UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
newsUCIPEM n. 574 –29 novembre 2015
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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ADOTTABILITÀ No, se i nonni sono disposti a prendersene cura.
ASSEGNO DI MANTENIMENTO Niente assegno all’ex moglie che non lavora per “pigrizia”.
Figlio disconosciuto. Va sospeso l’assegno di mantenimento.
CASA FAMILIARE No alla figlia se era stata prestata dai nonni e restituita dal padre.
CHIESA CATTOLICA La Chiesa italiana dopo Firenze. La sinodalità dimezzata.
COGNOME Come fare per aggiungere o sostituire il cognome materno?
CONSULTORI Familiari UCIPEM Faenza. Corso x migliorare la conoscenza di sé stessi e le relazioni.
Milano 1.On line la rivista La Casa e calendario delle iniziative.
Senigallia. Inaugurazione sede del Consultorio a Serra de’ Conti.
CONTRACCEZIONE Pillola: i falsi miti sulla contraccezione ormonale.
CONVIVENZA Separazione: a che età i figli scelgono il genitore con cui vivere?
DALLA NAVATA 1° domenica d’avvento – anno C – 29 novembre 2015.
FAMIGLIA Meno sentenze e più leggi doc per la famiglia.
FORUM ASS.ni FAMILIARI Un saluto che è un arrivederci nel comune servizio alla famiglia.
Cambia il vertice del Forum
Gianluigi De Palo eletto Presidente nazionale.
GRAVIDANZA Diagnosi prenatale, test “made in Italy”.
INFERTILITÀ Un nuovo kit per scoprire l’infertilità.
ISTAT Natalità e fecondità della popolazione residente: anno 2014.
SCIENZA & VITA Crollo delle nascite: urgenza di politiche a sostegno maternità.
SEPARAZIONE Come ci si separa o divorzia in Comune gratis senza avvocato.
SINODO DELLA FAMIGLIA Un buon parroco e 270 vescovi sintonia che non sorprende.
Ipotesi. Un rescritto che autorizzi la comunione.
Un Sinodo del popolo di Dio. La proposta dei superiori generali.
UNIONI CIVILI Separazione e assegni familiari.
VIOLENZA Contro la violenza sulle donne un appello alle chiese cristiane.
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ADOTTABILITÀ
Non adottabile il minore abbandonato se i nonni sono disposti a prendersene cura.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 23979, 24 novembre 2015.
Non va dichiarato lo stato di adottabilità del minore se i nonni sono disponibili e considerati idonei a prendersi cura di lui. La Corte di Cassazione con la sentenza (allegata) ha così accolto il ricorso dei nonni paterni di due minori abbandonati dai genitori biologici, tossicodipendenti e affetti da patologie di carattere mentale. Già una prima volta la Suprema Corte aveva cassato la sentenza del giudice d’Appello che erroneamente aveva dichiarato lo stato di adottabilità dei bambini, omettendo di valutare l’idoneità dei nonni paterni (Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 18194, 16 settembre 2015) provvedere all’assistenza e alla cura dei nipoti, violando così il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia. La questione ritorna dinnanzi ai giudici di Piazza Cavour dopo un’ulteriore sentenza negativa emessa dal giudice del gravame, fondata sulla sentenza, passata in giudicato, con cui si è definitivamente accertato che uno dei minori non è loro nipote biologico.
Su quest’assunto, la corte territoriale ha ritenuto che la coppia non fosse giuridicamente legittimata a prendersi cura del bambino e, per quanto riguarda il nipote biologico, l’affidamento ai nonni avrebbe comportato una separazione traumatica dal fratello considerato il forte legame esistente tra i due. Gli Ermellini chiariscono che “il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d’origine comporta che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità sia praticabile solo come ‘soluzione estrema’ per cui, soltanto nell’ipotesi in cui, a prescindere dagli intendimenti dei genitori e dei parenti, ed in particolare dei nonni, la vita da loro offerta a quest’ultimo risulti inadatta al suo normale sviluppo psico-fisico, ricorre la situazione di abbandono ai sensi dell’art. 8 della L. n. 184 del 1983”.
Non può, per i giudici, dubitarsi delle dimostrazioni di attaccamento e d’affetto poste in essere dai predetti coniugi in un lungo arco di tempo nei confronti di un bambino del quale pure avevano motivo di dubitare fosse loro nipote. Ciò manifesta “una forte carica di generosità e di affettività” in capo ai medesimi, nonché un’apprezzabile capacità di relazionarsi con i minori. Tale rilievo non rappresenta un elemento negativo nella valutazione circa l’idoneità dei ricorrenti a prendersi cura del loro nipote, come sostenuto dalla Corte d’Appello che aveva tacciato di “leggerezza” il comportamento della coppia, avendo essi inglobato anche il fratello nella propria famiglia (nonostante il sospetto che non fosse loro nipote) sottovalutando le conseguenze della propria azione per quanto riguarda l’evenienza di un trauma da distacco. Al contrario, la Corte territoriale avrebbe dovuto far rilevare tale elemento ai fini di una prognosi positiva del giudizio circa la loro idoneità. Pertanto, la sentenza nella quale si richiedeva al giudice di rinvio un rigoroso e specifico accertamento sul punto, appare in contrasto con quanto stabilito dalla Cassazione nella sentenza di rinvio.
La ribadita e seria disponibilità dei nonni a prendersi cura del minore, quali figure sostitutive dei genitori, può valere ad integrare, se concretamente accertata e verificata, il presupposto giuridico per escludere la situazione di abbandono e quindi la dichiarazione di adottabilità del medesimo, mentre non rileva, di per sé, l’esigenza di non separare i fratelli minori, non concretando detta esigenza un presupposto giuridico previsto dalla norma suindicata.
Tuttavia, per quanto riguarda il nipote non biologico, la Corte chiarisce che “in tema di adozione, la valutazione della situazione di abbandono del minore ai fini della dichiarazione dello stato di adottabilità si estende (per espressa scelta legislativa) solo ai parenti fino al quarto grado”. I soggetti estranei alla famiglia hanno facoltà di proporre l’ordinaria domanda per l’adozione del minore (ex art. 7 L. 184 del 1983) o di avvalersi degli altri istituti previsti dalla legge.
Lucia Izzo studio Cataldi 28 novembre 2015
www.studiocataldi.it/articoli/20151-cassazione-non-adottabile-il-minore-abbandonato-se-i-nonni-sono-disposti-a-prendersene-cura.asp
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
Niente assegno all’ex moglie che non lavora per “pigrizia”.
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 24324, 27 novembre 2015.
Per la Cassazione, la capacità lavorativa della donna e il reddito derivante dall’immobile in affitto ne escludono i presupposti. Può dire addio all’assegno divorzile la moglie che si trova nel pieno delle capacità lavorative e in più vanta un reddito proveniente da un canone di locazione di un immobile di proprietà. Lo ha sancito la Cassazione (allegata), ribadendo la “linea dura” sul mantenimento all’ex coniuge che ormai sta prendendo sempre più piede all’interno della giurisprudenza (sia di legittimità che di merito).
Per gli Ermellini, il ricorso dell’ex moglie avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna che, pronunciando la cessazione del matrimonio, annullava la pronuncia del giudice delle prime cure che aveva previsto in suo favore (a carico del marito) un assegno mensile di 300 euro, è inammissibile. A nulla valgono, le doglianze della donna che lamentava l’impossibilità di mantenere con i propri redditi il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, dato che il divorzio le aveva sottratto la principale fonte di apporto economico. A detta della donna, la disparità dei redditi rispetto al marito, che guadagnava 35mila euro l’anno, era evidente, posto che lei viveva invece soltanto con i 350 euro derivanti dall’affitto di un monolocale acquistato con la liquidazione della quota di comproprietà dell’appartamento coniugale, e per di più era disoccupata e non in grado di trovare un’attività lavorativa, data “l’oggettiva penuria di lavoro” riscontrabile nella sua regione, la Campania, dove era tornata a vivere dopo aver perso il precedente lavoro, a Forlì.
Ma per la sesta sezione civile, la donna ha torto su tutta la linea. L’accertamento del diritto all’assegno divorzile, ha affermato infatti la S.C. “va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso”. E, nel caso di specie, ha concluso la Corte, il divario dei redditi percepiti dalla donna rispetto a quelli del marito non è certo imputabile “ad oggettive difficoltà di reperimento di un lavoro” che non possono ritenersi provate soltanto in ragione dell’attuale luogo di residenza, tanto più che la stessa non aveva risposto alla chiamata dell’ufficio di collocamento di Forlì. Senza contare, che la donna non era del tutto sfornita di capacità reddituale, in quanto non solo percepiva un canone di locazione ma era anche proprietaria di un immobile ereditato dalla madre. Per cui addio assegno e ricorso rigettato.
Marina Crisafi StudioCataldi.it 29 novembre 2015
Figlio disconosciuto. Va sospeso l’assegno di mantenimento.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 23973, 24 novembre 2015
L’intervenuto accertamento giudiziale dell’assenza di qualsiasi reale rapporto di filiazione rende privo di ogni giustificazione il successivo proseguirsi di ogni tipo di contribuzione di mantenimento fondata proprio su tale insussistente qualità di figlio.
Studio Legale Sugamele 25 novembre 2015 www.divorzista.org/sentenza.php?id=10914
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CASA FAMILIARE
Niente casa familiare alla figlia se era stata prestata dai nonni e restituita dal padre dopo la separazione.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 23978, 24 novembre 2015.
Finita l’esigenza familiare il comodato può essere revocato. Gli zii inoltre non sono tenuti a mantenere la nipote. Va restituita ai suoceri, proprietari, la casa data in comodato solo per le esigenze familiari se queste vengono meno. Per cui la figlia non può reclamare dal padre l’immobile. È quanto ha stabilito la prima sezione civile della Cassazione con la sentenza (allegata) respingendo il ricorso di una ragazza che aveva trascinato in giudizio il padre chiedendogli i danni morali per violazione dei doveri genitoriali, proponendo altresì domanda di assegnazione dell’ex casa coniugale, di proprietà dei nonni paterni, ripristinando il comodato e fondando anche tale richiesta a titolo di mantenimento e/o risarcitorio nei confronti del padre inadempiente.
Ma per gli Ermellini le doglianze sono inammissibili. Il rapporto di comodato, hanno osservato infatti, “riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c., che si instaura tra il comodante e uno dei coniugi, perché l’immobile venga adibito a casa coniugale, sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile “per relationem”, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniugale. Tale rapporto è destinato, pertanto, a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile”.
Nella vicenda, la stessa giovane afferma che la casa era di proprietà della nonna paterna che l’aveva data in comodato al figlio affinché la utilizzasse come abitazione coniugale e che tale comodato era stato risolto dopo la separazione del medesimo dalla moglie. Per cui, il padre, ha dedotto la S.C. “non potrebbe comunque assegnare la casa – alla figlia – attesa la risoluzione del comodato e la restituzione del bene alla legittima proprietaria”, trattandosi di un bene, appunto, del quale il genitore non può disporre.
Ma non solo. Sotto il profilo del mantenimento, la ragazza lamentava, di fronte a piazza Cavour, che il giudice di seconde cure aveva errato nel ritenere che le zie paterne, alle quali aveva chiesto il mantenimento in luogo del padre, dato lo “stato di povertà” in cui lo stesso versava, non fossero legittimate passivamente nel giudizio, poiché non assimilabili agli ascendenti ai fini del concorso al mantenimento della nipote non economicamente autosufficiente. Anzi, non vi è alcun dubbio, a detta della giovane, che le sorelle del genitore “siano tenute a sopperire a tale sua deficienza satisfattoria delle necessità della figlia”.
Anche in questo caso, però, i giudici della S.C. dissentono. L’art. 148 c.c., ricorda infatti la Cassazione, si riferisce “testualmente agli ‘ascendenti’ dei genitori del figlio da mantenere, stabilendo che essi siano tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”. Per cui, la disposizione non può che intendersi, “se non come riferita ai nonni del figlio da mantenere e non certo agli zii”. Costoro non sono, infatti, parenti in linea retta, ha concluso la Corte rigettando anche tale motivo “ai quali soltanto si attaglia il termine ‘ascendenti’, giacché trattasi di persone di cui l’una discende dall’altra – bensì in linea collaterale, in quanto, in relazione al nipote, pur avendo uno stipite comune, non discendono l’uno dall’altro”.
Marina Crisafi studio Cataldi 25 novembre 2015 Sentenza
www.studiocataldi.it/articoli/20144-cassazione-niente-casa-familiare-alla-figlia-se-era-stata-prestata-dai-nonni-e-restituita-dal-padre-dopo-la-separazione.asp
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CHIESA CATTOLICA
La Chiesa italiana dopo Firenze. La sinodalità dimezzata.
La parola chiave uscita dal Convegno ecclesiale di Firenze ha senso solo se vissuta dal basso. A partire dalla scelta dei delegati a questi appuntamenti. La Chiesa italiana torna a casa dopo il suo V Convegno ecclesiale nazionale con due certezze evidenti: l’essere stata “travolta”, teologicamente, pastoralmente e spiritualmente, dal discorso di papa Francesco, e dall’aver visto, ancora una volta, quanto il suo corpo vivo, cioè il laicato impegnato, più che le strutture e gli uffici pastorali, sia ancora la risorsa migliore, per qualità umana e dedizione al servizio, sul quale puntare nel prossimo futuro.
Al di là di un clima, rispetto ai precedenti Convegni nazionali, certamente operoso e dove tutti i delegati hanno potuto esprimere la propria opinione, mi sembra di poter dire che l’appuntamento decennale della Chiesa italiana abbia risentito e risenta, rispetto agli anni a venire, di almeno tre (s)nodi critici.
Cominciamo oggi dal primo. A sentire i relatori delle cinque vie e anche i delegati, l’apprezzamento generale è andato al metodo, più che al contenuto. Un metodo sinodale, dove i 2.200 delegati hanno potuto realmente partecipare “dal basso” attraverso una divisione, peraltro organizzata da un software, in vie, gruppi e tavoli di lavoro. Una piramide rovesciata dove ai tavoli di lavoro, costituiti in non più di dieci persone, i laici hanno dialogato insieme a vescovi e cardinali – alcuni pastori hanno avuto il coraggio di fare questo passo, mentre altri sono andati via il mercoledì mattina, subito dopo il discorso del papa, per poi ritornare il venerdì alle conclusioni del card. Bagnasco, e quindi evitando i tavoli -, per poi arrivare alle sintesi dei gruppi e infine alle relazioni finali sulle cinque vie. Insomma, una sinodalità ritrovata, almeno per la Chiesa italiana. Ma, siamo sicuri che questa sinodalità, sicuramente voluta e trovata a livello centrale e nel risultato finale, sia stata in realtà una sinodalità-corresponsabilità vissuta anche a livello periferico e di Chiese locali?
A me pare di no. Quello che abbiamo visto a Firenze è una sinodalità dimezzata. Dimezzata per il semplice fatto che il percorso di selezione dei delegati, ancora saldamente in mano ai vescovi diocesani, è stato vissuto ad personam dai vescovi stessi. In realtà la giunta del Comitato preparatorio aveva stilato alcune norme di comportamento per la scelta dei delegati: su tutte il fatto che non venissero a Firenze “i soliti noti”, cioè coloro che già avevano partecipato ad altri eventi nazionali, oppure che ci fosse una reale rappresentanza generazionale. Laddove queste mancanze sono state ravvisate, la giunta ha provato a raddrizzarle. Il tavolo dei giovani è stato voluto d’ufficio, e tanti delegati, espressione della Chiesa locale e nazionale, sono stati aggiunti all’ultimo momento. È il caso, ad esempio, della teologa Serena Noceti, fiorentina doc e rappresentante di quella teologia al femminile che tanto sta facendo per rinnovare, in maniera creativa, le motivazioni di una pastorale ferma da un po’ di anni, che non è stata chiamata dal suo vescovo ma fortunatamente invitata direttamente dalla segreteria della Cei. Ma, nonostante ciò, i vescovi, a sentire le lamentele provenienti da parecchie diocesi, hanno scelto chi gli pareva, prediligendo spesso i “fedelissimi”, e tutto quell’apparato di uffici diocesani che di fatto non fanno la pastorale, bensì la coordinano. Al lavoro delle associazioni, dei movimenti e dei gruppi e alle esperienze più significative del territorio si è dato più importanza, nella maggior parte dei casi, all’ufficio curiale, ai coordinatori dei dicasteri diocesani, a presbiteri e laici che spesso prestano il loro servizio, per ragioni d’ufficio, non in maniera volontaria.
Alla sinodalità fiorentina si è arrivati con una sinodalità-corresponsabilità della Chiesa locale dimezzata. È bene che la Chiesa italiana si interroghi sul perché. Un “perché” che si nasconde in un concetto della corresponsabilità tra gerarchia e laici che, al di là degli enunciati, non ha mai fatto breccia nel nostro tessuto ecclesiale. Uno stile di “ecclesia” che ha dimenticato presto le indicazioni del Concilio Vaticano II. Dove i consigli pastorali, salvando eroiche eccezioni, sono ancora degli organismi, benché solo consultivi, in mano a parroci che li utilizzano solo come espedienti tecnici “obbligatori” per esercitare ancora e meglio il loro potere ecclesiale più che il loro servizio spirituale. E dove i laici diventano spesso dei “soldatini” dediti a una manovalanza pastorale che invece aumenta le divisioni della comunità e la pochezza del servizio reso.
Al rischio della crescita della creatività spirituale che ogni comunità territoriale ha in sé e del dialogo franco tra gerarchia e laici molti pastori optano, volutamente, per la calma piatta di uno “status” ecclesiale che esige cieca obbedienza da parte dei laici e che forse solo oggi riusciamo a capirne i disastri e le mancanze.
La Chiesa italiana non può che ricominciare da qui. Da questa sinodalità realmente vissuta e partecipata. Senza questa non si va da nessuna parte.
Gianni Di Santo 17 novembre 2015 www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=2090
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COGNOME
Come fare per aggiungere o sostituire il cognome materno?
Al momento della nascita si può attribuire solo il cognome paterno ma si può chiedere al Prefetto di aggiungere quello materno o metterlo in sostituzione se sussistono motivazioni specifiche e meritevoli. Attualmente in Italia, al momento della nascita di un bimbo, è possibile attribuire solo il cognome paterno, fatta eccezione ovviamente per il caso in cui, al momento della registrazione dell’atto di nascita presso lo stato civile, sia noto solo il cognome della madre.
Secondo la Cassazione, tuttavia, se il bambino non viene riconosciuto contestualmente da entrambe i genitori, gli spetta il cognome di chi per primo ha effettuato il riconoscimento: il che vuol dire che, qualora a riconoscere per primo il bimbo sia stata la madre, è il cognome di quest’ultima che gli spetta e non è necessario aggiungere quello del padre [Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 16271, 27 giugno 2013].
Nonostante la condanna della Corte Europea dei diritti dell’uomo e i disegni di legge in materia [Proposta di legge approvata dalla Camera il 24.9.2014], l’Italia non si è ancora adeguata nel garantire ai genitori il diritto di dare al figlio il solo cognome materno. La ragione della difficoltà di intervento è molto chiara: la funzione identificativa del cognome coinvolge sia interessi strettamente legali alla personalità dell’individuo sia aspetti di carattere pubblicistico. Ne deriva che il legislatore dovrebbe bilanciare le aspettative e gli interessi dei singoli con tutte le esigenze del sistema legale e amministrativo. Concedere la possibilità di libera scelta del cognome materno potrebbe creare un vero e proprio “caos dell’albero genealogico” con problemi di identificazione dei soggetti e di individuazione della loro provenienza familiare (si pensi per esempio a fratelli con cognome diverso).
Per il momento l’ordinamento italiano resta ancorato ad un regime patriarcale per cui di fatto, al momento della registrazione dell’atto di nascita, non è possibile scegliere tra il cognome materno e quello paterno ma è quest’ultimo a prevalere automaticamente. Tuttavia, è sempre possibile chiedere in un momento successivo l’aggiunta del cognome materno o la sostituzione del cognome paterno con quello paterno. Di certo, attribuire valore al cognome materno solo in un momento successivo alla nascita rappresenta oggi un forte ostacolo al raggiungimento della parità tra uomo e donna, soprattutto se si considera che la madre interessata al cambio o all’aggiunta di cognome è costretta ad affrontare un procedimento burocratico [artt. 89 e ss. del DPR n. 396/2000] complesso che potrebbe anche concludersi con il rigetto della richiesta.
La richiesta di aggiunta/sostituzione del cognome deve essere presentata al prefetto della provincia del luogo di residenza del figlio o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. La modulistica con le indicazioni della documentazione da allegare sono disponibili sul sito ufficiale della prefettura competente secondo i criteri appena indicati. Se la richiesta riguarda figli minori, essa va normalmente presentata da entrambi i genitori. In caso di comprovati gravi motivi che non consentono la presentazione congiunta, ovvero quando appare evidente l’interesse del minore all’accoglimento della domanda, la medesima può anche essere presentata da un solo genitore.
La domanda deve chiaramente indicare le variazioni richieste, di sostituzione o di sola aggiunta, ed esporre obbligatoriamente le ragioni specifiche (per esempio madre famosa dalla quale è opportuno ereditare il cognome, forte legame affettivo tra madre e figlio). Le motivazioni sono infatti essenziali al fine di valutare la meritevolezza della richiesta, l’eventuale conflitto con situazioni giuridiche facenti capo a terzi o ancora per verificare che non vi siano contrastanti esigenze di pubblico interesse. Ciò in quanto l’istante non ha un diritto soggettivo al cambiamento del nome e/o cognome, trattandosi sempre di un provvedimento soggetto a discrezionalità amministrativa [Ministero dell’Interno, circolare n. 14/2012]. In altri termini, il prefetto può discrezionalmente ritenere le motivazioni non adeguate e rigettare la richiesta. Il provvedimento di diniego è comunque impugnabile con ricorso al giudice.
Se invece il Prefetto accoglie la richiesta perché ne ritiene meritevoli le motivazioni, i genitori vengono autorizzati con decreto a far affiggere all’albo pretorio del comune di nascita e del comune di attuale residenza un avviso contenente un riassunto della domanda. Il Prefetto, valutata la regolarità dell’affissione ed eventuali opposizioni, emana un decreto con cui concede l’aggiunta o il cambio di cognome.
Maria Monteleone Lpt 25 novembre 2015
www.laleggepertutti.it/105336_come-fare-per-aggiungere-o-sostituire-il-cognome-materno
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Faenza. Corso per migliorare la conoscenza di sé stessi e le proprie relazioni.
A gennaio 2016 parte un corso “per migliorare la conoscenza di sé stessi e le proprie relazioni”. Il titolo è già molto esplicativo ma ulteriori informazioni sul corso organizzato dal Consultorio Ucipem di Faenza e che si svolgerà lungo il 2016, potete trovarle sul sito web
https://famigliefaenza.wordpress.com/progettando-con/consultorio-ucipem
Milano 1 On line la rivista La Casa e calendario delle iniziative.
Rivista La casa – dicembre 2015.
- L’adolescente in Consultorio
- Crescere con i propri figli
- Affido e affiancamento familiare
- Diventare figlio attraverso l’adozione
- La gioia di essere famiglia. Festa della sede di Imola
- I progetti di Cooperazione internazionale
Calendario con le proposte, del nuovo anno, di corsi e gruppi per accompagnare la genitorialità adottiva: gruppi per coppie in attesa, per genitori adottivi e figli, per nonni, gruppi di lingua bulgara e spagnola.
Percorsi nell’attesa: cicli monotematici di 3 incontri per coppie in attesa di adozione
P1 – Uno per tutti, tutti per uno! L’adozione di fratelli dr Chiara Righetti
P2 – Emozionando. Come aiutare i bambini ad esprimere e gestire le emozioni. dr Chiara Righetti
P3 – I bambini hanno paura e noi? Che cosa spaventa i futuri genitori adottivi? Special needs, lutto e perdita,
Facebook e la ricerca delle origini dr Chiara Righetti e dr Chiara Recupero
P4 – Storie di maltrattamenti e abuso. Accogliere in adozione bambini che hanno vissuto queste esperienze dr Chiara Righetti e dr Chiara Recupero
P5 – Sono grande, di che cosa ho bisogno? L’adozione di bambini grandicelli dr Chiara Righetti
Laboratori: cicli di 2 incontri per coppie in attesa di adozione: dr Viviana Rossetti
L1 – Adozione e Social Media (per coppie in attesa). Affrontare la storia adottiva ai tempi di Facebook
L2 – I primi mesi insieme. Il percorso per diventare genitori
L3 – Favolando. Le favole nell’adozione
L4 – Adozione e scuola. Integrazione scolastica e sociale
L5 – Adozione e Social Media (post-adozione). Affrontare la storia adottiva ai tempi di Facebook
dr Viviana Rossetti
Gruppo Nonni: ciclo di 3 incontri per nonni adottivi e in attesa dr Daniela Sacchet
Spazio Adozione: incontri mensili per genitori e figli adottivi (6-12 anni) e coppie in attesa
dr Chiara Righetti e dr Chiara Recupero
Seconda genitorialità: ciclo di incontri per genitori in preparazione a una seconda adozione
dr Daniela Sacchet
Corso “Il bambino adottato in classe”. Corso per insegnanti. dr Daniela Sacchet
Gruppo per ragazzi e ragazze. Preadolescenti e adozione.
DMT mamma-bambino (7-10 anni)
Per migliorare il rapporto, gioire di un momento di confronto con altre mamme e bambini adottati.
dr Maria Gabriela Sbiglio
Spazio Migranti. Gruppo di attività di arte terapia e danza/movimento terapia e sostegno alle relazioni interpersonali aperto a tutte le nazionalità. dr Maria Gabriela Sbiglio
Per informazioni scrivere a info@istitutolacasa.it
www.istitutolacasa.it/showPage.php?template=news&id=111&id_field=news-eventi
www.istitutolacasa.it/showPage.php?saratml=75&template=istituzionale&id=7
Senigallia. Inaugurazione sede del Consultorio Familiare a Serra de’ Conti
È di prossimo avvio l’attività di Consultorio Familiare a Serra de’ Conti, grazie all’impegno congiunto del CIF locale e provinciale, dell’UCIPEM di Senigallia e dell’Amministrazione Comunale di Serra de’ Conti.
Sabato 5 dicembre alle ore 17 ci sarà l’inaugurazione della sede, in Via Garibaldi, 42, con l’intervento delle autorità religiose e civili. Saranno presenti il Vescovo Monsignor Giuseppe Orlandoni, il Parroco Don Emanuele Lauretani, il Sindaco Arduino Tassi, le Forze dell’Ordine e tutti i cittadini che accoglieranno l’invito a conoscere questa nuova realtà per Serra de’ Conti.
L’Amministrazione Comunale di Serra de’ Conti si è impegnata a fornire una sede adeguata per l’attività di Consultorio Familiare e a cofinanziare il corso di formazione per un Consulente Familiare del posto, riconoscendo in tale strumento un’opportunità di alto valore sociale.
L’intento che anima questa iniziativa è quello di promuovere in loco un servizio a difesa e a sostegno della Famiglia, in particolare delle madri, delle coppie e dei genitori in difficoltà, ma anche dei giovani e degli adolescenti e di tutti coloro che avvertono il bisogno di essere “ascoltati” e guidati verso possibili e opportuni percorsi di aiuto. Uno strumento a disposizione della Comunità per prevenire situazioni conflittuali, per facilitare i rapporti all’interno delle famiglie e nel contesto sociale, per risolvere disagi interiori, per contrastare e arginare ogni possibile forma di discriminazione e di violenza, in primis quella che spesso si consuma silenziosamente entro le mura domestiche.
www.viveresenigallia.it/index.php?page=articolo&articolo_id=566509
www.comune.serradeconti.an.it/Engine/RAServePG.php/P/3591100P0100/M/2500100P0101
http://www.parrocchiaportone.it/new/consultorio-familiare
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CONTRACCEZIONE
Pillola: i falsi miti sulla contraccezione ormonale.
Sono diversi i presunti effetti collaterali dei contraccettivi ormonali. Molte donne sono convinte che la pillola aumenti il rischio di cancro, faccia ingrassare, spenga l’appetito sessuale, riduca la fertilità e renda di pessimo umore. Di conseguenza, solo il 16% delle italiane ricorre ai contraccettivi ormonali. Tutte queste convinzioni, invece, non sono altro che “falsi miti”: diversi studi hanno dimostrato che la pillola ha, invece, effetti benefici sulla salute. Ed è proprio della necessità di sfatare le leggende legate alla contraccezione ormonale che si è discusso durante il Congresso Nazionale sulle terapie endocrino-ginecologiche, promosso dall’Università degli Studi di Brescia e dagli Spedali Civili di Brescia.
“Solo il 16% delle donne italiane, a dispetto del 21% delle altre donne europee, ricorre ai contraccettivi ormonali con tutti i rischi che ne conseguono: gravidanze indesiderate, anemia da flussi abbondanti, malessere mestruale, dolore e ridotta qualità della vita – spiega il dott. Alessandro Gambera, responsabile scientifico del convegno –. In realtà la donna possiede un organismo normalmente dotato di un’elevata quota di ormoni che varia a seconda delle fasi del ciclo, dell’età ed in caso di patologie. Gli ormoni, dunque, garantiscono la qualità di vita e il funzionamento delle normali attività biologiche, come la funzione sessuale e riproduttiva, lo stato di salute generale e dell’osso, le sopraffini qualità intellettive (memoria, capacità verbali, deduttive, sensibilità, vena artistica, ecc.). Gli ormoni sono quindi i migliori amici della donna! I contraccettivi ormonali non fanno altro che mimare i normali meccanismi di funzionamento fisiologico degli ormoni, quindi, in questo caso, la scienza copia la natura”.
Per demolire i luoghi comuni che circolano sugli effetti nocivi della pillola, la Società italiana della contraccezione (Sic) ha, quindi, stilato un decalogo che spiega l’infondatezza di molte convinzioni esistenti sulla contraccezione ormonale.
- La pillola non fa venire il cancro – Al contrario, può aiutare a prevenirlo. Diversi studi internazionali hanno dimostrato che l’assunzione del contraccettivo orale protegge dal tumore dell’ovaio, dal tumore del corpo dell’utero e dal tumore del colon retto. In generale, la protezione è proporzionale alla lunghezza del periodo di assunzione: più tempo si è fatto uso della pillola, minore è l’entità del rischio.
- La pillola può provocare il tromboembolismo venoso (Tev), ma il pericolo è molto basso – L’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) hanno confermato che la pillola aumenta il rischio di trombosi venosa, ma in termini numerici il rischio è basso: circa 10 volte meno di una gravidanza. Inoltre, il pericolo dipende dal tipo di progestinico, dalla dose e dal tipo di estrogeno presenti nel composto. Gli esperti invitano a non prescrivere contraccettivi ormonali alle donne predisposte allo sviluppo della malattia, come quelle con una storia familiare di trombosi o quelle affette da malattie della coagulazione.
- La pillola non riduce il desiderio sessuale – Al contrario, una scelta oculata del contraccettivo orale può favorirlo: alcune componenti della pillola riducono, per esempio, la secchezza vaginale. Inoltre, una sessualità scevra dalle preoccupazioni legate al rischio di una gravidanza indesiderata, può essere vissuta in maniera più soddisfacente e appagante.
- La pillola è adatta anche alle giovanissime – Per di più, i contraccettivi orali aiutano a contrastare le lesioni infiammatorie e non infiammatorie dell’acne facciale. Inoltre, riducono la produzione di ormoni maschili (androgeni) da parte dell’ovaio. Di conseguenza, limitano la perdita di capelli, la seborrea e la peluria indesiderata.
- La pillola può essere assunta anche in pre-menopausa – Protegge, infatti, dal tumore dell’ovaio. Ogni 5 anni di utilizzo il rischio diminuisce del 20%. Inoltre, questa protezione si mantiene fino a 20-30 anni dopo la sospensione. Spesso il cancro alle ovaie – il cui picco di incidenza è intorno ai 60-65 anni d’età – viene diagnosticato tardivamente a causa dell’assenza di sintomi: ecco perché la pillola costituisce un’importante opzione preventiva, soprattutto in fase di pre-menopausa.
- La pillola non riduce la fertilità – Quando si desidera una gravidanza, basta smettere di assumerla. Il ciclo mestruale tornerà ad avere le stesse caratteristiche “pre-trattamento”. La pillola non causa neppure eventuali malformazioni fetali, né può determinare un aumento degli aborti spontanei. Inoltre, i contraccettivi ormonali si sono dimostrati un’ottima arma per combattere l’endometriosi, patologia molto diffusa che può provocare infertilità.
- La pillola non peggiora l’umore – Alcuni studi, anzi, hanno dimostrato che i contraccettivi orali possono contrastare la sindrome premestruale severa, che provoca ansia, irascibilità, depressione, difficoltà nelle relazioni interpersonali.
- L’amenorrea (assenza del ciclo) che si può verificare durante l’assunzione della pillola non è pericolosa – Durante il trattamento con la pillola estro-progestinica il rivestimento epiteliale dell’utero è generalmente più sottile rispetto a un normale ciclo ovulatorio, appositamente per garantire l’effetto. Di conseguenza la perdita mestruale simulata dal preparato è ridotta. La mestruazione, inoltre, può essere eliminata con l’utilizzo di efficaci regimi estesi di contraccezione ormonale. Sebbene a molte donne l’amenorrea non piaccia, è stato dimostrato che essa provoca un beneficio in termini di anemia da carenza di ferro e un minor ricorso a interventi chirurgici. La pillola è una terapia medica dell’endometriosi e potrebbe contribuire a prevenirla.
- La pillola non fa ingrassare – Ormai esistono molti tipi di contraccettivi e la scelta di quello più adatto, da concordare con il proprio medico, permette di evitare la ritenzione idrica e l’accumulo di grasso indesiderato.
- Chi ha il ciclo mestruale irregolare non solo può prendere la pillola, ma ne trae beneficio – Il contraccettivo aiuta, infatti, a regolarizzare il ciclo mestruale, consentendo anche di conoscere con esattezza il giorno nel quale si verificherà il flusso mestruale.
Nadia Comerci il sole240re 23 novembre 2015.
www.salute24.ilsole24ore.com/articles/18278-pillola-i-falsi-miti-sulla-contraccezione-ormonale
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CONVIVENZA
Separazione e divorzio: a che età i figli scelgono il genitore con cui vivere?
La separazione dei coniugi è sicuramente un evento assai spiacevole, con enormi conseguenze da un punto di vista morale e affettivo, ma tutti noi sappiamo che, quando marito e moglie si lasciano, sorgono anche molteplici questioni giuridiche da risolvere: a chi affidare la casa coniugale, qual è ed a quanto ammonta il sostegno del coniuge più debole, in che misura stabilire il mantenimento dei figli, sono soltanto alcune delle varie problematiche da affrontare. Sicuramente, tra le più importanti, c’è la scelta del cosiddetto coniuge affidatario prevalente dei figli minori.
Attualmente, la prole è affidata a entrambi i genitori: sussiste, infatti, il regime dell’affido condiviso. Quest’ultimo può essere escluso soltanto qualora il giudice ritenga che sia contrario all’interesse del minore [Art. 155 bis cod. civ.]. In ogni caso deve, comunque essere individuato il genitore prevalente, che in pratica è quello dove i figli andranno a vivere.
La domanda cui vogliamo rispondere è la seguente: può il figlio stabilire con chi abitare tra i genitori che si separano o divorziano? A riguardo, bisogna distinguere due ipotesi: la prima è quella dei figli maggiorenni. Questi, in quanto capaci di agire giuridicamente, hanno pieno potere di scelta in tal senso. La seconda ipotesi, invece, quella cioè relativa ai minori, è sicuramente più complessa.
Incominciamo a dire che la legge [Art. 155 sexies cod. civ.] prevede che il giudice, prima di stabilire chi è il genitore prevalente, dispone l’ascolto dei figli minori di anni dodici e, eventualmente, anche di età minore se dotati di particolari capacità di giudizio e maturità. Si tratta di un passaggio obbligato [Cass. Sent. n. 16658/2014 del 22.07.2014], nel momento in cui occorre disciplinare l’affidamento del minore, che può essere evitato soltanto se palesemente superfluo o contrario agli interessi del medesimo [Art. 336 bis cod. civ.]. La necessità dell’ascolto è inoltre prevista anche nel caso in cui si tratti di figli di genitori conviventi, allorquando gli stessi si separano [Cass. Sent. n. 19007/2014 del 10.09.2014]. Pertanto, il colloquio col minore è, inevitabilmente, importante nella scelta, operata dal Giudice, del genitore affidatario prevalente e della conseguente residenza del figlio. Tuttavia, la giurisprudenza chiarisce che la valutazione del Giudice in tal senso, potrebbe non coincidere con le opinioni espresse dal minore. In questo caso, sarà, però, dovere motivare adeguatamente la decisione in senso contrario, ad esempio, rilevando la ridotta capacità di giudizio del minore stesso [Cass. Sent. n. 16658/2014 del 22.07.2014 – 752/2015 del 19.01.2015].
Sintetizzando è possibile affermare che il figlio, se non è maggiorenne, non ha un potere diretto di scelta del genitore con cui vivere, ma la sua opinione in tal senso è necessaria, importante e anche decisiva. Quanto maggiore sarà l’età del minore, tanto più sarà difficile contestare la sua capacità di giudizio e quindi le opinioni espresse a riguardo, senza che le stesse siano prese in considerazione nella scelta del genitore prevalente.
In sostanza possiamo affermare che non tutti i minori sono uguali. Ad esempio, un ragazzo sedicenne, difficilmente, potrà essere reputato dal Giudice come incapace a stabilire quali sono le sue esigenze morali e affettive e quindi non in grado di scegliere il genitore con cui vivere. In tal caso, infatti, la capacità di discernimento del figlio non potrà essere contestata, e il Giudice dovrà prendere in considerazione le opinioni espresse dal medesimo [Cass Civ. Sent. n. 7773/2012 del 17.05.2012.].
Marco Borriello Lpt 23 novembre 2015
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DALLA NAVATA
1° domenica d’avvento – anno C – 29 novembre 2015.
Geremia 33, 15 «In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra».
Salmo 25, 04 «Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri».
1Tessalonicesi 03, 02 «Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù».
Luca 21, 28 «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
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FAMIGLIA
Meno sentenze e più leggi doc per la famiglia.
La società corre più veloce del diritto e soprattutto le relazioni familiari soffrono spesso la mancanza di una regolamentazione che permetta ai soggetti che, a vario titolo, la compongono di essere adeguatamente protetti. In particolare questo si nota nella tutela della filiazione, nelle coppie di fatto e, non da ultimo, nel regime fiscale della famiglia. Per fronteggiare questa situazione occorre quindi una legislazione più mirata che colmi non solo il vuoto normativo ma, soprattutto, riduca l’intervento suppletivo della nostra giurisprudenza. È questa la sintesi della due giorni di confronto svoltasi a Milano nel corso del convegno «La famiglia e il diritto: 40 anni di trasformazioni» organizzato dall’Università di Milano-Bicocca in occasione del quarantesimo anniversario della riforma del Diritto di famiglia.
Nel 1975, come noto, venne affermata la parità giuridica tra i coniugi, abrogato l’istituto della dote, riconosciuta ai figli naturali una tutela quasi equivalente (ma con alcuni limiti) a quella dei figli legittimi, istituita la comunione dei beni come regime patrimoniale legale della famiglia, riviste le norme sulla separazione e la patria potestà venne sostituita dalla potestà di entrambi i genitori. Sicuramente a livello nazionale si registra un calo dei matrimoni (dal 1995 vi sono stati 290.000 matrimoni, scesi a 207.100 nel 2012) e un aumento delle famiglie di fatto, basti, infatti, pensare che secondo l’Istat nel 2009 il 21,7% dei bambini è nato fuori dal matrimonio.
Nel 2012 si è verificato un lieve cambio di tendenza con la diminuzione delle separazioni (da 88.800 a 88.300) e ancor più dei divorzi (da 53.800 a 51.300) nonché un aumento dei matrimoni (da 204.800 a 207.100). Secondo i dati Istat, inoltre, i matrimoni più recenti durano meno (confrontando i matrimoni celebrati nel 1985 con quelli del 2005, le unioni interrotte dopo sette anni da una separazione sono raddoppiate, passando dal 4,5% al 9,3%). Questi i dati nazionali che sono di dominio pubblico ma che, tuttavia, non sono aggiornati essendo l’ultimo dato Istat, pubblicato lo scorso anno, aggiornato al 2012.
Quanto invece in particolare per la situazione di Milano i dati del tribunale di Milano registrano una diminuzione dei divorzi, passando da 3.384 procedure introdotte nel 2004 a 2.953 nel 2014 con un calo quindi del 13%. Anche le separazioni a Milano sono numericamente in flessione: sono infatti passate da 6.070 procedure introdotte nel 2004 a 4.267 nel 2014 con un calo di circa il 30%. Infine, per quanto attiene alle coppie di fatto il tribunale di Milano nell’anno 2014 ha registrato 613 procedimenti (605 definiti) relativi a figli nati fuori dal matrimonio, un numero che equivale a circa un settimo delle procedure di separazione promosse nello stesso anno; a giugno 2015 si sono registrati 249 procedimenti (261 definiti).
Federico Unni Italia 0ggi 23 novembre 2015
www.italiaoggi.it/giornali/preview_giornali.asp?id=2038072&codiciTestate=5&sez=professionisti&titolo=Menosentenzeepileggidocperlafamiglia
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Un saluto che è un arrivederci nel comune servizio alla famiglia
Carissimi amici,
questa newsletter precede l’assemblea elettiva del 27-28 novembre, con la quale si conclude la mia responsabilità di presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, iniziata in un ormai lontano 4 luglio 2009. E’ quindi per me l’ultima occasione di dialogo con voi, da Presidente.
Mentre la newsletter poi continuerà di sicuro, magari in forme e modalità innovative, ma proseguendo quello sforzo di comunicazione e di scambio di informazioni che da sempre è fondamentale per il Forum.
Sono stati anni intensi, stimolanti, complessi, in cui non ci siamo risparmiati nel promuovere e difendere la famiglia, a tutti i livelli, dal piccolo Comune allo scenario europeo e mondiale, in un momento storico difficile.
Consapevoli che promuovere la famiglia non significa difendere interessi particolari, di alcuni, ma è un gesto di amore e di impegno pubblico, per un luogo che rimane capace, in modo unico e insostituibile, nonostante tutto, di generare la felicità delle persone e di promuovere il bene comune.
Un saluto cordiale a tutti, quindi, e un augurio di cuore a chi continuerà ad impegnarsi nel lavoro del Forum. Francesco Belletti
FORUMNEWS on line – 26 novembre 2015
Cambia il vertice del Forum.
Il Forum delle associazioni familiari riunito in assemblea a Roma il 28 novembre 2015 ha provveduto ad eleggere il nuovo presidente nella persona di Gianluigi De Palo che succede a Francesco Belletti, giunto a termine dei due mandati previsti dallo Statuto.
I presidenti e delegati delle associazioni delle 47 associazioni nazionali e dei 20 Forum regionali hanno anche provveduto alla nomina dei due vicepresidenti:
Emma Ciccarelli e Maria Grazia Colombo.
I membri del Consiglio direttivo sono: Vincenzo Bassi, Roberto Bolzonaro, Giuseppe Butturini, Cristina Riccardi, Guido Trinchieri, Nino Di Maio, Ettore Picchi, Francesco Bianchini, Nino Sutera, Fabio Gallo, Pietro Moggi
Il tesoriere è Giuseppe Ficini. I revisori dei conti sono: Alfredo Caltabiano, Giuseppe Barbaro, Ermes Carretta
Il Collegio di garanzia è composto da: Ermes Rigon, Giuseppe Trovatello, Giovanni Ceccarelli.
Il Forum delle associazioni familiari ha eletto come nuovo presidente Gianluigi De Palo, 39 anni, sposato con Anna Chiara da 11 e padre di quattro figli, già presidente delle Acli di Roma e del Forum delle famiglie del Lazio, ha ricoperto il ruolo di assessore tecnico alla famiglia e alla scuola del Comune di Roma dove è riuscito a realizzare localmente il Quoziente Familiare.
«Il Forum è la voce di 59.132.045 persone che, secondo i dati Istat, vivono all’interno di una famiglia che rappresenta la quasi totalità dei 59.433.744 abitanti» spiega De Palo. «Siamo la voce di quelle coppie che vorrebbero mettere al mondo un figlio, ma sanno che facendolo nel nostro Paese diventano povere. Siamo la voce di quelle mamme italiane che vorrebbero fare due figli e invece si devono fermare, di media, a 1,39, rischiando, peraltro, di venire licenziate. Siamo la voce di quel 92% di giovani (tra i 18 e i 29 anni) che sogna di costruirsi una famiglia (addirittura desiderando 2 o più figli), ma che è costretto, per inseguire quei progetti, ad andare all’estero. Siamo la voce di quelle famiglie italiane che non arrivano alla fine del mese perché costrette a fare i conti con un fisco iniquo e vecchio che non tiene conto del numero dei figli”.
“Il nostro Paese – conclude De Palo – deve dimostrare se vuole vincere la sfida del futuro o invece rassegnarsi all’antipolitica. Il problema della denatalità non è un problema sociologico, legato solo alle nascite, ma un problema di speranza e di fiducia. Il Forum non vuole rassegnarsi ad un Paese che gestisce le emergenze. Per questo vogliamo rimettere al centro dell’agenda politica la vera priorità del Paese che è la famiglia”.
Nell’ottobre del 2014 è stato il promotore del “movimento dei passeggini” che ha coinvolto migliaia di mamme e papà riempiendo piazza del Campidoglio di passeggini vuoti a causa degli aumenti delle tariffe degli asili nido della capitale. Giornalista e scrittore, attualmente si occupa di formazione alla leadership.
http://www.forumfamiglie.org
Gianluigi De Palo nuovo presidente del Forum delle Famiglie.
“Siamo cellule staminali – rigorosamente adulte – che silenziosamente ritessono una coesione sociale che sta andando in frantumi”. “Realizzeremo il quoziente familiare in 3 anni”. Così Gianluigi De Palo il nuovo presidente eletto oggi dal Forum delle Associazioni familiari. 39 anni sposato, papà di 4 figli ha un lungo passato nell’associazionismo cattolico (già presidente delle Acli di Roma e del Forum delle Famiglie del Lazio è stato assessore tecnico alla famiglia e alla scuola del Comune di Roma e consigliere capitolino). Nell’ottobre del 2014 è stato il promotore del “movimento dei passeggini” per la difesa delle famiglie a fronte degli aumenti ingiustificati delle tariffe degli asili nido.
Il Forum vuole dare voce alla famiglia ed alle coppie giovani. “Siamo la voce di quelle coppie che vorrebbero mettere al mondo un figlio, ma sanno che facendolo nel nostro Paese diventano povere” ha detto il neo presidente. “Siamo la voce di quelle mamme italiane che vorrebbero fare due figli e invece si devono fermare, di media, a 1,39, rischiando, peraltro, di venire licenziate. Siamo la voce di quel 92% di giovani (tra i 18 e i 29 anni) che sogna di costruirsi una famiglia (addirittura desiderando 2 o più figli), ma che è costretto, per inseguire quei progetti, ad andare all’estero. Siamo la voce di quelle famiglie italiane che non arrivano alla fine del mese perché costrette a fare i conti con un fisco iniquo e vecchio che non tiene conto del numero dei figli”.
Centro dell’agenda politica la vera priorità del Paese che è la famiglia. “Il nostro Paese – aggiunge Di Palo – deve dimostrare se vuole vincere la sfida del futuro o invece rassegnarsi all’antipolitica. Il problema della denatalità non è un problema sociologico, legato solo alle nascite, ma un problema di speranza e di fiducia. Il Forum non vuole rassegnarsi a un Paese che gestisce le emergenze. Per questo vogliamo rimettere al centro dell’agenda politica la vera priorità del Paese che è la famiglia”.
M.M. Notiziario Radio vaticana – 28 novembre 2015 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale
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GRAVIDANZA
Diagnosi prenatale, test “made in Italy” per dire addio ai viaggi oltreoceano.
Preciso, ma non invasivo: sono queste le caratteristiche ideali di un test di screening prenatale, in grado di diagnosticare attraverso l’analisi del Dna del feto le malattie genetiche più comuni e dare un’informazione migliore e più tempestiva ai futuri genitori, che per nove mesi aspettano con ansia di sapere se il proprio bambino sarà sano oppure no. Su questo fronte la ricerca continua e sul mercato sono disponibili esami sempre più affidabili. Come il G-test (Genetic Test), prodotto e distribuito agli ospedali italiani dallo spin off universitario Bioscience Genomics, dell’Università Tor Vergata di Roma, nato dall’accordo tra il colosso BGI e Bioscience Institute e analizzato nei laboratori dell’ateneo, senza più viaggi oltreoceano.
Il G-test, basato, come altri test prenatali, sull’analisi di frammenti di DNA fetale che circolano nel sangue materno dalla quinta settimana di gravidanza, garantisce però una migliore sensibilità per le patologie cromosomiche più frequenti e una percentuale minima di “falsi allarmi”, oltre ad aver alle spalle la sperimentazione più ampia. Il test può svelare una situazione di alto rischio, oppure indicare che il bambino è a basso rischio di essere affetto da malattie cromosomiche. Dal prelievo di sangue si ottengono infatti informazioni importanti sulla salute del feto, senza compromettere l’evoluzione della gravidanza.
A confermarne la validità sono infatti molti studi, pubblicati su importanti riviste scientifiche, che con più di 600mila esami effettuati ne hanno riconosciuto un’accuratezza superiore al 99%: l’affidabilità è quindi molto vicina a quella dei metodi diagnostici invasivi, come l’amniocentesi e la villocentesi, gravati però da un rischio di aborto dello 0,5 -l’1%, mentre la sicurezza è uguale a quella degli altri test di screening non invasivi, incapaci di assicurare una vera certezza diagnostica. Ma attenzione: se il risultato è positivo, serve comunque un’indagine diagnostica invasiva per confermare il responso.
Ma quando è indicato? “Il G- test, che parte dal prelievo di sangue periferico della mamma dalla decima settimana fino alla 24° di gestazione, permette di analizzare il cariotipo (cioè i cromosomi del feto), individuando anomalie genetiche correlate a malformazioni o a ritardo mentale – spiega Giuseppe Novelli genetista e rettore dell’ateneo romano. “Viene quindi usato in caso di gravidanze a rischio, quando sono controindicate indagini diagnostiche invasive o ancora quando queste non si vogliono affrontare, ma anche in caso di fecondazione in vitro e di anomalie cromosomiche in famiglia. Il test può però escludere solo l’esistenza delle malattie cromosomiche ricercate (tra cui la Sindrome di Down o trisomia 21, le trisomie 13,16, 22 9 e 18, alcune sindromi da delezione, come la “Cri du Chat” o alterazioni dei cromosomi sessuali, come la sindrome di Turner), non di tutte. Insomma, un test negativo non assicura che il feto sia sano. Esiste sempre un 3% di possibilità che il figlio nasca con gravi disabilità dovuta alla mutazione continua del Dna dei genitori “
Il nuovo centro di Tor Vergata, dove si trovano i laboratori, pur non essendo un ambulatorio diagnostico (vi arrivano solo i campioni da analizzare, non i genitori), offre però un’assistenza completa, dallo screening alla diagnosi (circa 7 giorni lavorativi), fino al counseling genetico. Un test positivo attiva immediatamente un team multidisciplinare. “Se l’ospedale che ha in carico la paziente ha al suo interno un centro di genetica medica, – conclude Novelli- trasferiamo lì tutte le informazioni, mentre in caso contrario convochiamo la futura mamma per seguirla dal nostro centro, composto da ginecologi, genetisti e psicologi”.
Brigida Stagno lifestyle tiscali 23 novembre 2015
http://lifestyle.tiscali.it/socialnews/salute/Stagno/16661/articoli/Diagnosi-prenatale-test-made-in-Italy-per-dire-addio-ai-viaggi-oltreoceano.html
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INFERTILITÀ
Un nuovo kit per scoprire l’infertilità.
Secondo l’Istituto superiore di sanità, in Italia l’infertilità riguarda circa il 15% delle coppie. Una rilevante fascia di popolazione, delusa da una legittima aspirazione: mettere al mondo un figlio. In particolare, dietro l’infertilità, si nascondono nel 20% dei casi cause genetiche. Tanto che è in costante aumento il numero di indagini da eseguire nell’iter diagnostico che precede l’avvio della procreazione assistita. E adesso, da Napoli, parte un progetto (si chiama One4Two) che potrebbe rivelarsi vincente nel semplificare la vita di quelle coppie che vogliono capire perché sono sterili. È un kit ideato per rivelare le alterazioni genetiche e cromosomiche della coppia. Ad elaborarlo è stata la Future diagnostics (Start up nata nel Ceinge di Franco Salvatore) e diretta da Rossella Tomaiuolo, professore associato di Tecniche di laboratorio alla Federico II e principal investigator del Ceinge. Lei coordina un gruppo di ricercatrici a cui è stato assegnato il premio speciale “Pari opportunità e imprenditorialità femminile”: Federica Cariati, Valeria D’Argenio, Barbara Lombardo, Maria Valeria Esposito e Alessia Berni.
«Si tratta di un kit – spiega la Tomaiuolo – che sostituisce venti test genetici singoli, riunendoli in un’unica analisi finalizzata allo screening. Prima, individualmente, uomini e donne dovevano sottoporsi a ogni esame». La tecnologia è stata realizzata, dopo avere selezionato quelle alterazioni genetiche e cromosomiche in base all’incidenza delle mutazioni, alla gravità del quadro clinico. I vantaggi della scoperta potrebbero rivelarsi vincenti anche per il sistema sanitario nell’ottica del risparmio.
La Tomaiuolo spiega cosa sono le Start up, parole chiave per l’imprenditoria legata alla scienza: «Sono nate con l’obiettivo di stimolare nuove imprese ad alto contenuto di conoscenza di provenienza universitaria». Ma quali sono le indicazioni di utilizzo di One4Two che, va precisato, rimane in attesa di un imprenditore interessato al finanziamento dell’iniziativa? Oltre che per scoprire le cause dell’infertilità di coppia, serve a rivelare malattie ereditarie o alterazioni cromosomiche. Il kit include reagenti per 96 test (96 pazienti, quindi 48 coppie), mentre Futura Diagnostics prevede un training per l’interpretazione dei dati. «Finora – aggiunge la ricercatrice – le decine di indagini ultraspecialistiche venivano effettuate in laboratori diversi con dispersione di costi e competenze».
Quanto costa la realizzazione della tecnologia? «Il primo anno è previsto un budget di 50mila euro – risponde la ricercatrice – ed è il fondo messo a disposizione dall’investitore interessato a finanziare il progetto
GDB la repubblica ed. Napoli 24 novembre 2015
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ISTAT
Natalità e fecondità della popolazione residente: anno 2014
Nel 2014 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 502.596 bambini, quasi 12mila in meno rispetto al 2013, 74mila in meno sul 2008. La diminuzione delle nascite è dovuta soprattutto alle coppie di genitori entrambi italiani: 398.540, quasi 82mila in meno negli ultimi sei anni. Questo perché le donne italiane in età riproduttiva sono sempre meno e hanno una propensione ad avere figli sempre più bassa.
Si mantiene stabile il livello dei nati con almeno un genitore straniero (20,7% dei nati, 29% nel Nord e 8% nel Mezzogiorno), mentre diminuiscono i nati con entrambi i genitori stranieri (14,9% del totale delle nascite).
I nati all’interno del matrimonio continuano a diminuire: nel 2014 sono appena 363.916, ben 100mila in meno rispetto al 2008. Al contrario, aumentano i nati da genitori non coniugati: oltre 138mila nel 2014, quasi 26mila in più sul 2008, con un peso relativo rispetto ai nati da coppie coniugate pari al 27,6% del totale delle nascite.
Quasi l’8% dei nati nel 2014 ha una madre di almeno 40 anni mentre in un caso su dieci (10,7%) la madre è sotto i 25 anni.
Il numero medio di figli per donna scende a 1,37 (rispetto a 1,46 del 2010). Le donne italiane hanno in media 1,29 figli, le cittadine straniere residenti 1,97; in quest’ultimo caso il calo è rilevante rispetto al 2008, quando avevano in media 2,65 figli.
L’Istat mette a disposizione il contatore dei nomi per anno di nascita per scoprire quanti sono i bambini che si chiamano nello stesso modo, nati e iscritti nelle anagrafi italiane dal 1999 al 2014 e quali sono i più diffusi tra i 60 mila nomi diversi scelti dai genitori [Sofia e Francesco in testa]
Si fra presente che le informazioni sui nomi dei bambini iscritti nelle anagrafi italiane sono elaborate a scopo divulgativo. L’Istat non effettua sui nomi trattamenti statistici finalizzati a correggere gli eventuali errori di scrittura, trascrizione o incompatibilità tra il nome e il sesso del bambino
Comunicato stampa 27 novembre 2015
allegato il testo integrale in pdf www.istat.it/it/archivio/174864
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SCIENZA & VITA
Il crollo delle nascite conferma l’urgenza di politiche a sostegno della maternità.
“E’ un Italia che non ha speranza nel futuro quella che emerge dai dati desolanti dell’Istat che certificano l’inarrestabile declino demografico del nostro Paese, una situazione cui è necessario porre rimedio in tempi brevi per evitare di subirne le gravissime ricadute sociali ed economiche”, commenta Paola Ricci Sindoni, Presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita.
“Si potrebbe, come sempre, dare la colpa della diminuzione delle nascite alle note cause sociopolitiche che dilatano i tempi del lavoro femminile, dell’autonomia economica e della ricerca di un figlio, ma vi sono altri fattori che non possono essere taciuti. Una posticipazione così accentuata della maternità, che sfiora ormai il 9% di mamme ultraquarantenni, è anche da imputarsi a troppa cattiva pubblicistica che ha abituato le giovani donne a ritenere che sia possibile fare un figlio a qualunque età. Dati smentiti dalla natura e dalla letteratura scientifica: è noto che dopo i 35 anni le possibilità di concepire naturalmente calano drasticamente e dopo i 40 anni anche le tecniche di Pma non forniscono i risultati attesi dalle coppie che vi fanno ricorso”.
“Non solo. A fronte di cifre che confermano una drastica riduzione della natalità tale per cui si contano ben 12mila culle in meno nel 2014, sono da riconsiderare anche i dati di poco tempo fa relativi alla diminuzione degli aborti. Vi è stato sì un calo, ma rileggendo i numeri alla luce delle nascite complessive non si può non pensare che anche gli aborti censiti evidenzino un segnale ulteriore di negazione della maternità e di sfiducia nel futuro. Pertanto per porre rimedio a una realtà innegabile di deserto demografico, auspichiamo una pronta ed efficace risposta della politica per rimuoverne le cause sociali ostative. Da parte nostra, in linea con il Piano Nazionale Fertilità varato dal ministero della Salute, concorreremo con un’azione culturale che possa aiutare le giovani donne a comprendere che la fertilità è un bene prezioso da non dissipare, così da arrivare a una maternità consapevole in età appropriata”.
Comunicato stampa 27 novembre 2015
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SEPARAZIONE
Come ci si separa o divorzia in Comune gratis senza avvocato.
Dall’11 dicembre 2014, ci si può separare o divorziare in Comune senza bisogno di ricorrere ad avvocati, tribunali o giudici: la procedura, completamente gratuita e piuttosto veloce, consente di ratificare l’accordo raggiunto dai coniugi (o, nel caso di divorzio, dagli ex coniugi) direttamente in Comune, davanti all’ufficiale di stato civile (ossia al sindaco o a un suo delegato). All’esito di tale iter la coppia potrà ottenere uno di tali provvedimenti:
- la separazione
- il divorzio (ossia la cosiddetta “cessazione degli effetti civili del matrimonio”)
- la modifica delle condizioni di separazione o divorzio che sono state precedente fissate dagli stessi o dal giudice.
In questo articolo spiegheremo la procedura da seguire e tutte le attività che dovranno essere svolte per dirsi definitivamente addio. Ricordiamo preliminarmente che la coppia che voglia divorziare deve prima separarsi e solo dopo può divorziare. Tra la separazione e il divorzio deve intercorrere un termine minimo di:
- 6 mesi, nel caso in cui la separazione sia avvenuta consensualmente, ossia senza bisogno di una causa perché i coniugi avevano trovato un accordo su tutti gli aspetti personali ed economici
- 1 anno nel caso invece in cui la separazione sia stata di tipo “giudiziale”, ossia si sia dovuto instaurare un regolare giudizio.
Si può ricorrere al divorzio congiunto in Comune tanto nell’ipotesi in cui la precedente separazione sia avvenuta consensualmente in Comune, tanto in quella in cui essa sia stata ottenuta a seguito di un giudizio in tribunale (separazione giudiziale).
Condizioni per poter ottenere la separazione o il divorzio in Comune sono:
- l’accordo tra le parti su tutti gli aspetti della separazione o il divorzio (mantenimento, abitazione della casa, sorte del contratto di affitto, ecc.);
- l’assenza di figli minori o maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave [Ai sensi dell’art. 3 co. 3 L. 104/92.] o economicamente non autosufficienti (non si considerano i figli nati da una precedente unione o matrimonio con altra persona);
- l’accordo tra i coniugi non contenga patti di trasferimento patrimoniale: si tratta dei patti che hanno per effetto il trasferimento della proprietà di un bene determinato. Sono invece ammissibili le disposizioni che fanno sorgere tra i coniugi un rapporto obbligatorio, pertanto l’accordo può prevedere:
- un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo periodico, sia nel caso di separazione consensuale (assegno di mantenimento) sia nel caso di richiesta congiunta di divorzio (assegno divorzile);
- la “voltura” del contratto di affitto relativo all’immobile in cui la coppia viveva quando era unita;
- nel caso di procedura volta ad ottenere la modifica delle precedenti condizioni di separazione o divorzio: l’attribuzione di un assegno di separazione o di divorzio o la sua revoca o la sua revisione quantitativa.
Non può invece costituire oggetto di accordo la previsione del pagamento in un’unica soluzione dell’assegno periodico di divorzio (cosiddetta liquidazione una tantum).
Il Sindaco o l’ufficiale di stato civile non può giudicare la congruità o meno della somma accordata a titolo di mantenimento o di assegno divorzile: per cui, le parti possono stabilire cifre estremamente basse o alte senza perciò temere il controllo da parte dell’autorità. L’eventuale diniego del Sindaco alla richiesta di separazione o divorzio può essere impugnata in tribunale
Dove andare? La coppia deve recarsi in Comune, innanzi al sindaco (quale ufficiale dello stato civile). Si deve trattare del Comune di residenza dei coniugi oppure del Comune presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio.
È necessario un avvocato? I coniugi possono fare tutto personalmente. L’assistenza di un avvocato è facoltativa, ma non necessaria. Dell’attività eventualmente resa dall’avvocato l’ufficiale di stato civile deve rendere conto nell’atto contenente l’accordo.
Come avviene il procedimento? Ciascuno dei coniugi (personalmente o assistito da un avvocato) presenta all’ufficiale dello stato civile (al sindaco o a un suo delegato) una dichiarazione con la quale afferma la propria volontà di separarsi oppure di far cessare gli effetti civili del matrimonio o ottenerne lo scioglimento, secondo le condizioni concordate. Allo stesso modo si procede per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
Ricevute le dichiarazioni l’ufficiale dello stato civile compila l’atto contenente l’accordo, lo sottoscrive e lo fa sottoscrivere alle parti.
Nei casi di separazione o di divorzio (quindi, con esclusione della procedura per la modifica delle precedenti condizioni), l’iter si sostanzia in due incontri:
- nel primo incontro, l’ufficiale dello stato civile, dopo aver ricevuto le dichiarazioni dei coniugi, li invita a comparire di fronte a sé, in una successiva data, non prima di 30 giorni dalla ricezione per la conferma dell’accordo. La mancata comparizione equivale a mancata conferma dell’accordo. Si tratta di un diritto di ripensamento dei coniugi che hanno effettuato la dichiarazione di volere divorziare o separarsi. Tale ripensamento non si applica per le dichiarazioni di modifica delle condizioni di separazione e divorzio. Nel periodo, non inferiore a 30 giorni, intercorrente tra la data dell’atto e quella fissata per la conferma, l’ufficio dello stato civile può svolgere i controlli sulle dichiarazioni rese dagli interessati.
- nel secondo incontro, che come detto non può avvenire prima di 30 giorni dal primo, il Sindaco, dopo aver ascoltato le dichiarazioni dei due coniugi o degli ex coniugi, redige personalmente l’atto contenente detto l’accordo (dando anche conto, nell’atto stesso, di avere invitato le parti a comparire nella data alle stesse assegnata).
Dunque, non c’è alcun bisogno che la coppia si presenti in Comune con un documento o un accordo scritto poiché lo stesso verrà redatto dall’ufficiale di Stato civile dopo aver ascoltato le dichiarazioni orali dei due. L’ufficiale dello stato civile, dopo la conferma dell’atto da parte degli interessati, deve comunicare la sua avvenuta iscrizione nei registri di stato civile alla cancelleria del tribunale presso la quale sia eventualmente iscritta la causa concernente la separazione o il divorzio, oppure a quella del giudice davanti al quale furono stabilite le condizioni di divorzio o di separazione oggetto di modifica. A tal fine l’ufficiale chiede alle parti ogni informazione necessaria per individuare la cancelleria competente a ricevere la comunicazione.
Annotazione. L’accordo è annotato:
- negli archivi informatici dello stato civile;
- sull’atto di nascita di ciascun coniuge;
- – sull’atto di matrimonio.
Quanto costa? La procedura è interamente gratuita. Il Comune può, tutt’al più, chiedere il pagamento dei diritti che non superano l’imposta fissa di bollo prevista per le pubblicazioni di matrimonio.
Che effetti ha l’accordo? L’accordo concluso davanti all’ufficiale di stato civile produce gli stessi effetti di una sentenza del giudice. Per cui i due procedimenti sono assolutamente equivalenti.
Redazione Lpt 29 novembre 2015
www.laleggepertutti.it/105484_come-ci-si-separa-o-divorzia-in-comune-gratis-senza-avvocato
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SINODO DELLA FAMIGLIA
Un buon parroco e 270 vescovi sintonia che non sorprende.
Caro direttore, a dispetto del comune sentire, l’esclusione dalla comunione dei risposati non può essere motivata da un giudizio morale: perché «sono in stato di peccato». Si giungerebbe, infatti, a una conclusione paradossale: trattandosi di peccato grave, in quanto esclude dalla Comunione, e di un peccato che non può essere assolto, in definitiva diverrebbe una sentenza di condanna eterna o di scomunica. D’altro canto, la delicata questione della inviolabilità della coscienza vieta giudizi morali: la scelta di coscienza non può essere giudicata: non può essere condannata, ma nemmeno assolta.
Una valutazione più adeguata può scaturire da una prospettiva ecclesiale che pone al centro la ministerialità del sacramento del matrimonio. La scelta di una unione matrimoniale non sacramentale significa allora la rinuncia a vivere la dimensione ministeriale/ecclesiale dell’amore e comporta una situazione di oggettiva presa di distanza dalla missione della Chiesa. Questa distanza è, di fatto, l’impedimento a vivere in piena comunione con la Chiesa o ad assumere ruoli ministeriali quali di padrino, il lettore o il catechista. Loro non possono, ma la Chiesa sì. Là dove la distanza non è motivata dal rifiuto della missione della Chiesa, ma anzi è addirittura vissuta con sofferenza, la Chiesa ha tutta la libertà di compiere gesti che offrano accoglienza piena e di comunione fino anche al dono dei sacramenti. Del resto, anche nella disciplina attuale questi fedeli, in virtù della grazia del Battesimo, non sono totalmente esclusi, ma già partecipano alla piena comunione con la Chiesa nell’ascolto liturgico della Parola e, in particolare, nei gesti di comunione quali “la Preghiera del Signore” e “lo scambio della Pace” che hanno pure una dimensione ministeriale.
Pertanto la Chiesa, di propria iniziativa, può aprire a gesti di più completa comunione, naturalmente non in via ordinaria, a mo’ di generalizzata sanatoria, ma come gesto giubilare, come atto di grazia straordinaria. In concreto, queste occasioni, lungi dall’essere indiscriminate, non possono assecondare la sensibilità, il desiderio o il bisogno soggettivo, ma devono esprimere, ogni volta con chiarezza, il loro valore ecclesiale: essere collocate in precisi momenti di vita della Chiesa, esprimere la loro natura giubilare, avere un mandato ecclesiale dell’ordinario, essere coronamento di specifiche azioni pastorali rivolte ai fedeli in questa condizione.
In via generale, il Tempo pasquale, o almeno la II di Pasqua, potrebbe essere l’occasione propizia per offrire questo gesto di accoglienza per coloro che, nel tempo quaresimale, hanno vissuto un appropriato itinerario di preparazione. Altri momenti dovrebbero essere promossi dalle singole Conferenze episcopali in risposta alle specifiche situazioni dei vari Paesi, o dalle singole diocesi come strumento di pastorale mirata. Il prossimo Anno Santo della Misericordia potrebbe essere l’occasione provvidenziale per inaugurare questa prassi. Un simile orientamento, che può trovare un suo fondamento scritturistico proprio in Mt 19,8 dove Gesù, pur affermando con chiarezza il principio dell’indissolubilità, non condanna la decisione di Mosè («per la durezza delvostro cuore»), può aprire alla Chiesa una feconda possibilità di missione pastorale: fedele alla dottrina e alla gravità della condizione oggettiva, sarebbe però chiamata a farsi sollecita nel moltiplicare le iniziative e le occasioni di incontro con i fedeli e le loro necessità concrete, libera da forme di giudizio morale che paralizzano la sua azione attuale.
don Gianluigi Carminati parroco di Nave (Bs)
Questa lettera, che il direttore mi ha affidato, è arrivata in redazione il 18 ottobre, quindi a Sinodo in corso, e conserva anche a distanza di più di un mese, un interesse del tutto particolare. Potrebbe essere infatti scambiata per un esercizio di… preveggenza, visto che don Carminati “indovina” in buona parte le conclusioni della Relazione finale. Naturalmente non è così. Il parroco di Nave non ha giocato a “indovina indovinello”. Ha solo attinto dalla sua sapienza pastorale e dalla sua esperienza umana. Guarda caso – ma non si tratta davvero di un caso – la stessa sapienza e la stessa saggezza che i padri sinodali hanno espresso nel testo finale. Così non deve sorprendere la sintonia tra quanto consiglia il parroco e le conclusioni dell’assemblea dei vescovi. Don Carminati spiega che la scelta di offrire ai divorziati risposati «gesti di più completa comunione» non dev’essere generalizzata, ma valutata caso per caso. E proprio allo stesso modo si esprime la “Relatio finalis”. Perché ogni situazione è diversa dall’altra e non sarebbe né pensabile né tantomeno giusto adottare provvedimenti a pioggia, validi per ogni circostanza. Ma, soprattutto, il parroco bresciano investe di questa responsabilità i vescovi e le singole conferenze episcopali. Il Papa, nelle sue conclusioni al termine dell’assemblea sinodale, aveva fatto notare che c’è nella Chiesa, a riguardo del matrimonio e della famiglia, una tale varietà di posizioni da apparire in alcuni casi e su alcuni temi a distanze quasi incolmabili. Una sensibilità presente, naturalmente, anche nella Relazione finale che, a proposito del percorso di discernimento per i divorziati risposati, spiega che dovrà concretizzarsi «secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del vescovo». Ma la sintonia tra un buon parroco e 270 vescovi e cardinali non deve sorprendere. Nella Chiesa che guarda avanti, lasciandosi alle spalle rigorismi e lassismi, c’è davvero una circolarità dello Spirito che ispira, al di là dei ruoli e delle gerarchie, un comune sentire. E si può anche osservare come le proposte del Sinodo – su cui ora il Papa si esprimerà secondo tempi e modi che riterrà opportuni – non appartengono a un manipolo di «progressisti senza timor di Dio», ma si innestano in quella sapienza dottrinale che, per essere tale, non perde mai di vista la realtà concreta delle persone, con le loro sofferenze, le loro fragilità, le loro speranze.
Luciano Moia Avvenire 24 novembre 2015
Ipotesi. Un rescritto che autorizzi la comunione
Emesso dal vescovo, a favore di un divorziato risposato della sua diocesi, dopo un accurato esame del suo caso fatto obbedendo a norme promulgate dal papa. È la proposta di un teologo australiano Paul Anthony McGavin (Camberra) per rimediare all’attuale confusione Un atto pastorale e amministrativo sotto il mandato del papa, senza cambiamenti dottrinali o canonici
In materia di matrimonio/divorzio/nuovo matrimonio, la situazione seguita al motu proprio “Mitis iudex Dominus Iesus” di papa Francesco e alla “Relatio” del sinodo del 2015 potrebbe portare a un distacco tra la dottrina e la pratica, e rendere ancora più urgenti delle linee guida postsinodali chiare, da parte del Santo Padre. Questa nota offre appunto l’esame di una proposta di “norme” della Santa Sede per atti pastorali e amministrativi che non comportino cambiamenti dottrinali o canonici. La proposta è illustrata al termine dell’articolo con l’esempio di una lettera-rescritto episcopale.
Papa Francesco ha anticipato la “Relatio” del sinodo straordinario del 2014 (cfr. n. 48) con l’istituzione da parte sua, il 14 settembre 2014, di una commissione di studio per la semplificazione delle procedure di annullamento, e ha poi anticipato il sinodo del 2015 con il motu proprio “Mitis iudex Dominus Iesus”, pubblicato l’8 settembre 2015 con entrata in vigore l’8 dicembre 2015. Si possono fare due esempi nei quali questo snellimento risolve delle difficoltà che si incontrano nei processi giuridici fin qui svolti.
Per esempio, le semplificazioni introdotte da queste revisioni canoniche facilitano il raggiungimento di una “certezza morale” (nuovo canone 1687 § 1) nella individuazione giuridica di un impedimento dirimente, come l’instabilità mentale al momento di contrarre il matrimonio. Un altro esempio è che i processi canonici semplificati possono diminuire la probabilità di frenare la ricerca di un annullamento per timore di aggravare passati conflitti coniugali e ferite che potrebbero indurre nuovi conflitti di diritto civile su questioni come la custodia dei figli e/o la frequentazione dei figli.
In breve, la legislazione semplificata facilita un accesso ai tribunali che rispecchia meglio le odierne complesse situazioni pastorali e di diritto civile. “Mitis iudex Dominus Iesus” stabilisce un’unica fase di processo (nuovo canone 1671 § 2) e consente che vi sia un giudice unico (In caso di giudice unico, sono richiesti anche due assessori (nuovo canone 1676 § 3) nei processi dei tribunali ecclesiastici (nuovo canone 1673 § 4). Inoltre provvede nei casi più chiari un processo abbreviato di determinazione giudiziale dell’annullamento di un matrimonio direttamente da parte del vescovo (nuovo canone 1683). In un certo senso, quest’ultima soluzione rappresenta un ritorno al tipo di governo episcopale precedente la nascita della pratica di tribunali ecclesiastici separati.
Alcuni hanno espresso il timore che questa soluzione possa consentire il “divorzio” sotto la bandiera dell'”annullamento”. Questo punto di vista non è avallato dal motu proprio, nel quale il papa afferma tre volte il principio della “indissolubilità” del sacro vincolo del matrimonio, e per quanto riguarda il processo giuridico episcopale abbreviato parla della “massima cura [del pastore] per l’unità cattolica con Pietro nella fede e nella disciplina”. Inoltre, il nuovo canone 1683 limita il processo giuridico episcopale abbreviato ai casi in cui vi sia il consenso dei coniugi nella richiesta di nullità e in cui le testimonianze documentali sostanziali non richiedano indagini più accurate.
Alcuni hanno descritto la “Relatio” del sinodo del 2015 come un “trionfo di ambiguità”. Il cardinale George Pell ha difeso i paragrafi 84-86 della “Relatio” come “non ambigui”, sebbene siano visti da alcuni come “insufficienti”. Parlando del matrimonio, la “Relatio” fa un uso ripetuto del termine “indissolubilità” (ai paragrafi 1, 40, 48, 49, 84), ed è sicuramente incontrovertibile che l’unicità e la stabilità del vincolo matrimoniale sono state accolte dalla Chiesa fin dall’inizio come insegnamento del Signore radicato nel disegno originario di Dio, “dal principio” (Marco 10, 6; Gen 1, 27). È anche sicuramente incontrovertibile che la rottura intenzionale del vincolo sponsale costituisce un peccato grave: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra…” (Mc 10, 11). Su questo, come ha detto il cardinale Pell, c’è stato un “massiccio consenso”.
Eppure, al di fuori del sinodo è indubbio che stiamo registrando un largo consenso anche su una particolare interpretazione della citazione di “Familiaris consortio” n. 84 – “Sappiano i pastori che… sono obbligati a ben discernere le situazioni” – che è incorporata nel paragrafo 85 della “Relatio“.
Prima del sinodo, i vescovi tedeschi espressero il sentimento che non avevano bisogno dell’imprimatur di Roma per emettere decreti pastorali in Germania. Dopo il sinodo, un’idea corrente è che decisioni pastorali possono essere emesse a livello locale semplicemente dai sacerdoti, nel foro interno sacramentale. Ma senza delle “norme” della Santa Sede, sarebbe più difficile per i vescovi arginare le pratiche del clero che indeboliscono la dottrina del matrimonio e che attenuano il rapporto necessario tra la dottrina e la disciplina.
Tali sviluppi indesiderati sono aumentati dove vi è una fusione/confusione tra dottrina e disciplina. La dottrina è universale; la disciplina affronta le circostanze particolari e le responsabilità morali delle persone, anche nei fallimenti. In breve, la dottrina è generale, come il catechismo, mentre la disciplina è situazionale ed è mirata all’edificazione dei fedeli e alla conversione dei comportamenti particolari, piuttosto che alle situazioni generali. Ma senza “norme” per la disciplina, il pericolo del lassismo aumenta. Lasciare la disciplina semplicemente ai sacerdoti apre lo spazio a pratiche disparate da parte di confessori che hanno male interpretato le parole dette dal papa alla chiusura del sinodo del 2014 a proposito di coloro che hanno quel'”irrigidimento ostile” che è “la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti ‘tradizionalisti’”. Quando tali parole non sono interpretate in modo equilibrato, possono dare spazio crescente a una disciplina che è distaccata dalla dottrina. Ciò sottolinea la necessità di “norme” che ora mi accingo ad argomentare.
Il “massiccio consenso” del sinodo riguarda l’insegnamento di sempre sul matrimonio e la sua coerente presenza nel diritto canonico. Ma dato questo per scontato, ci sono “privilegi di fede” (cfr. canone 59 § 1) che nella tradizione latina sono riservati alla Santa Sede come esercizio da parte del legislatore del privilegio petrino. Ciò che è qui in questione è la concessione di un favore che è al di fuori della legge, ma che non abroga la legge: un atto “amministrativo”, piuttosto che un atto “giuridico” (È bene sapere che ci sono atti “amministrativi” che sono giuridici e disciplinati dal diritto canonico, come pure che gli atti canonici sono governati da una più generale norma “pastorale”: la “salus animarum”, la salvezza delle anime (canone 1752). Come nel titolo di questo articolo, gli atti ”amministrativi” e “pastorali” si riferiscono ad atti che sono extra-giuridici, nel senso che accordano un favore concesso sotto l’autorità del legislatore.).
Tali atti amministrativi possono affrontare situazioni canonicamente irregolari e di fatto disordinate, rispetto alle quali è prudente dare una moderata risposta pastorale. Le parole chiave sono “moderata” e “prudente”, e sostenere una cura amministrativa che sia moderata e prudente esige “norme”. Nel caso in esame, il vescovo sarebbe il “moderatore”, e la sua azione sarebbe regolata da “norme” della Santa Sede che governino la concessione da parte del papa di facoltà per atti amministrativi e pastorali che – in determinate circostanze – ammettano alla comunione sacramentale persone che per motivi complessi non sono in grado di regolarizzare il proprio stato matrimoniale.
Le concessioni di favori regolate da “norme” hanno fondamento in quanto espresso nei nuovi canoni 1675 (“Il giudice, prima di accettare la causa, deve avere la certezza che il matrimonio sia irreparabilmente fallito, in modo che sia impossibile ristabilire la convivenza coniugale”) e 1691 § 1 (“Nella sentenza si ammoniscano le parti sugli obblighi morali o anche civili, cui siano eventualmente tenute l’una verso l’altra e verso la prole, per quanto riguarda il sostentamento e l’educazione”). L’inserimento del punto 3 in queste “norme” implicherebbe normalmente processi di ”foro interno” e documentazione di “accesso restrittivo”, ma non includerebbe il “foro interno sacramentale”. L’inserimento del punto 4 è invece mirato a garantire che le petizioni che possono essere più appropriatamente trattate canonicamente vengano reindirizzate a trattamenti giudiziali, soprattutto quando lo snellimento dei processi di annullamento rende più facile la scoperta di un rimedio giuridico per i casi difficili. Nella frase “matrimonio/divorzio/nuovo matrimonio”, le parole “divorzio” e “nuovo matrimonio” devono intendersi in riferimento al solo diritto civile (nuovo canone 1671 § 2), in quanto queste “norme” non anticipano né un divorzio (“scioglimento”) ecclesiale, né un successivo matrimonio ecclesiale. In casi particolari, le “norme” governerebbero i processi per la concessione pastorale di favori in situazioni di anomalia tra diritto civile ed ecclesiastico, e non devono essere viste come l’offerta di un rimedio giuridico all’anomalia di situazioni confuse.
Le “norme” proposte sarebbero emanate dalla sede pontificia e potrebbero includere:
- il riconoscimento da parte del richiedente (o dei richiedenti) del comandamento divino di permanenza e unicità del matrimonio;
- il riconoscimento da parte del richiedente (o dei richiedenti) della vicenda del loro fallimento matrimoniale, con i suoi peccati, errori umani e tragedie, e le lezioni che sono state apprese;
- la documentazione da parte del delegato del vescovo – qui nella figura di un esperto di teologia pastorale e pratica – del regime penitenziale e riparatorio sostenuto dal richiedente (o dai richiedenti), e il giudizio che abbia avuto una durata appropriata;
- la documentazione da parte del vicario giudiziale diocesano della valutazione canonica del caso, e il giudizio che tale caso manchi di rimedio giuridico;
- la documentazione da parte del delegato del vescovo della valutazione dell’impatto pastorale della concessione di un tale favore nei contesti sociali ed ecclesiali del richiedente (o dei richiedenti), tra cui i contesti parrocchiali locali;
- la specificazione delle circostanze in cui queste facoltà possono essere utilizzate come parte dell’accoglimento nella piena comunione con la Chiesa cattolica di persone che in stato di irregolarità matrimoniale sarebbero soggette al diritto canonico latino e quindi inibite dall’essere pienamente accolte nella Chiesa;
- ci dovrà essere un rendiconto annuale alla sede pontificia dell’uso di questa facoltà da parte del vescovo.
Ciò che ora conclude questa nota è il modello di una lettera-rescritto che un vescovo potrebbe emettere secondo le facoltà descritte e le “norme” che le governano.
Modello di una lettera-rescritto.
Indirizzo del vescovado Data Prot. No. … Destinatario
Accoglimento di richiesta di rescritto
Gentile …,Sono lieto di scriverle, a seguito della sua richiesta in data … e della mia precedente lettera in data …, riguardanti la sua domanda di accesso alla comunione eucaristica, che sono in grado di accoglierla, secondo le norme approvate dal Santo Padre che assegnano a me la facoltà di amministrare questo favore. Ho quindi la facoltà di agire riguardo al processo di riconciliazione e di penitenza che lei ha intrapreso nel periodo …, sotto la direzione del suo parroco … e con la collaborazione del reverendo …, che ricopre la carica di teologo pastorale e pratico in questa diocesi.
Mi è stato confermato che lei ha percorso tutte le vie utili per la riconciliazione tra le parti interessate, come illustrato nel rapporto consegnatomi dal reverendo …, e che la sua situazione attuale si presenta stabile e comporta degli obblighi e degli impegni che sono generalmente conosciuti nella sua comunità locale e non sono in contrasto con le relative leggi e ordinamenti civili. La documentazione è stata riesaminata anche dal vicario giudiziale di questa diocesi, e ho considerato con attenzione il suo rapporto, per arrivare a formarmi un giudizio in merito al presente atto amministrativo pastorale.
La documentazione di questo processo di riconciliazione comprende la sua dichiarazione di fedeltà all’insegnamento della Chiesa cattolica come ricevuto da Nostro Signore sul carattere unico e vincolante del legame matrimoniale tra un uomo e una donna. L’emanazione di questo rescritto si basa sulla sua adesione pubblica alla dottrina matrimoniale come insegnata dalla Chiesa e sui riconoscimenti che lei ha fatto in foro interno delle passate mancanze e/o tragedie che hanno sconvolto lo stato matrimoniale precedente, che non è più ripristinabile.
Non le chiedo di mettere sulla pubblica piazza un passato doloroso e il successivo processo di riconciliazione, ma soltanto – qualora la necessità si presenti – le chiedo che dia testimonianza di aver intrapreso dei percorsi sotto la direzione del suo vescovo, che lo hanno convinto a emettere un rescritto per il suo ritorno alla comunione eucaristica secondo le norme specificate nella concessione delle facoltà episcopali da parte della Santa Sede, come pure la sua adesione pubblica all’insegnamento della Chiesa sul santo matrimonio.
Sarò presente nella cattedrale la sera del giorno …, e sarò lieto di condurla al sacramento della penitenza prima della santa messa che celebrerò alle ore … e nella quale sarò felice di amministrarle io stesso la santa comunione. La prego di prendere contatto con il mio segretario personale …, per gli opportuni accordi. Se tutto questo non fosse possibile, potrà presentare questa lettera-rescritto al parroco del luogo, in modo che egli possa darle effetto da parte mia.
Desidero felicitarmi con lei per la sua perseveranza nel consentire alla Chiesa di arrivare a concederle questo favore, e unisco le mie preghiere alle sue, per la sua crescita nella grazia di Dio. Preghi per me affinché possa avere saggezza, prudenza e coraggio nella mia vita e nel ministero di vescovo.
Sinceramente suo in Cristo, + … Vescovo di …
P.S. Poche ore dopo la pubblicazione di questo servizio, il canonista Edward N. Peters, docente al seminario maggiore di Detroit e referendario del supremo tribunale della segnatura apostolica, ha così confutato le tesi di Paul A. McGavin:
https://canonlawblog.wordpress.com/2015/11/24/a-license-to-sin
Sandro Magister 24 novembre 2015 http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351182
Un Sinodo del popolo di Dio. La proposta dei superiori generali.
Chiamare a raccolta laici, religiosi e religiose che devono essere coinvolti nel governo della Chiesa e avere uno spazio in cui confrontarsi. È la proposta che emerge dalle riflessioni dei dieci superiori generali che hanno partecipato al Sinodo. L’esperienza delle tre settimane di discussione e confronto in Vaticano sul tema della famiglia ha portato alla redazione di un documento con suggerimenti in merito ai contenuti e al metodo che potrebbero caratterizzare la prossima Assemblea dei vescovi
Un Sinodo del popolo di Dio che chiami a raccolta laici, religiosi e religiose, che devono essere coinvolti nel governo della Chiesa e avere uno spazio in cui confrontarsi. È la proposta che emerge dalle riflessioni dei dieci religiosi che hanno partecipato ai lavori del Sinodo dei vescovi. L’esperienza delle tre settimane di discussione e confronto in Vaticano sul tema della famiglia, che si sono concluse con la stesura di una Relatio largamente apprezzata nel panorama religioso, ha portato alla redazione di un documento con suggerimenti in merito ai contenuti e al metodo che potrebbero caratterizzare il prossimo Sinodo. Il testo sarà presentato alla Segreteria generale del Sinodo a conclusione della 86a Assemblea dell’Unione superiori generali (Usg), in corso a Roma fino al 27 novembre. L’assise alla quale partecipano circa 120 superiori, dedicata non a caso ai “Consacrati con il popolo di Dio in cammino”, è chiamata a eleggere anche il nuovo presidente che succederà al gesuita padre Adolfo Nicolás Pachón.
Questione femminile. La necessità di riflettere sulla sinodalità è al primo posto tra le proposte per il futuro. I padri sinodali religiosi, in rappresentanza dei superiori generali dell’Usg, ritengono che sia giunto il momento di individuare strutture e metodi che permettano di dare voce al popolo di Dio. Il Sinodo dei vescovi è, come rivela il nome, un luogo riservato al confronto tra il Papa e l’episcopato dove i religiosi sono ammessi da statuto quali rappresentanti degli Istituti clericali. Ma è sempre più forte la necessità di trovare spazi nei quali possa esprimersi liberamente il laicato e abbia diritto di parola una realtà ancora minoritaria nel dibattito della Chiesa: la donna.
Al Sinodo hanno partecipato tre madri generali in qualità di uditrici ma è evidente la disparità di peso, dal momento che le religiose rappresentano oltre l’80% della vita consacrata. E poi, se è vero che le famiglie sono i primi soggetti della pastorale, allora è opportuno che siano anche messe nella condizione di contare qualcosa. In questo senso, i superiori evidenziano la mancanza di strutturazione della sinodalità come ascolto e proposta del popolo di Dio. Altri temi avanzati per il prossimo Sinodo riguardano il rapporto tra dottrina e pastorale, che ha sollecitato una discussione animata tra i vescovi, la missione della Chiesa nel mondo e il significato di casa comune, approfondendo i concetti della “Laudato si’”, e infine il processo decisionale nel governo della Chiesa, per ridefinire il ruolo di laici e religiose.
Papa Francesco e il muro di gomma. Nel corso della prima giornata dei lavori dell’Assemblea dell’Usg sono intervenuti quattro padri sinodali. A introdurre la discussione è stato padre Adolfo Nicolás Pachón, preposito generale della Compagnia di Gesù. Per dare concretezza al Sinodo, in attesa dell’Esortazione apostolica che potrà fare maggiore chiarezza, è auspicabile la realizzazione di Sinodi nazionali e continentali: “Il Papa non può avanzare da solo, altrimenti la Chiesa è un muro di gomma che spinge sempre indietro”.
Secondo fra Bruno Cadoré, maestro dell’Ordine dei Frati predicatori, “accecati da alcune questioni difficili” ci si è concentrati poco su “grandi preoccupazioni delle famiglie: l’educazione dei figli, la solidarietà incondizionata, le rotture e i conflitti, i mutamenti nell’interazione tra genitorialità e filiazione, il confronto con la dimensione tragica e il maturare dell’uomo attraverso il fallimento”. Padre Richard Kuuia Baawobr, superiore generale dei Missionari d’Africa, ha invitato a “coinvolgere maggiormente le famiglie” e “mostrare ai divorziati e risposati che c’è un cammino di uscita nella loro situazione e che non devono viverlo da soli”.
Per padre Jeremias Schröder, arciabate presidente della Congregazione benedettina di Sant’Ottilia, “dobbiamo promuovere con molto più vigore l’inculturazione” e “incarnare i valori della nostra fede con più profondità nelle rispettive culture”: “Secondo il pregiudizio popolare il Papa è un liberale emotivo” ma Francesco “è ben consapevole dell’importanza del ministero petrino e del primato papale”. Infine fr. Hervé Janson, priore generale dei Piccoli Fratelli di Gesù, ha testimoniato la sua esperienza di unico religioso fratello presente al Sinodo: in nome di un nuovo slancio missionario, bisogna “superare l’abisso che oggi separa così spesso la famiglia dalla comunità parrocchiale, essendo la prima ‘poco ecclesiale’ e la seconda ‘troppo clericale’”. Se l’Eucarestia non è “per i perfetti” ma “per coloro che sono malati”, allora il Sinodo ha marcato il desiderio “nuovo” di “non perdere nessuno e d’incorporare tutti nella Chiesa”
Riccardo Benotti agenzia SIR 26 novembre 2015
http://agensir.it/chiesa/2015/11/26/un-sinodo-del-popolo-di-dio-la-proposta-dei-superiori-generali
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UNIONI CIVILI
Separazione e assegni familiari.
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 44765, 9 novembre 2015.
Nelle separazioni di coppie non sposate con figli, a meno di diversa indicazione da parte del giudice, il versamento degli assegni familiari al genitore affidatario del minore concorre a integrare l’obbligo di mantenimento. Il relativo importo dunque non va scomputato dalla cifra complessiva da corrispondere
http://renatodisa.com/2015/11/25/corte-di-cassazione-sezione-vi-sentenza-9-novembre-2015-n-44765-nelle-separazioni-di-coppie-non-sposate-con-figli-a-meno-di-diversa-indicazione-da-parte-del-giudice-il-versamento-degli-assegni
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VIOLENZA
Contro la violenza sulle donne un appello alle chiese cristiane in Italia.
La violenza contro le donne è un’emergenza nazionale. Ogni anno in Italia sono migliaia le donne che subiscono la violenza di uomini, ed oltre cento rimangono uccise. Il luogo principale dove avviene la violenza sulle donne è la famiglia: questo è un fatto accertato e grave.
Questa violenza interroga anche le Chiese e pone un problema alla coscienza cristiana: la violenza contro le donne è un’offesa ad ogni persona che noi riconosciamo creata a immagine e somiglianza di Dio, un gesto contro Dio stesso e il suo amore per ogni essere umano. Il rispetto della vita e la pari dignità di ogni creatura sono beni al cuore della fede cristiana che ci invita ad abbattere i muri che discriminano, escludono, emarginano le donne.
Come comunità cristiane rivolgiamo un appello alle istituzioni scolastiche ed educative, alle agenzie culturali e pubblicitarie, agli organi di stampa perché anch’esse promuovano un’immagine della donna rispettosa della sua identità, della sua dignità e dei suoi diritti individuali.
Ma soprattutto le comunità cristiane in Italia sentono urgente la necessità di impegnarsi in prima persona per un’azione educativa e pastorale profonda e rinnovata che da un lato aiuti la parte maschile dell’umanità a liberarsi dalla spinta a commettere violenza sulle donne e dall’altro sostenga la dignità della donna, i suoi diritti e il suo ruolo nel privato delle relazioni sentimentali e di famiglia, nell’ambito della comunità cristiana, così come nei luoghi di lavoro e più in generale nella società.
Continueremo a pregare, a predicare, educare ed agire per sradicare la pianta cattiva di culture, leggi e tradizioni che ancora oggi in varie parti del mondo, discriminano la donna, non di rado avvilendola nel ruolo di un semplice oggetto di cui disporre.
Lo faremo annunciando che l’Evangelo che testimoniamo ci libera da ogni costrizione e ci fa tutti, uomini e donne allo stesso modo, oggetto dell’amore incommensurabile di Dio.
Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia
Cei-Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. 9 marzo 2015
Metropolita Gennadios Zervos, Arcivescovo della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta
Mons. Siluan, Vescovo della Diocesi ortodossa Romena d’Italia
Archimandrita Antoniy Sevryuk, Segretario dell’amministrazione delle parrocchie del patriarcato di Mosca
Mons. Anba Barnaba El Soryany, Vescovo della Chiesa Copta Ortodossa – Roma
Padre Tovma Khachatryan, Vicario generale del delegato pontificio della Chiesa Armena Apostolica
Mons. Mansueto Bianchi, Presidente Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso
Don Marco Yaroslav Semehen, Coordinatore nazionale per gli Ucraini cattolici di rito bizantino in Italia
Pastore Massimo Aquilante, Presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche In Italia
Venerabile Jonathan Thomas Boardman, Arcidiacono d’Italia e Malta, Cappellano della Chiesa Anglicana
Reverendo Claudio Bocca, Chiesa cattolica nazionale polacca degli Stati Uniti d’America e Canada
www.chiesacattolica.it/pls/cci_new_v3/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=65842
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