newsUCIPEM n. 578 –27 dicembre 2015

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                                            Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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Giuseppe padre adottivo.

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ADDEBITO                                       Separazione: niente addebito al marito per dei tradimenti occasionali.

ADOTTABILITÀ                             L’adozione da parte della co-madre è nell’interesse della minore.

ADOZIONI INTERNAZIONALI    Care, il futuro delle adozioni internazionali dal punto di vista delle famiglie.

AFFIDO CONDIVISO                     Matrimonialisti, a Natale 30% in più denunce figli contesi.

Solo il 2% dei figli di separati sta egualmente con mamma e papà.

Affido ‘materialmente esclusivo’ – Avvenire

Niente affidamento alternato del minore. Va tutelata la stabilità psico-affettiva

AFFIDO ESCLUSIVO                      L’affidamento esclusivo tra normativa, prassi e casistica

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  L’ex non paga? Niente paura, dal 1 gennaio 2016 lo versa lo Stato

Mantenimento: nell’assegno all’ex e ai figli si conta anche la casa.

DALLA NAVATA                            Santa famiglia – anno C –27 dicembre 2015.

FRANCESCO VESCOVO di ROMA Giubileo della famiglia, il Papa: famiglia luogo privilegiato di perdono.

GOVERNO                                       Il documento di finanza pubblica ha ottenuto il via libera definitivo dal Senato.

PATERNITÀ                                     Se il padre rifiuta il test del DNA la paternità è accertata.

PATTI PREMATRIMONIALI        Rapporti tra etica, sentimenti e diritto.

SINODO SULLA FAMIGLIA          Fondamentale passare dalla morale della legge a quella della persona.

Sacramenti ai divorziati risposati, la regola del caso per caso.

Inchiesta sui cattolici al tempo di papa Francesco.

SPIGOLATURE                               Il vero amore consiste

Il sapere dei bambini mostra che c’è un limite al sapere

UCIPEM                                            Congresso nazionale 2016 ad Oristano.

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ADDEBITO

Separazione: niente addebito al marito per dei tradimenti occasionali.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 25337, 16 dicembre 2015.

Per la Cassazione non sono state le avventure extraconiugali a impedire la prosecuzione della convivenza. La separazione non va addebitata al marito che ha tradito occasionalmente la moglie se si dimostra che la crisi coniugale è stata determinata da un “finto tradimento” dall’altro coniuge.

            E’ quanto emerge dall’ordinanza 25337/2015 (allegata) con cui la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da una donna contro l’ex marito che, avendo frequentato altre donne, aveva anche contratto un’infezione sessualmente trasmissibile. La ricorrente aveva contestato la decisione del giudice d’appello che aveva a lei addebitato la separazione e contestualmente revocato l’obbligo del marito di contribuire al suo mantenimento. L’ex ritiene che la crisi di coppia sia stata in realtà determinata dai tradimenti del marito, a causa dei quali l’uomo avrebbe addirittura contratto un herpes genitalis; in aggiunta, secondo la donna, il giudice non avrebbe tenuto conto delle continue violenze, anche di natura sessuale, che ella aveva subito.

            La ricostruzione operata dalla difesa, tuttavia, non convince i giudici di Piazza Cavour. La scoperta dell’infezione del marito non aveva impedito la prosecuzione della convivenza, che era stata minata, come ricostruito dai giudici del gravame, dalla violazione del dovere di fedeltà coniugale operata in prima battuta dalla ricorrente. La moglie, infatti, avrebbe confessato al marito di averlo tradito dopo essere stata scoperta in bagno a conversare di nascosto al cellulare. Era stato un simile comportamento ad allontanare il marito portandolo alla frequentazione di altre donne. Nel corso di giudizio di separazione la donna aveva smentito la confessione rivelando di aver detto il falso solo per ferire il marito e come stimolo per la ripartenza della coppia, ma ciò non è bastato a scriminare il suo comportamento.

            Correttamente i giudici d’appello hanno ritenuto che, pur nel caso in cui si fosse voluto dar spazio a simile tesi difensiva, il fatto che prima dell’instaurazione del giudizio la moglie non avesse mai smentito la confessione, ed anzi avesse perseverato nel far credere al marito di averlo tradito, aveva avuto comunque come conseguenza di gettare nello sconforto e di umiliare il partner, producendo lo stesso effetto pratico che si sarebbe prodotto se il tradimento fosse stato reale, ed aveva irrimediabilmente minato il rapporto coniugale.

Lucia Izzo – Newsletter Giuridica Cataldi 21 dicembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/20391-cassazione-separazione-non-addebitabile-al-coniuge-che-ha-contratto-infezione-sessuale-dopo-il-tradimento-della-moglie.asp

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ADOTTABILITÀ

         L’adozione da parte della co-madre è nell’interesse della minore: conferma anche dai giudici d’appello

                                                            Corte d’ Appello di Roma     23 dicembre 2015

            La Corte d’appello di Roma ha rigettato il ricorso del P.M. avverso la sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma del luglio 2014 che aveva disposto l’adozione di una bambina da parte della co-mamma.

Anche i giudici d’appello affermano, dunque, che quando vi sia una stabile relazione genitore/figlio, l’art. 44 lett. D della Legge n. 184 del 1983 consente di disporre l’adozione. Si riafferma così che il giudice può e deve valutare se nel caso concreto l’adozione da parte della co-madre è nell’interesse del minore.

La sentenza della Corte d’Appello di Roma rappresenta dunque una importante affermazione dell’indirizzo interpretativo, già fatto proprio dal Collegio di primo grado, che di recente aveva trovato conferma anche in una decisione dalla Corte d’Appello di Milano: l’art. 44 lett. D della Legge sull’adozione rappresenta «una clausola residuale in cui valutare tutti quei casi non sempre esemplificabili che nella realtà possono presentarsi e che non possono farsi rientrare nelle ipotesi di cui alle lettere a), b) e c)» e che, secondo la valutazione del giudice minorile, consigliano l’affermazione giuridica del rapporto di genitorialità nell’esclusivo interesse superiore del minore.

Tale interesse è sicuramente sussistente nell’ipotesi «di un profondo legame» della minore instaurato con la co-madre «sin dalla nascita e caratterizzato da tutti gli elementi affettivi e di riferimento relazionale, interno ed esterno, qualificanti il rapporto genitore/figlio». La Corte d’Appello capitolina rammenta, peraltro, che «non si tratta, quindi, come ritenuto dal PM appellante, di affiancare una seconda figura materna o creare un nuovo rapporto genitore-figlio, ma di prendere atto di una relazione già sussistente e consolidata nella vita della minore e valutare l’utilità per quest’ultima che la relazione di fatto esistente sia rivestita giuridicamente a tutela della minore medesima».

Con le due decisioni della Corte d’Appello di Roma e di Milano, in rapida successione, si consolida così una interpretazione aperta dell’art. 44 lett. D che consente di dare immediata tutela ai bambini che vivono con due genitori dello stesso sesso. Mentre il Parlamento italiano inizia finalmente, in gennaio, a discutere dell’introduzione della stepchild adoption ex art. 44 lett. B (previsto nel testo Cirinnà), la giurisprudenza torna a confermare che l’ordinamento contempla già una norma, l’art. 44 lett. D della Legge Adozioni, che consente di raggiungere da subito questo risultato.

Ne consegue che se la legge sulle Unioni civili non recasse una espressa ed univoca conferma di tale orientamento, la nuova legge finirebbe, paradossalmente, col sottrarre ai bambini diritti già riconosciuti.

                                                   art. 29    23 dicembre 2015

www.articolo29.it/2015/ladozione-da-parte-della-comadre-e-nellinteresse-della-minore-conferma-anche-dai-giudici-dappello/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+articolo29+%28articolo29.it%29

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Care, il futuro delle adozioni internazionali dal punto di vista delle famiglie.

A fronte di un calo numerico delle adozioni realizzate in Italia nel 2014, non è migliorata la loro qualità. Di qui la necessità di intervenire con proposte migliorative presso tutti gli attori del sistema italiano delle adozioni. Questo, in estrema sintesi, il contenuto del dossier Stato dell’arte sulle adozioni nazionali e internazionali dal punto di vista delle famiglie adottive italiane. Proposte procedurali e operative, pubblicato a fine 2015 dal Care, il Coordinamento delle Associazioni Familiari Adottive e Affidatarie in Rete. Il rapporto presenta una fotografia aggiornata della situazione e delle problematiche legate all’attuale realtà delle adozioni nel nostro Paese e illustra una serie di proposte da attuare da parte dei principali attori del sistema.

La prospettiva è quella delle famiglie accoglienti, a cui danno voce le oltre 30 associazioni riunite nel coordinamento Care. I temi critici rivelati dalle famiglie hanno a che fare principalmente con la complessità delle prassi burocratiche, i tempi di realizzazione del progetto adottivo, i costi delle adozioni internazionali, la trasparenza del processo, il post adozione e la scuola. Pur in assenza di dati ufficiali relativi agli anni 2014 e 2015, infatti, sono molte le coppie che si sono rivolte proprio alle associazioni familiari segnalando le difficoltà riscontrate lungo il percorso adottivo e in particolare nel periodo di attesa.

            L’adozione, ricorda il Care, è un vero intervento curativo e un fattore di protezione, come emerge da qualsiasi confronto tra i bambini adottati e i loro coetanei ancora in istituto. E ciò è vero da tutti i punti di vista: dalla crescita fisica all’autostima, dallo sviluppo cognitivo al legame di attaccamento. Per questo, portare oggi l’adozione al centro dell’attenzione delle istituzioni significa riconoscerne il valore quale strumento a favore dell’infanzia. “Questo è il motivo – si legge nel rapporto – per cui è necessario offrire un’attenta analisi sui percorsi da seguire per migliorare la realizzazione dell’adozione stessa dal punto di vista delle famiglie adottive che devono essere supportate al meglio da tutti gli attori del sistema”.

            A cominciare dal mondo politico. Quella adottiva, si ricorda nel dossier, è al momento l’unica tipologia di genitorialità che in Italia non è supportata in alcun modo dallo Stato. Pertanto il rapporto del Care chiede al Parlamento, tra le altre cose, di provvedere alla stabilizzazione di una forma di sostegno alle famiglie, affinché la scelta adottiva sia realizzabile a prescindere dal reddito. Sempre in ambito politico, sarebbe fondamentale l’individuazione di un Ministero specifico e stabile che garantisca quella continuità della Commissione Adozioni Internazionali che è mancata negli ultimi anni. In seno alla Cai, ricorda il Care, resta ancora irrisolto, per quanto riguarda la rappresentanza dell’associazionismo familiare, “il problema dell’individuazione di parametri che garantiscano una scelta trasparente e rappresentativa a livello nazionale dei tre commissari familiari”.

            Sul fronte degli enti autorizzati, il Care evidenzia come, a causa della pluralità di soggetti e la conseguente diversità dei contratti di conferimento incarico, spesso regni la confusione tra le famiglie al momento della scelta dell’ente o del passaggio da un ente all’altro. Largamente eluso, inoltre, l’obbligo per gli enti di pubblicare sui propri siti le informazioni su costi, procedure, coppie prese in carico, abbinamenti e adozioni effettuate.

            Varie anche le proposte per snellire e rendere più trasparenti le procedure presso i Tribunali per i minorenni: dall’informatizzazione di questi alla costituzione operativa della Banca dati nazionale dei minori adottabili all’istituzione dell’avvocato per il minore in ogni Tribunale “per tutte le situazioni in cui sussista una procedura di allontanamento a carico della famiglia”. Necessario un migliore coordinamento del lavoro di Regioni ed équipe adozioni. Il report Care raccomanda, a questo proposito, il rilancio dei Tavoli di lavoro in materia di adozioni internazionali, la valutazione dell’efficacia dei Protocolli regionali attuati, l’investimento nella formazione degli operatori regionali e la realizzazione di una sezione “adozione e affido” sui siti di ogni Regione.

            Infine le proposte indirizzare ai ministeri. Sul fronte del Lavoro, una revisione della normativa sui congedi per malattia del bambino. Quindi la formazione dei dirigenti e degli insegnanti e la creazione di una rete di docenti referenti per l’adozione, nell’ottica di una reale attuazione delle Linee di indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati, entrate a far parte della nuova legge sulla scuola. Al ministero della Salute, il dossier raccomanda invece di provvedere a un’adeguata accoglienza sanitaria “presso servizi pediatrici qualificati, da effettuare subito dopo l’arrivo in Italia”.

Fonte: Care    Ai. Bi.  22 dicembre 2015                  www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO CONDIVISO

Matrimonialisti, a Natale 30% in più denunce figli contesi.

«Si avvicina il Natale e, purtroppo, come ogni anno, saremo di fronte al pericoloso fenomeno dei figli contesi che non vengono ‘consegnati’ al genitore. È un aumento esponenziale, quello che si verifica proprio nei giorni tra il 23 dicembre e il 6 gennaio, che arriva a toccare un aumento del 30% di querele e denunce nei confronti del genitore presso il quale i figli risiedono stabilmente, per non parlare delle telefonate al 112 e al 113 per richieste di aiuto e di intervento». Lo afferma Gian Ettore Gassani, presidente dell’Ami, l’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, che invita a «non utilizzare i bambini come bottini di guerra». «Le azioni penali vengono aperte – sottolinea Gassani – perché il genitore ‘collocatario’ frappone evidenti ostacoli al diritto di visita e frequentazione dell’altro genitore, utilizzando anche l’escamotage del certificato medico ‘di favore’ per attestare una malattia del figlio e giustificare la mancata ‘consegna’ di quest’ultimo all’altro genitore».

Ogni anno, afferma Gassani, circa 150.000 figli minorenni sono affidati ai genitori nel corso delle nuove separazioni e dei divorzi (circa 85.000 separazioni e 54.000 divorzi). E «mentre nel 70% dei casi queste procedure sono definite in via consensuale, il dato allarmante è che nel 30% dei casi i figli sono motivo di aspra contesa giudiziaria. La conseguenza è che troppe volte i provvedimenti emessi dai giudici non sono rispettati e troppe volte vengono violati i diritti dei figli e di uno dei due genitori a stare insieme nei periodi natalizi, pasquali ed estivi. Circa 30.000 figli ogni anno sono oggetto di vendetta e strumentalizzazione».

Ansa 21 dicembre 2015         www.ami-avvocati.it/matrimonialisti-a-natale-30-in-piu-denunce-figli-contesi/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+ami-avvocati+%28AMI-avvocati.it+RSS%29

 

Solo il 2% dei figli di separati sta egualmente con mamma e papà.

Nei 90% dei casi minori collocati presso un genitore e sono poche le speranze di una svolta a breve. Proposito lodevole che troppo spesso diventa strumento ideologico. Quando si dice di voler affrettare i tempi dell’approvazione della legge sulle unioni civili, compresa la pericolosa e probabilmente incostituzionale pratica definita stepchild adoption, per aiutare tanti bambini in difficoltà, i casi sono due: o si ignorano i termini reali della questione o si fa un discorso in malafede.

Tralasciando la seconda ipotesi, chi sono davvero i minori alla prese con leggi che non tutelano i loro diritti? I sostenitori della stepchild adoption raccontano che in Italia esistano migliaia di coppie eterosessuali che si disgregano e altrettante coppie omosessuali che si ricompongono sulle ceneri di quelle, lasciando figli che hanno assolutamente bisogno di un nuovo genitore, rigorosamente dello stesso sesso di quello rimasto ad accudirli. La lobby Lgbt diffonde da qualche anno l’incredibile cifra di 100mila minori che oggi in Italia vivrebbero con genitori omosessuali. Si tratta naturalmente di una cifra propagandistica, irreale ma che, soprattutto, non può essere accertata e che non compare in nessuna statistica ufficiale. Invece sul numero dei figli della separazione siamo statisticamente certi. Sono oltre un milione e per loro l’attuale legge sull’affido condiviso – approvata in Italia nel 2006 – si sta rilevando uno strumento ingiusto, nel senso che non assicura affatto ad entrambi i genitori pari responsabilità educativa. Nei giorni scorsi si è tenuto a Bonn il convegno annuale delle associazioni che si occupano di affido condiviso. Presenti oltre 100 professionisti (avvocati, psicologi, magistrati, medici, mediatori familiari) in rappresentanza di 20 nazioni. La bocciatura per la situazione italiana è risultata senza appello. Per comprendere i termini di valutazione, bisogna sapere che per gli esperti è importante distinguere tra affido “paritetico” – condizione auspicabile -“legalmente condiviso”, “materialmente condiviso” e “materialmente esclusivo”. In Italia solo il 2 per cento dei minori figli di separati gode di un affido realmente paritetico, in cui cioè mamma e papa sono realmente e concretamente presenti in modo educativamente efficace, con tempi equipollenti. Percentuale che sale al 40% in Svezia e al 30% in Belgio, le due nazioni europee che vantano le legislazioni considerate migliori. Se poi si guarda la questione da un’altra prospettiva e si esaminano i bambini protagonisti di un affido “materialmente esclusivo” si vedrà che in Italia siamo al 95% dei casi. Ma non si tratta di un primato invidiabile, perché il dato si riferisce a una suddivisione del tutto squilibrata dei ruoli genitoriali in cui, al di là della definizione “legale” di condivisione, i minori sono di fatto collocati presso un genitore – 9 volte su 10 la madre – che esclude l’altro dalla vita del figlio, con un tasso di conflittualità che la legge del 2006 non è riuscita a contenere. Ora, la presenza contemporanea o comunque armonica della figura paterna e di quella materna per un corretto sviluppo psicologico dei figli, è una di quelle verità accertate in modo condiviso da scuole psicologiche di diverso orientamento. Ma a ribadirlo è arrivata anche una sorprendente risoluzione del Consiglio d’Europa. Il documento, passato sotto silenzio forse perché politicamente scorretto, è stato approvato il 2 ottobre scorso con 46 voti a favore e solo 2 contrari e dice, senza possibilità di interpretazioni svianti, che i figli di genitori separati vivono meglio se trascorrono tempi più o meno uguali con mamma e papà. Un papà “uomo” e una mamma “donna”. Per realizzare questo obiettivo è necessario, però, che l’affido non sia solo “legalmente” ma anche “materialmente” condiviso. In sostanza la condivisione non può essere solo un enunciato giuridico, come capita in Italia nella maggior parte delle occasioni, ma deve tradursi in prassi concreta. Non solo, il Consiglio d’Europa ha detto che, proprio per evitare gravi forme di discriminazione della genitorialità paterna, le legislazioni dei Paesi in cui non viene assicurata ai bambini la presenza equilibrata e costante di entrambi i genitori, devono al più presto adeguare le loro norme. Non c’è da sperare però che in Italia la svolta avvenga in tempi brevi. Due ottime proposte di legge – quella presentata da Sberna e Binetti alla Camera nel luglio 2014 e quella da Divina al Senato nel luglio di quest’anno – che vanno nella stessa direzione auspicata dal Consiglio d’Europa e ribadita nei giorni scorsi a Bonn, sono ben lungi dall’essere approvate. E quando la sezione italiana dell’International council on shared parenting ha inoltrato la risoluzione al Garante nazionale per l’infanzia e ai vari Garanti regionali, ha avuti come risposta un silenzio quasi totale. Solo da Veneto, Basilicata e Campania brevi cenni di riscontro. Un po’ poco per sperare in un’inversione di tendenza.

Luciano Moia Avvenire        20 dicembre 2015                  www.scienzaevita.org/rassegna

 

Affido ‘materialmente esclusivo’ – Avvenire

Avvenire riporta che la giustizia italiana viene bocciata al 95% per quanto riguarda l’affido dei figli ai genitori. Al di là della forma in Italia si pratica l’affido materialmente esclusivo. Ho la conferma da tanti magistrati che temono l’intraprendere una soluzione nuova rispetto alla tradizionale prassi, pur essendo vietata dalla legge.

“Si ricordi poi che dal dicembre 2014, seguendo la traccia indicata da Vittorio Vezzetti e Simone Pillon, il Tribunale di Perugia ha, primo in Italia, approvato un protocollo che prevede come prima e desiderabile opzione, la proposizione di un parental plan con tempi di frequentazione e cura del minore equipollenti tra padre e madre. Il protocollo di Perugia ha preceduto di quasi un anno la risoluzione del Consiglio d’Europa del 2 ottobre 2015 che, con 46 voti a favore (Italia inclusa) e due sole astensioni (dei rappresentanti della Repubblica Ceca) ha approvato una mozione che invita tutti gli Stati membri (48) a promuovere un affido materialmente condiviso a tempi equipollenti tra padre e madre, anche in caso di prole con bambini molto piccoli e ad adottare l’impiego sistematico di piani genitoriali molto dettagliati.”

Da varie fonti online Il protocollo di Perugia visto come un esempio purtroppo ancora unico in Italia:

Protocollo                         http://news.iusseek.eu/visual.php?num=91872

 

Niente affidamento alternato del minore. Va tutelata la sua stabilità psico-affettiva

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 25418, 17 dicembre 2015.

Preminenti gli interessi del piccolo ossia la stabilità dell’habitat domestico e il diritto a frequentare il genitore collocatario. Va escluso il regime del c.d. affidamento alternato poiché deve essere tutelato l’interesse esclusivo del minore alla stabilità dell’habitat domestico e il diritto di avere una relazione significativa e costante con il genitore collocatario. Infatti, nonostante la richiesta di affidamento alternato sia indirizzata sostanzialmente alla realizzazione di un regime paritetico in relazione al tempo che il minore dovrebbe trascorrere con ciascun genitore, tale parità non sempre risponde all’interesse del bambino e allo spirito dell’istituto dell’affidamento condiviso.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con ordinanza (allegata) rigettando il ricorso di un padre che aveva richiesto l’affidamento c.d. alternato relativamente alla frequentazione della figlia minore. Il Tribunale per i Minorenni aveva collocato la minore presso la madre, regolamentando la frequentazione della piccola con il padre e determinato il contributo paterno per il mantenimento della bambina. In sede d’appello l’uomo aveva richiesto l’affidamento “alternato”, ma i giudici avevano confermato il precedente provvedimento ritenendo che la richiesta, nonostante volta ad un regime paritetico teso alla bigenitorialità, non rispondesse all’interesse del minore e allo spirito dell’istituto dell’affidamento condiviso. I genitori venivano sollecitati ad affidarsi ad un professionista per individuare un percorso in grado di dare pacifica attuazione all’affidamento, nell’esclusivo interesse della figlia dato l’elevato livello di conflittualità tra i due.

Anche dinnanzi agli Ermellini, la reiterata richiesta del genitore non trova accoglimento. A nulla servono le doglianze circa la mancata salvaguardia del criterio della bigenitorialità come modello di regolamentazione del rapporto anche di frequentazione tra figlio minorenne e ciascuno dei genitori. Neppure valgono a convincere i giudici le interpretazioni della giurisprudenza europea proposte dal ricorrente, secondo cui è necessario garantire effettività e massima assiduità della frequentazione tra minore e genitore non affidatario o non collocatario.

Nel caso di specie, i giudici della Suprema Corte ritengono congruamente motivata la decisione della Corte d’Appello e, alla luce delle preminenti esigenze di stabilità dell’habitat domestico del minore e del diritto di avere un rapporto assiduo con il genitore collocatario, evidenziano come il regime di visita già stabilito dovesse ritenersi del tutto idoneo. Non si ravvisa, infatti, alcuna violazione del diritto alla genitorialità o un travalicamento del canone dell’esercizio in concreto dell’affido condiviso considerando che la frammentazione della relazione del minore con uno dei due genitori può cedere il passo se vi siano situazioni in cui è necessario tutelare il benessere psico-affettivo del bambino.

Lucia Izzo newsletter Giuridica 21 dicembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/20417-cassazione-niente-affidamento-alternato-del-minore-va-tutelata-la-sua-stabilita-psico-affettiva.asp

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AFFIDO ESCLUSIVO

L’affidamento esclusivo tra normativa, prassi e casistica

Relazione al Convegno del 18 dicembre 2015 Milano – Salone Valente

1. Introduzione. Quando una famiglia entra in crisi e quest’ultima rende inevitabile la fine dell’unione, sia essa matrimoniale o di fatto, il primo problema che si pone nella fase di separazione concerne l’affidamento dei figli o meglio il regime di affidamento che meglio è corrispondente all’interesse del minore. E’ essenziale che il legislatore si faccia carico, e si sia fatto carico, con l’introduzione di nuove norme disciplinanti l’affidamento dei figli di ridimensionare, per quanto sia possibile, il danno che i figli possono subire dalla rottura delle relazioni familiari, favorendo un nuovo modo di intendere la genitorialità in senso più moderno e partecipativo, nonostante madre e padre non siano più uniti in coppia.

Il nuovo assetto normativo rappresenta, come vedremo, un passo esemplare nella tutela dei figli e della famiglia, ancorché i pregi della riforma non abbiano del tutto eliminato disfunzioni e discordanze nella prassi e nella casistica.

2. Le ragioni di una riforma: dalla Legge 54/2006 al Dlgs. 154/2013. L’abrogazione degli artt.155 bis, ter e quater c.c., la modifica agli artt.316 e 317 c.c. e l’introduzione degli artt.337 bis, ter e quater. Nel sistema precedente le riforme di cui si andrà a discorrere, la prassi giudiziaria privilegiava l’affidamento del minore c.d. “monogenitoriale, ossia al genitore che veniva chiamato affidatario (nella maggioranza dei casi la madre), al quale spettava l’esercizio, in via esclusiva, della potestà, restando al genitore non affidatario solo una generica possibilità di vigilare sull’educazione, istruzione dei figli e di concorrere alle decisioni di maggiore importanza. Tale regime di affidamento comportava, inevitabilmente, una sperequazione all’interno della coppia genitoriale con conseguente deresponsabilizzazione del genitore non affidatario in merito alle scelte inerenti la vita del figlio e, altresì, era povero di tutela nei confronti del minore stesso in quanto gli era precluso di mantenere un legame significativo con il genitore non affidatario.

La prima grande rivoluzione culturale nel sistema dell’affidamento dei figli veniva attuata con la Legge 8 febbraio 2006 n. 54 che introduceva, quale regime ordinario applicabile, in caso di separazione dei genitori, l’affidamento condiviso, realizzando il principio di matrice internazionale (si pensi alla Convenzione dei Diritti del Fanciullo del 1989) e comunitaria (Reg. CE n. 2201 del 27 novembre 2003) del diritto alla bigenitorialità, ovvero del diritto da parte del minore di conservare con ciascuno dei genitori un rapporto equilibrato e continuativo, di ricevere adeguate cura, educazione e istruzione da entrambi. Principio richiamato dall’art.337 ter, introdotto dalla ulteriore modifica intervenuta con il Dlgs. 154/2013, il quale lo afferma nel proprio primo comma “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

La disposizione di cui alla legge 54/2006 individua il mantenimento di tali rapporti, appunto, nell’affidamento condiviso che non significa completa condivisione di ogni singola decisione riguardante i figli minori (ipotesi utopistica e irrealizzabile) ma equa ripartizione della cura, istruzione ed educazione degli stessi, generando un obbligo di partecipazione attiva di entrambi i genitori in questi compiti. Tale innovativo assetto legislativo introduce, accanto alla bi genitorialità, il concetto di responsabilità genitoriale, in sostituzione del vecchio concetto di “potestà” che, investendo il genitore di un ruolo responsabile, maggiormente risponde all’esigenza di considerare il minore un soggetto di diritti e centro di imputazione di interessi che i genitori hanno il diritto – dovere (responsabilità) di tutelare.

3. Il dato normativo. 3.1 L’interesse del minore. Il passaggio a una visione figlio – centrica della famiglia ha condotto il legislatore a stabilire che, in caso di separazione dei coniugi, il giudice dispone che i figli restino affidati a entrambi i genitori, adottando ogni altro provvedimento relativo alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Pertanto, nel ribadire che la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori di comune accordo (art.316 primo comma e art. 337 ter terzo comma), il legislatore ha inteso mantenere questa dualità e accordare la preferenza all’affidamento condiviso se rispondente all’interesse del minore. Tale principio è contenuto nelle norme di cui agli artt. 316 terzo comma “Il giudice, sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare” e 337 ter secondo comma “per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all’articolo 337-bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”

Dal raffronto delle due norme si evince che la valutazione aprioristica del giudice (prevista dal secondo comma del 337 ter,) nell’affidare a entrambi i coniugi il figlio debba considerare esclusivamente l’interesse del minore. Cosa significa interesse del minore? Esso può essere inteso come quel complesso di utilità materiali e morali che possono essere soddisfatte solamente attraverso una crescita equilibrata del bambino che potrebbe essere realizzata anche tramite un affidamento differente che non consista necessariamente nella bi genitorialità ma nell’affidamento monogenitoriale. Ovvero, l’interesse del minore è dato dalla realizzazione dei suoi bisogni materiali, psicologici, affettivi, la cui mera imposizione dell’affidamento condiviso potrebbe non risolvere.

Ma quando si può affermare che l’affidamento condiviso è contrario agli interessi del minore? La giurisprudenza di legittimità e di merito sono unanimi nel ritenere che può derogarsi all’affidamento condiviso quando la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore. In particolare, due pronunce, una di legittimità (Cass. Ord. 2 dicembre 2010 n. 24526) e una di merito (Tribunale di Napoli, Sez. I 28 giugno 2006) offrono una indicazione illuminante della condotta pregiudizievole che favorirebbe l’affidamento esclusivo. Nel caso affrontato dal Tribunale di Napoli, il giudice figli, il fatto che egli abbia instaurato una relazione o una convivenza more uxorio con altra persona, anche dello stesso sesso, in virtù del principio della libertà sessuale. Anche un genitore dichiaratamente omosessuale ben può svolgere, dunque, la sua funzione paterna e privare un genitore dell’affidamento per il solo fatto dell’omosessualità sarebbe assolutamente vessatorio in quanto è da escludere che l’orientamento sessuale dei genitori possa causare un qualsiasi danno alla formazione dell’identità del minore. Anche una recente sentenza del Tribunale di Genova del 30 ottobre 2013 riconosce che l’omosessualità di uno dei genitori non comporta alcun pregiudizio per la crescita del minore. E, restando in tema, non è possibile non citare la sentenza della Corte d’Appello Sezioni Minori e Famiglia di Milano (Presidente La Monica, estensore Canziani) datata 16 ottobre 2015 pubblicata in data 10 dicembre che ha dichiarato l’efficacia nel nostro Paese del provvedimento con cui una donna aveva adottato in Spagna la figlia della compagna (le due si erano sposate nel 2009 e poi hanno divorziato nel Paese iberico), nata con fecondazione eterologa, riconoscendo come valido in Italia anche “l’accordo regolatore” riguardante “le condizioni relative alla responsabilità genitoriale nei confronti della figlia, dando atto nel provvedimento che la minore è una ragazzina di dodici anni che sin dalla nascita era stata adeguatamente amata, curata, mantenuta, educata ed istruita da entrambe le donne che avevano realizzato l’originario progetto di genitorialità condivisa, nell’ambito di una famiglia fondata sulla comunione materiale e spirituale di due persone di sesso femminile. Una sentenza destinata indubbiamente a costituire un precedente storico nel c.d. “stepchild adoption”.

Ma il Tribunale di Napoli affronta anche un’altra questione che conclude il procedimento con una sentenza sfavorevole all’affidamento condiviso, considerando il nesso tra addebito della separazione e affidamento dei figli, in quanto il marito aveva tenuto nei confronti della moglie una condotta improntata a prevaricazione e violenza, indi per cui tale condotta ricadeva inevitabilmente sulla cura, educazione e crescita dei figli, ai fini del loro affidamento. Infatti, la violenza intrafamiliare non deve costituire solo elemento fondante la pronuncia di addebito della separazione ma anche elemento valutativo dell’inidoneità del genitore ad esercitare la potestà e a svolgere compiti di educazione e di cura nei confronti dei figli. E sul concetto di inidoneità si sofferma, invece, la pronuncia della Suprema Corte secondo cui “alla regola dell’affidamento condiviso può derogarsi qualora la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse dei minori con la conseguenza che l’eventuale pronuncia di affido esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo sull’idoneità del genitore affidatario, ma anche sull’inidoneità educativa o carenza dell’altro coniuge”.

3.2 L’inidoneità del genitore. Il riferimento preciso alla valutazione dell’idoneità del genitore è contemplato nell’art.316 al terzo comma il quale dispone che “se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio; nell’art.317 al primo comma che stabilisce che in caso di incapacità di un genitore, la responsabilità genitoriale è esercitata in modo esclusivo dall’altro mentre il primo, ovvero il genitore non affidatario, in virtù dell’ultimo comma dell’art. 316, vigilerà sull’istruzione, educazione e condizioni di vita del figlio; ibidem art.337 ter.)

Quando si può parlare di inidoneità? E dunque cosa è l’idoneità? La descrizione che meglio si adatta è quella fornita dalla prof.ssa Suzanne Haller, docente esterno di Psicologia Giuridica presso l’Università Bicocca di Milano, già docente della stessa materia presso l’Università Cattolica del Sacro cuore e San Raffaele di Milano, che definisce l’idoneità educativa come la risposta del genitore, in virtù delle proprie qualità personali, ai bisogni e necessità dei figli. Ovvero la capacità di rispondere a richieste di natura materiale, sociale e affettiva dei bambini. Esistono, a tal proposito, vari fattori che possono compromettere la capacità suddetta. In primis, fattori cronici o patologici che presenta un genitore e che possono costituire pregiudizio grave per i figli, come deficit cognitivi, disturbi psicotici (schizofrenia, Paranoia) o fattori clinici che non hanno caratteristiche di cronicità ma non sono transitori, come i disturbi dell’umore, della personalità (borderline o bipolare), condotte antisociali o aggressive e abuso di sostanze. Questi fattori pregiudicano la valutazione positiva sull’idoneità educativa in quanto appaiono quali fattori non protettivi che sfociano in comportamenti trascuranti, maltrattamenti psicologici o, in casi estremi, abusi sessuali. Nel disporre l’affidamento esclusivo dei figli a uno dei genitori per incapacità dell’altro, il giudice deve adottare criteri di valutazione che tengono necessariamente in considerazione i fattori succitati nonché una valutazione “in positivo” e “in negativo” della idoneità (così Cass. Civ. 7 dicembre 2010 n. 24841).

E’ stato elaborato, a tal fine, uno schema di funzionamento della genitorialità diviso per aree:

  1. L’adattamento al ruolo di genitore: a) il genitore provvede adeguatamente alle cure fisiche essenziali del minore? b) il genitore provvede a fornire le cure emotive appropriate all’età dei figli? c) nel caso in cui vi siano dei problemi i genitori li riconoscono?
  2. La relazione con i figli: a) quali sono i sentimenti verso i figli? b) i bisogni primari dei figli vengono tenuti in maggiore considerazione rispetto ai desideri dei genitori?
  3. Le influenze della famiglia: a) il genitore è capace di mantenere una relazione di sostegno reciproco con il partner? b) quanto viene coinvolto il bambino nelle discordie familiari?
  4. Possibilità di cambiamento: un aiuto terapeutico potrà essere utile?

3.3. Casistica di inidoneità (idoneità in negativo). Quali sono i casi maggiormente significativi di ritenuta inidoneità? Anche su questo punto giurisprudenza di legittimità e di merito hanno saputo fornire una casistica molto ampia sulle questioni sottoposte, iniziando proprio dai casi rientranti nei fattori patologici visti sopra. Così il Tribunale di Modena con decreto 18 ottobre 2006 ha ritenuto, nel superiore interesse del minore, di affidare lo stesso in via esclusiva al padre per i disturbi psichici di cui era affetta la madre; più precisamente isteria con meccanismi simil deliranti che non avrebbero consentito un rapporto costruttivo e sereno con il minore. Facendo, invece, riferimento ai fattori clinici (disturbi della personalità, stati di tossicodipendenza e dipendenza da alcol o disagio esistenziale), il Tribunale di Roma con sentenza n. 20357 del 2012 ha affidato in via esclusiva i figli alla madre in quanto il padre presentava segni di depressione, fragilità emotiva e propensione all’alcol a seguito della separazione. Così come l’instabilità affettiva di una madre (immaturità) è stata considerata motivo di affidamento esclusivo al padre in Cass. n. 26122 del 21 novembre 2013. Anche una personalità violenta che può manifestarsi in comportamenti aggressivi o violenti nei confronti dell’altro coniuge o in violenza assistita può essere indicativa di inidoneità genitoriale e dare luogo a una pronuncia favorevole all’affido esclusivo (Cass. Civ. n. 601 dell’11 gennaio 2013). Altro significativo caso di inidoneità è il manifesto disinteresse verso la prole da parte di un genitore che incide inevitabilmente sul rapporto genitore – figlio e sulle frequentazioni, nonché sulla partecipazione del genitore alla vita del figlio. Il Tribunale di Pordenone con sentenza del 30 marzo 2007 aveva affidato in via esclusiva i figli al padre a seguito del trasferimento della madre in altra Regione, senza che la stessa avesse mantenuto alcun contatto con i bambini, nemmeno telefonico. Sinonimo di totale disinteresse è anche il mancato adempimento dell’obbligo di mantenimento che può essere considerato condizione ostativa all’affido condiviso (Cass. Civ. n. 20075 del 30 settembre 2011, e Cass. n.26587 del 17 dicembre 2009, la quale ultima confermava la sentenza della Corte d’Appello che aveva disposto l’affido esclusivo alla madre per essersi sottratto il padre all’obbligo di mantenimento in favore della prole per anni e aver esercitato un discontinuo diritto di visita).

3.4.Casistica di idoneità (idoneità in positivo). Tra i fattori patologici o clinici, non sempre i disturbi della personalità sono stati considerati ostativi all’affido condiviso. Esemplificativa, a tale scopo, è una ordinanza pronunciata dal Tribunale di Milano in data 27 novembre 2013 (estensore Buffone) la quale ha disposto l’affidamento condiviso tra i genitori, confermando il loro accordo raggiunto, dei due bambini con collocamento presso la madre anche se la stessa fosse affetta da disturbo bipolare. La sentenza in questione appare anche di estrema importanza poiché attribuisce rilevanza come persona al soggetto affetto da malattia mentale, rifiutando qualsiasi pregiudizio o preconcetto, non potendo costituire essa una preclusione all’affidamento condiviso. Non è stata riconosciuta, invece, quale malattia mentale poiché non contemplata nel DSM V, (il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) e quindi priva di supporto scientifico, la c.d. “sindrome da alienazione parentale”, ovvero quella serie di comportamenti posti in essere da un genitore per denigrare, screditare e svalutare l’altro. Pertanto, in due importanti pronunce, una di legittimità (Cass. civ. n. 7041 del 6/20 marzo 2013) e l’altra di merito (Tribunale di Milano decreto 13 ottobre 2014), viene esclusa la presenza di una “patologia” del minore, rilevando la condotta pregiudizievole del genitore sotto altri profili. Diversamente, la stessa Suprema Corte con sentenza n. 5847 del 8 marzo 2013 confermava la pronuncia della Corte d’Appello che aveva riconosciuto la sindrome di alienazione parentale dei figli, i quali rifiutavano la madre a seguito della condotta ostruzionistica del padre che aveva screditato il genitore materno e ostacolato gli incontri tra bambini e madre, asserendo come tale condotta non poteva deporre a favore dell’affido condiviso ma esclusivo alla madre. Non viene accertata in negativo ma in positivo l’idoneità del genitore ex detenuto purché lo stesso dimostri di aver seguito e compiuto un percorso terapeutico e riabilitativo durante la detenzione tale da non ostacolare l’affido condiviso una volta espiata la pena (così Tribunale di Monza del 29 maggio 2014). Non è ostativa all’affido condiviso la lontananza delle residenze dei genitori, salvo che essa non possa costituire un oggettivo impedimento all’assunzione da parte del genitore lontano delle responsabilità inerenti la prole (Cass. civ. n. 24526 del 2 dicembre 2010 cit.)

E’ stata fonte, invece, di pronuncia determinante l’affido c.d. “superesclusivo” , ovvero l’affido esclusivo rafforzato, in virtù della deroga a quanto previsto dall’art.337 quater sulle decisioni di maggiore interesse per i figli che, in questo caso, erano state rimesse al genitore affidatario, la lontananza del genitore che, tuttavia, dopo il trasferimento a Londra, si era reso irreperibile, interrompendo qualsivoglia forma di comunicazione e contatto con la famiglia, risultando lo stesso, quindi, totalmente inidoneo (Tribunale di Milano Ordinanza 20 marzo 2014). Pertanto, quanto previsto al terzo comma dell’art. 337 quater “……..salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori”, in questo modulo di affidamento monogenitoriale, è rivisitato.

Anche la conflittualità tra coniugi è stata fonte di pronunce giurisprudenziali contrastanti. Se, infatti, anche un’alta conflittualità non è di ostacolo all’affido condiviso poiché va osservata in concreto la capacità dei coniugi di collaborare tra loro, accogliendo o negando l’affido condiviso, a seconda dei casi (Cass. civ. n. 11062 del 19 maggio 2011), la giurisprudenza più recente aderisce alla tesi che anche un’aspra conflittualità non impedisca l’affido condiviso; semmai essa potrà incidere sulla regolamentazione degli incontri tra genitori e figli (Cass. civ. n. 7477 del 31 marzo 2014). Un ultimo caso interessante sulla valutazione della idoneità del genitore è il tentativo di coinvolgimento del figlio nel proprio credo religioso. Cass. civ. n. 9546 del 12 giugno 2012, in un caso di coinvolgimento da parte della madre Testimone di Geova del figlio nella citata religione, ha disposto comunque l’affido condiviso con collocazione presso la madre stessa, con l’obbligo della medesima di astenersi da qualsiasi condotta di inserimento del minore nel credo religioso.

4. L’accertamento della idoneità/inidoneità: la CTU. Senza voler addentrarsi nel merito del lavoro e dell’incarico assegnati al CTU, si cita, per offrire ai vari professionisti coinvolti nei procedimenti linee guida orientative, Il Protocollo di Milano redatto in data 17 marzo 2012, relativo al ruolo e all’obiettivo che la CTU stessa dovrebbe assumere. L’art.1 del Protocollo reca testualmente. “Obiettivo della consulenza è riportare al giudice la condizione psicologica e relazionale che connota gli individui che compongono la famiglia, la coppia e il sistema nel suo complesso, evidenziando punti di debolezza, punti di forza, aree di criticità e risorse utili per attuare cambiamenti evolutivi di segno positivo.

Particolare attenzione dovrà essere posta agli aspetti “prognostici” della situazione famigliare (le risorse disponibili, le eventuali potenzialità al cambiamento dell’intero nucleo familiare, etc.) al fine di programmare e prevedere degli interventi opportuni”. Quindi, la consulenza deve mirare a restituire la responsabilità genitoriale in modo che le parti possano ricomporre la comunicazione tra loro, con e sui figli, al fine di rispondere alle esigenze di questi. Pertanto, una CTU che fotografa o si limita a fotografare il nucleo familiare e le sue dinamiche risponde senz’altro ai quesiti del giudice ma non è sufficiente né funzionale poiché scopo è quello di proporre cambiamenti sollecitando la coppia a trovare nuove soluzioni.

I quesiti di maggiore interesse da sottoporre al CTU possono riassumersi come segue:

a) esame della personalità di ogni genitore – coniuge anche in funzione di escludere eventuali turbe psichiche;

b) esame della capacità affettiva ed educativa;

c) disponibilità a un rapporto costante con i figli;

d) individuazione del genitore più idoneo a ridurre i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare lo sviluppo migliore della personalità del minore attraverso un giudizio prognostico;

e) esame dell’ambiente di vita passato e futuro;

f) volontà del minore.

Anche la CTP è essenziale nell’ambito dei procedimenti di separazione e sovente è, invece, sottovalutata. Compito fondamentale del CTP non è quello, tuttavia, di distruggere la CTU o di criticarla aspramente ma quello di condividere la metodologia del CTU. Laddove non possibile, egli ha comunque il compito di responsabilizzare il genitore facilitando la comunicazione.

5. Gli effetti dell’affidamento esclusivo. L’art. 337 quater, dopo aver enunciato al primo comma, che “Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”, prosegue stabilendo anche diritti – doveri in capo ai genitori, ovvero che “il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. La norma successiva, art. 337 quinquies consente, infatti, ai genitori di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi.

Cosa succede, dunque, in caso di inadempienza o mancata osservanza delle disposizioni di cui sopra sia da parte del genitore affidatario che non affidatario? Impedire i rapporti del minore con entrambi i genitori indipendentemente da chi ponga in essere questo tipo di ostacoli e dal tipo di affidamento (condiviso o esclusivo) creando ostracismo alla bi genitorialità costituisce reato. Così si espressa la Cass. pen. con sentenza n. 27995 del 8 luglio 2009, la quale afferma che “rientra nei doveri del genitore affidatario quello di favorire, a meno che sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, il rapporto del figlio con l’altro genitore, e ciò proprio perché entrambe le figure genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata del minore. L’ostacolare gli incontri tra padre e figlio, fino a recidere ogni legame tra gli stessi, può avere effetti deleteri sull’equilibrio psicologico e sulla formazione della personalità del secondo”. Ecco che in tale caso viene richiamato il concetto di PAS, laddove, quantunque questa non è classificabile come malattia mentale è rilevabile sotto altri aspetti, tra cui, appunto, la configurazione di un reato per inosservanza dolosa di un provvedimento del giudice.

Analogo discorso è compiuto per il genitore che, senza fondamento, avanza richiesta di affidamento esclusivo. Il Tribunale dei Minorenni di Milano con decreto del 4 marzo 2011 si è pronunciato a favore dell’affidamento condiviso di una minore ai genitori ancorché la madre avesse fatto domanda per l’affidamento a sé esclusivo, senza, tuttavia, dimostrare le inadempienze del padre non supportate da alcun elemento probatorio. Il provvedimento assume una certa rilevanza poiché il Tribunale condanna, altresì, la madre ex art.96 terzo comma, in quanto ritiene che l’aver incardinato il procedimento senza alcuna fondatezza in fatto e in diritto abbia costituito un atteggiamento di abuso e semplicemente pretestuoso del processo.

Atteggiamenti manipolatori, ostativi e pregiudizievoli nei confronti del rapporto minore e genitore non affidatario sono forieri di risarcimento del danno ex art.709 ter (per tutti Tribunale Salerno 22 dicembre 2009) in quanto il genitore affidatario deve contribuire al mantenimento di un corretto e costante rapporto fra il figlio minorenne ed il genitore non affidatario per cui il comportamento non collaborativo del primo, pur non giustificando la modifica del regime di affidamento, integra i presupposti per il risarcimento del danno in favore dell’altro genitore. Il tipo di danno risarcibile, secondo una illuminante sentenza del Tribunale di Modena del 17 settembre 2012, è quello di cui all’art. 2059 c.c., quindi il danno non patrimoniale, da riconoscersi anche indipendentemente dalla ricorrenza degli estremi di un reato e da liquidarsi in via essenzialmente equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. con riferimento a vari criteri, attinenti: alla gravità del fatto e della colpa, all’entità del dolore o patema d’animo inflitto alla prole, all’età ed alle condizioni personali dei soggetti danneggiati.

6. Aspetti processuali. Tragli aspetti processuali, si deve prestare particolare attenzione alla competenza, per materia e per territorio. Quanto alla prima, essa ha subito un netto rimodellamento dopo la legge 219/2012 che, parificando ed eliminando ogni distinzione tra figli legittimi e naturali e distinguendo semplicemente figli matrimoniali da figli non matrimoniali, ha di fatto riunito i procedimenti relativi all’affidamento e mantenimento sia di figli nati nel matrimonio che di figli nati fuori dal matrimonio demandandoli al Tribunale Ordinario, quale unico Giudice e riservando alla competenza del TM solamente i provvedimenti de potestate (decadenza, sospensione e limitazione della potestà). La dualità è stata mantenuta anche relativamente all’applicazione degli artt.709 ter e 710 cpc, rispettivamente il primo nei procedimenti in corso che prevede la competenza del giudice del procedimento e il secondo che, invece, è azionabile per modificare condizioni in seguito a procedimenti già definiti e prevede la competenza del giudice di residenza del minore. Quest’ultimo dualismo rappresenta anche il criterio di collegamento territoriale per i procedimenti di affidamento e mantenimento. E’ bene, tuttavia, precisare che residenza e domicilio del minore, laddove differenti, possono modificare la competenza territoriale. Infatti, qualora si dimostri che la vita abituale del minore si svolge presso un domicilio differente dalla residenza, sia la giurisprudenza di merito che di legittimità hanno ritenuto competente territorialmente il tribunale del luogo ove si svolge la vita abituale del minore che può anche non coincidere con la residenza anagrafica (Ord. Trib. Milano 14.10.2015)

La questione dell’individuazione del luogo di residenza abituale del minore è stata risolta nel modo seguente:

a) presso la nuova residenza ogni qualvolta il trasferimento sia avvenuto con modalità non occulta all’altro genitore e da un arco di tempo significativo, da valutare di volta in volta ma orientativamente variabile – tenuto conto dei criteri previsti dalla legislazione comunitaria, e segnatamente dagli atti. 9 e 10 Reg. CE 2201/2003;

b) presso la residenza abituale pregressa ove sussista dissenso, espresso o tacito, dell’altro genitore, senza che abbiano rilevanza i motivi del trasferimento e la sua liceità o meno.

Nelle decisioni che riguardano affidamento, il Giudice ha limiti e poteri discrezionali, i primi dettati dal soddisfacimento dell’interesse preminente o superiore del minore; i secondi immediatamente conseguenti a tali esigenze. Ad esempio, il Giudice potrà anche rimodulare in peius le modalità di visita o le frequentazioni tra minore e genitore non affidatario quando ciò risulti essere più confacente all’interesse del minore (così Cass. Civ. sez. I, sentenza 21 marzo 2011, n. 6339). Come potrà anche non omologare gli accordi contenenti la regolamentazione sull’affido quando questo sia demandato a un solo genitore ma, in realtà, ancorché frutto di un accordo inserito nel ricorso per separazione consensuale, non rispetti le esigenze del minore (così Tribunale Varese del 21 gennaio 2013).

Altra tematica di grande rilievo nella procedura per separazione dei coniugi concernente l’affidamento è l’ascolto del minore. L’art.315 bis, introdotto dalla legge 219/2012, in virtù del recepimento della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la L. 20 marzo 2003, n. 77, stabilisce che il minore, il quale abbia compiuto i 12 anni di età o se di età inferiore purché capace di discernimento, ha il diritto di essere ascoltato in tutte le procedure che lo riguardano. Tale diritto di partecipazione al procedimento che lo riguarda è confermato anche dalla nostra Suprema Corte con sentenza n. 19664 del 18 settembre 2014 che vede in tale partecipazione il momento in cui vengono effettivamente raccolte le opinioni e i desideri del minore. Il Dlgs. 154/2013, con l’introduzione dell’art.337 octies, ha ribadito tale diritto e la facoltà del giudice di sentire il minore quando il suo ascolto non è in contrasto con il suo stesso interesse, in tal senso richiamando l’art.336 bis c.c. che prevede l’ascolto a meno che lo stesso non sia in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.

L’accertamento circa il grado di maturità del minore ovvero l’assenza di condizioni che gli evitino traumi che per la sua tenera età potrebbero incidere gravemente sulla sua sfera psichica è rimesso al giudice del merito che è tenuto a valutare se sia inopportuno ascoltarlo per il grado di discernimento da presumersi raggiunto secondo comune esperienza ovvero se si “postula che il minore riceva le informazioni pertinenti ed appropriate, con riferimento alla sua età ed al suo grado di sviluppo”, e tali informazioni non nocciano al suo benessere. Può essere difatti omesso nei casi in cui il giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, ravvisi suddetto pericolo di pregiudizio ovvero un contrasto con gli interesse superiori per l’interessato, ovvero reputi il minore non adeguatamente maturo alla stregua della situazione di fatto considerata. Quanto alla manifesta superfluità che escluderebbe l’ascolto, essa è ravvisabile in circostanze acclarate e non contestate che creerebbero solo un danno all’equilibrio e serenità del minore, ove ascoltato. E’ opportuno premettere che la valutazione del giudice sulle modalità dell’affidamento può non coincidere con le opinioni manifestate dal minore, ma il giudice ha “un onere di motivazione direttamente proporzionale al grado di discernimento del minore e ciò è una diretta conseguenza dell’imprescindibilità dell’ascolto del medesimo (Cass. n. 16658 del 22 luglio 2014).

Per quanto attiene alle modalità dell’ascolto, premessa la distinzione tra audizione diretta o indiretta a seconda che il minore venga sentito direttamente dal giudice o solo da ausiliari esperti nominati dal giudice stesso, gli artt.336 bis e 337 octies sembrano preferire l’audizione diretta da parte del giudice, o da un suo delegato, coadiuvati da operatori del settore, previa adeguata informazione al minore. Esemplificativi, a tal riguardo, possono essere i Protocolli di Milano e Roma, i quali suggeriscono che l’ascolto del minore debba essere condotto da un giudice o da un suo delegato (GOT), con l’ausilio di esperti in scienze psicologiche o pedagogiche e che l’audizione si svolga presso lo stesso Ufficio Giudiziario presso il quale è incardinato il procedimento in una stanza e in orari idonei ad accogliere il minore. Ancorché la legge non impedisca a genitori e legali di essere presenti, è preferibile che l’ascolto avvenga alla sola presenza del giudice e degli ausiliari al fine di evitare condizionamenti. Quali sono le conseguenze del mancato ascolto? Ponendo rilievo alle esigenze, desideri e volontà del minore che non verrebbero presi in considerazione qualora il minore non fosse ascoltato, la relativa decisione risulta automaticamente viziata. La Suprema Corte con sentenza n. 5847 del 8 marzo 2013 ha ritenuto che la violazione dell’obbligo di audizione per i minori che abbiano compiuto i 12 anni e che non sia stata adeguatamente motivata comporta la nullità della sentenza che sarà soggetta ai normali mezzi di impugnazione.

Conclusioni. L’affidamento esclusivo: un’ipotesi in via residuale? Alla domanda regina del presente lavoro, si potrebbe rispondere richiamando le norme internazionali, in particolare la Convenzione di New York del 1989 che all’art.147 sancisce il diritto alla bi genitorialità quale diritto fondamentale del bambino, ovvero il diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori e il rispetto di tale diritto si identifica innegabilmente con un interesse superiore di qualsiasi bambino. Ciò che fa sì che l’affidamento condiviso non si ponga più (come nel precedente sistema) come evenienza residuale, bensì come regola, rispetto alla quale costituisce, invece, eccezione la soluzione dell’affidamento esclusivo. Tuttavia, la tutela del preminente e superiore interesse del minore dipende molto dalla sensibilità, competenza e capacità degli operatori giuridici e che a vario titolo si occupano della materia: magistrati, avvocati, psicologi, pedagogisti sui quali grava il delicato compito di percepire e ascoltare la voce del minore. In particolare, il ruolo dell’avvocatura comprende anche la sensibilizzazione dei genitori verso le esigenze e i desideri dei figli.

Mi piace concludere con una massima del pedagogista polacco Janusz Korczak che meglio sintetizza e rappresenta questo gravoso compito: “Dici: E’ faticoso frequentare i bambini. Hai ragione. Aggiungi: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, scendere, piegarsi, farsi piccoli. Ti sbagli. Non è questo l’aspetto più faticoso. E’ piuttosto il fatto di essere costretti a elevarsi fino all’altezza dei loro sentimenti. Di stiracchiarsi, allungarsi sulle punte dei piedi. Per non ferirli”

Laura Galli                                         Milano 23 dicembre 2015                                        www.ami-avvocati.it

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

            L’ex non paga il mantenimento? Niente paura, dal 1 gennaio 2016 lo versa lo Stato.

        Nasce il fondo a tutela del coniuge in stato di bisogno divorzio separazione. Dal 1° gennaio 2016, se il coniuge in stato di bisogno non riceve l’assegno di mantenimento dall’ex, lo pagherà lo Stato. La novità è prevista da uno degli ultimi emendamenti approvati in corsa alla legge di Stabilità 2016, che ha ricevuto l’ok dalla commissione bilancio e che oggi pomeriggio approderà in aula a Montecitorio. Come annunciato, il governo porrà la fiducia sul maxiemendamento che ricalcherà il testo approvato in commissione, e il via libera definitivo alla manovra dovrebbe arrivare entro domenica, salvo sorprese dell’ultima ora per la “quadra” dei conti.

        Ad essere confermato, dunque, in mezzo alla raffica di emendamenti che hanno ricevuto il sì in commissione, sarà anche il “Fondo a tutela del coniuge in stato di bisogno” che sarà istituito con una dotazione di 250mila euro per il 2016 e di 500mila euro per il 2017, grazie alla conseguente riduzione di altri fondi (tra cui quello per il fondo per interventi strutturali di politica economica). Il nuovo comma 226-ter aggiunto al Ddl prevede che “il coniuge in stato di bisogno che non abbia ricevuto l’assegno di mantenimento per inadempienza del coniuge che vi era dovuto può richiedere al Tribunale di residenza l’anticipazione di una somma fino all’entità dell’assegno medesimo”. Laddove il tribunale accolga la richiesta, la invia al Ministero della giustizia per la corresponsione della somma.

        Il tutto sarà disciplinato però attraverso un decreto attuativo del ministero della giustizia, di concerto con quello dell’economia, da emanare entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge. Rimangono ferme ovviamente tutte le conseguenze, sul piano civile e penale, che l’omesso mantenimento comporta nei confronti del coniuge che non ottempera al proprio obbligo, oltre, ovviamente al diritto di rivalsa da parte dello Stato nei confronti dell’onerato.

        La ratio, infatti, è quella di “tamponare” le esigenze primarie di vita dei beneficiari che versano in stato di bisogno.

        Marina Crisafi newsletter Giuridica 21 dicembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/20395-l-ex-non-paga-il-mantenimento-niente-paura-dal-1-gennaio-lo-versa-lo-stato.asp

 

            Mantenimento: nell’assegno all’ex e ai figli si conta anche la casa.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 25420, 17 dicembre 2015.

        Per la Cassazione, la misura deve tenere conto del godimento della casa familiare. Anche il godimento della casa familiare, ha un prezzo, e di questo deve tenerne conto il giudice nel determinare la misura dell’assegno di mantenimento a carico di uno dei coniugi e a favore dell’ex o dei figli. A ricordarlo è la Cassazione, con l’ordinanza (allegata), accogliendo, in parte, le ragioni di un’ex moglie e madre avverso la sentenza della corte d’appello di Salerno che rigettando le reciproche richieste di addebito della separazione, liquidava in misura abnorme le spese processuali, e per di più fissava l’assegno di mantenimento per lei e per la minore omettendo totalmente di valutare il valore economico della casa coniugale. In particolare, la donna si doleva della misura del contributo di mantenimento del coniuge, essendo affidataria prevalente della minore, non occupata e non occupante la casa coniugale, in quanto rimasta nella disponibilità dell’ex marito.

        Per il Palazzaccio (pur confermando la decisione di merito sull’esclusione degli addebiti), sul punto la donna ha ragione. In tema di separazione personale dei coniugi, ha affermato infatti la S.C., “il godimento della casa familiare costituisce un valore economico – corrispondente, di regola, al canone ricavabile dalla locazione dell’immobile – del quale il giudice deve tener conto ai fini della determinazione dell’assegno dovuto all’altro coniuge per il suo mantenimento o per quello dei figli”.

        Per cui, la sentenza va cassata e la parola passa al giudice del rinvio.

        Marina Crisafi – Newsletter Giuridica 21 dicembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/20423-mantenimento-nell-assegno-all-ex-e-ai-figli-si-conta-anche-la-casa.asp

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DALLA NAVATA

                                   Santa famiglia – anno C –27 dicembre 2015.

1 Samuele       01, 20 «Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, “perché –diceva- al Signore l’ho richiesto».

Salmo              84, 06 «Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore».

1 Giovanni                 03, 23 «Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni e gli altri, secondo il precetto che ci ha dato».

Luca                           02, 50 «Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro».

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

                        Giubileo della famiglia, il Papa: famiglia luogo privilegiato di perdono.

Pellegrinaggio e vita di tutti i giorni, amore e perdono, momenti di gioia e difficoltà. Nell’omelia della Santa Messa per le famiglie, Papa Francesco ha ricordato stamani – nel giorno della Festa della Santa Famiglia- il viaggio a Gerusalemme di Maria e Giuseppe con Gesù. “Il pellegrinaggio – ha detto il Papa – non finisce quando si è raggiunta la meta del santuario, ma quando si torna a casa e si riprende la vita di tutti i giorni”. E poi l’incoraggiamento forte: “Non perdiamo la fiducia nella famiglia. “Il perdono è l’essenza dell’amore che sa comprendere lo sbaglio e porvi rimedio. Poveri noi se Dio non ci perdonasse!”.

Queste le parole con cui Papa Francesco sembra chiarire la sua idea di famiglia: “Nell’Anno della Misericordia, ogni famiglia cristiana possa diventare luogo privilegiato in cui si sperimenta la gioia del perdono. E’ all’interno della famiglia che ci si educa al perdono, perché si ha la certezza di essere capiti e sostenuti nonostante gli sbagli che si possono compiere.” “Non perdiamo la fiducia nella famiglia!”: è l’appello chiaro e forte del Papa che spiega: “E’ bello aprire sempre il cuore gli uni agli altri, senza nascondere nulla”.

“Dove c’è amore, lì c’è anche comprensione e perdono. Affido a tutte voi, care famiglie, questo pellegrinaggio domestico, questa missione così importante, di cui il mondo e la Chiesa hanno più che mai bisogno.”

Nelle letture bibliche, l’immagine di due famiglie che compiono il loro pellegrinaggio verso la casa di Dio: Elkana e Anna portano il figlio Samuele al tempio di Silo e lo consacrano al Signore; Giuseppe e Maria, per la festa di pasqua, si fanno pellegrini a Gerusalemme insieme con Gesù. E il Papa sottolinea che “spesso abbiamo sotto gli occhi i pellegrini che si recano ai santuari e ai luoghi cari della pietà popolare e che in questi giorni, tanti si sono messi in cammino per raggiungere la Porta Santa aperta in tutte le cattedrali del mondo e anche in tanti santuari”. E afferma: “Ma Papà, mamma e figli, insieme, si recano alla casa del Signore per santificare la festa con la preghiera. E’ un insegnamento importante che viene offerto anche alle nostre famiglie”. E poi a braccio: “Anzi, possiamo dire che la vita della famiglia è un insieme di piccoli e grandi pellegrinaggi.”

“Quanto ci fa bene pensare che Maria e Giuseppe hanno insegnato a Gesù a recitare le preghiere!”. Papa Francesco sottolinea il “grande ruolo formativo che la famiglia possiede”. E l’importanza di gesti semplici come benedire i propri figli all’inizio della giornata e alla sua conclusione e la preghiera prima dei pasti. Un’altra espressione a braccio: 

“E questo è un pellegrinaggio, il pellegrinaggio dell’educazione alla preghiera.” C’è poi il pellegrinaggio della vita: “Come è importante per le nostre famiglie – dice – camminare insieme e avere una stessa meta da raggiungere! Sappiamo che abbiamo un percorso comune da compiere; una strada dove incontriamo difficoltà ma anche momenti di gioia e di consolazione.” “Non è forse questa la preghiera più semplice dei genitori nei confronti dei loro figli? Benedirli, cioè affidarli al Signore, perché sia Lui la loro protezione e il sostegno nei vari momenti della giornata”.

“Probabilmente anche Gesù dovette chiedere scusa ai suoi genitori: il Vangelo non lo dice, ma credo che possiamo supporlo”: così Papa Francesco ricorda quella che definisce la “scappatella” di Gesù, che invece di tornare a casa con i suoi, si era fermato a Gerusalemme nel Tempio, provocando una grande pena a Maria e Giuseppe che non lo trovavano più. “Tornando a casa – spiega Papa Francesco – Gesù si è stretto certamente a loro, per dimostrare tutto il suo affetto e la sua obbedienza”. E di nuovo un’aggiunta al testo: “Fanno parte del pellegrinaggio della famiglia anche questi momenti – afferma – che con il Signore si trasformano in opportunità di crescita, in occasione di chiedere perdono e di riceverlo, di dimostrare l’amore e l’obbedienza”.

Notiziario Radio vaticana – 27 novembre 2015                  http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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GOVERNO

Il documento di finanza pubblica ha ottenuto il via libera definitivo dal Senato.

Il parere di Gianni Bottalico (Acli), Carlo Costalli (Mcl) e Gianluigi De Palo (Forum associazioni familiari).

            Abolizione della Tasi sulla prima casa per un valore di 3,7 miliardi di euro che interessa 19 milioni di italiani, cancellazione del 50% dell’Imu sulla seconda abitazione data in comodato a figli o genitori, possibilità di acquistare la prima casa in leasing, con “canone” e riscatto ridotti per gli under 35. Raddoppiato il minicongedo obbligatorio (due giorni anziché uno) per i neopapà, mentre per le mamme si estende al 2016 il voucher babysitter (600 euro) che riguarda in via sperimentale anche le lavoratrici autonome. In arrivo una “Carta famiglia” per sconti e agevolazioni su trasporto pubblico, cinema, teatro, attività turistiche e sportive alle famiglie con almeno tre figli minori – in Italia poco più di un milione – anche se nel testo originario erano compresi i figli fino a 26 anni – che sarà rilasciata a famiglie residenti, italiane o straniere, che ne faranno richiesta, sulla base del reddito Isee. Queste le principali misure, dirette e indirette, a favore della famiglia contenute nella Legge di stabilità 2016 approvata ieri dall’Aula del Senato.

            «Riconosciamo la buona volontà di procedere nella giusta direzione», ma gli effetti «sulle famiglie bisognose e sulla scelta delle famiglie di mettere al mondo più figli rischiano di essere deboli e circoscritti», osserva Gianni Bottalico, presidente Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli). L’efficacia della Carta famiglia «dipenderà molto da come sarà gestita e attuata sui territori e dalle varie amministrazioni, condizioni che possono notevolmente variare nelle diverse zone del Paese», e il testo non contiene «misure specifiche per il Mezzogiorno e per le altre aree svantaggiate». Altre due le scuri pendenti sull’efficacia della Carta: l’abbassamento della soglia d’età dei figli da 26 a 18 anni, quando «nella maggioranza dei casi i figli maggiorenni non cessano di avere bisogno di sostegno familiare» e l’Isee, «i cui criteri sono stati resi più rigidi». Può così accadere che «per impedire giustamente l’accesso ai benefici ai furbi si finisca per non riconoscere più casi di effettivo bisogno, in forte aumento tra le famiglie dei ceti medi che si impoveriscono». Giudizio positivo ma con riserve sull’abolizione della Tasi sulla prima casa: «Avremmo preferito fosse attuata con maggiore progressività, concentrandosi sulle esenzioni ai ceti medio bassi». E per quanto riguarda le esenzioni per i comodati d’uso, «una volta riconosciuto l’uso sociale all’interno della famiglia degli immobili interessati, non si capisce perché non siano state totali». Difficilmente i figli «riusciranno come in passato ad acquistare una casa di loro proprietà. I nostri servizi per i cittadini ci dicono che a forza di politiche ostili ai piccoli patrimoni familiari le nuove generazioni ereditano più debiti che beni».

            Di «misure interessanti ma parziali» parla Carlo Costalli, presidente Movimento cristiano lavoratori (Mcl) precisando che «non si tratta di un provvedimento “di svolta”. Manca un ragionamento strategico, ci sono tanti interventi, che vanno peraltro valutati nel tempo, ma non emerge un progetto organico, né per la famiglia né per il Paese». Ciò che servirebbe è invece «una politica fiscale mirata a lavoro e famiglia». Costalli esprime il timore che l’abolizione della Tasi sulla prima casa possa avere «ricadute sulle tasse locali o sull’aumento delle bollette dell’acqua». Le famiglie italiane, aggiunge «avevano due certezze: la banca e la casa, ora scricchiolanti», con l’aggravante che «viviamo in un Paese con una tassazione locale cresciuta vertiginosamente». Per il presidente Mcl, «un discorso strategico dovrebbe essere legato ad una revisione fiscale complessiva: meno tasse su famiglia e lavoro. Il governo dovrebbe andare fino in fondo sull’applicazione delle deleghe fiscali. Quando si aiuta il lavoro si sostiene la famiglia; se non c’è lavoro rischia invece di crollare tutto il sistema».

            Per Gianluigi De Palo, presidente Forum associazioni familiari, ben venga «tutto ciò che si fa per la famiglia, dall’esenzione Tasi alla Carta. Prendiamo atto – afferma – del desiderio di fare del governo, ma non possiamo non registrare una mancanza di visione d’insieme. Andiamo avanti “a colpi di asili nido”, a spot, senza capire che le famiglie hanno bisogno di avere semplicemente più risorse in tasca». Le misure contenute nel provvedimento “aiutano” ma non risolvono: ciò che farebbe fare alle famiglie il salto di qualità è «poter pagare le tasse in base al numero dei figli: un fisco più equo, a misura di famiglia. Bene i provvedimenti per chi ha tre figli minori, ma in Italia basta averne uno per correre il rischio di diventare poveri». In un Paese «a zero nascite è il momento di agire, non ce ne sarà un altro», e «non si deve più essere costretti a scegliere se iscrivere un figlio all’asilo nido o far mettere l’apparecchio ai denti al fratellino». Per il presidente del Forum le famiglie non hanno bisogno di «elemosine» o «concessioni: l’equità fiscale è una questione di giustizia sociale». Anche perché, attraverso l’educazione e prendendosi cura dei figli disabili o dei nonni anziani «consentono allo Stato di risparmiare risorse. Un euro investito sulla famiglia – assicura – ne produce dieci». Di qui l’impegno a rilanciare un cavallo di battaglia del Forum: il quoziente familiare, per «inserirlo gradualmente nella legge di stabilità 2017 perché non si può più dare per scontato che la famiglia continui e reggere».

Giovanna Pasqualin Traversa                      Roma sette     23 dicembre 2015

www.romasette.it/stabilita-2016-misure-a-favore-della-famiglia-e-una-carta-dedicata

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PATERNITÀ

Se il padre rifiuta il test del DNA la paternità è accertata.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 25675, 21 dicembre 2015.

            Dichiarazione giudiziale di paternità naturale: la sottrazione al test del DNA da parte dell’uomo può fondare il convincimento del giudice e vale come comportamento concludente. Nel giudizio promosso dal figlio, per ottenere il riconoscimento della paternità del padre naturale, il rifiuto a sottoporsi al test del DNA da parte di quest’ultimo può costituire un argomento di prova tale da convincere il giudice. Insomma, il rifiuto costituisce una mezza ammissione di responsabilità, anche se la decisione finale spetta sempre al tribunale. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza.

            Il magistrato può accogliere la domanda giudiziale di dichiarazione di paternità, attribuendo valore di prova al rifiuto del padre di sottoporsi all’esame ematologico del DNA, se detto rifiuto non è supportato da una valida ragione. Tale comportamento, quando ingiustificato, può essere liberamente valutato dal giudice [ex art. 116, co. 2, cod. proc. civ.], anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti. Dall’esame del DNA, infatti, non deriva né una restrizione della libertà personale del presunto padre – che conserva piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi del sangue – né una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l’uso dei dati nell’ambito del giudizio solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l’accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali. La sentenza non fa che ripetere un principio ormai costantemente affermato in giurisprudenza, di cui la stessa Corte di Cassazione ha fornito numerose applicazioni in diversi precedenti.

Redazione       LPT                22 dicembre 2015

La sentenza                       www.laleggepertutti.it/107118_se-il-padre-rifiuta-il-test-del-dna-la-paternita-e-accertata

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PATTI PREMATRIMONIALI

Rapporti tra etica, sentimenti e diritto.

I patti prematrimoniali, le unioni civili, i contratti di convivenza: dove non riesce la politica, intervengono i giudici. In una sentenza dello scorso mese di agosto 2015, la Corte di Cassazione aveva stabilito che i coniugi possono, nell’ambito di una separazione, contrarre liberamente accordi che riguardano i loro rapporti patrimoniali assumendo impegni di vero e proprio carattere contrattuale, senza che il Giudice possa intervenire sul merito degli stessi [1].

            Questa libertà di determinazione riguarda separazioni – ma la stessa cosa è a dirsi per lo scioglimento del matrimonio o degli effetti civili del matrimonio – nelle quali non vengono coinvolti interessi superiori a quelli considerati “disponibili”, cioè lasciati alla libera determinazione degli interessati. Vi sono, infatti, aspetti del matrimonio sui quali lo Stato, attraverso la Magistratura, ha l’obbligo di vigilare perché hanno un rilievo pubblico: la prole, il suo affidamento, il suo mantenimento. Non è tuttavia da escludere che queste stesse problematiche si pongano tra persone che, pur non sposate, vivono un rapporto di convivenza.

La Suprema Corte è tornata recentemente sull’argomento dei patti prematrimoniali con una sentenza del 3 dicembre 2015 [2] nella quale ha confermato il principio per cui si potrebbero ipotizzare accordi anteriori, contemporanei o magari successivi alla separazione o al divorzio, nella forma della scrittura privata o dell’atto pubblico. Al riguardo, quindi, la giurisprudenza della Corte è variamente intervenuta attraverso una complessa evoluzione verso una più ampia autonomia negoziale dei coniugi e verso una considerazione del rapporto di coppia molto più pragmatica di quella emergente dalle norme statali. Questa considerazione degli accordi patrimoniali tra coniugi come contratto vincolante riprende, come è noto, principi consolidati nella legislazione anglosassone; una legislazione nella quale i rapporti personali vengono chiusi all’interferenza dello Stato perché riguardanti libertà private, a differenza di quanto avviene nell’ordinamento giudico italiano.

            Nella legislazione italiana, dunque, non esistono i patti prematrimoniali così come non esistono, ufficialmente, gli “accordi di convivenza”: è prevedibile che il Parlamento se ne occupi, prima o poi – meglio prima, che poi… – ma, attualmente, si tratta di figure lasciate alla fantasia delle parti ed anche, per la verità, alla lungimiranza dell’Associazione del Notariato che sugli “accordi di convivenza” ha diramato direttive per i Notai, sostanzialmente recependo nella pratica istituti non presenti nel sistema giuridico. Nel nostro ordinamento giuridico prevale, invece, una concezione pubblicistica del matrimonio e dei procedimenti di separazione e divorzio che è di ostacolo all’ammissibilità degli istituti dell’esperienza anglosassone. Ciò non toglie, però, che il nostro legislatore abbia il dovere di prendere atto delle trasformazioni sociali in corso, disciplinando situazioni che già esistono nella realtà, e che corrono il rischio di lasciare il campo ad aberrazioni, se non sono legislativamente disciplinate.

            Che fine hanno fatto le proposte sulle “unioni civili”? I vari progetti di legge giacciono da anni nelle Commissioni parlamentari e si ricorda l’iniziativa sui “DICO” del Governo Prodi nel 2006/2008 alla quale fece seguito il “Family day”, organizzato dagli oppositori a tale progetto di regolamentazione dei rapporti tra coppie monogame o eterologhe, ma non unite in matrimonio. Le discussioni su questioni sensibili come quelle sull’etica della famiglia, non sono facili: il sistema giuridico non può, però, fingere di ignorarle, lasciando il campo alla funzione suppletiva della giurisprudenza. Una giurisprudenza che, come nel caso delle sentenze di cui abbiamo detto all’inizio, fa da battistrada all’innovazione, ma rischia di creare confusione in un sistema come il nostro che non si basa sul “common law”, cioè sulle sentenze come fonte del diritto.

            Per concludere. Il significato etico della famiglia come emerge dagli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione non può essere sacrificato sull’altare del modernismo: occorre trovare il giusto equilibrio tra i principi sui quali si fonda la nostra organizzazione statuale e ciò che la società plasma di giorno in giorno con la sua evoluzione culturale. I diritti ereditari, i rapporti economici, il diritto alla casa, alla solidarietà personale tra conviventi, non sono argomenti da considerare diversamente a seconda che siano stati -o meno – ratificati dall’ufficiale d’anagrafe.

            Lasciate a chi scrive di credere fermamente nella famiglia tradizionale e di continuare a considerare poetica la descrizione che di essa emerge dalla Carta costituzionale: il matrimonio ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi; il dovere e diritto dei genitori a mantenere, istruire ed educare i figli. Consentitegli di rileggere, insieme a voi, l’articolo 143 del Codice Civile, sintesi encomiabile di principi etici e regole civilistiche; una norma creata da un grande legislatore: “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”. Ma lasciate a chi scrive di chiedersi se le stesse regole non riguardino anche il caso di chiunque voglia costruire insieme ad un altro un sentiero di vita comune; di ricordare con simpatia quel motivetto che dall’inizio di queste note gli frulla per la mente, insieme al vestito bianco di Modugno nella affollata piazza di paese, in una calda serata di giugno. Il nostro anniversario, non è sul calendario…

[1] Cassazione civile, sez. I, 19/08/2015, n. 16909. “L’accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può racchiudere ulteriori pattuizioni, distinte da quelle che integrano il suo contenuto tipico e che ad esso non sono immediatamente riferibili: si tratta di quegli accordi che sono ricollegati in via soltanto estrinseca con il patto principale, relativi a negozi i quali, pur trovando la, loro occasione nella separazione consensuale, non hanno causa in essa, risultando semplicemente assunti “in occasione” della separazione medesima, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, ma costituendo espressione di libera autonomia contrattuale al fine di regolare in modo tendenzialmente completo tutti i pregressi rapporti, e che sono del tutti leciti, secondo le ordinarie regole civilistiche negoziali e purché non ledano diritti inderogabili. In particolare, l’accordo mediante il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano la vendita a terzi del bene immobile (e, segnatamente, come nella specie, di quello che costituisce la casa familiare) e l’attribuzione del ricavato pro parte a ciascun coniuge, in proporzione del denaro che abbia investito nel bene stesso, dà vita ad un contratto atipico, il quale, volto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 1322 c.c., è caratterizzato da una propria causa, rispondendo ad un originario spirito di sistemazione, in occasione dell’evento di separazione consensuale, dei rapporti patrimoniali a pure maturati nel corso della convivenza matrimoniale”.

            [2] Cass. Sez. III, 3/12/2015 n. 24621. “L’accordo delle parti in sede di separazione o di divorzio (e magari quale oggetto di precisazioni comuni in un procedimento originariamente contenzioso) ha natura sicuramente negoziale, e talora dà vita ad un vero e proprio contratto (Cass. n. 18066/2014; Cass. n. 19304/2013; Cass. n. 23713/2012). Ma, anche se esso non si configurasse come contratto, all’accordo stesso sarebbero sicuramente applicabili alcuni principi generali dell’ordinamento come quelli attinenti alla nullità dell’atto o alla capacità delle parti, ma pure alcuni più specifici (ad es. relativi ai vizi di volontà”.

            Vincenzo Rizza                      Lpt                  27 dicembre 2015

www.laleggepertutti.it/107261_patti-prematrimoniali-rapporti-tra-etica-sentimenti-e-diritto

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SINODO SULLA FAMIGLIA

                        Mons. Semeraro: fondamentale passare dalla morale della legge a quella della persona.

            Mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano, è stato padre sinodale di nomina pontificia, nonché, sempre per nomina pontificia, membro della Commissione incaricata di redigere il documento finale del Sinodo. La sua, quindi, è una posizione privilegiata per poter dare una lettura del lavoro svolto. Come informa l’agenzia SIR monsignor Semeraro ha dato alle stampe un libretto – “Il Sinodo sulla famiglia raccontato alla mia Chiesa” – da lui redatto a pochi mesi dalla conclusione del Sinodo. Nello scritto, che riprende un discorso tenuto dal vescovo al presbiterio diocesano alla fine di ottobre, viene analizzata soprattutto la Relatio finale. In particolare si mettono in rilievo alcuni punti importanti rispetto al dibattito che ha attraversato il cammino sinodale in questi ultimi due anni.

            Secondo Semeraro è fondamentale il “passaggio dalla morale della legge alla morale della persona”. “A me pare”, dichiara il vescovo, “che sia tra le cose più rilevanti di questo Sinodo; fra quelle su cui il Sinodo si è impegnato, facendone così una proposta al Papa. La questione, in breve, non è solo di singole questioni, ma prima ancora d’impostazione della teologia morale”.

            Nella “Relatio ci sono delle cose che sono state lasciate ‘fuori’ testo per diverse ragioni. Talvolta perché non ancora da tutti ritenute mature; altre volte perché solo parzialmente pertinenti all’argomento generale del Sinodo (si pensi al tema specifico delle persone omosessuali, al n. 76 inserito nel contesto più ampio della famiglia); altre volte perché volutamente lasciate ‘aperte’ al fine di affidarle al magistero petrino, ma sufficientemente chiare perché vi si riconosca una direzione (cfr n. 85)”.

            A proposito del documento papale che dovrebbe essere pubblicato in tempi abbastanza brevi, secondo Semeraro, “pare evidente che, quando sarà scritto, alcune cose dovrebbero esservi incluse, perché auspicate dalla stessa Relatio. Almeno due: l’indicazione di criteri per il discernimento nelle diverse situazioni matrimoniali; la verifica circa l’opportunità o meno di conservare alcuni ‘divieti’ per i fedeli divorziati risposati in vista di una loro più chiara integrazione nella vita della Chiesa.”

            Infine sono due i punti teologici che il vescovo di Albano ritiene importanti per l’approfondimento teologico: “quella (di non facile soluzione) sul come e quanto la fede sia una condizione per il matrimonio sacramentale”, e qui il riferimento è al Motu proprio per la dichiarazione della nullità matrimoniale da poco entrato in vigore; e poi rimane “da approfondire e meglio articolare il rapporto matrimonio, Eucaristia e Chiesa”, in questo caso si tratta di una questione che è direttamente connessa al dibattito sul possibile accesso dei divorziati risposati civilmente alla Eucaristia.

Sinodo 2015.              14 dicembre 2015

http://sinodo2015.lanuovabq.it/mons-semeraro-fodamentale-passare-dalla-morale-della-legge-a-quella-della-persona

 

Sacramenti ai divorziati risposati, la regola del caso per caso

La relazione finale dell’ultimo Sinodo sulla famiglia, al paragrafo 85, com’è ormai noto, parla di «accompagnamento» e di «discernimento» a proposito dei divorziati risposati, essendo evidente che storie e situazioni non sono tutte uguali. Nel documento non si parla esplicitamente di accesso al sacramento dell’eucaristia: ciò ha permesso ad alcuni di affermare che in quel testo non esiste alcuna indicazione o via da percorrere per la riammissione caso per caso, ad altri di dichiararsi delusi perché certe proposte di apertura non sono state approvate.

È interessante leggere ora un saggio del vescovo di Albano Marcello Semeraro, intitolato «Il Sinodo della famiglia raccontato alla mia Chiesa» (edizioni MiterThev), con il quale il prelato, che ha partecipato ai lavori sinodali ed è stato tra i relatori del documento finale, comunica ai suoi sacerdoti e ai suoi fedeli l’esito dell’ultima assemblea dei vescovi. Nel saggio Semeraro insiste sul «primato della grazia (che è come dire della misericordia)», il quale «implica l’attenzione primaria alle persone, nella singolarità e non-omologabilità delle loro storie, del cammino di vita di ciascuna, con le sue ferite e le sue miserie, cui sono rivolti gli occhi di Dio. Sono occhi della misericordia, che non guardano prima di tutto alla legge, per giustificare o incolpare, ma alla persona, per curare e sanare».

Il vescovo di Albano, teologo dogmatico, osserva: «Questo passaggio dalla morale della legge alla morale della persona è di fondamentale importanza. A me pare che sia tra le cose più rilevanti di questo Sinodo; fra quelle su cui il Sinodo si è impegnato, facendone così una proposta al Papa. La questione, in breve, non è solo di singole questioni, ma prima ancora d’impostazione della teologia morale». A proposito della riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti, Semeraro scrive: «Il Sinodo si è astenuto dal proporre al Papa in forma semplicemente teorica e astratta la questione specifica della possibilità di ammissione ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia dei fedeli battezzati che vivano coniugalmente in condizione di civilmente divorziati risposati. Ha chiesto di accostarsi alla persona. Non ha, tuttavia, aggirato il problema, ma ha posto le basi per una soluzione già col fatto di avere inserito la questione circa il discernimento d’imputabilità proprio nei numeri che li riguardano direttamente».

Particolarmente interessanti, a questo riguardo, sono le note che corredano l’intervento del vescovo di Albano. In una di queste (32), Semeraro annota: «Sarà chiaro, in ogni modo, che le soluzioni “in foro interno” non sono per nulla identiche alla semplice “decisione di coscienza”, che riguarda esclusivamente il singolo (o, nel caso, la coppia) davanti a Dio; ne vanno, anzi, ben oltre». Per evitare i «rischi sia di una privatizzazione indebita dell’accesso all’eucaristia, sia di un dualismo fra oggettività dottrinale e soggettività morale» risulta «importante, perciò la precisazione che quanto avviene nel “foro interno”, inteso in senso proprio, è un vero processo (”foro”) che si svolge nell’ambito sacramentale (”interno”), ossia nel sacramento della riconciliazione e penitenza) che vede coinvolti un fedele e un ministro autorizzato della Chiesa». Nella nota successiva (33), il vescovo ricorda che «la soluzione proposta» dal documento finale del Sinodo «è di fatto coincidente con quanto, durante il pontificato di Paolo VI, fu affermato dalla Sacra congregazione per la dottrina della Fede». Il riferimento è alla lettera «Haec Sacra Congregatio» dell’11 aprile 1973 sull’indissolubilità del matrimonio, nel cui paragrafo finale si legge: «Per quanto riguarda l’ammissione ai sacramenti gli ordinari del luogo vogliano, da una parte, invitare all’osservanza della disciplina vigente nella chiesa, e, dall’altra, fare in modo che i pastori delle anime abbiano una particolare sollecitudine verso coloro che vivono in una unione irregolare, applicando nella soluzione di tali casi, oltre ad altri giusti mezzi, l’approvata prassi della Chiesa in foro interno». Questa risposta della Congregazione, approvata da Papa Montini, venne confermata dalla lettera del 21 marzo 1975 inviata dal Segretario dell’ex Sant’Uffizio Jean Jérôme Hamer all’arcivescovo di Chicago Joseph Louis Bernardin, all’epoca presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti.

È interessante notare come nel documento della Congregazione per la dottrina della fede, approvato da Paolo VI, si parli esplicitamente dell’ammissione ai sacramenti per chi vive «in una unione irregolare» e dell’applicazione dell’«approvata prassi della Chiesa in foro interno». Senza però l’aggiunta di ulteriori specificazioni o restrizioni. Chi ritenne di aggiungere la clausola dell’impegno a vivere «in piena astinenza», fino a quel momento assente, fu Giovanni Paolo II, nell’omelia per la chiusura del VI Sinodo dei vescovi (25 ottobre 1980). Com’è noto la stessa clausola venne poi inserita da Papa Wojtyla nel n. 84 dell’enciclica «Familiaris consortio», dove peraltro lo stesso Pontefice riproponeva l’importanza del discernimento delle diverse situazioni, con parole citate anche nel documento finale dell’ultimo Sinodo: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido».

Il vescovo Semeraro ricorda a questo proposito come il teologo moralista Bernhard Häring aveva fatto a suo tempo notare l’origine di quell’impegno a vivere in astinenza. «Nella prassi preconciliare – scriveva Häring nel 1990, nel suo libro “Pastorale dei divorziati” – i sacerdoti che si erano sposati, violando la legge del celibato e venendo meno alla loro promessa, potevano essere assolti soltanto se, assieme alla madre dei loro figli (la donna sposata con matrimonio civile), rinunciavano effettivamente a ogni rapporto coniugale ed erano disposti a vivere “da fratello e sorella”». L’impegno alla «totale astinenza» dai rapporti sessuali era dunque applicata fino al Concilio per quei sacerdoti che dopo essersi impegnati a vivere il celibato, avevano avuto dei figli e si erano sposati civilmente per garantire la prole, in un tempo in cui essere figli «illegittimi» comportava pesanti conseguenze. La clausola restrittiva della totale astinenza come condizione perché i divorziati risposati possano accedere ai sacramenti, che non era presente nei pronunciamenti della Congregazione per la dottrina della fede durante il pontificato di Paolo VI, «per quanto ripetuta in testi successivi» dopo l’enciclica «Familiaris consortio», è ora «omessa dalla Relatio finalis del Sinodo – scrive monsignor Semeraro – Secondo un procedimento proprio della riflessione teologica, questa scelta è una modalità per lasciare “aperto” un testo, che il Sinodo ha voluto affidare a un nuovo discernimento del Sommo Pontefice».

Andrea Tornielli        “La Stampa-Vatican Insider”           22 dicembre 2015

www.lastampa.it/2015/12/22/vaticaninsider/ita/vaticano/sacramenti-ai-divorziati-risposati-la-regola-antica-del-caso-per-caso-6zmWlhEeen3KptmtJEg6KN/pagina.html

 

                                                   Inchiesta sui cattolici al tempo di papa Francesco.

                                                   Intervista al sociologo Marco Marzano.

Un viaggio fra i cattolici al tempo di papa Francesco. Lo ha compiuto Marco Marzano, docente di sociologia all’università di Bergamo e autore di diverse monografie sul mondo cattolico per il Fatto Quotidiano: dieci puntate pubblicate sul quotidiano diretto da Marco Travaglio che hanno percorso in lungo e in largo la Chiesa e il mondo cattolico, non avvalendosi di statistiche ufficiali ed ufficiose o di studi e ricerche più o meno serie e attendibili, ma recandosi direttamente sul posto, nelle parrocchie, nei seminari, nei gruppi, nelle sacrestie, incontrando parroci, seminaristi, religiose, laici impegnati, famiglie, coppie, persone divorziate, omosessuali. Il risultato è un affresco a colori vivi della Chiesa cattolica reale al tempo di papa Francesco, diventato ora anche un volume (Inchiesta sui cattolici al tempo di Francesco, euro 2,50) uscito a partire dal 18 dicembre insieme al Fatto Quotidiano.

«Il progetto – spiega Marzano ad Adista – nasce dal desiderio di raccontare l’evoluzione del cattolicesimo italiano al tempo di Francesco, lontano dai palazzi e dai suoi intrighi. Andando quindi nelle periferie cattoliche per descrivere la situazione reale della Chiesa italiana di base. Dando voce a delle “storie minori”, cioè alle narrazioni di persone sconosciute, la cui vicenda viene raccontata nella prima parte di ciascuno dei dieci microsaggi». Molte questioni affrontate nella tua inchiesta sono state fra i temi di cui si è discusso al Sinodo dei vescovi sulla famiglia concluso nello scorso mese di ottobre. A cominciare dal nodo dei divorziati riposati.

Cosa è emerso dalla tua indagine?

Soprattutto l’anacronismo di una norma che considera il divorzio fonte del massimo degli scandali. Nelle nostre società, i peccati percepiti come principali e più gravi sono certamente altri. Su questo come su altri temi la Chiesa sembra non voler cedere al primato della coscienza individuale sulla norma ecclesiale. Nella realtà, la tolleranza verso i divorziati è molto ampia e la sfiducia verso la norma lo è ancor di più: che l’esclusione dei divorziati dalla comunione sia conseguenza di una legge giusta non ci crede più quasi nessuno. Nondimeno anche qui, come in altri campi, la sofferenza delle persone escluse è reale.

L’inchiesta parte da una storia di vita.

Si tratta di una coppia di divorziati risposati che nella loro prima unione stavano con persone lontanissime dalla Chiesa e dalla vita religiosa. È proprio incontrandosi che hanno invece riscoperto l’importanza e la bellezza di un sincero percorso spirituale. Ed è però proprio ora che ne sono esclusi.

Una storia davvero paradossale. Per quanto riguarda le persone e le coppie omosessuali è invece tutto più chiaro?

I singoli fedeli gay sono talvolta accolti e talvolta no, le coppie non sono accolte mai. L’omosessualità non è mai ufficialmente riconosciuta come una tendenza compatibile con la formazione di un nucleo familiare. Su questo abbiamo ricevuto alcune lettere belle, intense e drammatiche. Una difficoltà ulteriore nell’affrontare tale questione nasce dal fatto che, se lo facesse, la Chiesa dovrebbe fare i conti anche con un suo gigantesco problema interno: quello dell’omosessualità del clero.

In questa inchiesta hai affrontato anche il nodo del celibato ecclesiastico.

E si è scatenato un vero e proprio putiferio. Ho ricevuto decine di lettere – diverse delle quali sono pubblicate nel libro –, il pezzo è stato messo sul mio blog e lì ha ricevuto un’infinità di commenti. Lo stesso è avvenuto su Facebook. Migliaia di condivisioni e commenti, molti agguerriti e aggressivi. Ho riflettuto su quel che è avvenuto e ho compreso una cosa che non mi era chiara: e cioè che la purezza sessuale dei preti è, per molti, un elemento davvero decisivo della loro sacralizzazione e dunque della santità della Chiesa. Per tanti credenti, la Chiesa è santa se il clero è casto, cioè se mantiene fede alla promessa di non avere una propria vita sessuale e affettiva, e quindi in questo modo e per questa via, assomiglia a Gesù, diventa semidivino. C’è bisogno di rifletterci ancora e a lungo.

In questo scenario come ti sembra che si stia muovendo papa Francesco?

Difficile a dirsi. Sembra di intuire una volontà riformatrice che però fatica a tradursi in decisioni concrete. Il terreno forse più promettente è quello dei divorziati, sul quale ha lavorato il Sinodo sulla Famiglia e che dovrebbe essere oggetto di una prossima esortazione apostolica. Sugli altri mi sembra che tutto taccia. Sull’omosessualità il Sinodo non ha fatto nessun passo in avanti, nemmeno timido. Idem per quanto riguarda le donne. Anche la sola idea del diaconato femminile non ha riscosso nessun consenso. La Chiesa cattolica fatica a riformarsi e reagisce ad ogni alito di novità con un ulteriore irrigidimento. In questa situazione, molto spesso i fedeli fanno da soli e si scoprono capaci di autonomia e di intelligenza, comprendono di non avere così tanto bisogno delle gerarchie per vivere una vita cristiana piena e soddisfacente, all’insegna di quell’autenticità così importante per noi “moderni”.

Luca Kocci                                Adista notizie – n. 45, 26 dicembre 2015  www.adista.it/articolo/55793

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SPIGOLATURE

Il vero amore consiste nel tacere la verità anche quando ti viene offerta l’occasione perfetta per ferire i sentimenti dell’altro.

David Sedaris

Il sapere dei bambini mostra che c’è un limite al sapere, che non si può sapere tutto il sapere.

E il mistero stesso della loro esistenzafa risuonare questo limite. C’è un impossibile da sapere che i bambini sanno custodire con cura perché sanno di essere figli, cioè di non poter bastare a se stessi. Loro sanno che senza l’Altro sprofonderebbero nella notte più fredda. Sanno bene che solo l’amore dell’Altro può dare fonda­mento al carattere infondato del mondo.

Per questo la parola evangelica affida proprio a loro il destino del Regno.

Massimo Recalcati

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Congresso nazionale 2016 ad Oristano.

Il prossimo congresso si terrà in Sardegna, a Oristano, da venerdì 2 a domenica 4 settembre 2016. Sono invitati gli operatori dei consultori familiari pubblici e del privato sociale e quanti si interessano della famiglia e dei servizi a lei dedicati. Il congresso tratterà della “Famiglia crocevia di differenze e il ruolo che il consultorio può assumere sia sotto il profilo gestionale che educativo”.

Entro fine gennaio 2016 sarà reso noto il programma definitivo.

L’assemblea dei consultori Soci dell’Unione si terrà venerdì 2 settembre 2016.

Voglio approfittare di questa occasione per inviare a tutti voi i più cari auguri per un Santo Natale.

Francesco Lanatà, presidente                      14 dicembre 2015

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Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus- UCIPEM ONLUS – 20135 Milano-via S. Lattuada, 14.

Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea

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