeo”. “L’eventuale equiparazione dei matrimoni omosessuali a quelli celebrati tra persone di sesso diverso – sottolinea il magistrato – e la relativa trascrizione nei registri dello stato civile rientrano nella competenza esclusiva del legislatore nazionale, cui questo giudice non potrebbe comunque sostituirsi”.

Il commento del legale. “Il tribunale civile di Roma – ha commentato l’avvocato Luciano Vinci, difensore delle due donne – ha preferito irrigidirsi su una lettura letterale della norma, non si è andati oltre la lettura letterale della norma (art 107) che fa espresso riferimento a ‘marito’ e ‘moglie’ nella celebrazione del matrimonio”. “Abbiamo proposto al giudice un’interpretazione costituzionale riferendoci all’articolo 3 secondo cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge. Inoltre, se è vero che nel nostro ordinamento il matrimonio omosessuale non è previsto, è altrettanto vero che non è vietato. Il giudice avrebbe potuto lavorare in questa dimensione non scritta e creare giurisprudenza anche alla luce dell’orientamento sovranazionale che ha bacchettato l’Italia per la disparità che impone ai suoi cittadini. Faremo ricorso in Appello”.

            Avvocato Vinci: “La doppia discriminazione”. “Assistiamo a una discriminazione nella discriminazione. La prima è quella dell’omosessuale nei confronti dell’eterosessuale. La seconda (visto che la legge consente il matrimonio di chi ha cambiato legalmente il sesso), dell’omosessuale nei confronti dell’omosessuale che ha scelto di cambiare sesso, e che può sposarsi tranquillamente”.

Scalfarotto: “Legge entro l’anno, stop a discriminazioni”. Ivan Scalfarotto, sottosegretario al ministero delle Riforme, commenta la sentenza. “Ormai è fuori discussione – dice il sottosegretario a Repubblica – la legge si porta a casa, considerando i decreti attuativi, sarà in vigore entro l’anno. E dall’inizio del 2017 questo problema non ci sarà più: i matrimoni contratti all’estero saranno riconosciuti come unioni civili in Italia”. “La civiltà giuridica del Paese – aggiunge Scalfarotto – deve esser fatta con leggi oltre che con le sentenze. Con sentenze che applichino le leggi”. “L’impegno formale da parte del governo c’è – conclude – lo prova il fatto che sulla legge il governo ha messo la fiducia al Senato”.

            Il retroscena. Prima sono arrivati i comuni con provvedimenti amministrativi per consentire a persone dello stesso sesso sposate all’estero la trascrizione delle loro unioni. Come il comune di Roma che il 18 ottobre 2014, per opera del sindaco Ignazio Marino, aveva trascritto nei registri di stato civile i matrimoni celebrati all’estero di 16 coppie gay che ne avevano fatto richiesta. Era già successo un mese prima a Bologna, con il sindaco Virginio Merola, e a Milano, con il sindaco Giuliano Pisapia.

            La circolare Alfano. Il Ministero dell’Interno, Angelino Alfano, aveva bloccato le trascrizioni, perché – secondo lui –  il sindaco è un organo dello Stato: l’autorità amministrativa locale non può decidere, ma deve solo seguire i dettami del Ministero dell’Interno. Alfano parlò anche di problemi di “ordine pubblico” nel caso di trascrizioni di matrimoni omosessuali contratti all’estero. Aveva sostenuto che le trascrizioni erano contrarie alla legge italiana e non avevano pertanto alcuna validità giuridica. E aveva infine emesso una circolare, planata sui tavoli di tutti i prefetti d’Italia il 7 ottobre 2014, in cui ordinava che venissero annullate d’ufficio eventuali trascrizioni nei registri di stato civile di matrimoni gay celebrati all’estero perché “la disciplina dell’eventuale equiparazione dei matrimoni omosessuali a quelli celebrati tra persone di sesso diverso” rientra “nella competenza esclusiva del legislatore nazionale”. E perché la “diversità di sesso” è il pre-requisito per una validità giuridica del matrimonio. Giuseppe Pecoraro, allora prefetto di Roma, circolare in mano, aveva annullato il registro del sindaco Marino. E così era avvenuto a Bologna, per decisione del prefetto del capoluogo emiliano.

            I ricorsi alla giustizia amministrativa. Due coppie e il Comune di Roma avevano quindi presentato tre ricorsi amministrativi al Tar. Il Tar del Lazio aveva però stabilito che un provvedimento del genere potesse essere disposto soltanto da un tribunale civile e assolutamente non dal ministro dell’Interno o dal prefetto. Altri quattro Tar avevano stabilito la stessa cosa. Alfano aveva perciò presentato un ricorso al Consiglio di Stato, altro organo che come il Tar si occupa dei diritti dei privati nei confronti della pubblica amministrazione: e il 26 ottobre 2015 la sentenza aveva ribaltato quella del Tar e dato ragione ad Alfano, stabilendo che le trascrizioni negli archivi di stato civile dei comuni italiani degli atti di matrimonio tra persone dello stesso sesso contratti all’estero sono nulle. E argomentando che il matrimonio omosessuale è privo “dell’indefettibile condizione della diversità di sesso fra i nubendi”. Di più: i prefetti hanno il potere di “autotutela sugli atti adottati contra legem dall’organo subordinato”.

            Tot capita, tot sententiae. In assenza della legge, i tribunali interpretano la normativa vigente ognuno a modo suo (tot capita tot sententiae dicevano i latini, “quante le teste, altrettanti i giudizi”). E così capita che il tribunale di Roma rigetti il ricorso, ma altri lo accolgano. Come, ad esempio, il tribunale di Grosseto, che, il 9 aprile 2014, decide di accogliere il ricorso di una coppia omosessuale – un giornalista e un architetto – che si erano sposati a New York nel 2012. Il giudice toscano aveva stabilito che l’unione doveva essere trascritta nei registri dello stato civile del comune, perché “non contraria all’ordine pubblico”, ma anzi valida e in grado di produrre effetti giuridici anche perché, secondo il tribunale toscano, “non sussiste né a livello di legislazione interna né nelle norme di diritto internazionale privato, un riferimento alla diversità di sesso quale condizione necessaria per contrarre matrimonio.

Rory Cappelli e Alberto Custodero La Repubblica Roma             9 aprile 2016

http://roma.repubblica.it/cronaca/2016/04/09/news/matrimonio_omosessuale_due_donne_sposate_in_portogallo_prima_sentenza_tribunale_di_roma_rigetta_ricorso-137279663/?ref=HREC1-21

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NON PROFIT

Raccolta fondi attraverso i lasciti testamentari.

Siamo un’Associazione Onlus e vorremmo fare una campagna per la raccolta fondi attraverso i lasciti testamentari. Ci sono regole particolari che dobbiamo seguire?

Secondo l’Agenzia per il Terzo Settore (Linee Guida per la Raccolta dei Fondi) “Un lascito costituisce spesso la donazione più importante che una persona possa fare ad un’organizzazione non profit, per questo gli enti sono tenuti a garantire che sia gestito in modo professionale, responsabile e delicato, nel rispetto degli interessi e della riservatezza dei donatori o dei potenziali donatori, nonché della reputazione dell’organizzazione”.

            Regole e comportamenti generali. L’attività di raccolta fondi attraverso i lasciti testamentari deve rispettare i seguenti principi:

a)      essere caratterizzata da onestà, trasparenza ed equità;

b)      rispettare, in ogni caso, il fatto che la decisione spetta esclusivamente al potenziale testatore;

c)      trattare come strettamente confidenziali tutte le informazioni personali, salvo diverso accordo scritto;

d)      rispettare la sensibilità della famiglia del potenziale testatore;

e)      usare particolare attenzione quando si comunica con persone vulnerabili, quali ad esempio malati terminali, parenti o amici del defunto, persone con disabilità;

f)       non denigrare in alcun modo altri enti;

g)      assicurarsi che il lascito a favore dell’ente sia espresso all’interno del testamento in modo preciso e che l’organizzazione sia identificata in modo inequivocabile (con l’indicazione del nome completo e dell’indirizzo).

Informazioni che deve rilasciare l’addetto al contatto diretto coi potenziali donatori. Tutte le informazioni relative ai lasciti testamentari fornite mediante contatto diretto con i potenziali donatori devono essere fornite attentamente. In particolare è necessario informare i potenziali donatori in modo esaustivo rispetto ai seguenti aspetti, chiarendo che le informazioni fornite non costituiscono consulenza legale:

  • modalità con le quali è possibile fare testamento;
  • l’esistenza della parte di patrimonio disponibile e di quella riservata per legge agli eredi legittimari;
  • la possibilità di modificare o revocare in ogni momento le proprie volontà;
  • la possibilità di vincolare il lascito ad uno specifico progetto.

L’ente deve assicurare a chi è interessato la possibilità di ottenere ulteriori e specifici chiarimenti, garantendo la massima riservatezza su eventuali situazioni personali riferite.

            Rapporti con i familiari del potenziale donante. Nel caso in cui un potenziale donatore decida di lasciare parte della propria eredità all’organizzazione e chieda alla stessa di spiegare alla famiglia le ragioni di tale scelta, è buona norma:

  • chiedere al donatore di mettere per iscritto i motivi di tale decisione;
  • conservare tale informativa e raccomandare al donatore di conservarne a sua volta una copia insieme al testamento originale.

Lasciti sottoposti ad oneri. Nei casi in cui i potenziali donatori esprimano il desiderio di fare un lascito alla condizione che la donazione sia destinata ad uno scopo specifico, è necessario apporre tale onere al lascito testamentario (ciò comporta per l’organizzazione il vincolo del rispetto della volontà del donatore).

In alternativa, lo scopo specifico può essere espresso anche come volontà non vincolante (in questo caso è lasciata all’organizzazione l’opportunità di valutare se dare seguito alla volontà del donatore).

In relazione ai lasciti gravati da oneri:

  • è preferibile suggerire al potenziale donatore di individuare un obiettivo da perseguire, piuttosto che sottoporlo ad un onere vincolante, spiegando le criticità che potrebbero insorgere rispetto alla realizzazione del lascito vincolato, qualora l’organizzazione non potesse nel tempo adempiere pienamente all’obiettivo formulato a causa di difficoltà non prevedibili al momento della definizione del lascito;
  • qualora il potenziale donatore proponga di fare un lascito vincolato, l’ente deve comunicare al donatore se potrà o meno rispettare tale onere;
  • qualora l’ente riceva un lascito sottoposto a oneri, è opportuno che richieda una consulenza legale per capire se lo specifico scopo indicato sia o meno vincolante.

Hanno risposto i professionisti dell’area legale              Non profit on line       7 aprile 2016

http://www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=6717

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OMOADOZIONE

Trascrizione delle adozioni legittimanti di due figli di coniugi omosessuali.

Corte d’Appello di Napoli, sezione persona e famiglia, ordinanza 5 aprile 2016

Pubblichiamo (omettendo solo i nomi dei minori e gli indirizzi, ma non i nomi delle mamme, su espressa richiesta delle stesse, che non vogliono risultare “anonime”) l’ordinanzacon la quale la Corte d’Appello di Napoli ha ordinato la trascrizione di due sentenze francesi che hanno disposto l’adozione – “piena e legittimante” ai sensi dell’ordinamento del luogo – dei figli della coniuge a favore di ciascuna madre richiedente. La decisione aggiunge un tassello importante al complesso mosaico della tutela dell’omogenitorialità nel nostro ordinamento, perdurando l’inerzia del legislatore sul punto. Rispetto al precedente costituito da App. Milano, 16 ottobre 2015, n. 2543, si tratta, per la prima volta, di trascrizioni concernenti una fattispecie di adozione coparentale incrociata, in coppia omosessuale coniugata in Francia e che ha ottenuto, peraltro, la trascrizione del matrimonio in Italia. Entrambe le madri hanno infatti ottenuto, in Francia, l’adozione coparentale del figlio biologico della coniuge, domandandone poi la trascrizione all’ufficiale dello stato civile italiano. Di fronte al rifiuto di quest’ultimo, motivato sulla base del rilievo che “le sentenze di adozione richiamavano «come evento relativo alla filiazione” il matrimonio dei genitori […] improduttivo di effetti in Italia», perché contratto tra persone dello stesso sesso”, le due madri adivano la Corte di Appello di Napoli per sentir dichiarare l’illegittimità del rifiuto, con contestuale ordine di trascrizione all’ufficiale dello stato civile.

In aggiunta alla peculiarità della fattispecie, la decisione si segnala, nel merito, per alcune importanti affermazioni. Con riferimento all’individuazione della disciplina applicabile, la Corte d’Appello di Napoli esclude che possa trovare applicazione nella fattispecie de qua la vigente normativa in tema di adozioni internazionali: trattandosi infatti di domanda di trascrizione di due sentenze di adozione “nazionale” francese, ritiene la Corte che più correttamente debba farsi applicazione della legge n. 218/95 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), ed in particolare dei suoi articoli 65 e 66, relativi al riconoscimento di sentenze e provvedimenti stranieri, con conseguente esclusione della competenza del Tribunale per i minorenni. Tale affermazione non è senza importanza, se solo si considera che, ancora di recente, la Corte costituzionale, investita – in fattispecie parzialmente analoga – di questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge n. 184/83 (relativi all’efficacia dei provvedimenti di adozione di minori stranieri, pronunciati all’estero), ha dichiarato l’inammissibilità della questione perché il giudice rimettente “ha erroneamente trattato la decisione straniera come un’ipotesi di adozione da parte di cittadini italiani di un minore straniero (cosiddetta adozione internazionale), mentre si trattava del riconoscimento di una sentenza straniera” (così il comunicato stampa diffuso al termine della Camera di consiglio del 24 febbraio 2016; le motivazioni dell’ordinanza non sono ancora state depositate).

Dalla dichiarata applicabilità degli artt. 65 e 66 della legge n. 218/95 consegue che all’ufficiale di stato civile e, se del caso, al giudice adito in sede di impugnazione del diniego di trascrizione, compete unicamente verificare che il provvedimento di cui si richiede la trascrizione produca effetti nell’ordinamento in cui è stato pronunciato e non sia contrario all’ordine pubblico.

Particolarmente interessanti, allora, le motivazioni che la Corte di Appello di Napoli adduce per escludere la contrarietà all’ordine pubblico del provvedimento francese di adozione coparentale legittimante. In primo luogo, il concetto di “ordine pubblico internazionale”, rilevante nella specie, è ricostruito dalla decisione attraverso il riferimento deciso alla “sinergia che proviene dall’interazione delle fonti sovranazionali con quelle nazionali”, la cui importanza è decisiva in un sistema di protezione dei diritti plurale e articolato su più livelli, quale quello europeo. Da ciò discende, prosegue la decisione, “l’apertura internazionalista del concetto di ordine pubblico” e non può essere revocata in dubbio l’incidenza degli strumenti sopranazionali di protezione dei diritti “sull’individuazione del limite di recepimento della norma straniera, partecipe di ordinamento anch’esso soggetto a quel sistema di fonti”. Proprio dalla considerazione della costellazione normativa integrata (interna/internazionale/sopranazionale) deriva che “non vi è alcuna ragione per ritenere in linea generale contrario all’ordine pubblico un provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra persone coniugate e i rispettivi figli riconosciuti dei coniugi, anche dello stesso sesso”, con la significativa precisazione che la valutazione della corrispondenza dell’adozione all’interesse superiore del minore spetta unicamente all’autorità straniera che l’ha pronunciata, con esclusione di qualunque valutazione discrezionale, in merito, da parte dell’autorità nazionale (amministrativa o giurisdizionale) che provveda alla trascrizione.

AS       articolo 29                  6 aprile 2016                                     sentenza

www.articolo29.it/2016/la-corte-dappello-di-napoli-ordina-la-trascrizione-di-due-adozione-legittimante-del-figlio-del-coniuge-omosessuale/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+articolo29+%28articolo29.it%29

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PARLAMENTO

Camera 1° Commissione Affari costituzionali. Giornata nazionale della famiglia.

Proposta di legge C1950 Sberna e altri Istituzione della Giornata nazionale della famiglia, presentata il 14 gennaio 2014.

www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0019090&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=1950-e-sede=-e-tipo=

5 aprile 2016. La Commissione prosegue l’esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 31 marzo 2016.

Gian Luigi Gigli (DeS-CD), relatore, interviene al fine di rasserenare il clima che si era manifestato nel dibattito sulla proposta di legge all’esame. Clima, a suo avviso, modificato da alcuni passaggi. Tra questi il progetto di legge sulle unioni civili, approvato dal Senato e ora all’esame della Camera, che ha chiarito a cosa ci si riferisca nel diritto italiano col termine famiglia. Inoltre nell’ultima legge di stabilità è stata approvata la carta della famiglia e, a livello governativo, è stata attribuita al Ministro Costa la delega sulla famiglia.  Invita, quindi, a un rapido esame parlamentare, per approvare definitivamente la proposta legge prima del 15 maggio, data indicata dall’ONU come giornata internazionale della famiglia sin dal 1981.

Andrea Mazziotti Di Celso, presidente dichiara concluso l’esame preliminare e ricorda che il termine per la presentazione di emendamenti è stato fissato a lunedì 11 aprile alle ore 14.

pag. 20

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=04&giorno=05&view=&commissione=01&pagina=data.20160405.com01.bollettino.sede00020.tit00030#data.20160405.com01.bollettino.sede00020.tit00030

Camera 2° Commissione Giustizia Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.

Proposta di legge C3634. “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” (approvata dal Senato), in sede referente, relatrice Micaela Campana, PD.

6 aprile 2016. La Commissione prosegue l’esame, rinviato nella seduta del 17 marzo 2016.

Donatella Ferranti, presidente, avverte che sono pervenute circa 900 proposte emendative al provvedimento in discussione (il cui esame sarà avviato nella seduta odierna, per concludersi in tempo utile per rispettare la programmazione dei lavori dell’Assemblea. Ricorda che il provvedimento risulta essere tra i primi iscritti nel programma dei lavori dell’Assemblea per il mese di maggio.

Micaela Campana (PD), relatrice, rilevando come tutte le proposte emendative presentate siano state oggetto di attenta valutazione, formula sulle stesse un invito al ritiro, esprimendo altrimenti parere contrario. Al riguardo, osserva che buona parte degli emendamenti in questione sono diretti a modificare in modo radicale l’impianto complessivo del provvedimento, oppure, a reintrodurre disposizioni che sono state oggetto di stralcio nel corso dell’esame presso l’altro ramo del Parlamento.

Vengono votati alcuni emendamenti.                         pag. 23

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=04&giorno=06&view=&commissione=02&pagina=data.20160406.com02.bollettino.sede00010.tit00010#data.20160406.com02.bollettino.sede00010.tit00010

7 aprile 2016. Nelle due sedute vota emendamenti.              pag. 14 e pag. 27

Il sottosegretario Gennaro Migliore precisa che mentre al Senato il Governo inizialmente si è rimesso all’Aula, il testo approvato in fine dal Senato, è pienamente condiviso dal Governo essendo il risultato dell’approvazione di un maxiemendamento sul quale è stata posta la fiducia. È naturale, quindi, che il Governo abbia espresso parere contrario su tutti gli emendamenti. Si tratta di un testo che risponde a vincoli sia europei che costituzionali in merito alla necessità di regolamentare i rapporti tra persone dello stesso sesso.

http://.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=04&giorno=07&view=&commissione=02&pagina=data.20160407.com02.bollettino.sede00010.tit00010#data.20160407.com02.bollettino.sede00010.tit00010

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PATERNITÀ

Dichiarazione giudiziale di paternità naturale

            Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza 23 febbraio 2016, n. 3479.

In tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale deve escludersi qualsiasi subordinazione della ammissione degli accertamenti immuno-ematologici all’esito della prova storica sulla esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre del riconoscendo. Il principio della libertà di prova sancito, in materia, dall’articolo 269 del Cc – infatti – non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una sorta di gerarchia assiologia tra i mezzi di prova idonei a dimostrare la paternità naturale, né, conseguentemente, mediante la imposizione al giudice di una sorta di ordine cronologico nella loro ammissione e assunzione, a seconda del tipo di prova dedotta, avendo – per converso – tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge. Una diversa interpretazione si risolverebbe in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione, garantito dall’articolo 24 della Costituzione, in relazione a una azione volta alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status

Avv. Renato D’Isa                 newsletter 7 aprile 2016                    sentenza

renatodisa.com/2016/04/07/corte-di-cassazione-sezione-i-sentenza-23-febbraio-2016-n-3479-in-tema-di-dichiarazione-giudiziale-di-paternita-naturale-deve-escludersi-qualsiasi-subordinazione-della-ammissione-degli-accertamen

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SESSUALITÀ

Storie d’amore (I) La sessualità alla luce della Bibbia

            Con l’esortazione apostolica Amoris laetitia papa Francesco ha reso “gioiosa notizia”, evangelo, la coppia e la sessualità; cade ogni visione cinica e angosciata della sessualità e l’annuncio dell’amore tra uomo e donna riprende il suo splendore di verità senza abbagliare.

Le storie d’amore raccontate nell’Antico Testamento dicono il bisogno di amare e di essere amati al cuore di ogni persona e rivelano che il cammino di umanizzazione, particolarmente nella sfera sessuale, è lento e difficile. Storie che fanno capire che dovunque ci sono dei frammenti di amore, anche nelle strade che sembrano “sbagliate”. Storie che mettono in luce la differenza tra l’uomo e la donna, entrambi chiamati a stare l’uno di fronte all’altra nel rispetto dell’alterità, e ad amarsi custodendo questa alterità.

            Incontro tenuto da fr. Enzo Bianchi a Bose il 10 aprile 2016

Ascolta un passaggio dell’incontro

www.monasterodibose.it/edizioni-qiqajon/enzo-bianchi-storie-di-amore-parte-prima

L’annuncio cristiano della sessualità.

La sessualità è un’arte, un cammino faticoso, una realtà in cui si gioca tutta l’esistenza umana. È una dimensione di cui parliamo con difficoltà, eppure la sessualità è essa stessa un linguaggio: linguaggio del desiderio, dell’amore, della relazione. La sessualità umana si contraddistingue per essere una sessualità “parlata”.

            All’interno della fede cristiana, la sessualità si pone sul piano della rivelazione prima ancora che dell’etica; è un annuncio il cui contenuto è strettamente legato al tema dell’incarnazione, della morte e della resurrezione. «Il corpo è per il Signore e il Signore è per il corpo» (cf. 1Cor 6,13): corpo offerto al Signore nella sequela quotidiana, e al tempo stesso testimonianza che il Signore con la sua grazia è al servizio del nostro corpo. La sessualità come incontro nella vicenda dell’amore: è il “mistero grande” che la parola di Dio può illuminare. La riflessione propone un itinerario in ascolto della rivelazione biblica e dell’esperienza umana.

            In un doppio CD è inciso l’incontro tenuto da fr. Enzo Bianchi a Bose il 15 aprile 2012.

www.monasterodibose.it/edizioni-qiqajon/enzo-bianchi-annuncio-cristiano-della-sessualita

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SINODO SULLA FAMIGLIA

Schönborn: superata la divisione tra «regolare» e «irregolare»

L’intervento dell’Arcivescovo di Vienna alla presentazione dell’Esortazione di papa Francesco: occorre «fare autocritica» e «dare spazio alla coscienza dei fedeli»

Con Amoris Laetitia «qualcosa è cambiato nel discorso ecclesiale». Ne è convinto il cardinale Christoph Schönborn che, presentando il testo del Papa in Vaticano, ha esclamato: «La mia grande gioia per questo documento sta nel fatto che esso superi l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra “regolare” e “irregolare”».

            «Si tratta di integrare tutti», la frase-guida del documento: «Tutti noi – ha commentato il Cardinale -, a prescindere dal matrimonio e dalla situazione familiare in cui ci troviamo, siamo in cammino. Anche in un matrimonio in cui tutto va bene si è in cammino. Si deve crescere, imparare, superare nuove tappe, conoscere il peccato e il fallimento, e avere bisogno di riconciliazione e di nuovo inizio, e ciò fino in età avanzata».

            Nel discorso ecclesiale sul matrimonio e sulla famiglia, invece, «c’è spesso la tendenza a condurre su due binari il discorso su queste due realtà della vita. Da un parte ci sono i matrimoni e le famiglie che sono “a posto”, che corrispondono alla regola, dove tutto “va bene” ed è “in ordine”, e poi ci sono le situazioni “irregolari” che rappresentano un problema. Già il termine stesso “irregolare” suggerisce che si possa effettuare una tale distinzione con tanta nitidezza».

            In questo modo, ha denunciato Schönborn, «chi viene a trovarsi dalla parte degli “irregolari” deve convivere con il fatto che i ”regolari” si trovino dall’altra parte. Come ciò sia difficile per quelli che provengono, essi stessi, da una famiglia patchwork, mi è noto di persona, a causa della situazione della mia propria famiglia. Il discorso della Chiesa qui può ferire, può dare la sensazione di essere esclusi».

            Parlare delle famiglie «così come sono». Nell’Amoris Laetitia il Papa «ci invita a parlare delle nostre famiglie così come sono», ha fatto notare il cardinale Schönborn, parlando di «autocritica necessaria» per la comunità ecclesiale, che spesso pecca di «idealizzazione eccessiva» nel modo di presentare il matrimonio, facendo sì che esso non sia «più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario». È lo stesso Francesco a chiedere «una salutare reazione autocritica», perché «solo la motivazione può far amare il matrimonio cristiano e la famiglia», ha commentato il Cardinale.

            Di qui la necessità di essere «umili e realisti», riconoscendo di aver presentato a volte «un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono». «Dare spazio alla coscienza dei fedeli», l’altra indicazione del Papa, che si ricollega «alla grande tradizione gesuitica dell’educazione alla responsabilità personale», mettendo in guardia da «due pericoli contrari: il laissez faire e l’ossessione di voler controllare e dominare tutto». «Discernimento personale» e «discernimento pastorale», nell’ottica dell’Amoris Laetitia, vanno insieme: solo così si può non essere «telecomandati», ma «persone maturate nell’amicizia con Cristo». Il consiglio dell’arcivescovo di Vienna: cominciare a leggere l’esortazione post-sinodale dai capitoli 4 e 5, definiti da Bergoglio «centrali».

            Su divorziati risposati «discernimento e accompagnamento». Già nei due Sinodi sulla famiglia il Papa «desiderava espressamente una discussione aperta sull’accompagnamento pastorale di situazioni complesse», e proprio le relazioni finali dei due Sinodi sono state ampiamente recepite nell’Amoris Laetitia per «mostrare come accompagnare, discernere e integrare le fragilità», ha sottolineato il cardinale Schönborn. «Non ci aiuta la casistica, ma il discernimento e l’accompagnamento», ha detto a proposito delle famiglie in situazioni cosiddette “irregolari”: per questo Francesco rimarca che «resteranno delusi» quanti volessero trovare nel documento «una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi».

            Quanto all’accesso alla comunione per i divorziati risposati, tema non affrontato nel testo, ma solo nella nota 351,

[351] In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore» (Esort. ap. Evangelii gaudium [24 novembre 2013], 44: AAS 105 [2013], 1038). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli»

Schönborn ha ipotizzato che forse l’intenzione del Papa è stata quella di «non far cadere nella trappola di focalizzarsi solo su questo punto». «A 50 anni dal Concilio – la proposta dell’arcivescovo di Vienna – ci si potrebbe porre il problema del rinnovamento della nostra prassi sacramentale in genere».

            Riguardo al discernimento che è chiamato ad esercitare il vescovo, «i principi sono chiari – ha detto Schönborn rispondendo alle domande dei giornalisti -, ma quanto più si scende nelle situazioni concrete diventa delicato discernere», anzi a volte provoca «una certa ansia, una certa angoscia». «Non si può giocare coi sacramenti, non si può giocare con la coscienza», ha ammonito il porporato, ricordando che già dal n. 84 della Familiaris Consortio per l’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati occorre fare ricorso «alla grande tradizione della Chiesa, e al suo ricorso alla prudenza pastorale».

            «Non c’è cambiamento, ma sviluppo»

«Ci sono vere novità, ma non rotture – ha precisato -, così come non c’è stata una rottura quando Giovanni Paolo II ha parlato di immagine di Dio applicata all’uomo e alla donna». Il Santo polacco, per Schönborn, ne ha fatto «il centro del suo insegnamento sul matrimonio, ma sfido qualunque teologo a dirmi quanto nella tradizione della Chiesa sia stato fatto» per portare avanti queste acquisizioni. A proposito delle cosiddette situazioni “irregolari”, per esempio, secondo Schönborn «molto era implicito nella Familiaris Consortio: lo sviluppo è che papa Francesco lo dica esplicitamente. È il caso classico dello sviluppo organico della dottrina». Nell’Amoris Laetitia, in sintesi, «c’è innovazione e continuità», ha sintetizzato il porporato austriaco facendo riferimento al famoso discorso di Benedetto XVI sull’ermeneutica della continuità nel Concilio.

www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/sch%C3%B6nborn-superata-la-divisione-br-tra-regolare-e-irregolare-1.126399

Il vescovo Brambilla: “Eucaristia ai divorziati? Non sarà un ticket”

Il cuore della nuova Esortazione? “L’intreccio dei capitoli quarto e quinto, dove il Papa delinea il frutto del ‘lavoro dell’amore'”. La comunione ai divorziati risposati? Sarà il frutto di “un discernimento pastorale e personale, non un ticket da staccare”. La dottrina tradizionale? “Non viene derogata in nessuna parte, ma c’è una forte attenzione alle persone”. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e vicepresidente della Cei per il Nord Italia, ha tutte le carte in regola per cogliere il senso più autentico dell’Amoris laetitia. Non solo perché teologo originale, ma per la sua partecipazione al Sinodo 2015, dove è stato relatore di uno dei circoli in lingua italiana.

            Perché ritiene che i capitoli quattro e cinque siano il “cuore” dell’Esortazione?

Voglio proporre un’immagine: quando si apre la custodia che contiene l’anello di fidanzamento con un diamante, per prima cosa si ammira la pietra preziosissima. Il diamante dell’Amoris laetitia è il capitolo quarto incastonato nella corona del capitolo quinto. Papa Francesco, prendendo il canovaccio dell’inno alla carità di san Paolo (1 Cor 13), svolge una riflessione affascinante sul “lavoro dell’amore”. Prima umano che cristiano. O meglio più umano perché diventa cristiano. Con una sapienza pedagogica, in cui sento risuonare la finezza psicologica e umana delle analisi del cardinale Martini, il Papa scava nei sentimenti dell’amore e nell’amore come sentimento, perché sappiamo lavorarlo in profondità. Egli tiene insieme la bellezza e la saggezza del lavoro dell’amore, cercando di non idealizzare il rapporto con l’altro, perché solo accogliendone il limite, l’amore porta entrambi in un paese inesplorato.

            Proprio nel quarto capitolo il Papa dedica alcuni paragrafi all’eros coniugale. Come dobbiamo inquadrarli?

L’agape lavora dal di dentro l’eros dell’uomo e lo porta verso vette sconfinate: la pazienza, la benevolenza, la guarigione dell’invidia, la lotta all’orgoglio, l’amabilità, il distacco generoso, il perdono, la gioia condivisa, l’empatia, la fiducia, la speranza nell’altro, l’affronto delle contrarietà, sono come la scala di Giacobbe che unisce la terra dell’eros con il cielo dell’agape (cristiana) (nn. 90120). Si può lavorare sull’amore e con l’amore, se si sente che “la più grande amicizia” (n. 122, san Tommaso d’Aquino) è preceduta e avvolta dall’agape misericordiosa di Dio: prima nella coppia, poi nella generazione, e, infine, nel contesto della vita familiare.

            Ma “il lavoro dell’amore” a quali esiti dovrebbe condurre?

Mi sovviene una bella espressione di Rosmini, che legava strettamente l’aspetto unitivo e generativo dell’amore. Egli, quasi due secoli fa, non parlava di due fini, ma di un Bene unico della “società coniugale”: “È il bene dei coniugi: se veramente si desidera il bene del coniuge, lo si desidera tutto, lo si desidera il più esteso possibile, lo si desidera nella maniera più duratura possibile. È un profondo desiderio di totalità ed eternità di questo bene-amore. Facendolo diventare un amore generante vita”. Il bene della coppia genera la vita, la vita generata è il bene della coppia. Questo è il frutto del “lavoro dell’amore”. Ecco perché l’intreccio dei due capitoli centrali è il cuore dell’Esortazione. Da lì si diparte l’anello d’oro della prima parte storico-teologica e della seconda pastorale-spirituale.

All’inizio dell’Esortazione il Papa ricorda gli interventi dei padri sinodali come “prezioso poliedro”. Lei che era presente, si ritrova in questa espressione?

Il Sinodo è stata una vera esperienza di cattolicità, che ci ha dato l’immagine plastica di questo “poliedro”. Nel Sinodo il mondo con la famiglia è entrato nella Chiesa e la Chiesa ha tentato di dire il Vangelo dentro l’alfabeto della vita umana. A una prima lettura del testo papale è sorprendente il richiamo alla grande tradizione della Chiesa: alla misericordia come centro del Vangelo e stile della vita cristiana, a san Tommaso, al Concilio, Paolo VI, san Giovanni Paolo II, citato abbondantemente, fino a Benedetto XVI.

            Se dovessimo indicare tre punti per mettere in luce la novità del nuovo documento?

Le novità mi sembrano: l’orizzonte del Giubileo della misericordia, con una presentazione positiva della dottrina, che non viene derogata in nessuna parte, ma con una forte attenzione alle persone; l’inclinazione pastorale del testo, che richiama la famosa regola di Evangelii gaudium, che il “tempo è superiore allo spazio” e avvia percorsi di rinnovamento; e anche un’autocritica ai linguaggi ecclesiali, preoccupati più dell’affermazione delle norme che del raccordo con la coscienza e la vita delle persone.

            Riammissione ai sacramenti per i divorziati risposati. Quali indicazioni nell’Amoris laetitia?

Questo tema è stato usato come la cartina di tornasole del Sinodo. L’intervento del Papa ci spiazza. Il capitolo ottavo è totalmente dedicato a questo argomento con la guida di tre verbi: accompagnare, discernere e integrare. Anche la complessità di questa parte ci fa intuire l’ascolto della sofferenza delle persone coinvolte, perché non esistono “semplici ricette” (Benedetto XVI citato al n. 299). Il percorso avviato è indicato al n. 300: non una normativa canonica generale, ma un accompagnamento in foro interno, un discernimento pastorale e personale, e un’integrazione graduale e responsabile. La comunione eucaristica non può essere un premio, un diritto o un ticket da staccare. Inizia un percorso e un’avventura di una Chiesa accogliente, che cammina a fianco della sofferenza delle persone, senza tradire in alcun modo la bellezza dell’amore e della famiglia.

            Tanto impegno per la famiglia ma intanto i matrimoni continuano a calare. Dove abbiamo sbagliato?

Non si è visto a sufficienza che eravamo davanti “non a un’epoca di cambiamenti, ma a un cambiamento d’epoca”. Il passaggio dalla famiglia “patriarcale” alla famiglia “nucleare”, con una coppia che vive in appartamento; la difficoltà crescente a collegare emozioni e affetti con la scelta di vita e la nascita conseguente del fenomeno della convivenza per provare. Sono due fenomeni che hanno posto la famiglia in uno splendido isolamento. Questa è una sfida non solo per la Chiesa, ma anche per la società. A meno di pensare a una società atomizzata, di individui soli, che è la morte di ogni legame sociale! Soprattutto la Chiesa dovrà mostrarlo con una pastorale più empatica, una parrocchia che è “famiglia di famiglie”, una comunità che non teme di spendere la sua moneta più preziosa per il futuro della coppia e delle nuove generazioni. Perché esse sono il nostro vero “capitale” del futuro.

Luciano Moia             Avvenire                    9 aprile 2016

www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/Eucaristia-ai-divorziati-Non-sar-un-ticket-.aspx austriaco

Spadaro: Amoris Laetitia, la dottrina è radicalmente pastorale.

Nell’ultimo numero della rivista La Civiltà Cattolica, il direttore, il padre gesuita Antonio Spadaro, illustra il significato e la struttura dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia di Papa Francesco, pubblicata ieri come frutto di due Sinodi sulla famiglia. Il documento è descritto come aderente all’esperienza quotidiana e capace di superare visoni astratte della famiglia.

R.- In fondo questa è un’esortazione che può leggere chiunque, non è riservata agli addetti ai lavori. Quindi direi che il respiro è assolutamente ampio e intriso di esperienza. Soprattutto è importante l’insistenza del Papa sull’evitare ogni forma d’inutile astrazione idealistica di cui spesso è stato intriso il linguaggio teologico. Amoris Leatitia intende ribadire con forza non l’ideale astratto della famiglia ma la sua realtà ricca e complessa. C’è un approccio assolutamente positivo nei confronti della realtà, accogliente, cordiale.

D.-Possiamo dire dunque un documento che afferma come teologicamente non esistano verità astratte.

R. – Il Papa afferma che c’è una dottrina cristiana il cui significato deve essere radicalmente pastorale. Questo in fondo mi sembra il cuore, il motore dell’Esortazione Apostolica, cioè la dottrina è radicalmente pastorale, serve – come dice il Diritto Canonico – per la “salus animarum”, cioè la salvezza delle anime, delle persone. Se non c’è questo la dottrina diventa un insieme di pietre inutili.

D. – Sembra abbastanza chiaro che una delle parole chiave di questo documento sia discernimento. Ma quale significato assume nel cuore dell’Amoris Laetitia?

R. – Il discernimento significa – nella prospettiva ignaziana – soprattutto cercare e trovare Dio nella propria vita. Quindi è chiaro che c’è un riferimento forte alla dottrina evangelica che però poi si incarna nella mia vita concreta, quindi nella mia libertà, nella mia coscienza, nei miei limiti. Quindi il Papa concentra la sua attenzione su questo dialogo profondo tra l’uomo e Dio e su come la verità evangelica possa prendere forma all’interno di una vita umana.

D. – Questo non significa che c’è una verità ma poi nella pratica si possono fare degli strappi alla regola?

R. – Una volta il Papa disse, scandalizzando un po’, che la verità è relativa. Che cosa voleva dire? Non che la verità non sia assoluta, ma che è relativa alle persone, cioè se non c’è l’essere umano, la verità evangelica rimane sola, isolata, inutile. Quindi il discernimento consiste nel comprendere come la verità evangelica si incarna concretamente nella mia esistenza, nella mia persona.

D. – Circa la situazione delle famiglie ferite, quelle situazioni cosiddette “irregolari”, come dice Papa Francesco, il documento sottolinea l’importanza di non porre limiti all’integrazione.

R. – Il Papa ha sempre insistito sulla necessità di integrare anche coloro che non sono in grado di vivere nella pienezza della vita cristiana. E la Chiesa madre, la Chiesa misericordiosa, è esattamente questo: una Chiesa che accoglie i suoi figli. Ciò significa che una norma canonica non può essere applicata sempre, comunque, in tutti i casi, in qualunque situazione, proprio perché esiste la coscienza. Quindi a volte ci si trova ad avere una situazione di peccato oggettivo – diremmo – dove però non c’è una colpevolezza soggettiva. Allora, un giudizio oggettivo su una situazione soggettiva non implica un giudizio sulla colpevolezza della persona coinvolta. Questo è un passaggio molto importante perché mette in risalto la coscienza e perché appunto non pone più un limite all’integrazione, neanche a quella sacramentale.

D. – In questo testo il Papa ripete un’affermazione centrale dell’Evangelii Gaudium: “Il tempo è superiore allo spazio”. Nell’ambito della pastorale famigliare, cosa significa?

R. – La vita famigliare è un processo di maturazione che richiede tempo e che si dispiega nel tempo. È molto bella l’immagine di questo processo che avviene nella libertà. Il Papa parla spesso di maturazione, parla di crescita, di coltivazione dell’autentica autonomia. Quindi la Chiesa non deve essere, come ogni buona madre, troppo ossessiva nei confronti dei suoi figli, come se dovesse essere spazialmente presente sempre e dovunque accanto al figlio. L’importante è che ci sia un’intenzionalità e una vicinanza di cuore, che ci sia una sintonia che poi valorizzi la crescita e la libertà delle persone.

D. – L’attenzione dell’opinione pubblica, della stampa, era particolarmente mirata a vedere cosa avrebbe detto il Papa sulla questione della possibilità dell’accesso ai Sacramenti per i divorziati e risposati. Quale risposta dà questo documento?

R. – Probabilmente la domanda se i divorziati e risposati possono accedere ai Sacramenti o meno non ha più senso, perché fa riferimento all’idea di una norma generale applicabile a tutti i casi, quindi positiva o negativa. Il Papa smonta questa logica e afferma l’importanza del discernimento davanti a situazioni che sono molto differenti. Allora, innanzitutto, afferma con grande chiarezza che siamo chiamati a formare le coscienze non a pretendere di sostituirle. Quindi, dà grande valore alla coscienza che poi si deve confrontare con i pastori. È nel confronto con questi ultimi che si comprende qual è la situazione effettiva che le persone stanno vivendo, qual è il grado di responsabilità e si può capire quindi se questo accesso è possibile o meno.

D. – Il testo chiude il percorso sinodale sulla famiglia, ma apre qualcos’altro?

R. – Io non sarei così sicuro che questo testo chiuda qualcosa. Io ritengo che i testi di Papa Francesco non chiudano mai nulla. Semmai è una tappa molto importante a livello magisteriale, di alto profilo, all’interno del percorso sinodale che è stato aperto pochi mesi dopo l’elezione di Papa Francesco ma che certamente continuerà con l’approfondimento.

Fabio Colagrande      Notiziario Radio vaticana -9 aprile 2016

            http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Struttura e significato dell’esortazione apostolica post-sinodale di papa Francesco

Amoris laetitia è il titolo dell’Esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco, firmata il 19 marzo 2016 e pubblicata il successivo 8 aprile. Il titolo dice l’ispirazione positiva e aperta propria dell’ampio e ricco documento. La preoccupazione fondamentale del Pontefice è quella di ricontestualizzare la dottrina al servizio della missione pastorale della Chiesa. Il linguaggio e le tematiche trattate sono permeate da un profonda aderenza all’esperienza quotidiana, fornendo vie pastorali che orientano a costruire famiglie solide e feconde secondo il piano di Dio. Si fornisce inoltre un’ampia riflessione sull’educazione dei figli e sulla spiritualità familiare. Andando al di là di ogni idealismo, l’Esortazione invita alla misericordia e al discernimento anche davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore ci propone, riproponendo la centralità della coscienza e la gradualità nell’approccio pastorale.

Antonio Spadaro S.I.                         www.laciviltacattolica.it/it

            http://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it/2016/04/antonio-spadaro-amoris-laetitia-di-papa.html

Francesco e la riforma dell’amore.

Per spostare l’asse attorno al quale ruotava da cinque secoli la storia del matrimonio bisognava ripensare una parola: “amore”. La parola con cui inizia l’esortazione post-sinodale di papa Francesco da ieri affidata ai suoi tre destinatari: il tempo, i vescovi e le chiese locali che entrano così in uno stato sinodale. “Amoris Laetitia”, partendo da una lettura biblica profonda, non evade i temi su cui la chiesa era attesa al varco: la comunione dei divorziati risposati, la dignità delle persone omosessuali, la visione della sessualità.

Sul primo punto Francesco difende la propria posizione nella cruciale nota 336.

[336] Nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave. Qui si applica quanto ho affermato in un altro documento: cfr Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 44.47: AAS 105 (2013), 1038-1040.

La chiesa di Bergoglio non s’affida a un divieto o a un permesso, ma al discernimento: col quale si può capire quando in una situazione «particolare, non c’è colpa grave». Le coppie “cosiddette irregolari” (quel “cosiddette” vale tutta l’esortazione…) cessano di essere un “caso”, e diventano i destinatari dell’eucarestia, che non è l’onorificenza dei presuntuosi, ma “l’alimento dei deboli”. Francesco non offre una “apertura” paternalistica: dice a quei preti che hanno comunicato i divorziati risposati sapendo cosa facevano che non hanno agito contro la norma, ma secondo il vangelo. E riconsegna ai vescovi la loro funzione di giudici: non devolvere loro una grana, ma riconosce che nella funzione di “pastore e capo della sua chiesa” del vescovo c’è la grazia necessaria ad ascoltare, accogliere, perdonare e insegnare a perdonare.

Sulle persone omosessuali “Amoris Laetitia” non ripete l’errore compiuto nel primo sinodo dei vescovi: quando si fecero aperture rivelatesi immature e che oggi il papa recupera con qualche cautela. Francesco bada soprattutto a non creare ostacoli per un progresso nella fede che passerà dal tempo, dai vescovi e dalle chiese: ripete dunque la formula del catechismo vigente che proibisce “ogni marchio di ingiusta discriminazione” contro gay e lesbiche: senza però cassare quella limitazione (“ingiusta”) che è ingiusta in sé. Dichiara che una eguale “dignità” della persona esige “rispetto”: anche se adotta il linguaggio ambiguo della “tendenza”. Fa sua la contrarietà dei vescovi del sud del mondo al gay marriage senza però porre una questione di “natura”: e così non pregiudica il discorso sulla “amoris laetitia” che anche lesbiche e gay sperimentano.

Infine, pur elogiando i metodi naturali di Paolo VI, condanna la contraccezione di Stato, ma non quella dei singoli: e apre a parti inattese, come l’elogio della gioia erotica che non appare più come irrealistiche e senza spiritualismi.

Sbaglierebbe, però, chi pensasse che “Amoris Laetitia” si riduca all’ultimo rigore di un derby fra rigoristi e possibilisti finito in parità ai tempi supplementari, e tirato dal papa a porta vuota. L’atto ha qualcosa di epocale proprio perché sposta l’asse del discorso sul coniugio, che dal concilio di Trento in qua era chiuso in una gabbia giuridico- filosofica strettissima. Talmente solida che perfino la secolarizzazione aveva inventato un “matrimonio civile” prigioniero degli stessi paradigmi del matrimonio tridentino: autorità, norma e fini di ordine sociale e di procreazione che placavano la forza eversiva del desiderio. Questa concezione aveva superato il matrimonio di “puro consenso” (in cui era possibile perfino qualche matrimonio gay) e aveva resistito fino a ieri: lo dimostra il recente e debolissimo dibattito italiano sulle unioni civili, incagliatosi sui figli, senza percepire quei valori che “Amoris Laetitia” riconosce in unioni che vuole equiparate al matrimonio, ma non vuole ridurre ad atto privato.

Dato che quella gabbia concettuale di un matrimonio fatto di fini era nata nella chiesa, toccava dunque alla chiesa ricominciare a dire che l’esperienza dell’amore – minaccia o tomba del matrimonio secondo i bigotti religiosi e i bigotti irreligiosi – è la sola su cui risplenda la luce del Regno, la sola redenta dalla croce, la sola a cui soccorre il perdono e la pazienza, la sola per cui valga la pena di affrontare la fragilità della relazione e il dolore che dalla sua stessa intensità può scaturire. Rimettere l’amore al primo posto liberandosi di astrazioni “fredde” che non corrispondono né alla rivelazione né alla relazione è il compito che s’è dato questo lungo documento.

«Non consiglio una lettura generale affrettata», raccomanda sornione Francesco. Che, anziché farsi intrappolare nella falsa dicotomia di un moralismo permissivo e un moralismo proibitivo, ha fatto un passo avanti nella sua riforma del magistero e del papato. Il magistero, secondo Francesco, deve rinunciare ad essere onnivoro: «Non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero»; deve liberarsi dall’idea che l’astrazione sia un bene in sé (perché la norma è tanto più incerta quanto più si avvicina al caso concreto); deve dare l’esempio di essere “umile e realista” davanti agli errori della chiesa che Bergoglio elenca in una di quelle liste impietose, tipiche della sua predicazione: errori nel presentare le “convinzioni cristiane”, nel “trattare le persone”, nel proporre un “ideale teologico”, nel praticare una “idealizzazione” del matrimonio mistificante, che alla fine ha ingenerato una sfiducia “nella grazia” (proprio così: “nella grazia”!) che ha fatto sì che anziché rendere il matrimonio “più desiderabile e attraente” ha fatto “tutto il contrario”.

Il papato – che esce più forte non per motivi politici o geopolitici, ma per la bellezza evangelica di alcuni passaggi sui bambini disabili, per la descrizione così vera della pazienza e delle crisi coniugali, per la fermezza con cui chiede quel rispetto per l’altro che la chiesa non aveva mai insegnato agli ex coniugi – scrive con questo atto un altro capitolo della propria riforma.

L’esortazione post-sinodale – inventata da Paolo VI davanti alle impasse del sinodo del 1974, usata per fini disciplinari o teologici da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI – cambia Dna con “Amoris Laetitia”. Davanti a un documento che Francesco ha fatto votare ai vescovi e che ha raggiunto sempre i 2/3 dei voti si muove con libertà e rispetto: cita, trascrive, glossa, integra, corregge. Lo intreccia con la propria teologia e con le citazioni delle Conferenze episcopali, rovesciando la diffidenza romana per questi organi di comunione (che vent’anni fa raggiunse il proprio apice, e generò disastri). Riplasmando il genere della esortazione Francesco restaura un altro pezzo di sinodalità come principio del cattolicesimo latino. Documenta che la collegialità episcopale – cioè quel carattere che per diritto divino rende i vescovi “cum et sub Petro” successori del collegio apostolico – non diminuisce il ministero papale, ma lo esalta liberandolo da una concezione “monarchica” del pontificato di stampo medievale.

Che una riforma del papato di questo tipo fosse l’agenda della chiesa lo dicevano molti da molto tempo. Peter Hünermann – teologo tedesco impegnato per decenni in una disputa senza esclusione di colpi con Ratzinger – aveva scritto che il papa doveva diventare un “notarius publicus” della chiesa: un “papa notaio”, che registrava e armonizzava le voci episcopali, senza affidare al centralismo della sua corte decisioni frettolose, destinate a diventare inciampo (interessante da questo punto di vista il trattamento della contraccezione di “Amoris Laetitia”). Francesco dimostra che chi, come Ratzinger, per negare quella prospettiva vedeva nelle conferenze episcopale una minaccia alla solitudine del potere petrino aveva torto; e che la figura “notarile” immaginata da Hünermann era insufficiente.

Con “Amoris Laetitia” il papato si propone come la guida di un “coro” – l’antico titolo di Pietro era

proprio “corypheus apostolorum”. Il papa “corifeo” mette a disposizione di tutti il tempo, il carisma dei vescovi, la sinodalità delle chiese, per una maturazione necessaria. Necessaria perché l’amore reale vissuto dalle ragazze e dai ragazzi che non si sposano (e anche da quelli che la chiesa non vuole che si sposino perché omosessuali) sentano il tepore della luce del Regno nella loro vita vissuta. Necessaria perché il magistero inizi a “trasfigurarsi” per non essere più «mera difesa di una dottrina fredda e senza vita» che indossa il cristianesimo senza averlo dentro ma diventi testimonianza credibile dell’amore “malgrado tutto”.

Alberto Melloni                                 “la Repubblica”        9 aprile 2016

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La meravigliosa complicatezza del bene possibile e la “dolce lunghezza” di Amoris Laetitia

Nella Esortazione Apostolica “Amoris Laetitia” leggiamo l’inizio autorevole di uno sguardo diverso sulle forme dell’amore umano. La “dolce lunghezza” di un documento che apre un’epoca nuova, alla luce della Parola di Dio e della esperienza degli uomini Non era difficile pensare che avremmo trovato, in Amoris Laetitia, tutte le tracce del cammino, ricco e complesso, che la Chiesa ha compiuto negli ultimi tre anni. Ma in esso si esprime, ben di più, il travaglio fecondo di una cammino molto più lungo, che inizia l’indomani della perdita del potere temporale, nel 1880 e che arriva, lungo tappe numerose e differenziate, a questo nuovo passaggio epocale. Solo una lettura più attenta potrà meglio chiarire la portata e la articolazione di questo documento.

Per il momento possiamo solo reagire ad alcuni elementi nuovi e rilevanti del testo:

  1. Si esce dalla logica di un “documento sul matrimonio o sulla famiglia”–come era ancora per Familiaris Consortio e come era all’inizio Arcanum Divinae sapientiae, nel 1880, di Leone XIII,–e si entra in una considerazione che potremmo definire, in senso ampio “pastorale” e “morale” della questione dell’amore. Solo così si può comprendere appieno l’amplissima campata del documento, che ha, al suo interno, livelli diversi di presa di parola, che vanno dal sapienziale al descrittivo, dal morale al biblico, dal parenetico al testimoniale. Come già avevamo letto in Evangelii Gaudium, lo stile di papa Francesco è intenzionalmente “sovrabbondante” per attestare la “necessaria incompletezza” del pensiero cristiano, per lasciare aperto il sistema, per garantire al “di più di misericordia” di poter irrompere. Questa svolta è chiarissima non solo all’inizio e alla fine della Esortazione, ma appare continuamente nella tessitura del testo. Pur nella diversità dei suoi registri, l’annuncio del primato della misericordia e la insufficienza di una logica “oggettiva” – pur giustamente difesa nella sua necessità – appare come il “basso continuo” del documento.
  2. Largamente prevale la novità di una descrizione ammirata del “positivo dell’amore” rispetto alla precisazione sdegnata del negativo. In tutti i passaggi più delicati – di carattere biblico, dottrinale, spirituale o disciplinare – il testo mantiene questa “vocazione alla integrazione”, che assume un ruolo di “discrimen”. In una Chiesa che ha conosciuto “due vie” – escludere o integrare – le contingenze attuali impongono una scelta molto netta a vantaggio della integrazione. Questo – lo riconosce il documento stesso nelle sue pagine finali – richiede un impegno non solo “pastorale”, ma “teologico” di qualità diversa. Il testo, nella sua prima pagina, riconosce “la necessità di continuare ad approfondire con libertà alcune questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali. La riflessione dei pastori e dei teologi, se è fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa, ci aiuterà a raggiungere una maggiore chiarezza” (AL 2).
  3. Soprattutto all’inizio e alla fine del documento si spendono molte pagine – che resteranno sicuramente tra le più importanti – nel reimpostare correttamente il rapporto con la tradizione. E qui vorrei mettere in luce due criteri fondamentali, che modificano profondamente lo stile ecclesiale, tanto pastorale quanto teologico:
  • il principio della superiorità del tempo sullo spazio aiuta a comprendere, nello stesso tempo, un ridimensionamento delle pretese del magistero e la legittimità della coesistenza di interpretazioni diverse: “desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano” (AL 3).
  • il superamento di una lettura troppo rigida e ingiusta della “oggettività di peccato” come inaggirabile ostacolo alla comunione, ecclesiale e sacramentale. “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l‘aiuto della Chiesa.” (AL 305)

Questi due passaggi – che aprono una regione per ora esplorata solo da pastorali di nicchia, preziose ma finora spesso ai limiti della clandestinità – rendono possibile l’accesso della “pastorale ordinaria” ad una logica ufficialmente differenziata. La “complicatezza” di questo passaggio è proporzionale alla indifferenza con cui, finora, è stato considerato, almeno in linea generale.

  1. Il principio di misericordia come “architrave dell‘edificio ecclesiale”: ciò determina il bisogno di un ripensamento strutturale del rapporto tra dottrina e pastorale. La dottrina, che non cambia, ha però bisogno di parlare una lingua diversa e di essere compresa con un pensiero diverso. La insistenza, lungo tutta la Esortazione, a non trasformare la dottrina “in pietre” – e ad assumere un profilo “materno” della dottrina – non è semplicemente una “risorsa pastorale”, ma riguarda la interpretazione del senso e della portata della dottrina stessa, sul matrimonio, sulla famiglia e sull’amore. Il cambiamento di stile e di linguaggio addita ad un paradigma dottrinale nuovo e più ampio.
  2. Il superamento del “divieto di riconciliazione/comunione” come regola prima del rapporto con le situazioni “irregolari”, che era ancora ribadito da Familiaris Consortio. Le parole integrazione, accompagnamento e discernimento diventano ora – e solo ora – la via generale, anche se mai generica, di un accostamento premuroso e misericordioso, a ciascuno e a tutti. La logica del “discernimento in foro interno” e dell’”accompagnamento in un itinerario” appaiono, con chiarezza – anche se in forma volutamente non determinata – come nuove esigenze della pastorale ordinaria. Starà alla pastorale, ai parroci e ai vescovi, determinarla “qui ed ora”. A questo non eravamo abituati da almeno un secolo. E ci sarà da rimboccarsi le maniche.
  3. La storia personale e la coscienza dei soggetti diventa rilevante per la recezione della dottrina. Anzi, senza questa recezione la migliore dottrina resta lettera morta. “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (AL, 37); perciò la coscienza “deve essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa” (AL 303): questo principio finale, composto con il principio di misericordia, determina l’orizzonte nuovo di una “pastorale dell’amore” che dovrà darsi le forme adeguate per cogliere questa storica opportunità di rinnovamento. L’intera “pastorale dell’amore” deve essere letta alla luce di questo duplice principio: la misericordia del Dio che dona e le coscienze dei soggetti che ricevono, con Cristo e la Chiesa come generosi mediatori.

Ma questi primi punti notevoli non debbono lasciare da parte una forte originalità del testo, sia quanto a struttura, sia quanto a stile. La struttura prevede un esordio con un primo capitolo “biblico” di lettura della famiglia concepito con originalità e con sapienza, con stile immediato e taglio trasversale, che diventa anche criterio di lettura di tutto ciò che segue. La rilettura del matrimonio felice – di cui non si nasconde mai né la gioia né il dramma –accompagna un ripensamento dell’approccio alle crisi e alle “irregolarità”, che non conosce più né divieti oggettivi, né limiti invalicabili. Qui, lo ripeto, sta anche la “svolta” rispetto a Familiaris Consortio, testo che oggi ha passato il testimone e ha portato a compimento la sua novità, raccolta accuratamente nel nuovo testo, ma in esso anche decisamente superata. A questo risultato il cammino sinodale ha potuto approdare grazie al confronto, al dialogo, all’ascolto reciproco. Ed anche le pagine “autocritiche”, che brillano all’inizio del secondo capitolo del testo (soprattutto AL35-38), e che impostano saggiamente un “giudizio sulla realtà contemporanea” evitando crociate o lamentele senza misura, aiutano a ricondurre la dottrina e la pratica ecclesiale allo sguardo di Gesù.

In questa logica, il testo continua ad indicare con lucida chiarezza nel matrimonio una delle vocazioni più alte dell’uomo e della donna, ma vuole anche riscoprire, con una forza finora sconosciuta al magistero moderno, che Gesù “si presenta come pastore di 100 pecore, non di 99. Le vuole tutte” (AL 309).

Alla luce di questa prima lettura – integrale ma necessariamente iniziale – possiamo riconoscere che papa Francesco ha voluto accettare la sfida di una realtà complessa, che la Chiesa non può semplificare troppo, senza perdere, nello stesso tempo, la benedizione della misericordia di Dio e la carità nella relazione con gli uomini: “Gesù aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta . degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente” (AL 308).

Questa “meravigliosa complicatezza” – per usare la libertà di linguaggio così tipica di papa Francesco – aprirà sempre meglio la Chiesa non solo al bene massimo – che continua a brillare come ideale primario per tutti – ma anche al bene possibile – che alimenta quotidianamente la realtà dinamica di molte famiglie felici e di non poche famiglie ferite.

Andrea Grillo “Come se non” – 8 aprile 2016

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