News UCIPEM n. 994 –24 dicembre 2023

News UCIPEM n. 994 –24 dicembre 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le news sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}. Link diretti e link per pdf -download a siti internet, per documentazione.

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Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza. [Invio a 1.262 connessi].

Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue di erse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

02 BIBBIA                                              Panchine rosse nella Bibbia

03 C. INTERN. STUDI FAMIGLIA      Newsletter CISF – n.47,20  dicembre 2023

06 CHIESA IN ITALIA                          Lettera aperta dell’assemblea nazionale di Noi Siamo Chiesa

07 CHIESA NEL MONDO                    Messaggio di “We Are Church International” ai membri del Sinodo sulla sinodalità

07 CITTÀ DEL VATICANO                  Documento vaticano. Coppie “di fatto” e dello stesso sesso, sì alla benedizione

10                                                          Un altro “tametsi”: 1563-2023 A proposito della Dichiarazione “Fiducia supplicans”

11                                                          La Chiesa cattolica e la discriminazione di genere

13 DALLLA NAVATA                           IV Domenica dell’ avvento – Anno B

13                                                           Parole in cammini. L’annuncio

15 EDUCAAZIONE AFFETTIVA          Facoltà teologica Triveneto, “cura della relazione come antidoto a violenza di genere

16 FERTILITÀ                                        Riconoscimento Naturale della Fertilità | ON-LINE da febbraio a giugno 2024

17 GIUSTIZIA  DIRITTI UMANI         Chiesa e Agenda 2030

19NATALITÀ                                        De Palo: «Copiamo il Giappone: 20 miliardi di euro contro il calo demografico”

20 NATIVITÀ                                        Maria, donna che muta il destino di tutte le donne

21                                                           Nulla è impossibile a Dio

22                                                          La stanza di Nazaret

23                                                          Nel grembo si era fatto spazio

24 OMOFILIA                                       La benedizione delle coppie Lgbt il Papa cancella secoli di discriminazione

25 POLITICHE PER LE FAMIGLIE       Perché la Francia è il Paese europeo che fa più figli

27 SESSUOLOGIA                                La futura morale sessuale e la vita consacrata (di W. De Moor)

30 SINODO                                           «Dal Sinodo un punto di svolta» La riflessione del gesuita Christoph Theobald

31 STORIA ECCLESIASTICA                Le ‘carte’ di Pio XII, la lettera su Auschwitz e Dachau

BIBBIA

Panchine rosse nella Bibbia

Sentiamo ancora l’eco delle parole del padre di Giulia Cecchettin durante il funerale nella basilica di santa Giustina, quelle più significative in tutta la vicenda.  Anche noi speriamo e preghiamo che l’ennesima tragedia, con il dolore tempestoso che l’ha accompagnata, possa essere trasformata in elemento capace di fecondare le vite. Chi si interroga sui dati culturali che consentono il perpetuarsi di comportamenti aberranti non può non intersecare morali religiose e interpretazioni bibliche che anche lontanamente possano sostenere una visione di donne a disposizione dell’arbitrio o della fragilità maschile. Molti sono i testi biblici che riflettono il contesto patriarcale in cui sono stati generati, ma ci chiediamo se ci siano varchi che la parola di Dio abbia scavato per mostrare visioni alternative. Ci chiediamo anche se esistano situazioni meno efferate rispetto ad una uccisione e che però possano continuare ad avvelenare pozzi.

Il pozzo di Lacai-Roì. Fra i possibili esempi guardiamo al tempo delle matriarche e incontriamo Agar l’egiziana (cf. Gen 16,1-13; 21,14-21). Nella sua vicenda notiamo come il mancato rispetto associato alla sua condizione di schiavitù è agito da una donna, Sara, che decide del suo corpo, della sua vita. Il primo testo che la riguarda sembra suggerire che la sua gravidanza inizi a risvegliare la sua dignità di persona: non è più una cosa e non riesce più a guardare Sara come una “padrona”. Maltrattata, cerca scampo nel deserto. L’angelo, figura letteraria che rende presente il Signore stesso, si rivolge a lei chiamandola per nome e ponendole una domanda chiave per la vita di ognuno: «Da dove vieni e dove vai?». Si tratta del terzo interrogativo in Genesi dopo il «Dove sei?» rivolto ad Adamo e il «Dov’è tuo fratello?» rivolto a Caino, e ci dice come l’identità spesso è interpretata non in termini di ontologia, ma di relazione, di posizione rispetto agli altri, alla propria storia, al proprio futuro.

Il messaggero mostra come Dio risponda al grido di Agar: «Il Signore ha ascoltato il tuo lamento» (16,11), le ha appena fatto una promessa simile a quella proposta ad Abramo: «Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla, tanto sarà numerosa» (16,10), ma le ha anche chiesto di tornare in una condizione di sottomissione, di piccolezza (il verbo usato anah è lo stesso da cui deriva il termine anawim che si riferisce ai piccoli, gli umili del Signore). Per quanto questa espressione ci sia cara, non possiamo negare che ovunque si associ la sottomissione ad un ordine divino dobbiamo scorgere un problema interpretativo; non possiamo assumere l’indicazione senza una seria discussione che eviti strumentalizzazioni improprie e mortificanti del valore della persona. L’obiettivo non è applicare a testi antichi di millenni la sensibilità moderna frutto di lunghi cammini e di tante fatiche, ma evitare che, interiorizzata senza un’analisi critica, porti ancora una volta acqua al mulino della legittimazione della donna silente e docile, incipiente vittima sacrificale.

Partorire Ismaele diviene per Agar sua fortuna e sua condanna. Viene nuovamente narrato di un suo allontanamento (Gen 21): viene cacciata insieme al figlio in una situazione senza sbocchi e ormai disperata. Dio interviene ancora una volta e il segno della presenza salvifica è associata di nuovo ad una fonte d’acqua. Usata, abusata ed eliminata da un’autorità maschile avallata da una visione femminile che la considera un essere di seconda categoria, immaginiamo una panchina rossa presso il pozzo in cui il Dio Vivente si è mostrato a lei e a ogni lettore come “colui che vede”. Mentre facciamo memoria di lei e di donne che vivono esperienze analoghe, nell’impegno a superarle, scopriamo che nella tradizione islamica la fecondità della storia di Agar è senza pari: ogni pellegrino che va alla Mecca deve imitare Agar correndo per sette volte fra due colline alla ricerca dell’acqua avendo in mente il suo cammino, il suo coraggio, la sua speranza.

La sala della reggia nella città di Susa. Altra situazione interessante è il pretesto narrato nel primo capitolo del libro di Ester per la ricerca della nuova regina. La sede si era resa vacante perché la regina era stata rimossa. Durante un banchetto, il grande re di Persia aveva deciso di mostrare ai convitati provenienti da tutte le province dell’impero, altri esempi della sua ricchezza e della sua potenza, come aveva fatto nei giorni precedenti. Anche la regina Vasti stava tenendo nel frattempo un banchetto nella reggia di Susa per le donne e improvvisamente venne fatta chiamare per comparire davanti agli invitati del re così da mostrare la sua bellezza. Richiesta a cui la regina oppose un netto rifiuto.

                Il testo è stato variamente interpretato anche in ambito rabbinico. Cosa è stato chiesto realmente alla regina? C’è chi ipotizza che, nell’ebbrezza data dal vino, le sia chiesto di comparire nuda, solo con la corona sul capo. Oppure di giungere nella fase del banchetto che prendeva le sembianze di un’orgia. Nel Midrash ebraico viene descritta come vanitosa e malvagia per aver oppresso delle donne ebree o, ancora, sfigurata dalla lebbra. Le interpretazioni antiche si accaniscono contro di lei, mentre la lettura femminista la esalta a partire da Elizabeth C. Stanton che scrisse in The Women’s Bible che Vasti «aggiunse nuova gloria al [suo] giorno e alla sua generazione… con la sua disobbedienza perché “Resistere ai tiranni è obbedienza a Dio”».

                Alcune interpretazioni sono fantasiose, ma lo stesso testo biblico fa emergere la reazione degli uomini, considerata condivisibile o giustificabile da parte di tanti e tante perché considerata conseguenza di una “provocazione femminile”.

«Perché quello che la regina ha fatto sarà noto a tutte le donne e le indurrà a disprezzare i propri mariti. Esse diranno: “Il re Assuero aveva ordinato che si conducesse alla sua presenza la regina Vasti e lei non vi è andata”. D’ora innanzi le principesse di Persia e di Media che verranno a conoscere la condotta della regina, ne parleranno a tutti i prìncipi del re e ne nascerà gran disprezzo e collera» (Est 1,17-18).

Vasti viene di fatto punita per aver difeso la sua dignità. Ciò che anima gli uomini è il timore di una sovversione di un sistema a loro vantaggioso e la scelta di spezzare in origine ogni possibile solidarietà indiretta con la vittima da parte di altre donne. Un indizio interessante del fatto che qui si trova un nervo scoperto sta anche nella modifica della versione del ‘74 che spiegava come la notizia della rimozione di Vasti avrebbe consentito ad ogni marito di essere «padrone in casa sua», mentre nella versione attuale si dice che l’intenzione era che i mariti «fossero rispettati» (Est 1,22).

L’insegnamento che possiamo trarne riguarda il custodire e far conoscere storie di ribellione, anche se pagate a caro prezzo; si diviene più forti come società se ci si riconosce e si condivide la stessa realtà.

    Emanuela Buccioni *1972                       Rocca 18 dicembre 2023

www.alzogliocchiversoilcielo.com/2023/12/panchine-rosse-nella-bibbia.html

Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia

Newsletter CISF – n. 47, 20 dicembre 2023

  • In Portogallo studenti e anziani condividono casa. Il Portogallo è il paese che invecchia più rapidamente nella UE, con 1,7 milioni di anziani che vivono o si sentono soli (fonte Eurostat).
https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Population_structure_and_ageing

 “Partilha Casa”              www.partilhacasa.pt         è un’iniziativa nazionale triennale (ideata dall’agenzia Dentsu Creative Portugal), volta a far incontrare studenti in cerca di un alloggio lontano da casa, con persone anziane che vivono da sole e vorrebbero un po’ di compagnia. In collaborazione con i consigli comunali di Lisbona, Porto e Coimbra, è stata costruita una piattaforma digitale per mettere in contatto chiunque sia interessato a partecipare al programma. L’obiettivo è quello di trovare un alloggio condiviso per il 20% dei 120.000 studenti in cerca di casa entro la fine del primo anno, ma anche di promuovere una maggiore diffusione di tali iniziative in tutto il Paese. Il progetto è sostenuto da una campagna di comunicazione integrata e da uno spot davvero toccante, da vedere! [su YouTube – 3 min]

www.youtube.com/watch?v=r_CFcZW4N1k

  • Video-intervista sul cisf family report 2023. Sono le politiche al servizio della famiglia e le questioni fiscali al centro della lunga video-intervista che il giornalista Fabio Pizzul ha fatto al direttore Cisf, Francesco Belletti, valorizzando la ricchezza dei contenuti dell’ultimo Cisf Family Report, interamente dedicato alle politiche familiari e all’importanza della valorizzazione della famiglia come protagonista, e non solo destinataria, dei provvedimenti legislativi e fiscali e dei servizi di welfare [a questo link l’intera puntata – YouTube – 11 min 48 sec]                                                      www.youtube.com/watch?v=IPLxzh3d_BE
  • Una ricca panoramica di notizie dall’estero sul tema famiglia. Non perdete la ricchezza della nuova newsletter internazionale del Cisf, in uscita mensile, in inglese, dedicata a tutte le novità e gli appuntamenti dedicati alla famiglia nel mondo. Qui l’ultimo numero. Per iscrizioni scrivere (con oggetto “newsletter international”) a: cisf@stpauls.it

                htps://a4e9e4.emailsp.com/frontend/nl_preview_window.aspx?idNL=294

  • Francia, intenso dibattito sulla proposta di inserire l’aborto nella costituzione. Si sta discutendo parecchio, in queste settimane, sulla proposta di legge costituzionale (messa sul tavolo del Consiglio dei Ministri la settimana scorsa e anticipata dallo stesso presidente Macron – qui un approfondimento)

www.francetvinfo.fr/societe/ivg/droit-a-l-avortement-que-peut-changer-l-inscription-de-la-liberte-de-recours-a-l-interruption-volontaire-de-grossesse-dans-la-constitution_6236862.html

per inserire la previsione della “libertà di ricorso all’aborto”  direttamente nella Costituzione francese. L’obiettivo dell’esecutivo è quello di rendere più complessa in futuro, a livello procedurale, una modifica alla legge (dopo quanto è avvenuto negli Stati Uniti dopo il ribaltamento della sentenza Roe/Wade da parte della Corte Suprema americana). Profondamente in disaccordo le associazioni familiari cattoliche francesi, che ricordano come il ricorso all’aborto non sia in alcun modo minacciato in Francia dove, nel 2022, sono stati registrati 234.000 aborti. “Oggi una gravidanza su quattro finisce con un aborto, che testimonia una vera e propria cancellazione del rispetto dovuto a tutti gli esseri viventi, in particolare a quelli più fragili e dipendenti“, scrive l’AFC-Associations Familiales Catholiques. “Se l’aborto fosse sancito dalla Costituzione, potrebbe consentire di ritardare sempre più i termini legali e indebolirebbe la ‘clausola di consapevolezza’ degli operatori sanitari e delle strutture” [qui il comunicato AFC].

www.afc-france.org/wp-content/uploads/2023/12/Communique-de-Presse-constitutionnalisation-de-IVG_conseil-detat.pdf

  • Analisi della nuova legge sull’oblio oncologico. È sostanzialmente positiva l’analisi del disegno di legge (ormai approvato definitivamente dal Senato) «Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche»: se ne trova un’analisi molto dettagliata sul Bollettino Adapt [qui l’approfondimento],

www.bollettinoadapt.it/oblio-oncologico-una-legge-con-molte-luci-e-qualche-residua-ombra

 in cui si ricorda la “ratio” della legge, che è quella di garantire alla guarigione clinica anche una guarigione «sociale». Fino ad ora le persone guarite da malattia oncologica hanno incontrato una serie di prassi discriminatorie, in particolare nell’accesso ai servizi bancari, assicurativi (si pensi alla concessione di un mutuo, spesso subordinata alla sottoscrizione di una polizza assicurativa sulla vita del richiedente, dove l’impossibilità di stipulare la seconda determina la mancata erogazione del mutuo) o per quanto riguarda il (re)ingresso nel mondo del lavoro.

  • ISTAT sulle condizioni di povertà degli under 16. Con una nota di approfondimento al Report 2022 su Reddito e condizioni di vita, l’Istat ci permette di leggere meglio alcuni indicatori sulle condizioni di vita dei minori di 16 anni, e sull’incidenza del rischio di povertà ed esclusione sociale (che, lo ricordiamo, colpisce il 28,8% degli under 16, a fronte del 24,4% del totale della popolazione). Sono molto più fragili ed emarginati i minori stranieri (41,5%) e i minori di famiglie monogenitore (con una forte differenza di povertà tra chi vive con la madre – 41,3% – e chi vive col padre – 27,6%). Interessanti anche i dati sulla casa: le famiglie monogenitore donna con almeno un minore di 16 anni vivono più frequentemente in un’abitazione in affitto (31,0% ) rispetto al caso in cui il genitore sia il padre (26,8%); più in generale, le famiglie con almeno un minore di 16 anni lamentano una carenza di spazio nell’abitazione in percentuale più elevata (11,0%) rispetto al totale delle famiglie (7,9%). Questo problema strutturale si traduce in condizioni di sovraffollamento più frequenti rispetto al totale delle famiglie (36,1%, contro 17,9%) [qui la nota Istat]. www.istat.it/it/archivio/291910?mtm_campaign=wwwnews&mtm_kwd=03_2023
  • Dalle case editrici
  • G.Attanasio, L.Catalano, I.Giudici, La regola dell’amore. Un cammino per famiglie nell’epoca dell’incertezza, San Paolo, Cinisello B., 2023, pp. 155.
  • F.Mastrofini, Followers contro. Twitter scompiglia la Chiesa, Marcianum Press, Venezia, 2023, pp. 188.
  • E.Larghero, M.Lombardi Ricci, G.Zeppegno (a cura di), Nascere oggi. Questioni bioetiche di inizio vita, Effatà, Torino 2020, pp. 410.

Proponiamo questo volume, ampliato rispetto all’edizione originale e pubblicato da Effatà nel 2020 su iniziativa del Centro Cattolico di Bioetica dell’Arcidiocesi di Torino, perché rappresenta tuttora una pubblicazione fondamentale sul tema della vita nascente, offrendo al lettore la prospettiva bioetica e una lettura multidisciplinare (scientifica, giuridica, filosofica, teologica, psicologica e sociale). (B. Ve.)

[Leggi qui tutta la recensione]  www.famigliacristiana.it/media/pdf/cisf/23cisfnews47allegatolibri.pdf

  • Save the date
  • Presentazione (Poffabro/PN) 30 dicembre 2023 (15-16). Presentazione del libro “Amare per credere”: dialogo con l’Autore, don Francesco Pesce” evento nell’ambito del programma natalizio della Valcolvera, che ospita fino al 14 gennaio una straordinaria mostra diffusa di presepi (oltre 500) [qui il link con tutte le info]                                 https://vivivalcolvera.it/poffabro-presepe-tra-i-presepi-xxvi-edizione
  • Seminario (Roma) – 11 gennaio 2024 (16.30-19.30). “La semeiotica della rabbia: alla radice dei comportamenti violenti della Gen Z” organizzato dalla Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Roma anche on line[qui per info]

www.unicatt.it/eventi/ateneo/roma/2024/la-semeiotica-della-rabbia–alla-radice-dei-comportamenti-violen.html

  • Virtual Conference (Web/USA)11 gennaio 2024 (19-20.30 EST). “Work-Family Perspectives on Low Fertility in East Asia“, a cura di Work and Family Researchers Network [qui per info e iscrizioni]
  • Convegno (Roma)15 gennaio 2024 (17-18.30). “Le giovani del GMI (Giovani Musulmane d’Italia) Tra hijab ed etica della cittadinanza“, a cura del Centro Studi Interreligiosi presso la Pontificia Università Gregoriana [qui il programma]

www.unigre.it/it/eventi-e-comunicazione/eventi/calendario-eventi/le-giovani-del-gmi-giovani-musulmane-ditalia-tra-hijab-ed-etica-della-cittadinanza

  • Webinar (It)17 gennaio 2024 (20.30-21.30). “Filmografia domestica“: criteri per leggere i film e i cartoni animati”, formazione per animatori, interviene Massimo Padula, docente di Scienze della comunicazione sociale presso la Pontificia Università Lateranense [qui per info]

www.chiesacattolica.it/agenda/?id=22309&tiporicerca=appuntamenti&data_inizio=1705446000000&data_fine=1705532340000&checked=true&_gl=1*14pqg1v*_ga*OTkxMjAyODIuMTY5NzUzNTgyMg..*_ga_VMSXLL2MYL*MTcwMjk4NjgwNy41LjAuMTcwMjk4NjgwNy4wLjAuMA..

  • Seminario Internazionale (Bologna)23/24 febbraio 2024. “Alla ricerca del senso perduto: Spunti per una nuova narrazione educativa” organizzato da ADi Associazione Docenti e Dirigenti scolastici Italiani [qui per info e iscrizioni]

Archiviohttp://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_20_12_2023

CHIESA IN ITALIA

Lettera aperta/comunicato stampa dell’assemblea nazionale di “Noi Siamo Chiesa”

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

A Sua Eminenza Cardinale Matteo Maria Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

Ai Rev. mi membri tutti della C.E.I.

Affrontare il tema degli abusi sui minori e le persone vulnerabili è dirimente per poter parlare degnamente di sinodalità e riforma della Chiesa.

Prima di “Proteggere, Prevenire, Formare” è necessario ricercare Verità, Fare Giustizia, Assicurare Risarcimenti Morali Ed Economici alle vittime/ sopravvissuti.

www.chiesacattolica.it/documenti-segreteria/comunicato-finale-della-78a-assemblea-generale-straordinaria-assisi-13-16-novembre-2023

www.chiesacattolica.it/documenti-segreteria/saluto-in-occasione-del-1-incontro-nazionale-dei-referenti-dei-servizi-diocesani-per-la-tutela-dei-minori-e-degli-adulti-vulnerabili-e-dei-centri-di-ascolto

                Chiediamo di passare dalle parole ai fatti.

                I dati rassegnati con la Vostra “ seconda rilevazione” ci appaiono contrastanti e insufficienti per approccio, consistenza ed effettivi contenuti, peraltro privi di riscontri esterni alla realtà ecclesiale.

                Cosa significa “….chiunque denuncia anche a distanza di anni viene ascoltato, e comunque noi facciamo un procedimento interno.  È difficile che oggi un vescovo insabbi. Semmai il rischio è quasi il contrario: che per prudenza si avviino procedimenti giuridici anche soltanto per verificare i fatti.”

                Il sistema giudiziario del nostro Paese non è degno di fare verità e rendere giustizia alle numerosissime vittime nascoste e sofferenti ?

In merito ai vescovi insabbiatori,  abbiamo dettagliata conoscenza di casi esistenti che contraddicono tale affermazione.

                Ancora una volta, come parte del Coordinamento ITALYCHURCHTOO contro gli abusi nella Chiesa Cattolica.

Chiediamo

  • La costituzione di una commissione indipendente ed esterna
  • Totale messa a disposizione degli archivi diocesani e di ogni istituzione della chiesa e degli istituti religiosi
  • Individuazione ed allontanamento immediato di chi ha omesso e coperto
  • Denuncia all’autorità giudiziaria dei presunti colpevoli

Ci pare evidente che nel modo in cui si sta procedendo non si va da alcuna parte.

Improponibile fare prevenzione senza prima fare verità e giustizia.

Quale credibilità potrà avere la Chiesa italiana se non pone in essere misure coraggiose al pari di quanto già deciso e posto in essere da altre conferenze episcopali in Europa (tra queste in Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Svizzera, Irlanda).

L’assemblea nazionale di “Noi Siamo Chiesa”

Sezione italiana del movimento internazionale We are Church per la riforma della Chiesa Cattolica.

                Milano,  2 dicembre 2023                            Pubblicato Dicembre 19, 2023

CHIESA NEL MONDO

Messaggio di “We Are Church International” ai membri del Sinodo sulla sinodalità

Tre temi importanti per il Sinodo di ottobre 2024

Siamo fiduciosi che la sinodalità rappresenti il futuro della Chiesa. Chiediamo che al Sinodo dell’ottobre 2024 tu sostenga con forza tre temi principali:

1. Uguaglianza per il laicato – Siamo lieti di aver visto non vescovi con diritto di voto al Sinodo dell’ottobre 2023. Vorremmo che tutte le future assemblee sinodali includessero un numero uguale di persone laiche rispetto ai membri del clero come partecipanti al voto. E i/le partecipanti laici dovrebbero essere selezionati da persone laiche.

2. Unità nella diversità – Il Sinodo di ottobre 2023 ha mostrato che molti dei temi caldi che vorremmo vedere non sono sostenuti da molti nel Sud globale. Pertanto, il modo migliore per procedere è quello di abbracciare l’unità nella diversità.  Ciò è chiaramente indicato nel capitolo 19 (g) e (j) della Sintesi del Sinodo. Questo consentirebbe ad alcuni Paesi di portare avanti le importanti questioni dell’uguaglianza per il laicato, le donne, le persone LGBTQ+ e i preti sposati.

3. Uguaglianza per le donne – Tutti i ministeri dovrebbero essere aperti a tutti i battezzati che hanno quella vocazione, indipendentemente dal sesso, dall’orientamento di genere o dallo stato civile. La Sintesi del Sinodo ha rilevato posizioni diverse sull’accesso delle donne al ministero diaconale. Aprire alle donne l’accesso al diaconato sarebbe un passo importante nell’apertura di tutti i ministeri alle donne.

                               Chiediamo il vostro sostegno per i tre temi delineati nel Sinodo dell’ottobre 2024.

Benedizioni e auguri,

     Colm Holmes, Presidente di We Are Church International (WAC)-21 dicembre 2023

www.noisiamochiesa.org/messaggio-di-we-are-church-international-ai-membri-del-sinodo-sulla-sinodalita

CITTÀ DEL VATICANO

Documento vaticano. Coppie “di fatto” e dello stesso sesso, sì alla benedizione

Con “Fiducia supplicans” del Dicastero per la Dottrina della Fede, approvata dal Papa, possibile benedire coppie formate da persone dello stesso sesso ma al di fuori di qualsiasi ritualizzazione

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/12/18/0901/01963.html#it

Sul tema della benedizione per le coppie irregolari o dello stesso sesso «non si debbono aspettare altre risposte su eventuali modalità per normare dettagli o aspetti pratici». La Dichiarazione firmata oggi dal cardinale Victor Manuel Fernandez *1962            

va intesa insomma come la parola finale sulla questione e va considerata come sufficiente «per orientare il prudente e paterno discernimento dei ministri ordinati a tal proposito». Una sottolineatura importante, quella indicata nel documento del Dicastero per la dottrina della fede. Quanto espresso in questo testo dev’essere considerato sufficiente, sia dal punto sostanziale, sia da quello formale. E qui le coordinate sono esplicite: nessuna forma rituale propria della liturgia, ma preghiere spontanee con benedizioni impartite in contesti “non ufficiali”, come durante un pellegrinaggio, una visita ad un santuario, un incontro con un sacerdote, cogliendo il meglio «dalle viscere della pietà popolare» che sa individuare le strade più opportune per «invocare lo Spirito Santo».

                Non si tratta di una “semplice ripetizione” di quanto già detto all’inizio di ottobre, prima dell’avvio del Sinodo. La Dichiarazione sul senso pastorale delle benedizioni per le coppie irregolari e dello stesso sesso, il nuovo documento reso noto dal Dicastero per la dottrina della fede, è «un contributo specifico e innovativo» sul tema «che permette di ampliarne e arricchirne la comprensione classica».

Dietro al nuovo testo c’è insomma una «riflessione teologica basata sulla visione pastorale di papa Francesco» che «implica un vero e proprio sviluppo rispetto a quanto è stato detto sulle benedizioni nel Magistero e nei testi ufficiali della Chiesa». È sulla parola “sviluppo” che dobbiamo soffermarci per comprendere il senso delle nove pagine firmate dal prefetto del Dicastero, il cardinale Victor Manuel Fernandez, e «approvate con la sua firma» dal Papa.

Uno “sviluppo” che ci fa comprendere, più sul piano pastorale che su quello dottrinale, che è possibile benedire le coppie in situazioni irregolare e le coppie dello stesso sesso «senza convalidare ufficialmente il loro status o modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio».

Una contraddizione? Tutt’altro. Dietro questo ragionamento c’è un percorso coerente avviato da papa Francesco già nei due Sinodi sulla famiglia e poi nell’Esortazione Amoris lætitia: «Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo. Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino» (AL 297).

Quindi, se l’obiettivo è quello di “integrare tutti”, di aiutare ciascuno «a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale», è evidente che – come si legge nel nuovo documento – vanno accolti tutti coloro che adorano «il Signore con tanti gesti di profonda fiducia nella sua misericordia e che con questo atteggiamento viene costantemente a chiedere alla madre Chiesa una benedizione».

Un punto fermo che dovrebbe apparire esplicito alla luce del magistero di papa Francesco e, soprattutto, ai principi del Vangelo ma che, ammette il cardinale Fernandez, «ha suscitato non poche e diverse reazioni» quando è stato sintetizzato nel precedente Responsum ad dubium. «Alcuni hanno accolto con plauso la chiarezza di questo documento e la sua coerenza con il costante insegnamento della Chiesa», ma altri non hanno condiviso o non l’hanno ritenuto sufficientemente chiara. Da qui la necessità di una “seconda puntata” per entrare meglio nel dettaglio della questione e illustrare con più ampiezza il pensiero del Papa. Proprio per evitare fraintendimenti il testo mette subito in chiaro che l’obiettivo non è quello di far confusione tra il matrimonio tra uomo e donna e altri tipi di unione. Il matrimonio è un sacramento che prevede un’unione «esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperte a generare figli». E su questo punto la dottrina resta ferma. Altra cosa è la benedizione, considerata «tra i sacramentali più diffusi» – non sacramenti – gesti cioè che ci conducono «a cogliere la presenza di Dio in tutte le vicende della vita» e hanno per destinatari «persone, oggetti di culto e di devozione, immagini sacre, luoghi di vita, di lavoro e di sofferenza, frutti della terra e della fatica umana, e tutte le realtà create che rimandano al Creatore le quali, con la loro bellezza, lo lodano e lo benedicono».

A questo punto la grande domanda. L’amore di una coppia irregolare o dello stesso sesso rimanda al Creatore? Può diventare inno di lode e di benedizione? Finora la risposta della Chiesa è sempre stata negativa, perché – ribadisce il documento – ha da sempre «considerato moralmente leciti soltanto quei rapporti sessuali che sono vissuti all’interno del matrimoni».

Il discorso si sarebbe potuto chiudere qui se l’insegnamento di papa Francesco, ripreso nella Dichiarazione del cardinale Fernandez, non ampliasse il senso della benedizione, sollecitando quello sviluppo innovativo che riflette l’impegno di una Chiesa davvero in uscita, attenta a cogliere e a sostenere la fatica di tutte le periferie esistenziali. Quindi una benedizione subordinata a «troppi prerequisiti di carattere morale» – come quelli previsti per un sacramento – finirebbe per porre in ombra «la forza incondizionata dell’amore di Dio», quando proprio papa Francesco «ci ha esortato a “non perdere la carità pastorale che deve attraversare tutte le nostre decisioni e atteggiamenti” ed evitare di “essere giudici che solo negano, respingono, escludono”».

Ecco allora la necessità – come appunto fa la Dichiarazione – di ripercorrere le benedizioni secondo la voce della Scrittura per andare a cogliere quelle numerose ed esplicite tracce di misericordia divina che ci fanno riconoscere il gesto di benedire come «dono sovrabbondante e incondizionato». E questo, secondo la ricognizione sintetizzata nel documento, è vero sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento dove la benedizione non è soltanto ascendente «in riferimento al Padre», ma anche discendente «riversata sugli altri come gesto di grazia, protezione e bontà». Ecco perché la benedizione dev’essere intesa anche come messaggio di «inclusione, solidarietà e pacificazione», ma anche di «conforto, custodia e incoraggiamento che esprime l’abbraccio misericordioso di Dio e la maternità della Chiesa e che invita il fedele ad avere gli stessi sentimenti di Dio verso i propri fratelli e sorelle». Nessuno escluso. Opportuno ribadirlo.

Ecco perché papa Francesco sollecita a comprendere il senso della benedizione come «risorsa pastorale da valorizzare» piuttosto che come rischio e problema anche per le coppie irregolari e per quelle dello stesso sesso. L’importante è, appunto, evitare confusioni con il sacramento del matrimonio.

Ecco perché papa Francesco sollecita a comprendere il valore della benedizione come “risorsa pastorale da valorizzare” piuttosto che come rischio e problema anche per le coppie irregolari e per quelle dello stesso sesso.

L’importante è, appunto, evitare confusioni con il sacramento del matrimonio. Opportuna quindi una benedizione non ritualizzata per evitare di confonderla con un atto liturgico o semi-liturgico, che «priverebbe i ministri della libertà e della spontaneità nell’accompagnamento pastorale della vita delle persone». Per questa ragione non si deve promuovere né prevedere «un rituale per le benedizioni di coppie in una situazione irregolare, ma non si deve neppure impedire o proibire la vicinanza della Chiesa ad ogni situazione in cui si chieda l’aiuto di Dio attraverso una semplice benedizione».

Cosa chiedere quindi nella breve preghiera che precede la benedizione? «La pace, la salute, uno spirito di pazienza, dialogo e aiuto vicendevole, ma anche la luce e la forza di Dio per poter compiere pienamente la sua volontà».

E se, sempre con il proposito di evitare confusioni, vanno evitati «abiti, gesti e parole propri di un matrimonio», non bisogna mai dimenticare che «ricevere una benedizione può essere il bene possibile in alcune situazioni» e che «ogni fratello e ogni sorella potranno sentirsi nella Chiesa sempre pellegrini, sempre mendicanti, sempre amati e, malgrado tutto, sempre benedetti».

Luciano Moia     Avvenire            18 dicembre 2023

www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-dichiarazione-benedizione-coppie-irregolari

Un altro “tametsi”: 1563-2023 A proposito della Dichiarazione Fiducia supplicans

 A distanza di 460 anni, da Roma arriva un documento il cui impianto riposa su una “concessiva”, non così esplicita e dirompente come quella del 1500, ma altrettanto chiara. Allora si trattava di porre un controllo formale su ogni matrimonio tra battezzati, “benché i matrimoni clandestini fossero sempre stati ritenuti validi”; oggi si tratta di poter benedire ogni unione sessuale “benché la dottrina del matrimonio venga riaffermata”. Vediamo meglio come si esprime nelle prime righe il testo della Dichiarazione, con il suo “tuttavia”:

                “la presente Dichiarazione resta ferma sulla dottrina tradizionale della Chiesa circa il matrimonio, non ammettendo nessun tipo di rito liturgico o benedizioni simili a un rito liturgico che possano creare confusione. Il valore di questo documento, tuttavia, è quello di offrire un contributo specifico e innovativo al significato pastorale delle benedizioni, che permette di ampliarne e arricchirne la comprensione classica strettamente legata a una prospettiva liturgica.”

                Un esame accurato di questo passaggio permette di coglierne appieno il senso e i limiti.

a) Si riafferma la “dottrina tradizionale della Chiesa circa il matrimonio” e nel farlo non si ammette “nessun tipi di rito liturgico o benedizioni simili ad un rito liturgico, che possano creare confusione”. Questo, sembra dire il testo, si pone in continuità con quella comprensione che il Decreto Tametsi ha inaugurato, attribuendo al “rito liturgico ecclesiale” il carattere costitutivo della sacramentalità matrimoniale.

Questo, va detto, nel 1563, appariva scandaloso. Introduceva infatti una “competenza nuova”, che superava in un colpo la lunga esperienza di libertà rituale, che aveva segnato la tradizione lungo quasi 1500 anni di vita.

b) Tametsi (benché) resti valido ciò che è stato appena affermato, il testo procede ad “contributo specifico e innovativo”: esso riguarda una considerazione pastorale e liturgica della benedizione, che apre un’altra considerazione dei fatti esistenziali e dei compiti ecclesiali;

                c) Questo implica a sua volta un ampliamento e un arricchimento della esperienza del “benedire ecclesiale”, che costituisce una netta “inversione di marcia” rispetto alla decisione tridentina.

Vorrei soffermarmi brevemente sul senso di questo contributo innovativo. Per comprenderlo dovremmo anzitutto notare come venga cambiato il punto di osservazione rispetto al Responsum di soli 2 anni fa. In quella risposta negativa il cuore della argomentazione riguardava il fatto che la “benedizione” di una coppia omosessuale avrebbe non solo creato confusione, ma avrebbe applicato la benedizione ad una condizione che “non può essere benedetta”.

Al doppio argomento la Dichiarazione risponde con una prima precisazione: “benedire si dice in molti modi”. La prospettiva con cui è stata impostata la risposta del 2021 è troppo stretta, miope. Potremmo dire “meschina”, citando la espressione di Amoris Lætitia §303. Di qui scaturisce la nuova possibilità, che nasce da un uso del “benedire” che non è interno alla logica formale del sacramento, ma che si muove tra il cuore e il margine più esterno della vita ecclesiale. Il benedire è la capacità di “riconoscere il bene che c’è” e che deve essere attivato proprio nelle condizioni in cui i margini di riconoscimento sociale e personale sono più precari.

                Questa apertura libera energie ecclesiali almeno in 3 grandi direzioni:

  1. restituisce alla “parola profetica” una dignità pastorale, che in ambito matrimoniale rischia di restare schiacciata sotto il registro regale della validità e della legittimità. La benedizione dice il bene dove è, secondo le regole, senza le regole e perfino nonostante le regole;
  2. permette di articolare in modo meno rigido il linguaggio della Chiesa, restituendole l’equilibrio tra registro sacerdotale, registro regale e registro profetico;
  3. proprio il “riconoscimento dei fatti” costituisce un ampliamento di prospettive della teologia matrimoniale, evitando il cortocircuito tra sacramento e contratto, che spesso costringe profeti e sacerdoti a parlare e a ragionare anzitutto come burocrati.

Il Decreto “tametsi”, 460 anni fa, ha inaugurato alla Chiesa un ruolo ufficiale che nei secoli è diventato allo stesso tempo troppo e troppo poco. La Dichiarazione “Fiducia supplicans”, con un nuovo “benché”, ridimensiona l’assolutismo della forma canonica e riapre lo spazio per una Chiesa profetica anche in ambito matrimoniale e sessuale. È un inizio e un cambio di paradigma da non trascurare.

Andrea Grillo       blog: Come se non             18 dicembre 2023

www.cittadellaeditrice.com/munera/un-altro-tametsi-1563-2023-a-proposito-della-dichiarazione-fiducia-supplicans

La Chiesa cattolica e la discriminazione di genere

Gli obiettivi di sviluppo posti dall’Agenda 2030 per quanto riguarda la lotta alla discriminazione di genere e l’empowerment di donne e ragazze rappresentano qualcosa in più di semplici auspici, sono impegni precisi che tutti gli Stati del mondo – indipendentemente dal proprio livello di sviluppo – devono integrare, finanziare e rendicontare.

Lo Stato del Vaticano non fa parte delle Nazioni Unite, rappresenta l’anomalia di essere “invitato permanente” senza diritto di voto, ma con la facoltà di partecipare ai dibattiti, presentare documenti e contribuire alle discussioni. Di fatto la sua voce è molto influente in questioni etiche, morali e sociali, in questo senso l’atteggiamento della Chiesa Cattolica sull’Agenda acquista un significato che va ben oltre ciò che avviene all’interno delle mura vaticane.

Ma in che modo un’istituzione che strutturalmente discrimina le donne impedendo loro l’accesso all’ordinazione può concorrere al raggiungimento della parità di genere? Potrebbe essere utile considerare alcuni tra i singoli traguardi previsti dall’obiettivo 5 e come questi trovano posto – o non lo trovano – nell’azione della Chiesa e quali contraddizioni aprano.

Il punto 5.2 traccia l’urgenza di eliminare ogni forma di violenza nei confronti di donne e bambine, compreso il traffico di donne e lo sfruttamento sessuale e di ogni altro tipo. Per quanto riguarda la lotta al dramma della tratta è importante ricordare come nella Chiesa cattolica agiscano forze importanti, citiamo la rete Talitha Kum, creata nel 2009 per coordinare le tante azioni e organizzazioni di suore che operano nel mondo, grazie al pluridecennale impegno delle religiose contro la schiavitù e la tratta delle persone. Il fatto che le suore siano in prima linea contro lo sfruttamento sessuale delle donne non stupisce, ma è un fatto che andrebbe accostato a un altro, di segno opposto, ovvero lo sfruttamento sessuale delle suore da parte dei preti (come Adista più di qualsiasi altro giornale ha raccontato). Quindi se da un lato le suore aiutano le donne a uscire dallo sfruttamento, dall’altra non si riesce ancora a superare una condizione di sfruttamento economico e sessuale da parte del clero maschile su di loro. La ragione di questo paradosso è la condizione di subalternità nella quale le religiose sono relegate a fronte di una casta sacerdotale maschile sacralizzata.

Per quanto riguarda l’eliminazione di ogni pratica abusiva come il matrimonio combinato e il fenomeno delle spose bambine (5.3), occorre dare conto dell’impegno della fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che Soffre” in favore delle bambine e ragazze vittime di sequestri e matrimoni forzati, in particolare in Pakistan. La dottrina cattolica sul matrimonio, che mette al centro la libera scelta degli sposi, è un appiglio importante contro questo genere di pratiche e, inoltre, le mutilazioni genitali femminili che questo punto ricorda riguardano altre tradizioni religiose, rendendo di fatto più semplice per la Chiesa cattolica assumere una posizione chiaramente contraria.

                Venendo a questioni che toccano la nostra esperienza quotidiana: la Chiesa cattolica è certamente incline a valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito (5.4), a favorire la protezione sociale delle donne, ma quando si tratta di «promozione di responsabilità condivise all’interno delle famiglie»? L’attenzione è certamente posta più sulla differenza tra i ruoli dei due coniugi che sul loro pari dovere nella cura dei figli. C’è una sostanziale ambiguità nel messaggio cattolico riguardo all’impegno delle madri; anche recentemente papa Francesco ha detto: «Bisognerebbe comprendere di più la lotta quotidiana delle madri per essere efficienti al lavoro e attente e affettuose in famiglia; bisognerebbe capire meglio a che cosa esse aspirano per esprimere i frutti migliori e autentici della loro emancipazione». In questi messaggi apparentemente (e forse nelle intenzioni) solidali con le donne si manca sempre di chiamare in causa gli uomini, di richiamarli a una vera corresponsabilità, per cui alla fine prevale l’immagine infantile e rassicurante della mamma stanchissima, ma felice, in un quadro nel quale il padre è in un altrove imprecisato.

Il punto 5.6 riguarda l’accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti in ambito riproduttivo, come già concordato dalla Conferenza di Pechino. Questo è il punto sul quale le strade tra Chiesa cattolica e ONU si divaricano più apertamente, perché la Chiesa ha sempre rifiutato l’approccio al tema scelto dall’ONU. Nel 2019, in occasione del Summit internazionale di Nairobi la Santa Sede comunicò che non avrebbe partecipato e che: «È deplorevole la decisione degli organizzatori di incentrare la Conferenza su alcuni temi controversi e divisivi che non godono di consenso internazionale e non riflettono accuratamente la più ampia agenda per la popolazione e lo sviluppo delineata dalla Conferenza internazionale. Questa e il suo vasto Programma di azione… non dovrebbero essere ridotti ai cosiddetti “diritti e salute sessuali e riproduttivi” e a una “esauriente educazione alla sessualità”. C’è al contrario l’urgente necessità di concentrarsi su aspetti critici del Programma di azione, come le donne e i bambini che vivono in stato di povertà estrema, le migrazioni, le strategie per lo sviluppo, l’alfabetizzazione e l’educazione…».

Queste parole riflettono una precisa strategia di negazione dell’evidenza che povertà e diritti sessuali e riproduttivi sono inseparabili nella vita delle donne. Il 99% di tutti i decessi materni in gravidanza e parto si verificano tra le donne più povere del mondo, e ci sono prove chiare che il modo più efficace per ridurre l’aborto è dare loro accesso a una contraccezione efficace. Non ci sono segnali che la Chiesa cambi strategia e inizi a riconoscere il diritto delle donne alla salute sessuale e riproduttiva, ma se lo facesse le ricadute sarebbero immense. Basti pensare che oggi, nel continente africano, la Chiesa cattolica gestisce «circa 1.200 ospedali, 5.400 dispensari…, 1.700 consultori matrimoniali, 2.900 centri di educazione sanitaria…»: se questi iniziassero ad occuparsi di educazione sessuale e contraccezione, la vita e la salute di milioni di donne potrebbe cambiare.

                Tra tutti i traguardi di sviluppo previsti dall’Agenda, i più controversi per la Chiesa sono quelli che riguardano direttamente la piena ed effettiva partecipazione femminile e pari opportunità di leadership a ogni livello decisionale in ambito politico, economico e della vita pubblica. Per fortuna sono lontani i tempi in cui il papa (Giovanni Paolo II) incontrando la presidente dell’Irlanda Mary McAleese, la ignorò andando a stringere la mano di suo marito prima della sua dicendo: «Non preferirebbe essere lei il presidente dell’Irlanda invece di sua moglie?». Eppure ancora oggi non ci sono segni di una sensibilità cattolica alla crescita di una leadership femminile in politica, economia e vita pubblica, ma – soprattutto – non c’è cenno di una reale crescita della leadership femminile all’interno della Chiesa stessa. È vero, papa Francesco ha portato alcuni cambiamenti: dal 2022 per la prima volta nella storia il Governatorato della Città del Vaticano ha una donna come Segretario Generale, due donne sono state nominate all’interno del Congregazione per i Vescovi, senza dimenticare suor Nathalie Becquart, vice segretaria del Sinodo dei vescovi. Si tratta di passi significativi, ma non può sfuggire la natura simbolica e arbitraria di queste nomine: le donne non hanno alcun diritto a partecipare ai processi decisionali ecclesiali (non essendo preti, vescovi o cardinali), possono farlo solo a condizione che questo venga loro graziosamente concesso. Se la Chiesa critica i governi e le nazioni per i fallimenti in materia di diritti umani, non ha però consapevolezza o comunque sceglie di ignorare la propria negligenza quando si tratta di parità e giustizia.

Anche le nomine eccellenti operate da papa Francesco negli ultimi anni non hanno modificato in maniera sostanziale la mappa dei poteri e soprattutto non hanno prodotto un sistema di pesi e contrappesi per quanto concerne il governo della Chiesa. Come ebbe a dire la stessa McAleese in una conferenza a Roma nel 2018: «La mancata inclusione delle donne come pari ha privato la Chiesa di un discernimento fresco e innovativo; l’ha consegnata a un pensiero riciclato tra un’élite clericale maschile ermeticamente chiusa, lusingata e raramente sfidata da coloro che sono stati scelti per i lavori in processi segreti e chiusi. Ha tenuto fuori Cristo e dentro il bigottismo. Ha lasciato la Chiesa a sbattere goffamente su un’ala sola, quando Dio gliene aveva date due».

                In sintesi possiamo dire che la Chiesa cattolica continua a mantenere un rapporto ambiguo e opaco con la modernità e le sue acquisizioni: da un lato è agente attivo nella lotta alla violenza, alla tratta, alle pratiche dei matrimoni forzati, ma dall’altro rifiuta di guardare le violenze e prevaricazioni al proprio interno. Invita il mondo a valorizzare le donne, ma contemporaneamente le tiene ai margini della propria organizzazione; attribuisce valore sacro alla maternità, ma non ha a cuore la salute riproduttiva delle donne e la loro possibilità di scegliere che sono requisiti imprescindibili per una maternità consapevole, gioiosa o almeno sostenibile. In questa discrasia tra ciò che si chiede al mondo e ciò che si è disposti a fare al proprio interno sta uno degli elementi di debolezza della Chiesa in questo tempo: il Re è nudo e sono le donne a doverlo dire ad alta voce.

             Paola Lazzarini, *1976,°  Adista Documenti n° 44            23 dicembre 2023

° sociologa e giornalista, impegnata sui temi delle diseguaglianze tra donne e uomini nella Chiesa cattolica. Già presidente dell’associazione “Donne per la Chiesa” e consulente di “Voices of Faith”.

www.adista.it/edizione/5159

DALLA NAVATA

IV Domenica dell’avvento – Anno B

2Samuele                           07, 12. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio.

Salmo                                   88, 02. Canterò per sempre l’amore del Signore. di generazione in generazione farò  conoscere con la mia bocca la tua fedeltà, perché ho detto: «È un amore edificato per sempre; nel cielo rendi stabile la tua fedeltà».

Paolo ai Romani              16, 25. Fratelli, a colui che ha il potere di confermarvi nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni,

                                               ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio,  annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio, che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli. Amen.

Luca                                      01,30. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.

Parola in cammino. L’annuncio

Il racconto dell’annuncio della nascita di Gesù a Maria è forse uno dei più conosciuti, anche perché è stato oggetto di numerosi dipinti attraverso i secoli: molti grandi pittori hanno infatti voluto descrivere questa scena, ponendo la loro firma su opere d’arte di grande valore. E, con queste rappresentazioni ben presenti nella nostra mente, il tutto ha assunto un che di straordinario, di sorprendente e, è il caso di dirlo, di sovrannaturale. Ma era proprio questo ciò che Luca voleva suscitare nei lettori del suo Vangelo?

La scena si apre con la missione che l’angelo Gabriele (letteralmente «potenza/forza di Dio») riceve di recarsi in un villaggio della Galilea di nome Nazaret. Un villaggio come tanti, in cui abita una giovane come tante, che sta per sposarsi con un discendente della casa davidica. Ed è forse questo il primo dettaglio importante: l’appartenenza dello sposo alla famiglia di Davide implica che anche i figli derivanti da questa futura unione siano discendenti di Davide, ovvero potenziali «messia» secondo una delle caratteristiche dell’attesa messianica di quel tempo.

Segue quindi l’incontro tra l’angelo e Maria. In realtà Luca non ci dice se Maria riconosce in chi le sta davanti l’essere angelico o meno; il lettore ne è stato precedentemente informato, ma di fatto Maria no. È comunque evidente che le parole di questo visitatore la lasciano a dir poco perplessa: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».

Dire «il Signore sia con te» non è così inconsueto, faceva parte del saluto e anche dell’esperienza di fede del popolo ebraico; meno scontato è invece questo invito a rallegrarsi dovuto a un’azione di grazia che investe Maria e la trasforma. L’espressione verbale «piena di grazia» (in greco kecharitomene) è un participio perfetto medio passivo del verbo karitoo, il cui significato è «trovare grazia, concedere qualcosa di gratuito, essere favorevole»; e la forma al perfetto indica il risultato di tale azione.

Guido di Pietro (*1395-†1455)  venerato come Beato Angelico                                El Prado (1425|6)

http://www.travelingintuscany.com/arte/fraangelico/annunciazionedelprado.htmhttp://www.travelingintuscany.com/arte/fraangelico/annunciazionedelprado.htm

                Quindi ciò che Maria si sente dire è l’invito a gioire perché è stata trasformata dalla grazia, dal favore di colui che è con lei. È chiaro allora quanto segue: «A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo»; chi infatti non rimarrebbe turbato e disorientato sentendosi rivolgere tali parole?

Non si fa attendere la rassicurazione da parte dell’interlocutore che, come già detto, il lettore sa essere un angelo, ma non è detto, almeno apertamente, che lo sappia anche Maria. E tale rassicurazione inizia con una frase caratteristica nella Bibbia, che compare ogni qualvolta una persona sta ricevendo un incarico da parte di Dio: «Non temere».

C’è poi l’annuncio della nascita di un bambino, che ha tutte le caratteristiche messianiche secondo una delle attese del tempo: sarà di stirpe davidica, «figlio dell’Altissimo», il suo regno non conoscerà fine e, non ultimo, il suo nome sarà Ioshua, che significa «Dio salva».

A questo punto è interessante la reazione di Maria, la quale sembra non scomporsi per nulla: un tale annuncio corrisponde alla figura del Messia atteso e lei sta per sposare un uomo della casa di Davide; c’è solo un piccolo particolare che non torna: i due non sono ancora sposati e quindi la loro unione non si è ancora «consumata».

La risposta dell’angelo è immediata e anche articolata: lo Spirito Santo e l’ombra dell’Altissimo la avvolgeranno, in questo concepimento tutta la shekinah, la presenza del Signore è coinvolta. Si annuncia la nascita del futuro re, come recita il Salmo 2,7 (certamente ben conosciuto da Maria): «Egli mi ha detto: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”». Viene poi ricordato a Maria come nella storia biblica Dio sia stato capace di rendere fecondo il grembo di donne sterili, per cui a lui «nulla è impossibile».

Certo, anche se tutto torna e suona familiare alle orecchie di Maria, rimane però l’immediatezza dell’annuncio, la particolarità del momento e della scelta che cade su di lei. Non ci si dovrebbe quindi stupire se Maria, come prima di lei Mosè e altri profeti, abbia potuto sollevare qualche obiezione, esprimere le proprie perplessità e soprattutto il proprio sentimento di inadeguatezza.

                Ma non si deve dimenticare l’inizio della scena e il saluto che le è stato rivolto: «piena di grazia». Ed è proprio questo essere stata trasformata nella grazia che la rende capace, in tutta libertà, di pronunciare un così immediato e totale fiat voluntas tua: «Avvenga per me secondo la tua parola». Come dirà, qualche secolo dopo, sant’Agostino: Maria ha concepito «Cristo prima nel cuore che nel grembo».

Se da una parte la conoscenza e la frequentazione delle narrazioni bibliche, che una giovane del tempo poteva ben conoscere, hanno permesso a Maria di riconoscere nelle parole dell’angelo l’operato di Dio, la straordinarietà di questa giovane donna è stata quella di «riconoscersi» in questa storia e di aderirvi con tutta la sua mente, il suo cuore, la sua vita, e in questo senso si potrebbe dire che la fede non consiste solo in conoscenze «biblico-teologali» ma nella «follia» di credere all’«impossibile di Dio».

Ester Abbattista, biblista

EDUCAZIONE AFFETTIVA

Facoltà teologica Triveneto, “cura della relazione come antidoto alla violenza di genere”

Stare nella relazione, superare le false divisioni del mondo in maschile/femminile, arginare la deriva della violenza con una cultura del “noi” rispettosa delle differenze e libera dai patriarcati; stringere un patto educativo in cui genitori, insegnanti, educatori sappiano farsi testimoni di relazioni sane; educare alla gestione dei conflitti.

Sono i principali stimoli emersi dal pomeriggio di studio “Educazione affettiva e prevenzione della violenza di genere”, promosso il 19 dicembre a Padova dalla Facoltà teologica del Triveneto. Lo riferisce oggi un comunicato, specificando che si tratta di “un primo passo per ricercare alcune coordinate utili a contrastare il fenomeno dei femminicidi; un lavoro che proseguirà nel prossimo anno accademico con un corso sullo stesso tema, già in cantiere nel ciclo di licenza“.

“Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha scalzato il dispositivo giudicante e rassicurante con cui solitamente ci difendiamo in queste situazioni: non ci sono ‘colpe’ imputabili alla donna“, ha messo in evidenza Lucia Vantini, teologa e filosofa, docente all’Istituto superiore di Scienze religiose di Verona. “Tutte le donne violentate e uccise sono per noi un elemento di provocazione – ha proseguito –. Chiedono di non idealizzare le relazioni, chiedono una cultura della maschilità differente e di coinvolgere gli uomini in questo lavoro, per una nuova alleanza fra i sessi“.

La violenza di genere è trasversale, senza differenze di classe sociale, religione, etnia, età e ha declinazioni molto differenti. “Se non è corretto parlare di ‘cause’ della violenza, negli ultimi anni gli psicologi hanno però iniziato a spiegarsi il sorgere e il mantenersi di relazioni violente come conseguenza di atteggiamenti che possono essere ricondotti alla condizione di dipendenza affettiva patologica” ha spiegato Michela Simonetto, psicologa, con laurea magistrale in Scienze religiose all’Istituto superiore di Scienze religiose di Padova.

Occorre però distinguere conflitto da violenza: “La violenza è l’incapacità di stare nel conflitto e di sperimentarlo come elemento che fonda la relazione – ha affermato Davide Lago, pedagogista e docente all’Istituto superiore di Scienze religiose di Vicenza, citando Daniele Novara –. È quindi la relazione e non la bontà, come nel senso comune si è spesso portati a credere, la misura discriminante tra confitto e violenza. La fatica del conflitto – ha conclusi Lagoè una condizione imprescindibile per mantenere buone relazioni ed è quindi fondamentale educare alla gestione dei conflitti, imparare ad accettarli e abitarli senza che questi sconfinino nel desiderio di annientamento dell’altro“.

Giovanna Pasqualin Traversa    agenzia SIR         21 dicembre 2023

www.agensir.it/quotidiano/2023/12/21/educazione-affettiva-facolta-teologica-triveneto-cura-della-relazione-come-antidoto-alla-violenza-di-genere

FERTILITÀ

Riconoscimento naturale della Fertilità | ON-LINE da febbraio a giugno 2024

PER MEDICI E OSTETRICHE

L’Associazione Sintotermico Camen e l’International Institute for Restorative Reproductive Medicine, in collaborazione con l’Università di Napoli “Federico II“, organizzano il Corso di formazione per:

                Medico competente in Riconoscimento Naturale della Fertilità

                Ostetrica competente in Riconoscimento Naturale della Fertilità.

Il corso è rivolto a medici e ostetriche per raggiungere competenze e consentire l’accompagnamento della donna, valorizzandone la capacità di osservazione e di interpretazione dei segni e sintomi del ciclo mestruale, sia nel facilitare il concepimento che nell’evitarlo.

Vuole dare criteri per cercare in modo analitico le cause della sterilità sia maschile che femminile. Vuole proporre terapie specifiche in situazioni patologiche non sostituendo ma riparando l’alterata funzionalità̀.

                La collaborazione tra Associazione Sintotermico Camen, International Institute for Restorative Reproductive Medicine e Università di Napoli “Federico II”, entrambi organizzatori del corso, garantisce al corso un profilo scientifico ed esperienziale in grado di proporre alta qualità scientifica, specifiche competenze esperienziali e collegamenti internazionali capaci di mantenere nel tempo un profilo professionale periodicamente certificato.

                Il corso si rivolge a tutti i professionisti sanitari al fine di implementare una rete di consulenza a cui tutti gli insegnanti di Regolazione Naturale della Fertilità possano rivolgersi quando incontrano situazioni nelle quali ci sia un quadro fisiologico alterato.

Il corso si svolgerà in videoconferenza a partire dal mese di febbraio 2024, si articola in 45 ore di lezione, 9 ore di laboratori didattici. 

  • Erogazione di 50 crediti ECM | Rilascio di attestati di partecipazione.
  • Rilascio di Certificato di “Medico competente in Riconoscimento Naturale della Fertilità” e “Ostetrica competente in Riconoscimento Naturale della Fertilità”.

I temi affrontati saranno i seguenti:

• aggiornamenti di anatomia;

• fisiologia e procreazione umana;

• fondamenti scientifici dei segni e sintomi biologici del ciclo registrati dalla donna;

• il metodo Sintotermico Camen e i diversi metodi naturali;

• analisi di quadri biofisiologici alterati e possibili terapie;

• allattamento al seno, cicli irregolari e perimenopausa;

• l’APP Biofertilità e nuove tecnologie per la fertilità;

• approfondimento diagnostico della sterilità maschile e femminile e protocolli terapeutici;

• approfondimento diagnostico dei diversi fattori dell’infertilità maschile e femminile;

• protocolli terapeutici per una medicina riparativa e non sostitutiva della fertilità naturale;

• laboratori didattici con analisi di schede fisiologiche e patologiche con tutor dei metodi Sintotermico Camen, Billings e Creighton

                Direttori del Corso e Responsabili scientifici:  Michele Barbato e Serena Del Zoppo

www.camen.org/Paginas/IndexUt/127

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info:  Associazione Sintotermico Camen | Via Sant’Achilleo 5, 20133 Milano | www.camen.org | eventi@stcamen.it

GIUSTIZIA E DIRITTI UMANI

Chiesa e Agenda 2030

Alla zia che gli chiede della giornata a scuola, Ale risponde: «Oggi abbiamo fatto religione e abbiamo parlato dell’inquinamento dei parchi giochi». La zia si stupisce: «Alla lezione di religione? Ma, che c’entra?». E ripete la domanda: «A religione?». «Sì zia!», insiste assertivo il bambino. Sentendoli, intervengo spiegando alla zia: «Ma sì, perché è un dovere dei figli di Dio custodire il creato!». La zia commenta: «Ah, meno male che oggi si coniugano le due cose!».

                Infatti, possiamo dire, era ora! Perché anche se questo connubio tra cura del creato e religione ha le sue origini fondanti nella Sacra Scrittura, e non di meno nella tradizione italiana con san Francesco d’Assisi, è stato papa Francesco che, a due anni della sua elezione, a maggio del 2015, ha scritto l’enciclica “Laudato si’ (LS)”, un intero documento pastorale tutto rivolto alla cura integrale del creato.

                Nello stesso anno, a settembre 2015, 193 Paesi delle Nazioni Unite hanno sottoscritto l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano d’azione globale per migliorare il presente, il futuro e la prosperità delle persone e del pianeta, basato su cinque concetti chiavi, le cinque “P” (persone, prosperità, pace, partnership, pianeta), organizzato in 17 obiettivi e 169 sotto-obiettivi.

                Ambedue i documenti, di portata universale e con comuni preoccupazioni, sono sentiti da alcuni come un grande respiro; da altri come tardivi, specialmente tra i movimenti ecologisti e tra gli scienziati; altri li considerano interventi di moda e perciò opzionali; e ancora altri, avendo nel cuore tante delusioni, sentono che si tratta solo di belle parole che, come i bei vestiti, sono da indossare a seconda dell’interlocutore da trattare o, come si dice nel mio Paese (Messico, ndr), si balla con la musica che c’è.

A ogni modo, quel “migliorare il presente e il futuro del pianeta e delle persone che lo abitano” non sembra essere oggi l’affermazione più fortunata davanti a calamità sociali ed ecologiche in atto, o davanti alla «terza guerra mondiale a pezzi» come papa Bergoglio sin dal 18 agosto 2014 ha definito la situazione globale.

Laudato sì’ ha suscitato stupore e scalpore, ha ricevuto lode e biasimo ma, a otto anni da quell’intervento, viste le gravi circostanze che stiamo vivendo, papa Francesco ha ribadito e riconfermato la sua posizione con l’Esortazione Apostolica Laudate Deum (LD), uscita il 4 ottobre 2023, dove ribadisce il suo appello a prendere consapevolezza della gravissima crisi climatica e ad agire per fermare le conseguenze drammatiche che sfavoriscono l’intero creato.

Il santo padre ha giustificato così il suo intervento: «Ma, con il passare del tempo, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza» (LD 2). «Si tratta di un problema sociale globale che è intimamente legato alla dignità della vita umana» (LD 3). Verso la conclusione, dice ancora: «Invito ciascuno ad accompagnare questo percorso di riconciliazione con il mondo che ci ospita e a impreziosirlo» (LD 69).

                La sua esortazione di calibro apostolico ha espressioni pungenti, che puntano sulla grave responsabilità, in capo ai vertici delle nazioni, di prendere adeguate decisioni politiche che producano soluzioni efficaci (LD 69), integrando però le azioni collettive già in atto, che uniscono tante volontà individuali, azioni avviate da cittadini e movimenti dal basso che collaborano a un cambio culturale che fa nascere una trasformazione duratura (LD 71).

I documenti pontifici sono un contributo intellettuale fondamentale giacché si tratta di insegnamenti da parte del più alto vertice della Chiesa cattolica, il Pontifex Maximus che in ordinaria et universali potestate; perciò possiamo dire che la decisione di affrontare suddette urgenti questioni, in modo acuto, complesso e integrale è già un modo responsabile di affrontare la trasformazione culturale che pressa da tempo.

Sia LS che LD stabiliscono direttrici e criteri per orientare l’immane struttura ecclesiale; sollecitano a riesaminare gli ambiti dottrinali, pastorali, pratici (educativi, sociali, ecc.), indirizzano verso modi concreti e positivi di rapportarsi con il mondo e con tutte le creature, proponendo di camminare e lavorare in comunione e corresponsabilità verso nuovi paradigmi di vita che favoriscano il miglioramento globale (LD 71).

                Le incessanti comunicazioni del papa al riguardo, in questo primo quarto di secolo, irrompono nella sordità culturale che il paradigma tecnocratico ha prodotto affogando le coscienze e producendo quel che viene chiamato peccato strutturale (LD 3), con strutture solide che generano scontento, malessere, ingiustizia, degrado, disintegrazione, indegnità ecc. Già nel 1864, George Perkins Marsh, nella sua opera Man and Nature, ha lanciato l’allarme sugli squilibri frutto dell’uomo tecnologico, ma purtroppo sin dal secolo XIX tanti e vari richiami sono stati volutamente ignorati.

Il discorso di papa Bergoglio «al fine di evitare l’aumento di un decimo di grado della temperatura globale» (LD 70), anche se trasmesso con un certo respiro affannoso, come quello dall’udienza di mercoledì 29 novembre 2023 nell’aula Paolo VI, ha generato una vertiginosa marea di letteratura e ha unito voci e operatori, credenti e non credenti, stimolando a lavorare all’unisono per produrre nuovi paradigmi di azioni che ricostituiscano il tessuto universale.

Con il suo magistero, invita a passare dal paradigma tecnocratico (LD II; LS 101) al paradigma dell’accoglienza (Fratelli Tutti 48), della luce (Lumen Fidei 33), del migrante e del pellegrino in terra (Christus Vivit 91), dell’azione missionaria (Evangelii Gaudium 15) e soprattutto a guardare l’esempio paradigmatico di Gesù di Nazaret (Amoris Lætitia 64).

                Questi e altri vari interventi, sebbene motivo di sollievo per la presa di responsabilità, a volte sono anche motivo di confusione, perché riguardo a certi argomenti non rispecchiano nitidamente la coerenza del discorso, cioè ci sono parole, azioni, e omissioni, che permettono di intravedere dolorose contradizioni anche all’interno delle strutture ecclesiastiche, e piuttosto ci fanno cantare, diffidenti, insieme alla grande Mina “parole, parole, parole!”.

Ad ogni modo, giacché la potestà papale oltre che magisteriale è anche legislativa (c. 135 del Codice di Diritto Canonico), il suo intervento sta cercando di entrare nel merito della revisione e la correzione proprio del Diritto Canonico, che non affronta certe azioni illecite e criminose, sostenute da paradigmi religiosi che favoriscono il silenzio e la divinizzazione dell’istituzione e della gerarchia e che purtroppo fanno dilagare ingiustizie e violentare i diritti umani e i diritti dei fedeli anche in base a una lodata e sovrastimata “prudentissima prudenza” che purtroppo ancora oggi fa scuotere le teste!

Ma oltre agli interventi magisteriali e legislativi indirizzati alla collettività cristiana, il papa gesuita esercita una variopinta e continua azione diplomatica che va oltre la struttura ecclesiastica. Si batte per un impegno politico in favore della pace tra nazioni (ad esempio attraverso gli interventi sugli attuali conflitti bellici) come per favorire fratellanza e comunione attraverso incontri ecumenici e interreligiosi (Abu Dhabi, Iraq alla Piana di Ur, Assisi tra altri).

Ad ogni modo, la nuova era, non quella corrente di pensiero degli anni Sessanta, ma quella nostra che ci incalza verso un nuovo paradigma, non sempre è inaugurata dall’alto, ma viene eseguita dal basso o meglio spinge dall’interno della società come in un parto, grazie agli interventi generatori di vita, pace, speranza, diritto e giustizia etc. di tanti che lavorano incessantemente, a volte gratuitamente, a volte in modo profetico e anche scomodo, per far cambiare rotta al Titanic prima dell’impatto con l’iceberg.

Così, ad esempio, nella frontiera tra il Messico e il Guatemala, nella regione del Chiapas, dove i cartelli della droga si disputano il territorio, laici e sacerdoti operatori di bene sono impegnati, anche rischiando la vita, nelle case per migranti di passaggio per offrire loro servizi di base, sfamarli e ospitarli, donando loro sostegno e un soggiorno dignitoso, sottraendoli al rischio della tratta.

A Betlemme gruppi di laici accolgono bambini (anche musulmani) poverissimi o disabili, abbandonati o orfani, che se non fosse per loro e per le case di accoglienza rimarrebbero senza educazione e senza cura.

                Alcune Chiese particolari, specialmente nel mondo anglosassone, garantiscono parità di genere. Per esempio sono stata convocata da una parrocchia degli Stati Uniti, per guidare la pastorale giovanile e sono stata pure pagata per il lavoro e il tempo dedicato, a differenza di altre strutture ecclesiastiche, pienamente dentro il paradigma patriarcale, dove la donna credente non può ricevere paga per il servizio prestato, perché il suo servizio è a Dio e sarà retribuito dopo la morte! Come se Gesù non avesse ben chiaramente detto a chi non voleva pagare le tasse «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare» (Mt 22,21).

Finalmente posso dire che i temi posti dagli obiettivi dell’agenda 2030, così come gli interventi magisteriali e l’azione istituzionale, stano provando a creare una nuova cultura di benessere integrale. Ma la domanda fondamentale continua a essere urgente: in che modo, dal basso o dall’alto, possiamo fare di questa consapevolezza collettiva ricerca, iniziativa, azione congiunta, sperando che sia “la Volta Buona!”.

Margarita Goretti Flores *  Adista documenti n° 44                               23 dicembre 2023

  • dal 1985 impegnata nelle missioni per la nuova evangelizzazione in Colombia, USA, Messico, Israele, Italia, dove ha lavorato con bambini, giovani e famiglie. Laureata in Scienze bibliche e in Diritto canonico alla Pontificia Università Antonianum (PUA), nelle sedi di Gerusalemme e di Roma. Socia ordinaria del Coordinamento Teologhe Italiane.

www.adista.it/articolo/71105

NATALITÀ

De Palo: «Copiamo il Giappone: 20 miliardi di euro contro il calo demografico»

Il presidente della Fondazione per la natalità commenta il Censimento Istat 2022 sulla popolazione italiana. «Necessario un obiettivo raggiungibile e verificabile»  (incontro su famiglie in cammino (promosso da Acli Roma), 13 ottobre 2022     

«Non avendo un obiettivo chiaro, non riusciremo a vincere la battaglia della denatalità». Il presidente della Fondazione per la natalità Gigi De Palo commenta il testo del Censimento 2022, pubblicato il  18 dicembre, dall’Istat, che certifica la «continua diminuzione della popolazione italiana. Per De Palo, «è necessario un obiettivo sostenibile, raggiungibile e verificabile di anno in anno. L’Istat ha proposto quota 500mila nuovi nati entro il 2033. Altrimenti saremo qui il prossimo anno a documentare l’ennesimo fallimento del nostro Paese che, pur avendo chiari i problemi, non riesce a fronteggiarli e risolverli».

                Il presidente della Fondazione per la natalità cita l’esempio del Giappone, che, «avendo numeri demografici simili ai nostri, ha annunciato un piano di 20 miliardi di euro all’anno per contrastare la denatalità. Dal lato nostro, in Italia pensiamo di affrontare il tema con un pacchetto di misure di un solo miliardo di euro. Questo confronto – prosegue – evidenzia la necessità di valutare e adeguare le misure italiane per affrontare la crisi demografica in modo più efficace».

                Ancora, «è fondamentale che anche l’Unione Europea, riguardo la legge di stabilità, vada in deroga sulle spese relative alla denatalità perché si tratta di un investimento e non di un costo – rileva De Palo –. La denatalità non ha un colore politico, riguarda tutti, governo e opposizione, per questo nel 2024 comincerà il Tour della Natalità che toccherà le principali città italiane. Occorre unire il Paese nei confronti di un tema con cui dovremo fare i conti seriamente per i prossimi trent’anni», conclude. Aspettando gli Stati generali, nel maggio 2024.

Redazione online            Romasette        19 dicembre 2023

www.romasette.it/de-palo-copiamo-il-giappone-20-miliardi-di-euro-contro-il-calo-demografico

NATIVITÀ

Maria, donna che muta il destino di tutte le donne

In lei la maternità è radice di vita e porta d’amore e libertà: quella vita femminile condizionata al dolore si trasforma in un volo di gioia; il grido che veniva dal pianto in quello di un canto.

Giorgione (*1477- †1510)             data del dipinto1

                Stupendo il fatto che, nel presepe di Greccio, non ci fossero i personaggi protagonisti ma solo il bue e l’asinello. Perché Gesù sarebbe nato nel corpo dei cristiani che ivi si recavano. A  qualcuno sembrò di vederlo nelle braccia dello stesso san Francesco! Natale è una striscia di stelle che va a germogliare in una striscia di terra, fiore di pace che avviene in tutte le donne e gli uomini che «Egli ama» (Lc 2,14).

 La statuina di Maria non può esserci nel presepe perché Lei è moto di vita che «geme e soffre nelle doglie del parto» (Rm 8,22). Lei può soltanto accadere in un corpo vivo. Poiché nulla è mai inerte nel corpo della donna, pasta di sangue e di carne, di aromi e d’aliti, dinamismo d’acqua e di spirito. Ella segna il farsi del tempo e delle stagioni, nel suo ciclo mensile sono iscritti i mesi.

Maria vuol dire “acqua amara” cioè acqua uterina, asprigna, primo nutriente e completo, gratuito cibo per le sue creature. È la Maria del presepe, la donna che diventa madre andando a compiere il suo destino più forte, che la fa sconfinare dal suo limes, dal suo stesso corpo e transitare fisicamente in un altro. Dal sé all’altro da sé; dal sé al sé come un altro, per accostarvi una categoria filosofica (cf. Paul Ricoeur). L’esperienza del figlio che segna a fuoco la vita di una donna facendo di Maria «femmina un giorno e poi madre per sempre, nella stagione che stagioni non sente» (Fabrizio De Andrè).

Nella pietà popolare Maria viene adorata specialmente come l’Addolorata; la Mater dolorosa vestita di nero, ferita da spade che si moltiplicano proprio sul suo seno anche a memoria della parola che su di lei pronunciò il vecchio Simeone il giorno in cui la incontrò nel Tempio dove s’era recata per purificare il suo corpo di puerpera. «Anche a te una spada trafiggerà l’anima», le aveva detto riferendosi certo al giorno in cui – tra le più infelici delle madri – avrebbe visto morire il figlio in Croce (Lc 2,35).

Ma il dolore di Maria è anzitutto retaggio di tutte le figlie di Eva, di tutte le donne che lo sperimentano proprio nel partorire: «Con dolore partorirai figli» aveva, infatti, detto il Creatore (cf. Gen 3,16).

                Sono le doglie del parto a descrivere il dolore che appartiene soltanto alla donna. Non voluto da Dio ma come una realtà che ella va a conoscere proprio quando esperisce la sua immensa grandezza diventando culla di un’altra vita. In Maria il dolore di Eva si trasforma in Magnificat: la maternità è frutto non di condanna né fonte di morte ma radice di vita e porta d’amore e libertà. In Maria quella vita femminile che era condizionata al dolore si trasforma in un volo di gioia; il grido che veniva dal pianto si trasforma in quello di un canto: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore…d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente» (Lc 1,46-49).

                «Nato da donna», dice Paolo a proposito di Gesù (Gal 4,4). Nato da una donna che muta il destino di tutte le donne promuovendone una massima dignità, divinamente espressa dal Sommo Poeta: «Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio, tu se’ Colei che l’umana natura nobilitasti sì che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura» (Par XXXIII,1-6).

Rosanna Virgili                RomaSette         19 dicembre 2023

www.romasette.it/maria-donna-che-muta-il-destino-di-tutte-le-donne

Nulla è impossibile a Dio.

Santo Natale 2023. Il messaggio di auguri dell’Amministratore Apostolico alla Diocesi di Iglesias

“‘Nulla è impossibile a Dio!’. Queste le parole dell’angelo che abbiamo sentito ripetere nei giorni della preparazione al Natale, parole che suonano come una sfida”.

“Ogni volta che ci fermiamo davanti al presepe questa stessa sfida viene lanciata a ciascuno di noi, mentre sullo sfondo dei cieli variamente rappresentati e stellati vediamo idealmente scorrere l’elenco delle situazioni e dei problemi dove non esitiamo a dichiarare impossibili: la pace in Terrasanta e in Ucraina, l’amore ritrovato per tanti uomini e donne travolti dalla violenza e dalla disperazione, la donna rispettata nel suo corpo e nel suo mistero, il bene comune riscoperto come vero obiettivo per tutti coloro che hanno responsabilità pubblica, l’attenzione primaria ai più poveri come fondamento per un bene veramente comune, il valore formidabile di ogni piccolo gesto di onestà e di solidarietà contro la tentazione di pensare che ‘tanto tutto è inutile’”. Lo scrive il card. Arrigo Miglio, amministratore apostolico di Iglesias, nel messaggio natalizio alla comunità diocesana.

Nulla è impossibile a Dio: vale per Lui, non per me, per noi, per l’umanità”, osserva il porporato, sottolineando che “la sfida dunque riguarda la nostra preghiera: ci rivolgiamo a Uno che può e vuole rendere possibili le alcune realtà sopra ricordate”. “Invece – rileva – troppo spesso preghiamo solo quando ‘le abbiamo provate tutte e non ci resta che pregare’, quando promettiamo preghiere per scansare l’impegno personale, quando non sappiamo più cosa fare e allora preghiamo. Così sullo sfondo del nostro presepe vediamo scorrere non solo l’elenco delle cose ‘impossibili’ ma anche le nostre preghiere troppo spesso così sbiadite e titubanti”.

Pregare con Maria – spiega il cardinale – vuol dire prima accettare la sfida che nulla è impossibile a Dio poi metterci a pregare per imparare a stupirci della sua opera. Maria ha cominciato subito a cantare la manifestazione del piano di Dio”.

 “Che la luce e la gioia del Natale – l’augurio dell’amministratore apostolico – possano cambiare la nostra preghiera: non muta come la preghiera di Zaccaria nel Tempio ma canto di lode come quello di Maria nella casa di Elisabetta, offrendo al Signore il nostro grazie, sulla fiducia, senza esitare a fare credito al Dio che ci ha donato il suo Figlio”.

“Nel Natale viviamo la contemplazione dell’Evento più impossibile che si potesse immaginare, ed è avvenuto: factum est. Lasciamo entrare in noi il Bambino che un giorno accetterà la sfida più grande, quella della Croce, e proviamo a pregare con il cuore e con gli occhi di Maria, accompagnati dal silenzio di Giuseppe”, conclude il card. Miglio. (*1942)

www.diocesidiiglesias.it/nulla-e-impossibile-a-dio

La stanza di Nazaret

Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città di Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine fidanzata a un uomo chiamato Giuseppe, della casa di Davide; e il nome della vergine era Maria. L’angelo, entrato da lei, disse: «Ti saluto, o favorita dalla grazia; il Signore è con te» (Lc1,26-28)

La stanza di Nazaret è un covo di rivoluzionari, anzi di rivoluzionarie, visto che è la stanza di una donna. La stanza tutta per sé, nella quale Maria sperimenta l’irruzione di Dio, non ha nulla della cella, dei nostri luoghi intimi, al riparo dal mondo. Quella stanza è un rifugio per viaggiatrici e viaggiatori. Riparo momentaneo per rimettersi in cammino. Con decisione, “in tutta fretta”. Da quella stanza partono i camminatori e camminatrici che affrontano le montagne, che non temono le fatiche delle vette, la rarefazione dell’aria delle cime, che non hanno nostalgia del tepore domestico.

In quella stanza si parte da sé ma per andare oltre sé. C’è tutto, in quella stanza: il cielo e la terra, la voce divina e le urgenze umane, la mappa del viaggio e le scarpe per compierlo.

Quella stanza è un’aula scolastica, dove si apprende a sentire in grande. A puntare in alto. Fino a scorgere la presenza di Dio nel ventre di un’altra donna. Fino a scorgerla in una storia che ne proclama l’assenza, la morte. Quelle parole di esultanza, che ancora oggi ripetiamo stupiti – «l’anima mia magnifica il Signore» – Maria le ha dette in casa di Elisabetta, dopo essere stata riconosciuta dalla parente come una donna abitata dal divino.

Ma la grammatica di quel discorso l’ha appresa nella stanza di Nazaret, in quella sperduta classe.

Perché non s’improvvisa quel “sentire in grande” che consente non di osservare la realtà, come notai che prendono atto dell’esistente, ma di “magnificarla”, di guardarla con gli occhiali della “realtà aumentata”, che ne mostrano le radici e i frutti, lo Spirito e il mondo nuovo, corrispondente al sogno di Dio. A Nazaret, come in ogni villaggio della terra, gli umili non sono oggetto di sguardi particolari, a differenza dei superbi. A Nazaret vige l’ordine consueto del mondo, di chi è al potere.

Eppure in quella stanza si possono coltivare sogni sovversivi, sostenuti da una fede incapace di restare chiusa nei luoghi dell’anima.

C’è un cielo in quella stanza; c’è un oltre che non consente l’autocompiacersi o l’autocommiserarsi.

In quella stanza ascoltiamo una Parola che mette in cammino, prestiamo ascolto ad una storia che domanda di essere abitata e non soltanto conosciuta.

Nella stanza di Nazaret si apprende l’arte del farsi prossime, dell’andare in fretta, superando pur ragionevoli remore. Si impara l’arte del fare visita e, insieme al bisogno che domanda gesti di cura, si matura quel difficile saper riconoscere la generatività delle situazioni giudicate insignificanti, quelle che non forano gli schermi e non portano prestigio a chi le frequenta. Nella stanza di Nazaret ci si educa a essere “piene di grazia”: quella divina, certo, che domanda di riconoscere la presenza di Dio nei suoi doni gratuiti, immeritati; ma anche la nostra, per quanto povera e insufficiente, una grazia che fa muovere pensieri e passi senza il calcolo dei risultati, con l’unico desiderio di far fiorire le vite donando gratuitamente.

La stanza del parto. Come con le matriarche sterili di Israele, di nuovo Dio interviene a rendere feconda una storia bloccata, priva di futuro. La stanza di Nazaret è la stanza del parto, luogo generativo, che rimette in moto la storia della salvezza. Quel parto che l’evangelista narra a Betlemme è già qui, a Nazaret, in un presente che anticipa il futuro, che lo annuncia “già” avvenuto, come quei verbi del Magnificat, dove il “non ancora” del Regno di Dio, che mette sottosopra la storia dei potenti, sono espressi nella lingua del “già”. È paradossale lo sguardo evangelico: nel buio della storia intravvede la luminosità del Regno; nel chiuso di una stanza allarga l’orizzonte al mondo intero. Sguardo di mistiche dagli occhi aperti, di casalinghe che governano il mondo a cui Dio rivela il suo sogno.

Con Maria, Dio ha cambiato indirizzo. Ha lasciato il tempio muto per dialogare con una piccola, una tapina, una ragazzina di Nazaret, alla periferia dell’impero, lontano dal centro della vita religiosa di Israele.

E da quella stanza prende piede un altro modo di abitare la terra. L’evangelo del Natale, presenza di un Dio che si fa trovare, povero tra i poveri, è già anticipato in quella stanza, nel buio di una storia che, nonostante tutto, risulta feconda, nella quale i frutti del grembo possono esultare di gioia e riaprire il futuro.

Lidia Maggi, pastora battista                     Riforma* 22 dicembre 2023

*organo di informazione delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia

www.alzogliocchiversoilcielo.com/2023/12/lidia-maggi-la-stanza-di-nazaret.html#more

Nel grembo si era fatto spazio.

La voce del messaggero era arrivata insieme a un colpo d’aria. Mi ero alzata per chiudere le imposte e appena in piedi sono stata coperta da un vento, da una polvere celeste, da chiudere gli occhi. Il vento di marzo in Galilea viene da nord, dai monti del Libano e dal Golan. Porta bel tempo, fa sbattere le porte e gonfia la stuoia degli ingressi, che sembra incinta. In braccio a quel vento la voce e la figura di un uomo stavano davanti a me. Nella nostra storia sacra gli angeli hanno un normale corpo umano, non li distingui. Si sa che sono loro quando se ne vanno. Lasciano un dono e pure una mancanza. Neanche Abramo li ha riconosciuti alle querce di Mamre, li ha presi per viandanti. Lasciano parole che sono semi, trasformano un corpo di donna in zolla di terra. Ero in piedi e l’ho visto contro luce davanti alla finestra. Ho abbassato gli occhi che avevo riaperto. Sono sposa promessa e non devo guardare in faccia gli uomini. Le sue prime parole sul mio spavento sono state: “Shalòm Miriàm”, quelle con cui De Palo, incontro su famiglie in cammino (promosso da Acli Roma), 13 ottobre 2022  Iosef si era rivolto a me nel giorno del fidanzamento. Shalòm lekhà, avevo risposto allora. Ma oggi no, oggi non ho potuto staccare una sillaba dal labbro. Sono rimasta muta. Era tutta l’accoglienza che gli serviva, mi ha annunciato il figlio. Destinato a grandi cose, a salvezze, ma ho badato poco alle promesse. In corpo, nel mio grembo si era fatto spazio. Una piccola anfora di argilla ancora fresca si è posata nell’incavo del ventre.

(Erri De Luca, In nome della madre, Feltrinelli, 2019)

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OMOFILIA

“Che svolta la benedizione delle coppie Lgbt il Papa cancella secoli di discriminazione”

«Gioisco. E da cattolico omosessuale considero questo atto di Francesco dirompente». Aurelio Mancuso, ex presidente nazionale di Arcigay e fondatore della rete Equality Italia per i diritti civili, non nasconde il suo entusiasmo per l’approvazione del documento “Fiducia supplicans”, in cui la Chiesa si apre formalmente alla benedizione per le coppie dello stesso sesso. Una decisione che per Mancuso rompe con una tradizione di discriminazione e che tiene conto anche del disagio delle giovani generazioni.

Cos’è la benedizione per una persona omosessuale?

«Ha un significato enorme. Con questo atto vengono cancellati secoli di discriminazione nei confronti di persone gay e lesbiche. A chi non crede può sembrare un atto troppo timido ma per la Chiesa cattolica è dirompente, nonostante sia ancora in vigore il catechismo che parla dell’omosessualità come disordine. Papa Francesco imprime un’accelerazione, la benedizione delle coppie irregolari, cioè dei divorziati e delle coppie omosessuali è un fatto importante».

Cosa cambia nel concreto?

«Cambia tantissimo. Intanto cambia il paradigma della cultura dentro la Chiesa cattolica. Nessuno potrà più far finta di niente. Otto anni fa con il mio compagno facemmo la benedizione degli anelli in una piccola chiesa di Roma. In Italia c’erano già atti di accoglienza non formalmente riconosciuti. Ora la benedizione diventa un atto disciplinato e riconosciuto, non è più clandestino».

Lo considera un messaggio politico da parte del Papa?

Parlare di politica dentro la Chiesa è complesso, perché non ci sono gli stessi presupposti. Si tratta di un atto di testimonianza forte. Una decisione così ha una portata che rompe anche la tradizione. La dottrina non è ancora cambiata ma questo è un passo avanti rispetto a ciò che la chiesa è stata nei secoli. E i cattolici italiani sono pronti ad accogliere il cambiamento. Inoltre il Papa ha preso questa decisione mentre all’interno del Sinodo c’era già una discussione aperta. È la prova di una volontà molto forte di Francesco. Era impensabile fino a qualche anno fa».

Si sono levate critiche sia tra i laici che tra i cattolici.

«Da cattolico omosessuale le posso dire che è tantissimo, non perché io abbia bisogno di un’accettazione da parte della gerarchia ma perché penso ai tanti fratelli e sorelle che continuano a soffrire per un atteggiamento della Chiesa sbagliato. Credo che il Papa abbia pensato all’inquietudine che molti sentono, specie i più giovani. Durante il suo pontificato ha ricevuto diverse coppie gay, oggi ci dimostra di aver capito la loro sofferenza, decidendo di superare l’orrenda discriminazione e la persecuzione che c’è stata nei tempi passati, non si può pretendere di più».

Nel documento si esclude chiaramente il matrimonio.

«La Chiesa non è un luogo in cui pretendere di avere dei diritti. Io il matrimonio egualitario lo pretendo dallo Stato. Nella Chiesa voglio essere accolto. Non sono interessato al matrimonio della Chiesa che è un sacramento, ha una sua tradizione con un compito preciso. Sono orgogliosamente diverso dentro la Chiesa, non meno di altri ma differente».

E a livello di società a che punto siamo sui diritti?

«La società è pronta. Se dopo le unioni civili oggi si approvasse il matrimonio egualitario nessuno avrebbe problemi».

È la politica che latita?

«Nei partiti siamo alle solite: grandi timidezze a sinistra perché si ha paura di disturbare alcune sensibilità, divisioni a destra. Una parte della destra è a favore ma non si fa protagonista e una parte becera e orrenda alimenta l’omofobia».

intervista a Aurelio Mancuso, a cura di Eleonora Camilli              “La Stampa”       20 dicembre 202

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202312/231220mancusocamilli.pdf

POLITICHE PER LA GENITORIALTÀ

Perché la Francia è il Paese europeo che fa più figli

In Francia si fanno più figli. Più della media europea. Molti di più di quella italiana. Secondo gli ultimi dati messi a disposizione da Eurostat, il tasso di fertilità totale francese è il più alto di tutta l’UE. E non si tratta di un’eccezione, ma di una costante, che si ripete ininterrottamente dal 2012. Con 1,86 figli per donna, la Francia nel 2019 ha superato nettamente la media UE di 1,53 e ancora di più quella italiana, ferma a 1,25. È una questione di scelte politiche, ma anche di storia, di cultura e, soprattutto, di fiducia. Ed è un caso significativo che, alla luce delle nostre riflessioni sui temi della denatalità, merita di essere approfondito e analizzato.

Politiche per la natalità e per la genitorialità

“La Francia è stata tra i paesi OCSE ed europei con i più alti tassi di fertilità dall’inizio degli anni 2000”. A dirlo è Olivier Thévenon, del Centro per il benessere, l’inclusione, la sostenibilità e le pari opportunità dell’OCSE. “Se si guarda alle tendenze della fertilità dopo la grande recessione (2007-2013), un fatto abbastanza sorprendente è che i tassi di fertilità sono rimasti tutto sommato stabili ad alto livello in Francia dopo il 2010, mentre hanno iniziato a diminuire seriamente in molti Paesi, compresi gli Stati Uniti e molti Stati europei. È stato abbastanza sorprendente perché i tassi di disoccupazione giovanile sono aumentati drammaticamente, ma c’è voluto del tempo prima che la crescente incertezza nel mercato del lavoro si traducesse in un calo dei tassi di fertilità”, aggiunge Thévenon.

Dal 2014, anche in Francia, il numero delle nascite è andato calando, come mostra la serie storica dei dati OCSE qui sopra. Il Paese, quindi, non è immune dalla questione demografica che riguarda l’intera Europa, ma mantiene un tasso di fertilità totale elevato e molto significativo nel contesto continentale.

Questo risultato, secondo la sociologa della famiglia Carla Facchini, è legato ad un “aspetto culturale, che influenza le politiche francesi”. “La Francia” spiega la docente dell’Università degli studi di Milano-Bicocca “ha politiche a sostegno della genitorialità e non solo della natalità. Non agevolano solo le nascite, ma sostengono la scelta di fare dei figli nel lungo periodo”.

                A dirlo non sono solo esperti e studiosi ma anche i beneficiari di queste politiche. Irene Pivirotto è madre di tre figli, due dei quali sono nati quando viveva col marito a Lille, nel Nord della Francia. “Fin dalla nascita del primogenito, abbiamo avuto un sostegno consistente, che è andato aumentando con il numero dei bambini”, dice. Secondo la sua esperienza, che a Lille è durata otto anni, “ in Francia le famiglie con figli sono aiutate”.
                               Ma come, esattamente?              Servizi: un sistema completo e integrato per l’infanzia

“La politica familiare francese si concentra molto sulla conciliazione, sulla fertilità e sulla lotta alla povertà familiare, con un sostegno globale in denaro e con servizi di educazione e cura per le famiglie con bambini piccoli”, riassume Thévenon. “Negli anni Ottanta e Novanta, la Francia è stata molto attiva nello sviluppo di un sistema completo di servizi di assistenza all’infanzia. Nel 2019, circa il 60% dei bambini sotto i tre anni ha avuto accesso a un servizio di assistenza formale, mentre è il 36% in media in tutta l’OCSE e solo il 28% dei bambini in Italia”, aggiunge il funzionario OCSE.

Dopo anni di queste politiche, asili nido e strutture simili sono ben viste dai genitori. “C’è l’idea che siano un bene per i bambini, al contrario di altri Paesi in cui si pensa che abbiano bisogno solo della madre”, ragiona Laurent Toulemon, ricercatore dell’INED, l’Istituto nazionale di studi demografici francese. Non si tratta solo dei primi anni di vita. Secondo Facchini della Bicocca, “il tempo pieno a scuola è una questione centrale” per la conciliazione e in Francia è molto diffuso, molto più che in Italia, per esempio.

Gestione del tempo: un vero part time

“Uno degli aspetti che più ho apprezzato del nostro periodo in Francia è stata la possibilità di avere un part time nei primi anni di vita dei figli, per poter avere del tempo da dedicare a loro”, ricorda Pivirotto, che in Francia ha lavorato in un’università. La legge francese prevede la possibilità per uno dei genitori di lavorare a tempo parziale nei primi anni di vita dei figli. La durata varia a seconda dei figli. Per il primo per esempio, dura un anno e può essere rinnovata al massimo fino al terzo compleanno del bambino. I datori di lavoro possono concordare l’orario, ma sono obbligati ad assecondare la richiesta e lo stato integra parzialmente la perdita di salario del lavoro.

Nel Paese, il tasso dei dipendenti impiegati part time, secondo gli ultimi dati Eurostat, è poco sopra la media UE e poco sotto il dato italiano (tra 17 e 18% circa), ma la situazione cambia drasticamente quando si osservano le cifre relative al “part time involontario”. In Italia, il 66% dei dipendenti lavora a tempo ridotto senza volerlo, mentre in Francia la percentuale scende al 38%. “Del resto” riprende Pivirotto “ho visto molti colleghi e colleghe continuare il part time anche dopo il terzo compleanno dei figli. E in generale ho sempre percepito molta flessibilità sul lavoro per quel che riguarda gli impegni famigliari. Già prima della pandemia, per esempio, potevo lavorare da casa se un bambino era malato.

                Poi, ci sono anche fattori indiretti che contribuiscono agli alti tassi di fertilità francese. “Politiche sociali come la scuola gratuita o le soluzioni abitative favorevoli alle famiglie non sono direttamente rivolte alla fertilità, ma hanno un forte impatto perché rendono la conciliazione più facile”, riprende Toulemon.Quando viene chiesto quali sono le motivazioni che li spingono a fare figli, queste politiche non vengono citate, ma i cittadini sanno che possono contarci”.

Trasferimenti e agevolazioni: la generosità del quoziente familiare. Rispetto al sistema italiano di trasferimenti monetari, quello francese “è molto più generoso”. Lo hanno scritto i ricercatori Paolo Brunori, Maria Luisa Maitino, Letizia Ravagli e Nicola Sciclone, specificando le numerose misure” che lo compongono.

Le principali sono:

  • L’allocation familiale, erogato alle famiglie con almeno due figli dipendenti, il cui importo dipende dal reddito della famiglia e dal numero di figli.
  • La prestation d´accueil du jeune enfant erogato alle famiglie con figli minori di 3 anni in base al reddito familiare, al numero di genitori che lavora e al numero di figli.
  • Il prime à la naissance (ou à l’adoption), un trasferimento per le famiglie a cui è nato un bambino, concesso sulla base del reddito familiare.
  • L’allocation de rentrée scolaire, un sussidio alle famiglie con figli che frequentano la scuola tra 6 e 18 anni, per accedere al quale è previsto un criterio di prova dei mezzi basato sul reddito familiare e sul numero di figli.
  • L’allocation de soutien familial, supporto aggiuntivo per i figli con un solo genitore o che vivono con i nonni.
  • Il complément familial, ulteriore sussidio alle famiglie con almeno 3 figli, il cui importo dipende dal reddito familiare.

Non è però l’unico modo in cui lo stato francese sostiene le famiglie. Vi è anche una specifica politica fiscale, di lunga data, incentrata sul cosiddetto quotient familial (quoziente familiare). Le aliquote fiscali si applicano sul reddito complessivo della famiglia diviso per il quoziente familiare, che attribuisce un peso maggiore al crescere dei carichi familiari. In pratica, per quantificare l’imposta dovuta, il reddito della famiglia è diviso per il quotient familial, calcolato sommando i seguenti coefficienti:

1 per ciascuno dei due coniugi o conviventi;

1,5 se l’adulto è uno solo e ha figli a carico;

0,5 per i primi due figli a carico;

1 dal terzo figlio in poi.

In concreto, come scrivono sempre Brunori, Maitino, Ravagli e Sciclone, “una famiglia composta da una coppia con un figlio avrà quoziente pari a 2,5. Una famiglia in cui sono presenti 3 figli a carico avrà quoziente pari a 4 se composta da una coppia, uguale a 3 se monogenitoriale”.

Si tratta di una politica fiscale più volte invocata anche in Italia, come possibile rimedio alla natalità molto bassa del nostro Paese. Vi sono però alcune criticità. “Fino a poco tempo fa il sostegno finanziario alle famiglie era regressivo, nel senso che a causa della combinazione di tasse e benefici, il sistema francese forniva un profilo a forma di U di sostegno a seconda del reddito”, spiega Thévenon. In pratica, finivano per essere maggiormente sostenute, da un lato, le famiglie a basso reddito e, dall’altro, quelle più benestanti. Nel mezzo, i nuclei che si trovavano nella parte bassa della U, non appartenendo a nessuna delle due precedenti categorie, restavano penalizzati. Per questo, conclude Thévenon, “le riforme adottate nel 2015 hanno ridotto la quantità di riduzioni fiscali che le famiglie a reddito più alto possono ottenere”.

Politiche stabili e generose: la fiducia che serve alle famiglie. “Dopo settant’anni di politiche familiari su base volontaristica, inclusive e composte da molte misure diverse, in Francia vi è un’idea molto forte: lo Stato aiuta le famiglie, tutte le famiglie”, riflette Toulemon di INED. Per Facchini “è una questione di sicurezza”. “Per i genitori” prosegue “è importante sapere che hanno un sostegno che permane nel tempo. Negli ultimi vent’anni la precarietà è tornata ad essere un aspetto rilevante per i giovani: lo Stato deve investire per attenuarla”. La Francia, infatti, è uno dei Paesi che spende di più per famiglia e infanzia in UE: nel 2018 era il 2,2 % del suo Pil, contro una media europea dell’1,7% e un dato italiano fermo all’1%.

“In Francia la fertilità è stata la questione dominante che ha incorniciato la discussione sulle politiche familiari dopo la seconda guerra mondiale, ed è rimasta importante nel corso dei decenni”, sostiene Thévenon. Non solo. Anche a suo parere, il fatto che il sostegno alle famiglie sia “percepito come stabile e consensuale crea buone condizioni per ‘correre il rischio’ di diventare genitori”. Certo, bisogna volerlo. “In Italia, la responsabilità dei genitori verso i figli è maggiore rispetto a quella di molti altri Paesi. Il ruolo della famiglia è forte”, riprende la sociologa Facchini. “Il modello francese e nordico, invece, è un modello di rapporti più allentati. Questo, dal punto di vista economico e identitario, rende meno ‘pesante’  la scelta dei figli. E, nello stesso tempo, vi è un maggiore ruolo dello Stato nel sostenere le scelte genitoriali”.

Pivirotto, che dalla scorsa estate è rientrata in Italia insieme alla famiglia, questi differenti approcci li ha vissuti e continua a viverli nella sua quotidianità. Che, con tre figli, è sempre intensa. Un momento per fermarsi a riflettere però lo trova. “Flessibilità lavorativa, aiuto finanziario, servizi alle famiglie. E, non da ultimo, uno sguardo benevolo verso i bambini”, elenca. “Per me, sono questi i punti di forza di una società che fa figli come quella francese”.                          Paolo Riva Università Milano Bicocca

www.secondowelfare.it/primo-welfare/famiglia/perche-la-francia-e-il-paese-europeo-che-fa-piu-figli

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SESSUOLOGIA

La futura morale sessuale e la vita consacrata

Ecco una riflessione/recensione su libro di Basilio Petrà, “Una futura morale sessuale cattolica, In/fedeltà all’apostolo Paolo”, Cittadella Editrice 2021, proposta da Wim De Moor, che pubblico volentieri.

Wim De Moor, classe 1956, vive in una piccola comunità a Gand, Belgio. Dopo aver esercitato per diversi anni la professione di violinista classico, ha vissuto per tre anni ad Assisi. Tornato in Belgio, ha ripreso la sua professione. Appassionato della persona umana e di teologia, ha unito l’insegnamento della musica nella LUCA School of Arts, Lovanio, al lavoro pastorale presso il carcere di Gand. Attualmente, la sua attenzione è particolarmente rivolta a ciò che da sempre gli sta a cuore: l’incontro tra comunità e liturgia.                             Recensione

Ho terminata la lettura di Basilio Petrà *1946

 “Una futura morale sessuale cattolica, In/fedeltà all’apostolo Paolo”, Cittadella Editrice 2021, e mi sento stimolato a riflettere ulteriormente per conto mio. Il testo, gentilmente consigliatomi dal professor Andrea Grillo, Roma, è teologicamente e storicamente ben fondato e molto equilibrato nella costruzione. Il che fa sì che, nella speranza che risulti fertile, merita di essere discusso.

1. Breve riassunto. In questo saggio sulla morale sessuale cattolica, Basilio Petrà ne considera innanzitutto la storia. L’autore parte dal pensiero di Paolo, per poi confrontarlo con quello di Agostino. Entrambe le autorità vedono nel matrimonio l’unica circostanza che permetta un’esperienza sessuale positiva. Allo stesso tempo, tra i due c’è una differenza, la quale, vista la forte influenza storica di Agostino, porta con sé delle conseguenze: per Paolo, il matrimonio è ‘remedium fornicationis’; per Agostino è ‘remedium concupiscentiæ’. Ossia: mentre Paolo vede nel matrimonio il modo buono di trattare qualcosa che è di per sé un bene, per Agostino sposarsi risulta solo fare un bene… con un male. Egli permette però un solo ‘piacere’: la coscienza di collaborare alla procreazione.

                Prima della sua perorazione per il matrimonio, Paolo pronuncia un’arringa per lo stato di celibato. Parla su un duplice sfondo: la venuta di Gesù è imminente, il che relativizza ogni preoccupazione per quanto perpetua la vita umana sulla terra; tuttavia, non tutti gli esseri umani potendo vivere senza sesso, per loro, invece di bruciare e di rischiare di cadere nella porneia, è certamente preferibile scegliere lo stato matrimoniale.

                L’atteggiamento di Paolo, secondo Basilio Petrà, dà prova di realismo. Dal VI alla metà del XX secolo Petrà vede il tema, per così dire, sommerso da un’immagine più agostiniana dell’uomo e della sessualità. Egli nota, tuttavia, da papa Paolo VI in poi e con un primo culmine in Amoris Lætitia”, scritta da papa Francesco nel 2016, un cambiamento nel modo in cui il magistero parla: l’egemonia del pensiero giuridico sta perdendo colpi a favore di un atteggiamento personalistico; la parola chiave non è più “ius in corpus”, ma “amore reciproco”.

                In questa evoluzione, Petrà scopre il ritorno del realismo Paolino. Ponendo al centro ciò che accade tra i partner del matrimonio e al loro interno, la Chiesa si avvicina alla cultura odierna nella quale la sessualità si considera un bene in sé: la si vede come una funzione naturale dello sviluppo umano; e anche nel caso in cui non è separata dalla procreazione, questa funzione ha sempre la precedenza. Non sembra più impensabile, quindi, che la Chiesa valuti diversamente anche le circostanze in cui si svolge il rapporto con il bene che è la sessualità. Qui, l’autore paragona l’atteggiamento verso l’omosessualità e le relazioni tra persone dello stesso sesso, con l’atteggiamento verso la schiavitù: Paolo sapeva guardare ambedue solo attraverso gli occhi della sua cultura e del suo tempo; essendo cambiati, oggi, sia il tempo che la cultura, vediamo le cose in modo diverso.

2. Sitz-im-Leben. [posto nella vita]. Il pensiero di Basilio Petrà scaturisce dalla cultura moderna nel senso che si riferisce specificamente alla ‘sessualità’: di per sé, il sesso è neutro; gli viene dato un significato dalla persona che ne fa uso. In altre parole: le persone fanno qualcosa della loro sessualità. Assumono la responsabilità attraverso il rispetto: per l’altro, per sé stessi, per le relazioni. Questo comporta delle conseguenze sociali: fondamentale è il libero consenso reciproco; il quale è unicamente possibile in condizioni che lo salvaguardino.

Occuparsi consapevolmente della propria sessualità rientra perfettamente nel quadro dell’essere umano come “soggetto”. Le persone che esistono come soggetti manifestano ripetutamente la tendenza a vedere in questo modo di vivere tipicamente moderno, una fase finale di un’evoluzione da attraversare da parte di tutti, sempre e ovunque. Vedere la sessualità prima di tutto come qualcosa che rende felici e non più anzitutto in funzione della procreazione, è in linea con l’immagine (freudiana) dell’uomo come una creatura di bisogni che cerca soddisfazione. Una visione considerata, al 100%, una liberazione.

                Come detto prima, seguendo quella che rileva come la corrente positiva di Paolo, l’autore si rallegra di un allargamento del pensiero cattolico-romano, anche verso un apprezzamento positivo dell’omosessualità e della coppia omosessuale. Nel saggio, il rimanere celibi non viene esaminato. Eppure anche questo aspetto è sostenuto da Paolo.

                Non sembra insensato chiedersi se ci sia una connessione con il tema considerato. Se effettivamente la visione della sessualità oggi sta diventando positiva, questo cambia anche la visione della cosiddetta “vita consacrata”? Per gli eterosessuali e, dove si tratta di convivere con delle persone dello stesso sesso, in modo specifico anche per gli omosessuali?

                3. Vita consacrata Perché questa domanda? Qual è il suo sfondo? Essendo io cresciuto come una persona moderna ed essendo per questo anche molto grato, nella mia esperienza è tanto vivificante quando un essere umano passi al di là del suo essere ‘soggetto’. Solo allora, mi sembra, nasce l’abbandono, come anche l’accoglienza della vita che, di continuo, si dà per Amore. Solo allora la persona diventa fondamentalmente accessibile, perché immersa in una connessione indipendente dal nostro lavoro, e che ci precede. Tuttavia, l’idea che un soggetto possa detronizzare sé stesso mi sembra insensata. (Lo so: sto criticando il cosiddetto “post-modernismo”.) La domanda è quindi: dove e come avviene una tale detronizzazione?

Una prima risposta mi arriva da ciò che tradizionalmente si chiama “vita consacrata”. Per gli autori che ne hanno fatto esperienza – penso a Bernardo Gianni o.s.b. 2019, Lode Van Hecke o.c.s.o. 2022, Rony Ceustermans o.praem. 2022… – l’essere umano non coincide con l’immagine di cui sopra, anche se per l’uomo moderno questa visione spesso viene considerata unicamente una liberazione. Oltre ai bisogni, così ci dicono questi autori, nell’uomo vive anche il desiderio. E mentre i bisogni possono essere soddisfatti, per il desiderio questo non è possibile. Il desiderio umano essendo infinito, l’appagamento può essere cercato solo nell’Infinito, ossia solo in Dio, ossia nella Sorgente che ci invita ad ascoltarLa nel silenzio.

                Ho il massimo rispetto per il monachesimo. Appunto per questo desidero capire meglio quale sia, in questa visione, il significato attribuito a ciò che accade tra le persone. Certamente, questo è considerato un segno distintivo della relazione con Dio: i monaci sono come i raggi di una ruota con Dio al centro; più i monaci si avvicinano a Lui, più si avvicinano gli uni agli altri. (Cfr. Guigo il Certosino, spesso citato dall’abate Manu Van Hecke o.c.s.o.) Tuttavia, l’interpersonale può anche essere punto di partenza? (Anche così credo di poter leggere Bernardo Gianni.) La relazione interpersonale può anche offrire la situazione specifica in cui al “soggetto moderno”, ormai regista che determina l’andamento delle cose, la regia viene tolto dalle mani?

                Ritorno sull’osservazione circa l’essere celibe: la vita comunitaria potrebbe offrire una motivazione per il celibato, oppure, al contrario, il celibato per la vita comunitaria? E se, parlando dell’apprezzamento positivo non solo della sessualità in sé, ma anche specificamente dell’omosessualità, supponiamo che per alcune persone, anche moderne, la vita comunitaria si presenti davvero come una vocazione – o come il luogo in cui da “soggetti moderni” si sentono invitate a permettere che le immagini che hanno di se stessi, dell’altro, del mondo e di Dio… si sgretolino al fine di arrivare alla resa fiduciosa e all’accoglienza della vita stessa che si dona per Amore – c’è una differenza per chi è eterosessuale o omosessuale? E se c’è, quale sarebbe?

4. Una visione antica…Nel saggio – pagine 61-62 – è menzionato un pensiero di Massimo il Confessore (580-626). Parlando in un’epoca in cui la sessualità non andava di pari passo con l’identità, parlava di impulsi sessuali. Se ho capito bene, in questa spinta, lui, da monaco, scrutava per così dire un trampolino verso l’amore per il prossimo e da lì anche verso Dio. È una visione ispiratrice che, dall’approccio positivo alla sessualità sostenuto nel libro di Petrà, oggi può essere applicata a tutti gli orientamenti sessuali. Quindi: cosa è lecito aspettarsi dalla Chiesa, oggi, da parte di una persona omosessuale e, più specificamente, da parte di una persona omosessuale che si sente chiamata alla vita comunitaria?

                Ascoltiamo Amoris Lætitia dove (nn. 291-312) il papa parla di “distinguere, accompagnare, integrare”. Per me questo è un appello all’accoglienza e al rispetto, non in modo paternalistico, né per magnanimità legata all’apertura mentale della persona che ho davanti a me. Il vero rispetto richiede anche un riconoscimento ufficiale come anche, soprattutto per la Chiesa cattolica romana, la trasparenza interna! Ogni essere umano, infatti, ha bisogno di modelli positivi. Chi sa di essere omosessuale ha bisogno di ascoltare discorsi positivi anche sulla sessualità che è la sua, di essere accompagnato nell’esplorazione adolescenziale che è la sua… Se poi una persona omosessuale si sente chiamata alla vita comunitaria, ha anche bisogno di persone radicate come lui, che testimonino della loro vita comune e dell’amore con una gioia prima di tutto irradiata. Ha bisogno della testimonianza di chi è esperto della strada che l’Amore prepara per ognuno di noi: una strada di maturazione, che anche per lui ora non parte da giudizi negativi, da restrizioni o divieti, come neanche da un sogno – ’68esco – di appagamento o di promiscuità, ma che, invitando la persona a ‘fare un bene con un bene’, anche qui, la porta ad una purificazione ad vitam.

5. Da riscoprire per fedeltà? Torniamo, in conclusione, al saggio di Basilio Petrà. Dobbiamo esaminare se e, in caso affermativo, dove si lasci scrutare una connessione tra l’omosessualità da un lato e la vita comunitaria celibe dall’altro. Ce lo chiede il rispetto verso coloro che, sentendo un possibile legame dentro di sé, hanno domande in merito. Questo rispetto, come anche la ricerca ad esso collegata, incarnano, anche nelle persone di Chiesa, la fedeltà a Dio, all’altro, a sé stesse, alla Chiesa… Incarna la fedeltà a delle persone concrete e, per il bene di queste persone, alla propria Tradizione. Incarna la fedeltà, infine, anche a san Paolo.

 Wim De Moor1956 (Gent, Belgio)

Andrea Grillo       blog: Come se non             5 dicembre 2023

www.cittadellaeditrice.com/munera/una-futura-morale-sessuale-e-la-vita-consacrata-di-w-de-moor

SINOD0

«Dal Sinodo un punto di svolta» La riflessione del gesuita Christoph Theobald

Un momento di crescita per tutta la Chiesa, nonostante «l’incertezza per il futuro»: è così che il teologo di fama internazionale,                  Christoph Theobald, gesuita tedesco ma francese di formazione, classe 1946, legge il Sinodo sulla sinodalità e in particolare l’Assemblea svoltasi a ottobre, alla quale ha preso parte. In un’ampia intervista apparsa recentemente sul mensile Il Regno (il numero 20) il teologo (che è un fedele continuatore del pensiero di  Karl Rahner (*1904-†1984) ha tracciato un bilancio in positivo della XVI Assemblea generale ordinaria dei vescovi in Vaticano, ma ha esortato soprattutto a guardare avanti, senza nostalgie, al futuro del cristianesimo e a lasciare aperte tante domande su cosa sarà la Chiesa nel corso di questo inizio millennio. L’intervento di Theobald ospitato sulla rivista “Il Regno” è frutto di un ampio colloquio apparso precedentemente sul settimanale francese La Vie ed è realizzato dalla giornalista Marie Lucile Kubacki.

L’orizzonte pastorale si cui si muoverà la Chiesa del futuro, a giudizio di Theobald, non avrà più come punto di partenza il Mediterraneo o il cristianesimo dei primi secoli ma qualcosa di altro, di più “aperto”. «Michel de Certeau(*1925-†1986) –  si legge nell’intervista – invitava a reinventare l’intera tradizione cristiana a partire dalla ricerca di una nuova coerenza ecumenica». « Per dirla in altre parole – rimarca Theobald –, la Tradizione non è stata ricevuta allo stesso modo nel terzo secolo, nell’undicesimo e nel ventesimo. Viene accolta in modo diverso a Medellín, a New York, a Parigi, nel Dipartimento della Creuse». Nel suo contributo il teologo ovviamente ricorda il lascito spesso incompiuto di molti degli insegnamenti lasciati dal Vaticano II ma ricorda anche questa importante verità per ogni credente: «Tutta la Chiesa è realmente presente in ogni Chiesa locale». Ovviamente in questo lungo colloquio intravede le luci ma anche le ombre e le fatiche di questo percorso sinodale indicato da papa Francesco. E non dimentica, nel suo ragionamento, i tanti punti non risolti. A cominciare dal problema della diminuzione delle vocazioni sacerdotali. Soprattutto nel Vecchio Continente. «Siamo ossessionati dalla crisi. Se nelle Chiese d’Europa non si troveranno più disposte a donare tutta la loro vita per l’animazione delle comunità, queste Chiese sono condannate, a medio o a lungo termine. Quindi ricorriamo alle “flebo”. Lo scambio con le altre Chiese, l’invio di sacerdoti stranieri come fidei donum è una bella realtà, ma ha un limite».

Dal suo osservatorio padre Theobald riconosce nell’evento sinodale a Roma un momento di incontro vissuto in modo veramente ecclesiale. «Il metodo utilizzato durante l’attuale Sinodo su una Chiesa sinodale è – l’argomentazione dello studioso – cioè la conversazione nello Spirito, è un metodo notevole per scoprire le nostre reali ricchezze e carismi». Tra i momenti forti vissuti a Roma – secondo Theobald – c’è stata l’«esperienza di ascolto reciproco» attraverso la «conversazione nello Spirito» ma anche il confronto con le aspettative del “parrocchiano medio” su cosa si attende dalla sua “piccola” Chiesa particolare. E a questo proposito ha voluto rievocare un dettaglio singolare da lui vissuto in prima persona: «Nella mia comunità parrocchiale nel comune di Limousin, ho visto quanto, in occasione di eventi dolorosi, la gente si metteva a parlare nella piazza davanti alla chiesa dopo la funzione domenicale. Le maschere e con esse i sospetti reciproci devono cadere. Questi sono processi lunghi e difficili, e dobbiamo darci tempo. Non si può fare in astratto e a colpi di grandi dichiarazioni». Padre Theobald si dice convinto della centralità della figura del vescovo in questo processo sinodale perché il suo «ministero» principale è quello «dell’armonia». Dal suo punto di vista il grande teologo, che di “adozione” è un parigino, si dice convinto che i processi messi in moto e in agenda dal Sinodo sono solo all’inizio della loro maturazione (basti pensare alla discussione sull’ordinazione al diaconato delle donne e dei viri probati, o all’accoglienza delle persone Lgbt). «Si tratta di un processo lungo che né la mia generazione né forse la prossima – è la riflessione finale – vedranno portato a termine. Siamo un punto di svolta, le risposte alle molte domande sono davanti a noi. Dobbiamo imparare a convivere con domande che non hanno ancora trovato soluzioni».

Filippo Rizzi  in “Avvenire ” del 23 dicembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202312/231223rizzi.pdf

STORIA ECCLESIASTICA

Le ‘carte’ di Pio XII, la lettera su Auschwitz e Dachau

Un colloquio con Giovanni Coco autore del libro

‘Le ‘carte’ di Pio XII oltre il mito. Eugenio Pacelli nelle sue carte personali. Cenni storici e inventario’, è il titolo del volume di Giovanni Coco, che contiene un documento inedito sui campi di sterminio: si tratta di una lettera del 14 dicembre 1942, inviata dal gesuita tedesco, p. Lothar Konig al confratello, p. Robert Leiber,

segretario personale di papa Pio XII, che contiene una statistica sui sacerdoti detenuti in campi di concentramento, e menziona i lager di Auschwitz e di Dachau, accennando al tragico destino degli ebrei.

Per approfondire meglio il valore di tale ‘scoperta’ di queste nuove ‘carte’ relative al pontificato di papa Pio XII, abbiamo chiesto a Giovanni Coco, di raccontarci cosa affermano tali carte:

“Queste carte, che ho riordinato nel corso di tre anni, sono quello che rimane dell’archivio personale di papa Pio XII. Questi documenti ci aiutano a comprendere meglio l’uomo e la sua personalità. Su papa Pio XII sono state usate definizioni di ogni tipo: papa degli ebrei e papa contro gli ebrei, oppure il papa di Hitler e il papa contro Hitler: un papa ‘giudicato’ attraverso luoghi comuni. Adesso attraverso i ‘suoi’ documenti, quelli più vicini alla sua persona, possiamo tracciare meglio quale fosse veramente l’uomo, cosa pensasse e la ‘rete’ delle sue conoscenze. In Particolare il vero ‘tesoro’ di queste carte sono le minute dei suoi discorsi. Pio XII era un uomo molto parco nel parlare di sé stesso ma, attraverso le correzioni e le modifiche che apportava al testo dei suoi discorsi, possiamo conoscere il suo pensiero. L’uomo Eugenio Pacelli emerge dall’incrostatura del tempo attraverso i documenti”.

Il ‘silenzio’ di papa Pio XII: ma è verso che c’è stato questo silenzio verso la deportazione degli ebrei?

“Premetto che il cosiddetto ‘silenzio’ fu il frutto una serie cause e non solo di una: ragioni che si ricollegano anche ad un clima storico ed alla diffidenza nei confronti del mondo ebraico.

                Sicuramente ci fu un atteggiamento reticente ma queste carte aiutano a comprenderlo ancora meglio. Tra i documenti recuperati c’è una lettera, datata 14 dicembre 1942, di un gesuita tedesco, p. Lothar König, diretta al segretario personale del papa, p. Robert Leiber, che faceva da tramite con il papa. In questa lettera p. König riferiva sul campo di concentramento di Dachau, dove erano detenuti migliaia di sacerdoti cattolici e allegava alcune statistiche, e inoltre aggiungeva informazioni su altri campi di sterminio come Auschwitz, con la notizia sul numero di ebrei e polacchi quotidianamente uccisi e bruciati negli ‘altiforni’, cioè nei forni crematori.

Questa lettera è quello che rimane di una lunga corrispondenza, come si comprende dal tono e dalle parole usate da p. König. Questa lettera conferma quanto già sapevamo, ovvero che la Santa Sede fosse già informata dello sterminio in corso, ma rivela anche nuovi risvolti. Le informazioni sullo sterminio erano confermate anche dal “ventre del drago”, cioè provenivano anche dall’interno della Germania attraverso i canali della resistenza cattolica, alla quale apparteneva p. König. In Vaticano quindi erano informati anche attraverso fonti che erano ritenute autorevoli per la loro provenienza, sicuramente ritenute attendibili dal segretario personale del papa e, in ultima analisi, dallo stesso Pio XII.

                Il silenzio fu il frutto di una serie di decisioni, non ultima, anche la paura delle conseguenze che un’eventuale parola del papa avrebbe potuto avere sul destino dei cattolici polacchi e tedeschi: il timore di una rappresaglia nazista contro il proprio gregge. Infatti, in quella stessa lettera p. König raccomandava più volte che il Vaticano fosse prudente ed usasse con discrezione quelle informazioni, senza rivelare che esse provenissero dalla Chiesa tedesca, perché una eventuale fuga di notizie avrebbe provocato nuove e più feroci persecuzioni contro i cattolici”.

In realtà quale è stata l’azione di papa Pio XII verso gli ebrei?

“Si è sviluppata soprattutto in campo caritativo e assistenziale, preferendo soccorrere materialmente la popolazione ebraica che si rivolgeva al Vaticano in cerca di un aiuto. Tale soccorso è andato soprattutto agli ebrei convertiti al cattolicesimo ed alle loro famiglie: una scelta che non deve sorprendere per un duplice motivo. È ovvio che vi fu più attenzione verso il ‘proprio gregge’, ma è altrettanto vero che fossero soprattutto gli ebrei convertiti a rivolgersi al papa. Si è trattato in genere di soccorsi materiali, come l’aiuto per l’espatrio, quando possibile; ed in alcuni casi si è provveduto anche ad erogare contributi in denaro per il mantenimento.

Non tutte le domande però furono accolte e, questo è bene dirlo, non per una discriminazione religiosa nei confronti dei non-battezzati. Il processo decisionale se accogliere o meno una richiesta di aiuto rispondeva ad una filiera burocratica. Se il signor Rossi (nome di fantasia) scriveva al papa, dicendo che di essere un ebreo in difficoltà ed aveva bisogno di un contributo in denaro per poter emigrare in un Paese accogliente, si prendevano informazioni sul signor Rossi. Se il signor Rossi risultava essere una brava persona, allora si procedeva ad istituire un contributo; se invece le informazioni non erano buone, il contributo veniva respinto.

Oppure, vi potevano essere richieste per avere i documenti per espatriare: laddove la legge od i Paesi ospitanti lo consentivano, il Vaticano si adoperava per ottenere quelle concessioni; se i richiedenti non rientravano nelle categorie previste, le richieste venivano respinte. Quindi occorre sfatare anche l’idea che tutte le domande provenienti dal mondo ebraico venissero accolte; erano accettate solo quelle che rispondevano a certi criteri. E si può constatare che vi furono richieste di ebrei battezzati che vennero accolte e altre respinte; e lo stesso processo avvenne anche per i non battezzati”.

Simone Baroncia             ACIstampa         21 dicembre 2023

www.acistampa.com/story/24017/le-carte-di-pio-xii-la-lettera-su-auschwitz-e-dachau

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