newsUCIPEM n. 584 –14 febbraio 2016

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ADDEBITO                                       Separazione: per l’addebito le testimonianze non bastano.

ADOZIONE                                       Dichiarazione di adottabilità solo come extrema ratio.

Tre cowboy per un’adozione.

AFFIDO CONDIVISO                      Spese per babysitter e mantenimento: ordinarie o straordinarie?

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Niente assegno all’ex moglie, se può andare a lavorare

Domanda in Italia anche se il divorzio è avvenuto all’estero.

Stop mantenimento al figlio fuoricorso all’università.

Assegno di mantenimento: la prescrizione.

ASSEGNO DIVORZILE                  Anche se il matrimonio dura 3 mesi, l’assegno va riconosciuto.

Mantenere in via esclusiva il figlio esonera dall’assegno alla ex.

C. I. S. F.                                           Famiglie forti, comunità forti.

CHIESA CATTOLICA                    Ouellet: “Il celibato non è un dogma, ma un grande valore”.

CHIESE Cattolica e Ortodossa        Dichiarazione comune di Francesco e di Kirill.

COMUNIONE DEI BENI                Separazione dei beni tra coniugi: cosa comporta?

CONSULTORI FAMILIARI                       Taranto “Per educare il cuore dell’uomo”

CONSULTORI Familiari UCIPEM Cremona. Progetto aiuta mamma.

Faenza. Corso di massaggio infantile.

DALLA NAVATA                            1° Domenica di Quaresima – anno C –14 febbraio 2016.

Commento al Vangelo di Enzo Bianchi, priore a Bose.

DIVORZIO                                       La convivenza forzata non blocca il divorzio.

EUROPA                                           In vigore la Convenzione dell’Aja sulla responsabilità genitoriale

FISCO                                                           Figli a carico, tutti i benefici fiscali 2016.

GENITORI OMOSESSUALI                       Il desiderio di avere un figlio è un bisogno? Oppure è un piacere?

Il desiderio di essere genit5ori non è certo un diritto.

Uteri in affitto a 5.000 euro così un bambino diventa merce.

INFEDELTÀ                                     Infedeltà matrimoniali, 7 cose da sapere.

MATERNITÀ                                               Indennità di maternità senza stop dal lavoro.

OBIEZIONE DI COSCIENZA        Pillola «dei 5 giorni», i farmacisti obiettano

OMOFILIA                                       I diritti delle coppie omosessuali in Italia? Già esistono!

ONLUS NON PROFIT                     Obbligo di assunzione disabili per enti senza scopo di lucro

Esenzioni ici e imu tra enti non commerciali se comodato gratuito

PARLAMENTO Senato Assemblea Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.

Senato 2° Comm. Giustizia   Divorzio diretto

Camera Assemblea                Embrioni soprannumerari

SEPARAZIONE                                Con l’assegnazione della casa chi paga le tasse?

Non basta che lui e lei vivano sotto lo stesso tetto x interromperla

Esenti da imposte gli accordi di separazione tra coniugi

SEPARAZIONE E DIVORZIO       L’ex le rimborsa le spese Per la conservazione della casa familiare.

UCIPEM                                            Congresso nazionale 2016 ad Oristano a settembre.

UNIONI CIVILI                                         Anche stralciando la “stepchild adoption”, i problemi rimangono.

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ADDEBITO

Separazione: per l’addebito le testimonianze non bastano.

Tribunale di Taranto, prima Sezione civile, sentenza n. 72\2015

Le sole prove testimoniali non sono sufficienti a dimostrare che la crisi sia divenuta irreversibile a causa del comportamento di un coniuge. A giustificare l’addebito della separazione non possono ritenersi sufficienti delle mere testimonianze non supportate da prove adeguate. La parte che intende far addebitare all”altra la rottura del legame coniugale deve infatti allegare specifici fatti o episodi in grado di rappresentare una condotta del coniuge idonea a determinare inequivocabilmente la crisi.

            Soprattutto, deve escludersi che tali fatti o episodi siano, invece, solo una conseguenza della crisi stessa. Il Tribunale, infatti, ha escluso l’addebito della separazione alla moglie in quanto il marito non è riuscito a provare adeguatamente che la donna, in costanza di matrimonio, avesse già una relazione con l”attuale compagno, padre dei suoi due figli. Allo stesso modo, il giudice ha escluso anche l’addebito della separazione al marito, in quanto la moglie non è riuscita a fornire un”idonea prova delle continue ingiurie che avrebbe subito da parte dell’uomo. Quindi, la separazione giudiziale va pronunciata senza alcun addebito.

            Del resto, ricorda il tribunale, quest’ultimo implica la dimostrazione che la crisi coniugale sia divenuta irreversibile esclusivamente in ragione del comportamento di uno o entrambi i coniugi e che, insomma, sussista un nesso di causalità tra determinati atteggiamenti e l’impossibilità di proseguire una convivenza quanto meno tollerabile. Se questa dimostrazione manca, la rottura è senza “vinti” né “vincitori”!

Valeria Zeppilli          newsletter      studiocataldi.it           8 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20954-separazione-niente-addebito-in-assenza-di-adeguata-prova.asp

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ADOZIONE

Dichiarazione di adottabilità solo come extrema ratio.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 25526, 18 dicembre 2015

            E’ conforme all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare, la decisione dei giudici interni i quali piuttosto che dichiarare una minore adottabile la affidano alle cure dello zio, fratello della madre della bimba. E’ la Corte di cassazione a stabilirlo. Nel caso di specie, la Corte di appello non aveva condiviso la scelta del Tribunale per i minorenni di Firenze che aveva dichiarato lo stato di abbandono della minore e la sua adottabilità a causa dell’inidoneità della madre. Per la Corte di appello, infatti, in ragione dei rapporti significativi e di affetto con lo zio materno, la minore andava affidata al parente, che per di più si era trasferito proprio per seguire meglio la bimba. Una scelta, quella dei giudici di secondo grado – scrive la Cassazione – conforme proprio alla pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo S.H contro Italia del 13 ottobre 2015 che era costata una condanna all’Italia perché le autorità nazionali non avevano cercato di applicare misure in grado di far mantenere il rapporto genitore-figlio. Per Strasburgo, la rottura definitiva e irreversibile del legame familiare quando sono possibili altre misure è incompatibile con l’articolo 8 della Convenzione europea e, di conseguenza, la dichiarazione di adottabilità “deve rimanere l’extrema ratio”.

                                                     Marina Castellaneta        12 febbraio 2016

www.marinacastellaneta.it/blog/dichiarazione-di-adottabilita-solo-come-extrema-ratio.html

 

Tre cowboy per un’adozione.

Tre cowboy trovano un neonato rimasto senza genitori. Lo salvano, lo curano. Lo amano. Lo racconta un film del ‘48 con John Wayne. L’amore, l’unico requisito per adottare un bimbo. Nel vecchio film di John Ford The Three Godfathers — in italiano In nome di Dio oppure Il texano, 1948 — tre cowboy in fuga attraverso il deserto dell’Arizona, dopo aver rapinato una banca, trovano un neonato che sta morendo di sete e di inedia nella sabbia, unico superstite della sua famiglia morta in un incidente provocato involontariamente dall’imperizia degli stessi genitori del bambino. I tre si prendono cura del neonato e decidono di portarlo in città, da dove pure sono fuggiti dopo la loro rapina e dove li attende la pena per il loro reato. Il film è l’odissea degli improvvisati padri, dei loro ardui e riusciti sforzi di nutrire il bambino spremendo qualche goccia di latte dai cactus o da qualche altra pianta grassa e avendo goffa ma geniale e amorosa cura di lui, cui sacrificano la pochissima acqua di cui dispongono, e imparando assai presto a capire il suo linguaggio inarticolato, le sue inconsapevoli ma decise richieste, i suoi gesti. Solo uno di essi (John Wayne) riuscirà a portare in salvo il neonato in città, dove lo attende la prigione ma anche la gratitudine della gente; gli altri muoiono di stenti e di sete per strada, ma il neonato porterà i nomi di tutti e tre, Robert William Pedro; quell’acqua che gli hanno dato, rischiando di morire e rispettivamente morendo per lui, è un vero battesimo di vita.

https://it.wikipedia.org/wiki/In_nome_di_Dio_%28film%29

Quei tre hanno tutti i requisiti per adottare un bambino, per farlo crescere con amore e intelligenza, meglio di certe famiglie vere e proprie che, come dicono tante cronache, sono talora teatro di disattenzione, irresponsabilità, quando non di turpe violenza. Quei tre cowboy con la pistola alla cintura e il cuore grande non sono omosessuali. Sono amici e l’amicizia può essere un legame non meno intenso, creativo e fondante dell’eros. Se fossero omosessuali, avrebbero ugualmente il medesimo titolo e la medesima capacità di far crescere il bambino, di adottarlo, vista la loro capacità di proteggerlo, di amarlo, di anteporre la sua vita alla loro. Ma, in tal caso, sarebbero adeguati a far crescere il bambino non «perché» omosessuali né «benché» omosessuali, come se l’identità sessuale fosse un titolo di merito o demerito; non costituisce un orgoglio né una vergogna.

La paternità e maternità acquisite non fisicamente, tramite il sesso, bensì tramite l’amore non c’entrano con l’identità sessuale, non passano attraverso di essa. L’eros omosessuale è disgiunto non solo fisicamente ma anche spiritualmente dalla generazione (una donna non può essere padre, un uomo non può essere madre). Proprio per questo, se alcune culture, come quella biblica, lo hanno aborrito, altre, come quella classica, specialmente quella greca — la più grande civiltà mai esistita — lo hanno celebrato come un eros più nobile, più spirituale. Non credo a queste gerarchie di nobiltà; e credo che ogni rapporto si degradi ricorrendo a pratiche neo-schiaviste come l’utero in affitto, giustamente bollato non solo ma soprattutto dai movimenti per la dignità della donna, che non è un monolocale da affittare o da ricevere in locazione provvisoria da qualche istituto di case popolari. L’unico criterio in base al quale affidare o no un bambino che abbia perduto i suoi genitori, o sia stato loro giustamente sottratto nel caso di loro non integrità o incapacità, è la dimostrata capacità di una persona — o di due, ma forse anche più di due — di amare, educare, tutelare la piccola vita che le — o loro — viene affidata.

Claudio Magris                     “Corriere della Sera”           9 febbraio 2016

www.corriere.it/opinioni/16_febbraio_09/tre-cowboy-un-adozione-l-unico-requisito-l-amore-1c2083ae-ce9a-11e5-8ee6-9deb6cd21d82.shtml

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                                                              AFFIDO CONDIVISO

                            Spese per babysitter e mantenimento: ordinarie o straordinarie?

Tribunale di Roma, sentenza n. 18916/2015.

Separazione dei coniugi: la spesa per la babysitter rientra nell’assegno di mantenimento o si considera spesa straordinaria da dividere al 50%? Chi paga le spese per la babysitter, dopo la separazione dei coniugi? Tali importi devono considerarsi compresi nell’assegno di mantenimento essendo spese ordinarie, oppure vanno considerati come uscite straordinarie e, pertanto, da dividere a metà? La soluzione non è chiara agli operatori del diritto atteso che diversi tribunali offrono soluzioni differenti.

            Ad esempio, secondo il protocollo siglato dal tribunale di Bergamo, le spese di babysitter si considerano straordinarie e, quindi, gravanti al 50% sia sul coniuge affidatario che sull’altro. Opposta la visione del tribunale di Varese, secondo il cui protocollo, invece, detti importi si considerano spese ordinarie.

            Ed ancora, secondo il protocollo adottato dal tribunale di Vicenza e di Firenze, sono da considerarsi straordinarie le spese per la babysitter solo in caso di malattia dei figli o del genitore collocatario in mancanza di strutture gratuite o della disponibilità dell’altro genitore o di parenti disponibili.

            Infine, secondo il protocollo dei Tribunali di Sondrio e Pistoia, le spese di babysitter sono straordinarie solo se rese necessarie per impegni lavorativi di entrambi i genitori, in caso di malattia della prole al di sotto dei 12 anni e/o del genitore affidatario, in mancanza di alternative gratuite (ad es. strutture pubbliche/scolastiche, genitore non affidatario, parenti disponibili).

            Il tribunale di Roma è recentemente intervenuto sulla questione sostenendo che le spese per babysitter, servizio dovuto alla separazione dei coniugi, devono essere sostenute da entrambi i genitori. E ciò vale anche se il coniuge assegnatario della prole non lavora full time, ma ha ottenuto una riduzione dell’orario di lavoro: ciò, infatti, non giustifica l’esenzione dal pagamento da parte dell’altro, che è obbligato a partecipare all’esborso.

            La vicenda. Nel giudizio di separazione tra due coniugi, la moglie, con la quale vivevano i due figli, gemelli, iscritti al primo anno della scuola media inferiore, chiedeva che il marito partecipasse alle spese ordinarie e straordinarie per il loro mantenimento. L’uomo si opponeva, in particolare, al pagamento del servizio di babysitter, ricordando come la moglie non lavorasse più a tempo pieno ma bensì part time e di conseguenza avesse più disponibilità per accudire i figli.

            Babysitter: spesa straordinaria anche se il genitore lavora part time. Nella sentenza in commento viene precisato che l’orario ridotto di lavoro della donna non è sufficiente a esentare il marito dal pagamento al 50% del servizio di babysitter, la cui esigenza è nata, oltretutto, a causa della separazione dei due. La sentenza va anche oltre, considerando che “non può essere escluso una volta per tutte che l’esigenza di affidare i bambini a terzi sorga nuovamente in futuro in ragione di un mutato orario lavorativo della madre o in presenza di altre particolari situazioni”. Per semplificare le decisioni di entrambi il giudice dispone che le spese straordinarie siano concordate attraverso una richiesta scritta dell’uno alla quale entro dieci giorni dovrà rispondere, positivamente o negativamente, l’altro e che, in caso di mancata risposta scritta, si considera l’assenso di quest’ultimo.

La massima          Non è esentato il marito a priori dal pagamento delle spese di baby sitter per i figli, per via del nuovo orario di lavoro del coniuge affidatario, posto che non può essere escluso una volta per tutte che l’esigenza di affidare i bambini a terzi sorga nuovamente in futuro in ragione di un mutuato orario lavorativo o per altre particolari situazioni.

Redazione Lpt                       10 febbraio 2016

www.laleggepertutti.it/111243_spese-per-babysitter-e-mantenimento-ordinarie-o-straordinarie

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Niente assegno all’ex moglie, se può andare a lavorare

I “paletti” delle recenti sentenze della Cassazione sul diritto al mantenimento dell’ex coniuge. Non ha diritto all’assegno di mantenimento l’ex coniuge che ha capacità lavorativa. È questo ormai l’orientamento che ha preso piede nella recente giurisprudenza di legittimità che sta mettendo i “paletti” sui diritti avanzati dal coniuge più debole, in genere l’ex moglie, facendo tirare un sospiro di sollievo a molti mariti. Del resto, a provarlo sono anche le statistiche che vedono, come sottolineato ai microfoni di Cuore e Denari dal presidente dei matrimonialisti italiani, Gian Ettore Gassani, il riconoscimento del diritto all’assegno di mantenimento nei confronti del coniuge più debole scendere vorticosamente al 17% dei casi, con trend in costante diminuzione, dovuto sia “ad un cambio di mentalità – che – ad un atteggiamento diverso da parte della magistratura”.

            Così, secondo il recente orientamento della Cassazione (cfr., ex multis, sentenza n. 11870/2015), se è vero che l’art. 5 della legge n. 898/1970, dispone che “l’accertamento del diritto all’assegno divorzile dev’essere effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto”, tuttavia, è anche vero che la liquidazione in concreto dell’assegno va compiuta “tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

            E nell’ambito di questo apprezzamento, a detta dei giudici, occorre guardare non solo ai redditi e alle sostanze di chi richiede l’assegno, ma anche a quelli dell’obbligato, i quali “assumono rilievo determinante sia ai fini dell’accertamento del livello economico-sociale del nucleo familiare, sia ai fini del necessario riscontro in ordine all’effettivo deterioramento della situazione economica del richiedente in conseguenza dello scioglimento del vincolo”.

            Per cui, al fine di determinare lo standard di vita mantenuto dalla famiglia in costanza di matrimonio, occorre conoscerne “con ragionevole approssimazione le condizioni economiche dipendenti dal complesso delle risorse reddituali e patrimoniali di cui ciascuno dei coniugi poteva disporre e di quelle da entrambi effettivamente destinate al soddisfacimento dei bisogni personali e familiari, mentre per poter valutare la misura in cui il venir meno dell’unità familiare ha inciso sulla posizione del richiedente è necessario porre a confronto le rispettive potenzialità economiche intese non solo come disponibilità attuali di beni ed introiti, ma anche come attitudini a procurarsene in grado ulteriore”.

            Nel caso portato all’attenzione della Suprema Corte nella sentenza citata, la moglie, che aveva sempre fatto la casalinga e viveva con il solo reddito di lavoro del marito, affermava di non essere in grado di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e domandava pertanto l’assegno in suo favore. Ma sulla base dei principi affermati, gli Ermellini hanno ritenuto non provato né il tenore di vita, né l’asserita situazione economica più vantaggiosa dell’ex marito, ritenendo invece dimostrati il deterioramento dei redditi e lo stato di disoccupazione dell’uomo. Inoltre, a detta del Palazzaccio, la donna era risultata dotata di idonea capacità lavorativa, avendo esercitato attività sia pure saltuarie. Per cui, la Corte ha escluso la sussistenza dei presupposti per l’attribuzione dell’assegno post matrimoniale.

            Analogamente, la Suprema Corte si è espressa con la recente sentenza n. 24324/2015, ribadendo la linea dura sul mantenimento al coniuge debole, in una vicenda avente per protagonista un’ex moglie che chiedeva un assegno mensile di 300 euro al marito, lamentando l’impossibilità di mantenere con i propri redditi il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, avendole, il divorzio sottratto la principale fonte di apporto economico. A detta della donna, era evidente la disparità dei redditi rispetto al marito, posto che lei viveva invece soltanto con i proventi derivanti dall’affitto di un monolocale acquistato con la liquidazione della quota di comproprietà dell’appartamento coniugale, e per di più era disoccupata e non in grado di trovare un’attività lavorativa, data “l’oggettiva penuria di lavoro” riscontrabile nella sua regione (la Campania), dove era tornata a vivere dopo aver perso il precedente lavoro (a Forlì).

            Anche in tal caso, la Cassazione ha dato torto alla donna, sostenendo che la verifica sulla sussistenza del diritto all’assegno divorzile, va effettuata “verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso”. Nella vicenda, invece, non solo il divario dei redditi percepiti dall’ex moglie rispetto al marito non era da imputarsi “ad oggettive difficoltà di reperimento di un lavoro” soltanto in ragione dell’attuale luogo di residenza (visto che la stessa non aveva neanche risposto ad una chiamata dell’ufficio di collocamento di altra regione), ma la donna altresì non era del tutto sfornita di capacità reddituale, in quanto percepiva un canone di locazione ed era anche proprietaria di un immobile ricevuto in eredità.

Per cui, anche in tal caso, addio all’assegno.

Marina Crisafi                       newsletter       studiocataldi.it           8 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20919-niente-assegno-all-ex-moglie-se-puo-andare-a-lavorare.asp

 

Mantenimento: domanda in Italia anche se il divorzio è avvenuto all’estero.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 1863, 1 febbraio 2016.

Per la Cassazione, infatti, l’art. 5 della legge sul divorzio non impone un collegamento contestuale fra la pronuncia sullo status e quella sull’assegno. Non importa che il divorzio sia stato dichiarato da un giudice di uno Stato estero: la condanna del coniuge più forte a corrispondere l’assegno di mantenimento può essere richiesta anche al giudice italiano.

            Ad averlo chiarito, in particolare, è stata la sentenza della Corte di cassazione (allegata).

            Per i giudici, infatti, la richiesta di corresponsione dell’assegno divorzile, di cui all’articolo 5 della legge sul divorzio, è oggetto di una domanda che, seppur connessa a quella di matrimonio, è tuttavia autonoma rispetto ad essa. Di conseguenza, se una parte non la ha avanzata ritualmente, nulla le vieta di proporla successivamente, senza che a ciò sia di ostacolo il fatto che la pronuncia di scioglimento del vincolo matrimoniale sia già intervenuta. Oltretutto per i giudici l’articolo 5 della legge sul divorzio, delineando l’ambito di competenza del giudice del divorzio, non impone un necessario collegamento contestuale fra la pronuncia sullo status e quella sull”assegno divorzile. Né tale collegamento “può essere imposto come preclusione processuale derivante dall”intervenuta pronuncia della sentenza di divorzio in un ordinamento straniero che prevede esplicitamente la possibilità di proporre la domanda di assegno in un giudizio separato da quello sullo scioglimento del matrimonio”.

            Il regime di riconoscimento automatico derivante dal regolamento europeo, del resto, comporta la ricezione nel nostro ordinamento del contenuto della decisione che ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio e lascia aperta la possibilità di far valere le pretese economiche in un separato procedimento. Il ricorrente deve quindi rassegnarsi a pagare l”assegno divorzile determinato dalla Corte d”appello di Firenze. Nonostante il suo divorzio dalla moglie sia stato pronunciato in Repubblica Ceca.

Valeria Zeppilli                      newsletter       studiocataldi.it           8 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20917-mantenimento-domanda-in-italia-anche-se-il-divorzio-e-avvenuto-all-estero.asp

Stop mantenimento al figlio fuoricorso all’università.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 1858, 1 febbraio 2016.

Il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa non solo quando il genitore onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l’autosufficienza economica, ma anche quando lo stesso genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita

Avv. Renato D’Isa     11 febbraio 2016        sentenza

renatodisa.com/2016/02/11/corte-di-cassazione-sezione-i-sentenza-1-febbraio-2016-n-1858-il-dovere-di-mantenimento-del-figlio-maggiorenne-cessa-non-solo-quando-il-genitore-onerato

 

Assegno di mantenimento: la prescrizione.

Assegno divorzile e di mantenimento all’ex coniuge e ai figli a seguito di divorzio e separazione: dopo quanto tempo “scade” l’obbligo di versare la somma? Anche il diritto dell’ex coniuge o dei figli a percepire l’assegno di mantenimento ha, come tutti i crediti, una “data di scadenza”, scadenza che, in termini giudici, si definisce “termine di prescrizione”. In pratica, al pari di un cibo che, non consumato per troppo tempo, non può più essere mangiato, il diritto al recupero del credito, se non esercitato per un periodo prefissato dalla legge, non può più essere fatto valere in tribunale.

            Tale regola vale anche per l’assegno di mantenimento che il marito o la moglie, a seguito di separazione o divorzio, è tenuto a versare all’ex coniuge, nella misura in cui il giudice ha stabilito. A riguardo, si parla di:

assegno di mantenimento con riferimento alla somma determinata all’esito del giudizio di separazione;

assegno divorzile con riferimento invece alla somma determinata in sede di divorzio.

            La prescrizione dell’assegno di mantenimento. Il diritto al pagamento dell’assegno di mantenimento ha ad oggetto prestazioni autonome, distinte e periodiche da pagare in termini inferiori all’anno per cui il termine di prescrizione è di 5 anni decorrenti dalle singole scadenze di pagamento [Cass. Sent. n. 13414/2010].

Tale infatti è la disciplina prevista dal codice civile [Art. 2948 n. 4 cod. civ.] secondo cui si prescrivono in cinque anni (…) in generale tutto ciò che deve pagarsi periodicamente entro un anno o in termini più brevi.

            Il termine riguarda le singole rate e inizia a decorrere dalle singole scadenze di pagamento delle prestazioni dovute, in relazione alle quali sorge di volta in volta il diritto all’adempimento. Dunque la prescrizione non decorre dalla data della pronuncia della sentenza di separazione [Cass. Sent. n. 7981/2014, n. 6975/2005].

            La prescrizione diventa però di 10 anni se, tra le parti, sorge contestazione sull’obbligo di corrispondere uno o più mensilità e se sull’esistenza di tale obbligo si va davanti al giudice: il magistrato, infatti, accerta l’obbligo di pagare la somma con sentenza che, una volta divenuta definitiva, garantisce un diritto di durata decennale. In tali casi, infatti, si applica il termine di prescrizione delle sentenze e di tutti i provvedimenti del giudice che è di dieci anni.

            La prescrizione dell’assegno divorzile. Le stesse regole viste per la prescrizione dell’assegno di mantenimento valgono per quello divorzile. Il credito relativo al pagamento dell’assegno dei figli e del coniuge ha ad oggetto prestazioni periodiche da pagare in termini inferiori all’anno per cui il termine di prescrizione è di 5 anni decorrenti dalle singole scadenze di pagamento. La prescrizione decennale si applica solo se sorge contestazione sull’obbligo di corrispondere uno o più ratei e se sull’esistenza di tale obbligo intervenga l’accertamento giudiziale sul quale si formi il giudicato.

Redazione LPT                      8 febbraio 2016

www.laleggepertutti.it/110223_assegno-di-mantenimento-la-prescrizione     

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ASSEGNO DIVORZILE

            Anche se il matrimonio dura solo 3 mesi, l’assegno divorzile va riconosciuto.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 2343, 5 febbraio 2016

In materia di divorzio, la durata del rapporto coniugale rileva ai fini della determinazione della misura dell’assegno divorzile, previsto dall’art. 5 della L. n. 898/1970, ma non influisce sul riconoscimento dello stesso, dal momento che la finalità dell’assegno divorzile è quella di tutelare il coniuge economicamente più debole.

Newsletter Sugamele.it.         10 febbraio 2016

Sentenza                                                    www.divorzista.org/sentenza.php?id=11408

 

Divorzio: mantenere in via esclusiva il figlio esonera dall’assegno alla ex

Tribunale di Roma     sentenza n. 696\2015

Per il Tribunale di Roma tale assunto è vero specie se l’altro coniuge non dimostra l’impossibilità di mantenere da solo il vecchio tenore di vita. Talvolta essere l’unico genitore a mantenere il figlio non autosufficiente può far venire meno l’obbligo di versare anche l’assegno divorzile all’ex coniuge con reddito più basso. Specie se quest’ultimo non riesca a dimostrare di non essere in grado, autonomamente, di mantenere il vecchio tenore di vita, modesto, che godeva durante il matrimonio. Recentemente, infatti, il Tribunale di Roma, nel dichiarare la cessazione degli effetti civili di un matrimonio, ha negato alla moglie il mantenimento da parte dell’ex marito.

            Come stabilito, in particolare, con la sentenza il fatto che l’uomo fosse l’unico a sostenere economicamente il figlio della ex coppia, non in grado di gestirsi autonomamente, è da ritenersi un contributo sufficiente a regolamentare in generale i rapporti patrimoniali tra i coniugi. Oltretutto la donna non era stata neanche in grado di provare che i suoi redditi non erano sufficienti a permetterle di procurarsi il modesto tenore di vita che, insieme al marito, aveva durante il legame coniugale.

            Con la medesima sentenza, peraltro, non è stata neanche confermata la pattuizione, presente negli accordi di separazione, in forza della quale l’uomo si sarebbe dovuto far carico anche dell’intera rata del mutuo della casa coniugale, che a lui era stata assegnata. Per il tribunale, infatti, tale previsione può essere esclusivamente oggetto di pattuizione tra gli ex coniugi in sede consensuale, ma non può essere disposta dal giudice, il quale ha il solo potere di regolamentare gli aspetti economici della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Valeria Zeppilli                      newsletter       studiocataldi.it           8 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20908-divorzio-mantenere-in-via-esclusiva-il-figlio-puo-quotesonerare-quot-dall-assegno-divorzile.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Famiglie forti, comunità forti.

Trento, 17 – 19 giugno 2016

Una data da mettere in agenda per chi lavora con le famiglie

63mo Convegno internazionale dell’ICCFR (International Commission on Couple and Family Relations), con il Patrocinio e la collaborazione della Provincia Autonoma di Trento promosso in Italia da CISF, AICCEF (Associazione Italiana Consulenti di Coppia e Relazioni Familiari), FORUM delle Associazioni Familiari.

A marzo programma definitivo e quote di iscrizione

Newsletter CISF N. 2/2016,10 febbraio 2016

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CHIESA CATTOLICA

                                           Ouellet: “Il celibato non è un dogma, ma un grande valore”

            L’intervento del Prefetto della Congregazione dei vescovi al convegno organizzato dall’università Gregoriana: «Si potrebbe certamente concepire, anche per la Chiesa latina, che un’altra forma di vita, il matrimonio, sia associata al ministero pastorale», ma «l’autorità suprema della Chiesa» sino ad ora ha preferito di no. Lo scandalo della pedofilia ha portato una «caduta vertiginosa di credibilità»

«Si potrebbe certamente concepire, anche per la Chiesa latina, che un’altra forma di vita, il matrimonio, sia associata al ministero pastorale», ma «il discernimento finale su questa possibilità spetta all’autorità suprema della Chiesa che ha preferito sino ad ora, per serie ragioni, mantenere la fondatezza della legge del celibato ecclesiastico obbligatorio». È quanto ha affermato il cardinale Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione dei vescovi, nella relazione teologica che ha tenuto questa sera al convegno sul celibato ecclesiastico organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana di Roma.

Il porporato ha detto che la questione del celibato sacerdotale «si pone oggi in modo particolarmente acuto in conseguenza dello choc subito dalla Chiesa cattolica con l’esplosione dello scandalo della pedofilia tra i membri del clero. Il prezzo pagato per questo scandalo – ha osservato – va ben oltre tutto quello che si sarebbe potuto prima immaginare. E io non penso in primo luogo al prezzo in termini finanziari, a dire il vero astronomico, ma alla caduta vertiginosa di credibilità che si sono trascinate dietro le rivelazioni dell’ampiezza e della durata dei misfatti commessi da dei preti su vittime innocenti». Sono scandali e infedeltà a far riemergere la questione, soprattutto nei media.

Diverso e certamente più profondo è l’interrogativo che emerge di fronte alla carenza di sacerdoti, in alcune aree del mondo, e in alcune situazioni particolari, come nel caso delle popolazioni indigene: casi nei quali è stata avanzata da alcuni l’ipotesi di ordinare sacerdoti degli uomini sposati già maturi e di provata fede (viri probati). Com’è noto, con la decisione di Benedetto XVI di istituire l’ordinariato per gli anglicani che vogliono rientrare nella piena comunione con Roma (Anglicanorum coetibus, 2009) per la prima volta è stata in qualche modo istituzionalizzata, seppure in via eccezionale, la presenza di clero uxorato nella Chiesa latina.

Ouellet, nella sua articolata prolusione, ha detto che «l’emergere dell’ideale cristiano della verginità e del celibato ecclesiastico proviene per intero dalla novità storica ed escatologica di Gesù Cristo. La chiamata che Gesù rivolge ai suoi discepoli a seguirlo implica di lasciare tutto». Ha aggiunto che «la tradizione ecclesiastica del celibato e della continenza dei chierici non è sorta come una novità all’inizio del IV secolo ma piuttosto come la conferma disciplinare d’una tradizione, tanto in Oriente che in Occidente, risalente fino agli apostoli». E ha spiegato che «la motivazione profonda che scaturisce da questa tradizione non dipende in primo luogo dall’emergere dell’ideale cristiano della verginità, quanto piuttosto dall’esercizio stesso del ministero apostolico».

Il Concilio prima e poi Paolo VI con l’enciclica «Sacerdotalis coelibatus» hanno confermato l’opportunità di questa legge. Ouellet va oltre, e pur valorizzando le «motivazioni cristologiche, ecclesiologiche ed escatologiche del celibato» contenute nel documento di Papa Montini, ritiene che «le ragioni profonde addotte potrebbero essere ancor meglio articolate in una prospettiva trinitaria e nuziale». La chiave di quest’integrazione, secondo il cardinale, «risiede nell’approfondimento del rapporto tra l’Eucaristia e la Chiesa come scaturisce dagli ultimi sviluppi del grande movimento eucaristico in questo inizio di millennio».

Ecco, in sintesi, la tesi proposta: «Il sacerdote, ministro della Parola, rappresenta Cristo-Sposo in quanto egli è la Parola definitiva di Dio all’umanità; questa Parola culmina nell’Eucaristia, l’atto supremo di offerta sacrificale del Grande Padre della Nuova Alleanza. Quest’atto dello Sposo divino è assolutamente trinitario poiché coinvolge le tre persone divine nella loro unità d’Amore che trascende il tempo, ma si dona in partecipazione sacramentale attraverso la mediazione del sacerdote ordinato a questo fine. Essendo unito sacramentalmente al Cristo-Sposo, il sacerdote comunica a lui non soltanto come membro della comunità ecclesiale, ma in primo luogo come ministro di Cristo stesso che si dona corporalmente e verginalmente alla sua sposa la Chiesa».

Ciononostante, riconosce Ouellet, «la Chiesa non ha mai legato sacerdozio e celibato sul piano dogmatico, ma ha sempre mantenuto il proprio giudizio di valore pastorale su questo legame che esprime nel ministro la scelta esclusiva, perenne e totale dell’unico e sommo amore di Cristo», una scelta «innanzitutto sponsale», come hanno precisato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Il cardinale riconosce che la situazione attuale e le domande profonde di oggi «richiedono un’approfondita risposta che non si accontenti d’una semplice riaffermazione della dottrina e della disciplina tradizionali». «Ci si può certamente immaginare – ha continuato – la sfida colossale costituita dalla modificazione d’una tradizione bimillenaria e i motivi serissimi che dovrebbero giustificarla. La dissociazione dei carismi del sacerdozio e del celibato nella Chiesa latina non potrebbe essere giustificata semplicemente dalla difficoltà esistenziale dei preti a vivere un celibato felice nell’attuale contesto, poiché un motivo del genere significherebbe un oblio della grazia divina e una resa di fronte al compito di evangelizzare la cultura». La motivazione profonda «di questa dissociazione, se del caso, non può venire che da un discernimento spirituale che sappia resistere alle pressioni culturali ed esercitarsi nello spirito della Chiesa universale».

Dunque, conclude il porporato canadese, «si potrebbe certamente concepire, anche per la Chiesa latina, che un’altra forma di vita, il matrimonio, sia associata al ministero pastorale essendo vissuta come un “carisma” autentico, che non includerebbe tuttavia allo stesso grado l’esperienza originale della vocazione nel senso biblico e neotestamentario. Questa distinzione tra “vocazione” in senso stretto e “carisma” ecclesiale può descrivere la differente esperienza delle tradizioni orientale e latina senza pregiudizio né rivalità tra le due, pur privilegiando l’eccellenza del celibato per significare la dimensione escatologica del ministero sacerdotale». Ma il «discernimento finale» su questa possibilità «spetta all’autorità suprema della Chiesa», cioè il Papa, «che ha preferito sino ad ora, per serie ragioni, mantenere la fondatezza della legge del celibato ecclesiastico obbligatorio».

Andrea Tornielli        vatican insider                       4 febbraio 2016

www.lastampa.it/2016/02/04/vaticaninsider/ita/vaticano/ouellet-il-celibato-non-un-dogma-ma-un-grande-valore-ckcF9wEXDEBqSACIPMwstN/pagina.html

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                                           CHIESE CATTOLICA E ORTODOSSA

Dichiarazione comune di Francesco e di Kirill

Incontro di S. S. Francesco con S. S. Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia

                                                                                  estratto

Dichiarazione comune di Papa Francesco e del Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia.

19. La famiglia è il centro naturale della vita umana e della società. Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti paesi. Ortodossi e cattolici condividono la stessa concezione della famiglia e sono chiamati a testimoniare che essa è un cammino di santità, che testimonia la fedeltà degli sposi nelle loro relazioni reciproche, la loro apertura alla procreazione e all’educazione dei figli, la solidarietà tra le generazioni e il rispetto per i più deboli.

20. La famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna. È l’amore che sigilla la loro unione ed insegna loro ad accogliersi reciprocamente come dono. Il matrimonio è una scuola di amore e di fedeltà. Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica.

21. Chiediamo a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. Milioni di bambini sono privati della possibilità stessa di nascere nel mondo. La voce del sangue di bambini non nati grida verso Dio (cfr Gen 4, 10). Lo sviluppo della cosiddetta eutanasia fa sì che le persone anziane e gli infermi inizino a sentirsi un peso eccessivo per le loro famiglie e la società in generale. Siamo anche preoccupati dallo sviluppo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché la manipolazione della vita umana è un attacco ai fondamenti dell’esistenza dell’uomo, creato ad immagine di Dio. Riteniamo che sia nostro dovere ricordare l’immutabilità dei principi morali cristiani, basati sul rispetto della dignità dell’uomo chiamato alla vita, secondo il disegno del Creatore.

Francesco                                                                              Kirill

Vescovo di Roma Papa della Chiesa Cattolica                       Patriarca di Mosca e di tutta la Russia

12 febbraio 2016, L’Avana (Cuba)

Testo ufficiale

http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2016/02/12/0111/00258.html#it

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COMUNIONE DEI BENI

                        Separazione dei beni tra coniugi: cosa comporta?

I beni che entrano in comunione e quelli che restano di proprietà esclusiva, come ci si comporta nel caso di debiti, conviene più la comunione o la separazione?

            Il regime di comunione legale dei beni si applica in automatico all’atto del matrimonio, senza bisogno di alcuna comunicazione da parte dei coniugi. Se questi, dunque, nulla dichiarano a riguardo del proprio regime patrimoniale, opera la comunione. Al contrario, per optare per la separazione dei beni è necessario effettuare apposita dichiarazione ricevuta dal notaio o ufficiale di stato civile.

Dire che i coniugi sono “in comunione dei beni” significa approssimativamente che su tutti i beni acquistati dopo la data del matrimonio, entrambi vantano la proprietà. Tuttavia, nella comunione legale fra i coniugi, a differenza di quanto accade in quella ordinaria, non vi sono quote e non è ammessa la partecipazione di soggetti terzi alla stessa. In pratica i coniugi sono solidalmente titolari dei beni e dei diritti in comunione. Il singolo coniuge non è titolare di una quota indivisa pari al 50% dei beni, ma è titolare di diritti unici e pieni sul bene.

            Quali beni entrano nella comunione legale dei coniugi? La comunione legale tra i coniugi non si estende a tutti i beni. Vi fanno parte i seguenti beni e diritti (attività):

  1. Tutti i beni ed i diritti acquistati congiuntamente o separatamente dai coniugi durante il matrimonio (salvo quanto di seguito esposto per particolari casi). Quanto acquistato durante il matrimonio rientra nella comunione anche se l’acquisto è effettuato con denaro proveniente dall’attività lavorativa di uno dei coniugi;
  2. I frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi;
  3. I proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi;
  4. Le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.

Tuttavia, mentre i beni indicati alle lettere a) e d) entrano direttamente in comunione (cosiddetta comunione attuale), quelli indicati alle lettere b) e c) vi entrano solo eventualmente allo scioglimento della comunione (cosiddetta comunione residuale). I beni che uno dei coniugi acquista non per atto negoziale ma per usucapione o accessione (acquisti a titolo originario) rientrano nella comunione legale a condizione che l’effetto dell’acquisto si realizzi durante il matrimonio.

            Quali beni non rientrano nella comunione legale dei coniugi? Non rientrano nella comunione, e pertanto restano nella piena proprietà di ciascun singolo coniuge, i seguenti beni:

  1. Di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
  2. Acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
  3. Di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori. Si tratta, ad esempio, del vestiario e degli accessori, come anche dei beni utilizzati per gli interessi e svaghi personali (hobby). Il valore del bene (anche rispetto alle condizioni economiche della famiglia) dovrebbe essere irrilevante al fine di valutare se un bene è personale o in comunione, rilevando solamente la finalità dell’acquisto; tuttavia, l’acquisto di un bene di particolare valore potrebbe essere inteso come investimento piuttosto che per uso personale;
  4. Che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di un’azienda facente parte della comunione. Per svolgimento di attività professionale deve intendersi sia l’attività professionale in senso stretto (quale quella del medico, dell’avvocato, dell’ingegnere ecc.) che quella subordinata;
  5. Ottenuti a titolo di risarcimento danni nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa (per es. la pensione di invalidità);
  6. Acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto;

È possibile escludere singoli beni dalla comunione? I coniugi che abbiano optato per il regime della comunione legale dei beni possono escludere dalla comunione medesima singoli beni acquistati dopo il matrimonio. Ciò è possibile per i beni immobili e per i beni mobili registrati (per es. auto). Per poter escludere l’altro coniuge dalla comproprietà del singolo bene è necessario che quest’ultimo partecipi all’atto di acquisto e da tale atto risulti espressamente l’esclusione con apposita dichiarazione. Il coniuge non acquirente deve intervenire nell’atto di acquisto per dichiarare che l’acquisto è escluso dalla comunione; in questo modo manifesta di essere a conoscenza di questo fatto. In caso di acquisto di beni mobili, il coniuge può rendere la dichiarazione di aver acquistato con ricavato di vendita di bene personale, senza particolare forma e anche oralmente ma è preferibile che adotti la forma scritta per poterne dare prova in caso di necessità.

            Se un coniuge vuole acquistare separatamente anche un solo bene che ordinariamente rientrerebbe nella comunione, deve stipulare con l’altro coniuge una convenzione matrimoniale derogatoria del regime di comunione. Non è invece sufficiente che indichi nell’atto che l’acquisto avviene separatamente.

            Si può vendere a terzi la propria comproprietà in comunione? Il coniuge non può cedere a terzi la quota sulla massa dei beni comuni né, si ritiene, cedere unilateralmente la propria quota su singoli beni. I terzi non possono espropriare la quota di comunione ma c’è comunque una responsabilità comune (v. n. 1824).

Che succede coi creditori se uno dei coniugi abbia dei debiti? Per i debiti del singolo coniuge risponde prima quest’ultimo coi suoi beni personali e, se questi non sono sufficienti, anche i beni in comunione ma nella misura della metà del credito; per i debiti comuni risponde il patrimonio in comunione e, se questo non è sufficiente, i beni personali di ciascun coniuge nella misura della metà del credito. Pertanto i creditori personali del coniuge possono aggredire, in via sussidiaria, i beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Per esempio: se Tizio, sposato con Caia, ha contratto un debito per l’acquisto della propria auto di lavoro, i creditori devono prima tentare di aggredire i beni personali di Tizio e, non riuscendovi, possono aggredire i beni in comunione (per es. la casa), ma nei limiti del 50%.

            I debiti che ciascun coniuge ha contratto prima del matrimonio sono debiti personali del coniuge.

Sono debiti comuni quelli assunti nell’interesse della famiglia, indipendentemente dalla natura ordinaria o straordinaria della relativa operazione. Per i debiti contratti congiuntamente dai coniugi essi rispondono dei debiti comuni in via principale con i beni della comunione e, in via sussidiaria, con i propri beni personali

            Come avviene il pignoramento di un bene della comunione? Nel momento in cui il creditore intende espropriare, per crediti personali di uno solo dei coniugi, un bene della comunione, deve pignorare il bene per intero e non per la metà e deve fare trascrivere il pignoramento contro entrambi i coniugi. All’atto della vendita o dell’assegnazione (a seconda del tipo di esecuzione forzata intrapresa) si verifica lo scioglimento della comunione limitatamente al bene pignorato e il coniuge non debitore ha diritto a ottenere la metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione e pertanto il Giudice assegna il ricavato della vendita, al lordo delle spese, per il 50% al coniuge non debitore.

            Che succede se uno dei coniugi fallisce? La sentenza che dichiara il fallimento di uno dei coniugi determina lo scioglimento della comunione legale con effetto dal deposito. Da tale momento i coniugi sono in separazione dei beni; i beni che ricadevano nella comunione legale sono in comunione ordinaria fra i coniugi fino a quando non procedano consensualmente o giudizialmente, alla divisione che può essere richiesta anche dal curatore fallimentare.

            Comunione dei beni o separazione: cosa conviene? Il regime della separazione dei beni è sicuramente preferibile quando uno dei coniugi ha una propria attività che possa comportare una responsabilità patrimoniale (es. attività di impresa o libera professione) o quando vi siano condizioni economiche di alto livello. La separazione dei beni non pregiudica gli obblighi di solidarietà ed assistenza fra i coniugi e per la famiglia e quindi può essere scelta senza particolari preoccupazioni in proposito. La separazione rende inoltre sicuramente più semplice la circolazione del patrimonio e dei beni (soprattutto immobili) che ne fanno parte.

            Cos’è la comunione convenzionale? In alternativa alla comunione legale e alla separazione dei beni, i coniugi possono scegliere il regime intermedio della comunione convenzionale; in assenza di scelta si applica la comunione legale. Con la comunione convenzionale dei beni i coniugi disciplinano ogni singolo aspetto patrimoniale dei loro rapporti; possono ad esempio convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità dei beni acquistati durante il matrimonio ma tale convenzione riguarda sempre il regime complessivo e non può essere limitata a beni specifici che sarebbero compresi nella comunione legale. La comunione convenzionale si fonda essenzialmente su modifiche convenzionali al regime della comunione legale, con l’ampliamento o il restringimento dei beni che ricadono in comunione e delle modalità di amministrazione. La comunione convenzionale può coesistere con:

  • Un patto di famiglia;
  • L’esistenza di un’impresa familiare.

Redazione                  Lpt                  14 febbraio 2016

            www.laleggepertutti.it/111583_separazione-dei-beni-tra-coniugi-cosa-comporta

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CONSULTORI FAMILIARI

Taranto “Per educare il cuore dell’uomo”

Taranto, febbraio – aprile 2016. L’Arcidiocesi di Taranto, Ufficio pastorale della famiglia, Ufficio Educazione Scuola Irc Università e l’Associazione nazionale “La bottega dell’orefice” sez. Appulo-lucana organizzano “Per educare il cuore dell’uomo”: percorso formativo per educatori in tema di affettività e sessualità. Con il patrocinio di

Università degli Studi di Bari – Facoltà di Scienze dell’Educazione

Corso di studi in Educazione degli adulti – Cattedra di Sociologia dell’Educazione

Libera Università Maria Santissima Assunta sede di Taranto

Corso di studi in Educazione degli adulti – Cattedra di Sociologia dell’Educazione

Forum Regionale delle Associazioni Familiari

Federazione dei Consultori Familiari di ispirazione cristiana

Se la sessualità è una dimensione fondamentale della persona umana, l’affettività ne è il cuore. Ogni uomo, infatti, inizia ad esistere all’interno di una relazione, e di relazioni ha bisogno per imparare a conoscere se stesso e la realtà circostante, per scoprire il significato ed il compito della sua esistenza e per realizzarlo giorno per giorno. Educare l’affettività e la sessualità è un servizio alla persona, un aiuto a riconoscere la propria dignità di uomo e di donna, condividendone la ricerca di verità e di felicità. Quello proposto è un percorso incentrato sul “legame” con sé e con gli altri, e con la conoscenza che la relazione genera, offrire occasioni per la costruzione di competenze per saper essere, saper comunicare e saper divenire educatori dell’affettività e della sessualità

Si tratta di un percorso di autoformazione, sua finalità è di accrescere le proprie competenze a partire da quelle relazionali e comunicazionali, con particolare attenzione alle dimensioni costitutive della persona umana: l’affettività, la sessualità, la fecondità. Esso si propone di suscitare una maggiore consapevolezza sulle domande che il contesto culturale odierno pone riguardo ai temi dell’educazione dell’affettività e della sessualità, promuovendo una cultura ed un’antropologia attenta a rendere possibile una maturità affettiva e sessuale, un’educazione integrale della persona, in quanto uomo ed in quanto donna.

Il corso, inoltre, intende promuovere una sinergia educativa fra le diverse realtà preposte alla formazione dei giovani, delle coppie e delle famiglie e far maturare strategie e modalità operative per costruire reti educative.

Gli obiettivi fondamentali del corso sono volti essenzialmente a:

  • Sviluppare la consapevolezza di sé come persona situata nell’attuale contesto socio-culturale
  • Stimolare uno sguardo capace di approcciare la persona nella sua totalità
  • Sviluppare la ricerca di senso insita nell’educazione all’affettività e alla sessualità
  • Implementare percorsi e strumenti (le bussole) che qualificano gli interventi educativi in tema di affettività e sessualità
  • Potenziare la competenza riflessiva sui vissuti e sulle esperienze personali e di impegno educativo: re-visionare, ri-valutare, ri-pensare il proprio compito educativo
  • Sperimentare gli effetti e le potenzialità della pratica autobiografica come strumento formativo
  • Elaborare adeguate strategie educative atte all’uso di strumenti didattici incentrati sui molteplici linguaggi che connotano la realtà giovanile (musica, immagini, arti visive, attività laboratoriali, ecc.)
  • Creare sinergie educative tra coloro che sono impegnati nella formazione di giovani, coppie e famiglie

Il percorso è pensato per la formazione dei docenti della scuola di ogni ordine e grado e di tutti coloro che si impegnano, a vario titolo, nel lavoro educativo (operatori pastorali, catechisti, educatori, operatori socio-sanitari, consulenti familiari, genitori)

Il corso si articola in 4 moduli, a cadenza mensile, come da calendario il sabato dalle ore15.30 alle ore 19.30, la domenica dalle ore 9.00 alle ore 13.30

  • 20-21 febbraio 2016
  • 12-13 marzo 2016
  • 9-10 aprile 2016
  • 7-8 maggio 2016                    con docenti

Carli Lodovica, ginecologa, Associazione “La Bottega dell’Orefice” *

Colella Giustina, educatore/formatore, Associazione “La Bottega dell’Orefice”

Di Gennaro Michela, medico – bioeticista, Associazione “La Bottega dell’Orefice” *

Griseta Maria Antonietta, psicopedagogista, Associazione “La Bottega dell’Orefice”

Mongelli Angela, ordinario di Sociologia Università di Bari, Associazione “La Bottega dell’Orefice” *

Novielli Angela, pedagogista – counsellor educativo, Associazione “La Bottega dell’Orefice” *

Panzetta Angelo, preside della Facoltà Teologica Pugliese

Panico Antonio, docente di dottrina sociale della chiesa

Salfi Donato, psicologo

www.forumfamigliepuglia.org/a-taranto-il-forum-promuove-un-percorso-per-educare-il-cuore-delluomo

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Cremona. Progetto aiuta mamma.

Un ciclo di tre incontri per neo mamme e neo papà.

24 febbraio. Dall’allattamento alle pappe                               dr Marina Valenti ostetrica

2 marzo. La fertilità dopo la nascita del figlio                                   dr Maria Grazia Antonioli, medico

9 marzo. Genitori e nonni: tra gioie e fatiche (con i nonni)    dr Maria Rosa Pagliari, psicologa

http://www.ucipemcremona.it/content/incontri-neogenitori-2016

Faenza. Corso di massaggio infantile.

Ha preso il via al Centro per le Famiglie di Faenza (via degli Insorti 2) un corso di massaggio infantile. Il corso, condotto da un’ostetrica del Consultorio familiare e da una pedagogista del Centro per le Famiglie, si rivolge a tutti i neonati (indicativamente a partire dal terzo mese) e ai loro genitori.

Sono programmati quattro incontri in orario mattutino: tre dedicati al massaggio con l’ostetrica e la pedagogista, mentre l’ultimo solo con la pedagogista per condividere l’esperienza come neogenitori e parlare di nuovi ritmi ed equilibri all’interno della famiglia.

L’attività è gratuita, ma per partecipare è obbligatorio iscriversi.

www.faenzanotizie.it/articoli/2016/02/10/faenza-al-centro-per-le-famiglie-un-corso-gratuito-di-massaggio-infantile.html

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DALLA NAVATA

1° Domenica di Quaresima – anno C –14 febbraio 2016.

Deuteronomio            26, 07 «Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione.»

Salmo                         91, 15 «Mi invocherà e io gli darò risposta; nell’angoscia io sarò con lui, lo libererò e lo renderò glorioso.»

Romani           10, 13 «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.»

Luca                           04, 01 «Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto.»

            Commento al Vangelo di Enzo Bianchi, priore a Bose

È la prima domenica del tempo di Quaresima, tempo severo ma “favorevole” (2Cor 6,2) per il cristiano: soprattutto, tempo di lotta contro le tentazioni. Per questo la chiesa all’inizio di questo tempo ci offre sempre il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto, tentazioni che secondo Luca saranno sempre presenti nella sua vita, fino alla fine (cf. Lc 23,35-39). Anche Gesù sapeva che sta scritto: “Figlio, se vuoi servire il Signore, preparati alla tentazione” (Sir 2,1) (…)

Luca esemplifica in numero di tre le tentazioni che in realtà per Gesù devono essere state molte, e con sapienza antropologica le riassume in quelle del mangiare, del possedere, del dominare. (…)

Gesù ha subito queste tentazioni in quanto uomo come noi. Non ha fatto una scena esemplare, ma ha veramente vissuto questi abissi, imparando così ad aderire alla realtà: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb 5,8). Dopo questa prova del deserto, Gesù ormai sa come svolgere la missione e come portare a termine la sua vocazione, consapevole che lo Spirito santo è con lui e che della forza dello Spirito è ripieno. Questa però non è per Gesù una vittoria definitiva: il diavolo tornerà a tentarlo, cercando sempre di renderlo diviso, schizofrenico, in modo che la sua volontà neghi la volontà del Padre. Ma Gesù sarà sempre vincitore, uguale in tutto a noi eccetto che nel peccato (cf. Eb 2,17; Eb 4,15): per questo trionferà sulla morte e, quale Risorto, vivrà per sempre.

http://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it/2016/02/enzo-bianchi-commento-vangelo-14.html

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DIVORZIO

La convivenza forzata non blocca il divorzio.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 2360, 5 febbraio 2016

La coabitazione non prova l’avvenuta riconciliazione. Specie in tempi di crisi economica, quando vivere sotto lo stesso tetto anche se l’amore è finito, è spesso una necessità e non una scelta. La Corte di cassazione respinge il ricorso di una ex moglie che cercava, dopo la separazione, di scongiurare il divorzio giocandosi la carta della ritrovata comunione con l’ex marito, a suo avviso dimostrata, da una convivenza che si era protratta quasi fino alla data della domanda di divorzio.

La Cassazione però va oltre le apparenze. In primo luogo la Suprema corte ricorda che l’eccezione di sopravvenuta riconciliazione deve essere proposta dalle parti e non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, perché non investe motivi di ordine pubblico ma riguarda strettamente il rapporto di coppia. Nel caso specifico poi c’erano diversi elementi che deponevano contro la ritrovata armonia: una domanda di addebito formulata dall’ex marito in primo grado e l’accertamento di una tensione che aveva indotto i due a vivere in camere separate.

La prova della convivenza non è in genere risolutiva ma lo è ancora di meno in tempi di recessione, quando la coabitazione è il risultato dell’impossibilità di trovare un altro alloggio a causa dei costi. La Cassazione non manca, infatti, di fare riferimento alla frequenza della “coabitazione inerziale” dovuta “alla notoria caduta dei redditi, accentuatasi in ragione della crisi economica del paese”. Per i giudici manca il connotato della ricostituzione del consorzio familiare e del superamento delle condizioni che avevano portato i due a scegliere strade separate. Per i giudici manca il connotato della ricostituzione del consorzio familiare e del superamento delle condizioni che avevano portato i due a scegliere strade separate.

Per la signora nulla da fare: il divorzio è inevitabile. La ricorrente, che era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, riesce invece a scongiurare il pagamento del doppio del contributo unificato pur avendo perso anche in secondo grado. La Cassazione ricorda infatti che il ricorrente in Cassazione che usufruisce del beneficio, non è tenuto, in caso di rigetto dell’impugnazione, a versare l’ulteriore importo.

Patrizia Maciocchi     il sole 24 ore               8 febbraio 2016

www.oua.it/NotizieOUA/scheda_rassegna.asp?ID=17231

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EUROPA

In vigore la Convenzione dell’Aja sulla responsabilità genitoriale

E’ entrata in vigore per l’Italia, il 1° gennaio 2016, la Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all’Aja il 19 ottobre 1996 e ratificata dall’Italia con legge 18 giugno 2015 n. 101 (ratifica).

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2015-07-09&atto.codiceRedazionale=15G00112

Lo riporta il Ministro degli esteri nella comunicazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 30 del 6 febbraio 2016.

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-02-06&atto.codiceRedazionale=16A00809&elenco30giorni=true

La Convenzione è in vigore sul piano internazionale dal 1° gennaio 2002 ed è stata ratificata, ad oggi, da 43 Stati.

                                                    Marina Castellaneta        12 febbraio 2016

www.marinacastellaneta.it/blog/in-vigore-la-convenzione-dellaja-sulla-responsabilita-genitoriale.html

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FISCO

                                                 Figli a carico, tutti i benefici fiscali 2016.

Figli a carico: detrazioni Irpef per i genitori, detrazione spese scolastiche e sportive, detrazione affitto studenti, altri benefici ed agevolazioni.

Allevare un figlio richiede, giorno dopo giorno, la disponibilità di risorse economiche non indifferenti: fortunatamente, la normativa fiscale viene in aiuto al cittadino (anche se in minima parte) prevedendo detrazioni e diverse tipologie di agevolazioni per entrambi i genitori.

Breve vademecum, tutti i benefici fiscali previsti per i figli a carico.

                                                               LPT  8 febbraio 2016

www.laleggepertutti.it/111010_figli-a-carico-tutti-i-benefici-fiscali-2016

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GENITORI OMOSESSUALI

Il desiderio di avere un figlio è un bisogno? Oppure è un piacere che non può essere negato?

Alcune considerazioni psicologiche.             «Il desiderio di essere genitori non è certo un diritto» (allegato sotto). Così titolava recentemente un articolo di Huffington Post [3 febbraio 2016 Giuseppina La Delfa fondatrice ed ex presidente di Famiglie Arcobaleno Associazione Genitori Omosessuali], ma proseguiva poi dicendo che l’avere un figlio per una coppia omossessuale era non un diritto, bensì un bisogno.

www.huffingtonpost.it/giuseppina-la-delfa/il-desiderio-di-essere-genitori-non-e-certo-un-diritto_b_9147588.html

L’Espresso spingeva ancora oltre l’argomentazione affermando: «Avere un figlio non è un dovere, ma un piacere che nessuno può vedersi negato».

[Quegli atti d’amore dietro i diritti negati, di Roberto Saviano, 5 febbraio 2016].

http://espresso.repubblica.it/opinioni/l-antitaliano/2016/02/03/news/quegli-atti-d-amore-dietro-i-diritti-negati-1.248754

            Freud ha parlato in maniera ancora oggi insuperata del fatto che la maturità psicologica consista nel passaggio dal principio del piacere al principio della realtà. Il bambino pretende tutto e lo pretende come un bisogno, ma viene aiutato dalla “realtà” a capire che i suoi presunti “bisogni” non sono tali, ma anzi deve imparare dalla frustrazione, ad accettare la realtà che poi gli darà più “piacere” dell’esistenza immaginaria del suo “bisogno”.

            Anche in relazione alle coppie omosessuali diviene evidente l’importanza della questione. Se un mio “bisogno” è un danno per il bambino allora io recedo dal mio desiderio, per quanto comprensibile esso sia. È il bambino, infatti, ad avere, lui sì, veramente bisogno reale di un padre e di una madre.

            Per capire cosa si intende qui per “bisogno”, basti pensare ad altre situazioni. Molte persone hanno bisogno di un partner e non lo hanno, hanno bisogno di fare sesso e non trovano una persona che le ami, hanno bisogno di avere un bambino e non lo possono avere, hanno bisogno che una certa persona divenga loro amica e quella persona si rifiuta, hanno bisogno di emergere nel mondo dello spettacolo e non ci riescono, hanno bisogno di una persona più fresca con cui fare sesso al posto della loro moglie o marito che ha ormai 60 anni e non lo fanno perché non è giusto e così via: è la realtà.

            La realtà si rivela però feconda se io, accogliendo il principio di realtà, rinuncio al mio desiderio infantile di onnipotenza (terminologia freudiana) e riesco a canalizzare il mio desiderio in maniera reale. Se provo un desiderio di fecondità – come è legittimo ed anzi costitutivo dell’essere umano -, ecco che posso provare a domandarmi se non possa esser bello dedicarmi, per esempio, al volontariato e al sostegno di progetti di paesi in via di sviluppo, o se ancora la mia ricerca debba spingersi e cercare ancora. 

            L’utilizzo perverso – da un punto di vista psicologico – dell’utilizzo della parola “bisogno” (in questo caso addirittura peggiorativo rispetto alla parola “diritto”) consiste nel fatto che si intende insinuare il maccanismo della colpevolizzazione dell’altro. Potremmo semplificare così il meccanismo del capro espiatorio che, piuttosto che affrontare il diniego della realtà, cerca di spostare in senso moralistico la colpa su di un malvagio persecutore ricostruito psicologicamente: io ho questo bisogno, tu me lo rifiuti, tu sei cattivo. O ancora: se tu non ci fossi ecco che potrei soddisfare il mio bisogno che invece mi viene negato dalla tua presenza ingiusta. La persona infantile evita così di confrontarsi con la realtà frustrante e scarica sul presunto “nemico” il suo malessere.

            Così fa il bambino. Vuole qualcosa e comincia a piangere, lanciando il messaggio che quella cosa è per lui un bisogno e che il genitore che glielo rifiuta, non gli vuole bene, bensì è un crudele tiranno.

            Ebbene, il genitore che ama quel figlio rifiuta, invece, il ricatto e mostra che tutti possono vivere anche senza quell’oggetto desiderato, mostrando che nella vita infinite persone non hanno avuto quella cosa e, nonostante questo, vivono una vita bellissima. Ma il genitore deve avere ben chiaro che la frustrazione che il figlio vivrà non è per la sua infelicità, bensì per la sua crescita in giustizia e accoglienza della realtà.

            Qui la situazione è ancora più seria, poiché non si tratta di cose, ma di persone. Si pretende di avere persone, di avere figli. Per questo quando opinionisti e giornalisti incentivano posizioni vittimistiche in realtà trattano in maniera infantile coloro che affermano di avere bisogni e piaceri, trasformandoli – secondo il principio del piacere e a detrimento del principio di realtà – in diritti. Un atteggiamento psicologicamente maturo dovrebbe tendere, piuttosto, a mostrare che si comprende la mancanza, che si comprende il dolore, ma appunto che la mancanza e il doloro possono essere vissuti perché questo è il limite della condizione di una coppia omosessuale.

            La fecondità di una coppia omosessuale consisterà, dal punto di vista psicologico, in qualcosa di diverso dalla fecondità di una famiglia che vive naturalmente l’attesa di un bambino, perché composta da un uomo e da una donna. La famiglia, a sua volta, avrà altre frustrazioni, poiché solo nei messaggio ideologici esiste una patinatura tipo Mulino Bianco.

            La fecondità di un amore omosessuale sarà tutta da scoprire da un punto di vista psicologico, consisterà forse piuttosto in uno stimolo ad uscire dalle regole, in un essere un richiamo alla diversità. Consisterà, comunque certamente in una ricerca alternativa di fecondità, che però accetti come limite “frustrante” – in senso freudiano – il non poter avere figli e il non poterli avere perché è il bambino ad avere bisogno di un padre e di una madre.

            L’impostazione dell’articolo citato di Huffington Post così come dell’intervento di Saviano su L’Espresso ha, comunque, il merito di mostrare perché è giusto dedicare tanto tempo a discutere del diniego delle adozioni da parte di coppie omosessuali: non sono in questione solo piccoli dettagli che interessano in fondo un numero irrisorio di persone – la maggior parte delle unioni civili non chiederebbero di avere un figlio.

            È in questione qualcosa di molto più grande, l’importanza di non confondere il principio del piacere con il principio di realtà, è in questione l’intera storia della psicologia e della spiritualità umana.

Giovanni Amico         Centro Culturale “Gli Scritti”9 febbraio 2016

                            www.gliscritti.it/blog/entry/3568

 

Il desiderio di essere genitori non è certo un diritto.

            No, non è un diritto. È un bisogno umano. Come l’amore, la salute, l’amicizia, il sentirsi sostenuto. E noi omosessuali sentiamo a volte, come qualsiasi altro uomo o donna, la necessità di dare la vita e di crescere dei figli. Per aggiungere amore a amore? Per vivere un’esperienza umana nuova e straordinaria? per tornare noi stessi bambini o per finalmente capire i nostri genitori? Per questi motivi forse e per molto di più ancora, qualsiasi spinta ci abbia fatto decidere di intraprendere questo percorso, è una risposta a questo bisogno umano profondo che va rispettato come vanno rispettate tutte quelle coppie o single sterili che grazie alla scienza sono oggi aiutati con rispetto a diventare genitori nella dignità. Nessuno ostacola una coppia sterile uomo-donna, viene semmai compatita per le difficoltà vissute nel concepire, ma è presa per mano e sostenuta nel realizzare il proprio sogno di genitorialità; è umanamente accompagnata da medici e infermieri, da parenti e in generale dall’opinione pubblica che ammira la forza di volontà che permette la vita. E quando il loro bimbo nasce, anche quando nasce grazie a un dono di gameti, è festa, è magia, sono coriandoli e fiori e non insulti e odio e diffidenza.

            La legge dice anche di più, in particolare la sentenza n. 162/2014 della Corte costituzionale (quella che ha dichiarato incostituzionale il divieto di PMA eterologa) dice in modo palese che la coppia sterile ha il sacrosanto diritto di compiere delle scelte che permette loro di avere dei figli e formare famiglia anche con le PMA e l’eterologa: “la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare. (Sentenza n. 332 del 2000)”.

            L’eterologa non solo è legale ma risponde alla necessità umana di autodeterminarsi e fare scelte in ambito familiare. Perciò rimane sconvolgente sentire tanto diniego e stupore e malafede solo quando l’eterologa riguarda le coppie omosessuali. Con lo scopo preciso che ciò che oggi viene concesso alle coppie sterili uomo-donna non venga mai concesso alle coppie dello stesso sesso.

            Il punto è che ci sono degli omofobi che non accettano l’idea stessa della genitorialità delle persone omosessuali e transessuali e pensano che un bimbo non può in nessun caso crescere con individui “depravati, superficiali e irresponsabili” solo perché non riescono o non vogliono vedere la profondità dei legami che tessono. Purtroppo la cecità è stata a lungo nutrita dai media e da certi politici di bassa lega che ne hanno fatto la loro bandiera. “Siamo contrari – sottolinea Sacconi – in generale alla funzione genitoriale omosessuale”.

            Ma stiamo cambiando la visione della società italiana anche su questa questione e siamo fieri di avere portato alla ribalta questioni così importanti come la riflessione sulla filiazione, il dono, l’adozione, la responsabilità genitoriale, le PMA. La nostra più grande fierezza è quella di essere diventati anche dei punti di riferimento per tutte quelle coppie eterosessuali che non trovavano spazi liberi e sereni per esprimere la loro infelicità e le loro difficoltà di coppie sterili.

            Hanno trovato spesso spazio fra noi e amicizia e comprensione e aiuti pratici. Anche oggi, mentre finalmente l’eterologa in Italia per le coppie eterosessuali non è più proibita dalla legge 40, sono tantissime le coppie sterili in cerca di consigli e vengono anche da noi per un confronto sereno sulle esperienze vissute. Continuano a andare fuori perché nulla è fatto qui per aiutare le persone fertili a donare i loro gameti. E cosi le ritroviamo nelle sale d’attese dei centri di PMA in Spagna, in Belgio, in Olanda, nel Regno Unito, In Francia, pieni di ansie e di speranze prima che i loro sogni di genitorialità si frantumino di fronte al tempo che passa e all’età che, a un certo punto, chiude tutte le porte.

            No, fare di tutto per diventare genitori non è assolutamente un diritto. È un profondo bisogno che ti lascia vuoto e disperato quando non riesci a dargli risposta, per alcuni è un bisogno potente, vitale, essenziale che non ti lascia altre possibilità e ti porta a tentare tutto ciò che le tecniche ti permettono di fare, soffrendo a volte per anni nel tuo spirito e nella tua carne. E ciò non cambia se sei etero o omosessuale. Perché è un bisogno prettamente umano che va guardato per quello che è e rispettato per quello che è.

            La religione cattolica perdona tutto e tutti, i peggiori criminali, i pedofili, i mafiosi, i serial killers, tutti e tutte senza eccezione ma quando si tratta di persone omosessuali, rifiuta, disdegna, si organizza, mostra odio e tratta come mostri delle persone che hanno l’unico torto di volere realizzare un sogno e un bisogno umano nel dare la vita. Mistero della fede. La loro.

            Per fortuna sono sempre numerosi quei cattolici coerenti che condannano l’utilizzo della religione per tentare di giustificare quello che rimane soltanto una triste e assurda omofobia.

            Diventare genitori non è un diritto, no, ma è un bisogno potente che ti brucia dentro e ti fa scalare le montagne, attraversare i continenti, sfidare il mondo, la società, la tua famiglia, le tue timidezze, le tue paure, ti porta a indebitarti, a piangere, a entrare in chiese per pregare dei Dei a cui non credi davvero, ad accendere candele e respirare incenso, ti porta a dimenticare te stessa, le cose a cui credevi, le cose che affermavi. Il desiderio di genitorialità è a volte una necessità come l’acqua nel deserto e il fuoco d’inverno. È qualcosa di così potente che ti trasforma in guerriero di giorno e in pezza piangente di notte quando tutto ciò che fai per farlo diventare realtà non funziona. Il desiderio di genitorialità quando diventa una battaglia per anni contro il tuo corpo, contro il caso, contro la sopportazione del dolore fisico e psicologico, va rispettato e curato e sopportato. Non dovrebbe mai essere deriso, guardato dall’alto con sdegno e sufficienza, non dovrebbe essere disprezzato e preso in giro. Proprio perché non è un diritto ma qualcosa di così profondo e intimo che attinge al mistero della vita e della morte, al mistero dell’umano semplicemente.

Giuseppina La Delfa fondatrice ed ex presidente di Famiglie Arcobaleno Associazione Genitori Omosessuali

Huffington Post                     3 febbraio 2016

www.huffingtonpost.it/giuseppina-la-delfa/il-desiderio-di-essere-genitori-non-e-certo-un-diritto_b_9147588.html

           

Uteri in affitto a cinquemila euro così un bambino diventa merce.

«Non cerco la vittoria politica. Ma basta leggere qualche contratto… è inconcepibile, non posso tacere come donna e come ministra. Ne ho visto uno ad esempio di una coppia etero che ha “acquistato” l’utero di una donna per avere un figlio pagando 5.222 euro più 139 euro per nove mesi di alimenti. Eccolo qua». Beatrice Lorenzin ha la prova documentale del patto con cui due coniugi italiani hanno pagato una donna dell’est Europa per una maternità surrogata. Ora il “caso” è presso la Corte di giustizia della Ue e il ministero della Salute, guidato da Beatrice Lorenzin dal 2013, in nome e per conto dello Stato italiano si è costituito in appello dopo il ricorso della coppia Un esempio. Una vicenda concreta. La ministra racconta i punti del patto.

È quasi uno sfogo privato, mentre tiene in braccio a turno i due gemelli Francesco e Lavinia di otto mesi, che si contendono la mamma. Parlare di maternità nel soggiorno ingombro di baby box e di giochi, evita ogni presunzione di avere la verità in tasca. «Sono il ministro di tutti a prescindere dalle mie idee, non sono una oscurantista o bigotta, basta vedere cosa ho fatto sulla fecondazione assistita eterologa». Cosa ha fatto dunque, ministra? «Ho recepito la sentenza della Consulta e l’ho fatta vivere concretamente, rendendo gratuita l’eterologa. Ho voluto un registro per la tracciabilità dei gameti, così da avere il massimo della trasparenza e ho messo la fecondazione assistita tra i livelli essenziali d’assistenza sia quella omologa che la eterologa».

Con questa premessa, alla vigilia del voto sulle unioni civili al Senato, la ministra della Salute lancia l’ennesimo appello: «Attenzione alle leggerezze, attenzione a far finta di ignorare il business della maternità surrogata che viene introdotto, magari in buonafede, con l’articolo 5 della legge sulle unioni civili».

Qualche giorno fa Beatrice Lorenzin ha firmato la carta di Parigi con cui un gruppo di femministe, di politiche socialiste, di studiose, tra le quali la filosofa Sylviane Agacinski, hanno definito la “Gpa”, la gestazione per altri, ovvero la maternità surrogata, «un’ingiusta pratica sociale lesiva dei diritti fondamentali dell’essere umano». Quindi, dice Lorenzin, «sì alle unioni civili, ma no alla possibilità di maternità surrogata, per gay o etero poco importa».

Il contratto, stipulato all’estero, che la ministra ha tra le mani lascia pochi dubbi sulla compravendita. Cinque pagine, sei commi. «Le parti qui convenute… la cui madre surrogata sarà da qui in avanti intesa come Madre…», è la formula iniziale. E quindi la donna che affitta il proprio utero si impegna alla Fivet, la fertilizzazione in vitro; a farsi assicurare contro le malattie; alla visita presso la struttura medica concordata; a tutti gli esami; a una opportuna dieta; ad astenersi dai rapporti sessuali durante il periodo di gestazione; a tenere il cellulare acceso; a restare nel luogo di residenza stabilito. Alla fine dei nove mesi, s’impegna a «consegnare subito il figlio senza allattarlo». Se ci dovesse essere un aborto spontaneo, si ricomincia. Sempre per la stessa cifra, di 450 mila rubli pari a circa 5.222 euro a figlio nato. I genitori del contratto possono chiedere una penale alla donna di cui hanno affittato l’utero per avere un figlio tutto loro, se viene meno a una delle clausole, se mette a repentaglio la salute del feto bevendo, usando stupefacenti, fumando, non prendendo le vitamine. Se poi il bambino nato ha «malformazioni fisiche o aberrazioni mentali» i genitori per contratto lo possono rifiutare. «Le sorti del figlio sono a discrezione dei genitori che hanno attivato la maternità surrogata»: racconta la sintesi del contratto la ministra della Salute.

Non teme Lorenzin, raccontando proprio ora questa storia di essere strumentalizzata dagli ultrà cattolici del Family day? «Non sono andata al Family day e sono d’accordo sulle unioni civili, ma la genitorialità merita almeno un discorso a parte, basta stralciare l’articolo 5 del Disegno di legge Cirinnà perché lì non si sta parlando solo di adozioni». È quello che vuole il partito di Alfano che è quello di Lorenzin. Però lei afferma che è spinta dal rispetto delle donne e dei bambini: «Siamo viziati, ricchi ipocriti, permettiamo che i bambini diventino merce». Qualche settimana fa Lorenzin aveva parlato di “ultraprostituzione” a proposito dell’utero in affitto. «Nel senso della vendita del proprio corpo per procreare dettata dalla miseria», spiega. Come andrà a finire in Parlamento, dove le ragioni e le pressioni si confondono lasciando le persone omosessuali senza diritti e senza doveri? «Non pretendo che tutti la pensino come me. Voglio la legge, ma senza chiudere gli occhi. Fermiamoci sulla china che tutto è possibile, mercificabile».

Giovanna Casadio     La repubblica             9 febbraio 2016

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/02/09/uteri-in-affitto-a-cinquemila-euro-cosi-un-bambino-diventa-merce10.html?ref=search

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INFEDELTÀ

Infedeltà matrimoniali, 7 cose da sapere.

Esther Perel è una famosa psicoterapeuta belga che ora risiede a New York. Per 30 anni si è dedicata alla terapia di coppia e allo studio dell’infedeltà. Negli ultimi 10 anni ha girato il mondo raccogliendo informazioni sull’infedeltà nelle diverse culture. Oggi vi proponiamo la conferenza TED “Ripensare l’infedeltà” in cui Esther condivide ciò che ha scoperto. Un video che vale la pena di essere visto e discusso più volte.

            In un matrimonio, l’infedeltà ha conseguenze devastanti. Subirla provoca un dolore così tremendo da essere considerato addirittura peggiore della morte del coniuge stesso. Molte coppie non sopravvivono. Il matrimonio si conclude in modo estremamente doloroso, soprattutto se ci sono bambini coinvolti. Alcuni possono sopravvivere all’infedeltà ma solo come naufraghi alla deriva, lasciando che la corrente li porti qua e là e finendo per vivere un matrimonio che è in realtà morto. Ma d’altra parte ci sono coppie che non solo sopravvivono, ma che danno un nuovo slancio al loro rapporto. Di questo ha parlato Esther e noi vogliamo approfondire questo aspetto.

            Uomini e donne vivono l’esperienza del peccato. Il matrimonio soffre le conseguenze di queste esperienze, ma Gesù ci viene incontro ed eleva il matrimonio al punto di essere un sacramento, dandoci la grazia per lottare contro tutte le avversità. E l’infedeltà è una di queste. Per essere più chiari abbiamo diviso il post in 7 punti, che spero possano servire per capire il meccanismo dell’infedeltà. E che mi auguro possano aiutare le molte coppie che stanno attraversando il grande dolore dell’infedeltà a trovare il modo per superarlo, e a ottenere un matrimonio migliore.

  1. Infedeltà ieri, oggi e sempre. L’infedeltà è presente fin dall’inizio dei tempi. Come ha detto Esther, anche nei 10 comandamenti è menzionata due volte: nel sesto, “Non commettere atti impuri” e nel nono, “Non avere pensieri impuri”. Dio, conoscendo la natura del peccato ci avverte del rischio di cadere su questa cosa per ben due volte. E ci avverte sia sull’azione ma anche sul solo pensiero. Entrambe le cose sono brutali ed entrambe causano dolore. È importante tenerne conto, non è una casualità.
  2. Sia gli uomini che le donne possono essere infedeli. Non è che l’uno sia più infedele dell’altra, siamo solo in presenza di un ulteriore aspetto in cui le differenze tra uomini e donne sono evidenti. Si dice che le donne siano infedeli perché cercano una connessione intima e che l’uomo lo sia perché incapace di sostenere tale tipo di rapporto. Gli uomini si vantano delle loro conquiste, le donne desiderano in silenzio. Sarebbe di grande aiuto poter guardare queste differenze, anche in una situazione del genere, parlando francamente dei nostri difetti, avendo fiducia reciproca e non lasciando spazio alla paura all’interno del nostro matrimonio. La conoscenza personale e la consapevolezza delle nostre differenze sono la chiave per comprendere le nostre tentazioni ed evitare di cadere.
  3. Infedeltà: un antidoto alla monotonia e alla morte? Perché avviene l’infedeltà? Si può comprendere chi è infedele? Che cosa succede se l’infedele sono io? Che cosa si sta realmente cercando? E dove si vuole andare? Cosa manca? L’infedeltà, che potrebbe anche restare latente, avviene spesso in risposta a questioni irrisolte e alla mancanza di dialogo tra i coniugi. Se l’entusiasmo iniziale ha fatto posto alla monotonia, e se ci si trova in una situazione difficile, possiamo perdere il senso della vita e l’infedeltà potrebbe apparire come una finestra piena di emozioni che ci faccia sentire ancora “vivi”. Il problema è che siamo stati sempre vivi, ma a morire è il nostro matrimonio.
  4. Il desiderio che fa sentire vivi. L’infedeltà ha poco a che fare con il nostro coniuge, e molto con noi stessi, con le nostre debolezze e con la nostra mancanza di riconciliazione. L’infedeltà in realtà non ha neanche molto a che fare con il sesso in sé, quanto con il desiderio. Il desiderio di essere ascoltati, di qualcuno che si prenda cura di noi, di sapere di avere importanza per l’altro, di essere giovani. Il desiderio è ciò che muove tutto e che fa permanere la situazione di infedeltà. Il fatto di non poter stare sempre con l’amante mantiene alto il desiderio. È quasi ciò che accade in una dipendenza; se però siamo consapevoli, possiamo sviluppare strategie per combattere questi desideri che si manifestano in modo così intenso.
  5. Il dolore di una morte lenta. Soprattutto oggi, a causa della tecnologia e di ciò che il matrimonio è diventato, l’infedeltà non solo provoca dolore, ma veri e propri traumi personali, tra cui anche crisi di identità. Si può diventare spettatori in prima fila dell’infedeltà del coniuge e conoscerne i dettagli più ripugnanti. Penso che dovremmo essere consapevoli di questo aspetto. L’infedeltà genera traumi di identità molto profondi, oggi più che in qualsiasi altro periodo. Sapendo ciò, bisognerebbe frenarsi prima di considerare quei comportamenti che portano all’infedeltà e che causano un dolore profondo alla persona che abbiamo promesso di amare per tutta la vita.
  6. La vergogna di perdonare. In un matrimonio dove si lotta per recuperare il rapporto perduto, in aggiunta al dolore dell’infedeltà subita, c’è anche la difficoltà di perdonare chi è stato infedele. È incredibile. Perdonare un tradimento è considerato quasi come un peccato. In un mondo in cui si cerca solo di essere felice e in cui la felicità significa assenza di dolore e di sacrificio, perdonare l’infedeltà è un qualcosa di pazzo. “Ma sei stupida?” “Un traditore non cambia mai”, “Che vada con quell’altro e non torni più indietro”. Molti di questi commenti provengono anche dalla propria famiglia. Ma il perdono esiste e, inoltre, è una grazia che Dio ci dà nel sacramento del matrimonio. Perdonare è possibile. Il perdono non significa voltare pagina. Questo perdono richiede impegno e riconciliazione. Il primo passo è che l’infedele riconosca il dolore che ha causato e che sia aperto e pronto a ricostruire, passo dopo passo, il matrimonio.
  7. Il tuo matrimonio è finito. Iniziane uno nuovo… con la stessa persona. Sopravvivere all’infedeltà apre la porta al parlare di tutto ciò che non si aveva mai osato dire: “Non ero felice”, “Nemmeno a me è piaciuto questo o quello…” sono quei dialoghi che vanno a dare vita ad una nuova realtà in cui possa parlare con libertà che non si ha mai avuto il coraggio di affrontare. Esther Perel dice che l’infedeltà è come il cancro: può uccidere ma, se vi si sopravvive, la vita assume un nuovo significato. La sfida di combattere per sopravvivere all’infedeltà può portare a ricostruire un nuovo matrimonio, a formare nuovi accordi, a parlare a fondo dei problemi che toccano entrambi e, infine, a risolvere le questioni personali.

Ricordiamo che il sacramento del matrimonio ci dà la grazia di far fronte alle difficoltà che ci accadono. Non siamo soli, Dio non ci lascia mai soli: Cristo è la fonte di questa grazia. ‘Come un tempo Dio venne incontro al suo popolo con un Patto di amore e di fedeltà, così ora il Salvatore degli uomini e Sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del Matrimonio’ (GS 48,2). Egli rimane con loro, dà loro la forza di seguirlo prendendo su di sé la propria croce, di rialzarsi dopo le loro cadute, di perdonarsi vicendevolmente, di portare gli uni i pesi degli altri, (cfr Ga 6,2), di essere ‘sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo’ (Ef 5,21) e di amarsi di un amore soprannaturale, tenero e fecondo”. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1642.

Silvana Ramos     Traduzione dallo spagnolo Valerio Evangelista) 9 febbraio 2016

            http://it.aleteia.org/2016/02/09/infedelta-matrimonialeInfedeltà matrimoniale, 7 cose da sapere

http://it.aleteia.org/2016/02/09/infedelta-matrimoniale-7-cose-da-sapere

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MATERNITÀ

Indennità di maternità senza stop dal lavoro.

Lo Statuto degli autonomi cancella l’obbligo di astensione dal lavoro per 300mila lavoratrici. Sì all”indennità di maternità senza stop dal lavoro per l’arrivo di un figlio. E’ una delle novità previste dal c.d. Jobs Act degli autonomi, varato dal Consiglio dei Ministri giovedì scorso e ora avviato verso l”iter parlamentare, che riguarderà ben 300mila lavoratrici autonome.

            Lo Statuto riconosce alle future madri rientranti nelle categorie tutelate dal Ddl il diritto a percepire l”indennità di maternità senza doversi astenere obbligatoriamente dal lavoro nei cinque mesi di congedo previsti nell”attesa di un bebè. La misura tesa a contrastare la maggiore discontinuità di carriera delle autonome (rispetto alle lavoratrici pubbliche e dipendenti) dopo la nascita di un figlio, dovrebbe interessare una platea di circa 300mila donne (tra professioniste e collaboratrici con meno di 45 anni iscritte in via esclusiva alla gestione separata Inps) e porterebbe l’Italia ad allinearsi al resto d”Europa “dove l”obbligo di astensione per l”intero periodo del congedo è previsto solo in pochi paesi” come commentato da Paola Profeta, docente di scienza delle finanze alla Bocconi sulle colonne del Sole24Ore.

            La tutela predisposta dal Ddl prevede non solo la possibilità di scegliere di non astenersi dall’attività lavorativa durante la gravidanza e dopo il parto, per consentire alle lavoratrici di far fronte agli impegni assunti, ma anche il diritto all”indennità di maternità indipendentemente dalla permanenza o meno al lavoro. L’indennità, secondo quanto disposto dal Ddl, verrà erogata dall’Inps, a seguito di “apposita domanda in carta libera, corredata da un certificato medico rilasciato dall’azienda sanitaria locale (…) attestante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto”. Non solo. Tra le altre novità previste dallo statuto degli autonomi sul fronte welfare c’è altresì l’estensione del congedo parentale fino a sei mesi dalla nascita del bambino, da fruire entro i primi tre anni di vita dello stesso.

            Viene inoltre introdotta una tutela per le malattie gravi: sarà possibile infatti sospendere il pagamento dei contributi sociali per tutta la durata della malattia, fino a un massimo di due anni, restituendo poi le quote non pagate successivamente e a rate. Infine, viene previsto che la gravidanza, così come la malattia e l’infortunio, non comportano l’estinzione del rapporto di lavoro, ma soltanto la sospensione senza compenso fino a un massimo di 150 giorni.

Marina Crisafi                       newsletter studiocataldi.it     8 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20924-indennita-di-maternita-senza-stop-dal-lavoro.asp

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OBIEZIONE DI COSCIENZA

Pillola «dei 5 giorni», i farmacisti obiettano.

«Il diritto all’obiezione di coscienza per noi farmacisti – nonostante i tentativi di nasconderlo da parte di Fofi e Federfarma – è già stato riconosciuto per legge. Il fatto che non sono state prodotte norme per regolarlo praticamente, non impedisce ovviamente l’uso di tale diritto. Mi incuriosisce comunque vedere una così alta percentuale di dubbiosi rispetto alla scelta dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) di togliere la ricetta alla pillola “dei cinque giorni dopo”». Piero Uroda, presidente dell’Unione cattolica farmacisti italiani (Ucfi) commenta il sondaggio (reso noto la scorsa settimana) dell’azienda produttrice dell’ulipristal acetato (nome commerciale EllaOne) che evidenzia le resistenze professionali dei farmacisti, dovute perlopiù a dubbi sulla sicurezza del farmaco, soprattutto in caso di abuso, cioè di uso ripetuto.

Dottor Uroda, secondo il sondaggio il 18% dei suoi colleghi non venderebbe mai una pillola contraccettiva senza ricetta e il 46% è contrario alla scelta dell’Aifa, che ha permesso la vendita dell’ulipristal senza prescrizione medica. Che cosa ne pensa?

Da un lato mi paiono purtroppo pochi coloro che non vogliono distribuire l’ulipristal; dall’altro c’è da osservare che il farmacista ha un interesse a evitare che, essendo farmaco senza ricetta, prima o poi finisca nelle parafarmacie o nei supermercati. E senza ricetta il farmaco sfugge a ogni controllo. Peraltro la ricetta resta per i normali contraccettivi ormonali e per la pillola del giorno dopo, ma non per questo prodotto, che è più potente. Infatti l’ulipristal è ben più simile come composizione chimica al mifepristone (la RU486, la pillola abortiva) che non al “vecchio” levonorgestrel (la vecchia pillola “del giorno dopo”).

Perché il farmacista dovrebbe rifiutarsi di vendere un contraccettivo?

Perché si continua con l’equivoco di confondere l’effetto contraccettivo e quello abortivo. Il foglietto illustrativo parla solo della sua azione antiovulatoria in quanto antiprogestinico, ma il progesterone serve anche a mantenere l’endometrio ospitale per l’ovocita fecondato. E gli studi scientifici evidenziano che non si può escludere un’azione del farmaco che impedisca l’impianto in utero del prodotto del concepimento. E questa non è più contraccezione.

Ma in assenza di norme specifiche il farmacista può esprimere obiezione di coscienza?

Certamente sì: noi siamo compresi tra i professionisti sanitari. E l’articolo 9 della legge 194\1978 prevede la possibilità di obiezione di coscienza per tutti gli operatori sanitari. Quello che conta è l’aborto, non il modo in cui viene effettuato: un tempo c’era solo il metodo chirurgico, ora anche quello chimico-farmaceutico, che ci chiama in causa. Del resto almeno due colleghi sono stati assolti dall’accusa di non aver dispensato il farmaco e io stesso ho ricevuto una denuncia che non ha avuto seguito. Il nostro diritto è riconosciuto, ma non è stato «normato» da una legge. Anche il Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) ha riconosciuto il diritto per il farmacista di opporsi a un farmaco potenzialmente abortivo.

Il Cnb suggeriva di ammettere l’obiezione, ma si preoccupava che il farmaco fosse disponibile perché prescritto da un medico. Ma se non c’è più obbligo di ricetta?

Si rafforza il nostro diritto all’obiezione: non mi «intrometto» nell’azione professionale di un medico, sono solo con la mia coscienza. E poi l’obbligo di ricetta resta per le minorenni: ma come faccio a sapere a chi è destinato il farmaco che mi viene chiesto? E poi, scusi, rifiuto un farmaco salvavita? La gravidanza è una Enrico Negrotti                      avvenire         11 febbraio 2016

www.avvenire.it/Vita/Pagine/pillola-dei-5-giorni-farmacisti-obiettano.aspx

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OMOFILIA

I diritti delle coppie omosessuali in Italia? Già esistono!

Diritti per le coppie omosessuali e possibilità di adottare un bambino: una novità esclusiva del Ddl Cirinnà? Sembra proprio di no. Perché in Italia esiste già un’ampia e documentata legislazione anche a tutela delle coppie non eterosessuali. Insomma, se è realmente l’amore, come vanno ripetendo ormai da settimane i sostenitori del mondo Lgbt, il collante di una coppia a prescindere dall’orientamento sessuale, allora la nuova legge sulle unioni civili si può considerare persino una forzatura che maschera altri obiettivi. E vi spieghiamo il perché.

            La tutela della coppia- In Italia ai conviventi, dello stesso sesso o di sessi diversi, sono riconosciuti i diritti e i doveri relativi alla sanità, alle carceri, alla locazione, ai risarcimenti. Non esiste un problema di tutela dei conviventi in quanto legge o giurisprudenza li stanno già tutelando (La Nuova Bussola Quotidiana, 11 febbraio 2016).              www.lanuovabq.it/it/articoli-diritti-gay-sono-gia-garantiti-ecco-come-15229.htm

            Famiglia e convivenza. La norma che rappresenta la base formale per il riconoscimento di molti diritti dei conviventi è rappresentata dal DPR n.223/1989, art. 4 (approvazione del regolamento anagrafico della popolazione residente) che parifica le famiglie alle convivenze, stabilendo che «l’anagrafe della popolazione residente è la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie e alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza»; addirittura precisa che «l’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza».

www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-asilo/2007/febbraio/dpr-223-1989.html

Norme pro coppie gay. Ma sempre spulciando il dossier de La Nuova Bussola Quotidiana, le norme che tutelano le convivenze anche tra persone dello stesso sesso sono diverse: ad esempio l’art. 3 Legge n.91/1999 in materia di trapianti di organi stabilisce che all’inizio del periodo di osservazione ai fini dell’accertamento di morte, i medici forniscono informazioni sulle opportunità terapeutiche per le persone in attesa di trapianto nonché sulla natura e sulle circostanze del prelievo, al coniuge non separato o al convivente; Legge n.53/2000 Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città, riconosce ad ogni lavoratore il diritto a permessi retribuiti per decesso o grave infermità del coniuge, del parente entro il secondo grado e del convivente.

            www.lanuovabq.it/it/articoli-diritti-gay-sono-gia-garantiti-ecco-come-15229.htm

Consultori e testamento. E ancora la legge n.405/1975 Istituzione dei consultori familiari, prevede l’assistenza della famiglia e della coppia (e dunque dei conviventi); la Corte di Cassazione con sentenza n.2988/1999 ha riconosciuto al convivente la risarcibilità del danno patrimoniale in caso di morte del convivente provocata da fatto ingiusto altrui; Art. 411 codice civile le disposizioni testamentarie in favore del convivente amministratore di sostegno sono valide.

            Cattiva condotta del coniuge. Importanti sono anche gli Art. 342bis e 342ter codice civile: prevedono che quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente il giudice può disporre l’allontanamento da casa, prescrivendo il divieto di avvicinarsi ecc. Complessivamente sono 15 le norme citate a tutela dei diritti di una coppia convivente (sia etero che omosessuale).

            Casa, sostegno, processi. In tempi non sospetti anche La Repubblica (gennaio 2013) evidenziava in un articolo che la materia successoria e perfino la pensione di reversibilità non sono negati ai conviventi gay. Come si chiede il giornalista e sociologo Giuliano Guzzo, sul suo blog (gennaio 2013): «dov’è il fantomatico “vuoto legislativo”?».

http://giulianoguzzo.com/2013/07/06/i-diritti-gay-in-italia-ci-sono-gia-parola-di-repubblica/

Visto che le coppie di fatto godono già oggi, per citarne alcuni, dei diritti di stipulare di accordi di convivenza per interessi meritevoli di tutela [ex art. 1322 cc], di successione nel contratto di locazione a seguito della morte del titolare a favore del convivente [Cfr. C.C. sent. n. 404/1988], di vista in carcere al partner [Cfr. D.P.R 30 n. 230 del 2000], di nomina di amministratore di sostegno [artt. 408 e 417 cc], di astensione dalla testimonianza in sede penale [art. 199, terzo comma, c.p.p.], di proporre domanda di grazia [art. 680 c.p.].

            Adozione già possibile. Ma andiamo oltre. E vediamo come in realtà, anche se lo dicono in pochi, l’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali sia già possibile in Italia. Insomma la stepchild tanto decantata dai sostenitori della Cirinnà, è tutt’altro che un’assoluta novità.

            Le modifiche alla legge 184. In Italia esistono già alcune sentenze che, fanno riferimento all’articolo 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, che regola le adozioni in casi particolari.

www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm

L’articolo 5 del Ddl Cirinnà si intitola, alla lettera, “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184”. La modifica prevista alla legge sulle adozioni è la seguente: «All’articolo 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, dopo la parola: «coniuge» sono inserite le seguenti: «o dalla parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso» e dopo le parole: «e dell’altro coniuge» sono aggiunte le seguenti: «o dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso» (Vita.it, 20 gennaio 2016).

www.vita.it/it/article/2016/01/20/stepchild-adoption-in-italia-14-adozioni-a-coppie-omosessuali/137984

14 adozioni di coppie gay. In Italia esistono già alcune sentenze che, facendo riferimento all’articolo 44 lettera d) della legge 184, poi modificata nel 2001, hanno disposto l’adozione da parte della convivente del figlio della madre biologica, all’interno di una coppia convivente omosessuale. «Sono 14, almeno fino al 31 dicembre 2015, quando sono andata in pensione», spiega sempre a Vita.it Melita Cavallo, ex presidente del Tribunale per i Minori di Roma. «Nella maggior parte dei casi si tratta di due donne, in un caso di una coppia di uomini». Di adozioni con l’articolo 44 d) «se ne sono fatte centinaia, in tutti i tribunali: se non si fosse detto che le due persone in questione sono conviventi sarebbe andato tutto liscio. Ma il giudice non può discriminare in base all’orientamento sessuale, lo dice la Costituzione».

www.vita.it/it/article/2016/01/20/stepchild-adoption-in-italia-14-adozioni-a-coppie-omosessuali/137984

            4 ragioni. Per capire come sia possibile, tecnicamente, basta leggere la sentenza della Corte d’Appello di Roma pubblicata il 23 dicembre 2015, che ravvisa quattro ragioni:

  1. Come nella legge italiana, per l’adozione in casi speciali, non vi sia divieto di adottare per la persona singola (la condizione del matrimonio è richiesta solo per l’adozione piena o legittimante che non rientra nei casi di adozione particolari previsti dalla legge 184);
  2. Come non vi siano limitazioni in riferimento all’orientamento sessuale delle persone adottanti;
  3. Come non sia necessario lo stato di abbandono del bambino per procedere a un’adozione in casi speciali;
  4. Come sia prioritario valutando se questo sia l’interesse del bambino, «dare una forma legale a ciò che di fatto già sussiste nella realtà della vita quotidiana e delle relazioni familiari» «a tutela del minore stesso», dice la sentenza della Corte d’Appello.

www.siallafamiglia.it/corte-di-appello-di-roma-la-sentenza-che-ammette-la-stepchild-adoption

La norma che rappresenta la base formale per il riconoscimento di molti diritti dei conviventi è rappresentata dal DPR n.223/1989 (approvazione del regolamento anagrafico della popolazione residente) che parifica le famiglie alle convivenze, stabilendo che «l’anagrafe della popolazione residente è la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie e alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza»; addirittura precisa che «l’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza».

            Genitore biologico e madre adeguata. Secondo questa sentenza, spiega Cavallo «l’adozione si può fare anche se non c’è convivenza con il genitore biologico e anche in presenza di una madre adeguata. È capitato che una vicina di casa tenesse il bambino perché la madre aveva gravi problemi di salute, poi la madre si sia resa conto di come la vicina fosse considerata dal figlio un punto di riferimento importante e abbia acconsentito all’adozione. Anche qui erano due donne, senza legame affettivo. Oppure un medico single che ha adottato un bambino con frequenti ricoveri in ospedale, la madre era single e ha dato consenso. La novità ovviamente è l’elemento della convivenza e della relazione affettiva, ma come dicevo prima il giudice non può discriminare per questo».

            Questione di commi. Cosa cambierebbe quindi con il comma il Ddl Cirinnà e con l’introduzione in una legge della stepchild adoption? «Sul piano pratico non cambia nulla», dice Cavallo. «Finora si è lavorato con la lettera d), forse con il Ddl si lavorerà di più tramite la lettera b) del comma 44, ma c’è sempre la valutazione, che ritengo opportuno rimanga, senza automatismi. Ho visto differenze nelle situazioni e mi è capitato di vedere un bambino che non accettava la compagna della madre: in quel caso ho disposto un approfondimento con nuove indagini, ci stanno ancora lavorando».

Gelsomino Del Guercio                     Aleteia13 febbraio 2016

http://it.aleteia.org/2016/02/13/i-diritti-delle-coppie-omosessuali-in-italia-gia-esistono

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            ONLUS NON PROFIT

Obbligo di assunzione disabili per enti senza scopo di lucro

Per una Onlus con più di 15 dipendenti vale il discorso del collocamento obbligatorio? O le Onlus non sono obbligate ad assumere un disabile?

L’obbligo di assunzione di persone diversamente abili interessa i datori di lavoro che, ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 68/1999, occupano almeno 15 dipendenti. Tale obbligo è generalizzato e si applica, indifferentemente, nel settore pubblico come in quello privato.

Per le organizzazioni che, senza fini di lucro, operano nel campo della solidarietà sociale, dell’assistenza e della riabilitazione, la quota di riserva si computa esclusivamente con riferimento al personale tecnico-operativo e svolgente funzioni amministrative e, fino al 31 dicembre 2016, l’obbligo sorge unicamente in caso di nuove assunzioni (art. 3, legge 68/1999 modificato dal D. Lgs. 151/2015). Sulla base di quanto dispone l’art. 2, comma 5, del D.P.R. N. 333/2000, il personale tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative, è individuato sulla base delle norme contrattuali e regolamentari applicate dagli organismi interessati.

Inoltre, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato la nota prot. n. 6725 del 30 dicembre 2015, con la quale proroga il termine di presentazione del prospetto informativo disabili al 29 febbraio 2016 (previsto dall’articolo 9, comma 6, della Legge 12 marzo 1999, n. 68). Il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151 ha previsto semplificazioni alle procedure e agli adempimenti a carico delle imprese in tema di rapporti di lavoro. In particolare, il decreto interviene in materia di inserimento mirato delle persone con disabilità, introducendo novità significative in materia di quota di riserva; esoneri parziali; modalità di assunzioni obbligatorie; compensazione automatica per i datori di lavoro pubblici, implementazione della “Banca dati del collocamento mirato”.

Questi interventi hanno evidenti ripercussioni sull’adempimento degli obblighi di cui alla legge n. 68/1999 e, conseguentemente, sulle informazioni da inserire nel prospetto informativo e, pertanto, sui sistemi informatici, regionali e nazionali, che supportano l’adempimento che ormai da 5 anni è completamente telematico. Pertanto, al fine di consentire l’adeguamento dei sistemi informatici e garantire la completa interoperabilità del sistema nel suo complesso, il Ministero comunica che la scadenza per la presentazione del prospetto informativo è posticipata al 29 febbraio 2016.

http://www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=6596

 

Esenzioni ICI e IMU tra enti non commerciali in caso di comodato gratuito

Corte di Cassazione, quinta Sezione civile, Sentenza n. 25508 18 dicembre 2015

E’ ammessa l’esenzione Ici (e quindi Imu) all’immobile posseduto da un ente non commerciale concesso in comodato gratuito ad altro ente non commerciale, il quale vi svolga una delle attività meritevoli definite dall’articolo 7, comma 1, lettera i), D.Lgs n. 504/1992. Nel caso in cui l’ente possessore dell’immobile e l’ente concretamente utilizzatore siano entrambi enti non commerciali con compiti simili e finalità compenetrantesi, si potrà effettuare l’applicazione dell’esenzione, purché fra i due sussista un rapporto di comodato e non di locazione ovvero di concessione demaniale.

http://www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=6595

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PARLAMENTO

Senato                        Assemblea      Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili.

2081 Cirinnà ed altri. – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze

9 febbraio 2016 Conclusa la discussione generale dei disegni di legge in materia di unioni civili.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=964507

10 febbraio 2016 Replica del rappresentante del Governo; respinto Odg di non passaggio all’esame degli articoli.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=964713

11 febbraio 2016 Iniziata l’illustrazione degli emendamenti.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=964763

2° Commissione Giustizia                Divorzio diretto

1504 bis          Modifiche alla legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di legittimazione alla richiesta di scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Iterrisultante dallo stralcio dell’art. 1, c. 2 del S.1504 deliberato nella seduta n. 411 del 17 marzo 2015.

3 febbraio 2016. Il senatore Lumia (PD) ricorda che il disegno di legge in titolo è il risultato dello stralcio del comma 2 dell’articolo 1 del testo licenziato dalla Commissione giustizia in sede referente per il disegno di legge n. 1504, oggi legge 6 maggio 2015, n. 55. La Commissione infatti si era già espressa, ad ampia maggioranza, in senso favorevole al cosiddetto “divorzio diretto”. In proposito sottolinea che il disegno di legge non va in alcun modo ad incrinare l’evoluzione della nozione giuridica di famiglia, quale si è venuta configurando negli ultimi anni alla luce delle recenti modifiche legislative. Ritiene pertanto opportuno procedere alla conclusione dell’esame in tempi brevi.

Il senatore Caliendo (FI-PdL XVII) ritiene opportuna una ulteriore valutazione sulla attuazione del suddetto provvedimento legislativo in materia di cosiddetto “divorzio breve”, nonché dei provvedimenti relativi agli istituti della negoziazione assistita e degli accordi di separazione e divorzio innanzi all’ufficiale di stato civile, di cui rispettivamente agli articoli 6 e 12 del decreto legge n. 132 del 2014, convertito con modificazioni nella legge n. 162 del 2014. In particolare gli sembrerebbe utile che il Governo fornisca alla Commissione i dati a sua disposizione relativi alla prima fase di attuazione delle predette previsioni legislative, anche al fine di valutare l’eventuale utilità di interventi correttivi della normativa vigente.

            Il senatore Cappelletti(M5S) si associa alle considerazioni testé svolte dal senatore Lumia, dichiarando, anche a nome del proprio Gruppo parlamentare, la disponibilità a proseguire in modo sollecito l’esame del disegno di legge.

La relatrice Filippin (PD) sottolinea che i provvedimenti in materia di cosiddetto “divorzio breve”, di negoziazione assistita e di accordi di separazione e divorzio sopra citati sono entrati in vigore da circa un anno. Appare quindi opportuno chiedere al Ministro della giustizia di poter disporre dei dati relativi all’attuazione di tali interventi legislativi, nei termini già indicati dal senatore Caliendo.

            La senatrice Mussini(Misto), dopo essersi associata alle considerazioni svolte dagli altri componenti della Commissione circa l’opportunità dell’acquisizione dei dati da parte del Ministero della giustizia rivolge un appello alle forze politiche, soprattutto quelle di maggioranza, ad affrontare in modo sistematico, organico e non frammentario la discussione di importanti disegni di legge che impattano in maniera significativa sugli istituti giuridici in materia di diritto di famiglia.

Il seguito dell’esame congiunto è, infine, rinviato.

Disegno di legge 1504 bis

Art. 1. 1. Dopo l’articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, è inserito il seguente: «Art. 3-bis. – Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può altresì essere richiesto da entrambi i coniugi, con ricorso congiunto presentato esclusivamente all’autorità giudiziaria competente, anche in assenza di separazione le-gale, quando non vi siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero figli di età inferiore ai ventisei anni economicamente non autosufficienti».

In arrivo il divorzio diretto

A volte ritornano. E così è stato per il divorzio “diretto”, cui si era pensato di dover dire definitivamente addio dopo lo stralcio al Senato nel corso dei lavori per l”approvazione della riforma sul divorzio breve. La proposta, presentata sotto forma di emendamento, a quella che poi è diventata la Legge n. 55/2015, qualcuno ricorderà, era stata stralciata (su proposta della stessa relatrice, la senatrice pieddina Filippin), al fine di una rapida approvazione del provvedimento, date le polemiche e i contrasti che avevano accompagnato l”avvio della discussione in assemblea. (…) Invece, il Ddl n. 1504-bis (allegato) si è incamminato in Parlamento approdando in questi giorni, dopo i pareri delle commissioni affari istituzionali e bilancio, all’esame della commissione giustizia del Senato.

Il testo è composto da un unico significativo articolo che mira ad introdurre dopo l’art. 3 della legge sul divorzio (L. n. 898/1970 e successive modifiche), un art. 3-bis contenente la previsione che entrambi i coniugi possano “con ricorso congiunto” e anche “in assenza di separazione legale” chiedere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/05/11/15G00073/sg

Si bypasserebbe così di fatto l”istituto della separazione e dunque i tempi previsti (oggi dopo la riforma di 6 o 12 mesi) per poter chiedere il divorzio. Il tutto però soltanto, se non vi sono “figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero figli di età inferiore ai ventisei anni economicamente non autosufficienti”. (…)

Marina Crisafi                       Studio Cataldi            10        febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20981-in-arrivo-il-divorzio-diretto.asp

 

Camera                      Assemblea                  Embrioni soprannumerari

10 febbraio 2016 Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

(…) Intendimenti del Governo in merito al regime degli embrioni soprannumerari, con particolare riferimento alla possibilità di adozione degli stessi – n. 3-02000

(…)        PRESIDENTE. L’onorevole Sberna ha facoltà di illustrare l’interrogazione Gigli e Sberna n. 3-02000, di cui è cofirmatario, per un minuto.

Mario Sberna. Presidente, signor Ministro, la Corte costituzionale, con sentenza n. 162 dal 2014, ha aperto la strada alla fecondazione eterologa in Italia. Nella sentenza n. 229 del 2015 ha tuttavia richiamato l’esigenza di tutelare la dignità dell’embrione, alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella dalla procedura della crioconservazione. Il numero di embrioni conservati nei congelatori italiani è attualmente di circa 60 mila: un numero in crescita, da quando è stato fatto cadere il divieto di crioconservazione contenuto nella legge n. 40 del 2004. Cosa fare di questi esseri umani all’inizio del loro sviluppo? È possibile immaginare di dare loro una chance, almeno per quelli formalmente abbandonati e comunque dopo un congruo periodo di abbandono di fatto? È possibile, aderendo all’invito del Comitato nazionale per la bioetica, estendere ad essi la possibilità di adozione: non solo da parte delle coppie sterili, alle quali peraltro evitare il ricorso all’acquisto di gameti con quanto ne consegue, ma anche a coppie fertili che, per amore della vita, vogliano sottrarli al gelo senza fine di una provetta?

Andrea Orlando, Ministro della giustizia. Signor Presidente, gli interroganti chiedono di indicare quali iniziative il Governo intenda assumere riguardo agli embrioni soprannumerari ed alla possibilità di consentirne l’adozione da parte delle coppie o di donne single, in applicazione della disciplina prevista per l’adozione dalla legge n. 184 del 1983. Credo che sia utile innanzitutto ricordare, come premessa di carattere generale, che la forte evoluzione scientifica ed i progressi compiuti dalla medicina pongono gli ordinamenti giuridici dinanzi a delle nuove e continue sfide, e non sempre gli sforzi di adattamento del diritto vigente risultano sufficienti. Si impone quindi sempre la necessità di individuare nuovi strumenti in grado di contenere quelle realtà che non riescono a trovare soddisfacente risposta nella normativa in atto.

Questo è il caso delle leggi sulle adozioni e sulla fecondazione assistita, che hanno ratio e finalità diversa: l’una il diritto del minore a crescere in famiglia, l’altra la soluzione dei problemi dell’infertilità, che come è evidente non sono suscettibili di essere combinate per elaborare una disciplina adottiva degli embrioni soprannumerari. Tuttavia l’impianto originario della legge n. 40 del 2004 sulla fecondazione assistita si è dovuto progressivamente modulare alla luce delle pronunce della Corte costituzionale, che modificando il quadro normativo di riferimento hanno eliminato gli ostacoli all’introduzione di una nuova specifica disciplina in mancanza quindi di ostacoli di matrice costituzionale o sovranazionale, spetta al Parlamento valutare l’opportunità di introdurre nuove norme che consentano alle coppie sterili di giovarsi degli embrioni di altra coppia, purché si preveda una disciplina per la rinuncia della coppia che ha prodotto l’embrione abbandonato conforme all’indicazione della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Tecnicamente assai problematico appare, allo stato della legislazione vigente, il caso dell’impianto degli embrioni soprannumerari in favore delle donne single, posto che la legge n. 40 del 2004 sembra circoscrivere la praticabilità della fecondazione alle sole coppie coniugate o conviventi di sesso diverso, e che l’articolo 44 relativo alle adozioni speciali presenta ipotesi specifiche in cui non sembra rientrare la situazione in esame.

Gian Luigi Gigli. Signor Presidente, signor Ministro, io intanto la ringrazio: se non interpreto male quello che lei ha cercato di dirci, a parte la vicenda delle donne single, sulle quali ci sarebbe da fare un approfondimento, mi pare che venga dal suo Governo un’apertura alla possibilità di adozione per gli embrioni congelati abbandonati, o comunque dei quali possa essere dichiarata formalmente, in maniera inconfutabile la disponibilità, a favore di donne infertili, di coppie in cui c’è il problema dell’infertilità. Io almeno così l’ho interpretata, se non la capisco male. E però vorrei estendere almeno tale previsione anche a donne che hanno già magari dei loro figli, e che proprio per il riconoscimento del valore di quella vita che è nell’embrione, cioè del fatto che è un essere umano, che è uno di noi, come reclamava una petizione firmata da 600 mila italiani, vogliano farsi carico di dargli una speranza di vita.

Ecco, credo che sarebbe un gesto di grande civiltà da parte del nostro Paese dare finalmente soluzione a questo problema: accontenteremmo probabilmente tante famiglie infertili, senza farle ricorrere all’acquisto di gameti che provoca lo sfruttamento – come con l’utero in affitto, signor Ministro – del corpo di povere donne; e daremmo anche una possibilità di estendere veramente il concetto di adozione anche a famiglie che hanno già magari dei bambini. Credo costituirebbe un passo di civiltà!

A pag. 37 di

www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0566&tipo=stenografico#sed0566.stenografico.tit00030.sub00070

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SEPARAZIONE

Separazione: con l’assegnazione della casa chi paga le tasse?

Corte di Cassazione, terza Sezione civile, sentenza n. 2675, 10 febbraio 2016

Imposta sugli immobili: quale coniuge deve versare la tassa nel caso in cui la casa coniugale venga assegnata alla moglie che vi vive coi bambini? Dopo la separazione, uno dei più ricorrenti dubbi che assalgono i coniugi è a chi spetti pagare l’imposta sulla casa quando questa venga assegnata alla moglie (perché collocataria dei figli). Insomma, nel caso in cui la casa sia di proprietà esclusiva del marito o sia in comproprietà con la moglie, ma solo quest’ultima vi viva, chi deve versare l’imposta?

            I chiarimenti sono stati forniti a più riprese da circolari del Ministero dell’Economia e dalla giurisprudenza. Si distingue a seconda dei casi:

  • Immobile di proprietà di entrambi gli ex coniugi: l’imposta sulla casa (attualmente la TASI) è dovuta da entrambi in base alla percentuale di proprietà (con l’aliquota e la detrazione, eventualmente prevista, per l’abitazione principale);
  • Immobile di proprietà esclusiva dell’ex coniuge non assegnatario: la TASI va ripartita fra gli ex coniugi secondo le regole ordinarie previste in caso di locazione e comodato (quota variabile dal 10 al 30% a carico dell’assegnatario).

Se la casa assegnata è in locazione (es. casa in locazione abitata dai coniugi prima della separazione, poi assegnata dal Giudice ad uno di essi), la TASI va calcolata secondo le regole ordinarie.

L’assegnazione della casa alla moglie non libera il marito proprietario. Con una sentenza la Cassazione ha chiarito che, nell’ipotesi in cui la casa sia cointestata ai due coniugi, l’assegnazione della stessa alla moglie, a seguito di separazione, non esonera il marito dal versamento dell’imposta sugli immobili per metà dell’importo. La Corte ricorda che l’assegnazione dell’immobile alla moglie rappresenta un diritto assolutamente atipico di godimento. Un diritto, cioè, che non fa sorgere una proprietà o altro diritto reale. Il marito di fatto, con il provvedimento di assegnazione, non perde la titolarità giuridica dell’immobile ma non ne ha solo, per un determinato periodo, la materiale disponibilità. Il che implica che egli debba continuare a pagare l’imposta, per la metà di sua proprietà, al pari dell’ipotesi in cui, nell’abitazione, dovesse vivere un inquilino.

Redazione LPT          11 febbraio 2015        sentenza

www.laleggepertutti.it/111343_separazione-con-lassegnazione-della-casa-chi-paga-le-tasse

 

Non basta che marito e moglie vivano sotto lo stesso tetto per interrompere la separazione

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 2360, 14 febbraio 2016

La Cassazione ha ribadito che dividere la stessa casa per motivi economici non implica un’avvenuta riconciliazione tra le parti.  Se i due ex continuano a vivere insieme sotto lo stesso tetto non significa che si siano riconciliati e quindi ciò non vale ad interrompere il corso della separazione. A ricordarlo, è la Cassazione, con l’ordinanza allegata, rigettando il ricorso di una donna avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino che aveva pronunciato lo scioglimento del matrimonio contratto con il coniuge.

            La donna sosteneva l’avvenuta riconciliazione con l’ex marito, vista la ricostituzione della convivenza tra i due, proseguita fino a pochi mesi prima della domanda di divorzio, ma il giudice di merito rigettava l”eccezione di mancanza del requisito della separazione. Per la corte territoriale, è la parte convenuta ad essere gravata dell”onere della prova dei fatti che dimostrerebbero la ricostituzione della convivenza che non può essere confusa con la semplice coabitazione.

            Motivazione confermata dagli Ermellini che quanto all’onere della prova ribadiscono che l’eccezione di sopravvenuta riconciliazione deve essere proposta ad istanza di parte, non può essere rilevata d’ufficio e spetta alla parte convenuta dimostrarla. In ordine all’asserita riconciliazione ha ricordato la S.C., la “mera coabitazione” non è sufficiente a provarla, “essendo necessario il ripristino della comunione di vita e d”intenti, materiale e spirituale, che costituisce il fondamento del vincolo coniugale” (cfr. Cass. n. 19535/2014).

            Né possono rilevare a tal fine i motivi della coabitazione, ha precisato piazza Cavour, “oggi frequenti per la notoria caduta dei redditi accentuatasi in ragione della crisi economica del paese” e sicuramente “non decisivi ai fini della prova che, tuttavia, può porre anche la loro menzione nel tragitto finalizzato all”accertamento del complessivo comportamento delle parti nel periodo di separazione per il compimento dello scrutinio dell”avvenuto ripristino della comunione materiale e spirituale dei coniugi”.

            La mera ripresa della coabitazione, si legge nella sentenza, va equiparata alla “coabitazione inerziale, o interessata da ragioni meramente materiali, dovute a fattori e  nella vicenda, le motivazioni della donna non appaiono affatto convincenti, considerato che peraltro i due coabitavano ma in stanze separate e valutando anche i comportamenti dell’ex marito che non solo non ha mosso alcuna eccezione, ma ha anche proposto domanda riconvenzionale di addebito, dimostrando di non avere alcuna intenzione di voler continuare a vivere con la moglie.

Marina Crisafi                       newsletter studiocataldi.it     5 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20947-non-basta-che-marito-e-moglie-vivano-sotto-lo-stesso-tetto-per-interrompere-la-separazione.asp

 

Cassazione: esenti da imposte gli accordi di separazione tra coniugi.

Corte di Cassazione, sezione Tributaria Civile, nella sentenza n. 2111, 3 febbraio 2016

Revirement[voltafaccia] della Suprema Corte alla luce delle nuove norme sul divorzio breve e abuso di diritto. L’alienante che trasferisce la proprietà di un immobile, in attuazione degli accordi di separazione consensuale tra coniugi, ha diritto all’esenzione dal pagamento dell’imposta di registro. Lo ha disposto la Corte di Cassazione, nella sentenza allegata), rivedendo un precedente orientamento stante le recenti modifiche normative.

L’Agenzia delle Entrate, a seguito di trasferimento di quota d’immobile (terreno privo di fabbricati) effettuato in attuazione degli obblighi conseguenti agli accordi di separazione consensuale tra coniugi, notificava alla ex avviso di liquidazione per il recupero dell’imposta di registro e delle ulteriori imposte ipotecaria e catastale, ritenendo che non andasse applicato nella fattispecie il trattamento agevolato usufruibile solo per gli atti posti in essere in attuazione degli obblighi connessi all”affidamento dei figli, al loro mantenimento e a quello del coniuge, oltre al godimento della casa di famiglia.

            Il ricorso della donna contro l’avviso di liquidazione trova accoglimento sia dinnanzi alla CTP che alla CTR, generando il successivo ricorso dell’Agenzia dinnanzi alla Suprema Corte. La Cassazione, tuttavia, disattende le doglianze dell”Agenzia con un revirement giurisprudenziale modificativo del precedente indirizzo richiamato dalla difesa erariale a sostegno del ricorso proposto. Non è solo una rivalutazione critica di talune argomentazioni a provocare il rinnovato indirizzo, ma soprattutto il mutato quadro normativo di riferimento (su divorzio breve e abuso di diritto) che ha portato a valorizzare la centralità dell”accordo tra le parti nella definizione della crisi coniugale.

            Le disposizioni del D.L. 132/2014, convertito dalla L. n. 162/2014, hanno ridotto drasticamente l’intervento dell”organo giurisdizionale in procedimenti tradizionalmente segnati da vasta area di diritti indisponibili legati allo status coniugale e alla tutela di prole minore avendo, nel quadro d”interventi definiti di “degiurisdizionalizzazione”, di fatto attribuito al consenso tra i coniugi un valore ben più pregnante rispetto al passato. Pertanto, secondo la Corte, bisogna ritenere che nel mutato contesto normativo di riferimento, vada riconosciuto “il carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche attraverso la previsione di trasferimenti mobiliari o immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, di lì a breve, nella cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile, cioè in un divorzio non solo prefigurato, ma voluto dalle parti, in presenza delle necessarie condizioni di legge (per quanto qui rileva, il decorso del termine richiesto di separazione legale ininterrotta)”.

            In detto contesto, non può più negarsi che detti negozi siano da intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio” che, come tali, possono usufruire dell’esenzione di cui all’art. 19 della L. n. 74/1987 nel testo conseguente alla pronuncia n. 154/1999 della Corte Costituzionale, salvo che l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio cedente a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi.

Lucia Izzo      newsletter       studiocataldi.it           8 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20930-cassazione-esenti-da-imposte-gli-accordi-di-separazione-tra-coniugi.asp

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SEPARAZIONE E DIVORZIO

Cassazione: l’ex marito deve rimborsare alla moglie le spese per la conservazione della casa familiare

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 2195, 4 febbraio 2016

Ciò anche se le condizioni di separazione hanno limitato l’obbligo del marito alle sole spese condominiali straordinarie. – Il coniuge separato deve corrispondere alla ex, assegnataria dell’immobile, sia le spese condominiali straordinarie sia quelle relative alla conservazione e al mantenimento del bene ex art. 1110 c.c. che prevede l’obbligo della partecipazione pro-quota alle spese relative alle parti comuni. Lo ha stabilito la Cassazione nella sentenza allegata.

            Nella fase di merito un marito separato era stato condannato a pagare alla all’ex moglie una somma a titolo di rimborso di spese sostenute per la sistemazione del giardino e la sostituzione della basculante del box dell’appartamento comune, assegnato alla moglie in sede di separazione consensuale omologata. Per i giudici le condizioni di separazione, che limitavano l’obbligo a carico del marito solo per spese condominiali straordinarie, erano state previste per disciplinare i rapporti tra i coniugi e ai figli mentre non incidevano sull’applicabilità nella concreta fattispecie dell’art. 1110 c.c., relativo al rimborso del partecipante che, in caso di trascuranza degli altri partecipanti o dell’amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune.

            Per la Cassazione, il principio applicato dal giudice di merito è corretto: in tema di spese relative alle parti comuni di un bene, come l’obbligo di partecipare ad esse incombe su tutti i comproprietari in quanto appartenenti alla comunione e in funzione delle utilità che la cosa comune deve a ciascuno di essi garantire, così il diritto al rimborso “pro-quota” delle spese necessarie per consentire l’utilizzazione del bene comune secondo la sua destinazione spetta al partecipante alla comunione che le abbia anticipate per gli altri in forza della previsione dell”art. 1110 c.c..

            Le prescrizioni della norma devono ritenersi applicabili, oltre che a quelle per la conservazione, anche alle spese necessarie affinché la cosa comune mantenga la sua capacità di fornire l’utilità sua propria secondo la peculiare destinazione impressale. Nel caso di inattività degli altri comproprietari, le spese per la conservazione possono essere anticipate da un partecipante al fine di evitare il deterioramento della cosa e di esse può essere chiesto il rimborso. Nel caso di specie il giudice del merito ha accertato la natura necessaria delle spese, con un apprezzamento incensurabile in sede di legittimità: trattasi dei costi per sostituire la serranda del box, rotta a seguito di tentativo di furto, e per il taglio degli alberi che stavano rovinando sulle autovetture.

            Peraltro, come ha evidenziato il Tribunale (in sede di gravame), le spese condominiali straordinarie si differenziano rispetto a quelle di conservazione previste dall’art. 1110 c.c., di cui il ricorrente è tenuto a corrispondere la propria quota in virtù della comproprietà dell’immobile.

                                     Lucia Izzo                  newsletter     studiocataldi.it           8 febbraio 2016

www.studiocataldi.it/articoli/20940-la-separazione-non-evita-le-spese-condominiali.asp

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Congresso nazionale 2016 ad Oristano a settembre.

Il prossimo congresso si terrà in Sardegna, a Oristano, da venerdì 2 a domenica 4 settembre 2016.

Sono invitati gli operatori dei consultori familiari pubblici e del privato sociale e quanti si interessano della famiglia e dei servizi a lei dedicati.

Il congresso tratterà della “Famiglia crocevia di differenze e il ruolo che il consultorio può assumere sia sotto il profilo gestionale che educativo”. A breve sarà reso noto il programma definitivo.

L’assemblea dei consultori Soci dell’Unione si terrà venerdì 2 settembre 2016.

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UNIONI CIVILI

Ddl Cirinnà: anche stralciando la “stepchild adoption”, i problemi rimangono.

Secondo il civilista Alberto Gambino, se la legge sulle unioni civili passasse, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo potrebbe imporre l’adozione a tutto tondo. Il Ddl Cirinnà potrebbe aprire non semplicemente alla stepchild adoption ma all’adozione tout court. Secondo la quasi totalità dei giuristi italiani, la legge attualmente in discussione al Senato presenta caratteristiche in tutto simili a quelle di un vero e proprio matrimonio, pertanto la giurisprudenza non potrà non tenerne conto, sia che si pronunci favorevolmente che contrariamente. Lo afferma il professor Alberto Gambino, avvocato civilista e docente di diritto privato all’Università Europea di Roma. A colloquio con ZENIT, il professor Gambino si è soffermato sugli aspetti propriamente giuridici del Ddl, il cui impatto si profila dirompente.

            Lunedì scorso il Senato ha respinto il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità del Ddl Cirinnà. Questo progetto di legge, a suo avviso, è anticostituzionale?

            La costituzionalità di una legge e la pregiudiziale di costituzionalità sono due concetti che non vanno confusi. La pregiudiziale è una valutazione da parte del parlamento su un fumus di eventuale incostituzionalità di una legge ma, come sappiamo, tale voto è determinato dalle eventuali maggioranze. Non è quindi una valutazione tecnica ma politica, data dall’organo parlamentare. In passato, in tantissimi casi il voto è stato favorevole e, a quel punto, i progetti poi diventati legge sono passati al vaglio della Corte Costituzionale, venendo spesso bocciati. È un voto, quindi, che non va assolutizzato.

            La Costituzione italiana, comunque, tutela la famiglia fondata sul matrimonio.

Più delicata è l’eventualità che il capo dello Stato possa fare dei rilievi di non conformità alla Costituzione e rinviare la legge alle Camere. È un aspetto che terrei presente, perché stanno emergendo in questi giorni, tante voci di giudici della Consulta, che erano presenti alla Corte Costituzionale nel 2010, quando si decise sull’eventualità che il matrimonio potesse essere esteso a coppie dello stesso sesso. Quella stessa Corte aveva stabilito che non si può utilizzare l’istituto del matrimonio per unioni che riguardano convivenze tra persone dello stesso sesso: è insita nel matrimonio la differenza sessuale tra i coniugi, e questo è legato alla tradizione plurimillenaria del matrimonio e della famiglia e soprattutto alla capacità generativa dell’unione coniugale. Tale considerazione è molto importante perché, se così stanno le cose, l’attuale Ddl Cirinnà, nella sua prima parte, indica nell’unione civile una forma di convivenza, che noi giuristi definiamo ‘istituzionale’, perché lega questa forma di convivenza alle stesse caratteristiche tipiche del matrimonio, così come definito dal Codice Civile. Non è quindi un’unione civile “di fatto”, legata solo ai diritti e ai doveri dei conviventi ma qualcosa che “giuridifica” il legame stesso dei conviventi, rendendolo davvero molto simile al matrimonio. Tutti i civilisti che hanno commentato il Ddl Cirinnà, hanno riscontrato in questa scrittura delle unioni civili, un istituto sostanzialmente para matrimoniale. Taluni sono favorevoli al Ddl Cirinnà, altri sono contrari ma pressoché tutti i giuristi sono concordi nel riconoscere la sostanza ‘matrimoniale’ di questo Ddl.

            Se quindi la legge passasse al vaglio della Corte Costituzionale, cosa potrebbe succedere?

            Nel caso in cui il Parlamento approvi il Ddl Cirinnà, la Corte Costituzionale potrebbe confermare l’orientamento del 2010, affermando che tale istituto è illegittimo, dal momento in cui il matrimonio deve essere soltanto tra uomo e donna. Mettiamo però anche il caso che la Corte possa cambiare orientamento e che – secondo un’interpretazione davvero particolarmente creativa – affermi che l’evoluzione sociale o dei costumi, le nuove forme di vita familiare, portino a ritenere che il matrimonio possa essere anche tra persone dello stesso sesso. A questo punto, se così fosse, la legge rimarrebbe in piedi ma allora, come già è successo in tutti i paesi che hanno legiferato in questo modo, interverrebbe la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, stabilendo che, se questo è un istituto analogo al matrimonio, esso dovrà avere tutte le prerogative del matrimonio, compresa l’adozione. Non mi riferisco alla stepchild adoption ma all’adozione piena, a beneficio dei bambini che sono orfani. Ci troviamo dunque davanti ad una realtà che comunque porterà a conseguenze, in entrambi i casi, molto distanti dagli obiettivi che il partito di maggioranza afferma e cioè che si sta legiferando sulle unioni senza toccare il matrimonio e le adozioni in generale. Infatti, come detto, o la legge sarà bocciata dalla Consulta proprio perché crea un istituto equipollente al matrimonio, oppure, se passasse indenne, allora consentirà le adozioni piene: ripeto, entrambe le conseguenze sono invece a parole rifiutate dai promotori della legge, ma il diritto e la sua logica sono più forti di proclami e slogan. Poiché crediamo nella buona politica, riteniamo che il Parlamento debba tornare sui suoi passi e riscrivere questa prima parte del Ddl, affinché non sia uno ‘scimmiottamento’ del matrimonio ma un istituto fondato su diritti e doveri dei conviventi.

            Ritiene, quindi, che sia comunque necessaria una legge sulle unioni civili, ovviamente da non mettere sullo stesso piano del matrimonio?

            La seconda parte del Ddl Cirinnà potrebbe già rappresentare pienamente l’attribuzione di tutti quei diritti e quei doveri che, effettivamente, anche le coppie dello stesso sesso rivendicano. In questa seconda parte del Ddl, quindi, sono inclusi tutti i richiami a quei diritti e doveri che la giurisprudenza ha già accettato ma che riterrei vadano inquadrati in una legge, non lasciandoli più all’incertezza dei giudici, ma codificandoli una volta per tutte in un testo normativo. Se tale testo fosse ritenuto troppo debole, lo si potrà eventualmente rivedere e rinforzare ma non a tal punto da creare uno status matrimoniale, come viene stabilito nella prima parte, perché in tal caso trascinerebbe a sé anche le adozioni e non la semplice stepchild adoption, cioè il caso circoscritto dell’adozione del figlio del convivente.

            Un altro tema molto controverso del Ddl Cirinnà è il riconoscimento della reversibilità della pensione nell’ambito delle unioni civili. Perché questa innovazione pone problemi?

            Il tema della reversibilità è in parte economico ma in parte anche legato alla condizione della famiglia e del matrimonio. La reversibilità della pensione implica che, se muore una persona sposata, il coniuge superstite diventa automaticamente il destinatario della pensione del defunto. Nella concezione della nostra Carta Costituzionale, le persone che si sposano hanno davanti a loro un progetto fondamentale per la crescita della società – il mettere al mondo dei figli – e su questo investono la loro esistenza, consacrandola civilisticamente nell’istituto del matrimonio. Quindi, quando uno dei due coniugi rimane di solo, lo Stato gli riconosce la pensione. È lo Stato, quindi, che investe denaro, creando un istituto giuridico centrale per la crescita e lo sviluppo della società. La stessa cosa non si può dire con riferimento ad unioni che, da un punto di vista biologico, non possono procreare, quindi è molto meno logico che lo Stato consenta una reversibilità della pensione ad un soggetto che non compartecipa “istituzionalmente”, cioè con il matrimonio, alla crescita della società. Se una coppia non può, neanche astrattamente, generare figli, perché lo Stato dovrebbe accollarsi una spesa per loro?

            Per quale motivo, a suo avviso, il governo sta “mettendo la faccia” in una questione così controversa che rischia di spaccare la maggioranza e il paese?

            La mia impressione è che il governo starebbe volentieri alla lontana da un tema del genere, in primo luogo perché ha problemi di tenuta. Il governo Renzi non è espressione del partito di maggioranza relativa uscito dalle elezioni del 2013 ma è frutto di una coalizione di forze che, alle elezioni erano l’una contro l’altra. Un governo ‘precario’, dunque, dal punto di vista della omogeneità politica. Essendo spaccato sulle unioni civili, è evidente che il Governo vorrebbe davvero non toccarlo un tema così. Non è poi neanche giusto che il governo se ne occupi: è un tema talmente impegnativo che suscita interesse di tutta l’opinione pubblica, quindi è bene se ne occupi il parlamento.

            Da tempo si parlava di unioni civili, quindi era abbastanza inevitabile che saremmo arrivati a testi di legge anche molto forzati come quello in discussione. Sarebbe stato forse più lungimirante governare questo processo a livello politico ed elaborare delle proposte che non fossero delle unioni civili para matrimoniali ma il riconoscimento dei diritti e dei doveri nell’ambito delle convivenze, anche tra persone dello stesso sesso. Se dobbiamo fare qualche mea culpa, dobbiamo dire che davvero poche sono state le elaborazioni, le proposte di sintesi armoniche alla Carta Costituzionale, quindi si è arrivati a una forzatura. Forse occorreva avere la forza di opporre qualcosa di alternativo, che potesse trovare una via di una legge molto più condivisa di quella che sta uscendo in questi giorni dall’aula parlamentare. Ma su un tema così delicato non è davvero mai troppo tardi.

Luca Marcolivio        ZENIT            4 febbraio 2016

https://it.zenit.org/articles/ddl-cirinna-anche-stralciando-la-stepchild-adoption-i-problemi-rimangono

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Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus- UCIPEM ONLUS – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14.

Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea

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