. News UCIPEM n. 993 –17dicembre 2023

. News UCIPEM n. 993 –17dicembre 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le news sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}. Link diretti e link per pdf -download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono ripresi nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte primaria.

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviate una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.com con richiesta di disconnessione.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza. [Invio a 1.262 connessi].

Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue di erse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

02 C. INTERN. STUDI FAMIGLA       Newsletter CISF – n.46,13  dicembre 2023

03 CHIESE IN EUROPA                       Che cosa pensi del vescovo e della curia?

05 CITTÀ DEL VATICANO                  Comunicato della Sala Stampa circa la riunione del Consiglio di Cardinali

02 DIRITTI UMANI                              Consiglio d’Europa: l’Italia deve abrogare le norme contrarie ai diritti umani.

05 DALLA NAVATA                             III Domenica dell’ avvento – Anno B

05                                                           Una voce che grida nel deserto

18 DONNE NELLA (per la ) CHIESA  Una fede dove la chiamata è di tutti

28 FIGLIARCATO                                 Paolo Crepet “Questo è il tempo del “figliarcato”, non del patriarcato

07 GENITORI                                        ll genitore sociale

PSICOLOGIA                                        Il corpo delle donne

 SEGNI DEI TEMPI:                              Sinodalità e celibato

SEGRETERIA GENERALE SINODO    Verso la XVI assemblea generale ordinaria del sinodo dei Vescovi – ottobre 2024         

SINODO                                                La Chiesa ha parlato e si è fatta ascoltare

                                                               Intersynodal: tempo ecclesiale e compito teologico in cinque punti

                                               Diffuse le linee guida per i lavori verso l’Assemblea 2024

Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia

Newsletter CISF – n. 46, 13 dicembre 2023

  • A fianco del coraggio: la voce dell’uomo caregiver. L’esperienza di cura non è neutrale dal punto di vista del genere: è quanto emerge dalle storie del Premio #afiancodelcoraggio, indetto da Roche per valorizzare le testimonianze di uomini caregiver – mariti, compagni, padri, figli, fratelli, amici – che si prendono cura delle donne con tumore. Giunto alla sua sesta edizione, il Premio ha raccolto in questi anni oltre 300 storie che sono state lette e votate online da più di 17.000 persone. I racconti vincitori sono stati trasformati in cortometraggi: vi proponiamo il trailer di “Soldatini”, il racconto di Luca Locatelli, vincitore dell’ultima edizione [su Youtube – 3 min 35 sec]

                www.youtube.com/watch?v=zqGXKWEw2mo

  • Misurare l’impatto delle politiche familiari. Continua la serie di pillole video di alcuni degli autori del Cisf Family Report 2023, che illustrano la questione “politiche familiari” da differenti prospettive disciplinari e metodologiche. Questa settimana Elisabetta Carrà, professore ordinario di Sociologia della famiglia e dei servizi alla persona all’Università Cattolica di Milano, spiega l’importanza di misurare le ricadute di un provvedimento di welfare sulle famiglie e sui contesti che ne sono destinatari. Uno strumento prezioso per questo obiettivo è il FamILens.COM, elaborato dal team di ricerca dell’Università Cattolica [YouTube – 3 min 25 sec]                                                         ww.youtube.com/watch?v=b2jZpDVfg3g
  • USA: la mappa del costo delle assicurazioni sanitarie. Il costo medio dell’assicurazione sanitaria negli Stati Uniti, per un tipico richiedente di 40 anni è di circa 495 dollari al mese. Tuttavia, l’assicurazione potrebbe costare molto di più (o molto di meno) a seconda dello Stato in cui si vive: il sito Howmuch ha sintetizzato con un’efficace infografica [qui l’approfondimento] i dati nazionali raccolti da ValuePenguin.
https://howmuch.net/articles/average-cost-of-health-insurance-by-state
  • Pubblicata la relazione sul lavoro minorile regolare. È stata pubblicata l’indagine nazionale “Il lavoro regolare minorile tra formazione e sicurezza“, realizzata dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza in collaborazione con Iprs e Censis. Lo studio contiene una ricognizione dei dati esistenti sui minorenni lavoratori e il risultato dell’ascolto dei principali interlocutori in 11 regioni. Dalla relazione emerge la necessità di realizzare una mappatura e un’analisi degli infortuni differenziata per i diversi contesti lavorativi, anche al fine di comprendere meglio i rischi che corrono i minorenni che lavorano saltuariamente (ad esempio in estate) fuori dei circuiti della formazione professionale. Nel 2022 si sono registrate 17.531 denunce per infortuni di minorenni: di queste, 14.867 hanno riguardato studenti. La questione dell’offerta formativa, sottolinea l’Autorità, è inoltre connessa al fenomeno dei Neet, “circa 140 mila minorenni tra i 15 e i 17 anni che non studiando né lavorando rischiano di rimanere esclusi da qualsiasi opportunità di socializzazione, formazione e lavoro e di precipitare in una condizione di esclusione e povertà immateriale”.

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/2023-12/progetto-fase-pubblicazione.pdf

  • Femminismo e figura paterna, una riflessione. Rilanciamo l’approfondita riflessione di Ina Siviglia, docente di Antropologia Teologica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sul tema del femminismo e dei suoi risvolti non solo socio politici ma anche relazionali. “Oggi si assiste a un reale mutamento del modo di pensare finalmente uomini e donne insieme, nel ridisegnare e ridefinire modelli e stili di comportamento più elastici, meno rigidi, ma non necessariamente intercambiabili“, scrive Siviglia.Si tratta di non ricadere nella tentazione di ripetere un copione ormai superato, piuttosto di lasciare uno spazio di creatività nello sperimentare modi nuovi di relazionarsi tra uomini e donne, in tutti gli ambiti, a partire dalla famiglia“. Rispetto a questo, che rimane un cantiere aperto, la docente focalizza due emergenze della nostra contemporaneità: la crisi del maschio e la progressiva eclissi della figura paterna [qui il testo integrale]. 

                www.centroorientamentopastorale.it/organismo/2023/11/29/femminismo-e-figura-

  • Dalle case editrici
  • M. Bettetini, Grandi insieme (Genitori e figli 0-6 anni – 6-12 anni – 12-18 anni), Paoline, Milano, 2022 pp. 112
  • N. Tonelli, Donne di carta, San Paolo, Cinisello B.  (MI), 2023, pp. 192
  • ______________________________________
  • M. Ignatieff, Sulla consolazione. Trovare conforto nei tempi bui, Vita e Pensiero, Milano 2022, pp. 244

Esiste una consolazione possibile rispetto ai drammi personali che ci travolgono? E può, l’uomo, trovare consolazione in un’epoca in cui lo scientismo ha ormai azzerato la fede? Sono le – impegnative, ma anche sfidanti – domande che pone Michael Ignatieff, uno dei più accreditati storici del nostro tempo, regalandoci una straordinaria galleria di ritratti di uomini e donne della storia (da Cicerone a Primo Levi, da Boezio a Dante, da Anna Achmatova ad Albert Camus e molti altri) che ci hanno lasciato immortali parole di consolazione (…). (B. Ve.)

[Leggi qui tutta la recensione]

  • Save the date
  • Incontro (Saronno)15 gennaio 2024 (inizio ore 21). “Tutti i colori che ho. Lo sviluppo dell’identità sessuale tra ideologia e scienza” nell’ambito del ciclo «Si può fare! Educare tra sfide e opportunità» proposto da RadiOrizzontiINBLU e dagli oratori della città [qui il programma]

www.chiesadimilano.it/eventi/saronno-lo-sviluppo-dellidentita-sessuale-tra-ideologia-e-scienza

  • Evento (Int/Web) – 18 gennaio 2024 (16.30-17.30 EST). “The Intersection of AI and Health Care” a cura dell’Hastings Center [qui per info e iscrizioni]

www.thehastingscenter.org/hastings-center-event/66898

  • Conferenza (Francia/Web)31 gennaio 2024 (17.30-19). “Éduquer en Anthropocène” a cura dell’Institut Catholique de Paris, videoconferenza [qui per info e iscrizioni]

www.icp.fr/a-propos-de-licp/agenda/eduquer-en-anthropocene

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=oyt49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vuv_NCLM

CHIESA IN EUROPA

Che cosa pensi del vescovo e della curia?

In Francia è stata estesa anche alle diocesi, vescovi e loro collaboratori, l’istituzione della “visita” da parte di “visitatori” esterni. E se si facesse anche da noi?

                La notizia si trova sul giornale cattolico francese La Croix del 12 dicembre. La notizia è questa: “Tre visitatori – un vescovo emerito e due o laici o religiosi – passeranno diversi giorni nella diocesi e incontreranno i collaboratori del vescovo e i responsabili maggiori della vita diocesana. Al termine della visita, un rapporto sarà indirizzato dai tre visitatori al vescovo, il quale potrà condividerlo con i propri collaboratori”.

Tre visitatori “esterni” raccolgono informazioni sul vescovo e i suoi collaboratori

Si introduce, dunque, anche per i vescovi, la figura del “visitatore” che è già in atto presso le comunità religiose. La cosa è stata decisa dai vescovi stessi, i vescovi francesi, naturalmente.

                   Mons. Dominique Lebrun*1957, vescovo di Rouen, ha già chiesto e ottenuta, la “visita”. I vescovi di Arras e di Limoges si sono prenotati. Si fa notare che queste “visite” devono avere scadenze certe – i religiosi le hanno ogni tre anni – per evitare che appaiano eccezionali e anormali.

Da ricordare anche che queste eventuali “visite” non sostituiscono la “visita apostolica” che il papa può decidere sempre. Ma questa, di solito, riguarda casi gravi di crisi e non la normale gestione della diocesi.

                La Chiesa, in Francia, a molti di noi sembra sul punto di morire. Ma, è naturale, chi sta soffocando cerca nuovi modi per respirare. Così la Francia, che sta peggio, può suggerire qualche idea utile a chi sta meno peggio. E quindi anche a noi che stiamo al di qua delle Alpi.

Non la Chiesa in generale, ma le persone di Chiesa. In effetti, pare proprio una buona idea. La figura del vescovo è, da sempre, “super partes”. Il vescovo, se lo ritiene necessario, interviene su preti e laici, ma non è giudicato né da preti né da laici. Ora, è noto che la mancanza di un canale che raccolga osservazioni, lamentele, proposte e quant’altro nei riguardi di vescovo, curia e dintorni fa nascere una valanga di voci di ogni tipo. Spesso gli ambienti ecclesiastici danno l’impressione di un tribunale in seduta permanente.

                Per la verità va notato che l’istituzione francese non è per nulla concepita come un tribunale. I tre “visitatori” non giudicano e soprattutto non godono di nessun potere sui vescovi locali. Hanno soltanto il compito di aiutare gli stessi vescovi, raccogliendo voci e informazioni, elaborandole e proponendole ai diretti interessati. Sono deboli perché non decidono nulla. Sono forti perché “esterni”: non sono portavoce del vescovo, ma una voce con cui il vescovo stesso si può confrontare.  E sono forti anche perché sono pochi: con tre persone è possibile che tutti dicano con meno remore se un personaggio di curia è troppo assente, se un altro è troppo intrallazzone, se il vescovo stesso è abile in certe competenze e debole in altre. Soprattutto si parlerebbe non della Chiesa in generale, ma delle persone che la gestiscono, quella Chiesa e quelle persone.

                Dare voce al popolo di Dio non per nuove strutture della Chiesa, ma per le persone che devono far funzionare quelle che ci sono. Per lo stesso motivo un compito simile non potrà mai essere delegato a istituzioni comunitarie come il Consiglio Pastorale diocesano o il Consiglio Presbiterale diocesano. Troppa gente coinvolta, troppo difficile esprimersi con una buona dose di onesta chiarezza.

                Resterebbe, ovviamente, da decidere chi contattare. Certamente gli stessi organismi centrali della diocesi. E poi si potrebbe allargare ai singoli membri del Consiglio Presbiterale e Pastorale… Ai responsabili delle strutture locali… A dirigenti di associazioni laicali… Non sarebbe fuori posto, anche, che i visitatori scelgano alcuni al di fuori degli schemi: decidono di contattare quelli che vogliono.

                Anche se, ultima e più strampalata idea, in attesa che anche in Italia si decida qualcosa, si potrebbe intanto chiedere ai consigli diocesi di eleggere loro i “visitatori” e provare a vedere l’effetto che fa. Chissà.

Proviamo a immaginare. Un vescovo scrive…Magari un giorno il vescovo di una qualche diocesi italiana si mette al tavolo e scrive. “Cari consiglieri del Presbiterale e del Pastorale, prendendo spunto da una decisione dei vescovi francesi, ho deciso di istituire nella nostra diocesi una ristretta commissione di ‘visitatori’ di tre membri (un sacerdote, un religioso, una religiosa) che raccolga, in tutta libertà, osservazioni di ogni tipo sui responsabili della diocesi sul vescovo, sulla curia stessa, sul seminario e su eventuali altre istituzioni. Chiedo a voi di procedere a una elezione in seduta congiunta. Sarà mia cura comunicare un elenco delle istituzioni interessate una volta istituita la commissione. Resto in attesa di una vostra decisione in proposito. Con affetto”.

                Solo idea strampalata? Forse Non è proibito sognare l’impossibile soprattutto quando il possibile, in un modo o nell’altro, delude. E poi, ovvio, è un’idea strampalata che poteva venire solo dalla Francia.

Solo in Francia? Solo un’idea? E solo strampalata?

Alberto Carrara                 La barca e il mare                             16 dicembre 2023

CITTÀ DEL VATICANO

Comunicato della Sala Stampa circa la riunione del Consiglio di Cardinali

Il 4 e 5 dicembre a Casa Santa Marta si è tenuta la sessione del Consiglio di Cardinali. Erano presenti, insieme con il Santo Padre, tutti i Cardinali che ne sono parte e il Segretario del Consiglio.

Al centro della riflessione, in questa occasione, è stato il tema del ruolo femminile nella Chiesa. La conversazione è stata alimentata dagli interventi di Sr. Linda Pocher, Figlia di Maria Ausiliatrice, docente di Cristologia e Mariologia alla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium di Roma; di Lucia Vantini, che insegna Teologia fondamentale, Filosofia della religione e Filosofia della conoscenza all’Istituto di Scienze Religiose di Verona, Antropologia filosofica e teologica allo Studio San Zeno di Verona e Filosofia del dialogo all’Istituto di Studi Ecumenici San Bernardino di Venezia; e di Luca Castiglioni, presbitero della diocesi di Milano e docente di Teologia fondamentale presso il Seminario di Milano.

Il Consiglio ha convenuto circa la necessità di porsi in ascolto, anche e soprattutto nelle singole comunità cristiane, del tratto femminile della Chiesa, perché i processi di riflessione e di decisione possano godere del contributo insostituibile delle donne.

È stata esaminata l’attuale situazione sociale, politica ed ecclesiale nelle diverse regioni di provenienza delega a pastore e pastori. Oggi, il principio proteso dei membri del Consiglio, con particolare riguardo al conflitto in corso in Ucraina e alla grave situazione in Terra Santa, nonché ai lavori della Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop28) in corso a Dubai.

Comunicato Della Sala stampa della Santa Sed                    6 dicembre 20223

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/12/06/0859/01876.html

DALLA NAVATA

III Domenica dell’ Avvento – Anno B

Isaia                                      61, 20. Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli.

Salmo Luca                         01, 49. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione  in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono.

Paolo 1 Tessalonicesi   05,19 Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete

                                               ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male.

Giovanni                              01, 26.In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, , colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».

Una voce che grida nel deserto  

«Tu chi sei?». Questa è la domanda che alcuni sacerdoti e leviti rivolgono a Giovanni Battista. Il loro problema è quello di poter catalogare quest’uomo, di poter inquadrare il suo operato, di poterlo definire. Non stanno criticando la sua predicazione e nemmeno la pratica del battesimo, ovvero del segno visibile del desiderio di conversione e purificazione dei peccati che Giovanni offre a tutti coloro che si recano da lui. Il problema quindi non è in ciò che fa, o nel perché lo fa, ma è in chi lo fa.

                Giovanni infatti nega di essere il Messia (in greco Christos), di essere Elia, il profeta che secondo la tradizione sarebbe ritornato per annunciare l’arrivo del Messia, nega anche di essere «il profeta», figura questa non meglio identificata. E il punto è proprio questo: se Giovanni non corrisponde a nessuna di queste figure, perché battezza?

Giovanni risponde in modo articolato, in due momenti. Non è un profeta, ma la risposta riguardo a sé stesso è tratta dalla profezia, dato che cita il profeta Isaia: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia».

La seconda risposta non riguarda tanto il battesimo che sta operando, quanto il fatto che colui che costoro cercano è già in mezzo a loro: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». E in questa risposta l’unica informazione che viene fornita è quella dell’inferiorità di Giovanni rispetto a questo «sconosciuto».

C’è però un dettaglio di questa scena che può farci riflettere e che è dato dal «luogo»: Betània. Questa Betània, da non confondere con l’altra, a noi più nota, dove abitavano Lazzaro, Marta e Maria, è situata sulla riva orientale del Giordano, vicino al Mar Morto. Nel 1996 vi furono scoperte, oltre a dei resti del I secolo, due chiese del V secolo: una dedicata a Elia e l’altra a Giovanni il Battista.

Ecco quindi un primo legame: Giovanni battezzava nello stesso luogo dove Elia era salito al cielo (2Re 2) e dove, secondo la tradizione rabbinica, già viva all’epoca di Gesù, se ne attendeva il ritorno. È comprensibile, dunque, che gli venga chiesto «Sei tu Elia?», ma la risposta è negativa.

Allora, «Sei tu il profeta?». Attenzione, il testo non dice «un» profeta, ma «il» profeta: di chi si sta parlando? Da Betània, se si alza lo sguardo verso est si vede nitidamente il monte Nebo, dove Mosè è morto. E nel Deuteronomio proprio Mosè, congedandosi, affida al popolo questa promessa: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto» (Dt 18,15). Ma Giovanni dice di non essere nemmeno il profeta annunciato da Mosè.

Giovanni è semplicemente «una voce» che invita a «rendere dritta la via del Signore», cioè ad aprire il cuore e la mente per riconoscere e accogliere «Colui che viene».

Rimane però il problema: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». In realtà il Battista non risponde direttamente a questa domanda, cioè non dice perché lo fa, ma rimanda a una presenza che è già in mezzo a loro: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me». In un certo senso ci deve essere un «prima» perché possa esserci anche un «dopo» e soprattutto perché quel «dopo» possa essere «ri-conosciuto».

Giovanni prepara la strada, invita alla conversione, offre la possibilità di esprimere il desiderio di essere rinnovati, purificati a partire dalla confessione dei propri errori, e tutto questo è l’unico modo possibile per aprirsi alla «novità» di ciò che non si conosce, per scoprire che tale novità è già «in mezzo» a noi

È un messaggio forte, questo, e per niente scontato: per conoscere il «nuovo» di Dio bisogna essere disposti a mettersi in discussione, a scrollarsi di dosso le incrostazioni di tutto ciò che pian piano sono diventati schemi mentali, paradigmi imprescindibili, definizioni statutarie, auto-giustificazioni di un modus agendi. E a suggerire tutto questo è un «qualcuno» che semplicemente «non è», non è Elia, non è il profeta, non è il Messia, e che soprattutto ha ben chiara una cosa: «A lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».

Giovanni non ha nessun potere, nessun ruolo, nemmeno quello di un «servo» a cui spetta sciogliere il laccio dei sandali del suo padrone. Forse è proprio per questo che il Signore lo ha reso capace di essere quella «voce che grida nel deserto».

Ester Abbattista, Biblista

DONNE NELLA (per la ) CHIESA

Una fede dove la chiamata è di tutti

Nel vocabolario della tradizione cristiana a cui appartengo — sono una pastora battista — non vi è accenno alla figura del “laico”. Il sacerdozio universale dei credenti che parla della Chiesa come una comunità di uguali, ci sollecita ad andare oltre la distinzione tra clero e laicato. Distinzione sorta in un secondo tempo rispetto alla Chiesa delle origini e che ha mosso la Riforma protestante del XVI secolo nel tentativo di ritornare alle radici di una fede dove la chiamata è di tutti. Anche la recente riflessionecattolica, che pure si muove entro un diverso orizzonte ecclesiologico, preferisce fare riferimento a battezzati e battezzate, qualificati solo in un secondo momento in base a una differenza ministeriale.

Al di là delle specificità confessionali, rimane per tutte le Chiese la questione di come essere luoghi credibili di testimonianza evangelica innescando processi virtuosi di partecipazione nel dare forma alla Chiesa di Gesù. Come far fronte ai meccanismi di delega che affliggono l’Occidente contemporaneo e che si ripercuotono anche nelle nostre Chiese? Poiché anche nelle Chiese della Riforma, a struttura sinodale, per le quali è costitutivo il coinvolgimento della comunità nel suo insieme, prende corpo la delega a pastore e pastori. Oggi, il principio protestante del semper reformanda, ovvero di una realtà ecclesiale che non può mai dirsi conclusa, in perenne trasformazione, è posto alla prova della società individualista a bassa partecipazione comunitaria.

In un simile contesto il ruolo dei cosiddetti laici assomiglia a quello degli spettatori, che non si accontentano di assistere a un unico spettacolo e vivono appartenenze parziali con tanto di nomadismo religioso. La disaffezione a sentirsi parte di un’esperienza ecclesiale ha cause molteplici, diverse nelle differenti confessioni cristiane. Ma, al di là delle specificità, la sfida comune consiste nel contrastare questa tendenza. E non tanto per paura di estinguersi, piuttosto perché una comunità di fede può davvero offrire una seria alternativa alla solitudine e all’individualismo contemporaneo. Il dialogo ecumenico, che prova a riconciliare le memorie, ci aiuta anche a volgere lo sguardo al presente, diventando terreno di confronto sulle sfide comuni.

Tre direttrici muovono le scelte nella mia Chiesa a questo riguardo:

1. Un maggior protagonismo delle donne, che si è tradotto nel pastorato femminile e ha innescato processi di consapevolezza e di ripensamento del maschile, del suo linguaggio e delle connotazioni patriarcali ancora presenti, che allontanano le donne e rendono la Chiesa meno credibile. Le donne protagoniste nelle Chiese della Riforma hanno riportato al centro della fede il corpo, con i suoi bisogni e la sua sapienza e ridato dignità al quotidiano riscoprendolo come luogo dove Dio si radica.

2. Le Chiese, dove uomini e donne vivono attivamente la propria chiamata, riscoprono la centralità delle relazioni per trasformare la dimora di Dio in un luogo ospitale, dove chiunque possa sentirsi “a casa”.

3. Il protagonismo concreto di soggetti differenti nella vita della Chiesa (uomini e donne, anziani e giovani, bambine e ragazzi) innesca una creatività vitale a tutti i livelli: liturgico, missionario, fino alle modalità della gestione ordinaria delle comunità. Una creatività non improvvisata, frutto di una lettura attenta del presente, discussa a tutto campo nelle Chiese; ma poi osata, a dispetto delle molte remore, proprie di ogni forma tradizionale e di ogni assetto istituzionale.

La posta in gioco non è solo ecclesiale, è teologica. Consiste nel fare i conti con un Dio che fa nuova ogni cosa (Isaia 43,19).

   Lidia Maggi                            “Vita Pastorale”                dicembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202312/231213maggi.pdf

DIRITTI UMANI

Consiglio d’Europa: l’Italia deve abrogare le norme contrarie ai diritti umani.

Il Parlamento è inerte rispetto alle richieste della Corte costituzionale

Diritti dei migranti, delle donne, dei bambini nati da maternità surrogata, dei giornalisti. Ambiti nei quali l’Italia arranca e non rispetta gli obblighi internazionali in materia di diritti umani. È quanto ha evidenziato la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic nel rapporto presentato il 14 dicembre (CommHR(2023)37, Country Report), a seguito della visita in Italia svoltasi a giugno 2023. È vero – scrive la Commissaria – che in materia di immigrazione c’è una responsabilità condivisa con gli altri Paesi, ma l’Italia deve fare di più non solo nell’attività di ricerca e soccorso, ma anche nell’accoglienza e, soprattutto, deve abrogare le norme che ostacolano le operazioni di salvataggio compiute dalle organizzazioni non governative. Allarme per le attività di cooperazione con la Libia che permettono il ritorno dei migranti in un Paese nel quale è stata accertata, da diversi organismi internazionali, la continua e grave violazione dei diritti umani, in particolare nei confronti dei migranti.

Non supera il vaglio della Commissaria neanche il Protocollo con l’Albania che – si osserva nel rapporto – non offre “adeguate garanzie per i diritti umani”. Preoccupa soprattutto l’introduzione di un regime extraterritoriale ad hoc per le procedure di asilo “caratterizzato da molte ambiguità giuridiche”, così come una forma di detenzione extraterritoriale che mette a rischio il rispetto dei diritti fondamentali.

                Ma non è solo la questione dei migranti a destare allarme. La violenza contro le donne continua ad essere troppo diffusa ed è così necessario un intervento che rafforzi i servizi di supporto alle vittime di violenza di genere. Vanno poi combattuti gli stereotipi ancora radicati nella società italiana e i casi di vittimizzazione secondaria, con le donne vittime anche nelle aule di giustizia. DI qui la richiesta di un rafforzamento della formazione degli operatori del diritto.

Sul fronte familiare, la Commissaria ha stigmatizzato l’adozione, a gennaio 2023, di una direttiva che sostanzialmente chiede agli uffici anagrafe di non trascrivere gli atti di nascita di bambini nati attraverso la maternità surrogata all’estero, con la registrazione del solo genitore biologico e il ricorso, eventualmente, per il genitore d’intenzione, all’adozione in casi particolari (Circolare DAIT).

Una seconda circolare – si osserva nel rapporto– ha precisato l’applicazione di quelle indicazioni anche nel caso di bambini nati all’estero attraverso tecniche di procreazione medicalmente assistita seguita da coppie dello stesso sesso (seconda circolare). Malgrado l’intervento, nel 2021, della Corte costituzionale che ha evidenziato il limite del ricorso all’adozione in casi particolari, che non realizza l’interesse superiore del minore, il Parlamento è stato inerte ed è anzi in discussione l’introduzione del reato universale nei casi di ricorso alla maternità surrogata.

                Altro settore che preoccupa è la tutela della libertà di stampa, con l’Italia che continua a non rispettare gli obblighi stabiliti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e con il Parlamento che non ha dato seguito alla sentenza della Corte costituzionale italiana sulle modifiche alla normativa in materia di diffamazione con particolare riguardo alla misura sanzionatoria del carcere. Ma non è solo la misura del carcere a preoccupare perché le azioni civili avviate contro i giornalisti sono troppe e risultano nella maggior parte dei casi infondate. Un evidente utilizzo delle querele bavaglio che richiede un intervento del legislatore per combattere le slapp.

                L’Italia resta, poi, uno dei pochi Paesi al mondo a non avere un’istituzione nazionale indipendente per i diritti umani, in linea con i Principi di Parigi: malgrado le numerose promesse, i disegni di legge non sono mai andati oltre la discussione all’interno delle commissioni parlamentari.

Prof. Marina Castellaneta –  Università di Bari

www.marinacastellaneta.it/blog/consiglio-deuropa-litalia-deve-abrogare-le-norme-contrarie-ai-diritti-umani-il-parlamento-e-inerte-rispetto-alle-richieste-della-corte-costituzionale.html

GENITORI

IL genitore sociale

Evoluzioni giurisprudenziali, tutela del minore, diritti e doveri del genitore sociale

                Chi è il genitore sociale. Il genitore sociale è il coniuge o il partner del genitore biologico di un minore ossia chi pur non avendo legami biologici, intrattiene una vita di relazione o una vita familiare con i figli del nuovo partner.

                La figura del genitore sociale, non è regolamentata dal nostro ordinamento giuridico. Non esiste alcuna legge che preveda in capo al genitore sociale la responsabilità genitoriale nei confronti dei figli del proprio coniuge o del proprio partner.

Diritti e doveri del genitore sociale. Il genitore sociale non è tenuto al mantenimento dei figli del partner né ha alcun diritto di assumere le decisioni più importanti attinenti ai minori (salute, educazione, istruzione).

Al genitore sociale non si estende l’obbligo di mantenimento neanche nell’ipotesi in cui la nuova coppia decida di sposarsi.

La legge, non include neppure il genitore sociale tra le persone tenute a corrispondere gli alimenti ai familiari che versano in stato di bisogno. Ai sensi dell’articolo 433 del Codice civile,

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-xiii/art433.html

 i soggetti obbligati a prestare assistenza sono infatti:

  • il coniuge;
  • i figli anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi;
  • i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi;
  • gli adottanti;
  • i generi e le nuore;
  • il suocero e la suocera;
  • i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.

Ci si chiede se il genitore sociale possa richiedere di adottare il figlio del partner nell’ambito di quelle che sono definite come “adozioni in casi particolari”. L’adozione in casi particolari, può avvenire solo a determinate condizioni:

  • il genitore adottante deve avere almeno 18 anni in più rispetto all’adottando;
  • l’adottando, se ha compiuto 14 anni, deve prestare assenso all’adozione. Se, invece, si tratta di un bambino di 12 anni o di un’età inferiore, deve essere sentito in base alla sua capacità di discernimento;
  • il genitore biologico deve dare il proprio assenso all’adozione. In caso di opposizione ingiustificata o contraria all’interesse dell’adottando da parte del genitore biologico, si procede comunque all’adozione.

La giurisprudenza sul genitore sociale. Dal 2016 ad oggi, sia i tribunali sia la Corte Costituzionale hanno dato un sempre maggiore riconoscimento alla figura del genitore sociale non tanto a tutela di quest’ultimo ma del minore il quale può avere costituito un legame affettivo solido con il nuovo compagno/a della madre o del padre. Ne consegue che tale legame va tutelato al pari di quello creato con un genitore o un ascendente biologico.

In particolare, nella sentenza n. 225/2016, la Corte Costituzionale

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2016&numero=225

ha evidenziato l’interesse del minore di conservare rapporti significativi anche con persone diverse dai genitori, con le quali egli ha intrattenuto rapporti affettivi significativi. Nel caso specifico, si trattava dell’ex compagna della madre biologica del bambino.

Anche nell’ordinanza della Corte d’Appello di Trento del 23 febbraio 2017, è stata affermata la genitorialità di un minore sia al padre biologico del bambino sia al suo compagno di vita, consentendo quindi l’iscrizione di entrambi i papà sul certificato di nascita.

La succitata Sentenza della Corte Cost. 225/2016 ha sancito che è infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 337 ter c.c., nella parte in cui non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico, in riferimento agli art. 2, 3, 30, 31 e, in relazione all’art. 8 Cedu, 117, comma 1, cost. (in motivazione, la corte specifica che l’interesse del minore alla conservazione di un rapporto significativo con soggetti che non siano parenti trova tutela nella facoltà riconosciuta al giudice, dall’art. 333 c.c., di adottare i provvedimenti convenienti nel caso concreto, e ciò sul ricorso del pubblico ministero, anche su sollecitazione dell’adulto, non parente, coinvolto nel rapporto in questione). La questione deve essere necessariamente affrontata coordinando le disposizioni di cui agli articoli 332 e 337 ter cc.

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-ix/capo-i/art332.html

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-ix/capo-ii/art337ter.html?utm_source=internal&utm_medium=link&utm_campaign=articolo&utm_content=nav_art_succ_top

Il comportamento del genitore che impedisce al proprio figlio di continuare a intrattenere rapporti con il partner o l’ex partner (con il quale il minore aveva costruito un rapporto significativo) può essere considerato come “comportamento pregiudizievole” ai danni del minore stesso. Non essendo prevista un’azione diretta del genitore sociale, al fine di far valere in giudizio i propri diritti e quelli del minore, non vi è, allo stato, altra soluzione se non quella di segnalare il comportamento pregiudizievole al PM al fine di sollecitare l’apertura di ufficio di un procedimento presso il tribunale per i minorenni finalizzato alla richiesta di provvedimenti a tutela del minore.

                Del resto, l’art. 337 ter c.c. deve essere interpretato – alla luce del superiore interesse del minore e delle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – in modo da ricomprendere, tra i soggetti con cui il minore deve intrattenere un rapporto a seguito della crisi del nucleo familiare, anche l’ex convivente del genitore biologico, laddove vi sia tra quest’ultimo e i minori coinvolti un rapporto significativo e duraturo.

Privare i minori di un siffatto rapporto produrrebbe sui bambini «effetti gravemente pregiudizievoli e nefasti sulla loro continuità affettiva e narrativa, con profonde ripercussioni sulla evoluzione della loro identità psichica».

La salvaguardia del legame con il genitore sociale. Il legame con il genitore sociale è da preservare. Accertata l’esistenza di una famiglia di fatto e di un permanente rapporto affettivo significativo tra la ricorrente e i due bambini, va assolutamente preservato, in funzione del preminente interesse dei minori, il solido rapporto sussistente tra i medesimi e la persona che, sin dalla loro nascita, ha svolto il ruolo sostanziale di genitore, il c.d. genitore sociale. Deve essere salvaguardato il superiore interesse del minore e valorizzato il rapporto che negli anni si è instaurato con la ricorrente. Indipendentemente dall’assetto normativo attuale e dalle categorie giuridiche, il genitore sociale viene percepito dai minori come una figura significativa appartenente al loro sistema familiare alla stregua di una seconda madre.

Riconoscere ai due minori i diritti che derivano dal loro rapporto con il genitore sociale e prevedere tempi e modalità di frequentazione tra gli stessi assicura il rispetto del supremo interesse dei minori. Tale principio, sancito a livello europeo ed internazionale dapprima nella Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo del 1959 e di recente nella Carta di Nizza all’art. 24, viene tutelato in forza dell’interpretazione resa dalla Corte di Strasburgo in merito all’art. 8 CEDU, secondo cui il rispetto della vita privata e familiare contempla anche il diritto dei genitori e dei figli nonché di altri soggetti uniti da relazioni familiari di fatto a mantenere stabili relazioni, soprattutto in caso di crisi della coppia, assicurando prevalenza al superiore interesse dei minori anche a rischio di pregiudicare il diritto di uno dei genitori.

Non è più rilevante la discendenza genetica per determinare l’attribuzione al minore del diritto di mantenere stabili relazioni con chi ha per tempo rivestito il ruolo sostanziale di genitore pur non essendo legato da rapporti genetici o adottivi con il minore. Quando il rapporto instauratosi tra il minore ed il genitore sociale è tale da fondare l’identità personale e familiare del bambino stesso, tale rapporto deve essere salvaguardato alla stregua di quello tra i figli nei confronti dei genitori biologici. Conseguentemente, alla luce di un’interpretazione convenzionalmente orientata dell’art. 337 ter c.c., sarà il Tribunale a disciplinare tempi e modalità di frequentazione tra i bambini e la madre sociale.

Avv. Prof. Matteo Santini              studio Cataldi                                    4 dicembre 2023

www.studiocataldi.it/articoli/46276-il-genitore-sociale.asp

PSICOLOGIA

Il corpo delle donne

Che bel maschiotto!” “Che carina, è una femminuccia!”. Comincia così lo sguardo sui corpi, e lo sguardo sul corpo delle donne è da subito meno entusiasta. “Si, è una femminuccia, ma suo padre la ha tanto desiderata, il maschio ce l’avevano già…”. “Ehi, ancora una femmina? Vabbè, datevi da fare, il prossimo sarà certo un bel maschietto!”. “Poveretto, ha tre femmine in casa, la moglie e due figlie, da mettersi le mani nei capelli” Non importa se siamo al nord o al sud, in una famiglia acculturata o in una molto semplice, il corpo appena nato di un maschio viene celebrato in media molto di più dell’arrivo di una bambina.

Questa bambina crescerà, e ancora oggi le si prepareranno corredini rosa e giochini (al diminutivo) da femmina, l’abbigliamento scelto per lei sarà in media meno pratico e comodo e più decorato, e lo stesso le scarpe e gli accessori. Molto presto ai suoi capelli verranno dedicate cure lunghe e faticose, e le verrà insegnato precocemente e a muoversi con meno energia e minore velocità, verrà privilegiata la motricità fine e il controllo del corpo a spese di un coinvolgimento più globale, e gli sport a cui verrà avvicinata saranno per la maggior quota quelli individuali o che privilegiano la coordinazione in luogo della squadra e della competizione. Appena venuto alla luce, e per tutta l’infanzia, prosegue questo lavoro minuzioso che rende il corpo delle bambine il più possibile conforme agli stereotipi di genere. Lo sguardo che le osserva e le conforma, giorno dopo giorno, è quello delle figure materne, che però avranno fatto proprio lo sguardo maschile che avevano a suo tempo percepito su di sé. E poi ci penserà il contesto a rinforzare gli stereotipi del femminile, perché colei che risulterà adeguata verrà premiata col consenso e l’approvazione, mentre colei che non risulterà conforme sarà fatta oggetto di critiche, di stigma, rifiuto e riprovazione sociale

Genderizzazione. È da questa prospettiva che vengono formattati i corpi delle bambine. Che immagine dovranno avere, come dovranno diventare, con quali modalità dovranno presentare il loro corpo per attrare lo sguardo maschile ed essere apprezzate e approvate? Corpo, appunto, corpo in primo piano, un corpo troppo spesso adultizzato e “lolitizzato”, un corpo che presto deve imparare ad ammiccare, a compiacere, a piacere.

Corpi, non persone. Corpi che devono essere docili, non troppo forti, non troppo spontanei, non troppo originali, corpi “conformi” fin da bambine. Il merchandising [caratterizzare e rendere più attraente] fa da padrone: dalla piastra per lisciare i capelli (già a sette anni), ai fermagli, dai glitter alle calze, dai trucchi per bambine all’impero del fuxia. E la profezia avvera se stessa, perché la ridondanza di questo messaggio di genderizzazione al femminile è tale da far apparire come “naturale”, come “innata” la preferenza che le bambine fin da piccoline sembrano mostrare per una tale immagine di sé, mentre la presunta spontaneità di queste opzioni è il frutto diretto di un condizionamento che passa da tutti i media e tutto il web, da tutti i rotocalchi, dalle vertine e dall’imitazione sociale, con un livello di pressione tale per cui chi non si integra appare subito un tantino strana, sospetta.

Già a cinque anni di vita il processo di genderizzazione sarà arrivato al suo scopo: cancellare le preferenze e le scelte spontanee della maggior parte delle bambine, per inquadrarle nella cornice dello stereotipo. Perché poi la seconda campagna di condizionamento riguarderà i cervelli, decretando la predilezione per le materie “dure” da parte dei maschietti (matematica, scienze, tecnologia…) mentre per le materie umanistiche le “naturali” attitudini femminili sembreranno certamente più adatte. Senza parlare del fatto innegabile per cui le prime apriranno carriere, retribuzioni e prestigio di ben altra portata rispetto alle seconde. Allo stesso livello, anzi, allo stesso dislivello, incrociamo lo snodo della libertà di espressione concessa ai corpi delle ragazzine: meno azione e meno esplorazione libera del mondo circostante vuol dire sviluppare meno fiducia nel proprio corpo e in sé stesse. Permettersi meno sfide e venite indirizzate verso profili di esperienza meno competitivi comporta che si sviluppi un sentimento di autoefficacia più fragile e instabile. La conseguenza non sarà solo nei corpi, percepiti come meno robusti e più vulnerabili, ma si manifesterà con una maggiore dipendenza dalla approvazione e dal sostegno altrui, in particolare da quello maschile, ancora meglio se è rivestito di autorità.

Da qui comincia la difficoltà che avranno più tardi le ragazze e le donne adulte, poco propense a vedere in altre donne, a cui viene attribuita la stessa fragilità che viene riconosciuta a sé stesse, l’appoggio e l’esempio di cui avranno bisogno.

                Corpi a disposizione. E ora, con la pubertà, siamo al terzo livello del controllo sui corpi delle donne. L’emergere della maturazione sessuale e delle evidenti pulsioni che ne conseguono, registra socialmente uno dei gender gap più profondi. Riconoscere la forza (questa sì, naturale, se ancora questa parola ha un senso) degli istinti e dei bisogni di espressione della sessualità femminile è una conquista degli anni ’70. Una conquista purtroppo ancora di nicchia, riservata alle donne mediamente colte ed emancipate dell’occidente industrializzato.

Gli stessi nomi con cui vengono designati i genitali femminili contengono una forte svalutazione, mentre i vocaboli utilizzati per i corrispondenti organi maschili richiamano significati di forza, di potenza, di valore. Lo stesso ciclo mestruale, con la mestruazione segno della fertilità e della vitalità del corpo delle donne, è da millenni ricoperto di vergogna e di segreto, se non di superstizioni magiche negative. Ne è negata, spesso anche dalle donne stesse, la componente di disagio e dolore, mentre viene enfatizzata la capacità di gestire il mestruo come se non ci fosse, come se dovesse essere ancora nascosto, eliminata ogni traccia, come gli assassini cercano di fare per i delitti di sangue.

Qui comincia la quarta azione sul corpo delle donne, quella di appropriazione della loro persona al livello del piacere, della fertilità e della gestione della propria libertà personale. La contraccezione è storicamente, e tutt’ora lo è, un problema delle donne, che sono indotte a conteggi tanto incerti quanto complessi, ad assumere ormoni, a fronteggiare gravidanze indesiderate per lo più da sole e in condizioni emotive di ansia e di colpa. Il piacere sessuale femminile è ancora un illustre sconosciuto per molti partner maschili, come lo è la delicata e complessa anatomia dei genitali femminili, la risposta del corpo delle donne all’eccitazione e al desiderio sessuale, che la gran parte dei machi ha “studiato” attraverso la pornografia, acquisendo una immagine completamente distorta della sessualità, come un fenomeno meccanico e prestazionale, certo per le proprie partner, ma anche per sé stessi.

Se il corpo delle donne è mero corpo, se non è più la carne viva e animata in cui si riconosce una persona, allora lo sguardo maschile, il controllo maschile, lo reifica, lo trasforma in un oggetto da possedere, da esibire, da controllare, da utilizzare, da far obbedire, da costringere a compiacere chi su di esso detiene il potere e la norma, a compiacere chi, se il comando viene violato, somministra la sanzione.

“Sii bella e stai zitta”, scriveva Michela Marzano (Mondadori, 2010) e semplicemente “Stai zitta”, scriveva Michela Murgia (Einaudi, 2021), perché lo sguardo dei “figli sani del patriarcato” che ti azzera la parola è quello che ti approva e ti disapprova, quello che ti umilia e ti offende, ti motteggia per strada, ti insegue e ti bracca come il cacciatore con la preda, ti controlla, ti limita, ti picchia, ti violenta, ti perseguita e poi, mentre giura di amarti, anche ti uccide. Zitta, sei un corpo, non sei un corpo-parola (“Il corpo-parola delle donne: i legami nascosti tra il corpo e gli affetti, di Anna Salvo e Gabriella Buzzati, Raffaello Cortina, 1998), e se non mi obbedisci ti anniento.

Ti avevo già annientato come corpo sociale, imponendoti fin da bambina standard di bellezza innaturali e insalubri, negando nel tuo corpo i segni della tua storia, i segni del tempo, dividendoti e mettendoti in competizione per questo con le tue pari, selezionandoti come una razza di animale domestico, da lavoro o da compagnia a seconda dei casi, lasciando addosso al tuo corpo tutto il peso delle gravidanze, dei parti, della cura della prole e della casa, salvo poi dirti che sei ormai ridotta male, sei una cosa inguardabile, quindi zitta se cerco carne di femmina più giovane e compiacente, ne troverò di certo, sono prede come te, le altre… E se prima eri una bomba sexy, un pasticcino, una miniatura, una bella gnocca, ora sei una balena, una buzzicona, un manico di scopa, e se non mi obbedisci, vedrai, sarai un vuoto a perdere, sarai da rottamare.

Vecchie e nuove parole per dirlo. Ma, scusate, come potranno mai essere onorati, rispettati, i nostri corpi vivi e vitali, ricchi di sensazioni, belli perché unici e veri, pieni di anima e di emozioni, i nostri corpi-parola, i nostri corpi-pensiero, se quando ci cercate per l’amore vi rivolgete a noi avendo nella vostra mente e nella vostra voce verbi come assediare, conquistare, vincere, accerchiare, espugnare, puntare, braccare, dare la caccia, costringere a cedere, far arrendere, stanare…

E quando fate sesso con noi (far l’amore è un’altra cosa, davvero in troppi non sapete cosa sia…) avete nella mente e nella voce verbi come prendere, penetrare, possedere, ingravidare (e fino a qui ci andate ancora leggeri!), e poi verbi come spaccare, castigare, sbattere, sventrare, fottere, infilzare, sverginare, devastare, domare, e parole come te lo faccio vedere, te lo faccio sentire, come se quel nostro corpo fosse un nemico, un territorio di guerra… Si, ecco! Questo è linguaggio di guerra, non è il linguaggio dell’amore.

E proprio in guerra arriva il peggio, crudele ed emblematico: lo stupro di guerra inchioda il corpo delle donne a mero oggetto da distruggere, stupro come arma di distruzione, dove il vincitore (maschio) umilia il vinto (maschio) attraverso l’appropriarsi di un suo possesso, attraverso la contaminazione di una sua proprietà.

Non sentite anche voi sulle vostre spalle il peso ormai logoro di questo stereotipo del predatore, del guerrafondaio, del padrone crudele e accecato dall’ira, del cavernicolo acculturato, dominato un tempo dal testosterone, sublimato ora in un bisogno di affermare il proprio potere, bisogno di potere tanto più spasmodico quanto più l’insicurezza profondamente vi attanaglia?

Nessuno, o proprio solo una quota infinitesima, di voi uomini del terzo millennio vorrà rivendicare per sé queste macerie decrepite del patriarcato, ora che avete aperto gli occhi e vedete che erano state costruite sull’assoggettamento graduale e sistematico dei nostri corpi di donne.

Scriviamo piuttosto insieme un altro vocabolario per i corpi, per i nostri e anche per i vostri, un vocabolario i cui verbi siano nuovi, come incontrarsi, scoprirsi, rispettarsi, avvicinarsi, chiedere il permesso, comprendersi, essere affascinati, giocare, liberarsi, esprimersi, dire no e dire sì, accostarsi, sintonizzarsi, creare, ammirare, sostenersi, darsi forza, trasmettersi emozioni e sensazioni, darsi tenerezza, darsi meraviglia, prendere slancio, darsi slancio, accogliersi, invitarsi, rendersi disponibili, unirsi, gratificarsi, assomigliarsi e differenziarsi, respirare insieme, convibrare, coesistere , condividere intensamente la vita, il piacere, l’amore, il mondo… (Condividere il mondo, di Luce Irigaray, Bollati Boringhieri 2009).

Molto del lavoro lo abbiamo già fatto noi, la parte che resta è un vostro compito e dovrete assumerlo in prima persona. Vi aspettiamo. La Storia vi aspetta.

Rosella De Leonibus        Rocca  n. 24        15 dicembre 2023 pag. 38

https://rocca.cittadella.org/rivista/rocca/

www.alzogliocchiversoilcielo.com/2023/12/rosella-de-leonibus-il-corpo-delle-donne.html

SEGNO DEI TEMPI

Sinodalità e celibato

Nelle conclusioni della prima tappa del sinodo al cap. 11 viene riferito che nelle varie commissioni che lo hanno preparato, “alcuni si chiedono se il celibato per i presbiteri della chiesa latina si debba necessariamente tradurre in un obbligo disciplinare, soprattutto dove i contesti ecclesiali e culturali lo rendono più difficile. Si tratta di un tema nuovo che richiede di essere ulteriormente ripreso”.

Vorrei, in uno spirito sinodale, dare un contributo all’approfondimento di questo tema, portando la mia testimonianza di prete che si è sposato ma che continua a sentirsi parte viva della comunità ecclesiale. Non credo innanzitutto che ci siano impedimenti dottrinali che vietino l’accesso al matrimonio di presbiteri uomini e perché no, anche di presbiteri donne.

Sono convinto che i fedeli siano nella stragrande maggioranza preparati a questo passo. Il mio insegnante di storia della chiesa, affermava che le prime comunità cristiane, come era consuetudine nelle comunità ebraiche a partire dalla distruzione del tempio, si riunivano nelle case. Luoghi questi in cui non solo uomini sposati come lo erano vari degli apostoli ma sovente anche le loro donne, signore indiscusse della casa, erano solite gestire la cena eucaristica e spezzare il pane.

I nostri fratelli anglicani e protestanti sono rimasti aperti a questa tradizione in cui non trovano niente di dissacrante né di inopportuno. Nelle chiese orientali ortodosse ed anche nelle chiese orientali cattoliche, come quella caldea nella quale in Iran ho vissuto per dieci anni, per i candidati al ministero vi è la possibilità di scegliere liberamente se essere dei presbiteri sposati o dei presbiteri celibi.

Come ho ben potuto costatare, scelte diverse, che nella loro complementarietà, costituiscono un arricchimento per l’intera comunità. Scelta celibataria, ci tengo a sottolinearlo per averla vissuta come tale per due decenni, da accogliere come un dono prezioso e di conseguenza mediante una libera scelta.

Vi è poi quello che potremmo chiamare un eloquente ed incontestabile “segno dei tempi”: i seminari delle nostre diocesi sono sempre più vuoti e di conseguenza i presbiteri sempre più anziani e meno numerosi, sono costretti a sobbarcarsi l’onere di più di una parrocchia, rischiando di trasformarsi loro malgrado, in burocrati del sacro, anziché in “pastori che sentono l’odore delle loro pecore”.

A darmi il coraggio di riaffermare questa mia convinzione, vi è anche la mia esperienza personale. Il fatto che fossi un prete che ha scelto di formare una famiglia, non ha impedito che venissi accolto con comprensione e perfino con calore dalla mia comunità parrocchiale e diocesana a partire dal mio parroco, dal vescovo e dai vari presbiteri del decanato. Tra questi vi è anche un presbitero romeno sposato, che lavora in fabbrica ed è al servizio dei suoi connazionali di tradizione cattolico-ortodossa.

Sono anche stato coinvolto in un primo tempo in compiti para-ecclesiali nella Caritas diocesana ed in seguito sempre maggiormente in compiti prettamente formativi ed ecclesiali i quali, pur non potendo celebrare i vari sacramenti, continuano a farmi sentire quel presbitero che sono stato nel passato.

Personalmente, data la mia età avanzata, non pretendo affatto di essere riammesso ad un pieno presbiterato. Tuttavia ogni volta che nelle nostre parrocchie, incontro laici, madri e padri di famiglia capaci ed esemplari, mi chiedo se non sia veramente il tempo in cui potrebbero essere scelti a loro volta come presbiteri. Basterebbe dare loro la possibilità, nel caso ce ne fosse bisogno, di un ulteriore aggiornamento teologico e biblico e, perché no, di un adeguato aiuto economico, come quello che i parroci già percepiscono.

L’obiezione che spesso si fa è che il prete celibe non avendo una famiglia a carico, è più disponibile per la comunità. È pur vero, ma è anche vero che ad un presbitero sposato, proprio perché ha famiglia, verrebbe più facile delegare vari dei compiti richiesti dalla comunità a coloro che ne hanno il carisma, costituendo in tal modo una comunità non solo a tratti ma per natura ed in continuazione sinodale e meno clericale.

A parte il fatto che per un presbitero sposato il tempo più risicato che avrebbe per la sua comunità, potrebbe venire ben compensato a mio parere, oltre che da un più marcato equilibrio affettivo ed umano, da una esperienza familiare in grado di fargli meglio comprendere le gioie e le difficoltà che quotidianamente coinvolgono la vita dei suoi fedeli.

A questo proposito vorrei portare un esempio che farà un po’ sorridere, ma che ritengo emblematico al riguardo, anche se di poca importanza rispetto ad altri ben più seri che potrei riportare. Non avevo ancora terminato il sesto anno di teologia che, essendo appena stato ordinato prete, per le feste di Pasqua, fui mandato in una parrocchia per aiutare a confessare. Mi si presentò in confessionale un giovane marito che con un’aria alquanto sconvolta iniziò la sua confessione dicendomi di ritrovarsi in un grave stato di peccato. Era giunto letteralmente ad odiare la suocera, fino a minacciarla e ad augurargli la morte tanta era la zizzania che giornalmente spargeva nella sua famiglia. Da prete imberbe, cresciuto in seminario dall’età di 10 anni e naturalmente totalmente ignaro di cosa volesse dire avere a che fare con una suocera, mi premurai di raccomandargli di portare pazienza…mica avrebbe potuto essere una belva quella sua benedetta suocera…che pregasse un po’ di più e tutto si sarebbe messo a posto…accomiatandolo infine dopo l’assoluzione, con una bella pacca di incoraggiamento sulle sue spalle…

Una volta sposato mi è capitata proprio la suocera giusta: una suocera pugliese, tanto generosa quanto possessiva ed intromissiva che con estrema difficoltà, io e mia moglie ancora oggi, benché oramai molto anziana, a malapena riusciamo a sopportare. Vi confesso che di tanto in tanto mi viene in mente quel giovane marito…

Vorrei tanto incontrarlo di nuovo e chiedergli perdono per quelle parole insulse e avulse da ogni esperienza, con cui nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, l’avevo congedato, rimandandolo con tanta superficialità in pasto a sua suocera.

   Giuseppe Morotti *1949  “Adista” – Segni Nuovi – n. 43, 16 dicembre 2023

www.adista.it/articolo/71053

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202312/231212morotti.pdf

SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO

Verso la XVI assemblea generale ordinaria del sinodo di Vescovi – ottobre 2024

Sono qui di seguito raccolte le indicazioni, elaborate e approvate dal Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo, sui passi da compiere nei mesi che ci separano dalla Seconda Sessione dell’Assemblea sinodale (ottobre 2024), per proseguire il cammino voluto e avviato dal Santo Padre il 9 ottobre 2021: “Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione”.

L’insieme del processo del Sinodo 2021-2024 costituisce la fonte di ispirazione per proseguire il cammino. Coloro che hanno partecipato agli incontri sinodali ai diversi livelli della fase dell’ascolto e della consultazione, e ancora di più i partecipanti alla Prima Sessione hanno fatto esperienza concreta di una Chiesa che si scopre plurale e può vivere le differenze come ricchezza, nella comunione. Questa esperienza costituisce una parola profetica rivolta a un mondo che fatica a credere che la pace e la concordia sono possibili. Siamo chiamati e inviati dal Risorto, per annunciare il Vangelo al mondo d’oggi: crescere come Chiesa sinodale è un modo concreto per rispondere a questa chiamata e a questa missione.

La testimonianza di coloro che hanno partecipato all’Assemblea è preziosa: il loro racconto può trasmettere la ricchezza di un’esperienza che nessun testo può condensare e che invece costituisce una parte irrinunciabile del dono che abbiamo ricevuto. L’incontro sinodale tra fratelli e sorelle che si riconoscono a vicenda come discepoli chiamati e inviati dal Signore è una grazia e una fonte di gioia. Nasce da questa esperienza il desiderio di condividere questo dono, coinvolgendo in questo dinamismo un numero sempre maggiore di persone.

Oltre che nel racconto dei partecipanti, il frutto della Prima Sessione è raccolto nella Relazione di Sintesi, approvata al termine dei lavori e disponibile in un ampio numero di lingue sul sito del Sinodo 2021-2024 (www.synod.va), che costituisce il punto di riferimento per il percorso del Popolo di Dio nel tempo che intercorre tra le due Sessioni. In particolare, il processo sinodale proseguirà lungo alcune direttrici che in vario modo intrecciano i tre livelli su cui finora abbiamo lavorato in successione: il livello di ciascuna Chiesa locale, quello dei raggruppamenti di Chiese (nazionali, regionali e continentali), e quello della Chiesa intera. Come ha ricordato il Santo Padre nell’approvare queste linee di lavoro, «il Sinodo è sulla sinodalità e non su questo o quel tema… L’importante è come si fa la riflessione, cioè in modo sinodale».

In questa linea si è svolto finora il processo e sempre in questa linea siamo chiamati a sviluppare il lavoro della Prima Sessione, durante la quale l’Assemblea ha affrontato in modo sinodale tematiche di grande rilevanza, registrando convergenze, indicando questioni da affrontare e formulando proposte. Si tratta di questioni di grande spessore, alcune delle quali richiedono di essere trattate a livello della Chiesa intera e in collaborazione con i Dicasteri della Curia Romana, quali, ad esempio, lo studio preliminare in vista dell’aggiornamento del CIC e del CCEO (Relazione di Sintesi, cap. 1 lett. r), della Ratio fundamentalis sulla formazione dei ministri ordinati (cap. 11 lett. j), del documento Mutuæ relationes (cap. 10 lett. g); o l’approfondimento della ricerca teologica e pastorale sul diaconato e, in maniera più specifica, sull’accesso delle donne al diaconato (cap. 9 lett. n), ecc. In quanto frutto del lavoro di un’Assemblea sinodale, un elenco di questi temi verrà sottoposto al Santo Padre. Su quelli che Egli indicherà, saranno chiamati a lavorare in modo sinodale gruppi di esperti di tutti i continenti, con il coinvolgimento dei Dicasteri competenti della Curia Romana, in un dinamismo ecclesiale coordinato dalla Segreteria Generale del Sinodo. Alla Seconda Sessione di ottobre 2024 sarà presentata una relazione sull’avanzamento di questi lavori.

  1. Una domanda guida per approfondire. Le Chiese locali e i raggruppamenti di Chiese sono in primo luogo chiamati a contribuire, nell’approfondimento di alcuni aspetti della Relazione di Sintesi fondamentali per il tema del Sinodo, a partire da una domanda guida: «COME essere Chiesa sinodale in missione?» L’obiettivo è identificare le vie da percorrere e gli strumenti da adottare nei diversi contesti e nelle diverse circostanze, così da valorizzare l’originalità di ogni battezzato e di ogni Chiesa nell’unica missione di annunciare il Signore risorto e il suo Vangelo al mondo di oggi. Non si tratta dunque di limitarsi al piano dei miglioramenti tecnici o procedurali che rendano più efficienti le strutture della Chiesa, ma di lavorare sulle forme concrete dell’impegno missionario a cui siamo chiamati, nel dinamismo tra unità e diversità proprio di una Chiesa sinodale.

A questo riguardo è di aiuto rileggere il n. 27 dell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato all’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, “ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale”».

L’orizzonte verso cui si proietta il lavoro di approfondimento a partire dalla domanda guida è dunque una riforma animata dallo slancio verso la missione che Cristo ci ha affidato, sostenuta dalla conversione pastorale che lo Spirito, che secondo la promessa del Signore non ci lascia mai soli, ci invita a compiere e rende possibile.

1.1 I due livelli dell’approfondimento. La domanda guida richiede di essere affrontata su due livelli, sempre avendo come riferimento la Relazione di Sintesi nel suo insieme.

a) A livello di ciascuna Chiesa locale: COME valorizzare la corresponsabilità differenziata nella missione di tutti i membri del Popolo di Dio? Quali modalità di relazione, strutture, processi di discernimento e decisione in ordine alla missione permettono di riconoscerla, di darle forma, di promuoverla? Quali ministeri e organismi di partecipazione possono essere rinnovati o introdotti per meglio esprimere questa corresponsabilità? All’interno della Relazione di Sintesi, si può fare più specificamente riferimento ai capp. 8-12, 16 e 18.

b) A livello delle relazioni tra Chiese, tra raggruppamenti di Chiese ai diversi livelli e con il Vescovo di Roma: COME articolare creativamente queste relazioni per trovare «un equilibrio dinamico tra la dimensione della Chiesa nel suo insieme e il suo radicamento locale» (Relazione di Sintesi cap. 5, lett. g)? Qui si può fare riferimento soprattutto ai capp. 13, 19 e 20 della Relazione di Sintesi.

1.2 Alcune indicazioni per organizzare il lavoro. In pratica, a partire dalla domanda guida e dai due livelli sopra indicati, ogni Chiesa locale è invitata a realizzare una ulteriore consultazione, determinandone le modalità concrete sulla base di quanto appare possibile nel tempo a disposizione. Il primo passo consisterà nella scelta della prospettiva con cui affrontare la domanda guida, sviluppando i contenuti della Relazione di Sintesi a riguardo. Realisticamente non se ne potranno esaminare tutte le implicazioni. Perciò, ciascuna Chiesa locale è invitata a concentrarsi su quegli aspetti rispetto ai quali ritiene di poter apportare un contributo sulla base delle proprie peculiarità e della propria esperienza, condividendo le buone pratiche che rappresentano germogli di sinodalità concreta. Sulla base di quanto deciso, ciascuna Diocesi o Eparchia trasmetterà i frutti di questa ulteriore consultazione alla Conferenza Episcopale o Struttura Gerarchica Orientale di cui fa parte, nei tempi e modi che esse avranno indicato.

Non si tratta di far ripartire da zero o ripetere il processo di ascolto e consultazione che ha caratterizzato la prima fase. In questa tappa, oltre agli organismi di partecipazione a livello diocesano e all’équipe sinodale già istituita, sarà importante coinvolgere persone e gruppi che esprimono una varietà di esperienze, competenze, carismi, ministeri all’interno del Popolo di Dio e il cui punto di vista risulta di particolare aiuto nel mettere a fuoco il “come”: ad esempio ministri ordinati (in particolare parroci); altri responsabili della pastorale (ad esempio, catechisti e responsabili di comunità di base e piccole comunità cristiane, in particolare in alcune regioni; responsabili di uffici pastorali); consacrate e consacrati; responsabili di Associazioni laicali, Movimenti ecclesiali e nuove Comunità; persone che ricoprono incarichi di responsabilità in istituzioni e organizzazioni legate alla Chiesa (scuole, università, ospedali, centri di accoglienza, centri culturali, ecc.); teologi e canonisti, ecc. Le Conferenze Episcopali e le Strutture Gerarchiche Orientali sono il riferimento di questa parte del processo e sono invitate a coordinare la raccolta dei contributi di Diocesi ed Eparchie, fissandone modi e tempi. Sono inoltre invitate a portare avanti l’approfondimento a partire dalla medesima domanda guida al loro livello e a quello continentale, secondo quanto si valuterà opportuno e realizzabile.

A livello tanto locale quanto dei raggruppamenti di Chiese, la prospettiva di un discernimento autenticamente sinodale esige anche il contributo della competenza teologica e canonistica, oltre che delle scienze umane e sociali, coinvolgendo esperti di tali discipline e istituzioni accademiche presenti sul territorio. Dopo aver raccolto i contributi delle Diocesi o Eparchie, le Conferenze Episcopali e le Strutture Gerarchiche Orientali, così come le Diocesi che non appartengono ad alcuna Conferenza Episcopale, hanno il compito di elaborare una sintesi di una lunghezza massima di 8 pagine, da far pervenire alla Segreteria Generale del Sinodo entro il 15 maggio 2024. Sulla base del materiale così raccolto si procederà alla redazione dell’Instrumentum laboris della Seconda Sessione.

2. Mantenere vivo il dinamismo sinodale. Custodire e ravvivare la dinamica sinodale che ha coinvolto l’intero Popolo di Dio lungo gli ultimi due anni ha una importanza pari al lavoro di approfondimento e consultazione sopra delineato. Anzi, la Prima Sessione ha indicato come priorità «l’allargamento del numero delle persone coinvolte nei cammini sinodali, superando gli ostacoli alla partecipazione finora emersi» (Relazione di Sintesi, cap. 1, lett. m), indicando anche diverse modalità e gruppi di persone a cui prestare attenzione, tra cui l’ambiente digitale.

A questo scopo, le Chiese locali sono invitate anche a ripercorrere l’intera Relazione di Sintesi e a raccogliere le sollecitazioni che più risulteranno consonanti con la loro situazione. Su questa base, potranno promuovere le iniziative più opportune per coinvolgere tutto il Popolo di Dio (attività formative, approfondimenti teologici, celebrazioni in stile sinodale, consultazioni della base, ascolto di popolazioni minoritarie e gruppi che vivono in condizioni di povertà e marginalità sociale, spazi in cui affrontare le questioni controverse, ecc.), utilizzando i metodi già sperimentati con successo durante la prima fase, in particolare la conversazione nello Spirito. Sono invitate a fare lo stesso anche le Congregazioni religiose, gli Istituti di vita consacrata, le Associazioni laicali, i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità, contribuendo al lavoro delle Diocesi ed Eparchie in cui sono presenti. Lo scopo è mantenere vivo quel dinamismo di ascolto e dialogo con tutti, in particolar modo con chi rimane più ai margini della vita della Chiesa, che la prima fase del processo sinodale ha avviato e che ha prodotto frutti significativi.

Ogni Chiesa locale che lo desidera potrà trasmettere alla Conferenza Episcopale o alla Struttura Gerarchica Orientale di appartenenza una breve testimonianza del lavoro svolto e delle esperienze vissute (massimo due pagine), condividendo una buona pratica che ritiene significativa per far crescere un dinamismo sinodale missionario. Conferenze Episcopali e Strutture Gerarchiche Orientali avranno cura di farle pervenire alla Segreteria Generale, sempre entro il 15 maggio 2024.

Questi contributi non costituiranno direttamente materia del discernimento dell’Assemblea durante la Seconda Sessione, ma saranno comunque resi disponibili ai suoi membri. Il loro scopo è aiutare a comporre un quadro in cui situare il lavoro dell’Assemblea. La condivisione di esperienze e di buone pratiche potrà anche attivare dinamiche di incontro e collaborazione tra le Chiese che si sentiranno chiamate ad affrontare i medesimi punti.

3. I soggetti responsabili e i loro compiti I soggetti principali del cammino tra le due Sessioni dell’Assemblea sono ognuna e tutte le Chiese locali. In questa fase, ciascun Vescovo diocesano o eparchiale riveste un ruolo di impulso insostituibile: è suo compito aprire e accompagnare questa ulteriore consultazione nella propria Diocesi o Eparchia, validandone poi gli esiti.

Per condurre e animare questo processo, si suggerisce di valorizzare il contributo dei membri dell’Assemblea sinodale provenienti da ciascun territorio, oltre che quello delle équipe sinodali istituite nella fase precedente ai diversi livelli.

Alle Conferenze Episcopali e alle Strutture Gerarchiche Orientali è chiesto di impegnarsi direttamente

nel lavoro di approfondimento al loro livello, e di svolgere un ruolo di coordinamento delle Chiese locali.

In particolare,

  1. rispetto al lavoro di approfondimento a partire dalla domanda guida, si richiede alle Conferenze Episcopali e alle Strutture Gerarchiche Orientali:
  2. di accompagnare questo processo, offrendo alle Chiese locali le indicazioni relative a modi e tempi della consultazione;
  3. di curare l’approfondimento della domanda guida anche a livello dei raggruppamenti di Chiese, secondo i metodi che riterranno opportuno adottare;
  4.  di elaborare la sintesi dei contributi ricevuti o prodotti e farla pervenire alla Segreteria Generale del Sinodo entro il 15 maggio.
  5. rispetto all’impegno a mantenere vivo il dinamismo sinodale, si richiede alle Conferenze Episcopali

e alle Strutture Gerarchiche Orientali:

  •  di continuare a promuovere iniziative per crescere come Chiesa sinodale in missione anche a livello dei raggruppamenti di Chiese;
  • di raccogliere le testimonianze e buone pratiche che le Diocesi ed Eparchie vorranno condividere

e farle pervenire tutte, senza sintetizzarle, alla Segreteria Generale del Sinodo, sempre entro il 15 maggio 2024.

Vaticano, 11 dicembre 2023

www.synod.va/content/dam/synod/news/2023-12-12_towards-2024/ITA_Documento_VERSO-OTTOBRE-2024_XVI_II-Sessione.pdf

La Chiesa ha parlato e si è fatta ascoltare

Occorre essere sinceri: dopo la pubblicazione della Sintesi finale dei lavori del Sinodo (4-29 ottobre 2023), le reazioni nel popolo di Dio sono state caratterizzate da un interesse piuttosto debole. E secondo gli osservatori più attenti i risultati sono stati accolti con delusione. In molti, infatti, c’era l’attesa non di novità straordinarie, ma almeno di indicazioni del cammino da percorrere per la maturazione nel tessuto ecclesiale di alcuni temi che, da decenni, si sono imposti come problemi urgenti e che attendono una risposta. Così non è stato. E forse non poteva essere altrimenti, perché era necessario prendere consapevolezza della non facile convergenza e della forte polarizzazione esistente tra i cattolici e tra le Chiese dell’ oikouméne cattolico.

Abbiamo anche assistito al conflitto (fuori dell’aula sinodale, per quanto ne sappiamo) tra un’agguerrita minoranza tradizionalista, che vede in questo Sinodo un tradimento della tradizione cattolica, e il corpo della Chiesa che, unito al Papa, è convinto che il futuro del cristianesimo nel Terzo millennio dipenderà dall’assunzione della forma, dello stile sinodale nel vivere la Chiesa. Purtroppo, anche alcuni cardinali e vescovi, privi del senso della comunione che è il loro primo mandato, hanno aperto le ostilità nei confronti di Francesco, in modo scomposto e indegno della responsabilità loro affidata. Si è giunti ad accusare il Papa di non essere fedele custode della tradizione e di assumere posizioni eretiche, in contraddizione con il magistero dei Papi precedenti. Né si dimentichi che la parola “scisma” più volte è rimbalzata come accusa o come probabile esito imminente della situazione conflittuale.

Dunque, l’anno che ci attende in vista della sessione finale del Sinodo (ottobre 2024), si prospetta di fatica e di travaglio: si tratterà, infatti, di operare un approfondimento dei temi emersi, che attualmente suscitano forti divergenze d’opinione. Occorrerebbe, secondo me, cercare di impegnare in modo più esteso e convinto le comunità e le parrocchie nella riflessione e nell’ascolto reciproco su alcuni — pochi — temi scelti. Non possiamo dimenticare che, secondo i dati riportati da una diocesi del Nord Italia, l’ottanta per cento non è stato coinvolto né informato su questo processo-evento così importante per il futuro della Chiesa. E, quindi, è anche urgente che esegeti, teologi, canonisti… diano il loro contributo e siano ascoltati.

La relazione di sintesi chiede anche l’istituzione di una commissione preliminare alla revisione del diritto

canonico. Anche se non si prospetta in tempi brevi, è una revisione da effettuarsi urgentemente: l’indicazione è molto importante perché se alle parole — fossero anche quelle del Papa non seguono procedure giuridiche coerenti con il diritto canonico, qualunque innovazione e decisione rimane solo sul piano dei semplici auspici.

Non dimentico che il Sinodo voluto da Francesco aveva lo scopo di conoscere, discernere, stabilire cosa sia la sinodalità ecclesiale per poterla innestare nella Chiesa affinché sia vissuta; ma resta vero che l’attenzione dei mass media e anche di molti fedeli s’è concentrata su alcuni temi che sono dibattuti, in modo più o meno forte e sentito, nelle Chiese cristiane. Una richiesta, che viene ripresentata da anni da parte di alcune Chiese che vivono una situazione di penuria e mancanza di pastori in comunità nelle quali anche l’eucaristia è celebrata raramente, è quella di ordinare uomini sposati, dotati di una preparazione adeguata all’evangelizzazione e alla presidenza. Uomini maturi, magari uomini che hanno esercitato il diaconato, in ogni caso uomini uxorati come accade nella Chiesa cattolica di rito orientale. Per la Chiesa latina sarebbe una novità, ma ormai nessun fedele si scandalizzerebbe nel vedere un presbitero che vive una vita di coppia e di famiglia.

È stata presentata anche la proposta di rendere il celibato facoltativo per i presbiteri, ed è vero che il celibato è una legge ecclesiastica, non è condizione necessaria al sacramento dell’ordine. Forse la prassi da adottare potrebbe essere quella delle Chiese ortodosse, che chiedono al candidato di fissare prima il proprio stato (nel matrimonio o nel celibato) e poi procedono all’ordinazione. Il celibato resterebbe così il dono prezioso del Signore alla sua Chiesa e non smentito terrebbe viva la tradizione della Chiesa latina. Su questa problematica si era discusso al Sinodo dell’Amazzonia e i padri sinodali si erano espressi a grande maggioranza in favore dell’ordinazione di uomini uxorati, ma il Papa non ha ritenuto di aprire a tale innovazione.

Accanto a questa richiesta saltuariamente ricompare anche quella dell’accesso delle donne al ministero. Il Papa è convinto dell’urgente necessità del riconoscimento della donna nella Chiesa e per questo, per la prima volta nella storia della Chiesa cattolica, ha dato la possibilità a donne di accedere a posti di governo nella curia romana . Ma l’accesso al ministero mai è stato giudicato possibile da tutta la tradizione della Chiesa cattolica e delle Chiese ortodosse. Esegeti e teologi, dopo studi e ricerche, hanno affermato che nulla ostacola il conferimento dell’ordine alle donne, ma la Santa Sede e il magistero attuale hanno sempre ribadito l’impossibilità di tale esito, dichiarando che non è in potere della Chiesa compiere questa apertura, avendo Gesù scelto come apostoli soltanto i dodici. E così il tema-problema non è neppure più presente nella Sintesi. Per ora la discussione è chiusa. Ma va detto che al di là del diktat di Roma, il popolo di Dio oggi è impreparato a tale soluzione e la maggioranza non desidera né vuole che le donne accedano al ministero. Anche il diaconato la decisione di rimandare a nuove ricerche non mi sembra di buon auspicio.

Resta, infine, come problematica tutta la materia dell’antropologia, soprattutto sessuale, radicalmente mutata negli ultimi tempi, soprattutto in Occidente. Oggi c’è un nuovo sguardo sulla sessualità e sull’orientamento sessuale della persona. Che cosa deve dire la Chiesa? Siamo sinceri e non ideologici: non è facile! Perché abbiamo le sante Scritture che condannano con chiarezza la relazione omoaffettiva, abbiamo i rimproveri dell’apostolo Paolo e la tradizione della Chiesa che, fin dall’inizio, ha chiesto ai cristiani un comportamento sessuale differente da quello dei pagani, ma conforme all’alleanza fedele tra Dio e il suo popolo. Per altro verso, noi oggi siamo in grado di riconoscere che in tutte le relazioni affettive ci sono pepite d’amore, dunque energie divine. Non tutto è male! Non sarebbe possibile almeno benedire i fermenti di amore presenti in una relazione anche quando non è conforme alla legge? E poi perché questo prurito di indiscrezione sulla persona, che è sempre più grande della sua sessualità o del suo essere ibrido? Sì, le Chiese del Nord Europa ormai permettono la benedizione delle unioni omoaffettive stabili e fedeli. Ma se si benedicono le stalle, gli animali, le moto e perfino le armi perché non invocare la benedizione di Dio anche su quei frammenti di amore presenti nelle storie d’amore degli umani? Intercessione, non sacramento!

Non sappiamo cosa desideri il Papa. La novità è che il popolo di Dio è stato ascoltato. Il Sinodo resta Sinodo di vescovi, al Papa resta l’ultima parola, ma tutta la Chiesa ha parlato e si è fatta ascoltare.

Enzo Bianchi       “Vita Pastorale”                dicembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202312/231215bianchi.pdf

Intersynodal: tempo ecclesiale e compito teologico in cinque punti

Uno stile interlocutorio e una certa inconcludenza sono state caratteristiche evidenti non della prima Assemblea del Sinodo dei Vescovi, ma del suo documento “di sintesi” (= RS). La sintesi non era conclusiva e pertanto è rimasta, in larga parte, molto, forse troppo, indeterminata. Questo, pur non autorizzando a confondere il documento intermedio con il risultato conclusivo, impone una riflessione necessaria. Occorre, quindi, evitare di spostare il giudizio sul documento come giudizio sulla esperienza sinodale. Ma è altrettanto vero che senza un salto di qualità, il rischio di dispersione e di irrilevanza minaccia non poco il lavoro dei prossimi 10 mesi. Per evitare di essere “come un parlamento”, la assemblea sinodale rischierebbe di cadere nel peggiore dei difetti dei parlamenti: emendare le proposizioni in modo tale da ottenere il massimo consenso con il massimo di irrilevanza.

Senza alcun dubbio, una certa “vaghezza” del testo della RS è dipeso dallo scarso coinvolgimento teologico nel pensiero e nel linguaggio. Molte delle proposizioni, votate alla fine della prima fase del confronto, sono punti di equilibrio politico, ma teologicamente orientati alla stasi. Se la Chiesa vuole “uscire”, per farlo deve decidere da quale porta, con quale vestito, e in quale direzione. Se non decide nulla, resta dove è. Per questo, nella fase intersinodale che stiamo attraversando, sarebbe urgente un raccordo tra “ascolto del popolo di Dio” e “discorso teologico”, per dare alla sintesi finale un profilo, un orientamento e una direzione, diversa dalla pur importante consapevolezza di essere messi in ascolto reciproco. Su questo aspetto, tutt’altro che secondario per il buon esito del percorso sinodale, dovrebbero essere messi in chiaro alcuni punti, che provo qui a riassumere in 5 proposizioni:

1. I teologi, o coloro che sono abituati a considerarsi tali, dovrebbero esprimere apertamente le loro convinzioni, nell’ambito di un clima di ascolto e di rispetto reciproco. Il rispetto è dovuto a tutti, anche a coloro che esprimono “compiutamente” la loro convinzione sui temi fondamentali su cui il Sinodo ha chiesto “approfondimento”. E bisogna riconoscere che molti sono gli aspetti su cui apertis verbis la RS ha chiesto uno studio vero. Chi di mestiere studia, deve farlo ora con particolare intensità, senza preoccuparsi di accontentare tutti, ma al fine di servire la verità.

2. Un approfondimento si realizza non semplicemente giustapponendo opinioni diverse, ma analizzando fino in fondo le ragioni che sorreggono le diverse opinioni, per operare un discernimento tra di esse. La teologia non è semplicemente una questione “de gustibus”, o una ansia di polarizzazioni, ma una accurata comparazione di autorità e di evidenze, che meritano un serio lavoro di confronto, per trovare una strada determinata (non una fusione indeterminata) su cui creare il consenso (un nuovo consenso) ed evitare le polarizzazioni, che discendono da scarsa formazione.

3. I teologi non possono semplicemente attendere che il magistero si pronunci. Questa sembra l’ideale sottaciuto di qualche teologo. Ma sistemare ordinatamente il magistero autentico è solo una parte del loro lavoro. Nel rispetto dei ruoli irriducibili della “cattedra pastorale” rispetto alla “cattedra accademica”, coloro che svolgono il ministero della riflessione critica sulla tradizione sono chiamati ad esprimere con chiarezza i loro avvisi, in modo da alimentare un dibattito non “fazioso”, ma competente e informato. Lo studio non sta solo “a valle” del magistero autentico, ma sta anche “a monte” di esso, per poter offrire al magistero pastorale le parole più adeguate e i pensieri più accurati con cui fare esperienza e darne espressione.

4. Anche in teologia, come nelle altre scienze, non occorre essere autorizzati a pensare: il teologo non deve aspettare di essere imbeccato da un organo ufficiale, da una commissione o da una richiesta esplicita. Può (anzi, io direi deve) offrire, di propria iniziativa, una lettura sintetica della tradizione sui temi urgenti dell’esercizio della autorità, dei soggetti del ministero, degli equilibri ecclesiali, delle forme della giurisdizione e delle norme canoniche, su cui siamo esplicitamente alla ricerca di nuove categorie. La fedeltà alla tradizione passa anche attraverso questa ricerca, inevitabilmente ardua e rischiosa.

5. Soprattutto negli ambiti dottrinali in cui la elaborazione scientifica e argomentativa è ferma da decenni, un contributo teologico fresco e dinamico può aiutare la parola ecclesiale (del popolo come delle istituzioni) ad uscire da luoghi comuni che assicurano soltanto la stasi, l’immobilismo e la chiusura. Una Chiesa in uscita esige pensiero fedele nella novità e audace nella fedeltà. Senza una elaborazione coerente e compiuta delle questioni, non si potrà affidare soltanto all’ascolto quel compito di deliberazioni organiche e lungimiranti, che può scaturire soltanto da una sintesi teologica originale.

Se in questi 10 mesi, singoli teologi e gruppi di ricerca sapranno mettere a frutto la loro esperienza e il loro ingegno, la loro fedeltà creativa e il loro servizio audace, potranno favorire quel cammino di sapienza ecclesiale, che non si risolve mai nella fatica del concetto, ma che senza l’esercizio ministeriale di tale fatica rischia di convincersi che quando fa uso dei concetti (perché dei concetti non si può mai fare a meno, anche quando li si nega), possa semplicemente ricorrere a concetti vecchi. Ed è questa una tentazione alla quale si può sfuggire solo pensando più in grande, correndo il rischio di inaugurare un paradigma veramente nuovo. Solo questa audacia fedele potrà custodire il “depositum fidei”.

                Andrea Grillo                      blog: Come se non           11 dicembre 2023

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