newsUCIPEM n. 554 –12 LUGLIO 2015

                               newsUCIPEM n. 554 –12 LUGLIO 2015

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ADOZIONE INTERNAZIONALE   Dati primo semestre 2015: non si arresta il calo delle adozioni.

Il futuro passa dal dialogo tra i vari attori del sistema.

ADOZIONI INTERNAZIONALI    Bulgaria. Ottima sinergia tra autorità centrale ed Enti.

CHIESA CATTOLICA                    La svolta storica della Cei: unioni civili come male minore

CONSULTORI familiari UCIPEM  Lucera. Corso per il diploma di Consulente per la Famiglia.

Napoli.            Scuola di comunicazione.

Sito UCIPEM.

DALLA NAVATA                            15° Domenica del tempo ordinario anno B – 12 luglio 2015.

FORUM ASS.ni FAMILIARI                       Il buono che c’è nella buona scuola.

NULLITÀ MATRIMONIALE         Annullamento del matrimonio per difetto di consenso.

PARLAMENTO Comm. Giustizia Disciplina delle unioni civili.

                                                           Divorzio diretto.

PROCREAZIONE                            Nuovo Piano nazionale per la fertilità.

SINODO SULLA FAMIGLIA          Sinodo dei Vescovi: per una lettura di genere.

UNIONI CIVILI                               La svolta storica della Cei: unioni civili come male minore.

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Dati primo semestre 2015: non si arresta il calo delle adozioni internazionali

 

Sembra un crollo senza fine quello dell’adozione internazionale in Italia. Una discesa che niente e nessuno pare in grado di fermare o intenzionato quantomeno a frenare. In base alle proiezioni effettuate alla fine del primo semestre del 2015, infatti, si registra un ulteriore calo dei minori stranieri adottati da famiglie italiane rispetto allo stesso periodo del 2014. Tutto questo mentre il governo inspiegabilmente non mette in atto alcun intervento risolutorio, come se non si accorgesse del problema. E il principale organo istituzionale del settore, la Commissione Adozioni Internazionali, sembra ormai completamente paralizzata.

I dati parlano chiaro e mettono in luce una situazione drammatica che non solo non accenna a migliorare, ma, anzi, continua a peggiorare, rendendo sempre più probabile e sempre più vicina la fine dell’adozione internazionale nel giro di pochi anni. Al termine del primo semestre del 2014, le proiezioni effettuate a partire dai dati forniti dagli enti autorizzati parlavano di soli 930/950 minori stranieri adottati in Italia dal 1° gennaio al 30 giugno. Era il record negativo degli ultimi anni, che segnava un crollo del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E il 2014 sappiamo bene come si è concluso: con meno di 2mila bambini adottati, stando sempre alle proiezioni effettuate sulla base dei dati pubblicati dagli enti. Le cifre ufficiali, infatti, ancora non si conoscono visto che, incredibilmente, la Cai non ha ancora pubblicato il report relativo al 2014. Duemila minori accolti voleva dire un calo del 30% rispetto al 2013 e addirittura del 50% rispetto al 2010, anno record dell’adozione internazionale in Italia.

Sembrava di aver toccato il fondo, ma si temeva che non fosse così. E che il peggio dovesse ancora arrivare. Paure giustificate proprio dall’atteggiamento di totale inerzia da parte sia del governo che della Cai di fronte al problema. I dati relativi al primo semestre del 2015 non fanno altro che dare ragione a chi temeva un ulteriore calo. Le proiezioni effettuate a partire dai dati pubblicati dagli enti autorizzati, infatti, dicono che i minori stranieri adottati a cui è stata concessa l’autorizzazione all’ingresso in Italia dal 1° gennaio al 30 giugno 2015 sarebbero circa 850. Ovvero un centinaio in meno rispetto allo stesso periodo del 2014. In percentuale, ciò significa un ulteriore calo del 10,5%. Dati da prendere “con le pinze”, ovviamente, trattandosi di proiezioni soggette a un margine di errore statistico del 7-8% in più o in meno (un margine comunque minimo), ma pur sempre indicative di come il crollo dell’adozione internazionale in Italia non accenni a fermarsi.

Un fenomeno che ha diverse cause. Non si può ignorare, infatti, il calo di fiducia da parte delle famiglie – sono in media 500 in meno all’anno quelle che fanno richiesta di adozione internazionale -, dovuta agli alti costi, ai tempi lunghi, agli interminabili iter burocratici, alla carenza di trasparenza del sistema, a una cultura fondata più sulla selezione che sull’accompagnamento. Ma davanti a tutto questo sembra che il governo e la Cai stiano a guardare, inerte il primo e paralizzata la seconda. Nel frattempo, quello che era “il fiore all’occhiello della società italiana” vede i suoi petali sempre più appassiti.

Ai. Bi.             8 luglio 2015              www.aibi.it/ita/category/archivio-news

 

Il futuro dell’adozione internazionale passa dal dialogo tra i vari attori del sistema

            Non sono solo la crisi economica, i costi proibitivi, i tempi lunghi e la burocrazia insuperabile le cause del crollo delle adozioni internazionali in Italia. Tra i fattori che hanno allontanato le coppie dalla voglia di adottare c’è anche l’assenza di un coordinamento e di uno spirito collaborativo tra le varie realtà istituzionali e associativa operanti del settore. Il mondo dell’adozione internazionale, insomma, appare sempre più lontano dalle famiglie e dai bambini abbandonati. È quanto emerso mercoledì 8 luglio 2015 dalla conferenza “Adozioni internazionali: quale riforma?”, che si è tenuto a Roma presso la sala Isma del Senato. Un’iniziativa del senatore Aldo Di Biagio (Area Popolare) con la partecipazione della sua collega Rosetta Enza Blundo (Movimento 5 Stelle), che sono riusciti così a creare l’occasione per un confronto costruttivo tra istituzioni, politica, enti autorizzati e rappresentanti delle famiglie, con l’obiettivo di individuare la giusta via di uscita da questa crisi.

            Il dibattito ha preso le mosse dalla consapevolezza, condivisa da tutti i partecipanti all’evento, della gravità dell’attuale situazione e della necessità di un netto cambiamento di rotta. Il principale imputato è il sistema-Italia dell’adozione internazionale. Anna Maria Colella, presidente dell’Arai, ente autorizzato della Regione Piemonte, denuncia in particolare “le condizioni disumane in cui versano molti dei bambini in attesa di adozione”, sottolineando come le maggiori carenze da colmare siano quelle della fase post-adottiva, dove “i genitori si sentono completamente abbandonati e non tutelati”.

            “La Commissione Adozioni Internazionali, nel frattempo, ancora oggi non diffonde i dati sulle adozioni del 2014, mettendo così in grave difficoltà operativa sia gli addetti ai lavori che le famiglie”, avverte Monya Ferritti, presidente del coordinamento di famiglie adottive CARE. E continua rilevando che è proprio ora, in questo contesto così critico che servirebbe una cabina di regia forte e in grado di agevolare il dialogo fra i vari attori del sistema-adozioni garantendo la possibilità di adozioni “sostenibili” e infrangendo “la sterile discussione su qualità versus quantità”.

            Quella stessa Cai che vive da un anno e mezzo la paradossale situazione di “un accentramento di cariche in una sola persona che mal si concilia – afferma Blundo – con quel metodo della condivisione che dovrebbe ispirare il settore e garantirne il miglior funzionamento possibile”. A questi problemi si aggiungono quelli degli enti: “troppi e differenti per costi, modalità di pagamento, gestione dei mandati”, come rileva Anna Guerrieri dell’associazione familiare “Genitori si diventa”. “Riportare l’adozione al centro di un’attenzione positiva delle Istituzioni e della Politica – spiega Guerrieri – può essere realizzato in modo credibile solo scegliendo di sostenere per davvero le famiglie che adottano”. Gli enti, dal canto loro, sentono tutto il peso della crisi perché, ricorda il presidente del Cifa Gianfranco Arnoletti, “la burocrazia ha appesantito i costi dell’adozione di 3 volte e questo lo paghiamo in termini di qualità”. È la stessa burocrazia, sottolinea ancora Blundo, a ostacolare gli iter adottivi e a scoraggiare pesantemente le famiglie. Ma quel che è peggio è che tutto questo avviene nel disinteresse più totale delle istituzioni. “Da diversi mesi c’è troppo silenzio sulle adozioni”, denuncia Pietro Ardizzi, portavoce del coordinamento di enti “Oltre l’adozione”, che ravvisa “nella gestione degli ultimi tre governi il fallimento del sistema adottivo italiano”, con pesanti tagli che hanno “penalizzato fortemente le risorse indispensabili a tutti i soggetti delle adozioni”. Insomma, in poco tempo si è annullato quanto si è tentato di costruire in questi anni, lamenta ancora Colella.

            La via di uscita da una tale situazione è per tutti quella della condivisione. “Privilegiare la gestione aperta, trasparente e trasversale” deve essere, per Blundo, l’imperativo della Cai. E al contempo riconoscere che “gli enti sono una ricchezza da cui attingere in una collegialità”, a fronte delle attuali “decisioni monocratiche della Cai”, afferma il senatore del Nuovo Centrodestra Carlo Giovanardi. Il quale parla di illegalità a proposito dell’attuale gestione delle adozioni internazionali, affermando che occorre “recuperare il rapporto tra istituzioni, famiglie e territorio, ma sempre nel pieno rispetto delle normative vigenti”.

            La strategia per il futuro deve basarsi sulla promozione di una cultura dell’adozione che permetta di snellire le procedure, rendere meno oneroso l’iter e accompagnare davvero le coppie, che troppo spesso si sentono lasciate sole. Queste ultime hanno diritto a un supporto da parte delle istituzioni (Colella), in particolare nel post-adozione, obiettivi raggiungibili solo cambiando le Linee guida, come sostiene Melita Cavallo, presidente del Tribunale per i Minorenni di Roma. “Per un’azione politica seria e positiva è necessario fare una scelta: sostenere le famiglie adottive”, sintetizza Guerrieri. Le fa eco il senatore Maurizio Romani (gruppo misto) che raccomanda di “ascoltare molto di più le famiglie e le associazioni, in un approccio gestionale trasparente, coordinato da linee guida rigorose e puntuali”.

Davanti a una crisi creata anche dalle difficoltà di dialogo tra i vari attori del sistema, il futuro dell’adozione internazionale non può non passare dalla ricerca di occasioni di confronto e dall’avvio di quello che Di Biagio ha definito “un tavolo tecnico per giungere a un testo di riforma condiviso da tutti”. Perché la questione delle adozioni “deve entrare a far parte del welfare e il governo se ne deve fare carico”, ha concluso Di Biagio. Concetti ripresi anche dal senatore del Partito Democratico e padre adottivo Stefano Collina: “Bisogna farsi carico di una collaborazione aperta che porti a un tavolo di lavoro che ci consenta di fare dei passi avanti”. Un dialogo inteso come ritorno al “patto tra famiglie e governi”, con la politica direttamente impegnata nella promozione dell’adozione internazionale, è l’auspicio anche di Marco Griffini, presidente di Amici dei Bambini.

Ai. Bi.             8 luglio 2015              www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Bulgaria. Ottima la sinergia tra autorità centrale ed enti autorizzati.

            Migliorare l’adozione in tutti i suoi aspetti. Con questo obiettivo si è svolto in Bulgaria un importante incontro che ha visto la partecipazione fattiva del Ministero della Giustizia, ovvero l’Autorità centrale del Paese; il Dipartimento “Tutela internazionale dei bambini”, l’Agenzia per l’Assistenza Sociale (ASA) e due rappresentanti dell’AOMO (Associazione degli enti accreditati in Bulgaria).

            Il convegno ha sancito l’ottima sinergia tra gli enti autorizzati e l’autorità centrale bulgara. Il prossimo appuntamento sarà in autunno quando con l’aiuto di AOMO verranno definiti gli standard operativi che unificheranno l’attività di tutte le Direzioni regionali di assistenza sociale e le Direzioni di tutela del bambino.

            Intanto un primo fondamentale risultato è la cancellazione di 500 famiglie affidatarie, avvenuta su indicazione degli enti autorizzati.  Eventuali future segnalazioni di famiglie affidatarie non in grado di fornire un’adeguata accoglienza ai piccoli da loro accolti, verranno segnalati dagli enti autorizzati all’ASA, che farà i necessari controlli. I risultati saranno presentati al Ministero della Giustizia per le opportune valutazioni.

            L’incontro ha anche stabilito la necessità di iscrivere nel registro dei minori adottabili i bambini che si trovino in famiglie affidatarie o in comunità educative. Altro obiettivo ritenuto essenziale è quello di scongiurare la permanenza a lungo termine dei bimbi all’interno di famiglie affidatarie. Il direttore generale dell’Asa ha elencato le priorità che dovranno impegnare tutti coloro che si occupano di infanzia abbandonata. In primo luogo occorre prevenire l’abbandono dei minori, e laddove possibile favorire il loro reinserimento nella famiglia d’origine. Quindi procedere alla chiusura degli istituti per minori abbandonati con particolare riguardo per i centri che accolgono i bambini con problemi psichici e fisici. Terzo punto ribadito è che i bambini senza famiglia hanno diritto di essere adottati, quindi l’accoglienza in una famiglia affidataria dev’essere percepita e utilizzata come una misura temporanea di tutela del bambino.

            Non è esagerato dire che il convegno rappresenta una piccola rivoluzione nella tutela dell’infanzia abbandonata. Per la prima volta il Ministero di Giustizia, per bocca del viceministro Verginia Micheva-Ruseva, si è espresso con forza a favore dell’iscrizione dei bambini in stato di abbandono nel registro dei minori adottabili e contestualmente l’ASA ha inaugurato un nuovo atteggiamento, impegnandosi a controllare e cambiare tutti i elementi che non sono nell’interesse dei bambini.

            La speranza è che queste novità costituiscano presto il viatico per nuove adozioni, all’interno del Paese stesso o all’estero.  Incoraggianti i dati delle adozioni concluse da Amici dei Bambini nel primo semestre del 2015. In soli sei mesi sono stati adottati 14 bambini, raggiunto quindi il numero di adozioni concluse nell’intero 2014. Sempre lo scorso anno il totale dei bambini nati in Bulgaria e arrivati nel nostro Paese attraverso un iter adottivo sono stati 88.

            Ai. Bi.             10 luglio 2015            www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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CHIESA CATTOLICA

La svolta storica della Cei: unioni civili come male minore.

Prima del Family Day del 20 giugno il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, aveva chiesto a Francesco quale atteggiamento l’episcopato dovesse tenere nei confronti della mobilitazione cattolica anti-unioni civili. «La protesta in piazza contro una proposta di legge riguarda i laici, non i vescovi», ha chiarito il Papa e così dalla Cei non è arrivato avallo ufficiale alla manifestazione.

Tra due mesi si replica. Sotto il peso di 2 mila emendamenti, il Ddl Cirinnà non passerà dalla commissione all’Aula prima della pausa estiva e a settembre si svolgerà un nuovo Family day a San Giovanni in Laterano. Il comitato organizzatore si struttura in modo permanente per lavorare sul territorio. In Parlamento la partita è aperta. Il Pd ha già accettato di distinguere nettamente il matrimonio dalle unioni civili in modo da creare due istituti completamente diversi. Ma il dissenso manifestato da Ncd allontana l’intesa. Sono 1.800 gli emendamenti da votare, ai quali si aggiungono gli oltre 200 subemendamenti. Secondo il dem Giuseppe Lumia «il Ddl porterà all’Italia una legislazione moderna non contro la famiglia ma per allargarne la portata». Il teocon Carlo Giovanardi promette: «Ncd-Area popolare contrasterà la legge con tutti gli strumenti che il regolamento del Senato mette a disposizione».

Una «distanza di metodi» tra laici e gerarchie sempre più evidente anche al di fuori del mondo cattolico. «La Chiesa è più avanti di Giovanardi – sintetizza Marco Di Lello, presidente dei deputati socialisti -. Resta il nodo della reversibilità delle pensioni, mentre sono stati fatti passi avanti su affitti, ospedali e visite in carcere». Le polemiche infiammano il dibattito politico ed ecclesiale. Così, a due settimane dal «Family Day» dove il fondatore dei neocatecumenali Kiko Arguello aveva criticato il mancato sostegno della Cei all’iniziativa, il numero due dell’episcopato Nunzio Galantino, annuncia per il 3 ottobre un incontro promosso dalla Chiesa italiana a difesa della famiglia. Dai vescovi nessun intervento a gamba tesa sul già travagliato iter legislativo delle unioni civili. La mobilitazione della Cei avrà la valenza ecclesiale della preghiera e non quella di una manifestazione di piazza. Distinta dal Family Day. «A San Pietro ci troveremo per pregare con Francesco per tutte le famiglie e con tutte la famiglie -spiega Galantino -. La testimonianza è tanto più efficace ed evangelica quanto più è resa con mitezza e rispetto. Quando sento o leggo espressioni violente o poco rispettose delle persone sulla bocca di alcuni credenti mi sorge il dubbio che a dettarle non sia il Vangelo o l’amore per valori evangelici, ma solo interessi personali».

All’accesa discussione tra settori della base e vertici della Chiesa italiana corrispondono i lavori a rilento per il Ddl Cirinnà. Lo stallo è di carattere tutto politico. Se non si troverà un accordo tra Pd e Ncd rischia di saltare la data per l’approdo in Aula che la relatrice aveva individuato per la fine di luglio. A settembre l’esito.

Giacomo Galeazzi     La Stampa, 7 luglio 2015

www.lastampa.it/2015/07/07/italia/politica/quel-no-di-francesco-a-bagnasco-nessun-sostegno-al-family-day-kmIXmgipP0G7QB1OMIEsOL/pagina.html

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Lucera. Parte il Corso per il diploma di Consulente per la Famiglia.

Parte ad Ottobre 2015 c/o la sede del Consultorio la Famiglia in via Petrilli,1 il nuovo Corso Triennale per il conseguimento del diploma di Consulente per la Famiglia, un percorso formativo per tutti coloro che desiderano avvicinarsi ad una professione davvero unica.

La legge n.4 del 14/01/2013 ha introdotto le regole che disciplinano le professioni intellettuali non organizzate in ordini e collegi, riconoscendo la figura del Consulente Familiare.

http://www.associazionefamiglia.com/news.asp?ID=2070

 

Napoli.            Scuola di comunicazione.

A settembre riprenderanno la Scuola di comunicazione per genitori, educatori, operatori familiari e la Scuola per Consulenti familiari. Persegue infatti lo scopo di aiutare la famiglia nella sua formazione e nel suo sviluppo e, a tale fine, riconosce come fondamento del proprio servizio consultoriale la persona umana, considerandola nella sua globalità e nella dinamica delle sue relazioni di coppia e di famiglia e del suo inserimento nella società.

Il fine della Scuola di Comunicazione è quello di attivare e favorire processi di crescita individuale e di gruppo, approfondire la metodologia della consulenza familiare, offrire gli strumenti teorici e pratici per poter comunicare a tutti i livelli, nella comunicazione interpersonale, nella coppia, nella famiglia e nei rapporti sociali.

Direttore e Coordinatore:        p. Domenico Correra S.J. (Psicologo e Psicoterapeuta)

Responsabili e Referenti:        Di Pierno (Consulente Familiare e Mediatore Familiare)

Roberta Imparato (Consulente Familiare e Mediatore Familiare)

Maria Montemurro (Consulente Familiare e Mediatore Familiare)

Stefania Sinigaglia (Consulente Familiare e Mediatore Familiare)

www.consultorio-famiglia-giovani.it/news.htm

 

Sito UCIPEM.

Gli scopi del dialogo tra i genitori e i figli                             9 luglio 2015

dr Emilio Tribolato, medico neuropsichiatra e psicologo, Messina

La comunicazione materna                                                    9 luglio2015

dr Emilio Tribolato, medico neuropsichiatra e psicologo, Messina

“Come recuperare una educazione capace di valorizzare”           19 giugno 2015

Prof. Raffaello Rossi, consulente coniugale e familiare, Bologna

Capire l’adolescenza insieme ai suoi interpreti                     5 giugno 2015

Carmine Lazzarini, pedagogista                               convegno a Viadana

www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=category&id=87&Itemid=259

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DALLA NAVATA

                                   15° Domenica del tempo ordinario anno B – 12 luglio 2015.

Amos              07, 15 «Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele.»

Salmo                         85, 09 «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli.»

Efesini             01, 03 «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.»

Marco             06, 17 «Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri.»

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FORUM delle ASSOCIAZIONI FAMILIARI

                        Il buono che c’è nella buona scuola.

Non possiamo non sottolineare diversi aspetti positivi contenuti nella riforma della scuola approvata in Parlamento. È positivo che si rompa un centralismo scolastico ormai fuori dal tempo e dall’Europa. È positivo che le scuole e le comunità educanti composte da docenti, studenti e genitori acquistino una maggiore autonomia. È positivo che ad ogni scuola sia chiesto di non restare isolata, ma di aprirsi al territorio, alle forze sociali, al mondo dell’economia e delle comunità locali. È positivo che si infranga la rigidità dei programmi e la separatezza tra materie e percorsi in una scuola non solo trasmissiva di nozioni ma luogo di esperienza didattica. È positivo che il sistema scolastico divenga più forte con il riconoscimento delle scuole paritarie, pubbliche a tutti gli effetti, in una logica di rete inter pares che valorizza la ricchezza di differenti progetti e percorsi educativi.

Sappiamo anche che questa riforma richiede ancora chiarimenti e approfondimenti, ma la guardiamo con molta attenzione, senza pregiudizi ma con il desiderio di mettersi in gioco, come genitori, come famiglie e come associazioni familiari, per dare il nostro contributo al processo educativo e didattico.

Per i genitori le classi devono cessare di essere luoghi – spesso estranei – di scontro e di sospetto per diventare luoghi familiari in cui potersi confrontare con i docenti. Un confronto che dovrebbe essere spontaneo e naturale; per questo dispiace che sia stata necessaria una circolare ministeriale per ribadire l’ovvietà che sia necessario il consenso informato dei genitori per ogni iniziativa che esce dalle linee codificate dei curricula. Avrebbe dovuto essere un’ovvietà, proprio per rinnovare l’indispensabile alleanza tra scuola e famiglia, e per questo come Forum avevamo chiesto che fosse ricordata nel testo della riforma, ma plaudiamo comunque ad un chiarimento che alla luce dei fatti di questi ultimi mesi era certamente necessario.

Non possiamo non condividere le parole di mons. Galantino, segretario generale della Cei: «Se la riforma della scuola e le circolari che l’accompagnano ci aiuteranno a recuperare il ruolo centrale della famiglia, io dico che la legge ha operato una grande svolta». Vedremo nel tempo se questa svolta si concretizzerà, ma i presupposti ci sono tutti: e come genitori ci spetta la grande responsabilità di tornare ad abitare la scuola, insieme ai nostri figli.

Comunicato stampa 10 luglio 2015

www.forumfamiglie.org/comunicati.php?filtro=anni_precedenti&comunicato=773

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NULLITÀ MATRIMONIALE

Annullamento del matrimonio per difetto di consenso.

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 13883, 6 luglio 2015.

In tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso, le situazioni di vizio psichico assunte dal giudice ecclesiastico come comportanti inettitudine del soggetto, al momento della manifestazione del consenso, a contrarre il matrimonio non si discostano sostanzialmente dall’ipotesi d’invalidità contemplata dall’art. 120 cod. civ., cosicché è da escludere che il riconoscimento dell’efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo in principi fondamentali dell’ordinamento italiano

            Nel caso in cui il coniuge non fosse stato in grado di comprendere i diritti e doveri del matrimonio il matrimonio si annulla anche se l’altra parte era in buona fede e non aveva contezza di ciò.

            Chi si sposa senza comprendere il senso del matrimonio, ossia il complesso di diritti e doveri che dall’unione scaturiscono, può ottenere l’annullamento del matrimonio dal tribunale ecclesiastico. La sentenza, poi, ha efficacia anche per lo Stato italiano (sempre che non siano decorsi 3 anni di convivenza), anche se l’altro coniuge era in perfetta buona fede, ossia era all’oscuro del deficit psichico del partner. Difatti, in questi casi, prevale la necessità di annullare un legame invalido per via dell’incapacità naturale della parte, piuttosto che tutelare l’affidamento incolpevole dell’altro coniuge.

Secondo la Corte, insomma, la mancata conoscenza, da parte del coniuge, del vizio della volontà che colpisce l’altro soggetto sull’altare, non impedisce la nullità del matrimonio: con la conseguenza che la pronuncia della Sacra Rota può ben essere delibata dal tribunale italiano.

Redazione Lpt                       7 luglio 2015

www.laleggepertutti.it/93143_annullamento-del-matrimonio-per-difetto-di-consenso

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PARLAMENTO

2° Commissione Giustizia      Disciplina delle unioni civili.

Testo unificato adottato dalla commissione per i disegni di legge: nn. 14,197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1360, 1316, 1745, 1763: Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, in sede referente.

7 luglio 2015. Prosegue l’esame congiunto, sospeso nella seduta del 1° luglio 2015.

            Vengono esaminati i subemendamenti pubblicati nella seduta del 1° luglio, per il controllo sull’ammissibilità e sulla proponibilità degli emendamenti al testo unificato adottato nella seduta del 26 marzo 2015. Alcuni subemendamenti sono dichiarato improponibili o inammissibili o incongruenti con il contesto normativo di riferimento o improponibile per estraneità della materia.

Tutti i restanti subemendamenti sono invece dichiarati ammissibili e proponibili.

            Il subemendamento 1.30000/24 è infine dichiarato inammissibile perché utilizza una terminologia incongrua o comunque priva di ragionevole collocazione nel contesto ordinamentale.

Tutti i restanti subemendamenti sono invece dichiarati ammissibili e proponibili.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=929816

                                                                       Divorzio diretto.

1857 Rosanna Filippin ed altri. Modifiche alla legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di legittimazione alla richiesta di scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio.

7 luglio 2015 Prosegue l’esame congiunto, sospeso nella seduta del 1° luglio.

Il senatore Malan (FI-PdL XVII) osserva che le disposizioni recate dai disegni di legge in titolo, rischiano di favorire pratiche abusive e matrimoni di convenienza, finalizzati surrettiziamente a conseguire le provvidenze economiche collegate a tale istituto. Anche tenuto conto di ciò e considerata l’entrata in vigore delle recenti modifiche legislative in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di comunione tra i coniugi, di cui alla legge 5 maggio 2015, n. 55 – pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 11 maggio 2015, n. 107 – che consentono il divorzio in termini molto brevi (fino a sei mesi), non si ravvede la ratio di una previsione che ammetta il divorzio in via diretta ovvero automatica, come quelle proposte con i predetti disegni di legge.

Il presidente Palma, intervenendo incidentalmente, osserva che la previsione di cui all’articolo 1 dell’Atto Senato n. 1504-bis – a differenza degli istituti di degiurisdizionalizzazione delle procedure di separazione e di divorzio già introdotti nell’ordinamento dagli articoli 6 (negoziazione assistita) e 12 (accordi di separazione e divorzio davanti al sindaco) del decreto-legge n. 132 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 162 del 2014 –  consente lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio esclusivamente attraverso il vaglio dell’autorità giurisdizionale competente.

Il senatore Giovanardi (AP (NCD-UDC)) dichiara che sulla materia matrimoniale si stanno affastellando una congerie di atti normativi eterogenei, che peraltro presentano come minimo comune denominatore una evidente contrarietà all’istituto del matrimonio. Ricorda che la previsione del divorzio diretto del testo predisposto dalla Commissione per il disegno di legge n. 1504 è stata stralciata nel corso dell’esame in Assemblea, in quanto si è ritenuta meritevole di approfondimento la questione se introdurre una simile innovazione ordinamentale. Esprime poi perplessità nei confronti della previsione “ricorso congiunto” in quanto foriera di dubbi applicativi in ordine alle modalità con le quali è ammissibile pervenire a tale presunta volontà comune, soprattutto in presenza di prevaricazioni nei fatti da parte di un coniuge nei confronti dell’altro. Condivide infine le perplessità testé espresse dal senatore Malan sul rischio di abusi che l’eventuale approvazione di una siffatta disposizione potrebbe determinare.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=929816

8 luglio 2015 Prosegue l’esame congiunto, sospeso nella seduta del 7 luglio.

Il senatore Lo Giudice (PD) ricorda che il disegno di legge in titolo è il risultato dello stralcio del comma 2 dell’articolo 1 del disegno di legge n. 1504 (oggi legge 6 maggio 2015, n. 55), nel testo licenziato dalla Commissione giustizia in sede referente. Quest’ultima infatti si era già espressa in senso favorevole al contenuto del cosiddetto “divorzio diretto”. Ritiene che l’esigenza di una ulteriore valutazione sugli effetti derivanti dall’eventuale introduzione del suddetto istituto sia dovuta anche alla tradizionale contrapposizione, presente anche nel dibattito pubblico, tra chi ritiene che la semplificazione delle procedure di scioglimento del matrimonio sia, a conti fatti, un incentivo a ricorrere a tale istituto, rispetto a quanti invece ritengono che il matrimonio, oltre ad essere un istituto giuridico, sia anche un importante sacramento fondato sulla indissolubilità. A suo avviso la semplificazione del procedimento di separazione e divorzio potrebbe contribuire a rendere più libera e consapevole la scelta di sposarsi. A tale riguardo sottolinea che a seguito dell’approvazione della legge sul divorzio e degli esiti del referendum abrogativo dal 1975 si è registrato un incremento del numero dei matrimoni in Italia. Precisa, peraltro che pur determinandosi una semplificazione della procedura, l’ottenimento del divorzio verrebbe comunque sottoposto a significative garanzie processuali. Basti pensare che, oltre alla comune consapevolezza dei coniugi circa la crisi del proprio matrimonio e la sua irrimediabilità, deve essere raggiunto un accordo sulle condizioni di scioglimento del matrimonio; l’accordo deve essere formalizzato in un ricorso; il ricorso deve essere sottoscritto e depositato in tribunale; il tribunale deve fissare l’udienza di comparizione dei coniugi; i coniugi devono comparire davanti al presidente del tribunale per il tentativo di riconciliazione e la conferma delle condizioni; il presidente deve verificare se le condizioni proposte siano congrue e se il consenso sia stato liberamente prestato; infine lo scioglimento del matrimonio deve essere pronunciato con una sentenza. In aggiunta a tali condizioni procedurali, dai disegni di legge in titolo si richiede altresì che non vi siano figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap gravi ovvero figli di età inferiore ai 26 anni non economicamente autosufficienti.  (…).

Il senatore Cappelletti (M5S) interviene innanzitutto sull’ordine dei lavori (…).

Il senatore Lumia (PD) – dopo aver osservato la disponibilità del proprio Gruppo parlamentare ad esaminare in tempi brevi i disegni di legge richiamati dal senatore Cappelletti – segnala l’opportunità di intervenire anche sulla materia in esame. (…)

Il senatore Tonini (PD), ritiene opportuno un approfondimento della questione anche ricorrendo ad audizioni informali. Esprime perplessità sull’istituto del cosiddetto “divorzio diretto” che, a differenza del cosiddetto “divorzio breve” – su cui si è registrata un’ampia condivisione in Commissione – determina una modifica sostanziale nella disciplina del divorzio, in quanto non si limita a ridurre i tempi della procedura di scioglimento del matrimonio, ma elimina qualunque significativo spatium deliberandi per un ravvedimento della volontà di divorziare. Tali considerazioni acquistano maggior pregio alla luce delle proposte di legge attualmente all’esame della Commissione, che determinano effetti significativi anche sull’istituto del matrimonio, come ad esempio la proposta di testo unificato in materia di convivenze di fatto ed unioni civili tra persone dello stesso sesso.

La senatrice Stefani (LN-Aut), condividendo le considerazioni svolte dai senatori Cappelletti e Tonini, non ritiene opportuno intervenire in questa materia. (…). In relazione alle osservazioni svolte dal senatore Lo Giudice – rispetto all’incremento del numero di matrimoni a seguito dell’introduzione del divorzio in Italia – e dal senatore Lumia, con riferimento alla proposta di svolgere audizioni informali, intervengono i senatori Giovanardi (AP (NCD-UDC)) – contestando la correttezza dei dati forniti, e ritenendo al contrario che il numero dei matrimoni negli ultimi trent’anni abbia subito un radicale ridimensionamento – e Cappelletti (M5S), il quale esprime la propria contrarietà alla proposta di audizioni informali che non appaiono necessarie e che al contrario rischiano di determinare un inutile rallentamento all’esame dei disegni di legge in titolo.

Il seguito dell’esame congiunto è quindi rinviato.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=930006

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PROCREAZIONE

Nuovo Piano nazionale per la fertilità.

Formazione, informazione, prevenzione. Sono le 3 parole chiave individuate dal Ministero della Salute per affrontare un’emergenza che, negli ultimi anni, in Italia ha raggiunto livelli altissimi: l’infertilità. Per combattere efficacemente questo problema, che ha portato il nostro Paese a essere uno di quelli con il maggior tasso di denatalità in Europa, il ministero ha lanciato uno specifico piano nazionale per la fertilità.

Annunciato più volte nei mesi scorsi, le linee guida per rispondere a questa emergenza sono da qualche tempo nero su bianco. E prevedono varie tipologie di intervento.

Innanzitutto la formazione, con corsi di aggiornamento ad hoc per insegnanti, medici di famiglia e operatori sanitari. Quindi l’informazione: è necessario migliorare le conoscenze dei cittadini su un aspetto fondamentale della loro vita e per questo si è deciso di istituire anche una Giornata nazionale sul tema che si svolgerà ogni anno il 7 maggio, a partire dal 2016. E soprattutto la prevenzione e l’assistenza sanitaria qualificata, attraverso la valorizzazione e il potenziamento dei consultori. Questi ultimi, secondo le linee guida del piano nazionale, dovrebbero essere il “primo anello e filtro nella catena assistenziale delle patologie riproduttive”.

A sottolineare l’urgenza di un rinnovamento culturale in tema di procreazione è lo stesso ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, secondo cui “la fertilità va collocata al centro delle politiche sanitarie ed educative”. “Spesso la coppia arriva dal medico quando è troppo tardi – avverte Lorenzin -. Questo piano ha l’ambizione di essere un pilastro, di appartenere anche ad altri ministeri e di durare oltre questa legislatura”.

La situazione dell’infertilità in Italia appare sempre più grave. Il 20% delle coppie ha difficoltà a procreare in maniera naturale, il doppio rispetto a 20 anni fa. Uomini e donne sono causa del fenomeno in egual misura: le coppie sterili sono tali nel 40% nella componente femminile, per un altro 40% in quella maschile e nel restante 20% la sterilità ha origine mista. Negli ultimi 50 anni, inoltre, si è dimezzato il numero di spermatozoi, mentre, rispetto agli anni 80, l’età media del concepimento si alzata di circa 10 anni per entrambi i sessi.

Tutto ciò ha portato l’Italia a occupare uno degli ultimi posti, tra i Paesi dell’Unione Europea, nella classifica della natalità, con soli 1,39 figli in media per donna. Una situazione che, unita alla maggiore longevità, mette a rischio l’intero nostro sistema di welfare.

Per evitare che questo accada è necessaria una nuova sinergia tra la famiglia, “risorsa insostituibile” secondo Lorenzin, e le misure di sostegno alla natalità. Come quel bonus bebè che il ministro vorrebbe rendere strutturale per i primi 5 anni di vita di ogni bambino.

Fonte: Avvenire

Ai. Bi.             9 luglio 2015              www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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SINODO SULLA FAMIGLIA

Sinodo dei Vescovi: per una lettura di genere.

Leggendo i vari documenti che hanno preparato, accompagnato e rilanciato i lavori del primo dei due grandi appuntamenti sulla fami­glia voluti da Papa Francesco è difficile sottrarsi all’impressione di un’assenza, tanto più evidente considerando il tema del convenire. Fra le molte questioni affrontate resta in ombra, infatti, quella su cui si innestano problemi, sfide, vocazione e missione: vale a dire la soggettività maschile e femminile, con le relazioni che fra esse si instaurano.

Sembra cioè che, una volta affermato e ribadito il carattere eterosessuale della famiglia, non si siano poi sapute o volute trarre le conseguenze del fatto che di donne e di uomini si sta in primo luogo parlando; il discorso che ne risulta, per quanto articolato e complesso, rischia quindi di aderire solo in parte a una realtà che non essendo “neutra” richiederebbe grande consapevolezza delle dinamiche di genere sia nella lettura della situazione che nella riflessione sull’annuncio che la Chiesa cattolica sente di dover offrire al mondo.

  1. Passato e presente, un confronto da riconsiderare. In questi mesi diverse voci hanno segnalato, nell’approccio del Sinodo alla famiglia, una carenza di senso storico che rafforzerebbe, fra l’altro, la resistenza del magistero cattolico (o di parte di esso) di fronte a nuove istanze. Ma forse gli stessi sinodali ne sono almeno in parte consapevoli, se in tal senso si può interpretare il procedere, nel passaggio da un testo all’altro, verso un’impostazione meno fissista. Ad esempio, nei Lineamenta non compaiono i riferimenti alla legge naturale che, già sinteticamente accennati nel Questionario del Documento Preparatorio, avevano avuto poi una discreta consistenza nell’Instrumentum laboris del 2014, il quale peraltro sottolineava la difficoltà di ricezione del concetto stesso.

Nei contesti di tipo occidentale, infatti, Le persone sono orientate a valorizzare il sentimento e l’emotività; dimensioni che appaiono come “autentiche” e “originali” e, dunque, “naturalmente” da seguire. Le visioni antropologiche soggiacenti richiamano, da una parte, l’autonomia della libertà umana, non necessariamente vincolata ad un ordine oggettivo naturale, e, dall’altra, l’aspirazione alla felicità dell’essere umano, intesa come realizzazione dei propri desideri. Di conseguenza, la legge naturale viene percepita come retaggio sorpassato (Instrumentum Laboris, 22).

Inoltre, L’evoluzione, la biologia e le neuroscienze, confrontandosi con l’idea tradizionale di legge naturale, giungono a concludere che essa non è da considerarsi “scientifica.

D’altra parte, in alcuni regioni è la poligamia ad essere considerata “naturale”, così come “naturale” è considerato il ripudiare una moglie che non sia in grado di dare figli – e, tra questi, figli maschi – al marito. (Instrumentum Laboris, 25. Similmente il n. 27, che a poligamia e ripudio aggiunge il machismo, i matrimoni tra adolescenti e preadolescenti, l’incesto “ed altre pratiche aberranti”, collocando tutti questi fenomeni “tra le popolazioni più povere e meno influenzate dal pensiero dell’Occidente”. Non è forse superfluo notare, però, che la poligamia è diffusa anche in aree molto ricche, e che in paesi con grandi disparità economiche interne è praticata dagli strati sociali più benestanti, per i quali costituisce un segno di prestigio.)

Queste considerazioni spingono i sinodali alla cautela nei confronti di un uso ingenuo del concetto di legge naturale, ma non sembrano condurre automaticamente a una adeguata comprensione storica. Non solo, infatti, il testo lascia intendere che ci sia stato un periodo in cui l’umanità era accomunata dal riferimento a regole universalmente riconosciute (“Emerge, in altri termini, che dal punto di vista della cultura diffusa la legge naturale non sia più da considerarsi universale, dal momento che non esiste più un sistema di riferimento comune” Ivi, 25), ma, mentre riferendosi alle zone del mondo “più povere e meno influenzate dal pensiero dell’Occidente” l’idea è quella di un auspicabile progresso rispetto alle consuetudini attuali, la vicenda occidentale viene al contrario presentata prevalentemente come una “caduta” rispetto a un passato di cui si sarebbero perse caratteristiche che erano invece più in linea con il messaggio della Chiesa.

Tra le difficoltà attuali del Nord del mondo in relazione alla famiglia si citano ad esempio la ricerca prioritaria del “sentirsi bene”, che porterebbe a rifuggire da impegni stabili e a percepire come limitazioni e ostacoli i rapporti sociali (Relatio ante disceptationem, 1-a: “Molti percepiscono la loro vita non come un progetto, ma come una serie di momenti nei quali il valore supremo è di sentirsi bene, di stare bene. In tale visione ogni impegno stabile sembra temibile, l’avvenire appare come una minaccia, perché può accadere che nel futuro ci sentiremo peggio. Anche i rapporti sociali possono apparire come limitazioni ed ostacoli”.), e anche un atteggiamento autocentrato e autodeterminato nei confronti della procreazione (Relatio ante disceptationem, 4-a: “Nel mondo occidentale non è raro trovare coppie che scelgono deliberatamente di non avere figli, situazione paradossalmente simile a quella di chi fa di tutto per averne. In entrambi i casi la possibilità di generare è ap­piattita sulla propria capacità di autodeterminazione, ricondotta a una dimensione di progettazione che mette se stessi al centro: i propri desideri, le proprie aspettative, la realizzazione dei propri progetti che non tengono presente l’altro”)

Rubricando come “nuove” queste tendenze, si viene contemporaneamente a delineare l’immagine del passato da cui ci si sarebbe discostati. Tuttavia la rappresentazione che in questo modo ne risulta in trasparenza fatica a reggere la prova delle testimonianze e degli studi relativi a un’istituzione, quella familiare, che nel corso dei secoli non è stata prioritariamente affettiva, ma ha assolto innanzitutto, e dichiaratamente, il compito di regolamentare i rapporti tra comunità, lo scambio di beni e di capacità produttive e riproduttive e la conservazione e trasmissione del patrimonio, svolgendo al contempo una funzione di controllo della.

E’ fuorviante, cioè, pensare (o lasciar credere) che nelle epoche che ci hanno preceduto si diventasse genitori in condizioni di libertà e per altruismo: sappiamo bene quanto nelle strategie riproduttive fossero determinanti le esigenze degli adulti – dalle questioni dinastiche alla necessità di braccia per i campi -, e quante maternità fossero imposte a donne non consenzienti dai comportamenti sessuali dei mariti8. Sappiamo anche che se la rigidità delle regole scritte e non scritte proteggeva gli individui dalla vulnerabilità di fronte a fattori a quei tempi non governabili, ciò non impediva di percepire anche il carattere vincolante e limitante dei rapporti sociali (in primis il matrimonio), come mostrano le innumerevoli biografie che si sono costruite nel tentativo di uscire da tali gabbie.

Molti dei fenomeni che oggi i sinodali guardano giustamente con preoccupazione – ad esempio la frantumazione delle relazioni familiari – non sono quindi “nuovi”, ma piuttosto portano alla luce, in forme aggiornate che vanno interpretate con strumenti aggiornati, questioni che nei secoli scorsi erano vissute nella clandestinità e nella doppiezza, con carichi di sofferenza certo non meno gravi di quelli attuali.

Ciò non significa ovviamente che le famiglie del passato – o meglio, dei vari passati che abbiamo alle spalle – non fossero anche, in una misura non facilmente valutabile, luoghi di affetto, di amore, di sostegno reciproco. Tuttavia, proprio perché altre erano le priorità e gli obiettivi del matrimonio, risulta problematico il corto circuito temporale con cui ad esempio l’Instrumentum Laboris al n. 32 riepiloga: Si riconosce, nelle risposte, come per molti secoli la famiglia abbia ricoperto un ruolo significativo all’interno della società: essa è infatti il primo luogo dove la persona si forma nella società e per la società. Riconosciuta come il luogo naturale per lo sviluppo della persona, è per questo anche il fondamento di ogni società e Stato. In sintesi, essa è definita la “prima società umana”.

La famiglia è il luogo dove si trasmettono e si possono imparare fin dai primi anni di vita valori come fratellanza, lealtà, amore per la verità e per il lavoro, rispetto e solidarietà tra le generazioni, così come l’arte della comunicazione e la gioia. Essa è lo spazio privilegiato per vivere e promuovere la dignità e i diritti dell’uomo e della donna. La famiglia, fondata sul matrimonio, rappresenta l’ambito di formazione integrale dei futuri cittadini di un Paese.

Questa consapevolezza – o questo ideale – è infatti acquisizione relativamente recente, nemmeno universalmente condivisa, e si fonda su un sistema di valori profondamente diverso da quello dei secoli che abbiamo alle spalle, quando la disparità sessuale di potere e di diritti in famiglia (analogamente a quanto accadeva nella società) era legittimata umanamente, rafforzata religiosamente e molto spesso sostenuta da forme di controllo violente prive di sanzione non solo penale ma anche sociale.

Ma, si accennava in apertura, i rapporti tra mogli e mariti in quanto donne e uomini non sono una priorità nella riflessione dei testi sinodali sulla famiglia, e la pari dignità dei sessi non rientra nella definizione dell’insegnamento della Chiesa, per cui gli elementi costitutivi del matrimonio sono unità, indissolubilità e apertura alla procreazione” (Lineamenta, Domande per la recezione e l’approfondimento della Relatio Synodi, 32).

Tuttavia, rispondendo alla domanda previa del Questionario proposto dai Lineamenta (“La descrizione della realtà della famiglia presente nella Relatio Synodi corrisponde a quanto si rileva nella Chiesa e nella società di oggi? Quali aspetti mancanti si possono integrare?”) possiamo provare a percorrerla, questa via: non essendo possibile parlare di famiglia senza parlare dei modi in cui le soggettività femminili e maschili si costruiscono e si incontrano, la prospettiva di genere è strumento euristico più che adeguato e criterio interpretativo e valutativo al quale – per le conseguenze che può avere sulla vita della Chiesa – è rischioso rinunciare.

  1. Temi e testi sinodali in prospettiva di genere. Rileggendo in questo modo i testi del Sinodo si evidenziano certamente dei limiti, ma contemporaneamente si ha modo di valorizzare, ricollocandoli, diversi elementi ricchi di potenzialità. Un primo spunto per questo percorso è fornito da uno dei pochissimi luoghi in cui i Lineamenta, al n. 5, segnalano qualche positività nella situazione della famiglia attuale rispetto a quella del passato: (…) Il cambiamento antropologico-culturale influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato. Vanno sottolineati prima di tutto gli aspetti positivi: la più grande libertà di espressione e il migliore riconoscimento dei diritti della donna e dei bambini, almeno in alcune regioni.

L’opportuna sottolineatura della disparità di situazioni, a questo riguardo, nelle varie aree del mondo è però accompagnata da un silenzio, comune ad altri punti di questo e di altri documenti del Sinodo, riguardo ai soggetti che hanno favorito il cambiamento. Se ci sono paesi e culture in cui esso si è verificato, infatti, ciò non è accaduto per caso, ma grazie a movimenti che sono stati fortemente voluti e tenacemente animati da donne. Se dunque nel testo finale è fortunatamente venuto meno il riferimento solo negativo ai femminismi come “ostili alla Chiesa” presente nel Documento Preparatorio al paragrafo I, nessun riconoscimento viene in ogni caso, al termine dei lavori della III Assemblea generale straordinaria, alle donne che si sono spese perché i diritti prima negati diventassero realtà e cultura condivisa.

a) Il grande innominato: il soggetto maschile. In questo modo risulta anche più facile mantenere un altro silenzio: quello sulle resistenze maschili che esse hanno sempre incontrato, non solo a livello privato ma anche sociale e culturale, testimoniate dall’ampia pubblicistica che nel corso del Novecento ha attribuito all’ingresso massiccio delle donne nella vita pubblica la responsabilità della crisi della famiglia da una parte e, dall’altra, lo svilimento di un ordine sociale che fino a quel momento aveva, secondo tanti autori, garantito stabilità, valori, rispetto della legge e della trascendenza. Se non era intenzione dei sinodali accodarsi a questa compagnia di profeti di sventura, sarebbe stato opportuno evitare che la citazione sopra riportata proseguisse, senza soluzione di continuità, in questo modo. Ma, d’altra parte, bisogna egualmente considerare il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, facendo prevalere, in certi casi, l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto.

La forma impersonale con cui viene menzionato il “migliore riconoscimento dei diritti della donna” ha conseguenze anche su quanto i Lineamenta segnalano al n. 8:(…) La dignità della donna ha ancora bisogno di essere difesa e promossa. Oggi infatti, in molti contesti, l’essere donna è oggetto di discriminazione e anche il dono della maternità viene spesso penalizzato piuttosto che essere presentato come valore. Non vanno neppure dimenticati i crescenti fenomeni di violenza di cui le donne sono vittime, talvolta purtroppo anche all’interno delle famiglie (…)

Può infatti essere difficile e destabilizzante nominare e interrogare i soggetti che discriminano le donne, penalizzano il dono della maternità e compiono le violenze di cui le donne sono vittime; ma non farlo significa precludersi la possibilità di capire e interpretare questi fenomeni, individuarne i fattori di persistenza e le trasformazioni, i terreni di coltura, le possibili vie da percorrere per sradicarli10. E una tale noncuranza può essere consentita solo a chi ritenga naturale, immodificabile e sempre uguale a se stessa l’incapacità della parte maschile dell’umanità di relazionarsi alla pari con quella femminile e di riconoscerle uguale libertà e autonomia, diritti, valore e potere. (Può essere interessante notare come il silenzio sugli uomini venga meno quando si tocca il tema della paternità: per quanto se ne segnali la diffusa inadempienza, la menzione esprime altissima considerazione della maschilità, perché le attribuisce una capacità di rappresentare il divino che non ha corrispondenza nella figura della don­na-madre, perlomeno a quanto si può evincere dai medesimi testi: “In alcuni contesti sociali, poi, la mancanza di esperienza dell’amore, in particolare dell’amore paterno, è frequente, e questo rende assai difficoltosa l’esperienza dell’amore di Dio e della sua paternità. La debolezza della figura del padre in tante famiglie genera forti squilibri nel nucleo familiare e incertezza identitaria nei figli. Senza l’esperienza quotidiana di amore testimoniato, vissuto e ricevuto risulta particolarmente difficile la scoperta della persona di Cristo come Figlio di Dio e dell’amore di Dio Padre” (Instrumentum Laboris, n. 64; l’argomento non è invece presente nei Lineamenta).

Preoccupa quindi la scelta di denunciare la violenza nei confronti delle donne senza menzionare gli autori, che è costante nei vari testi sinodali (Instrumentum Laboris, 47 e 66; Relatio ante disceptationem, 2-e, Relatio post disceptationem, 8)  ed è rafforzata da altre due tendenze – da cui peraltro le statistiche di ogni parte del mondo e gli studi specialistici mettono in guardia –: quella della minimizzazione del fenomeno (si veda ad esempio il “talvolta” della citazione appena riportata, ma non è un caso isolato); e quella a connetterlo esclusivamente a particolari situazioni di arretratezza culturale o di disagio sociale13.

b) Educare le relazioni familiari. La violenza di genere nelle famiglie, con la drammaticità della sua diffusione, rappresenta non solo un campo di riflessione e di intervento inderogabile, ma è paradigmatica nel suo manifestare come le relazioni familiari – anche quando pacifiche o apparentemente tali – siano sempre modellate dal tipo di soggettività maschili e femminili che una società costruisce, legittima e alimenta. E’ un dato di fatto ben noto agli studi di antropologia culturale e facilmente constatabile dai non addetti ai lavori anche semplicemente guardando alla nostra storia recente; ma quel che interessa soprattutto in questa sede è che esso consente uno spazio umanissimo, culturale, di educabilità e di possibilità di cambiamento. Uno spazio, quindi, che ha a che fare con l’ambito delle scelte, e perciò con la dimensione etica.

Nei testi sinodali precedenti ai Lineamenta l’unica traccia dell’azione ecclesiale sulla formazione delle identità di genere si trova – salvo errori – nell’Instrumentum Laboris, dove al n. 52 leggiamo che “In qualche Paese si segnalano vere e proprie scuole di preparazione alla vita matrimoniale, indirizzate soprattutto alla istruzione e promozione della donna”: un riferimento, pare di capire, ad aree in cui l’inferiorità femminile è ancora norma sociale radicata, e dove qualunque iniziativa che aumenti nelle ragazze la consapevolezza e la stima di sé non può che essere positiva. Tuttavia, ancora una volta, non sembra prevista una corrispondente “preparazione alla vita matrimoniale” rivolta agli uomini, alla loro promozione nel senso di una de-patriarcalizzazione del maschile, che sarebbe invece indispensabile per metterli in grado di accogliere come positiva anche per se stessi, per la propria umanità, una soggettività femminile più autonoma e libera. Diversamente, il rischio è di abbandonare a se stesso il conflitto che lo spostamento identitario di un genere sempre comporta, e che assume tratti di ulteriore complessità in aree in cui il valore della donna è fatto coincidere con la capacità e disponibilità riproduttiva. Sappiamo infatti che quando per le donne crescono l’istruzione, la consapevolezza di sé, le relazioni sociali, le opportunità di esprimere i propri talenti e la propria umanità, si verifica contestualmente un calo nel numero delle nascite, che in condizioni di mancanza di istruzione e di deprivazione sociale si attesta invece sul livelli devastanti per la vita delle madri, condannandole a morti precoci o a invalidità fisiche e segregazioni sociali permanenti. Ma poiché l’equilibrio-squilibrio riproduttivo è ben più che una questione di numeri, non è detto che la maggiore felicità di donne non asservite alla funzione biologica materna sia accolta automaticamente come un fattore positivo da compagni che misurano il proprio valore e il proprio potere dal numero di mogli e dalla loro prolificità. Per questo il cambiamento sociale va costantemente accompagnato da un’educazione di genere consapevole e accorta.

Ciò non vale, però, solo per “alcune aree del mondo”. Di formazione sul genere c’è necessità ovunque, anche nei Paesi in cui apparentemente gli squilibri nelle relazioni sessuate, comprese quelle familiari, sono superati. Da una parte perché ogni situazione e ogni processo sono vissuti diversamente da donne e uomini, e quindi ad esempio non può essere neutra, se vuole essere efficace, anche l’importante attenzione che – riferisce l’Instrumentum Laboris al n. 55 – molti corsi di preparazione al matrimonio tentano di riservare a “nuovi temi quali la capacità di ascoltare il coniuge, la vita sessuale coniugale, la soluzione dei conflitti”. E dall’altra perché non tutto, anche da noi, è risolto, e in ogni caso scenari e identità non sono mai immobili, né le acquisizioni sono immuni da possibili regressioni.

Così, ad esempio, parlando di vita familiare, il n. 39 dell’Instrumentum Laboris riporta quanto emerso dalle consultazioni sul Questionario del 2013:

Il ruolo dei genitori, primi educatori nella fede, è considerato essenziale e vitale. Non di rado si pone l’accento sulla testimonianza della loro fedeltà e, in particolare, sulla bellezza della loro differenza; talvolta si afferma semplicemente l’importanza dei ruoli distinti di padre e madre. In altri casi, si sottolinea la positività della libertà, dell’uguaglianza tra i coniugi e della loro reciprocità, così come la necessità del coinvolgimento di entrambi i genitori sia nell’educazione dei figli che nei lavori domestici, come si afferma in alcune risposte, soprattutto in quelle dall’Europa.

Se le comunità cattoliche esprimono l’esigenza di una nuova articolazione di genere in tema di cura e di educazione – dimensioni fondamentali e strutturali della famiglia – significa che l’esperienza comune percepisce su questo punto un deficit su cui a più riprese si sono soffermati anche gli studi specialistici. La società, soprattutto in Italia, non aiuta: i messaggi prevalenti – che siano quelli impliciti ma potentissimi delle strutture economiche o quelli espliciti e altrettanto condizionanti dei mass media – delineano una polarizzazione molto forte in cui il femminile è costruito sugli assi, solo apparentemente contraddittori, della domesticità e passività da una parte e della erotizzazione in funzione seduttiva dall’altra; mentre il maschile è spinto fin dalla più tenera età verso l’identificazione con il lavoro extradomestico, il potere, il prestigio, l’illusione di invulnerabilità e una sessualità tendenzialmente predatoria e separata dalla sfera affettiva.

E’ molto dubbio che tutto ciò possa avere un effetto positivo sulle relazioni di coppia che le persone cresciute in una costante esposizione a questi modelli tenderanno a costruire. Ed è quindi per una scelta etica e un’opzione esistenziale che anche molte donne e (pur se in misura minore) uomini di chiesa propongono o recepiscono percorsi di genere nelle relazioni educative con l’infanzia e l’adolescenza. Partendo dalla decostruzione degli stereotipi di genere, che è un passaggio obbligato fondamentale anche per togliere terreno allo svilupparsi della violenza maschile contro le donne, l’idea è quella di aprire le nuove generazioni a una comprensione della differenza che non ha bisogno di essere difesa da confini che separino a priori, distinguendoli per sesso, spazi fisici ed esistenziali, competenze, caratteri, attitudini; ma che, al contrario, proprio perché significativa in se stessa, produce i migliori frutti quando può esprimersi nella libertà da ruoli e repertori preordinati.

3. Quale Vangelo per la famiglia? Che si tratti di descrivere le situazioni o di progettare la pastorale, di valutare politiche sociali o interloquire con diverse culture, il punto di osservazione per la Chiesa cattolica è, sintetizzano, i Lineamenta al n. 2, il “Vangelo della famiglia” che le è stato affidato con la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo e ininterrottamente insegnato dai Padri, dai Maestri della spiritualità e dal Magistero della Chiesa.

Inoltre, tutta la pastorale familiare dovrà lasciarsi modellare interiormente e formare i membri della Chiesa domestica mediante la lettura orante e ecclesiale della Sacra Scrittura. La Parola di Dio non solo è una buona novella per la vita privata delle persone, ma anche un criterio di giudizio e una luce per il discernimento delle diverse sfide con cui si confrontano i coniugi e le famiglie (n. 34).

I testi dell’Assemblea generale straordinaria tendono a privilegiare una visione di continuità, ma è noto che nel corso del tempo, parallelamente al mutare delle concezioni antropologiche sul maschile e il femminile (o in reazione a tali cambiamenti), la Chiesa – fatti salvi i criteri di unicità, fedeltà e indissolubilità – ha proposto insegnamenti anche molto diversificati riguardo alle relazioni tra i soggetti che si uniscono in un matrimonio canonico. Quella che la Relatio ante disceptationem nel paragrafo introduttivo chiama “l’incessante attualizzazione del vangelo della famiglia che lo Spirito suggerisce alla Chiesa” non può allora evitare di misurarsi con la questione di cosa il Vangelo abbia da dire oggi in relazione al genere, cioè sui significati attribuiti all’essere donna e all’essere uomo, che plasmano le relazioni di coppia e la vita di famiglia.

Su questo i sinodali non paiono soffermarsi, e scelgono invece di parlare genericamente di matrimonio e famiglia. Messi da parte i “codici familiari” delle Lettere apostoliche che il Documento Preparatorio del 2013 portava sorprendentemente come esempio di chiesa domestica e della “solidarietà più profonda tra mogli e mariti, tra genitori e figli, tra ricchi e poveri” incarnata dalla “grande famiglia del mondo antico”18, ai testi seguenti non resta che appoggiarsi a pochi altri brani neotestamentari, che i Lineamenta così riepilogano nel n. 14: Gesù stesso, riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur dicendo che «per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Mt 19,8). L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. In tal modo, Gesù mostra come la condiscendenza divina accompagni sempre il cammino umano, guarisca e trasformi il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo verso il suo principio, attraverso la via della croce. Dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di Gesù che è paradigmatico per la Chiesa. Gesù infatti ha assunto una famiglia, ha dato inizio ai segni nella festa nuziale a Cana, ha annunciato il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (cf. Mt 19,3). Ma nello stesso tempo ha messo in pratica la dottrina insegnata manifestando così il vero significato della misericordia. Ciò appare chiaramente negli incontri con la samaritana (cf. Gv 4,1-30) e con l’adultera (cf. Gv 8,1-11) in cui Gesù, con un atteggiamento di amore verso la persona peccatrice, porta al pentimento e alla conversione (“va’ e non peccare più”), condizione per il perdono.

In questa sintesi possiamo notare l’attrazione che i grandi temi del Sinodo – l’indissolubilità e la misericordia – hanno esercitato sull’interpretazione di pericopi che però, collocate nel loro contesto, assumono sfumature diverse e più complesse (ad esempio quella di Giovanni 8 e lo stesso inizio dei segni a Cana, in Giovanni 2) oppure sono decisamente estranee a un discorso sul matrimonio e sulla misericordia verso le fragilità umane (è il caso del colloquio con la donna samaritana narrato in Giovanni 4). La torsione in senso “familiare” dell’interpretazione dei testi produce anche un certo paradosso, nel momento in cui si portano due figure femminili come esempi di peccato in relazione a vincoli sponsali (forse ricalcando i modelli profetici), mentre sappiamo che l’operato di Gesù, da come risulta nei Vangeli, ha intaccato piuttosto le convinzioni e i privilegi patriarcali (si veda anche il discorso sul ripudio in Mt 19,3ss); ma questa bella notizia – su cui tanti studi si sono soffermati e da cui tante comunità di donne credenti hanno tratto forza e consolazione per le loro battaglie – non viene sottolineata nei documenti sinodali.

L’intento di mostrare che “dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di Gesù che è paradigmatico per la Chiesa” conduce quindi, nei Lineamenta, a letture poco aderenti ai testi stessi; ma forse non siamo semplicemente di fronte a qualche imperizia, emendabile, dei commentatori. Forse il problema è che nei Vangeli non dobbiamo cercare modelli o teorie sulla famiglia “in generale”, perché non ce ne sono; anzi, semmai gli evangelisti ci mostrano donne e uomini che, per porsi alla sequela itinerante di Gesù, viaggiano lontano dai loro mariti e dalle loro mogli, e altre discepole e discepoli di cui non sappiamo nemmeno se fossero sposati oppure no; e un Maestro celibe, che come altri figli è accompagnato anche dalla madre fino al supplizio, però sui legami familiari ha pronunciato parole che allargano e relativizzano: non per svilirli, quei legami, ma forse per liberarli.

Che cosa questo dica a noi, oggi, non si può sapere a priori. E’ improbabile che abbia futuro e si radichi positivamente nelle coscienze la riproposizione di modelli di femminilità, di maschilità e di famiglia nati nel passato e semplicemente riverniciati, che pure oggi è molto amata in alcuni settori della Chiesa. Con tempi più lunghi e ricerche più faticose, il nuovo e il futuro ci verranno invece probabilmente donati da cristiane e cristiani che abitano la condizione inedita della propria soggettività moderna di donne e di uomini tenendo – come suggerisce una delle domande del Questionario dei Lineamenta – “lo sguardo rivolto a Cristo, che apre nuove possibilità. Infatti, ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana si aprono strade nuove e possibilità impensate”.

Del resto, Gesù non ha mai lasciato nessun uomo e nessuna donna nei ruoli in cui la società e la religione li avevano collocati.

Rita Torti       Quaderni Balestrieri n. 19 OFM Sicilia – Ispica (Ragusa) 2015

https://drive.google.com/file/d/0B4MZmcCNqLcgOFVJM2laa01LRTQ/view

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UNIONI CIVILI

La svolta storica della Cei: unioni civili come male minore.

È un sostegno prudente, senza declamazioni ma davvero senza precedenti quello che la Chiesa italiana sta riservatamente garantendo al governo e al Pd sul progetto delle unioni civili in discussione al Senato: già da settimane mediatori d’Oltretevere sono al lavoro, nella speranza che il Parlamento, prima o poi, approvi una legge senza asperità ma comunque – ecco il punto – capace di creare un argine rispetto alla deriva considerata più pericolosa: matrimoni gay e adozioni fuori dalla coppia. La Cei – e con lei papa Francesco – non hanno sposato le unioni civili e mai le sposeranno, ma hanno silenziosamente abbracciato la dottrina del male minore, una novità storica nell’approccio alle questioni eticamente sensibili.

Da decenni su temi scivolosi come il divorzio, l’aborto e la fecondazione assistita, la Chiesa ha finito sempre per scartare la linea del «male minore», un atteggiamento che per decenni ha lasciato libero campo ai fautori dello scontro. Con effetti sempre eguali: quei «diritti» osteggiati dalla Chiesa e dai suoi sostenitori del mondo della politica negli ultimi 40 anni (Amintore Fanfani, Giulio Andreotti, Carlo Casini, Francesco Rutelli, Maurizio Sacconi), si sono regolarmente affermati nel costume e nella legislazione italiana.

Oltretutto il sì dei cattolicissimi irlandesi ai matrimoni gay, la sentenza in senso analogo della Corte suprema americana hanno aperto una ulteriore breccia nel muro della Cei. Con una aggravante: la Corte Costituzionale italiana ha via via smontato la legge sulla fecondazione assistita voluta dal governo Berlusconi ed è dunque complicato per la Chiesa fare affidamento sulla Consulta. Ecco perché il segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, ha lasciato che si aprisse un canale con i legislatori dei partiti più importanti. A cominciare dal Pd. Per frenare le tentazioni più «liberal» e per spingere il testo sulla via di un compromesso sopportabile.

E una traccia di questo approccio si può trovare anche in alcune delle risposte del direttore di Avvenire Marco Tarquinio, da anni interprete anche degli umori della più vasta base cattolica. Rispondendo a Franco Monaco, deputato cattolico del Pd, Tarquinio ha scritto: «Continuo a invitare i nostri legislatori a ragionare sul piano patrimoniale e non su quello matrimoniale. Le auguro di aiutare diversi suoi colleghi a distinguere bene la famiglia costituzionale dalle relazioni di altro tipo». Ed è esattamente il compromesso sul quale sta lavorando il Parlamento: le unioni civili caldeggiate dal Pd sono un istituto ad hoc per i gay, distinto dal matrimonio.

Una linea, quella del «male minore» osteggiata dalla destra cattolica: nei giorni scorsi il sito «La nuova bussola quotidiana», scrivendo che le unioni civili sono matrimoni gay «sotto altro nome», è arrivato ad ipotizzare una cena segreta – alla maniera dei politici nostrani – tra monsignor Galantino e la senatrice del Pd Monica Cirinnà, relatrice di un provvedimento che è in discussione a Palazzo Madama e il cui avanzamento è osteggiato da centinaia di emendamenti del duo Sacconi-Giovanardi, presentati con una intenzione ostruzionistica. Una ostilità che Renzi pensa di poter superare nella speranza di poter incassare prima della pausa estiva un sì pesante. Una ostilità, quella della destra cattolica, che indirettamente afferma il ruolo centrale che in questa vicenda sta giocando il Pd, in particolare quei cattolici «adulti» che nella stagione di Ruini erano stati messi ai margini. Come il senatore Giorgio Tonini, già presidente della Fuci, renziano della prima ora: «Il Pd che, con l’Ulivo, era nato per unire laici e cattolici, dimostra di essere un partito a vocazione maggioritaria capace di unire su questi temi divaricanti, trovando una sintesi tra le giuste rivendicazioni dei diritti gay e la altrettanto legittima preoccupazione della Chiesa per il rispetto del matrimonio e della famiglia».

Fabio Martini “La Stampa 11 luglio 2015

www.lastampa.it/2015/07/11/italia/cronache/la-svolta-storica-della-cei-unioni-civili-come-male-minore-gDdpdmcDR7o6sHZWh7iRkI/pagina.html

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