newsUCIPEM n. 589 –20 marzo 2016

newsUCIPEM n. 589 –20 marzo 2016

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultorifamiliari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

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ABORTO VOLONTARIO               Carlo Donat Cattin, l’anticonformista DC.

ACCORDI PREMATRIMONIALI  Una legge per regolare gli aspetti economici in caso di divorzio.

Accordi prematrimoniali sì, ma nel rispetto delle persone.

ADOZIONE                                      Quando l’adozione fallisce. Ogni 3 giorni bimbo viene restituito.

ADOZIONE ED ETEROLOGA      Il desiderio di un figlio. Adozione ed eterologa a confronto.

ADOZIONI INTERNAZIONALI     Adozioni internazionali, quale futuro?

“Perché nascondete i dati?” Inspiegabile black-out italiano.

ASSEGNO DIVORZILE                  Sì a moglie che non può lavorare, anche se matrimonio è breve

No all’assegno all’ex se dopo la separazione la famiglia è +povera

CONSULTORI FAMILIARI                       Training su intimità e tenerezza per le coppie a Trapani.

CONSULTORI Familiari UCIPEM Venezia Mestre. Accreditamento con IUSVE

CONTRACCEZIONE                    Pillola del giorno dopo, ricetta addio. È giusto?

             L’efficacia della pillola secondo il presidente del SIC.

La precisazione di Federfarma.

DALLA NAVATA                            Domenica delle Palme e della Passione – anno C –20 marzo 2016.

Commento al Vangelo di Enzo Bianchi, priore a Bose.

DIRITTI E DESIDERIO                  Non è giusto trasformare ogni desiderio in diritto.

FAVOR MINORIS                            Prevale sul favor veritatis X l’equilibrio delle relazioni familiari.

GIURISPRUDENZA                        In realtà un’assenza di leggi propriamente non può mai darsi.

GOVERNO                                       Incarichi di Governo, assegnate nuove deleghe.

GESTAZIONE PER ALTRI            L’Europa non dà strada all’utero in affitto.

MATERNITÀ                                               La maternità e il desiderio: il dono dietro l’adozione.

PARLAMENTO Camera 2° Comm.            Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.

PARTO IN ANONIMATO               Difendiamo il diritto alla segretezza del parto.

SINODO SULLA FAMIGLIA          Tutti i numeri della “Rerum Familiarium Novarum”

Il papa oggi ha firmato: che cosa? Dati certi, congetture

TRIBUNALI ECCLESIATICI         Ancora sulla riforma del M.P. Mitis iudex in tema di T. E. R.

Anche il Tribunale piemontese continua ad operare dopo il M.P.

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ABORTO VOLONTARIO

Carlo Donat Cattin, l’anticonformista DC.

Era il 17 marzo del 1991 quando nell’ospedale di Montecarlo moriva il politico e più volte ministro democristiano (…). Da ministro della salute, ebbe il merito di attutire i danni della legge 194/1978 sull’aborto di origine parlamentare, firmata da sei democristiani allora al Governo (tra cui dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone, dal Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e dal Ministro della salute Tina Anselmi), chiedendo di onorarne le vittime, con la sepoltura dei feti abortiti. (…)

Pochi anni prima di morire, Donat Cattin da Ministro della salute cercò di fare il possibile per porre un qualche rimedio a quel vero e proprio flagello che la Dc ha consentito in Italia, cioè l’aborto legalizzato e commesso dallo Stato a spese di tutti i contribuenti. Negli anni Ottanta ha promosso dapprima la collaborazione del ministero con l’Istituto superiore di sanità (Iss), cercando di elaborare strategie di prevenzione dell’aborto a partire dalla riqualificazione dell’attività dei consultori familiari nella promozione della salute della donna e dell’età evolutiva. Le proposte dell’Iss in proposito furono quindi assunte dal Comitato operativo materno-infantile istituito nel 1987 da Carlo Donat-Cattin, al quale fu chiamato come presidente Elio Guzzanti. A conclusione dei lavori di questo Comitato, il Ministero della salute stanziò 25 miliardi per la riqualificazione e potenziamento della rete consultoriale nelle Regioni del Sud, dove risultava particolarmente carente, conseguendo non pochi risultati nella riduzione delle c.d. interruzioni di gravidanza.

Da ministro poi cercò d’imporre il seppellimento dei feti abortiti perché, scrisse nell’apposita circolare che emanò nel 1988 per evitare lo scempio delle “pattumiere” ospedaliere, «lo smaltimento attraverso la linea dei rifiuti speciali urta contro i principi dell’etica comune». La possibilità di seppellire i bambini non nati, siano essi vittime di aborto spontaneo o della c.d. interruzione volontaria di gravidanza introdotta dalla legge 194, sebbene prevista dall’ordinamento italiano, è pressoché ignorata tanto dai cittadini quanto dalle strutture sanitarie pubbliche. «Più spesso i feti abortiti vengono destinati ai rifiuti speciali, finendo inceneriti o, addirittura, utilizzati come combustibili» (Luca Marcolivio, Seppellimento dei feti: un obbligo informare i genitori, in agenzia “Zenit”, 12 febbraio 2015). Ciò avviene in particolare per i feti abortiti prima della ventesima settimana dal concepimento, «i quali non essendo mai oggetto di richiesta di inumazione, dopo ventiquattro ore dall’espulsione divengono automaticamente “proprietà” della struttura sanitaria e finiscono trattati come “rifiuto ospedaliero”» (L. Marcolivio, art. cit.).

https://it.zenit.org/articles/seppellimento-dei-feti-un-obbligo-informare-i-genitori/

La normativa introdotta (senza grandi risultati, purtroppo, almeno finora) da Donat-Cattin nel 1988, era diretta ad onorare almeno i concepiti abortiti nel loro corpicino dilaniato e, nel 2014, è stata persino confermata da una sentenza della Corte europea di Strasburgo, che ha riconosciuto il diritto alla vita, all’onore e alla dignità al concepito, condannando un ospedale croato per aver smaltito un feto come rifiuto ospedaliero speciale, senza il consenso dei genitori.

Giuseppe Brienza       (passim)      la croce quotidiano    16 marzo 2014

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ACCORDI PREMATRIMONIALI

Una legge anche in Italia per regolare gli aspetti economici in caso di divorzio.

Il patto (dal notaio) prima del sì. «Così le coppie torneranno a sposarsi» Per alcuni l’introduzione dei contratti potrebbe avvicinare all’istituto del matrimonio tante coppie che oggi restano diffidenti, magari perché preoccupate dalla prospettiva di una burrascosa rottura: «Potrebbe essere un modo per avvicinarsi al matrimonio con maggiore responsabilità e libertà d’animo, decidendo di prendersi cura dell’altro anche se le cose dovessero andare male». Insomma, quando ci si ama è più facile mettersi d’accordo e decidere assieme di attutire il trauma di un divorzio.

La fine di un amore nero su bianco, scritta davanti al notaio prima delle nozze. E pazienza se il romanticismo va a farsi benedire. L’Italia accelera sugli accordi prematrimoniali, i «love contracts» anglosassoni resi celebri dalle star di Hollywood.

Da noi i patti prenozze sono proibiti, ma una proposta di legge che li introduce nel nostro ordinamento inizierà presto il suo iter in commissione Giustizia della Camera. Obiettivo del Pd è discuterla subito dopo le unioni civili, che tra l’altro consentono alle coppie di fatto di regolare per contratto gli aspetti economici e patrimoniali di un legame affettivo.

La proposta di legge modifica l’articolo 162 del Codice civile inserendo un articolo 162-bis, dove è scritto che «i futuri coniugi, prima di contrarre matrimonio, possono stipulare accordi prematrimoniali volti a disciplinare i rapporti dipendenti dall’eventuale separazione personale e dall’eventuale scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio».

                                          Estratto           passim

www.oua.it/accordi-prematrimoniali-il-patto-dal-notaio-prima-del-si-il-corriere-della-sera

 

Accordi prematrimoniali sì, ma nel rispetto delle persone.

Una legge per inserire nell’ordinamento gli accordi prematrimoniali «non mortifica il matrimonio, anzi lo responsabilizza ma è auspicabile che questi patti siano stipulati nel pieno rispetto del diritto delle persone, tenendo conto dei soggetti deboli della famiglia». Lo sottolinea all’Adnkronos Gianettore Gassani, presidente dell’Associazione Matrimonialisti Italiani, commentando la proposta di legge, presto all’esame della commissione giustizia della Camera dei deputati, che prevede patti prematrimoniali come avviene nei paesi anglosassoni. «Il matrimonio normalmente basato sull’amore non finirebbe comunque per diventare un mero contratto. In Italia -rimarca Gassani– dove non sono previsti patti prematrimoniali perché si teme che possano mortificare il matrimonio, il 70% degli italiani opta per la separazione dei beni. Già questa scelta giuridicamente comporta un moltissime cose, ma gli italiani la sottovalutano. All’estero la comunione dei beni può essere negoziata in separazione solo con l’intervento degli psicologi o dei tecnici che verifichino la concreta comprensione da parte dei coniugi del significato di questa scelta. In Italia questo patto prematrimoniale si stipula semplicemente barrando una x davanti al prete». È fondamentale però, che «i patti – chiarisce l’esperto – tengano conto dei soggetti deboli della famiglia, del coniuge economicamente non autosufficiente e soprattutto dei figli che non possono essere affidati prima ancora che nascano, come già succede in Inghilterra. Questo lo trovo pericoloso». Il matrimonio «non può essere un affare» sottolinea il presidente dell’Ami «e questo va anche fatto capire ai giovani: il matrimonio è una cosa seria, non è un modo per sbarcare il lunario o per garantirsi la pensione».

AMI          17 marzo 2016

www.ami-avvocati.it/matrimoni-accordi-prematrimoniali-si-ma-nel-rispetto-delle-persone/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+ami-avvocati+%28AMI-avvocati.it+RSS%29

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ADOZIONE

Quando l’adozione fallisce. Ogni tre giorni un bimbo viene restituito allo Stato.

Bugie e genitori lasciati soli: cento famiglie l’anno si arrendono. La commissione del governo accusa i troppi enti, ma non vigila. Attraverso il sistema nazionale lo scorso anno sono stati adottati mille bambini. Altrettanti sono stati dati in affido preadottivo. Dall’estero sono entrati circa duemila bimbi in Italia

            Negli archivi del ministero della Giustizia i ragazzini adottati sono nomi e cognomi senza un passato. Cinquantamila negli ultimi dieci anni. Numeri con un’etichetta appiccicata sopra – Elena, Mattia, Olga, Rashid, Ivan, Felipe – materiale indistinto buono per le statistiche ma di scarsa utilità per capire da dove vengono, quali traumi hanno subito, che lingua parlano, se sono figli di mafiosi o di combattenti sudanesi, perché una cicatrice profonda gli segna un ginocchio o perché gli mancano le braccia, se sono geni della fisica o incapaci di parlare, di pensare, di sorridere, se sono calmi o aggressivi, bianchi o gialli. Non esiste, insomma, una banca dati nazionale che li riguardi, che parli di loro come persone, anche se una legge di quindici anni fa (la 149 del 2001) l’ha inutilmente prevista. 

Il senso di quello che sono è custodito all’interno dei faldoni raccolti nei ventinove tribunali per i minori che assieme ai servizi sociali, alla Commissione per le adozioni internazionali (Cai) e agli enti autorizzati, costituiscono la rete di fili invisibili nata per impedire a questi ragazzi di finire in un abisso fatto di niente. È normale questo buco che non consente di tenere sotto controllo il sistema, di creare momenti di collaborazione, riducendo dolori, errori e costi? Evidentemente sì, perché, allargando appena l’orizzonte, si scopre che non esiste neppure una statistica su quanti di questi bambini meravigliosi e interiormente scassati vengano restituiti alle case famiglia dopo l’adozione. «È andata male, ci spiace, riprendetelo». Lacrime e strazio. Capita così? Esattamente così. Succede cento volte l’anno. Tra le otto e le dieci volte al mese.

            Li chiamano fallimenti adottivi, storie in cui perdono tutti. E che, secondo l’ultima conta superficiale, anche questa risalente all’inizio del secolo, sono circa il 3% del totale. «Il che significa che il 97% delle adozioni va a buon fine, ma anche che dal 2005 ci sarebbero stati oltre 1.500 bambini riconsegnati allo Stato», dice Anna Maria Colella, presidente dell’Arai, unico ente pubblico che opera nel settore in compagnia di 62 enti privati autorizzati dalla Cai, la commissione per le adozioni internazionali presieduta da Silvia Della Monica che fa capo a Palazzo Chigi e che da due anni è al centro di una violenta polemica fatta di accuse, insulti, interrogazioni parlamentari, lettere di protesta, atti mancati, insinuazioni e carte bollate.

Il nemico numero uno di Silvia Della Monica è un signore lombardo che abita a Melegnano e presiede l’Ai.Bi, storico ente privato che, per quanto le adozioni internazionali si siano dimezzate negli ultimi cinque anni, nel 2015 ha gestito l’arrivo in Italia di 174 bambini. Si chiama Marco Griffini, è un cattolico praticante padre di tre bambini adottivi – «Per me l’adozione è un atto di fede perché il Dominatore del mondo (Satana) sta lavorando» – che sulla Cai ha un giudizio netto. «Una bolla antidemocratica, mi chiedo perché Renzi non prenda provvedimenti». Esagera? Certamente. Ma due dei rilievi sono sottoscritti da molti suoi colleghi e fanno parte di una contestazione parlamentare alimentata dagli onorevoli Giovanardi e Brambilla e condivisa anche da pezzi del Pd. «Dal 2013 la Cai non fornisce i dati sulle adozioni internazionali. Non era mai successo. In più la commissione non si riunisce dal giugno del 2014», dice Griffini, lamentando una difficoltà di relazione con Della Monica, accusata di non rispondere né al telefono né alle lettere, sue e degli altri enti privati, 27 dei quali, assieme a 33 associazioni, hanno scritto prima alla Cai e poi a Renzi per avere chiarimenti. Richiesta caduta nel vuoto.

            «Quando Della Monica è stata nominata abbiamo pensato: è arrivata una di noi. Diceva cose che sosteniamo da sempre. Tipo: sono i bambini ad avere diritto a una famiglia, non le famiglie ad avere diritto ai bambini. Bellissimo. Poi qualcosa ha smesso di funzionare. Tra l’altro sappiamo che i rapporti statistici sono pronti. E allora perché non pubblicarli?», dice Paola Crestani, presidente del Ciai.

            Della Monica, ex pretore di Pontassieve, magistrato a Firenze negli anni del Mostro ed ex senatrice del Pd, viene nominata vicepresidente della Cai nel giorno del passaggio di consegne tra Letta e Renzi. Il neo premier dopo un paio di mesi decide di attribuirle anche le deleghe che fanno capo a Palazzo Chigi, consegnandole il ruolo sia di presidente sia di vicepresidente. Un inedito per la commissione che ha sempre avuto una guida politica (in genere il ministro della famiglia) e una tecnico-amministrativa, il vicepresidente, appunto. In questo caso controllore e controllato sono la stessa persona.

            Abbiamo provato a parlare con Della Monica. Inutilmente. Allora siamo andati a cercare le dichiarazioni rilasciate nelle occasioni pubbliche. «Pulizia, trasparenza, bambini al centro. I dati presto li daremo». Alcune sue affermazioni sono inattaccabili. Altre discutibili. La più forte? «In Italia esistono enti che propongono adozioni internazionali, ma che lo fanno comprando i bambini, una prassi che va estirpata». Dunque la presidente della Cai sostiene che alcuni enti comprano i bambini. Ma non dice quali. Curioso, considerando che è proprio la Cai che li autorizza a lavorare. «È come se un preside convocasse i genitori e dicesse: ci sono degli insegnanti che picchiano i ragazzi ma non posso darvi i nomi e non li rimuovo», dice Paola Crestai. In una società che ha paura di adottare in senso lato, che teme il dolore, che ha un cattivo rapporto con la disfunzionalità, che vede in chi riesce ad affrontarla un santo, o un eroe, e in cui la narrazione è decisiva, dibattiti come questo non sono un dettaglio.

            I fallimenti adottivi. Attraverso il sistema nazionale lo scorso anno sono stati adottati mille bambini e quasi altrettanti sono stati dati in affido preadottivo. Mentre attraverso il sistema internazionale sono entrati circa duemila piccoli. Le famiglie dichiarate idonee all’adozione erano poco meno di diecimila. Eppure la distanza tra la domanda e la disponibilità di bambini è meno larga di quello che appare. Quando si tratta di abbinare piccoli e famiglie il sistema tende a funzionare. I tribunali per i minori lavorano bene. «Cerchiamo di curare quello che la legge, con una splendida definizione, chiama “il migliore incontro” tra coppia e bambino in abbandono», dice Maria Francesca Pricoco, presidente del tribunale per i minori di Catania, un’area da due milioni di abitanti ad alta densità mafiosa, dove per altro molti sono i minori non accompagnati che arrivano con gli sbarchi. Figli di criminali, figli di profughi morti in mare, figli di donne disperate, di genitori trascuranti. Nel campionario del dolore non manca nulla. E quel dolore per molte famiglie è inaffrontabile. «Un bambino con un deficit psicofisico difficilmente lo vuole qualcuno», dice Pricoco. Ma proprio dentro a quel «difficilmente» ci sta la parte migliore delle famiglie adottive, «quelle che sanno che prendersi cura di queste creature è comunque una straordinaria fortuna. Per loro e per chi lo fa», dice Manuela Guidi, madre romana di tre bimbi dell’Est. 

A Torino Anna Maria Colella, una sorta di angelo delle adozioni che sta cercando di allargare il sistema piemontese ad altre regioni, racconta una storia che ne tiene dentro almeno due. Quella di un bambino asiatico che arrivato in Italia ha cominciato a sbattere la testa contro il muro. La famiglia adottiva, non fidandosi più dell’ente al quale si era rivolta, ha bussato alla porta dell’Arai. L’Arai, grazie a dei mediatori culturali, ha scoperto che il rapporto tra bambino e famiglia prima dell’adozione era stato troppo breve e che la famiglia l’aveva preso, nonostante le difficoltà psichiche, perché una coppia partita con loro aveva avuto il coraggio di adottare un piccolino nato senza ano. Una volta tornati a casa le cose però sono peggiorate. Finché il piccolo ha raccontato che era convinto di venire in Italia solo per una vacanza e che gli avevano garantito che avrebbe visto la tv nella sua lingua. Un disastro o una truffa? «La verità è che quando si opera all’estero bisogna avere un team d’appoggio preparato nel Paese in cui si adotta. E che qualche ente italiano fatica a rispettare gli standard necessari», dice Colella. Per questo il controllo dello Stato sui privati dovrebbe essere più penetrante. E soprattutto, altro problema irrisolto, l’appoggio alle famiglie dopo l’adozione dovrebbe essere prolungato e garantito per legge. «Il diritto di un minore è un diritto pubblico, non privato», sostiene Pricoco. E Colella aggiunge: «Noi lavoriamo per lo stipendio. I privati, che nella maggior parte sono bravissimi, hanno bisogno di fare numeri. Certo se ci fossero meno enti sarebbe un vantaggio per tutti. A cominciare dalle famiglie che risparmierebbero un sacco di soldi». Economie di scala. In Italia gli enti autorizzati sono 62. In Francia 34. In Germania 12. Difficile immaginare che abbiamo ragione noi. Difficile immaginare che non ci sia nesso con i fallimenti adottivi.

            Storia di Matilde. Devi avere un cuore largo almeno quanto le spalle se decidi di adottare un bambino, ma tre volte più largo delle spalle se decidi di adottare un bambino con bisogni speciali. Matilde l’ha fatto impazzire. L’ha amata con tutto il suo cuore. Ma starle dietro è stato quasi impossibile. Gianluca S. si appoggia alla sedia di metallo in una stanzetta di una associazione nel Nord Italia. È un impiegato pubblico, guadagna bene e ha due figli. Uno biologico e uno adottivo, Matilde, appunto. L’ha presa piccolissima. Sua madre l’aveva abbandonata. Matilde sembrava sana, poi qualcosa nella sua testa si è rotto. A scuola ha cominciato a rubare. Prima le merende ai compagni. Poi i portafoglio. Mai usato i soldi. Accatastava ogni cosa in un armadietto. Gianluca le ha chiesto: perché lo fai? Lei ha detto: non lo so. Poi Matilde ha cercato di mettere Gianluca contro sua moglie. Impossibile. Rapporto troppo forte. Allora a poco più di tredici anni ha cominciato a rivolgere le proprie attenzioni a ogni uomo che le passava davanti. Complicato controllarla. Più facile essere costretti ad andare a recuperarla nel cuore della notte in una stazione dei carabinieri. Hai mai pensato di ridarla indietro? Gianluca dice: no. A un certo punto anche la madre di Matilde si è rifatta viva. La rivoleva con sé: Matilde era abbastanza grande per decidere da sola. Ha accettato. Le cose sono andate male. Gianluca e sua moglie l’hanno ripresa. Poi Matilde è rimasta incinta. Meglio che tu non tenga il bambino, le ha detto Gianluca, non saresti in grado di crescerlo. Lei ha detto: va bene. Quindi è rimasta incinta una seconda volta. E la scena si è ripetuta uguale. Adesso Matilde convive con uno strano signore che un po’ l’aiuta e un po’ la sfrutta, ma Gianluca continua a starle di fianco. E Matilde gli dice: ti prego papà non morire. Senza di te non saprei cosa fare. E tu, Gianluca hai mai pensato di avere sbagliato? Lui deglutisce piano, come se volesse aprire una porta nascosta per fare uscire la voce della sua anima. «Mai». Esistono anche genitori adottivi così. Tanti. Guarda la foto di Matilde sul cellulare. E’ molto cambiata da quando era bambina. Ancora adesso gli è difficile trovare un angolo di dolore accettabile dove la mente possa finalmente riposare. Ma in fondo non gli importa molto.

Andrea Malaguti       La stampa      13 marzo 2016

www.lastampa.it/2016/03/13/italia/cronache/quando-ladozione-fallisce-ogni-tre-giorni-un-bimbo-viene-restituito-allo-stato-CSEIHY1sVSLpoT420OxhEJ/pagina.html

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ADOZIONE ED ETEROLOGA

                                Il desiderio di un figlio. Adozione ed eterologa a confronto.

            Mentre divampa il dibattito sulle ragioni e sul senso delle tecniche di procreazione, sugli interessi – politici ed economici – in gioco, sui desideri di adulti trasformati in presunti diritti mentre si trascurano biecamente i diritti dei bambini abbandonati, il n. 15 della rivista “Lemà sabactàni?” si interroga sul “desiderio di un figlio” mentre confronta l’adozione con la fecondazione eterologa.

Dopo l’introduzione in Italia della fecondazione eterologa tra le tecniche accessibili di procreazione medicalmente assistita, abbiamo registrato il riattivarsi di un dibattito sul profilo e sul senso della generazione umana in cui non sono mancate ambigue similitudini tra adozione ed eterologa, poste frettolosamente come possibili alternative senza riuscire tuttavia a cogliere le loro profonde e radicali diversità. Un dibattito spesso superficiale e incapace di chiarire le differenze che caratterizzano i due percorsi: l’eterologa è l’ennesima – forse neppure l’ultima – tra le diverse tecniche disponibili per due adulti che desiderano diventare genitori, l’adozione è invece l’unica via che un minore abbandonato può desiderare e avere per tornare ad essere figlio e non più solo un bambino. Certo è che con l’introduzione dell’eterologa e la sua gratuita accessibilità si è consumata un’ulteriore discriminazione nei confronti dei genitori adottivi, rimasti gli unici cittadini a diventare genitori dovendo pagare per la propria “gravidanza” senza un sostegno dello Stato.

Non abbiamo tuttavia concentrato le nostre attenzioni sul tema delle pari opportunità e sulla gratuità per tutti i percorsi di genitorialità, bensì ci siamo impegnati per offrire un nostro contributo al dibattito convinti che la generazione adottiva sia una generazione a pieno titolo, se si vuole “sui generis”, in alcun modo privilegiata ed esclusa dal rendere ragione del senso delle relazioni che viene a costituire grazie all’iniziativa di due coniugi che accolgono come loro figlio un bambino abbandonato benché da loro non procreato. L’adozione, così come ogni altro percorso genitoriale, deve esibire il suo senso, le sue finalità, la sua identità in grado di assicurare, per ognuno dei soggetti coinvolti, il rispetto della dignità, della libertà, dell’autentica identità: siamo infatti convinti che ogni equiparazione, assimilazione o contrapposizione tra adozione e diverse vie di procreazione medicalmente assistita, meriti di essere considerata e criticamente valutata.

Il percorso offerto dal fascicolo grazie ai contributi proposti dagli autori, raccoglie alcuni quesiti, alcune sfide, svolgendo secondo distinte prospettive e discipline il comune compito di rendere ragione del senso di quella generazione umana capace di costituire genitori, madri e padri, mentre accoglie figli quali indisponibili doni di cui non si dovrebbe mai essere arroganti proprietari o presuntuosi gestori. Questi i qualificati contributi proposti nel fascicolo:

  • Carlo Casalone – Concepire il figlio a Babele: chi sono i genitori?
  • Luciano Eusebi – Se il desiderio del figlio diventa diritto …
  • Matteo Martino – Padre e madre. Pensare la relazione genitori e figli nel nostro tempo
  • Massimo Reichlin – Adozione, adozione degli embrioni, fecondazhttp://www.aibishop.it/shopping-solidale/15-riviste-periodicheione eterologa: analogie e distinzioni
  • Maurizio Chiodi – Tra fecondazione eterologa e adozione. Il figlio come dono, nell’età della tecnica, del mercato e del diritto liberale

Il fascicolo ospita infine una presentazione introduttiva (Quando chi attende desidera una mamma e un papà) al libro “Voglio una mamma e un papà”; curato dalle psicologhe Giovanna Lobbia e Lisa Trasforini, il testo affronta il tema della genitorialità adottiva cui aspirano anche coppie omosessuali e “famiglie atipiche”, secondo la prospettiva offerta dal punto di vista del bambino orfano o abbandonato.

Chi fosse interessato può visitare la pagina dedicata sul sito di Aibishop

. www.aibishop.it/shopping-solidale/15-riviste-periodiche

Ai. Bi.  15 marzo 2016                                  www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Adozioni internazionali, quale futuro?

Griffini (Ai.Bi.) chiede una rivoluzione profonda: “Cultura dell’accompagnamento e gestione del ministero degli Esteri”. Il futuro dell’adozione in Italia non può non passare da una rivoluzione profonda del sistema. A tutti i livelli: dall’organizzazione della Commissione adozioni internazionali a una riforma della legge 184/1983. Nei giorni in cui si è nuovamente accesa la polemica sull’attuale paralisi della nostra Autorità Centrale, con la lettera inviata da 27 enti autorizzati e 33 associazioni familiari per chiedere al governo un incontro risolutore sul tema, si continua comunque a confrontarsi sulla necessità di modificare la legge sulle adozioni, ormai obsoleta.

Il Partito Democratico, all’indomani del sì del Senato al disegno di legge sulle unioni civili privato dell’articolo relativo alla stepchild adoption, ha iniziato a lavorare per un Ddl di riforma della 184/1983 che estenda il diritto di adottare anche ai single e alle coppie di fatto, comprese quelle omosessuali. L’urgenza di una rivoluzione profonda del sistema è condivisa anche da Marco Griffini, presidente di Amici dei Bambini, ma in una direzione ben diversa da quella seguita dal Pd. Ovvero mettendo al centro i diritti dei bambini e non i desideri degli adulti.

Lungo l’elenco degli interventi auspicati dal presidente di Ai.Bi. “Innanzitutto cancelliamo la cultura della selezione e promuoviamo l’accompagnamento. È assurdo – spiega Griffini che un tribunale pronunci sentenze di idoneità per le coppie che vogliono adottare. Non succede in nessun altro Paese”. E nel nostro, tale sistema provoca nefaste conseguenze: ogni anno, in media, il numero di coppie che fanno domanda di adozione internazionale diminuisce di 500 unità. “Perché non sostenere invece le famiglie con percorsi di accompagnamento all’adozione?”, è la proposta di Griffini.

Il quale auspica poi di portare l’adozione internazionale sotto l’ombrello del ministero degli Esteri, con a capo un ambasciatore. Trattandosi di una forma di cooperazione, l’adozione internazionale è giusto che sia gestita dal ministero competente, che è appunto quello della Farnesina. “Usa e Francia lo fanno – evidenzia il presidente di Ai.Bi. -. È l’unico modo per avere autorevolezza nelle trattative con gli Stati”.

E ancora: Griffini chiede che la riforma della 184 comporti anche una revisione del numero di enti autorizzati. Attualmente sono 62, una vera giungla. Ed è necessario intervenire sui costi, spesso troppo pesanti per le famiglie. “Devono tornare a essere almeno il 50% a carico dello Stato – dice Griffini -, come succedeva fino al 2011, prima che i fondi terminassero”.

Sui tempi “oggi troppo dilatati e spesso lasciati all’arbitrio dei giudici”, insiste Frida Tonizzo, consigliere nazionale di Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie). “Non è possibile – denuncia – che non ci siano tempi certi tra la sentenza e il momento in cui viene depositata. Alcuni tribunali lasciano trascorrere mesi. E per un bambino spesso sono decisivi”. Tonizzo torna anche sulla mancanza di una banca dati nazionale dei minori adottabili e delle famiglie disponibili. “Doveva arrivare nel 2001 – ricorda -, ma siamo ancora qui ad attenderla. A volte rispuntano quei 300 bambini dichiarati adottabili che nessuno vuole perché grandicelli con varie disabilità. Ma dove sono?”

Di tempi troppo lunghi parlano anche gli altri enti, come il Ciai, la cui presidente, Paola Crestani, chiede “termini perentori per l’espletamento della procedura”. E non solo. La nuova legge, sottolinea Crestani, dovrebbe prevedere un monitoraggio più attento degli enti (per poter avere “un maggiore controllo sulla legalità delle procedure di adozione internazionale”), un sostegno nel tempo della famiglia adottiva e provvedimenti nei confronti dell’affido sine die (“dovrebbe essere prorogato, in caso di necessità, solo per altri 2 anni”).

            Avvenire17 marzo 2016                   www.aibi.it/ita/category/archivio-news

 

Adozioni internazionali: “Perché nascondete i dati?” Inspiegabile black-out italiano

            “Eh, non mi dica niente: mi mancano proprio i dati dell’Italia”. Così risponde ai telefono il professor Peter Selman, attualmente all’università di Newcastle, ma soprattutto luminare delle adozioni internazionali. Da anni elabora statistiche sul tema per conto della Convenzione dell’Aja che dal 1993 ha definito le procedure per tutelare i bambini adottati in un Paese diverso da quello d’origine. Selman fa vedere alla “Stampa” la bozza di una relazione che ha preparato, ci sono i dati sulle adozioni per 22 Paesi, ma mancano quelli dell’Italia (e di Israele). «Dal 2000, dopo la ratifica della Convenzione dell’Aja, l’Italia ha prodotto dei rapporti annuali con statistiche molto dettagliate. Le cifre sul 2014 sono state raccolte ma la loro pubblicazione è stata rimandata per ragioni che nessuno sembra capire», dice Selman. Chi dovrebbe pubblicarli, la Commissione per le adozioni internazionali (Cai), tace da due anni, lasciando con un punto interrogativo gli addetti ai lavori. Eppure questi dati sono importanti per monitorare il fenomeno. Nel caso dell’Italia lo sono ancora di più per il peso del nostro Paese nello scenario delle adozioni internazionali. Siamo il secondo Stato al mondo per numero di bambini accolti dopo gli Stati Uniti. A partire dal 2008 abbiamo sorpassato Spagna e Francia, insediandoci dietro gli Usa con 2825 minori arrivati ancora nel 2013. Mentre per il 2014, anno su cui la nostra Commissione non sembra voler sganciare i dati, si stima una cifra intorno a 1800-2000.

            Ma l’Italia è interessante anche perché, fino a qualche anno fa, era in controtendenza. Per capirci: le adozioni internazionali, dopo un periodo di crescita, hanno iniziato a diminuire. Dal 2004 al 2011 i Paesi riceventi hanno visto un declino di adozioni di oltre il 50 per cento. L’unico che vedeva una crescita del 18 per cento era l’Italia. Ma anche da noi, dal 2011, i numeri hanno iniziato calare. «A livello globale il calo delle adozioni è dovuto a un insieme di fattori», spiega Selman. «Quello principale è la decisione di vari Paesi d’origine, come la Cina o la Russia, di limitare le adozioni estere (o di favorire quelle locali). Hanno pesato anche alcuni scandali, abusi da parte di famiglie adottive in alcuni Stati, scarsa trasparenza nell’intermediazione. Inoltre è aumentata l’età dei bambini adottabili così come i minori con bisogni speciali. Mentre ha cominciato a diffondersi la pratica della maternità surrogata che alcune coppie hanno scelto in alternativa». Tutto ciò ha concorso a diminuire le adozioni internazionali.

            L’Italia ha anche un’altra particolarità. «Il più alto numero in Europa di enti accreditati. Solo due di questi 62 enti italiani fanno però parte di un’associazione europea come Euroadopt, che confronta l’operato delle organizzazioni autorizzate all’adozione in diversi Paesi sulla base di standard elevati». In Italia gli enti accreditati dovrebbero essere controllati proprio dalla Cai. Che però, come nota anche il Centro Italiano Aiuti all’Infanzia, associazione tra le più consolidato del settore, non si riunisce dal 2014.

Carola Frediani                     La Stampa      13 marzo 2016

www.lastampa.it/2016/03/13/italia/cronache/perch-nascondete-i-dati-delle-adozioni-inspiegabile-blackout-italiano-MmvH4VuWzMzVO2jxlIkkfL/pagina.html

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ASSEGNO DIVORZILE

Va mantenuta la moglie che non può lavorare, anche se il matrimonio è stato breve.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 4797, 11 marzo 2016

Per la Cassazione, se l’ex è inabile al lavoro la durata del legame può incidere semmai solo sull’ammontare del contributo. – Non importa che il matrimonio sia durato poco: l’ex coniuge affetto da disturbi bipolari che lo rendono inabile al lavoro va sostenuto comunque con la corresponsione dell’assegno divorzile.

            Questo è quanto emerge dall’ordinanza della Corte di cassazione allegata, o meglio dalla sentenza della Corte di appello di Napoli alla sua base. I giudici di legittimità, infatti, hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un marito contro la pronuncia della corte del merito. Tale pronuncia, invece, aveva confermato l’obbligo posto a carico del ricorrente dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere di corrispondere alla ex moglie un assegno divorzile, in ragione del disturbo bipolare a prevalente componente depressiva che affliggeva la donna, rendendole di fatto impossibile lo sviluppo di una qualche carriera lavorativa.

In considerazione della breve durata del rapporto matrimoniale che aveva legato le parti prima del loro allontanamento la Corte di appello si è limitata a diminuire l’importo dell’assegno che in primo grado era stato stabilito in 275 euro mensili, portandolo a 150. Nulla di più. E anche i tentativi di ottenere una diversa decisione in sede di legittimità non hanno avuto buon esito: dato che le pretese si limitano a “prospettare la “mera” ingiustizia della decisione ed a pretendere una nuova valutazione nel merito delle circostanze sulle quali essa si fonda”, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Valeria Zeppilli          Studio Cataldi                        13 marzo 2016

www.studiocataldi.it/articoli/21361-va-mantenuta-la-moglie-che-non-puo-lavorare-anche-se-il-matrimonio-e-stato-breve.asp

No all’assegno alla ex se dopo la separazione la famiglia è più povera.

Tribunale di Velletri – sentenza n. 931, 14 marzo 2016.

Il tenore di vita rappresenta solo un parametro tendenziale che passa in secondo piano di fronte ad un impoverimento della famiglia. Il parametro del mantenimento dello stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio dopo la separazione è soltanto tendenziale. Perché quando due coniugi si separano si determina un progressivo aumento dei costi di entrambi (a causa delle due nuove vite da single) e, dunque, un impoverimento generale della famiglia. È questo, in sostanza, il principio affermato dal Tribunale di Velletri che ha deciso di rigettare la richiesta di una donna volta a ottenere l’assegno di divorzio dall’ex.

            Nel caso di specie, la separazione aveva di fatto modificato le condizioni economiche dei due coniugi, aumentando le spese di entrambi. Per di più, lei aveva intrapreso un’attività imprenditoriale che le procurava un certo reddito annuo, oltre ad essere assegnataria della casa. Tutti fattori che hanno avuto il loro peso sul mancato riconoscimento dell’assegno a favore della donna. Ma ciò che ha pesato di più è senz’altro l’impatto della separazione sulla macroeconomia domestica familiare. Sul punto, infatti, il collegio ha affermato che è vero che l’assegno di divorzio ex art. 5 della l. n. 898/1978, ha natura assistenziale e va corrisposto quando l’altro coniuge non ha i mezzi adeguati per mantenere il pregresso tenore di vita o in ogni caso non può procurarseli per ragioni oggettive e che il giudice, verificando le condizioni economiche delle parti, deve determinare il contributo in misura tale da assicurare al coniuge il medesimo tenore di vita di cui godeva in costanza di matrimonio. Ma è vero altresì che tale parametro è da intendere quale obiettivo tendenziale, nei limiti consentiti dalla situazione economica del coniuge obbligato e in modo compatibile con la normale contrazione delle disponibilità familiari consequenziale alla cessazione del matrimonio.

Ciò in conformità ai principi affermati anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha avuto modo di affermare (cfr. Cass., sentenza n. 17199/2013) che la separazione impoverisce i membri della famiglia, affettivamente ed economicamente, impattando sulla “macroeconomia domestica familiare” con la conseguenza che il diverso declinarsi delle due vite da single degli ex coniugi in due “microeconomie personali” non può certo consentire le sinergie e i risparmi prima possibili. Per cui, la donna potrà dire addio al contributo pur evitando la condanna al pagamento delle spese di giudizio.

Marina Crisafi                       studio Cataldi                        15 marzo 2016

www.studiocataldi.it/articoli/21396-no-all-assegno-alla-ex-se-dopo-la-separazione-la-famiglia-e-piu-povera.asp

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CONSULTORI FAMILIARI

Training su intimità e tenerezza per le coppie a Trapani.

Papa Francesco ne parla spesso ma nel mondo contemporaneo ci sentiamo spesso incapaci di manifestare la tenerezza. Dall’1 al 3 di aprile si terrà a Trapani un training sulla tenerezza destinato a coppie di sposi e/o fidanzati che desiderano intraprendere un percorso spirituale e relazionale più intenso. Il seminario sarà guidato da don Romolo Taddei, psicologo e psicoterapeuta, direttore del consultorio familiare di Ragusa e autore di numerose pubblicazioni e si terrà nei locali del Seminario Vescovile. La partecipazione è a numero chiuso e va comunicata per tempo.

www.trapaniok.it/20192/Cronaca-trapani/vescovo-di-trapani—training-su-intimit%C3%A0-e-tenerezza-per-le-coppie-aperte-le-iscrizioni#.VvJqo0dHNKd

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            CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Venezia Mestre. Accreditamento con IUSVE

Il consultorio è stato accreditato per il tirocinio triennale con il Dipartimento di psicologia dell’Istituto Universitario Salesiano Venezia.

3 marzo 2016                                    http://psicologia.iusve.it/enti-accreditati-triennale

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CONTRACCEZIONE

Pillola del giorno dopo, ricetta addio. È giusto?

Attacca l’embrione, vi pare poco? Ma l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) deve pensarla diversamente se ha dato il via libera, con la pubblicazione a sorpresa della sua determina il 4 marzo 2016 in Gazzetta Ufficiale-serie generale n. 52, pag. 51 circa la vendita del Norlevo, la “pillola del giorno dopo”, senza ricetta per le maggiorenni: [A: medicinale non soggetto a prescrizione medica per le pazienti {?!?! ndr} di età pari o superiore a 18 anni e B: medicinale soggetto  a prescrizione medica da rinnovare  volta per volta per le pazienti {?!?! ndr} di età inferiore a 18 anni].

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-03-03&atto.codiceRedazionale=16A01582&elenco30giorni=true

Accanto a caramelle balsamiche e spray nasali ecco dunque arrivare in farmacia, come prodotto da banco, il potente contraccettivo d’emergenza che si affianca alla “pillola dei cinque giorni” già liberalizzata da tempo.

            Scopo del levonorgestrel, principio attivo del farmaco, è quello di evitare una nascita non programmata, promuovendo così l’idea che assumere due pillole ad altissimo contenuto progestinico nelle 72 ore successive a un rapporto sessuale non protetto sia un modo di “prevenire” una gravidanza, non di interromperla. «È invece dimostrato che ha un effetto antinidatorio e addirittura abortivo in fasi precocissime», spiega Filippo Maria Boscia, ginecologo e presidente dell’Associazione medici cattolici (Amci) che chiede all’Aifa una «seria riflessione sul tema». «I cittadini – prosegue Boscia – per poter scegliere liberamente, devono essere informati che queste sostanze, quando vengono assunte nei giorni più fertili, di fatto impediscono l’annidamento del figlio già concepito. Rendere libera la vendita di questi prodotti significa escludere i medici (che finora avevano l’obbligo della ricetta, ndr) da percorsi di tipo preventivo, significa lasciare le pazienti in totale solitudine».

            «Tornate sui vostri passi», è il consiglio all’Aifa di Vittorio Contarina, presidente di Federfarma Roma: «Il pericolo è che passi il principio secondo il quale un contraccettivo di emergenza sia in realtà un contraccettivo come gli altri, e che i giovani comincino a usarlo al posto di pillola o preservativo. Qualsiasi minorenne, maschio o femmina, ha un amico, un fratello, un cugino maggiorenne che può procurarsi con facilità il Norlevo. È per questo – conclude Contarina – che la vendita libera nelle farmacie, o addirittura nei supermercati, è una vergogna che va fermata».

            «Non siamo meri distributori di farmaci – interviene Mario Giaccone, presidente dell’Ordine dei farmacisti di Torino –. Sono preoccupato perché se si toglie la possibilità di controllo da parte nostra su questi prodotti, chi conterrà gli abusi che possono nascere da una gestione fatta di testa propria? Fino a oggi il farmacista di comunità, che presidiava il territorio, se vedeva che il Norlevo era acquistato con frequenza poteva dare un colpo di telefono al medico di base che l’aveva prescritto per sottoporgli la questione. Oggi invece chi lo compra può farlo liberamente: in pratica sapremo sempre a quanto ammontano i consumi ma non più chi assume questo farmaco e in quali quantità».

            E non è un caso, secondo un’indagine nazionale condotta dalla società di ricerca Swg, se il 18% dei farmacisti non venderebbe mai una pillola ad altissimo contenuto progestinico senza ricetta medica. E se il 61% dichiara che non lo farebbe per “motivi religiosi”, il 53% teme invece la “pericolosità” per la salute di chi l’assume. Il bombardamento ormonale, infatti, spesso ripetuto (una confezione può essere utilizzata più volte), se non viene monitorato da un medico, potrebbe causare problemi a livello della coagulazione del sangue e danneggiare il fegato. Inoltre somministrare un dosaggio ormonale a ragazze che non hanno completato la maturazione riproduttiva può essere rischioso soprattutto se c’è la possibilità di un utilizzo “fai da te”.

            Una cosa è certa: chi trarrà un vantaggio economico da questa nuova situazione sarà il produttore di Norlevo, Hra Pharma, che copre il 95% del mercato nazionale, detenendo un monopolio di fatto dopo l’uscita di scena di Levonelle, prodotto simile negli effetti ma che non è più commercializzato. «Nel 2014 ne abbiamo vendute 323mila confezioni – spiega il general manager Alberto Aiuto – contro le 230mila del 2015, un decremento dovuto al fatto che invece di comperare Norlevo, per il quale occorreva la ricetta, le utenti si erano rivolte a EllaOne, più potente e in vendita senza più prescrizione medica».

            Nei primi mesi di quest’anno sono state 17mila le confezioni già vendute, un dato destinato però a crescere soprattutto se si pensa che in Francia dove la vendita è libera ne sono state comprate un milione e mezzo in un solo anno.

            E se sono soprattutto le giovanissime a contare sulla contraccezione d’emergenza è a loro che si rivolge il Progetto Amos (www.progettoamos.it) che entra da anni nelle scuole torinesi per parlare di educazione all’affettività. «Ci sono idee confuse e tanta disinformazione – spiega la presidente e psicologa Elena Comba – nonostante l’uso dei social network vorrebbe far pensare il contrario. Nell’ansia di dare alle ragazze troppe informazioni tecniche si tralascia di parlare loro del valore e della bellezza dell’affettività. Dover presentare la ricetta del dottore per avere la “pillola del giorno dopo” fino a oggi le costringeva a fermarsi e riflettere sul fatto che era successo qualcosa di grande e da grandi. Se si toglie anche quella paura sana di dover chiedere una mano a un adulto si perde l’occasione per aiutarle a guardarsi dentro».

Daniela Pozzoli                      avvenire         17 marzo 2016

www.avvenire.it/Vita/Pagine/pillola-giorno-dopo-ricetta-addio.aspx

                                          

                                           L’efficacia della pillola secondo il presidente del SIC.

(…) “Del resto – ha aggiunto il prof.  Annibale Volpe, presidente della Società Italiana della Contraccezione (SIC) – l’efficacia delle pillole d’emergenza è comprovata. I contraccettivi ormonali non hanno effetti collaterali: semplicemente ritardano l’ovulazione impedendo il concepimento. Non si tratta dunque di abortivi, come ormai da tempo è risaputo”. “Per questo motivo – continua il presidente di SIC (associazione onlus interdisciplinare, apolitica, senza fini di lucro fondata il 16 luglio 2004 da medici e ricercatori) – qualora la gravidanza sia già in atto, la salute del feto non viene compromessa. Naturalmente è importante ricordarsi che queste formulazioni devono essere utilizzate solo in caso d’emergenza e non sostituiscono i metodi contraccettivi”.

Il professore Volpe ha, poi, voluto ricordare che “sul mercato esistono molti tipi di farmaci simili, anche naturali e la pillola resta il sistema più sicuro per prevenire gravidanze indesiderate senza nuocere alla salute. Anzi, è stato dimostrato che previene molti tumori femminili”. Ma l’esperto ricorda: “I contraccettivi di emergenza ritardano l’ovulazione: se li assumete, dunque, fino al successivo ciclo mestruale dovete avere rapporti protetti. Anche se si inizia a prendere la pillola contraccettiva immediatamente dopo la pillola d’emergenza l’ovaio continuerà a funzionare per 15 giorni: prudenza”.

 

                                           La precisazione di Federfarma.

A proposito della decisione dell’AIFA la Federfarma ha voluto precisare che “nei casi in cui la maggiore età di chi fa la richiesta non fosse evidente, le farmacie chiederanno un documento d’identità e rifiuteranno la disperazione senza ricetta, qualora la persona risultasse minorenne”. Solo il 16% delle donne sa che la pillola si acquista senza ricetta

Di recente, infine, è stata condotta un’indagine da SWG (azienda che opera nell’ambito delle ricerche di mercato) proprio sulla concentrazione d’emergenza su, in particolare, sulla sua facilità di accesso senza ricetta medica, da cui, in sintesi, si è evinto che:

  • La quasi totalità delle donne interpellate (400) è favorevole all’uso di contraccettivi perché è importante soprattutto poter programmare quando avere figli.
  • Nove su dieci ritengono la pillola del giorno dopo utile ed efficace, anche se più di metà la considera pericolosa e più di 8 su 10 concordano sul fatto che venga venduta solo a chi è maggiorenne.
  • Più di un terzo crede che per acquistare la pillola del giorno dopo sia necessario avere la ricetta e quasi metà non lo sa.
  • Oltre un terzo ritiene che non sia facile acquistare la pillola del giorno dopo, in quanto è difficile trovare chi fa la ricetta entro 24 ore.
  • Solo il 16% sa che la pillola si acquista senza ricetta ma il 30%, sollecitato, dichiara di avere sentito parlare della direttiva dell’AIFA.
  • Nonostante la direttiva dell’AIFA, secondo 4 donne su 10, i farmacisti fanno resistenza a vendere la pillola senza ricetta.

                                           Walter Giannò                           pagine mediche 17 marzo 2016

www.paginemediche.it/news-ed-eventi/pillola-del-giorno-dopo-senza-ricetta-per-le-maggiorenni

 

Reticenza.

La pillola del giorno dopo non causa aborto ma blocca l’ovulazione, ed è quindi indispensabile assumerla il prima possibile. Ora questa decisione di Aifa permetterà a ogni donna di acquistare questo farmaco quando ne ha bisogno, senza l’imbarazzo del medico o dei tempi di prescrizione. Nel resto d’Europa è già così». Se a oggi in Italia ne vengono prescritte 500 mila l’anno, in Francia e in Inghilterra, dove la ricetta non serve, se ne vendono tre volte di più.

            Preoccupati i farmacisti: «Liberalizzando un farmaco del genere (ormonale) non se ne può controllare l’uso e non sono ancora chiari gli effetti a lungo termine». (…) L’indagine nazionale condotta da Swg in collaborazione con Edizioni Health Communication rivela però che il 18% dei farmacisti non venderebbe mai una pillola per la contraccezione d’emergenza senza ricetta. Le motivazioni vanno dalla religione alla deontologia: il 53% degli obiettori, infatti, teme che la pillola del giorno dopo possa essere pericolosa, seppur utile ed efficace. A sottolinearlo è anche Mario Giaccone, presidente dell’Ordine dei farmacisti di Torino e consigliere nazionale: «Non ci saranno problemi di distribuzione sul territorio. I grossisti ne sono forniti e quindi tutte le farmacie possono averne accesso in tempi brevi. Ma al di là della scelta etica, condivisibile o meno, come farmacisti tuteliamo la salute delle persone. La nostra preoccupazione emerge dalla mancanza di dati sulle conseguenze di un uso disordinato di questo farmaco. Non essendoci ricetta, in linea teorica una donna potrebbe acquistare e assumere la pillola più volte la settimana, addirittura tenersela in borsetta. Ed essendo degli ormoni, come facciamo a sapere se un abuso può compromettere in qualche modo la fertilità? Bisognerebbe studiare un modo per cui le donne abbiano accesso velocemente a questo farmaco in caso di bisogno, controllandone la vendita come si fa ad esempio con le benzodiazepine».

Noemi Penna  La stampa      14 marzo 2016

www.lastampa.it/2016/03/14/italia/cronache/pillola-del-giorno-dopo-in-farmacia-la-ricetta-non-pi-necessaria-9GdYsyj3GnZVH2iWAXjJyM/pagina.html

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DALLA NAVATA

Domenica delle Palme e della Passione – anno C –20 marzo 2016.

Isaia                           50, 04 «Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.»

Salmo                         22, 23 «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’Assemblea.»

Filippesi          02, 09 «Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome.»

Luca               23, 47 «Veramente quest’uomo era giusto!»

Commento al Vangelo di Enzo Bianchi, priore a Bose.

Nella prima domenica di Quaresima, alla fine del racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto abbiamo ascoltato questa precisazione lucana: «dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da Gesù fino al tempo fissato» (Lc 4,13). Ed eccoci giunti al tempo fissato, l’ora della passione, l’ora in cui Gesù è nuovamente tentato dal demonio ed è sottoposto a una prova terribile angosciosa: restare fedele al Padre, anche al prezzo di subire una morte violenta in croce, oppure percorrere altre vie, quelle suggerite dal demonio, che portano come promessa sazietà, potere, ricchezza, successo? La passione secondo Luca è davvero l’ora della grande tentazione non solo di Gesù, ma anche dei discepoli, dunque della chiesa…

Proprio durante la cena pasquale, quando Gesù anticipa con dei gesti sul pane e sul vino e con delle parole ciò che gli sarebbe accaduto nelle ore successive, proprio quando svela che la sua è una vita donata, spesa, offerta fino all’effusione del sangue per i discepoli, questi mostrano di entrare in tentazione e di essere sedotti. Innanzitutto uno di loro tradisce l’alleanza della comunità, la nuova alleanza sancita dal sangue di Gesù, consegnandolo nelle mani dei nemici; Luca ricorda poi che, mentre Gesù a tavola serve i suoi stando in mezzo a loro, questi litigano per sapere «chi poteva essere considerato sopra di loro il più grande»; infine Pietro, la roccia, proclama a Gesù una fedeltà che smentirà per tre volte con un rinnegamento. Sì, nell’ora della tentazione i discepoli soccombono alla prova, mentre Gesù lungo tutta la passione si mostra fedele a Dio e ai discepoli…

Venuto al monte degli Ulivi, durante la lotta spirituale decisiva Gesù invita i discepoli a «pregare per non entrare in tentazione»; lui stesso dà loro l’esempio e prega il Padre, restando pienamente sottomesso alla sua volontà, fino ad accogliere l’arresto senza difendersi, senza opporre violenza a violenza, senza mutare il suo stile e il suo comportamento di mitezza e di amore, ma rimanendo fedele alla verità che aveva contraddistinto la sua vita. Pregando, Gesù è entrato nella sua passione, e pregando ha fatto della morte violenta in croce un atto: ha chiesto al Padre di perdonare i suoi crocifissori e, infine, ha invocato Dio dicendogli: «Padre, nelle tue mani consegno il mio respiro» (cf. Sal 31,6). Davanti a Dio, da lui chiamato e sentito come Padre, Gesù ha posto noi uomini e tutta la sua vita, e così è morto: in piena fedeltà a Dio, agli uomini, alla terra da cui era stato tratto come uomo, «figlio di Adamo» (Lc 3,38).

Quella di Gesù è stata una fedeltà a caro prezzo, perché anche in croce è stato nuovamente tentato, simmetricamente alle tentazioni da lui subite nel deserto, all’inizio della sua vita pubblica. Nell’ora conclusiva della sua vita terrena riecheggiano da parte degli uomini parole simili a quelle di Satana: «sei tu sei il re dei Giudei, se tu sei il Cristo, se hai salvato gli altri… salva te stesso!». Ma Gesù non vuole salvare se stesso; al contrario, vuole compiere fedelmente la volontà di Dio, continuando a comportarsi fino alla morte in obbedienza a Dio, ossia amando e servendo la verità. Questo è causa di morte per lui, ma causa di vita per gli uomini tutti!

Quanto a noi che ascoltiamo questo racconto della passione, Luca ci invita a seguire Gesù dal suo essere servo a tavola fino alla sua morte in croce. Allora potremo vedere in lui «l’uomo giusto», riconosciuto tale anche da Pilato, che per tre volte è costretto a proclamare che Gesù non ha mai commesso il male. Guardando a lui, il crocifisso che invoca il perdono per i suoi persecutori e si affida a Dio, entreremo nell’autentica contemplazione, come «le folle che, accorse a quella contemplazione–spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano battendosi il petto». E con il centurione faremo un’autentica confessione di fede: «Veramente quest’uomo era giusto». Sì, Gesù è il Giusto perseguitato, il Figlio di Dio (cf. Sap 2,10-20); è colui che il Padre ha richiamato dai morti in risposta alla vita da lui vissuta, segnata da un amore più forte della morte.

Testo completo

http://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it/2016/03/enzo-bianchi-commento-vangelo-20-marzo.html

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DIRITTI E DESIDERIO

Non è giusto trasformare ogni desiderio in diritto

Può ogni desiderio (escludendo beninteso quelli criminosi) costituire un diritto? Una delle pochissime persone che hanno affrontato questa domanda con rigore, chiarezza e umanità è stato Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci. Come Vacca, pure Mario Tronti, senatore del Pd e, cosa ben più importante, leader e forte testa pensante dell’operaismo italiano degli anni Settanta, riconoscendo tutti i diritti alle coppie omosessuali (assistenza, eredità, convertibilità delle pensioni e così via), ha espresso forti riserve sulle adozioni gay, tanto da sottoscrivere il documento contrario a quest’ultime. Non è un caso che tali chiare e sofferte prese di posizione vengano da figure di rilievo della cultura marxista, formate da un pensiero forte capace di affrontare la drammaticità del reale e la difficoltà e necessità delle scelte. L’odierna e dominante «società liquida» (come l’ha chiamata Bauman) miscela invece ogni problema e ogni presa di posizione in una melassa sdolcinata e tirannica, in un conformismo che ammette tutto e il contrario di tutto.

Tranne ciò che contesta il suo nichilismo giulivo e totalitario. Il diritto — ricordava di recente sul Piccolo un autorevole costituzionalista, Sergio Bartole — tutela l’individuo ma anche la società e non può disinteressarsi delle ricadute di una legge sull’antropologia civile ossia sui fondamenti che tengono insieme una comunità e una società. Uno dei primissimi a capire la trasformazione delle autentiche e umane visioni del mondo in un indistinto titillamento pulsionale è stato Pasolini, quando scriveva sull’aborto o quando diceva che il voto per il divorzio era un voto giusto — anche lui aveva votato a favore del divorzio — che tuttavia molti avevano dato per ragioni sbagliate. La maggioranza aveva votato come lui, ma egli non poteva riconoscersi in essa, perché lui aveva votato per il divorzio quale rimedio a situazioni dolorose e bloccate, quale possibilità di ricomporre esistenze inceppate.

Rimedio ovvero eccezione che non negava i valori e sentimenti della famiglia né la funzione formatrice della sua unità. Quella maggioranza che aveva votato come lui gli riusciva odiosa, espressione di un relativismo nichilista che riduce tutto, anche sentimenti e valori, a merce di scambio e tende sempre più a dissolvere ogni unità forte di vita e di pensiero. Lo si constata sempre più in ogni settore, dalla politica alla cultura alla vita privata. È il trionfo del consumo, denunciato da Pasolini; del consumo che esorbita dal suo ambito — il consumo e la possibilità di accedervi sono ovviamente una fondamentale condizione di vita dignitosa e godibile — per inglobare ogni aspetto della realtà e dell’esistenza.

«Il riconoscimento per legge del desiderio individuale quale fonte della libertà e del diritto» — ha detto Giuseppe Vacca — crea inevitabilmente frammentazione e atomizzazione in ogni campo. Non a caso nascono molte nuove e spesso effimere formazioni politiche sorte dall’impulso a scindersi, alla prima divergenza, da una precedente aggregazione con la cui linea prevalente non si concorda. Molti anni fa, in uno dei suoi geniali saggi, Lealtà, defezione e protesta, Albert Hirschman analizzava le diverse possibilità, reazioni e soluzioni che possono verificarsi quando all’interno di una compagine (collettiva o personale, partito politico, chiesa, matrimonio o unione di fatto) sorgono delle controversie.

Se i contrasti, anche chiariti duramente e mai del tutto superati, risultano compatibili, l’unione persiste: i coniugi non divorziano, i compagni non si lasciano, i dissidenti non escono dal partito o dalla chiesa. Se i contrasti si rivelano — per ragioni oggettive o per la psicologia dei contendenti — inconciliabili, l’unità viene intaccata: secessione dal partito, microscisma della chiesa quello di Lefebvre, separazione dei partner. Il distacco può avvenire nel rispetto e nella persistenza di un legame affettivo oppure nello scontro violento, in cui l’originario legame si trasforma in feroce avversione. Se quel legame, di qualsiasi genere, era stato autentico, la sua rottura non dovrebbe avvenire senza responsabili tentativi di sanare le ferite. Si assiste invece a una continua accelerazione dei processi dissolutivi, uscite, rientri e nuove uscite da gruppi politici e proliferazione di questi ultimi, tempi sempre più abbreviati per lo scioglimento delle unità famigliari e affettive, eterno amore che finisce alla prima lite per la scelta delle vacanze. Se acquisto uno shampoo e non ne sono soddisfatto, posso sostituirlo immediatamente, ma dovrebbe essere diverso se il distacco avviene da una persona un tempo cara, da un partito o da una chiesa in cui ci si era riconosciuti. Invece la velocità delle conversioni o delle apostasie è invece sempre più alta, non si riesce più a seguire chi ha fondato un nuovo partito o una nuova corrente perché questi sono già riconfluiti in un altro alveo, così come non si riesce a star dietro a chi si separa da chi per mettersi con chi nelle riviste illustrate che si leggono dal parrucchiere.

Diritti e desideri. Ogni desiderio, se è forte, chiede, esige di essere appagato, e in questa tensione, qualsiasi sia il desiderio, c’è uno struggimento, una nostalgia dolorosa che sono parte essenziale della nostra persona. Possono tutti essere riconosciuti per legge? Anche l’incesto può essere brutale violenza ma anche passione umana, come ci hanno raccontato tante umanissime storie di vita vissuta e tanta grande letteratura. In Svezia, anni fa, un fratello e una sorella avevano chiesto di sposarsi, cosa che non fu loro concessa e non credo solo per timori eugenetici, che potrebbero comunque venire in vari modi aggirati. Freud (per tali ragioni pure duramente attaccato) ci ha insegnato che con la sublimazione di certi desideri, a esempio ma non solo quelli edipici, con la loro trasformazione in un’altra forma di amore, ha inizio la civiltà. È una sciagura sublimare troppo, ma lo è anche non sublimare nulla. Si è visto nella famiglia tradizionale un nucleo dell’antropologia civile. La famiglia tradizionale può essere e molte volte è stata anche violenta, soffocante e nemica del libero sviluppo della persona. È ovvio che persone capaci di intelligente e attento amore possano far crescere un bambino meglio di genitori carnali incoscienti e snaturati o anche solo ottusamente incapaci di intelligente amore.

L’amore omosessuale può essere elevato o turpe al pari di quello eterosessuale. Basta aver letto Il Grande Sertão di João Guimarães Rosa per sapere e capire che ci si innamora non di un sesso, ma di una persona. Ma gli antichi Greci celebravano l’amore omosessuale per il suo rapporto anche spiritualmente diverso con la generazione, con la radice duale dell’umanità. Ho conosciuto e conosco omosessuali bravi genitori del loro figlio — avuto da una donna, non da un utero affittato. In ogni caso, il protagonista non è il desiderio della coppia né omo né eterosessuale, bensì il bambino, che comunque nasce da un uomo e da una donna e la cui maturazione è verosimilmente arricchita dalla crescita non necessariamente con i genitori naturali ma con un uomo e una donna, espressione per eccellenza di quella diversità (culturale, nazionale, sessuale, etnica, religiosa e così via) che è di per sé più creativa e formativa di ogni identità a senso unico. Il bambino, ha scritto su Facebook Vannino Chiti, «è soggetto di diritti, non un mero oggetto di desideri».

Claudio Magris          Il Corriere della Sera                        16 marzo 2013

www.oua.it/lintervento2-non-e-giusto-trasformare-ogni-desiderio-in-diritto-di-claudio-magris-il-corriere-della-sera

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FAVOR MINORIS E FAVOR VERITATIS

Prevale sul favor veritatis se tutela l’equilibrio delle relazioni familiari.

Tribunale di Genova, quarta Sezione civile, sentenza 6 ottobre 2015.

Unione matrimoniale e due figli – nomina di curatore speciale per l’azione di disconoscimento di paternità per un figlio – legale di sangue – equilibrio psicologico e benessere del minore – previo accertamento dell’interesse del minore – CTU psicologica sul nucleo – pericolo di pregiudizio per il benessere psicofisico – diritto del minore alla identità familiare anche contra verità genetica – rigetto della domanda di disconoscimento.

Avvocati di famiglia              18 marzo 2016                                   sentenza in pdf

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17506195/Il-favor-minoris-prevale-sul-favor-veritatis-se-tutela-l-equilibrio-delle-relazi.html

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GIURISPRUDENZA

Giurisprudenza creativa: “in realtà un’assenza di leggi propriamente non può mai darsi”.

            A fronte dei molti casi in cui i tribunali, in apparente mancanza di una normativa, regolano liberamente svariate situazioni, ci si chiede: ma il giudice può scegliere di non giudicare? Il giurista Francesco D’Agostino spiega perché un magistrato non possa sottrarsi, dato che una legge c’è sempre, e che il famoso “chi sono io per giudicare?” in realtà è una domanda che previene arroganze ideologiche.

            Assistiamo sempre più di frequente a interventi di giurisprudenza cosiddetta “creativa”, in cui il giudice si sostituisce all’assenza di leggi. Ma è obbligatorio prendere una decisione? Lo abbiamo chiesto a Francesco D’Agostino, professore ordinario di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata e presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani (Ugci).

Di fronte a una mancanza di normativa, è possibile per il giudice non giudicare?

Per la teoria generale del diritto il giudice non può mai sottrarsi al compito di giudicare, anche quando si trovi davanti ad una (apparente) “assenza di leggi”, perché in realtà un’assenza di leggi propriamente non può mai darsi. Infatti un comportamento va sempre ritenuto lecito, quando nel contesto di una situazione sociale appare non regolato dalla legge (o da qualsiasi altra norma), come si evince dal principio secondo il quale “tutto ciò che non è proibito è permesso”. Di conseguenza non dobbiamo meravigliarci troppo se, a fronte di pratiche inimmaginabili fino a pochi anni fa, ma ormai rese possibili dal progresso tecnologico, nell’inerzia regolativa del legislatore la magistratura intervenga, adottando sistematicamente decisioni “liberali”, se non addirittura “libertarie”.

In questi mesi colpiscono i casi relativi a temi etici come quello delle stepchild adoption o della maternità surrogata, ma vi sono altri campi in cui si è verificato un intervento così massiccio grazie a vuoti legislativi importanti?

Sì ce ne sono stati e continuano ad esserci, anche se non sempre adeguatamente percepiti dall’opinione pubblica. Quasi tutto il diritto amministrativo, ad esempio, è di formazione giurisprudenziale. Chi segua attentamente le cronache, avvertirà quanto spesso negli ultimi anni il giudice amministrativo (in specie il Tar) sia intervenuto ben oltre il suo compito storico di difesa degli interessi legittimi dei cittadini, alterando decisioni amministrative e direttive politiche che meriterebbero più rispetto. Non c’è da stupirci se i giudici civili si siano alla fine convinti, anche loro, dei pregi di una giurisprudenza creativa e libertaria.

Qual è l’utilità di una giurisprudenza di questo tipo? Quali i limiti?

I giudici devono applicare le leggi, indipendentemente da quanto queste leggi siano da ritenere “utili”: è compito non loro, ma del legislatore, rimuoverle, quando si sia accertata la loro inutilità o peggio ancora la loro dannosità. Ma il principio, costituzionale, che vincola il giudice alla legge appare oggi troppo “conservatore”, agli occhi di una giurisprudenza progressista, che ritiene di essere legittimata ad interpretare le leggi non secondo l’intenzione di chi le ha scritte e promulgate, ma dandone un’interpretazione “evolutiva”, cioè, in buona sostanza, pericolosamente ideologica.

Dobbiamo rassegnarci al sostituirsi dei tribunali al Parlamento? Ci stiamo trasformando da un Paese di civil law a uno di common law in cui il giudice non applica solo il diritto ma lo interpreta e lo crea in base ai casi?

Nulla nella nostra Costituzione e nella nostra tradizione giuridica giustificherebbe una metamorfosi del nostro ordinamento secondo i principi del “common law” che peraltro è un modello ben più articolato e complesso di quanto il giudice e il giurista medio italiano non pensino. La crisi del nostro sistema giudiziario ha cause tecniche, ma ha soprattutto cause politico-legislative: indipendentemente da una loro valutazione ideologica, il nostro legislatore fa “cattive leggi” nella sua affannosa ricerca di ampi consensi e nella sua, quasi costante, intenzione di soddisfare le pressioni socio-culturali più diverse e lontane tra loro.

Resta d’attualità la domanda del Papa “chi sono io per giudicare?”. A chi è rivolta? Il mondo laico può sentirsi escluso?

La domanda del Papa ha la stessa attualità del Vangelo, perché va intesa, a mio avviso, come un’eco dell’ammonimento di Gesù: “non giudicate se non volete essere giudicati” (Mt, 7.15). E’ una domanda che vuole prevenire arroganze ideologiche e affrettate scomuniche, che rivelano sempre una dolorosa carenza di intelligenza e ancor più di carità. Anche il mondo laico, quindi, è a suo modo destinatario dell’ammonimento di Papa Francesco, più di quanto gli stessi laici (che esaltano il loro preteso spirito tollerante e antidogmatico) non si rendano conto.

Emanuela Vinai         Sir       14 marzo 2016

http://agensir.it/italia/2016/03/14/giurisprudenza-creativa-dagostino-ugci-in-realta-unassenza-di-leggi-propriamente-non-puo-mai-darsi

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GESTAZIONE PER ALTRI

L’Europa non dà strada all’utero in affitto.

Respinto d’un soffio, con un solo voto di scarto, ma respinto definitivamente. Da ieri mattina il famigerato rapporto della senatrice belga ambientalista Petra De Sutter, favorevole a un via libera “condizionato” dell’utero in affitto, è finito fra gli incubi schivati in extremis dal vecchio continente, dopo mesi di manovre opache al Consiglio d’Europa, di differimenti imbarazzati e di vibranti proteste di piazza da parte di un fronte trasversale che ha visto le ONG femministe di stampo laico al fianco di storiche associazioni d’ispirazione cattolica.

Nella sede distaccata di Parigi, a due passi dall’Arco di Trionfo, la commissione Affari sociali dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Apce) ha bocciato il testo grazie all’opposizione di 16 membri, a dispetto di 15 voti favorevoli. A conti fatti il voto contrario delle due delegate italiane presenti ieri in commissione, le deputate Pd Eleonora Cimbro e Maria Teresa Bertuzzi, non allineato al parere favorevole del loro gruppo (il Fse), è risultato decisivo. È il sospirato epilogo di un tortuoso iter durato più di un anno, estremamente controverso anche per i pesanti dubbi sull’imparzialità della relatrice: Petra De Sutter, primario di Medicina riproduttiva all’Ospedale universitario di Gand, autorizzava già la surrogata “altruistica” nella sua struttura, stante l’assenza di una legge nazionale. Inoltre, una clinica privata indiana specializzata nel turpe mercato della surrogata vanta da tempo la propria collaborazione proprio con l’unità medica diretta dalla ginecologa belga.

Fin dal primo mattino, il palazzo parigino sede del voto è stato circondato da manifestanti decisi a far sentire il fermo “no” delle società civili europee al rapporto, interpretato come un cavallo di Troia per condizionare i futuri orientamenti dei governi nella vasta zona d’influenza del Consiglio d’Europa, che va dall’Islanda fino alle contrade russe sul Pacifico. Per prime sono giunte le ONG – molte d’ispirazione cristiana -che hanno promosso la petizione internazionale «No maternity traffic», già firmata su Internet da circa 108mila persone e consegnata ufficialmente la scorsa settimana presso la cancelleria del Consiglio. Poco più tardi si è schierato in piazza anche il fronte femminista all’origine delle «Assise per l’abolizione universale della maternità surrogata», ospitate il 2 febbraio dal Parlamento francese: un’altra cordata che ha lanciato una petizione di condanna assoluta dell’utero in affitto, la «Carta per l’abolizione universale della maternità surrogata». Il dono di fiori fra le delegazioni ha chiarito la volontà di un impegno nella stessa direzione, pur a partire da sensibilità e premesse distinte.

In modo significativo, lo stop alla surrogata è giunto solo tre giorni dopo un altro importante evento parigino all’insegna della convergenza nell’impegno a favore della vita e della dignità umana: il primo forum della Federazione europea «One of us» (Uno di noi). Per Caroline Roux, ai vertici della storica associazione francese Alliance Vita, ieri in prima linea, occorre leggere strategicamente questo successo nel quadro di un più ampio «slancio internazionale verso la proibizione della maternità surrogata, dato che l’India, la Thailandia, il Nepal e il Messico stanno rivedendo le loro legislazioni per mettere al bando o limitare la pratica, prendendo coscienza dello sfruttamento delle donne nei loro Paesi». Roux assicura che le associazioni aderenti a «No maternity traffic» continueranno a «chiedere il divieto universale della surrogata e l’approvazione di un trattato. La bocciatura di Parigi dovrebbe depotenziare in modo duraturo la corsa per una regolamentazione, sostenuta fin dal 2011 soprattutto dalla Conferenza dell’Aja per il diritto internazionale privato. Non a caso, il rapporto De Sutter appena decaduto incoraggiava in più punti i 47 Stati membri del Consiglio a «collaborare» con l’altro organismo tecnico sovranazionale.

Inoltre, nella panoramica planetaria della surrogata il rapporto bocciato ometteva di citare grandi Paesi come l’Italia, dedicando inizialmente appena 3 righe al paragrafo delle «giurisdizioni anti-surrogata», poi oggetto di emendamenti, come altre parti del documento. Ma la bocciatura del testo ha fermato la corsa. Ora si apre una nuova pagina.

Daniele Zappalà         avvenire         16 marzo 2016                       www.scienzaevita.org/rassegna

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GOVERNO

Incarichi di Governo, assegnate nuove deleghe.

Sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale le deleghe del ministro Enrico Costa relative alle politiche famigliari. Esplicito il riferimento alla conciliazione e al superamento della crisi demografica, come pure fortissimo è il rimando all’esigenza di coordinamento, programmazione, monitoraggio. Vincenzo Amendola, sottosegretario agli esteri, ha invece la delega a coadiuvare il ministro negli atti concernenti «le questioni relative alle adozioni internazionali»

C’è anche la delega a «promuovere e coordinare le azioni governative dirette a superare la crisi demografica e a realizzare gli interventi per il sostegno della maternità e della paternità, nonché a favorire le misure di sostegno alla famiglia, alla genitorialità e alla natalità» fra le deleghe del neoministro per la Famiglia, Enrico Costa. Le deleghe sono contenute nel decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale l’8 marzo 2016, a pag. 41, che all’articolo 5 mette nero su bianco la Delega a Costa delle funzioni in materia di politiche per la famiglia e le va a dettagliare.

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-03-08&atto.codiceRedazionale=16A02036&elenco30giorni=true

Leggere le deleghe e le sottolineature che esse fanno all’interno del vastissimo campo delle politiche famigliari, è anche un modo per cogliere le priorità del Governo in materia. Sette sono le sottolineature, dall’ovvia comunicazione istituzionale in materia di politiche per la famiglia alla meno scontata promozione di azioni governative dirette a superare la crisi demografica.

Citiamo in particolare il compito di promuovere e coordinare le politiche «volte a garantire la tutela dei diritti della famiglia in tutte le sue componenti e le sue problematiche generazionali, nonchè ad assicurare l’attuazione delle politiche in favore della famiglia», perché sappiamo che l’attuazione non è cosa affatto scontata. Ma anche l’«adottare le iniziative necessarie per la programmazione, l’indirizzo, il coordinamento ed il monitoraggio delle misure di sostegno alla famiglia», poiché una delle debolezze più evidenti del nostro Paese è proprio la mancanza di programmazione, indirizzo, coordinamento e monitoraggio. Quantomai attuale il «promuovere e coordinare le politiche per sostenere la conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di cura della famiglia». Fra le note da evidenziare, il comma 5 dell’articolo 5, che spiega come per l’esercizio di queste funzioni il Ministro si avvale del Dipartimento per le politiche della famiglia, ad eccezione dell’Ufficio di segreteria della Commissione per le adozioni internazionali: le adozioni internazionali quindi non rientrano nelle deleghe del Ministro (era una delle domande aperte).

La delega alle adozioni internazionali resta quindi a Renzi. Si occuperà di «questioni relative alle adozioni internazionali», coadiuvando il ministro Gentiloni nella trattazione degli atti in materia, Vincenzo Amendola, sottosegretario del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. La novità è nel decreto di delega pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 marzo 2016, a pag. 23.

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-03-11&atto.codiceRedazionale=16A01977&elenco30giorni=true

Una sola nota: coordinare e coordinamento sono termini che si ripetono ben sei volte nelle poche righe dell’articolo 5 del decreto, il che fa ben sperare nel fatto che questa necessità prioritaria sia ben presente al ministro e al Governo tutto. Ministro, buon lavoro!

Sara De Carli             VITA              17 marzo 2016

www.vita.it/it/article/2016/03/17/enrico-costa-ministro-contro-la-denatalita/138688/

(…) A occuparsi delle “questioni relative alle adozioni internazionali” sarà invece il sottosegretario al ministero degli Affari esteri Vincenzo Amendola che affiancherà, quindi, il titolare della Farnesina Paolo Gentiloni. Non a caso, infatti, è stato lo stesso Amendola, il 17 marzo 2016, a rendere noto che grazie al lavoro svolto dall’ambasciata italiana a Kinshasa, le autorità della Repubblica Democratica del Congo hanno deciso che un ulteriore gruppo di 47 bambini congolesi adottati da famiglie italiane potranno presto ricongiungersi ai loro genitori. Quella alle adozioni internazionali si unisce ad altre deleghe attribuite al sottosegretario. Tra le principali citiamo quella alle relazioni bilaterali con i Paesi dell’Europa, del Nord Africa, del Medio Oriente, del Corno d’Africa, le relazioni con le Nazioni Unite e con l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

www.aibi.it/ita/incarichi-di-governo-assegnate-nuove-deleghe-ad-amendola-ladozione-internazionale-e-a-costa-la-lotta-alla-denatalita/

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MATERNITÀ

La maternità e il desiderio: il dono dietro l’adozione.

Le recenti polemiche sulla gestazione per altri (Gpa) hanno riaperto un dibattito antico sulla maternità che, reso ancora più complesso dalle nuove opportunità medico-scientifiche, vede oggi contrapporsi due posizioni difficilmente conciliabili. Da un lato, c’è chi insiste sul dato biologico: è madre colei che, per natura, concepisce e porta avanti una gravidanza; è madre colei che ospita nel proprio corpo una vita e accoglie questo dono senza «se» e senza «ma». Ma è madre colei che, partorendo in maniera anonima, affida il figlio alle istituzioni affinché il bambino sia poi adottato, decidendo così che non può o non vuole diventare madre?

            Dall’altro, c’è chi si concentra solo sull’assunzione di responsabilità e considera che la maternità abbia poco a che vedere con la genetica e con la natura: non è madre chi partorisce, ma chi si occuperà del figlio una volta che questa nuova creatura, bisognosa di tutto, comincerà a chiedere cura e amore. Ma che cosa resta allora di quel corpo che «siamo» e che, volenti o nolenti, «c’è, c’è e c’è» come scriveva la poetessa polacca Wislawa Szymborska?

            In realtà, quando si parla della maternità, è tutto molto complesso. Anche semplicemente perché è uno di quegli eventi che costringe ogni donna, prima o poi, a fare i conti con quello che «ha» e quello che «non ha», quello che «è» e quello che «non è». Ma per convincersene, forse, è meglio partire dall’inizio. E ricordare che il rapporto che ognuno di noi ha con la propria corporeità è sempre ambivalente e contraddittorio. Il corpo è certamente ciò che ciascuno di noi «è», ma è anche qualcosa che si «ha». È ciò attraverso cui ogni essere umano esprime parte della propria unicità e della propria soggettività, ma è anche un oggetto materiale che, con i propri limiti e le proprie mancanze, ci ricorda che nessuno è il mero risultato di una combinazione di geni. Noi siamo anche, e forse soprattutto, il frutto di una storia, la conseguenza di un desiderio, il risultato di attese e sogni, speranze e delusioni, frustrazioni e aspettative. Allora è ovvio che non si nasce senza l’incontro del «femminile» e del «maschile», ossia di ovuli e di spermatozoi. Ma è anche ovvio che non si cresce e non si ha accesso alla propria umanità senza il desiderio profondo di chi, diventato padre o madre, cerca di trasmetterci il senso dell’esistenza. Un desiderio mai scevro di egoismo, certo! — dietro il desiderio di maternità o di paternità c’è sempre il bisogno di colmare un vuoto o di trasmettere certi ideali, di veder realizzate alcune aspettative o di riparare la propria storia personale. Ma un desiderio che, pur con tutti i suoi limiti, è necessario all’esistenza. A meno di immaginare che basti essere nutriti e accuditi perché poi la vita non scivoli nel vuoto del non senso. Cos’è allora veramente la maternità? Una scelta consapevole? Un’occasione naturale? Un diritto che giustifica ogni mezzo, compresa la strumentalizzazione del corpo altrui?

            Quando Kant spiegava la differenza che esiste tra le persone e le cose diceva che le persone, a differenza delle cose che hanno un prezzo, non hanno mai un prezzo, ma sempre una dignità. Kant, però, diceva anche altro. E spiegava bene che questa dignità non esclude mai del tutto la possibilità della strumentalizzazione. C’è sempre una dose di strumentalizzazione quando si ha a che fare con gli altri. Anche quando li si ama. Anzi, soprattutto quando li si ama, visto che dicendo «ti amo» si tratta automaticamente l’altro come un «oggetto» del proprio amore. Basta però che quest’«oggetto» resti al contempo «soggetto» affinché se ne rispetti la dignità. E che amandolo per quello che è, senza cioè domandargli di cambiare o di adeguarsi, gli si permetta di essere sempre «altro» rispetto alle nostre aspettative e alle nostre domande. «Altro», e quindi soggetto anche lui del proprio amore e del proprio desiderio. «Altro», e quindi persona. Ebbene, nel caso della maternità, il ragionamento dovrebbe essere lo stesso: si è madre quando si riconosce e si accetta un figlio per quello che è, quando lo si accompagna nella crescita affinché possa pian piano scoprire il senso della propria vita, quando si è lì, presenti e accudenti, per raccoglierne la vita. Cosa che è possibile sempre e solo quando c’è desiderio di maternità. Anche se (e quando) il corpo non segue, non aiuta, si blocca. E allora la medicina ci aiuta a trovare il modo non tanto per «guarire» la sterilità, quanto per trasformare la «sterilità biologica» in «fecondità simbolica». Talvolta anche grazie all’aiuto di un’altra donna. Senza per questo negarne il ruolo o banalizzarne l’importanza.

            La lingua francese, in questo, è forse più sottile di quella italiana, visto che quando si riferisce alla genitorialità utilizza due termini: «geniteur», che vuol dire «genitore biologico», e «parent», che vuol dire «padre» o «madre» anche in assenza di legami biologici o di sangue. Un conto, d’altronde, è mettere al mondo un figlio; altro conto, è diventarne la madre o il padre. Un conto è avere un legame genetico con la creatura che nasce; altro conto è accompagnarlo, coccolarlo, consolarlo, talvolta anche sgridarlo… in poche parole, permettergli pian piano di «tenersi su» da solo, come spiega bene il pedopsichiatra D. W. Winnicott. Tanto più che, come accade in alcuni Stati che hanno legiferato sulla Gpa, una donna che si presta a questo tipo di pratiche dovrebbe sempre essere già madre e non dovrebbe mai trovarsi in una situazione economica tale da vedere nella Gpa l’unica opportunità per il sostentamento. Una forma di dono, quindi. Proprio come il dono di un rene o di un pezzo di fegato, sapendo che i rischi che si corrono sono importanti, ma che è grazie al proprio dono che si potrà salvare una vita. Oppure come il dono di ovuli, che spinge alcune donne a cure di ormoni molto invasive pur di permettere ad altre donne di diventare madri. Ma questo lo sa bene solo chi, come mostrano molte ricerche fatte in Europa sulle donatrici o sui donatori, è stato confrontato al dramma della sterilità altrui. E chi, avendo avuto la chance di ritrovarsi incinta senza sforzi – questo sì che è un dono! – decide a sua volta di regalare questa gioia. Non un dono di un figlio, quindi. Solo il dono ad altre persone della possibilità di diventare mamme. Certo, la ferita dell’assenza di legami biologici resterà per sempre. È inutile negarlo o far finta di nulla. Ma non sarà questa ferita nel corpo a impedire a queste persone di raccogliere la vita dei propri figli evitando che scivoli, come ho già detto, nel vuoto del non senso. Anzi. Forse cercheranno di farlo meglio di chi, senza sforzi e talvolta anche senza desiderio, si ritrova incinta. Automaticamente «madre».

Michela Marzano      Il corriere della sera  17 marzo 2016

www.oua.it/lintervento3-la-maternita-e-il-desiderio-il-dono-dietro-ladozione-di-michela-marzano-il-corriere-della-sera/

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PARLAMENTO

Camera 2° Commissione Giustizia   Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.

Proposta di legge: C. 3634. “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” (approvata dal Senato), in sede referente, relatrice Micaela Campana, PD.

www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0039030&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=3634-e-sede=-e-tipo=

www.camera.it/leg17/126?tab=4&leg=17&idDocumento=3634&sede=&tipo=

15 marzo 2016. Nell’ambito dell’indagine conoscitiva in merito all’esame del provvedimento, hanno avuto luogo le audizioni di Francesco Saverio Marini, professore di istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, Monica Velletti, magistrato presso il Tribunale di Roma I sezione civile, rappresentanti del Comitato Difendiamo i nostri figli, Enrico Quadri, professore di istituzioni di diritto privato e diritto di famiglia presso l’Università degli studi di Napoli Federico II, Filippo Vari, professore di diritto costituzionale presso l’Università europea di Roma, rappresentanti del Centro studi Livatino, Domenico Airoma, procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord e Luigi Balestra, professore di diritto civile presso l’Università degli studi di Bologna

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=03&giorno=15&view=&commissione=02&pagina=data.20160315.com02.bollettino.sede00020.tit00010#data.20160315.com02.bollettino.sede00020.tit00010

16 marzo 2016       Donatella Ferranti, presidente, ricorda che il termine per la presentazione degli emendamenti alla proposta di legge in discussione sarà fissato per giovedì 31 marzo 2016, alle ore 16 e che l’esame preliminare si concluderà nella settimana in corso. Ribadisce che, al fine di definire le modalità di organizzazione dei lavori relativi al provvedimento in discussione, l’Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, è convocato, in data odierna.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=03&giorno=16&view=&commissione=02&pagina=data.20160316.com02.bollettino.sede00030.tit00010#data.20160316.com02.bollettino.sede00030.tit00010

17 marzo 2016 La Sottosegretaria Sesa Amici ricorda che il Governo nella fase iniziale dell’esame presso il Senato si è tenuto «un passo indietro» sulle proposte di legge d’iniziativa parlamentare, rimettendosi alla Commissione ed all’Assemblea su questioni estremamente delicate che non dovrebbero essere travolte dalla polemica politica. Questo atteggiamento di distacco è venuto meno quando l’ostruzionismo, naturalmente legittimo, ha di fatto paralizzato l’esame parlamentare. In quel momento il Governo, in ragione della rilevanza del provvedimento ai fini della tutela dei diritti civili, ha ritenuto di presentare un maxi emendamento e di porvi la questione di fiducia.

Sottolinea che da parte del Governo vi è l’interesse di arrivare quanto prima e nel modo migliore possibile, cioè attraverso una condivisione, all’approvazione del provvedimento. Non vi è pertanto alcuna precostituita intenzione di non valutare gli emendamenti che saranno presentati. A suo parere, sarà possibile entrare effettivamente Pag. 36nel merito delle questioni unicamente quando saranno esaminati dalla Commissioni gli emendamenti. In quella occasione il Governo esprimerà i propri pare

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2016&mese=03&giorno=17&view=&commissione=02&pagina=data.20160317.com02.bollettino.sede00020.tit00010#data.20160317.com02.bollettino.sede00020.tit00010.

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PARTO IN ANONIMATO

Difendiamo il diritto alla segretezza del parto.

Preveniamo una grave violenza nei confronti di decine di migliaia di donne indifese

La Camera dei Deputati ha approvato il 18 giugno 2015 il disegno di legge “Modifica all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e altre disposizioni in materia di accesso alle informazioni sulle origini del figlio non riconosciuto alla nascita”, ora all’esame del Senato con il n. 1978. Questo testo contiene norme pericolose per le donne che hanno scelto di partorire in anonimato non riconoscendo il proprio nato al momento del parto (sono circa 90 mila in Italia dal 1950 ad oggi). I punti più significativi su cui riteniamo debba essere modificato l’attuale testo (ampiamente illustrati nell’articolo pubblicato sulla rivista Minori e Giustizia n. 4/2015) sono:

1. Deve essere preservato il diritto alla segretezza del parto di cui si sono avvalse le donne, diritto garantito loro dallo Stato per cento anni prima dalla legge n. 2838/1928 e attualmente dalla legge n. 196/2003. Non è ammissibile che siano i nati da queste donne ad avviare il procedimento presso il Tribunale per i minorenni affinché le rintracci, se tali donne non hanno preventivamente manifestato la loro disponibilità al riguardo, perché nei fatti verrebbe violato il diritto alla segretezza ancora riaffermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 278 del 2013.

2. Deve essere abolita la disposizione in base alla quale le donne per conservare il diritto all’anonimato devono segnalare la loro volontà, svelando quindi la loro identità, al Tribunale per i minorenni e, conseguentemente, a tutto il personale che vi opera. In base a quanto previsto nel testo approvato alla Camera, per escludere la possibilità di essere interpellate su richiesta del proprio nato, le donne che, in futuro intenderanno avvalersi della facoltà di partorire in anonimato, dovranno «decorsi diciotto anni dalla nascita del figlio, confermare la propria volontà»: questa previsione di fatto vanifica la sicurezza dell’anonimato, in quanto le donne, per comunicare la loro mutata volontà, dovranno, inevitabilmente, svelare la propria identità.

3. Deve essere abolita la disposizione secondo cui la richiesta di accesso all’identità della partoriente è incondizionata nel caso in cui la donna sia deceduta. Si tratta infatti di una violazione palese non solo del suo diritto all’anonimato, ma anche del diritto suo e dei suoi congiunti alla riservatezza che la stessa non è più in grado di tutelare.

4. Deve essere mantenuta a 25 anni l’età per richiedere l’accesso alle informazioni relative all’identità, come peraltro previsto dall’attuale articolo 28 della legge n. 184/1983. Infatti a 18 anni, età minima prevista dalla proposta di legge n. 1978, la personalità è ancora in via di formazione e potrebbero risultare fortemente problematici per l’adottato o la persona non riconosciuta alla nascita sia l’incontro con la procreatrice che il suo eventuale rifiuto.

Considerazioni e proposte

I desideri, anche profondi, di ciascuno di noi non dovrebbero mai compromettere i diritti fondamentali degli altri. Pertanto la richiesta di conoscere l’identità della partoriente da parte della persona non riconosciuta alla nascita dovrebbe essere accolta solo se le procedure previste non rischiano di danneggiare le migliaia di donne che finora non hanno riconosciuto o che non riconosceranno i loro nati.

Va anche tenuto anche presente che la segretezza del parto in anonimato prevista dal legislatore italiano non impedisce già ora la conoscibilità delle notizie riguardanti l’origine dell’adottato non riconosciuto alla nascita, purché le stesse non rivelino i dati identificativi della partoriente.

abstract intervento Frida Tonizzo, consigliere nazionale Anfaa       16 marzo 2016

per Convegno 20 maggio 2016 “madri sole”, Pompei,

Workshop 4 – La tutela sociale della maternità, il parto in anonimato, la valutazione precoce delle situazioni di rischio, il sistema dell’accoglienza delle gestanti

www.progettofamiglia.org/forum/viewtopic.php?f=20&t=252&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=forum_online_sullaccoglienza_familiare_al_via_il_dibattito_in_preparazione_al_convegno_nazionale_di_studi_2052016_pompei

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SINODO SULLA FAMIGLIA

Tutti i numeri della “Rerum Familiarium Novarum”.

Dalle mezze parole che sfuggono agli “esperti” possiamo desumere una serie di caratteristiche “numeriche” della prossima Esortazione Apostolica sulla famiglia:

a)      della lunghezza. Prima si è detto che il prossimo documento ha “quasi 100 pagine”, poi “più di 100 pagine”, ieri si è arrivati a dire “di circa duecento pagine”…non sarà certo un testo breve.

b)      senza fare paragoni. Vi è poi chi ha parlato non del numero delle pagine, ma del numero dei paragrafi: sarebbero ben 323 (da cui si capisce il lievitare delle pagine!). Se consideriamo che Familiaris Consortio aveva 86 paragrafi, per arrivare a 323 è necessario pensare ad un incremento dei 3/4! Possiamo desumerne una bella proporzione: 323 sta a 86 come la Adhortatio di Francisco sta a Familiaris Consortio. Il che significa che la nuova Esortazione sarà 4 volte la precedente. E che per 3/4 dirà res, se non “novae”, certo “nove”. E se si chiamasse “Rerum familiarium novarum“?

c)      back to the future. Nelle parole di Kasper, pronunciate l’altro ieri a Lucca, si potrebbe leggere qualcosa di molto preciso. Ascoltiamole: «Tra pochi giorni (19 marzo) uscirà un documento di circa duecento pagine in cui Papa Francesco si esprimerà definitivamente sui temi della famiglia affrontati durante lo scorso sinodo e in particolare sulla partecipazione dei fedeli divorziati e risposati alla vita attiva della comunità cattolica. Questo sarà il primo passo di una riforma che farà voltare pagina alla Chiesa dopo 1700 anni». «Non dobbiamo ripetere formule del passato e barricarci dietro il muro dell’esclusivismo e del clericalismo, la Chiesa deve vivere i nostri tempi e saperli interpretare». Quello che mi colpisce è che Kasper abbia detto non 100, 200, 500 anni, ma 1700! La cifra non può essere casuale. Il che ci riporta dritti dritti al IV secolo. Che cosa è accaduto di fondamentale nel IV secolo? Molte cose. Da un lato il riferimento potrebbe essere al 313 e alla riformulazione del rapporto tra Chiesa e Impero. Questo sarebbe un riferimento altamente significativo, ma generico. Se invece Kasper si fosse riferito alla disciplina matrimoniale, sarebbe quasi inevitabile pensare alla disciplina sui digamoi” del Concilio di Nicea. Il canone 8 del concilio di Nicea dice infatti: “A proposito di quelli che si definiscono puri, qualora vogliono entrare nella Chiesa cattolica, questo santo e grande concilio stabilisce […] prima di ogni altra cosa che essi dichiarino apertamente, per iscritto, di accettare e seguire gli insegnamenti della Chiesa cattolica: e cioè essi entreranno in comunione sia con coloro che sono passati a seconde nozze, sia con coloro che hanno ceduto nella persecuzione, per i quali sono stabiliti il tempo e le circostanze della penitenza, così da seguire in ogni cosa le decisioni della Chiesa cattolica e apostolica”. In ogni caso si tratterebbe di una novità molto significativa, in un senso o nell’altro.

Andrea Grillo            “Come se non” – 17 marzo 2016

www.cittadellaeditrice.com/munera/tutti-i-numeri-della-rerum-familiarium-novarum

 

Il papa oggi ha firmato: che cosa? Dati certi, congetture e confutazioni.

Dove eravamo rimasti? Intorno ad uno dei pochi dati certi circa la nuova Esortazione Apostolica –ossia la data del 19 marzo 2016, annunciata per la apposizione della firma da parte di papa Francesco – abbiamo letto una serie di parole, interviste, indiscrezioni, bilanci che sembrano lasciare intendere la conoscenza di un testo quasi come se fosse “privo di presupposti”. Proviamo a mettere ordine e a chiarire, per quanto possibile.

Le poche certezze: pagine e paragrafi. Da qualche settimana sappiamo della futura Esortazione soltanto tre cose. Che è stata firmata oggi, che è lunga quasi 200 pagine e che contiene 323 paragrafi. Dunque è lunga. E contiene ben 237 in più di Familiaris Consortio, che aveva soltanto 86 paragrafi.

Le illazioni: tutto cambia e nulla cambia. Accanto a questi “dati” oggettivi, che facilmente saranno confermati, abbiamo ascoltato autorevoli pareri di personalità, che certamente già conoscono il testo e che, tuttavia, sembrano dedurne contenuti assai diversi e conclusioni quasi antitetiche. Questo dipende, in non piccola parte, anche dal modo con cui le “mezze parole” vengono riportate dai media in modo troppo interessato: una novità diventa subito una rivoluzione, mentre il mantenimento di alcune logiche classiche diventa la negazione di ogni cambiamento. Credo che sia ragionevole pensare che se il testo avrà qualcosa come duecento paragrafi in più di FC, non sarà soltanto per confermarne ogni disciplina. E’ un principio di economia a suggerire che gli uomini – anche quando siano chierici – non scriverebbero mai non dico duecento, ma nemmeno 50 paragrafi soltanto per restare dove erano.

Le premesse: il cammino sinodale. D’altra parte mi pare importante ricordare una seconda cosa, spesso dimenticata: quando quasi 5 mesi fa abbiamo letto la Relatio Sinodi, abbiamo sentito soltanto da alcuni cardinali avanzare la ipotesi che “tutto fosse come prima”. La pressoché totalità dei commenti, sia pure con toni diversi, aveva notato la vistosa assenza, nella Relatio, di una esplicita esclusione dei divorziati risposati dalla comunione non solo ecclesiale, ma anche sacramentale. Sia pure in un documento pieno di compromessi e di “deleghe” – tutte rilasciate a Francesco – questo dato emergeva con grande chiarezza e veniva riconosciuto in modo trasversale. Ora apparirebbe piuttosto paradossale che nella Esortazione non apparisse traccia alcuna di una puntuale traduzione pastorale di questo nuovo orizzonte di possibile discernimento e integrazione.

La questione vera: perché 20 anni di una Chiesa “senza potere”? Sullo sfondo di queste “resistenze” – che appaiono chiarissime anche in alcune illazioni circolate ieri e oggi – si presenta tuttavia un elemento che merita una analisi più attenta. E che vorrei analizzare traendolo da un contesto diverso e minore, ma affine quanto ad argomentazione. Nella recente polemica sulla “lavanda dei piedi” riformata da Francesco abbiamo ascoltato infatti, tra le ragioni dei “resistenti”, questa spiegazione: le donne non possono partecipare alla lavanda dei piedi, perché la Chiesa non ha potere di cambiare quanto stabilito dal suo Signore. Quando ho ascoltato questo ragionamento mi sono detto: questo è certo un “luogo comune” della tradizione cristiana e cattolica. Ma negli ultimi 20 anni lo abbiamo usato sempre in situazioni-chiave: per escludere la ordinazione delle donne (Ordinatio sacerdotalis, 1994), per escludere ogni rilevanza della cultura nel tradurre testi liturgici (Liturgiam Authenticam, 2001), per escludere ministri diversi dal presbitero/vescovo nella unzione dei malati (Nota della Congregazione per la Dottrina della fede, 2005), per escludere la obbligatorietà della riforma liturgica per tutti i battezzati (Summorum Pontificum, 2007). In tutti questi casi si è usato questo argomento: la Chiesa non ha il potere di modificare quanto il Signore ha stabilito. In questo modo, attraverso un “ammissione di mancanza di potere”, si è mantenuto tutto il potere che la Chiesa si era precedentemente riconosciuto. In altri termini, dicendo, “non posso fare altrimenti”, si può continuare a restare allo “status quo”, si può rimanere “autoreferenziali”. In apparenza è una argomentazione che “umilia”, ma nei fatti produce non poca “esaltazione”.

Ora, questo modo di argomentare è tornato in questi giorni, come tante volte avevamo sentito durante il dibattito Sinodale: non possiamo fare altro – di è detto – che ripetere quanto già fatto. Solo in ciò che già facciamo – giuridicamente e pastoralmente – siamo fedeli. Ogni cambiamento minerebbe la fedeltà.

Le prospettive di sviluppo: l’idea di una “pluralità dei fori”. In realtà i lavori sinodali sono stati, precisamente, la forma complessa con cui papa Francesco ha voluto “dare ascolto allo Spirito”. Ma questo percorso non è nato “per sport”, “per passatempo” o “per convenzione”, ma è stato pensato come risposta di fronte alla urgenza della inadeguatezza di una disciplina matrimoniale che appare non più alla altezza del proprio compito. E questo vale sia per il diritto canonico, sia per la pastorale. Su entrambi i fronti occorre un percorso di precisazione, di adeguamento, di ripensamento, profondo e comunitario, che è iniziato con questo duplice Sinodo. In particolare a me sembra che il cuore debba essere trovato in una nuova e necessaria calibratura tra giustizia e misericordia. Essa richiede di agire, contemporaneamente, sul piano pastorale e sul piano giuridico. Una buona idea, a questo proposito, può venire dalla intuizione di uno storico di classe come Paolo Prodi, che alcuni anni fa, in un suo bel libro – Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto – leggeva la storia della giustizia attraversata da una tensione “tra diversi fori”, che poi nella tarda modernità si è tradotta nella dinamica tra coscienza e diritto.

La firma che oggi papa Francesco ha apposto sta in calce ad un documento che introduce una “pluralità di fori” nella esperienza della vita matrimoniale e familiare. Li introduce solo ufficialmente, perché in realtà già esistono, da almeno 150 anni. Ma la Chiesa non sapeva riconoscerli, e dopo averli scomunicati, ha continuato a illudersi di tenerli “fuori”, magari ingenuamente, rimettendo le balaustre in Chiesa. Qui occorre cambiare profondamente stile e atteggiamento. Si tratta non solo di riconoscere queste esperienze, ma di farle entrare nel dialogo ecclesiale e di integrarle nella Chiesa stessa, come una nuova ricchezza.

Il Sinodo ha dimostrato alla Chiesa di avere il potere di accompagnare, discernere, integrare Questa svolta, importante, potrà avvenire in due modi. Da un lato ci accorgeremo che il matrimonio non vive di solo diritto canonico, ma anche di diritto civile, di convivenza reale, di ascolto, di virtù, di tempi e di spazi. E dall’altro scopriremo di non poter delegare le soluzioni della pastorale matrimoniale soltanto ai tribunali. Come se questa fosse la sola garanzia del sacramento, del nostro “non avere potere”! Lo spazio che apparirà – quando scopriremo tutte le righe scritte sopra la firma di oggi – ci farà capire che, anche quando la dottrina non cambia, un mutamento anche solo iniziale della disciplina, un atto di serio riconoscimento della realtà effettuale, senza cedere alle idealizzazioni sempre troppo aggressive, autorizza la Chiesa ad assumersi la responsabilità di lasciarsi riformare. Non raramente il fatto di affermare che “non si ha potere” si rivela soltanto un modo di alimentare la indifferenza, di far prevalere la paura e di moltiplicare la ipocrisia. Solo riconoscendo apertamente di avere ricevuto l‘autorità per accompagnare lungo la strada le famiglie ferite, per operare un delicato discernimento della loro esperienza e per favorire la necessaria integrazione ecclesiale e sacramentale, saremo allora fedeli alla tradizione del matrimonio e della famiglia, così come può brillare ancor oggi, “alla luce del Vangelo e dellaesperienza umana” (GS 46)

Andrea Grillo            “Come se non” – 20 marzo 2016

www.cittadellaeditrice.com/munera/il-papa-oggi-ha-firmato-che-cosa-dati-certi-congetture-e-confutazioni

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TRIBUNALI ECCLESIATICI

Ancora sulla riforma del M.P. Mitis iudex in tema di Tribunali ecclesiastici regionali

            Dopo le prime comprensibili incertezze interpretative, il tempo e la prassi applicativa cominciano in qualche modo a delineare in concreto l’effettiva operatività della riforma operata da Papa Francesco con il M.P. Mitis iudex, entrato in vigore l’8 dicembre 2015. In particolare, per quanto riguarda la circoscrizione dei Tribunali ecclesiastici italiani, sembra prevalere la lettera del can. 1673, §. 2, che, insieme alla possibilità di costituire appositi Tribunali diocesani per le cause matrimoniali, prevede anche l’ipotesi di Tribunali operanti per più diocesi, come in Italia già avviene con i Tribunali regionali.

            Come noto, il successivo Rescritto del Papa del 7 dicembre 2015 ha previsto l’abrogazione del M.P. Qua cura di Pio XI che aveva istituito i tribunali regionali italiani, sebbene attraverso un’inusuale formula messa tra parentesi e a mo’ di esempio:          Le leggi di riforma del processo matrimoniale succitate abrogano o derogano ogni legge o norma contraria finora vigente, generale, particolare o speciale, eventualmente anche approvata in forma specifica (come ad es. il Motu Proprio Qua cura, dato dal mio Antecessore Pio XI in tempi ben diversi dai presenti).

            Il successivo dibattito si è incentrato quindi sul destino dei Tribunali ecclesiastici regionali. A distanza di tre mesi dall’entrata in vigore della riforma si può affermare ormai che permane l’operatività dei suddetti Tribunali, ai sensi del can. 1673, §. 2, novellato dal M.P. Mitis iudex. Le Conferenze episcopali regionali si sono pronunciate espressamente in ordine alla conferma dei Tribunali regionali e in questo senso sono arrivate anche le prime conferme specifiche da parte della Segnatura circa la correttezza della soluzione adottata.

            Peraltro, in una comunicazione ufficiale della stessa Segnatura Apostolica al Segretario generale della CEI del 22 dicembre 2015 si afferma chiaramente che il Rescritto “non può aver abolito ossia soppresso i Tribunali regionali in Italia”, aprendo solo la possibilità al singolo Vescovo di recedere dal Tribunale regionale e costituire un proprio Tribunale diocesano, così che “con la notizia ufficiale data da un Vescovo al Moderatore del Tribunale regionale la diocesi di quel Vescovo cessa di appartenere al Tribunale Regionale”.

            In questo senso sembra essersi espresso ora anche Papa Francesco, parlando a braccio all’incontro avuto in Aula Paolo VI lo scorso 12 marzo 2016 con i partecipanti ad un corso proprio sulle nuove procedure matrimoniali, promosso dal Tribunale della Rota Romana.  (vedi newsUCIPEM n. 588, pag.13)

Ius canonicum            15 marzo 2016  

www.iuscanonicum.it/ancora-sulla-riforma-del-m-p-mitis-iudex-in-tema-di-tribunali-ecclesiastici-regionali/#more-1884.

Anche il Tribunale ecclesiastico piemontese continua ad operare dopo il M.P. Mitis iudex

            Anche la Conferenza episcopale della regione ecclesiastica di Piemonte e Val d’Aosta si è pronunciata per la conferma dell’operatività del Tribunale ecclesiastico regionale piemontese in materia di cause di nullità matrimoniale. Come per gli altri Tribunali ecclesiastici regionali italiani, anche per il Tribunale piemontese la locale Conferenza episcopale, con un suo comunicato (leggi qui), ha ufficializzato la prosecuzione dell’attività di giustizia a seguito della riforma operata dal M.P. Mitis iudex di Papa Francesco, entrata in vigore lo scorso 8 dicembre 2015. Il comunicato dei Vescovi del Piemonte e della Valle d’Aosta è del 19 gennaio 2016 ed è stato pubblicato anche sul nuovo sito internet del Tribunale (www.terp.it), da poco lanciato sul web.

            “Il Motu Proprio – si legge nel comunicato – oltre ai Tribunali diocesani, fa riferimento anche ai Tribunali interdiocesani, come è il Tribunale ecclesiastico regionale piemontese. Nella situazione attuale riteniamo che questo nostro Tribunale interdiocesano possa continuare ad essere competente a valutare e giudicare le domande di nullità matrimoniale ancora pendenti e quelle inoltrate che saranno trattate con il processo ordinario oppure documentale, qualora tali domande abbiano i requisiti prescritti dal diritto per seguire la procedura prevista. Spetta pertanto al Vicario giudiziale del Tribunale regionale accogliere il libello e verificare se vi siano o meno i requisiti presenti per emanare il decreto a norma del can. 1676 del C.I.C.

            Le domande di processo brevior siano inoltrate al Tribunale regionale; il Vicario giudiziale contatterà quanto prima il Vescovo competente a giudicare perché si attivi a norma del diritto. Le Diocesi piemontesi si daranno prassi e modalità di attuazione in riferimento alla nomina dell’istruttore e dell’assessore per favorire il criterio della prossimità e la decisione del Vescovo competente”.

            Al momento dunque risulta che tutte le Conferenze episcopali regionali italiane che si sono espresse sul punto hanno confermato l’operatività e l’attività dei rispettivi Tribunali ecclesiastici regionali per le cause canoniche di nullità matrimoniale. Unica eccezione al momento la Sicilia. Possibili novità anche per alcune diocesi della Campania, Regione in cui fino ad ora operavano tre Tribunali (Napoli, Salerno e Benevento), anche se la Conferenza episcopale locale si è comunque pronunciata per il mantenimento delle strutture esistenti.

Ius canonicum                        17 marzo 2016 

www.iuscanonicum.it/anche-il-tribunale-ecclesiastico-piemontese-continua-ad-operare-dopo-il-m-p-mitis-iudex/#more-1888

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