News UCIPEM n. 989 – 19 novembre 2023

News UCIPEM n. 989 – 19 novembre 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le news sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}. Link diretti e link per pdf -download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono ripresi nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

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Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

            Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

02 BIBBIA                                              Maria Maddalena e l’altra Maria al sepolcro

O4 C. INTERN. STUDI FAMIGLIA      Newsletter CISF – n.42, 15 novembre 2023

06 CHIESA NEL MONDO                    In Spagna dilaga lo scandalo abusi: 440mila vittime. I vescovi contestano i dati

07                                                          Scontro fra il papa e il clero Usa: la linea di resistenza è in Texas

10                                                          Le elezioni dei vescovi americani sono state un miscuglio per il ‘Team Francis’

11 CITTÀ DEL VATICANO                    Trans e Vaticano: è la “svolta” buona

12 CONFERENZA EPISCOPALE IT.   78ª Assemblea Generale Straordinaria: Comunicato finale

15                                                          Nella Chiesa non c’è prescrizione. Difficile oggi che un vescovo insabbi

16 CONSULTORI UCIPEM                   Parma, Ciclo di incontri: Genitori figli e identità sessuale

17 CULTO                                              Né sul monte Garizim né a Gerusalemme

19 DALLA NAVATA                              XXXIII Domenica del tempo ordinario – Anno A

19                                                          «E consegnò loro i suoi beni»

20 EUMENISMO                                   La radice biblica alimenta anche l’ecumenismo

22 FRANCESCO VESCOVO di ROMA Lotta agli abusi. Il Papa: «Nessun silenzio può essere accettato»

23                                                            Rafael Luciani sul caso dei dubia

26 IDENTITÀ DI GENERE                    e sacramenti

27 ISRAELE                                            Stato ebraico/ Stato di Israele

28 SACERDOTI                                      Preti soli. Tremendamente soli

30 SINODO                                           Le strade della chiesa

31                                                          Sul Sinodo parla Theobald

33 TEOLOGIA                                        La teologia dell’incarnazione alla sfida del transumanesimo

38 TEOLOGIA MORALE                      Il messaggio morale della Bibbia: criteri per comprenderlo e attualizzarlo

41 VIANDANTI                                     Il posto e la fisionomia del presbitero

BIBBIA

Maria Maddalena e l’altra Maria al sepolcro

L’apparizione più tenera

La tradizione sinottica è concorde nel ritenere che più donne si siano recate al sepolcro: due in Matteo, mentre in Marco sono almeno tre, e ben di più in Luca a cui si aggiungono pure le donne provenienti dalla Galilea (Lc 23,55-24,1.10). Questo ha una notevole importanza, poiché l’annuncio angelico della resurrezione è stato dato in primis e solo a più donne.

Le leggere varianti sul loro numero e i nomi (Salome in Mc 16,1, Giovanna in Lc) non offuscano il dato, anzi lo rafforzano! Significa che più tradizioni, provenienti da fonti diverse, concordano sul fatto che le donne siano le prime testimoni della resurrezione, quindi apostole anch’esse. Hanno frequentato Gesù e, oltre alla resurrezione, sono pure testimoni oculari della crocifissione-morte, mentre invece…i maschietti erano fuggiti; in Mc 15,40 e osservano correttamente da lontano poiché le donne non potevano stare vicino ai condannati: più apostole di così…

Giovanni dipende da Matteo. Nel nostro testo l’apparizione di Gv 20,1-18 è solo a Maria Maddalena. Ci sono tuttavia parecchi plurali sospetti: il «non sappiamo dove l’hanno posto» in 20,2, ripetuto in alcuni manoscritti di 20,13, e pure in due codici nella conclusione di 20,18: «abbiamo [anziché ho] visto il Signore». Come mai se nel nostro stadio finale si tratta di una donna sola? Ma i copisti trascrivevano meccanicamente con una conoscenza spesso (assai) superficiale del greco; molto probabilmente in 20,18non hanno prestato attenzione, o peggio ancora non hanno riconosciuto la prima persona plurale [eôrakamen, vidimus] lasciando inalterato lo stridore precedente [“beata ignoranza” perché ci apre una breccia sullo stato iniziale-pregresso del brano]. Traspare infatti in origine il cammino di almeno due donne anche in Gv; d’altronde è improbabile che una donna da sola si sia recata al sepolcro «quand’era ancora buio» (Gv 20,1): tanto che gli è stato premesso, a scanso di equivoci, «di buon mattino» (prôi), che è sicuramente un’aggiunta (infatti manca in 4 manoscritti) per rendere la cosa più plausibile (ma non troppo) all’alba.

                Dato che il quarto vangelo conosce certamente il vangelo di Matteo, entrambi sorti e sviluppatisi in Siria, optiamo per le due donne di Matteo anche nel quarto vangelo primigenio: Maria Maddalena e l’altra Maria (Mt 28,1ss), che erano già in coppia davanti al sepolcro in Mt 27,61. Leggiamo infatti in Mt 4,24 che «la fama di Gesù si sparse per tutta la Siria» (sic), dalla quale, da Nord-est, Matteo vede la Palestina localizzando in 19,1 la Giudea «al di là del Giordano» [se uno scrive che Torino è al di là delle Alpi, significa che si trova in Francia o Svizzera, non in Italia o in Piemonte]. Mentre tutti i restanti autori del NT usano il verbo upsoô nel senso consueto e magnificante di “innalzar(si)” (ad es. «chi si umilia sarà esaltato»), il quarto vangelo per tre volte (Gv 3,14; 8,28; 12,32-34) lo utilizza solo in un significato ben diverso, nel quadro dell’Asia minore attestato unicamente nel Nord della Siria dove l’espressione “essere innalzato” significava tout court senza equivoci “essere crocefisso”.

                Ci preme sottolineare la dipendenza di Giovanni da Matteo, spazialmente vicini in Siria, massimamente evidente nel processo in Gv 18,12-28: qui in origine il sommo sacerdote di quell’anno era Anna, nel cui cortile si svolge l’interrogatorio. Ma il redattore legge in Mt 26,3.57 che il sommo sacerdote era invece Caifa [lo può apprendere solo da Matteo poiché Mc e Lc non riportano il nome del sommo sacerdote], per cui corregge il suo predecessore (in corsivo le aggiunte correttive): «lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno» (18,13). Mentre la stessa correzione in Gv 11,49.51 è indolore [come in 18,40 il recupero…al volo di Barabba ignorato dal suo predecessore], qui invece spacca il racconto poiché il processo avviene sempre e comunque incredibilmente da Anna (il suocero che non è più sommo sacerdote), e in maniera assurda tutto si svolge col sommo sacerdote Caifa assente!! Ciò è chiaro in Gv 18,24 in cui Anna, finito il processo, manda Gesù legato da Caifa (una capatina dal delfino per decenza familiare). Che pasticcio pur di adeguarsi a Matteo! Tanto che un codice siriaco (assieme a Cirillo di Alessandria) saggiamente sistema le cose anticipando il v. 24 (l’invio a Caifa) a dopo il v. 13: così l’intero processo con molta più logica si svolge in pianta stabile a casa di Caifa.

Maddalena è rientrata a casa. Che in quell’anno il sommo sacerdote fosse Anna o Caifa è in sé del tutto irrilevante, ma ci è servito per dimostrare la dipendenza di Gv da Mt, in particolare per le donne al sepolcro. Infatti in Mt e Gv nella tomba ci sono angeli, e non uomini più o meno giovani come in Mc e Lc; e soprattutto concordano nel dato che le donne vadano al sepolcro per cordoglio, e non per ungere o imbalsamare Gesù in maniera assurda con la tomba chiusa come negli altri due sinottici. Anche stilisticamente fra gli evangelisti solo Matteo e Giovanni usano l’avverbio temporale arti [(fino a, per) ora], e soprattutto solo loro evidenziano la fratellanza di Gesùannunciate ai miei fratelli…» in Mt 28,10 (25,40) e Gv 20,17: altra analogia fra Mt e Gv, assente in Mc e Lc].

Quindi il Gv originario si è intersecato con Matteo in una sequenza molto lineare saltando dal 20,1 all’11b senza ancora la corsa dei due discepoli in Gv 20,2-11a, e omettendo (giustamente perché semi-leggendaria) la polemica matteana sulla diceria delle guardie; forse spostando solo il loro stramazzare a terra (Mt 28,4) a durante la cattura (Gv 18,5s) per evidenziare il pregnante “Io sono” di Gesù. Infatti Gv nella Passione può omettere certe cose di Matteo (bacio di Giuda), può aggiungere (la scritta sulla croce in tre lingue con la richiesta di rettifica a Pilato), ma ben difficilmente lo contraddice.

Infatti l’aggiunta più consistente del redattore (della seconda edizione del quarto vangelo scritta intorno al 140 d. C.) è la suddetta corsa dei due discepoli; per inserirla fa rientrare Maddalena (Gv 20,2) ad avvisarli della tomba vuota. Le sue intenzioni sono valide: introduce la testimonianza fidata di due uomini (perché quella delle donne giuridicamente non valeva), per di più due apostoli reggitori di chiese che attestarono per primi la tomba vuota. Maria si china solo verso il sepolcro senza propriamente entrare, mentre i due discepoli vedono bene le bende per terra (sempre Pietro, nella sua corsa solitaria di Lc 24,12 vede anch’egli solo bende) e il sudario del capo piegato a parte: nel IV vangelo non c’è nessuna sindone-lenzuolo. Cerca di sanare il conflitto tra Pietro (alias le comunità di stampo petrino) e il discepolo prediletto (alias le comunità giovannee) che erano sull’orlo dello scisma, mentre qui corrono, vedono e credono insieme.

Ma così in parte sconvolge il racconto: i discepoli hanno trovato la tomba vuota, mentre Maria vede…angeli (più pieno di mistero se seguiamo il Sinaitico e il Palatino in cui è assente il “due”); chi scrive Gv 20,12 pensa che gli angeli fossero già lì in attesa di annunciare a chi veniva il miracolo. Nessun autore, in coda al 7-10, scrive il 12 senza motivarlo; e non si sa da dove Maria sbuchi di nuovo alla tomba dopo che se n’era andata (v. 2). Sarebbe potuta ritornare coi due discepoli, ma ciò non viene detto. Un pasticcio (pure questo “benedetto”) che rende chiara l’inserzione postuma, anche perché quando si ricongiunge nel v. 11 al racconto precedente ripete (…grazie a Dio smascherandosi) in modo maldestro due volte il pianto e l’affacciarsi al sepolcro: «Maria invece stava all’esterno…», ma dice solo Maria (senza Maddalena, la quale nei vangeli è sempre indicata col doppio nome). Per questo nella nuova sceneggiatura ipotizzo che sia l’altra Maria ad essere rimasta al sepolcro, con Maddalena rincasata.

Maestro mio caro. Sempre sulla falsariga del testo base-canovaccio di Matteo (28,8-10) a quella degli angeli segue l’apparizione diretta di Gesù (altra analogia Mt-Gv, assente in Mc-Lc), con l’estatico riconoscimento fra Maria e Gesù. Era difficile escogitare qualcosa di più bello e commovente che il reciproco chiamarsi per nome per evidenziare il loro vissuto estetico-esistenziale, nell’unica apparizione narrata ad una persona singola: una donna! Gesù la chiama Maria, ed ella Rabbunì (un intensivo di Rabbi), quindi maestro mio, o maestro caro. Si suppone (come esplicitato da una decina di manoscritti) che gli sia corsa incontro per abbracciarlo teneramente, ma Gesù la ferma: «Non mi toccare perché non sono ancora salito al Padre» (Gv 20,17), una frase priva di senso; la versione Cei se la cava con «Non mi trattenere», suggerendo quasi “in quanto sto per o devo salire al Padre”.

{“Smettila di toccarmi-pur non essendo ancora salito al Padre” versione Roberto Vignolo-Bibbia Enzo Bianchi ed. Einaudi 2021}

Ma è tirata per i capelli perché negli altri passi evangelici non esistono preclusioni al toccare Cristo: in  Gv 20,27 invita Tommaso a mettere il dito-mano nel costato, concludendo con le sue ultime bellissime parole nel vangelo originario…un pensierino per noi: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno».

Quindi a mio parere la frase in origine era al positivo con un senso perfetto e compiuto: «Abbracciami pure, perché non sono ancora salito al Padre». Ossia gli è volata al collo! È stata girata al negativo (in barba al senso) perché considerata disdicevole l’intimità fra Gesù e una donna.

Con una analogia…astronautica (le nostre sonde non partono sparate per la Luna o per Marte ma vanno sempre prima in orbita terrestre), il Risorto è infatti in una specie di orbita di parcheggio prima di salire al Padre, durante il quale si alimenta (sic), mangiando pesce come in Lc 24,41ss e in Gv 21,4ss in una scena quasi comica da urlo; i discepoli sono un centinaio di metri al largo per pescare (21,8), e un Risorto grida dalla spiaggia: «Ragazzi, non avete nulla da mangiare?».

                Certo nel nostro testo all’inizio ed alla fine domina Maddalena, ma le introduzioni-conclusioni nei vangeli vanno prese con le molle, poiché super-redazionali. Ad es. in Lc 17,20s dei farisei pongono una domanda, alla quale Gesù risponde concludendo «Il regno di Dio è in mezzo (entos) a voi»: ma il Regno non è certo dentro i farisei. In origine la domanda era stata posta genericamente da alcuni…

Analogamente chi ha inserito la corsa dei due discepoli e scambiato Anna con Caifa, può ben aver rielaborato profondamente il cammino delle due donne, in cui Maddalena, suo malgrado, in Gv 20,1.18 copre, fa da schermo (sostituendola alla fine) all’altra Maria censurata. Perché? Chi era? Con tutte le donne che allora portavano quel nome, equivale ad un ferreo anonimato come nel caso del discepolo che Gesù amava. A mio parere era la discepola che Gesù amava [Maria di Cleofa? Già (preminente?) in coppia con Maddalena sotto la croce in Gv 19,25, l’unica volta che Maddalena non è nominata per prima fra le donne elencate], la zia materna del discepolo prediletto, allora un ragazzino. Cosa c’è di così scandaloso se Gesù ha amato una donna, col suo “nipotino” (quasi come un figlio)?

                 Mauro Pedrazzoli     Il foglio 498 (Torino)

www.ilfoglio.info/default.asp?id=18&ACT=5&content=991&mnu=18

CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia

Newsletter CISF -n. 42, 15 novembre 2023

  • FAMIGLIA: PERCHE’ DEVE INTERESSARE ALLA POLITICA. Vi proponiamo da questa settimana una serie di pillole video di alcuni degli autori del Cisf Family Report 2023, che illustrano la questione “politiche familiari” da differenti prospettive disciplinari e metodologiche. L’economista Matteo Rizzolli (Università Lumsa) spiega le ragioni economiche per cui uno Stato si deve occupare di famiglia attraverso le politiche familiari [YouTube – 3 min].           www.youtube.com/watch?v=eF1cUwmx_Yw
  • Politiche al servizio della famiglia”: la rassegna stampa. In concomitanza con la sua uscita in libreria, il nuovo CISF Family Report, edito da San Paolo

www.sanpaolostore.it/politiche-al-servizio-della-famiglia-9788892243187.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_15_11_2023&isbn=9788892243187&Referral=spe_scheda_libro

 ha ricevuto un ottimo riscontro sulla stampa nazionale. Vi proponiamo qui un articolo riepilogativo che contiene una prima rassegna stampa [a questo link]

cisf.famigliacristiana.it/cisf/cisf-news/articoloCISF/politiche-al-servizio-della-famiglia-la-rassegna-stampa.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_15_11_2023

  • Vi segnaliamo inoltre che la trasmissione che Telenova ha dedicato al CISF Family Report 2023 è disponibile, oltre che on demand sull’app di Telenova, anche su YouTube a questo link.

                                               www.youtube.com/watch?v=lIy8oO6siv8

  • Svezia, calo storico delle nascite. Secondo nuovi dati le nascite continuano a diminuire in Svezia: il numero di bambini nati per donna è attualmente il più basso da oltre 50 anni. Da gennaio a settembre 2023 in Svezia sono nati poco meno di 77.300 bambini, con una diminuzione del 5,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La fertilità in Svezia è diminuita gradualmente dal 2000 in poi. Su questo trend incidono, secondo gli esperti dell’Ufficio Statistico, l’andamento economico, il livello di istruzione, la partecipazione alla vita lavorativa e diversi fattori sociali, come ad esempio i cambiamenti nella politica familiare.                            ……..……www.scb.se/pressmeddelande/barnafodandet-sjunker–lagsta-pa-over-50-ar
  • Suicidio assistito o malati assistiti? È il titolo di un documento pubblicato dalla Conferenza episcopale del Triveneto, che propone una riflessione a più livelli sul tema dell’accompagnamento dei malati inguaribili – i quali, sottolineano i vescovi, non sono da considerarsi per questo incurabili – e sulla capacità del territorio e delle strutture sanitaria di dare risposte che prevedano la presa in carico e il sollievo attraverso le cure palliative. “Primo compito della comunità civile e del sistema sanitario è assistere e curare, non anticipare la morte“, si legge nel documento [qui il testo integrale]
https://salute.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/26/2023/10/31/Documento-DEF-Suicidio-assistito-o-malati-assistiti-ott-23.pdf
  • Dal 21 novembre parental control automatico sui telefonini (intestati ai) minori. Seguendo una delibera emessa dall’Agcom [qui il documento]

www.agcom.it/documents/10179/32201180/Comunicazione+08-11-2023/4e1ea6b7-1690-4f84-8058-221f3a2d6373?version=1.0

 dal 21 novembre scatterà un parental control automatico che impedirà ai minorenni di collegarsi a siti dannosi come quelli porno, d’azzardo o con contenuti violenti (ma ciò solo se le sim sono intestate ai ragazzi). Peraltro, l’oscuramento vale solo per la navigazione via web e non per le applicazioni come TikTok, Facebook, Instagram, WhatsApp. Sulle nuove disposizioni segnaliamo questo approfondimento.

                www.ilsussidiario.net/news/siti-oscurati-sui-telefoni-minorenni-parental-control-dal-21-novembre-come-funzionano-le-nuove-regole/2616125/

  • Web e giovani, una nuova frontiera per tutti: come affrontarla? È il titolo di un percorso organizzato da Diesse Lombardia, Esserci, Articolo 26 e Sindacato delle Famiglie di Milano e che ha coinvolto molti esperti, in appuntamenti dal vivo, per dipanare i vari interrogativi educativi che pone l’uso delle tecnologie da parte dei giovani e giovanissimi. Ne è derivato un prezioso quaderno consultabile online [Parte 1 – Parte 2 – Parte 3]

                 www.flipbookpdf.net/web/site/4cbf12d026266cd391096d556f37cb0085b90b81202309.pdf.html#page/1

www.flipbookpdf.net/web/site/3cc648fba93615615cca8404f4d9f61dd365faee202309.pdf.html

www.flipbookpdf.net/web/site/904c317480623a7bf71089b997f6b9e5848b6830202309.pdf.html

  • Conduttore di gruppi di coppie e genitori. L’ASAG-Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli propone la IX edizione dei Percorsi di Enrichment Familiare, fondati sul modello relazionale-simbolico di Vittorio Cigoli ed Eugenia Scabini, con l’obiettivo di trasmettere il quadro teorico di riferimento per realizzare interventi di gruppo rivolti alla famiglia; favorire un confronto e una riflessione sull’esperienza di conduzione di gruppi di coppie e di genitori; acquisire strumenti operativi per una immediata applicabilità alla pratica professionale. Il corso è strutturato in sette moduli tra il 17 gennaio e il 04 luglio 2024 (follow-up: febbraio 2025) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano. Scadenza iscrizioni: 8 gennaio 2024 [tutte le info]    https://inbreve.unicatt.it/exc-conduttore-gruppi-coppie-e-genitori
  • Save the date
  • Convegno (Milano)20 novembre 2023 (9.15-18). “Insieme. Sguardi. Futuri“, evento inaugurale legato alla celebrazione del quarantennale del Dipartimento di Pedagogia dell’Università Cattolica di Milano [qui il programma                             www.unicatt.it/eventi/ateneo/milano/2023/Insieme-Sguardi-Futuri.html
  • Webinar (IT)21 novembre 2023 (17-19). “Quale formazione per la famiglia accogliente. Conoscenze, esperienze, pratiche” a cura del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II [qui per programma e iscrizioni]

www.istitutogp2.it/wp/2023/11/09/quale-formazione-per-la-famiglia-accogliente

  • Incontro (Milano/Web)23 novembre 2023 (inizio ore 21). “Scegliersi ancora. La coppia è un work in progress” a cura del Centro Giovani Coppie San Fedele [qui per info e per iscrizioni allo streaming]
https://mailchi.mp/410920163ce7/centro-giovani-coppie-san-fedele-conferenza-del-23-novembre-2023?e=dc6e7d7dc1
  • Convegno (Vicenza) – 24 novembre 2023 (8.30-17.30). “Per un patto educativo di comunità” a cura dell’Associazione di psicologia per l’infanzia, l’adolescenza e la famiglia [qui per il programma]
https://assistentisociali.veneto.it/as/wp-content/uploads/2023/11/Convegno-Psiaf-24.11-Vicenza.pdf
  • Presentazione (Cinisello B./Mi) 24 novembre 2023 (inizio ore 21).La regola dell’amore” presentazione del volume di G. Attanasio, L. Catalano, I. Giudici nell’ambito della Settimana diocesana dei Centri culturali cattolici [qui la locandina]

www.famigliacristiana.it/media/pdf/cisf/la_regola_del_amore_24_novembre_2023.jpeg

  • Webinar (EU) – 28 novembre 2023 (inizio ore 9 ET).From Data to Action: a course on analyzing and using the Violence Against Children & Youth Surveys (VACS) for researchers and advocates“, a cura di Togheter For Girls and London School of Hygiene [qui per info e iscrizioni]

www.togetherforgirls.org/en/events/from-data-to-action-a-course-on-analyzing-using-the-vacs

Iscrizione    http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio    http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=oxz49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vu3rNCLM

CHIESA NEL MONDO

In Spagna dilaga lo scandalo abusi: 440mila vittime. I vescovi contestano i dati

Con circa 440mila persone vittime di abusi sessuali nel contesto ecclesiale, pari all’1,13% della popolazione maggiorenne spagnola – di cui circa la metà vittima di un prete o un religioso cattolico – il rapporto sugli abusi pubblicato il 27 ottobre scorso, che copre gli ultimi 50 anni, fa della Spagna il paese con la più alta proiezione ufficiale di persone colpite, con un 30% in più rispetto alla Francia, il cui Rapporto Sauvé contava 330.000 vittime nel 2021.

La metà dei casi, circa 200 mila, riguarderebbe minori. Il rapporto si basa su un sondaggio condotto su 8.000 persone e commissionato dalla commissione d’inchiesta sul fenomeno avviata dal Parlamento e curata dall’istituzione del Difensore civico. Un’indagine durata 15 mesi, nata da una grande inchiesta giornalistica del quotidiano El País.

Ángel Gabilondo, difensore civico, che ha coordinato i lavori di un anno e mezzo della commissione, ha precisato in conferenza stampa, il 27 ottobre stesso, che la maggior parte degli abusi si è verificata tra il 1970 e il 1990. Inoltre, la commissione di esperti ha intervistato 487 vittime di abusi sessuali, dei quali circa un terzo ha evidenziato problemi emotivi legati allo stress post-traumatico. Per il difensore civico, che ha consegnato ufficialmente il rapporto di oltre 700 pagine al parlamento spagnolo, che lo aveva commissionato nel marzo 2022, il testo è una «risposta» alla «sofferenza e alla solitudine» delle persone colpite.

Nella Chiesa cattolica spagnola «purtroppo da molti anni prevale una certa volontà di negare gli abusi o di nascondere o proteggere gli autori di abusi», ha denunciato Gabilondo. Tra le raccomandazioni del rapporto spicca «la creazione di un fondo statale per risarcire» le vittime. La Chiesa cattolica, che per anni ha rifiutato categoricamente qualsiasi indagine esaustiva, ha rifiutato di partecipare alla commissione, anche se alla fine ha fornito i documenti.

La Conferenza episcopale del Paese, che non ha immediatamente commentato la notizia, si è riunita il 30 ottobre in un’assemblea plenaria straordinaria per esaminare il lungo rapporto. I vescovi, a loro volta, avevano commissionato, nel febbraio 2022, una indagine sugli abusi allo studio legale Cremades & Calvo Sotelo, che tuttavia non ha rispettato le scadenze per la consegna, prevista già diversi mesi fa, motivando il ritardo con la lentezza del Dicastero per la Dottrina della Fede nel rispondere alla richiesta di confermare alcuni dati e casi. Il comunicato diffuso al termine dell’assemblea esprime una posizione difensiva dei vescovi: pur definendo «preziose» le raccomandazioni proposte dal Difensore civico, e promettendo la loro applicazione in un percorso la cui progettazione è affidata al Servizio Tutela Minori della Conferenza episcopale, hanno criticato «l’estrapolazione» dei dati dell’indagine che, in quanto frutto di una proiezione su base statistica (un metodo simile a quello utilizzato dalla Commissione Ciase in Francia) «non corrisponde alla verità», e hanno condizionato la partecipazione al fondo di risarcimento all’estensione di tale risarcimento ad altri settori della società.

«Gli abusi commessi nella Chiesa fanno male. Sorprendente è anche l’estrapolazione effettuata dai dati ottenuti in un sondaggio allegato al rapporto», si legge nel comunicato dei vescovi; «essi non corrispondono alla verità né rappresentano il gruppo di sacerdoti e religiosi che lavorano lealmente e con dedizione della loro vita al servizio del Regno».

Stesso discorso “bifronte” per il presidente della Conferenza episcopale e arcivescovo di Barcellona,

 card. Juan José Omella*1946,   che, pur insistendo sul suo rammarico per gli abusi sessuali nella Chiesa («non ci stancheremo di chiedere perdono alle vittime e di lavorare per la loro guarigione», ha detto) ha anche puntato il dito contro una presunta manipolazione dei dati: «Le cifre estrapolate da alcuni media sono bugie e hanno lo scopo di ingannare», ha affermato in un post su X (ex Twitter) il 31/10. Un atteggiamento che ha fatto titolare un commento di El PaísI vescovi deludono” (2/11): «Invece di riconoscere l’entità del problema e il danno causato alle vittime e alle loro famiglie, il presule reagisce attribuendo una certa “intenzionalità” all’estrapolazione delle cifre, quando in realtà la squadra del Difensore civico ha applicato scienze sociali precise e indiscutibili operazioni matematiche». «La gerarchia cattolica spagnola si è mostrata molto riluttante fin dall’inizio a seguire i passi compiuti dalle conferenze episcopali di paesi come Stati Uniti, Germania, Francia, Portogallo o Irlanda, che già da tempo – i vescovi statunitensi hanno preso la decisione nel 2003 – hanno incaricato di propria iniziativa di indagare sugli abusi sessuali nella loro area di responsabilità, hanno pubblicato i risultati e li hanno accettati», scrive El País. «In Spagna, al contrario, i funzionari ecclesiastici hanno sempre minimizzato il grave problema ricorrendo all’espressione “casi specifici”», e mentre «non ci sono ancora risultati dal lavoro investigativo della Chiesa cattolica spagnola, che non ha rispettato i tempi promessi», ora questa «smentisce le cifre del rapporto del difensore civico e condiziona la sua collaborazione economica con una premessa che è praticamente impossibile da realizzare a breve termine. Si tratta di un atteggiamento ripetuto e prolungato di mancanza di collaborazione».

Ludovica Eugenio            Adista Notizie n° 38       11 novembre 2023

www.adista.it/articolo/70881

Scontro fra il papa e il clero Usa: la linea di resistenza è in Texas

La chiesa cattolica è come un binario unico con due treni in corsa da parti opposte: arriva il momento in cui uno dei due deve fermarsi per evitare lo scontro. In questi giorni, il collo di bottiglia è a Tyler in Texas, una delle quasi duecento diocesi cattoliche degli Stati Uniti, retta da mons. Joseph Strickland *1958

che ne è stato vescovo fino alla rimozione voluta dal papa stesso, dopo due anni di visita apostolica.

È una procedura rara, non inedita, che sarebbe passata sotto silenzio se il vescovo radiato non ne avesse parlato pubblicamente. Per capirci, lo scorso giugno il vescovo di Knoxville ha presentato, nel silenzio totale, le sue dimissioni dopo le indagini per presunta malagestione, e il papa le ha ovviamente accettate.

Ma il Texas non è il Tennessee, e la rimozione di un vescovo nello stato retto da un governatore convertitosi al cattolicesimo manifesta le convulsioni di una guerra di logoramento in atto fra la Santa sede e il fronte conservatore della chiesa statunitense. Per alcuni analisti, le battaglie identitarie di alcuni vescovi, per nulla confortati da Joe Biden, secondo presidente cattolico degli Stati Uniti, sono trincee che li isolano: una settimana fa, per esempio, la vittoria dei gruppi pro-aborto nelle recenti elezioni in Ohio malgrado i milioni di dollari spesi da associazioni cattoliche, sarebbe l’ennesimo inciampo di una chiesa che ha fatto della storica sentenza Roe vs. Wade lo spauracchio di una crociata.

Panico transgender. Nel caso di mons. Strickland, il vescovo ha criticato a più riprese la linea di Roma su temi come i vaccini e le aperture alla comunità Lgbt+. Poco tempo fa, ha definito il Sinodo un «tentativo da parte di alcuni di cambiare il focus del cattolicesimo dalla salvezza eterna delle anime in Cristo all’affermazione dell’indipendenza di ogni persona, indipendentemente dalle scelte di vita». Con le sue dichiarazioni, il presule dà voce a una frangia episcopale reazionaria che difende l’ortodossia cattolica proiettandola sul piano politico: la possibilità di non dare la comunione a politici pro-choice come il presidente Joe Biden o le aperture delle istituzioni cattoliche alla comunità Lgbt+ sono due fra gli argomenti più scottanti. Di recente, Jayd Hendricks, presidente dell’organizzazione conservatrice no-profit Catholic Laity and Clergy for Renewal, ha accusato il papa di proporre temi marginali nella chiesa: «Quest’idea che i vescovi americani siano fissati sulla sessualità è falsa. Sono i leader del Sinodo sulla sinodalità e i delegati nominati dal papa a concentrarsi sull’omosessualità, sul matrimonio e sugli ordini sacerdotali. Molti vescovi qui sono stanchi di p. James Martin  e altri impongono loro la discussione LGBTQ» scrive sul sito conservatore First Things. Ma le cose non stanno così. Pochi mesi fa, il Washington Post ha riferito che l’organizzazione presieduta da Hendricks ha sostenuto l’iniziativa di un gruppo di cattolici per stanare i sacerdoti fruitori di dating app gay e poi farne un’operazione coatta di outing. Tutto questo mentre il governatore Abbott vuole indagare sui genitori che chiedono la terapia ormonale sostitutiva per i figli, spalleggiando il procuratore generale Ken Paxton, amico di Trump, che ha definito alcune terapie di transizione «abusi su minori».

Per giunta, il dibattito sulla sessualità non è neppure nuovo. Nel 1984 papa Giovanni Paolo II, dopo due anni di indagini, umiliò fino alle dimissioni

mons. Raymond Hunthausen *1921 †2018 , arcivescovo di Seattle, colpevole di aver assegnato alle donne ruoli di leadership, aver concesso ai credenti gay di Dignity di partecipare alla messa nella cattedrale di Saint James, ed essersi speso per il disarmo nucleare della flotta americana Trident.

Alla ricerca di martiri. Con l’elezione di papa Francesco, primo pontefice latinoamericano, il tenore delle frizioni è cambiato. Il punto di rottura risale al 2018, quando  l’arcivescovo Carlo Maria Viganò,*1941 ex nunzio apostolico negli Usa, ha accusato pubblicamente il papa di negligenza nella gestione del caso del    cardinale Theodore McCarrick *1930, abusatore seriale, arrivando a chiederne la rinuncia.

La frangia anti-Bergoglio ha, così, preso nuova linfa in una chiesa dove le diocesi, citate in giudizio per i numerosi casi di abuso, rischiano la bancarotta. Baltimora, la più antica diocesi degli Usa, a settembre ha dichiarato il fallimento dopo l’eliminazione dei termini di prescrizione nello stato del Maryland. Svuotate casse e chiese, il fronte conservatore si fa rappresentante di una minoranza che presunti poteri forti vorrebbero annichilire.

È questa la retorica del martirio di mons. Strickland, che in una recente intervista si è paragonato a un vescovo inglese decapitato da re Enrico VIII per la sua fede. Come spiega Daniele Giglioli in “Critica della vittima” (Nottetempo, 2014): «La verità indiscussa esiste solo per le vittime della non verità. Se la verità è dubbia, la menzogna è certa quando la si subisce».

Ma l’affaire McCarrick, che rappresentava il fronte liberal del clero statunitense – suo l’appello nel 2004 a non fare dell’Eucarestia al candidato dem pro-choice John Kerry un «campo di battaglia politica partigiana» – ha minato anche la credibilità della chiesa senza muri del papa argentino. Dopo il rigorismo di Benedetto XVI, Francesco sta facendo uno sforzo per plasmare un’istituzione trasparente, refrattaria al clericalismo, meno rigida sulla dottrina. Non a caso, fra i membri da lui nominati per la partecipazione al recente Sinodo, figurano gli esponenti di questa chiesa made in Usa: i cardinali Cupich (Chicago), Etienne (Seattle), Gregory (Washington) e McElroy (San Diego).

Eppure le statistiche dicono altro. Secondo un rapporto dello scorso novembre stilato dalla Catholic University of America, più della metà dei sacerdoti ordinati dal 2010 si definisce come «conservatore» in campo teologico e dottrinale. Solo il 44% si sente «moderato», ma il  cambio di passo è evidente: come sottolinea il rapporto, negli anni 1965-1969 si definiva «progressista» il 68% dei preti, attualmente «ridotto quasi a zero».

    Oggi diversi seminari nordamericani sono bolle di resistenza: anche a questo papa Francesco ha reagito con il motu proprio Traditionis Custodes, con cui nel 2021 ha regolato l’utilizzo della liturgia anteriore alla riforma del 1970, in voga in alcuni ambienti conservatori come malcelato rifiuto del rinnovamento del Concilio vaticano II.

Scontro fra sante. La battaglia per la comunione della chiesa negli Usa si consuma anche tra i santi. Per i cattolici conservatori Mother Angelica,*1923-†2016  la suora fondatrice di EWTN, la grossa emittente religiosa degli Stati Uniti, dovrebbe essere candidata a diventare santa. Ma il suo personaggio divide gli americani, il New York Times la definì una «suora scaltra, ma anche nonna di un’epoca passata»: una badessa della tv via cavo intransigente verso le istanze femministe nella chiesa cattolica che, nel corso della sua vita, si scontrò a più riprese con i vescovi più liberal, come mons. David Foley,  che non accettava in lei la nostalgia per le forme liturgiche preconciliari.

Durante la Giornata mondiale della gioventù di Denver nel 1993, bollò come blasfema una via Crucis con Cristo impersonato da una donna. Nonostante questo, nel 2009 papa Benedetto XVI le conferì la Croce d’oro, il riconoscimento più alto di un papa a una personalità laica.

Al contrario, sta procedendo a passo spedito il processo che mira alla canonizzazione di

Dorothy Day *1897-†1980,  l’attivista anarchica convertita al cattolicesimo, che si spese per i poveri di New York. I conservatori non ne sono entusiasti: Day sarebbe la prima santa ad aver abortito, seppure prima della conversione al cattolicesimo.

Eppure su di lei si gioca il tutto per tutto papa Francesco, che nel 2015 la citò davanti al Congresso degli Stati uniti come uno dei pilastri dell’identità americana. È la chiesa dalle due facce che nel Texas, stato della Stella Solitaria, papa Francesco ha cercato forzatamente di unificare.

Marco Grieco   “Domani” 15 novembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231115grieco.pdf

Le elezioni dei vescovi americani sono state un miscuglio per il ‘Team Francis’

Le elezioni per i presidenti dei comitati e per il segretario della Conferenza episcopale americana si sono concluse il 14 novembre con risultati contrastanti. I vescovi hanno rifiutato alcuni dei candidati più estremisti, ma hanno anche negato l’elezione a due dei vescovi che sostengono in maniera più evidente e aperta la direzione in cui Papa Francesco vuole guidare la Chiesa.

                L’elezione per il presidente eletto del Comitato per le comunicazioni è stata vinta dal vescovo William Byrne di Springfield, Massachusetts, che ha sconfitto l’arcivescovo coadiutore Christopher Coyne di Hartford, Connecticut, con un voto di 142 contro 103. Un vescovo mi ha detto prima della votazione che lui pensava che Coyne avrebbe perso: “È stato appena nominato in un’importante arcidiocesi, un segno del favore papale”, ha detto il vescovo. “Potrebbe essere sufficiente per convincere alcuni ragazzi a votare contro di lui.”

                Sospetto che ci fosse un altro fattore in gioco. Byrne non è solo un alunno del Pontificio Collegio Nordamericano, ma vi ha anche insegnato per molti anni l’omiletica. È molto vicino al vescovo James Checchio di Metuchen, New Jersey, che era rettore del college, e al vescovo Austin Vetter di Helena, Montana, che era direttore della formazione spirituale lì. Coyne si laureò a Roma, ma fece i suoi studi in seminario al St. John’s Seminary di Boston. Il tempo trascorso al college colloca l’individuo in una rete che si estende in ogni regione del paese. Byrne ne ha approfittato.

Il vescovo Robert Brennan di Brooklyn, New York, è stato scelto presidente eletto del Comitato per la diversità culturale, sconfiggendo il vescovo Earl Fernandes di Columbus, Ohio. Il voto è stato 126-116. Eleggere qualcuno con origini irlandesi a capo di un comitato sulla diversità culturale potrebbe sembrare un controintuitivo, ma ora lui guida una diocesi che è una delle più diversificate del paese.

Fernandes fece una brutta impressione quando, poco dopo ha sostituito Brennan come vescovo di Columbus, rimosso Padre Paulisti dal ministero universitario della Ohio State University. Di solito, un nuovo vescovo effettua questo tipo di cambiamento del personale non il primo anno di lavoro. Hanno bisogno di tempo per imparare i rudimenti, scopri cosa sta succedendo  e conosci la diocesi.

L’elezione di un nuovo presidente eletto del Comitato per la dottrina ha contrapposto il vescovo James Massa, un ausiliare di Brooklyn, al vescovo John Doerfler di Marquette, Michigan. Doerfler era l’opzione più estrema e raccolto 118 voti contro i 125 di Massa. Questa è stata una vittoria per il centro sano di mente.

Allo modo stesso, il vescovo Daniel Thomas di Toledo, Ohio, ha battuto l’arcivescovo di San Francisco Salvatore Cordileone nella competizione per diventare presidente del Comitato eletto per le a favore della vita, con un voto di 161 a 84. L’errata minaccia di Cordileone di negare la Comunione all’ex presidente della Camera Nancy Pelosi, ma la maggior parte dei vescovi chiaramente ha concluso che un approccio conflittuale non era da associare all’intera conferenza. Un’altra vittoria per il Sanity caucus.

Il vescovo David O’Connell di Trenton, New Jersey, è stato eletto presidente del Comitato per l’educazione di una 144 voti favorevoli contro 101 ottenuti dal vescovo James Conley di Lincoln, Nebraska .Il successo del mandato di O’Connell viene in quanto è presidente dell’Università Cattolica d’America che ha senza dubbio un’area favorevole. Inoltre, Conley era un ausiliare dell’arcivescovo Charles Chaput a Denver, cioè parte di quella che colloquialmente detta come la “mafia di Denver”, un gruppo di guerrieri della cultura aggressivamente conservatori riuniti da Chaput durante il suo mandato a Denver. I presidenti universitari e del college in tutto il paese hanno tirato un sospiro di sollievo al risultato.

Non è chiaro cosa guidò la selezione dei vescovi del vescovo Daniel Mueggenborg, di Reno, Nevada, sul vescovo Shawn McKnight di Jefferson City, Missouri, come presidente eletto del Comitato per la “raccolta nazionale)i. Il voto è stato di 146-97.

Nel concorso per il segretario della conferenza, l’arcivescovo Paul Coakley di Oklahoma City, Oklahoma, ha facilmente sconfitto l’arcivescovo Alexander Sample di Portland, Oregon, con un voto di 187-55. Entrambi gli uomini sono fermamente conservatori, ma Coakley è ben voluto e meglio conosciuto. Inoltre, ha assunto la carica di segretario ad interim l’anno scorso.

Sconfiggendo il cardinale Joseph Tobin di Newark, New Jersey- Si‘. Quel concorso è stato un voto diretto tra il Team Francis e quelli meno ben disposti nella direzione in cui Francesco sta guidando la chiesa. Coakley contro Sample era più di un concorso “cosa è da scegliere”.

A conti fatti, questi risultati sono misti, ma i vescovi hanno almeno iniziato a fare un passo lontano dall’elezione dei presidenti del comitato più allineati con un approccio di cultura guerriero in molti dei concorsi. La conferenza è molto, molto lontana dal diventare la vibrante conferenza che ricordiamo dagli anni ’80 e ’90. Quella vivacità potrebbe non tornare mai più. Ma almeno c’erano alcuni barlumi di speranza che i vescovi siano sempre più inclini all’aggressività rappresentata da vescovi come Cordileone, Doerfler o Conafia di Denver”.

Michael Sean Winters  National Catholic Reporter        15 novembre 2023                         traduzione automatica

www.ncronline.org/opinion/ncr-voices/us-bishops-elections-were-mixed-bag-team-francis

CITTÀ DEL VATICANO

Trans e Vaticano: è la “svolta” buona?

Ha fatto comprensibilmente molto scalpore nell’opinione pubblica il Responsum del Dicastero per la Dottrina della Fede – firmato dal prefetto card. Víctor Manuel Fernández, controfirmato da papa Francesco il 31 ottobre (e diffuso l’8 novembre) – che risponde ad alcuni dubia inviati da un vescovo brasiliano, mons. José Negri, vescovo di Santo Amaro, riguardanti la partecipazione ai sacramenti del battesimo e del matrimonio di persone transessuali e omoaffettive. Sulle quali, è evidente, pesa il pregiudizio – ancora cristallizzato nel Catechismo della Chiesa cattolica – di «dubbi sulla situazione morale oggettiva».

www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_ddf_20231031-documento-mons-negri.pdf

Queste le risposte vaticane:

  1. quanto al battesimo di una persona transessuale, il documento dichiara che sì, esso è possibile, in particolare in ragione della «fedeltà dell’amore incondizionato di Dio, capace di generare anche col peccatore un’alleanza irrevocabile, sempre aperta a uno sviluppo, altresì imprevedibile. Ciò vale persino quando nel penitente non appare in modo pienamente manifesto un proposito di emendamento, perché spesso la prevedibilità di una nuova caduta «non pregiudica l’autenticità del proposito». Ecco perché Francesco, prosegue il documento, «ha voluto sottolineare che il battesimo “è la porta che permette a Cristo Signore di stabilirsi nella nostra persona e a noi di immergerci nel suo Mistero”». Questo implica concretamente che “nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è ‘la porta’, il Battesimo […] la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”». In ogni caso, si ribadisce, la Chiesa «dovrà sempre richiamare a vivere pienamente tutte le implicazioni del battesimo ricevuto, che va sempre compreso e dispiegato all’interno dell’intero cammino dell’iniziazione cristiana».
  2. Il secondo quesito riguarda la possibilità, per una persona transessuale, di essere padrino o madrina di battesimo: sì, a determinate condizioni, rispondenti a criteri di «prudenza pastorale» da applicare laddove «si verificasse pericolo di scandalo, di indebite legittimazioni o di un disorientamento in ambito educativo della comunità ecclesiale».
  3. Per quanto riguarda i genitori omoaffettivi (il documento vaticano non parla mai di persone Lgbt+), la risposta alla domanda se possano «figurare come genitori di un bambino, che deve essere battezzato, e che fu adottato o ottenuto con altri metodi come l’utero in affitto»: «Perché il bambino venga battezzato ci deve essere la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica», è la risposta. Una persona omoaffettiva può anche essere padrino di un battezzato, ma solo se dimostra di condurre «una vita conforme alla fede e all’incarico che assume». Diverso è il caso in cui la convivenza di due persone omoaffettive consista non in una semplice coabitazione, bensì in una stabile e dichiarata relazione more uxorio, ben conosciuta dalla comunità. Anche in questo caso, tuttavia, si invoca la «prudenza pastorale» per «salvaguardare il sacramento del battesimo e soprattutto la sua ricezione».
  4. L’ultimo quesito riguarda la possibilità per una persona omoaffettiva di fare da testimone a un matrimonio: anche in questo caso, risposta netta: «Non c’è nulla nella vigente legislazione canonica universale che proibisca ad una persona omoaffettiva e che convive di essere testimone di un matrimonio».

Un passo avanti? Il Responsum del Vaticano va certamente in direzione opposta a quanto affermato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2015, quando il vescovo di Cadiz e Ceuta, mons. Rafael Zornoza, chiese al Vaticano come comportarsi davanti alla richiesta di una persona transessuale di fare da padrino a un battesimo. In quel caso la risposta – prefetto era all’epoca l’intransigente e ultraconservatore card. Ludwig Gerhard Müller – fu negativa: «La informo dell’impossibilità della sua ammissione», scriveva nella risposta Müller, citato dallo stesso Zornoza in una successiva lettera ai fedeli (riportata da Il Sismografo (9/11). «Lo stesso comportamento transessuale rivela pubblicamente un atteggiamento contrario all’esigenza morale di risolvere il proprio problema di identità sessuale secondo la verità del proprio sesso. Pertanto, è evidente che questa persona non ha l’esigenza di condurre una vita secondo la fede e l’ufficio di padrino (CIC, can 874 §1,3), e quindi non può essere ammessa né all’ufficio di madrina né a quello di padrino». «Non vediamo in questo una discriminazione – proseguiva Müllerma solo il riconoscimento di un’oggettiva mancanza dei requisiti che per loro natura sono necessari per assumere la responsabilità ecclesiale di essere padrino».

Nel 2019, il severo documento della Congregazione per l’Educazione cattolica Maschio e femmina li creò venne definito da p. James Martin «un dialogo con filosofi e teologi […], non con scienziati e biologi, né con psicologi, né sicuramente con le persone LGBT alle cui esperienza viene dato poco o nessun peso».

                Per quanto riguarda l’omoaffettività, se, da un lato, la Chiesa non esclude nessuno dal battesimo perché, per Francesco, «la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa», dall’altro pesa sempre il giudizio sul tipo di relazione della coppia omoaffettiva, che non trova effettiva legittimazione; anche qui, il richiamo alla “prudenza pastorale” fa ricadere sempre in capo alle autorità ecclesiastiche il giudizio finale. C’è inoltre da notare che il linguaggio utilizzato dal Dicastero è poco preciso e non inclusivo: parla infatti di “persone transessuali” (che mirano dunque alla riattribuzione del sesso) intendendo persone transgender, un termine (e un concetto) molto più ampio che indica un’identità o un’espressione di genere diversa da quella con cui sono nati. Stessa cosa per “persone omoaffettive”: definizione che non abbraccia tutto lo spettro indicato dall’acronimo Lgbtqia+.

Ludovica Eugenio             Adista Notizie n° 39      18 novembre 2023

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

78ª Assemblea Generale Straordinaria: Comunicato finale

l tema della speranza ha fatto da filo conduttore ai lavori della 78ª Assemblea Generale Straordinaria che si è svolta ad Assisi (Domus Pacis, Santa Maria Angeli) dal 13 al 16 novembre 2023 sotto la guida del Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI. Hanno preso parte ai lavori il Nunzio Apostolico in Italia, Cardinale Emil Paul Tscherrig, 202 membri e 10 Vescovi emeriti, alcuni rappresentanti di presbiteri, religiosi e religiose, degli Istituti secolari e della Consulta Nazionale delle Aggregazioni laicali.

Saldi nella speranza. Il contesto storico in cui stiamo vivendo sembra indurre a pensieri negativi sul presente e sul futuro. Le guerre e, in generale, le rivalità tra singoli, gruppi, nazioni o blocchi di nazioni, trovano ampio spazio nei media e, di conseguenza, scavano nella mente e nel cuore delle persone. Il Cardinale Presidente, introducendo i lavori dell’Assemblea Generale Straordinaria, ha voluto porre l’accento su un tema in controtendenza rispetto all’attualità: “Pensando a questa introduzione mi sono chiesto cosa mi stia più a cuore in questo tempo assai delicato, che la nostra Chiesa e l’umanità intera stanno attraversando: è la speranza. Questa libera dal suo contrario, la velenosa disillusione con quello che comporta e la disperazione che prende quando il buio avvolge tutta la vita”.

La Chiesa, hanno convenuto i Vescovi, vuole vivere dello spirito di cui viveva Abramo, secondo San Paolo: “Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza” (Romani 18.). È la speranza a costituire la Chiesa nella sua identità più profonda, missionaria di pace e di riconciliazione nel mondo. Per questo, la Chiesa può a sua volta essere generatrice di speranza. Questo messaggio, è stato evidenziato nei diversi interventi, è rivolto anzitutto alle nuove generazioni, portatrici sane di grandi idee e sempre aperte alle novità positive. Preparare questo futuro è responsabilità di ogni persona di buona volontà e la comunità credente si sente in prima linea in questa sfida. Abitando le periferie e ascoltando il dolore e i desideri della gente, soprattutto dei più poveri, la Chiesa desidera anche farsi voce di chi non ce l’ha. Nell’accoglienza e nella comunione concreta di vita può fiorire la speranza che le cose possano cambiare davvero in meglio.

Lo sguardo alle sfide del Paese. I Vescovi hanno concordato sulla necessità di guardare alle sfide del Paese e del mondo intero con un atteggiamento propositivo e di fiducia, vero antidoto all’individualismo e alla frammentarietà. Va in questa direzione l’invito a prestare maggiore attenzione ai giovani, spesso lontani dalle comunità ma bisognosi di riferimenti. Senza con questo dimenticare alcune fatiche molto concrete, come il caro affitti e quelle condizioni abitative che precludono una certa stabilità. In linea con quanto emerso anche dal Cammino sinodale e dal percorso del Sinodo universale, occorre allora investire su una pastorale che, con linguaggio e modalità nuovi, riesca a veicolare la speranza nel presente e nel futuro, ovvero in un mondo in cui ciascuno veda riconosciuti e garantiti i propri diritti umani. A partire dai migranti, che rischiano di essere destinatari di scelte di dubbia realizzazione e di dubbio contenuto. E ancora: le persone più deboli e fragili, a cui va assicurato il diritto di vivere dignitosamente e di ricevere sempre cure adeguate.

Dinanzi al rischio di confondere dei meri desideri con libertà garantite dalla legge, i Vescovi hanno ribadito che nel riconoscimento e nell’esercizio dei diritti umani è necessario aver riguardo della rete di relazioni in cui ogni persona è inserita, considerando ogni essere umano nel tessuto della propria comunità e non in un astratto ed egoista individualismo.

La vicinanza alla Terra Santa. La preoccupazione per la situazione internazionale e l’invocazione per la pace hanno caratterizzato tutte le sessioni dei lavori, ma in particolare quella del 15 novembre, aperta con il videocollegamento con il Card. Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, che ha presentato la situazione attuale in Terra Santa. “Sono – ha spiegato – 1.400 le vittime israeliane dell’attacco del 7 ottobre, oltre 11mila i morti accertati a Gaza, gran parte civili di cui almeno 4.000 i minori. Gli sfollati in Israele sono circa 100mila, mentre a Gaza almeno 1 milione”. I cristiani presenti a Gaza, dove “le infrastrutture sono completamente distrutte”, sono “meno di un migliaio, accolti in un centro ortodosso e in una parrocchia cattolica nella zona settentrionale, sotto bombardamenti continui e al centro delle operazioni militari”. “Diamo inoltre alloggio – ha aggiunto – a circa 3.000 musulmani, ospitati nei locali di una scuola”. Grande, ha continuato, “è la preoccupazione anche per i cristiani che si trovano a Betlemme e nelle zone limitrofe e per quelli sparsi in Cisgiordania”. Nel ringraziare la Chiesa in Italia per la vicinanza concreta e spirituale, il Patriarca di Gerusalemme dei Latini ha espresso l’auspicio che si arrivi presto a una soluzione che garantisca pace e sicurezza per tutti. “Preghiamo – ha concluso – per tutte le vittime innocenti. La sofferenza degli innocenti davanti a Dio ha un valore prezioso e redentivo, perché si unisce alla sofferenza redentrice di Cristo. Che la loro sofferenza avvicini sempre di più la pace e non contribuisca a generare altro odio”. Un pensiero particolare alla Terra Santa e a tutti i conflitti in corso è stato rivolto dai Vescovi italiani nella Celebrazione Eucaristica per la pace che si è svolta nel pomeriggio del 15 novembre nella Chiesa Inferiore della Basilica di San Francesco, al termine della processione partita dalla Basilica di Santa Chiara.

L’impegno e la preghiera per la pace. I Presuli hanno approvato una Dichiarazione per la pace, nella quale affermano: “Come Vescovi, riuniti in Assemblea Generale ad Assisi, esprimiamo la nostra preoccupazione per l’escalation di violenza e odio di questi giorni, che sta assumendo proporzioni sempre più tragiche. Sentiamo impellente il compito di denunciare le logiche della contrapposizione e dell’individualismo, e di favorire la collaborazione e la riconciliazione. Sogniamo un mondo che sia davvero casa di tutti, dove il riconoscimento della dignità umana cammini di pari passo con il dovere di amare gli altri come fratelli e sorelle. Guardiamo con particolare dolore alla situazione in Medio Oriente e rinnoviamo l’appello al “cessate-il-fuoco”, facendo nostre le parole di Papa Francesco: «Le armi si fermino, non porteranno mai la pace, e il conflitto non si allarghi! Basta! Basta, fratelli, basta! A Gaza, si soccorrano subito i feriti, si proteggano i civili, si facciano arrivare molti più aiuti umanitari a quella popolazione stremata. Si liberino gli ostaggi, tra i quali ci sono tanti anziani e bambini» (Angelus, 12 novembre 2023). Insieme al Medio Oriente, il nostro pensiero va anche all’Ucraina, al Sud Sudan e ai tanti altri luoghi segnati da conflitti spesso dimenticati. Non possiamo rassegnarci al silenzio: sentiamo forte l’imperativo a comunicare il Vangelo dell’unità e della riconciliazione in un mondo sprofondato nelle tenebre ma desideroso di luce. Da Assisi, la Città della Pace, con l’intercessione di San Francesco, eleviamo la preghiera a Cristo nostra pace (Ef 2,14), che ha la forza per abbattere il muro di inimicizia. Egli sostenga l’impegno di tutti gli uomini e le donne di buona volontà, nella consapevolezza che la costruzione della pace è responsabilità di tutti. Non vogliamo che la cultura dell’odio e del pregiudizio continui a seminare divisione, distruzione e morte. Questa è una sfida da affrontare insieme, non più procrastinabile. Nel cantiere della pace c’è posto per tutti: «C’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia» (Fratelli tutti, 225)”.

Una nuova Ratio per i Seminari. Il tema principale dell’Assemblea è stato approfondito nell’ampio dibattito che ha fatto seguito alla relazione principale dedicata alla presentazione della Ratio formationis sacerdotalis per i Seminari in Italia. I Vescovi hanno approvato il documento che coniuga l’adeguamento alla Ratio Fundamentalis con i contributi dei Presuli e dei formatori, offrendo orientamenti comuni e indicazioni condivise perché ogni singola Conferenza Episcopale Regionale possa costruire il progetto formativo dei propri Seminari. Il testo, emendato secondo le indicazioni dell’Assemblea, sarà ora sottoposto alla conferma da parte del Dicastero per il Clero. I Presuli hanno rimarcato l’importanza della formazione permanente per rispondere alle sfide della società attuale e per venire incontro alle mutate condizioni della vita e del ministero dei presbiteri. Riprendendo le parole del Cardinale Presidente, l’Assemblea ha sottolineato che la figura del prete è decisiva in una Chiesa di popolo, che sia vicina alla gente e che sia fermento nella storia del Paese. Non a caso, la discussione nei gruppi di studio ha fatto emergere la riflessione sulla distribuzione del clero sul territorio e la necessità di una pastorale declinata in una chiave realmente sinodale. I lavori sono stati occasione per ribadire la gratitudine della Conferenza Episcopale Italiana ai sacerdoti per il loro ministero in un contesto in continuo mutamento e, al tempo stesso, per la loro dedizione a creare spazi ecclesiali di ascolto cordiale e di serio accompagnamento vocazionale.

Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia. L’Assemblea ha fatto il punto della situazione sul Cammino sinodale delle Chiese in Italia. La Sintesi della prima sessione del Sinodo dei Vescovi, tenutasi in Vaticano dal 4 al 29 ottobre, presenta molti punti in comune con le Linee Guida, lo strumento consegnato alle Chiese in Italia per questo anno sapienziale. La consonanza non è casuale: nel maggio 2021 si è deciso che il primo anno del Cammino sinodale si plasmasse interamente sulle proposte del Sinodo universale. Nel confronto assembleare, i Vescovi hanno chiesto comunque un’attenzione particolare alle indicazioni che la Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi offrirà a tutte le Chiese, integrandole se necessario nei lavori dell’anno di discernimento. L’Assemblea è stata poi informata circa le tappe del Cammino nell’anno pastorale in corso. Infine, ha stabilito un cronoprogramma per la terza e ultima fase del Cammino, quella “profetica”, nella quale verranno assunti orientamenti e decisioni, approvando la seguente mozione: “I Vescovi italiani riconfermano in questa Assemblea la bontà del percorso intrapreso con il Cammino sinodale che, avendo coinvolto molti fedeli, comunità cristiane e realtà sociali, si avvia verso la fase profetica per maturare proposte condivise. Questa fase del Cammino sarà scandita da due Assemblee sinodali propositive, da tenersi orientativamente nel novembre 2024 e nella primavera 2025. A queste parteciperanno i Vescovi italiani, i referenti diocesani del Cammino sinodale, i membri del Comitato Nazionale ed eventuali altri invitati. L’Assemblea CEI del maggio 2025 raccoglierà le proposizioni e darà loro forma definitiva. Questa Assemblea Generale Straordinaria dà mandato al Consiglio Permanente di approvare un regolamento che stabilisca il calendario delle Assemblee sinodali, insieme alla loro composizione, alle modalità di lavoro e alle finalità”.

Tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Alla vigilia della III Giornata di Preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi (18 novembre 2023), i Vescovi hanno ascoltato la toccante audio-testimonianza di una vittima di abusi già incontrata dalla Presidenza CEI e che fa parte di un gruppo di vittime che si sono rese disponibili ad accompagnare il lavoro del Servizio Nazionale per la Tutela dei Minori. Sono stati dunque presentati i dati della II Rilevazione sulla rete territoriale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Tra gli elementi più significativi certamente l’incremento e il consolidamento della rete dei Servizi e dei Centri di ascolto e il fatto che, dalla prima Rilevazione il numero degli incontri formativi è triplicato così come il numero dei contatti. Si è dunque dato seguito alle Linee di azione approvate dalla 76ª Assemblea Generale (23-27 maggio 2022), in particolare circa la diffusione capillare dei Servizi e dei Centri di ascolto. Intanto, stanno proseguendo le attività che vedono coinvolti l’Istituto degli Innocenti di Firenze e il Centro Interdisciplinare sulla vittimologia e sulla sicurezza dell’Università di Bologna attraverso la predisposizione di una griglia di lettura di dati statistici. Allo studio poi altre iniziative per favorire l’ascolto anche a livello nazionale e la preparazione di operatori specializzati nell’ambito penale canonico.

www.chiesacattolica.it/78a-assemblea-generale-straordinaria-comunicato-finale

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Zuppi sugli abusi del clero: «Nella Chiesa non c’è prescrizione. Difficile oggi che un vescovo insabbi»

Dalla seconda rilevazione commissionata dalla Cei e presentata giovedì durante l’assemblea generale di Assisi sono emersi 32 casi di abusi segnalati, oltre la metà avvenuti in parrocchia, e 54 le vittime nel 2022. Il presidente della Cei: «Chiunque denuncia anche a distanza di anni viene ascoltato»

Il tema più scottante è quello degli abusi del clero sui minori e il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, non si sottrae durante la conferenza stampa di chiusura dell’Assemblea generale dei vescovi italiani di Assisi in cui è stata presentata la seconda Rivelazione sulle attività di tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nelle diocesi italiane.

«Nella Chiesa non c’è prescrizione», spiega Zuppi, «chiunque denuncia anche a distanza di anni viene ascoltato, e comunque noi facciamo un procedimento interno. In molti casi non c’è un rimando al penale perché prescritto, ma per noi no. Ci sono casi di persone che denunciano solo all’autorità ecclesiastica e non hanno alcuna intenzione di denunciare alle autorità civili, mentre la nostra richiesta è di rivolgersi anche alle autorità civili». Quanto a presunti episodi d’insabbiamento dei casi di abusi da parte dei vescovi, il presidente della Cei ha risposto: «È difficile che oggi un vescovo insabbi. È quasi più pericolosa una valutazione non oggettiva. Semmai il rischio è quasi il contrario: che per prudenza si avviino procedimenti giuridici anche soltanto per verificare i fatti».

                Dalla seconda rilevazione sulle attività dei Servizi territoriali di tutela minori e adulti vulnerabili promossa dalla Conferenza episcopale italiana attraverso il Servizio Nazionale per la tutela dei minori, è emerso che sono stati 32 i casi di presunti abusi segnalati: la maggior parte si riferisce al passato (18, pari al 56,8%) rispetto ai casi attuali (14, pari al 43,8%). Prendendo in considerazione la modalità del presunto abuso, emerge che la maggior parte delle segnalazioni fa riferimento a casi reali (29 in valore assoluto, pari al 90,6%), molto meno a casi relativi ad episodi via web (3 casi pari al 9,4%). Dall’analisi del luogo in cui è avvenuto il presunto abuso reale, emerge che nella maggior parte dei casi si tratta della parrocchia (17 su 29, pari al 58,6%).

Analizzando i casi segnalati per tipologia di abuso, si nota la prevalenza di “comportamenti e linguaggi inappropriati (offese, ricatti affettivi e psicologici, molestie verbali, manipolazioni psicologiche, comportamenti seduttivi, dipendenze affettive, …)”, pari a 20 casi in totale su 74. Il numero di vittime di presunti abusi nel 2022 è risultato pari a 54.

La rilevazione, affidata anche quest’anno agli esperti dell’Università cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza, Paolo Rizzi e Barbara Barabaschi, e riferita al 2022, ha coinvolto i Servizi regionali, diocesani e interdiocesani e i Centri di ascolto diffusi su tutto il territorio nazionale. L’età delle presunte vittime all’epoca dei fatti si concentra nella fascia 15-18 anni (25 su 54). Il secondo gruppo rappresentato tra le vittime è quello composto da chi ha più di 18 anni (19 su 54). Il focus sul genere delle presunte vittime rivela una netta prevalenza di femmine (44) rispetto ai maschi (10). L’analisi del profilo dei presunti autori di reato porta a soggetti di età compresa tra i 40 e i 60 anni, in oltre la metà dei casi, con una media di 43 anni.

                Si tratta per la quasi totalità di maschi (31 su 32), chierici per un terzo, religiosi per un terzo e laici (37%). Con riferimento ai laici, il dettaglio relativo al servizio pastorale svolto indica che i presunti autori di reato, al momento della segnalazione, svolgevano i seguenti ruoli: educatore (5 casi), catechista (1 caso), fondatore di associazione ecclesiale, insegnante di religione, seminarista. Per lo più celibi ma anche 2 sposati.

                Per le opzioni offerte dai Centri di ascolto nei confronti delle presunte vittime nel 2022 prevale l’accompagnamento psicoterapeutico (10 casi) e in seconda battuta la fornitura di informazioni e aggiornamento sull’iter della pratica (9 casi).

È stata data la possibilità di incontrare l’Ordinario o ancora un percorso di accompagnamento spirituale. Altre opzioni sono la consulenza ai genitori, l’incontro con il vicario episcopale, il supporto nell’incontro con le autorità civili e il supporto al sacerdote dell’oratorio. L’offerta dei servizi è stata definita sulla base dei bisogni espressi dalle presunte vittime, sentito il parere degli esperti dell’équipe a supporto dei servizi diocesani per la tutela dei minori. Sono anche attivate azioni di accompagnamento agli autori dei presunti reati di abuso, a partire da percorsi di “accompagnamento psicoterapeutico” (6 casi).

La rilevazione ha visto l’ampia partecipazione delle diocesi italiane: da 166 sono passate a 186, che corrispondono a 190 diocesi su 206 (escludendo le diocesi accorpate e quelle abbaziali), portando la rappresentatività statistica del campione di indagine al 92,2%. Un dato che conferma la crescente sensibilizzazione sul tema e che si realizza in una raccolta di dati “sinodale”, in cui ogni elemento registrato è frutto del diretto coinvolgimento delle centinaia di persone coinvolte nelle strutture pastorali.

                Scendendo nel dettaglio geografico, l’indagine ha visto la partecipazione di 82 diocesi (pari al 45,1% del campione) dell’Italia meridionale, di 60 diocesi (pari al 32,3% del campione) dell’Italia settentrionale e di 44 diocesi (pari al 23,6% del campione) collocate nel Centro Italia. In termini dimensionali, oltre la metà delle diocesi coinvolte sono di media scala, tra 100 e 250 mila abitanti (104) e solo 29 di piccole entità, al di sotto dei 100 mila abitanti.

Antonio Sanfrancesco                                  Famiglia  cristiana           16 novembre 2023

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CONSULTORI UCIPEM

Parma, Ciclo di incontri: Genitori figli e identità sessuale

Nasce uno spazio per genitori che sentono il bisogno di confrontarsi con il tema dell’identità di genere e orientamento  sessuale di figli e figlie adolescenti; dove portare domande, preoccupazioni, emozioni, riflessioni; comprendere quello che i figli stanno vivendo e comunicando; cercare le parole per parlarne con loro.

Gli incontri saranno condotti dalle psicologhe Micaela Fusi e Silvia Levati

2023: 15 novembre- 6 dicembre

2024: 17 gennaio – 7 febbraio – 28 febbraio – 20 marzo

Ciclo di incontri dalle  ore 18 alle ore 20

Via Bixio 71 c/o Famiglia Più’ Odv

Per info ed iscrizioni  0521- 234396

Grazie al PROGETTO OPEN con la Regione Emilia Romagna e il Comune di Parma il percorso è gratuito.

CULTO

Né sul monte Garizim né a Gerusalemme

Ricordo di Giannino Piana

La desacralizzazione è stata, fin dall’inizio, uno dei connotati fondamentali del cristianesimo. In un mondo – quello pagano – costellato di divinità che occupavano gli spazi naturali e presiedevano alle diverse funzioni esercitate dall’uomo non fa meraviglia che i cristiani venissero considerati come atei.

                In continuità con la precedente tradizione ebraica essi adorano un Dio unico, che non esita ad affermare con forza la sua trascendenza. Come JHWH, il Dio di Israele, il quale nel momento in cui si fa alleato del popolo rivendica la sua infinita diversità e distanza, prescrivendo all’uomo di non farsi di lui immagine alcuna e persino di non chiamarlo per nome (Es 20, 4-6), anche il Dio di Gesù Cristo è geloso della sua radicale alterità.

Culto, tempio, legge. La fedeltà a questa alta concezione di Dio ha subìto nel corso della storia della salvezza, sia ebraica sia cristiana, gravi contraccolpi. La tentazione di catturare Dio, asservendolo al proprio potere e ai propri interessi, ha imboccato spesso la strada della sacralizzazione di alcune realtà che hanno a che fare con l’esperienza religiosa. Tra queste un ruolo particolarmente rilevante hanno avuto, nel mondo ebraico, il culto – si pensi alle invettive della predicazione profetica nei confronti del culto materiale – il tempio e, nell’ultima fase – quella del giudaismo – la legge, divenuta, dopo la distruzione del tempio, l’unico riferimento per la religiosità del popolo (cfr Salmo 119).

Nel Nuovo Testamento la tentazione di far coincidere automaticamente la salvezza con l’adesione all’una o all’altra di queste realtà, non riconoscendo che essa è dono di Dio e che la sua acquisizione può avvenire soltanto a condizione che si riconosca la propria povertà e si creino le condizioni interiori per la sua accoglienza, ha continuato a persistere. È questo il motivo principale della polemica di Gesù nei confronti degli scribi e dei farisei, che fanno dell’osservanza della legge lo strumento della propria autogiustificazione, la via attraverso la quale meritare – come ci ricorda la parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18, 9-14) – la salvezza.

                Gesù reagisce per questo con forza ai tentativi di sacralizzare la legge, non destituendola del suo significato, ma portandola alla pienezza («Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento», Mt 5, 17) mediante la sua sottomissione al comandamento più grande, quello dell’amore. Un’analoga posizione Egli assume nei confronti di altri simboli religiosi riguardanti – come scrive l’autore della lettera agli Ebrei – sacerdozio, sacrificio e vittima che non hanno più senso di esistere perché identificati con la sua stessa persona (Ebr 4, 14-16; 5-10).

Né su questo monte né a Gerusalemme. Tale processo si verifica poi anche nei confronti del tempio, che Gesù identifica con il suo stesso corpo (Gv 2, 19-20). Il testo dal quale emerge il suo pensiero al riguardo è soprattutto il brano dedicato all’incontro con la samaritana nella città di Sicar presso il pozzo di Giacobbe. Qui replicando alla donna, che rileva la diversità dei luoghi in cui samaritani e giudei venerano Dio, Gesù le dice: “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così il Padre vuole che siano quelli che lo adorano” (Gv 4, 21-23).

A venire in questo caso affermata con chiarezza è l’abolizione di uno spazio “sacro”. Né il tempio né il monte Garizim possono rivendicare il diritto di essere luoghi esclusivi del rapporto con il divino; non vi sono spazi “separati” (o riservati), perché Dio è presente ovunque, nella profondità delle cose e nell’intimità della coscienza dell’uomo (intimior intimo meo, dice Agostino). Ma la possibilità di riconoscere questa Presenza – è questa la seconda importante affermazione del testo giovanneo – è strettamente dipendente dall’essere “veri adoratori” che si rapportano a lui “in spirito e verità”; che si aprono, in altre parole, all’accoglienza del mistero divino, muovendo dalla propria interiorità e aderendo alla verità della sua manifestazione nella persona del Figlio di Dio.

                La dialettica fede religione. L’istanza contenuta in queste affermazioni non può che avere il primato. La fede in cui si attua l’incontro con Dio non ha bisogno di per sé di sovrastrutture che la incapsulino; è un atto libero che non deve avere vincoli di spazio e di tempo. Tuttavia la possibilità che si generi l’apertura a Dio che si fa sempre per primo a noi incontro è legata all’attuarsi di alcune precondizioni antropologiche, che favoriscono la nostra capacità recettiva. Non è questo il significato del rapporto tra fede e religione?

                Il riconoscimento del primato della fede non implica il rifiuto della religione, la quale è, da un lato, la struttura originaria – l’apertura alla trascendenza (homo naturaliter religiosus) – che consente all’uomo di recepire il dono della fede e, dall’altro, la via attraverso il quale la fede trova la sua possibilità di espressione incarnandosi in atti umanamente significativi. Tra fede e religione sussiste – come è facile intuire – un rapporto dialettico, per il quale la subordinazione della religione alla fede comporta la messa in atto di un costante discernimento per evitare forme di sacralizzazione che costringono quest’ultima a subire un indebito inquinamento.

                È come dire che si tratta di non misconoscere l’importanza della religione per l’accoglienza e il consolidamento della fede e di assumere, nello stesso tempo, un atteggiamento di vigilanza nei suoi confronti per il pericolo della emergenza del “sacro” in senso deteriore.

Uno spazio che faciliti l’interiorizzazione. Il significato dello spazio “sacro” va collocato in questo contesto. Esso costituisce un fattore importante per la creazione di un clima, che favorisca il raccoglimento e la concentrazione meditativa, l’interiorizzazione e l’ascolto; elementi che concorrono a dar vita a quelle precondizioni antropologiche cui si è accennato.

                Questo spazio – è bene sottolinearlo – non può essere ridotto esclusivamente alle mura di una chiesa; esistono e sono diversi gli scenari anche naturali in cui l’atmosfera descritta può prendere vita: si pensi soltanto ad alcuni incantevoli panorami di alta montagna nei quali si è sollecitati a guardare in alto invocando una Presenza che si percepisce vicina. Tuttavia, nonostante queste considerazioni, gli edifici sacri rimangono pur sempre un fattore importante per lo sviluppo del clima cui si è accennato. Certo non ogni tipo di chiesa assolve a questa funzione, perché non sempre si tratta di spazi “sacri” in senso autentico. La possibilità che lo diventino è infatti strettamente connessa alla capacità di associare il livello artistico, che costituisce un paradigma insostituibile, con l’attenzione alla sensibilità propria del contesto culturale in cui si vive, non dimenticando le finalità che tali edifici perseguono e che possono essere conseguite soltanto laddove si rispettano i canoni propri dell’identità dell’arte sacra.

Esistono, a tale proposito, esempi luminosi del passato che hanno ben interpretato lo spirito del tempo, producendo opere di grande prestigio: dalle chiese romaniche alle cattedrali gotiche fino allo stesso barocco (si pensi a quello romano del Bernini e del Borromini). La diversità dei contesti, che determina la varietà degli stili, consente di accostarsi alla ricchezza di una testimonianza che, attraverso i secoli, viene consegnata all’umanità come espressione di una spiritualità diversamente modulata e insieme fedele alla sostanza del messaggio religioso. E questo non riguarda soltanto il passato; si proietta anche nell’oggi nel segno di una vera continuità, se si considerano alcune opere della modernità – è sufficiente ricordare qui tra le molte le chiese di Le Corbusier e del pistoiese Michelucci – nelle quali bellezza e verità sono l’orizzonte di un “sacro” che interpreta, in modo esemplare, la coscienza religiosa dell’uomo contemporaneo.

Il “santo” e il “sacro”: due dimensioni della religiosità. La secolarizzazione ci ha liberato da una forma di “sacro” che faceva da copertura a una serie di realtà, separandole da tutto il resto e trasformandole in contenitori immediati del “divino”, e ci ha fatto scoprire il santo” come una dimensione che pervade nel profondo cose e persone, al di fuori e di là di ogni distinzione. E questo grazie alla presenza dello Spirito che anima dal di dentro l’universo e la coscienza dell’uomo, e che si muove in assoluta libertà senza che si sappia in anticipo donde viene e dove vada. La fede ci aiuta a cogliere questa Presenza laddove di volta in volta si manifesta senza barriere temporali o spaziali.

La riscoperta di questa dimensione, che è la più vera, non si oppone tuttavia radicalmente alla possibilità (e persino alla necessità), di tempi – si pensi al tempus opportunum di alcuni momenti significativi dell’anno liturgico – e di spazi che hanno – come si è ricordato – una funzione strumentale al servizio dell’acquisizione di quelle attitudini che danno all’uomo la possibilità di attingere la “santità” delle persone e delle cose.

                Se lo spazio “sacro” assolve a questa funzione acquisisce una particolare importanza, senza che per questo gli si assegni un’esclusività che non può avere e soprattutto senza pretendere di sostituirsi a quell’adorazione di Dio “in spirito e verità”, che è il modo più autentico di vivere il rapporto con il mistero assoluto.

                Giannino Piana, Già docente di etica cristiana alla Libera Università di Urbino e di etica ed economia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino. Socio fondatore e membro del Gruppo di Riflessione e Proposta di Viandanti.

L’articolo è stato pubblicato, con il titolo “Esiste uno spazio sacro?”, da il “Il Gallo” (nn. 7-8 del 2021

DALLA NAVATA

XXXIII Domenica del tempo ordinario – Anno

Proverbi                              31, 30. Illusorio è il fascino e fugace la bellezza, ma la donna che teme Dio è da lodare.

                                               Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani e le sue opere la lodino alle porte della

                                    città.

Salmo responsoriale    127. 04. Ecco com’è benedetto l’uomo che teme il Signore. Ti benedica il Signore da Sion.

 Paolo 1Tessalonicési      05.04. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi

.                                              come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo

                                               alla notte, né alle tenebre.

Matteo                                25,14-23. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel

                                               poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

«E consegnò loro i suoi beni»

La parabola che il Vangelo di questa domenica ci presenta è forse tra le più conosciute e ricordate. Spesso la lettura che se ne fa è di carattere moralistico: i talenti vengono considerati doni e attitudini e la riflessione verte sull’uso che una persona ne fa nella propria vita. In realtà il testo si potrebbe – e forse si dovrebbe – leggere a partire dal suo senso letterale prima che allegorico. In altre parole siamo di fronte a un racconto che vuole comunicarci un messaggio a partire da una situazione concreta: un padrone ricco che affida a dei suoi impiegati una somma di danaro, da gestire in un determinato tempo, che coincide con la sua assenza dall’azienda o società che sia. La somma che affida a ciascuno è abbastanza considerevole, se teniamo conto che un talento corrisponde all’incirca a 10.000 denari, e che un denaro era la paga giornaliera di un operaio. Stiamo dunque parlando di una somma che corrisponde a circa trent’anni di lavoro per un talento, e lascio ai lettori fare le ulteriori moltiplicazioni per due e per cinque talenti.

Anche se non è specificato che cosa debbano fare i servi del padrone con questi talenti, è implicito da quanto segue che è loro compito farli fruttificare. Di fatto sia il primo che il secondo servo si adoperano a questo fine e, come risulterà al ritorno del padrone, con ottimi risultati. Non così il terzo servo, che ha paura, cioè non vuole correre il rischio di investire la somma affidatagli e preferisce conservare il talento sotto terra, dalle nostre parti si potrebbe dire «sotto il materasso», con la certezza che in questo modo il talento non andrà perso.

Al ritorno del padrone i primi due servi, che hanno saputo moltiplicare il denaro ricevuto, ricevono una «promozione» – fedeli nel poco, ora potranno avere potere su molto –, ma soprattutto ricevono la possibilità di prendere «parte alla gioia» del padrone. Diversamente, il servo timoroso non solo sarà «licenziato», ma anche ridotto allo stremo.

Dietro a questa storiella ci sono alcuni aspetti interessanti dal punto di vista economico, che forse non sempre vengono visti. Il primo è che il denaro è fatto per circolare, per essere investito: un capitale che rimane fermo non solo non produce interessi, ma non produce neanche ricchezza e benessere per tutti coloro che in qualche modo ruotano intorno a qualsiasi investimento produttivo.

Il secondo aspetto riguarda il fattore di rischio: investire del denaro significa accettare di correre il rischio di perderlo. È vero che il rischio può essere ben calcolato e oculato, ma rimane comunque tale. E ben lo sa il terzo servo che, appunto, tale rischio non lo vuole assolutamente correre e nasconde il talento sotto terra.

Ma in questo modo non tiene conto di due aspetti ulteriori, tra loro connessi, che costituiscono un altro tipo di rischio, proprio legato alla non fluidità del denaro. Il primo, come si è già detto, è che se il denaro non circola non produce ricchezza, per sé e per gli altri, il secondo è che tale «stasi» produce, al contrario, una svalutazione del denaro stesso, per cui «quel talento» al ritorno del padrone non varrà allo stesso modo di quando gli era stato affidato.

Oltre a queste brevi riflessioni di carattere «finanziario», ve n’è un’altra di tipo più relazionale/soggettiva: che cosa fa sì che i primi due servi accettino di correre il rischio di investire i talenti affidategli?

Credo che la risposta si possa trovare nella qualità di relazione che i servi hanno nei confronti del loro padrone. In realtà le loro azioni manifestano un rapporto che non si limita a quello tra impiegato e padrone; la loro partecipazione al benessere dell’azienda/società, compreso il rischio che sono disposti a correre, manifesta un legame di appartenenza al loro padrone che va al di là del semplice «dovere contrattuale».

A differenza del terzo servo, infatti, non viene detto come costoro considerano il loro padrone, ma certamente ai loro occhi non appare quell’«uomo duro che miete dove non semina e raccoglie dove non ha sparso», così come invece viene descritto dall’ultimo servo. Ed è proprio la qualità di relazione con il padrone e la loro compartecipazione al bene dell’azienda/società che li rende capaci di affrontare il rischio, ma soprattutto in grado di partecipare alla gioia del loro padrone.

Diversamente, molto distaccata e distante è la relazione tra il terzo servo e il padrone, anzi si potrebbe dire che ai suoi occhi questi sembra essere tutt’altra persona da come lo vedono i primi due. Da tutte queste osservazioni si potrebbero trarre degli input interessanti su come gestire le relazioni in una società/azienda, ma soprattutto si può cogliere il valore del «rischio» che la vita ci pone costantemente davanti; il rischio che ogni scelta comporta, ma anche la consapevolezza che il «scegliere di non scegliere» determina rischi ben maggiori.

Ester Abbattista,                             Il regno                16 novembre 2023

https://ilregno.it/blog/e-consegno-loro-i-suoi-beni-ester-abbattista?utm_source=newsletter-mensile&utm_medium=email&utm_campaign=2023/19

ECUMENISMO

La radice biblica alimenta anche l’ecumenismo

Dolore, sgomento, preoccupazione: silenzio. Questa la sensazione che ci scambiavamo in questi giorni con alcuni amici, laici e cattolici, con i quali avevamo tanto discusso, da un anno e mezzo a questa parte, sulla guerra in Ucraina. Perché ora, di fronte a quella odierna, scoppiata tra Hamas e Israele siamo tutti paralizzati dal senso di un impotente, angoscioso sbigottimento? Sul conflitto tra Russia e Ucraina si confrontavano coordinate più precise: la storia della II Guerra mondiale, dell’Unione Sovietica, della Guerra fredda – ora tragicamente diventata calda, caldissima, e di cui non si vede ancora una soluzione – e per noi cristiani la maggiore conoscenza dell’ecumene, che comunque si infrangeva tristemente con le ulteriori fratture nel mondo ortodosso.

Ma ancora più complicate sono le connessioni di questo nuovo conflitto, che affonda però nell’incancrenirsi di una situazione durata troppi anni: “due popoli due Stati” l’abbiamo sentito e implorato troppe volte, senza che gli egoismi internazionali riuscissero ad attuarlo nei decenni. Un senso di colpa privo di parole ci attanaglia. Riusciamo soltanto a fare silenziosi cortei, come la fiaccolata del 2 novembre a Torino, soltanto con le bandiere della pace. Altrove, purtroppo, si sono innescate le tifoserie, che infiammano solo gli animi.

Avevamo appena cominciato a parlare con l’Islam, ormai presente causa l’immigrazione nel nostro Occidente: non più qualcosa in territori lontani, ma qualcosa che ci coinvolgeva da vicino, e ci obbligava a studiare, a intendere, a impegnarci per uno stato di libertà religiosa, che permettesse i luoghi di culto, e coinvolgesse noi cristiani nel dialogo interreligioso. Avevamo appena cominciato a studiare l’ebraismo, a essere coscienti delle tragedie della Shoah, a celebrare il “Giorno della memoria”, a partecipare alla posa delle “pietre d’inciampo” che costellano i marciapiedi delle nostre città, un monito a non dimenticare, e che ora vediamo talora barbaramente divelte.

Per conoscere la complessità della storia, utilissimo è il recente libro di

Claudio Vercelli *1946  (Israele. Una storia in 10 quadri – Laterza), ricchissimo di fatti e riflessioni, a partire dalla seconda metà del 1800: il sionismo, le emigrazioni in ondate da tutto il mondo, poi le due guerre mondiali, la shoah e la fondazione dello Stato d’Israele, i conflitti con arabi e palestinesi, la Guerra dei Sei giorni, il passaggio dalla sinistra laburista alla destra al governo: ciascuna forza politica attraversata da correnti anche contrapposte al suo interno, fino all’oggi. E, intersecandosi con la politica, le forze religiose nei loro multiformi aspetti, a cui si aggiunge, a partire dagli anni ’90, «un’ulteriore variabile del messianismo ebraico nelle sue diverse sfaccettature col corrispondente “sionismo cristiano” dei movimenti di evangelizzazione protestante negli Stati Uniti, nel convincimento che Eretz Israel e la rinascita di una sovranità giudaica, siano in integrale accordo con la profezia biblica».

Da anni partecipiamo ai lavori dell’“Amicizia ebraico-cristiana” – a cui con Giorgio Bouchard sono sempre stata iscritta, come molti del mondo cattolico, protestante e laico; ho avuto l’onore di intervistare la sua fondatrice, anche promotrice del Sae, Maria Vingiani *1921-†2020/   – che ebbe una medaglia d’oro coniata per il Concilio Vaticano II, con un commosso riconoscimento dell’arcivescovo Loris F. Capovilla, *1915-† 2016

segretario di papa Giovanni XXIII – e che mi raccontò la nascita di questa sua vocazione, a seguito di «una visita che mi ha segnato a fondo– mi disse – dello storico ebreo Jules Isaac *1887-†1963 , fondatore dell’Amicizia ebraico-cristiana in Francia, insieme al figlio che era una larva, scampato ad Auschwitz, dove era stato massacrato il resto della sua famiglia. Io mi considero sua discepola: dal suo insegnamento compresi che la vera, grave lacerazione era all’origine del cristianesimo, e che, per superare le divisioni, bisogna partire dalla comune radice biblica, da Gesù, dalla sua ebraicità» (Incontri, Claudiana, 1998).

Al suo intervento appassionato si deve l’istituzione da parte della Cei della ricorrenza del 17 gennaio –

giorno precedente alla Settimana dell’unità dei cristiani – come “Giornata dell’ebraismo”. Ci auguriamo e preghiamo che i leader politici e religiosi, travolti dall’odio e dal fanatismo non distruggano, oltre ai popoli, anche il lungo, fecondo cammino compiuto da “donne e uomini di buona volontà”.

Piera Egidi Bouchard *1946

Riforma”–settimanale delle chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi–17 novembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231114bouchard.pdf

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Lotta agli abusi. Il Papa: «Nessun silenzio può essere accettato»

Francesco ha ricevuto questa mattina referenti dei servizi e dei centri di ascolto diocesani della Cei. «Importante perseguire coloro che commettono tali crimini, ancor più se in contesti ecclesiali»

www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/november/documents/20231118-incontro-tutelaminori.html

Il Papa: «Nessun silenzio può essere accettato». Nessun silenzio o occultamento può essere accettato in tema di abusi. Questa non è materia negoziabile”. Così si è espresso questa mattina, 18 novembre, il Papa nell’udienza ai referenti dei servizi e dei centri di ascolto diocesani della Conferenza Episcopale Italiana. Per Francescoè importante perseguire l’accertamento della verità e il ristabilimento della giustizia all’interno della comunità ecclesiale anche in quei casi in cui determinati comportamenti non siano considerati reato per la legge dello Stato, ma lo sono per la normativa canonica“.

                “La cura delle ferite – ha proseguito il Pontefice – è anche un’opera di giustizia. Proprio per questo è importante perseguire coloro che commettono tali crimini, ancor più se in contesti ecclesiali”. “Loro stessi – ha sottolineato Papa Francescohanno il dovere morale di una profonda conversione personale che conduca al riconoscimento alla loro infedeltà” e all'”umile richiesta di perdono delle vittime per le proprie azioni“.

Dopo aver salutato il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, il segretario generale, monsignor Giuseppe Baturi e il vescovo incaricato di seguire l’attività di protezione dei minori, Lorenzo Ghizzoni, il Papa ha lodato l’impegno della Chiesa italiana su questo fronte. “Voi rappresentate – ha detto – l’impegno della Chiesa in Italia nel promuovere una cultura di tutela per i minori e i più vulnerabili. E mi congratulo anche perché avete risposto prontamente all’ invito con il rapporto sulla vostra rete territoriale” (rapporto presentato giovedì ad Assisi, a conclusione dell’assemblea straordinaria dei vescovi, ndr).

Francesco ha poi indicato tre verbi per indirizzare l’azione di prevenzione e protezione anche in futuro. “Custodire, ascoltare e curare“. Quanto al primo. ha spiegato: “Custodire è partecipare attivamente al dolore delle persone ferite e far sì che tutta la comunità sia responsabile della protezione dei minori e di chi è più vulnerabile. Tutta la comunità cristiana, nella ricchezza delle sue componenti e competenze, dev’essere coinvolta, perché l’azione di tutela è parte integrante della missione della Chiesa nella costruzione del Regno di Dio“. Custodire, in sostanza, “significa orientare il proprio cuore, il proprio sguardo e il proprio operato a favore dei più piccoli e indifesi“. E vuol dire anche, ha aggiunto il Pontefice, “prevenire le occasioni di male, e questo è possibile soltanto attraverso una costante attività di formazione, volta a diffondere sensibilità e attenzione alla tutela dei più fragili. E questo è importante anche fuori dal nostro mondo ecclesiastico. Pensate – ha specificato il Papa – che, secondo le statistiche mondiali, tra il 42 e il 46 per cento degli abusi si fanno in famiglia o nel quartiere. Zitto, si copre tutto: gli zii, i nonni, i fratelli, tutto. Poi, nel mondo dello sport, poi nelle scuole, e così via”.

Il secondo elemento è ascoltare, ha ribadito il Pontefice. “L’ascolto delle vittime è il passo necessario per far crescere una cultura della prevenzione, che si concretizza nella formazione di tutta la comunità, nell’attuazione di procedure e buone prassi, nella vigilanza e in quella limpidezza dell’agire che costruisce e rinnova la fiducia. Solo l’ascolto del dolore delle persone che hanno sofferto questi terribili crimini apre alla solidarietà e spinge a fare tutto il possibile perché l’abuso non si ripeta. Siamo chiamati a una reazione morale, a promuovere e a testimoniare la vicinanza verso coloro che sono stati feriti da un abuso. Saper ascoltare è prendersi cura delle vittime“.

                Infine “solo percorrendo la strada del custodire e dell’ascoltare è possibile curare”. Le vittime, innanzitutto, ma anche i colpevoli. A tal proposito il Papa ha detto: “Loro stessi hanno il dovere morale di una profonda conversione personale, che conduca al riconoscimento della propria infedeltà vocazionale, alla ripresa della vita spirituale e all’umile richiesta di perdono alle vittime per le proprie azioni“.

                Nell’ultima parte del suo discorso, papa Francesco è tornato a lodare l’impegno della Cei su questo fronte, aggiungendo anche una richiesta riguardo alla lotta contro la pedopornografia. “Esprimo apprezzamento per le realtà che voi rappresentate, Servizi per la tutela dei minori e Centri di ascolto, diffusi in tutto il Paese come luoghi cui riferirsi per trovare ascolto. Continuate a compiere ogni sforzo. E prendetevi cura anche di una cosa molto brutta che succede, che sono i filmati pornografici che usano i bambini. Questo succede, anzi, è a portata di mano di chiunque paghi, sul telefonino. Dove si fanno, questi filmati? Chi è il responsabile? In quale Paese? Per favore, lavorare su questo: è una lotta che dobbiamo fare perché si diffonde nei telefonini la cosa più brutta”. Continuate a compiere ogni sforzo perché tutti coloro che sono stati feriti dalla piaga degli abusi possano sentirsi liberi di rivolgersi con fiducia ai Centri di ascolto, trovando quell’accoglienza e quel sostegno che possano lenire le loro ferite e rinnovare la fiducia tradita”.

                Francesco si è soffermato pure sui risultati della rilevazione sulle attività dei Servizi e dei Centri. “Mettono in luce – ha sottolineato – proprio il bene che sapete compiere sul territorio, facendovi prossimi a chi ha patito una ferita lacerante. Quello che state facendo è prezioso sia per le vittime sia per tutta la comunità ecclesiale. Emerge da queste pagine la testimonianza di un impegno costante e condiviso. Questa è la strada per creare fiducia, la fiducia che porta ad un reale rinnovamento”. Il grazie del Pontefice si è quindi esteso anche al “supporto che state fornendo ad altre Conferenze Episcopali; come pure per il sostegno ai piani della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori verso quei Paesi, specialmente in via di sviluppo, che dispongono di scarse risorse per la prevenzione e per l’attuazione di politiche di tutela. Andate avanti!”, ha concluso.

Mimmo Muolo                                Avvenire             18 novembre 2023

www.avvenire.it/papa/pagine/papa-sugli-abusi

Rafael Luciani sul caso dei dubia

«Può papa Francesco riconoscere come sua l’interpretazione dei vescovi della regione pastorale di Buenos Aires sull’Amoris lætitia?». È la domanda cui risponde, affermativamente, Rafael Luciani,  teologo laico venezuelano, docente di ecclesiologia, membro del Gruppo teologico della Presidenza della Confederazione latinoamericana dei religiosi (CLAR) ed esperto del Consiglio episcopale latinoamericano e dei Caraibi (CELAM), con questo articolo comparso il 30 ottobre su «Religion digital» e, in inglese, su «Where Peter is», originato dalla nuova serie di «dubia» sottoposti al papa e da un ulteriore intervento del card. Müller a proposito di quelli, relativi all’Amoris lætitia, sollevati dal card. Duka. Qui di seguito la versione italiana dell’articolo di Luciani, che pubblichiamo con il permesso dell’autore. (G. Mc.).

Il contesto dei dubia. Il 19 settembre 2016 i cardinali Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner hanno scritto a papa Francesco una prima serie di dubia, chiedendogli, attraverso 5 domande, di chiarire la dottrina cattolica presente nell’esortazione post-sinodale Amoris lætitia. Più recentemente, il 10 luglio 2023, i cardinali Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Juan Sandoval Íñiguez, Robert Sarah e Joseph Zen Ze-kiun hanno presentato una seconda serie di dubia sollecitando al papa, attraverso altre 5 domande, di chiarire questioni come la benedizione delle unioni tra persone dello stesso sesso, la sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa e l’ordinazione sacerdotale delle donne, tra le altre.

Dal card. Duka e dal card. Müller. A tutto ciò è seguita un‘ultima serie di dubia: 10 domande inviate dal card. Dominik Duka, arcivescovo emerito di Praga, al Dicastero per la dottrina della fede in una lettera datata 13 luglio 2023. La lettera mette in discussione l’amministrazione dell’eucaristia alle coppie divorziate e risposate. Il card. Gerhard L. Müller ha inviato una lettera aperta al card. Duka esprimendogli il suo sostegno e inviando a sua volta una risposta critica al card. Víctor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede. Le risposte del Dicastero a questi dubia sono state approvate da papa Francesco il 25 settembre 2023 e rese pubbliche lunedì 2 ottobre 2023, due giorni prima dell’inizio della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità.

                L’intervento del card. Müller è rilevante per comprendere il rapporto tra teologia e magistero. Questa breve e semplice riflessione non pretende di esaurire tutte le risposte, né intende affrontare i contenuti dottrinali presentati in questi dubia, ma piuttosto offrire alcuni criteri per discernere l’autorità di papa Francesco nel riconoscere come «magistero autentico» l’interpretazione del capitolo VIII di Amoris lætitia e nel sostenere che «non ci sono altre interpretazioni».

Il caso Amoris lætitia. L’interpretazione di alcuni vescovi argentini e la risposta di papa Francesco. Al di là delle questioni dottrinali, i cardinali firmatari dei dubia mettono in discussione l’autorità del papa nel riconoscere come propria l’interpretazione dei vescovi della regione pastorale di Buenos Aires nel documento Criteri fondamentali per l’applicazione del c. VIII dell’Amoris lætitia. Il papa aveva affermato che il documento dei vescovi argentini «è molto buono e mostra chiaramente il significato del capitolo VIII di Amoris lætitia», e concluso che «non ci sono altre interpretazioni»

                Nella sua risposta al card. Duka, Müller espone la situazione come segue: «La Risposta ai dubia afferma che questo testo di Buenos Aires appartiene al magistero pontificio ordinario, essendo stato accettato dal papa stesso. Francesco ha infatti affermato che l’interpretazione offerta dai vescovi di Buenos Aires è l’unica interpretazione possibile di Amoris Lætitia.

Cosa si legge nella “Lumen gentium”. Di conseguenza, la Risposta indica che al testo di Buenos Aires deve essere offerto l’ossequio dell’intelligenza e della volontà, come agli altri testi del magistero ordinario del papa». Per il card. Müller, sia papa Francesco sia i vescovi argentini hanno emesso «opinioni private». Di conseguenza, sostiene che tali opinioni «sono espressamente escluse dal magistero», per cui l’assenso verso di esse potrebbe portare allo scisma.

Invece la costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium 25 insegna che «questo assenso religioso della volontà e della intelligenza lo si deve in modo particolare prestare al magistero autentico del romano Pontefice, anche quando non parla ex cathedra. Ciò implica che il suo supremo magistero sia accettato con riverenza, e che con sincerità si aderisca alle sue affermazioni in conformità al pensiero e in conformità alla volontà di lui manifestatasi», cioè che il suo «pensiero» e la sua «volontà», l’intenzione, sia indiscutibilmente manifestata (n. 25).

La maniera di esprimersi. Come possiamo riconoscere questa intenzione esplicita nel papa? Qui sono molto importanti i tre criteri affermati dalla Chiesa stessa nella Lumen gentium: o «dal carattere dei documenti, o dall’insistenza nel proporre una certa dottrina, o dalla maniera di esprimersi» (ivi). Prendendo il terzo criterio, l’intenzione del soggetto docente – in questo caso il papa –, si manifesta nella maniera in cui sceglie di esprimersi (dicendi ratio). Dal testo di papa Francesco non c’è dubbio che, in modo particolare, si soddisfa la maniera di esprimersi. L’espressione «non ci sono altre interpretazioni» dimostra la mente del papa e, inoltre, è esplicita la natura vincolante e il tipo di adesione che egli postula per i destinatari del suo magistero riguardo all’interpretazione del capitolo VIII di Amoris lætitia.

La forma della promulgazione. Infine, si vuole mettere in discussione l’autorità stessa della Risposta del papa, con l’argomento – nelle parole del cardinale Müller – che “la forma in cui la Risposta conferma l’approvazione del santo padre, con una semplice firma datata, a piè di pagina, è insolita. La formula abituale è stata: “il santo padre ha approvato il testo e ne ha ordinato la (o ha dato il suo assenso alla) pubblicazione”, ma nulla di simile appare in questo Appunto poco attento. Si apre così un altro spazio ai dubbi sull’autorità della Risposta». Anche se si possono avanzare argomentazioni contro la forma o lo stile con cui il documento è stato presentato, non c’è spazio per dubitare che non abbia rispettato la «formalità» stabilita, a tutt’oggi, dal can. 8 §1 del vigente Codice di diritto canonico, che stabilisce che «le leggi ecclesiastiche universali sono promulgate con l’edizione nella gazzetta ufficiale degli Acta Apostolicæ Sedis, a meno che in casi particolari non sia stato stabilito un modo diverso di promulgare».

Gli Acta Apostolicæ Sedis sono il più importante strumento di governo di cui il Papa dispone per esprimere la sua intenzione e volontà su come procedere, con un carattere ufficiale e universale, e non si applica solo alle norme strettamente giuridiche.

Una norma divenuta vincolante. Questo è stato il modo di procedere di papa Francesco, che ha voluto adempiere a questa formalità e ha disposto che il documento Criteri fondamentali per l’applicazione del c. VIII dell’Amoris lætitia, elaborato dai vescovi della regione pastorale di Buenos Aires, «edantur per publicationem in situ electronico Vaticano et in Actis Apostolicæ Sedis velut Magisterium authenticum (fosse emanato mediante pubblicazione sul sito web del Vaticano e in Acta Apostolicæ Sedis come magistero autentico)» (cf. Acta Apostolicæ Sedis 108(2016) 10, 7.10.2016, 1071-1074). In questo modo non c’è dubbio che egli voglia che questa interpretazione diventi una «norma vincolante» che non può essere considerata come un’opinione privata. Non è la prima volta che questo accade nella storia della Chiesa. Una situazione simile si verificò anche con una lettera dei vescovi tedeschi nel 1875 che fu dichiarata magistero autentico dall’allora papa Pio IX, come vedremo qui di seguito.

Il caso del Vaticano I. L’interpretazione dei vescovi tedeschi e la risposta di Pio IX. Nel mezzo dei dibattiti fioriti dopo il Concilio Vaticano I sulla costituzione dogmatica Pastor æternus, il 14 maggio 1872 il cancelliere tedesco Otto von Bismarck inviò una lettera agli altri governanti europei. La lettera, scritta nel contesto del Kulturkampf, affermava, tra l’altro, che:

 a) «il papa si è appropriato della facoltà di arrogarsi i diritti episcopali in qualunque diocesi e di sostituire la potestà papale alla potestà territoriale del vescovo»;

b) «la giurisdizione episcopale è stata assorbita dalla giurisdizione papale»;

c) «i vescovi sono ormai semplici strumenti suoi [del papa], senza personale responsabilità» (Denz 3112). Di fronte a questa situazione i vescovi tedeschi scrissero un chiarimento al cancelliere tedesco (cf. Denz 3113-14).

Una risposta a Bismarck. Tra gli argomenti offerti in risposta a Bismarck ne spiccano tre.

Prima è detto che «secondo queste decisioni l’autorità di giurisdizione ecclesiastica, posseduta dal papa, è una potestà suprema, ordinaria e immediata». Successivamente, si legge, «secondo questa dottrina della Chiesa cattolica, il papa è vescovo di Roma, non vescovo di alcun’altra diocesi o città (…) Ma in quanto vescovo di Roma egli è anche papa, cioè pastore e capo della Chiesa universale, capo di tutti i vescovi e di tutti i fedeli; e la sua autorità papale non ha vigore soltanto in alcuni determinati casi eccezionali, ma sussiste e obbliga sempre, in ogni tempo e in ogni luogo». Infine, «in virtù di tale suo ufficio il papa ha il dovere di vegliare, affinché ogni vescovo in tuta l’estensione del suo incarico adempia i suoi doveri». L’argomentazione dei vescovi tedeschi si basava sul principio della necessitas Ecclesiæ, per cui l’esercizio del potere papale, in quanto «ordinario, immediato e veramente episcopale», non significava che l’intervento permanente del papa nelle diocesi sarebbe diventato la normalità.

Pio IX fa propria l’interpretazione. In risposta al cancelliere Bismarck papa Pio IX accolse l’interpretazione offerta dai vescovi tedeschi come «dottrina cattolica autentica» e, a tal fine, pubblicò il 4.3.1875 la lettera apostolica Mirabilis illa constantia il 4 marzo 1875. In essa denunciava che «certi mezzi di comunicazione» dell’epoca avevano diffuso la «fuorviante interpretazione» del cancelliere Bismarck. Pio IX si esprime in questi termini.

  1. In primo luogo “vi siete accinti a ristabilire il senso genuino delle definizioni del concilio Vaticano, che distorto da una dissertazione ingannevole diffusa da una certa lettera circolare
  2. In secondo luogo, «la voce astuta di certi giornali (…) ha tentato di contestare la fede della vostra fatica, insinuando che una dottrina delle definizioni conciliari sia stata da voi approvata e quindi pe nulla rispondente all’intenzione di questa Santa Sede».
  3. In terzo luogo, «la vostra dichiarazione riporta la dottrina cattolica autentica del sacro concilio e di questa Santa Sede, difesa con grandissima finezza mediante magnifici e insuperabili motivi di argomentazioni e spiegata così nitidamente essere in gradi di mostrare a qualsiasi uomo onesto che…» (Denz 3117). Infine, Pio IX assume come «magistero autentico» l’interpretazione data dai vescovi tedeschi.

Attraverso tutto ciò che abbiamo visto, possiamo riconoscere come un papa possa assumere come sua dottrina il testo di una conferenza episcopale o di un gruppo di vescovi, rendendo manifesti il suo pensiero e la sua volontà.

Rafael Luciani, teologo laico      Re-blog                13 novembre 2023

IDENTITÀ DI GENERE

Identità di genere e sacramenti

Rispetto al polverone mediatico sollevato dai dubia formulati al Dicastero per la dottrina della fede, di per sé i questi riguardano una problematica di teologia sacramentale e la conseguente disciplina canonica.

                Ho voluto dare questo titolo un po’ più specifico e pertinente al polverone mediatico sollevato dai dubia formulati al Dicastero per la dottrina della fede dal vescovo brasiliano mons. Negri. Di per sé i questi riguardano una problematica di teologia sacramentale (battesimo e matrimonio) e la conseguente disciplina canonica. Ma l’oggetto proprio ha un evidente contenuto morale, anzi più specificamente riguardante la «morale sacramentaria».

Una questione di morale sacramentaria. I quesiti vertevano sulla possibilità che una persona transessuale possa essere battezzata, essere padrino di battesimo o testimone di un matrimonio. Gli ultimi due riguardano anche le persone omoaffettive. Per queste vi è anche un ulteriore quesito relativo alla richiesta di battezzare il proprio figlio ottenuto attraverso adozione o «utero in affitto».

                Escludiamo subito il quesito circa l’essere testimoni in un matrimonio, che è una questione riguardante la legislazione civile e senza alcuna implicanza morale anche nel matrimonio concordatario.

                Quanto agli altri occorre fare alcuni valutazione fondamentali.

L’identità di genere è una scelta? La prima riguarda una questione a tutt’oggi irrisolta nel magistero ecclesiale, e che è la fonte prima delle confusioni, incertezze, perplessità che regnano nel campo dell’identità di genere. Volendo essere tranchant possiamo riassumerla così: un’identità di genere diversa da quella per così dire «anagrafica» è un fatto connaturale (genetico o acquisito) e involontario, o implica una deliberata scelta della persona che la presenta? Nel primo caso non ha senso porci problemi come quelli avanzati nei dubia, in quanto non vi è alcuna colpevolezza, nel secondo vi sarebbe una responsabilità morale da valutare con i consueti criteri con cui si valuta in altri ambiti espressivi. Purtroppo le odierne risposte ecclesiali sono tutta ambigue, e oscillano barcamenandosi nei «sì ma», «sì però» ecc. Se non c’è colpa, perché tale condizione viene colpevolizzata? E se c’è colpa, perché ci cerca di legittimarla, accoglierla, rispettarla? Se una persona nasce o incolpevolmente diventa transessuale perché non dovrebbe accedere al battesimo?

Il figlio di una coppia omoaffettiva ha delle responsabilità? Il discorso si fa più delicato e complesso (ma sostanzialmente non diverso) per le coppie omoaffettive che chiedono il battesimo per il proprio figlio. Ovviamente questi non ha alcuna «responsabilità» sul fatto di essere figlio di una coppia omoaffettiva, né sul fatto che questa lo abbia ottenuto attraverso maternità surrogata. Negargli il battesimo costituirebbe una vera violenza nei suoi confronti. Ovviamente rimangono pur sempre valide le condizioni di accesso al sacramento, cioè perché i genitori lo richiedono. Ma né più né meno che per qualunque altro battezzando.

La persona transessuale è in uno stato di colpa grave? Quanto al battesimo richiesto dalla persona transessuale, negarlo significherebbe innanzitutto ritenerlo in una condizione di colpa grave oggettiva, ma anche, in secondo luogo, avere della Chiesa la visione gnostica di una società alla quale solo i «perfetti» possono accedere.

Qual è il ruolo di padrini e madrine? Quanto al «padrinato», il quesito non fa che esplicitare i tanti dubbi che ormai si agitano intorno a questo ruolo che, non a caso, molti vescovi hanno sospeso per alcuni anni, sia pure ad experimentum. Il ruolo dei padrini nel catecumenato classico del primo cristianesimo era un ruolo fondamentale per l’iniziazione alla fede e l’accompagnamento dei battezzandi (adulti) a essa. Successivamente, col battesimo dei bambini il padrinato ha assunto un ruolo coadiutorio rispetto a quello dei genitori che, in una società patriarcale, erano spesso non troppo presenti (soprattutto il padre) nell’educazione religiosa dei figli. D’altra parte l’attribuzione di tale ruolo ai nonni rendeva abbastanza plausibile il suo esercizio. Oggi non è più così: padrino e madrina sono spesso amici o parenti diversi, spesso dalla fede assai minimale per non dire assente. Ben venga un padrino transessuale o omossessuale che possa assumere un ruolo mistagogico per il bambino, purché lo faccia con spirito e contenuti di fede. O, forse, meglio di no. Non per la sua disforia di genere, ma per i dubbi che il ruolo di padrino e madrina oggi riveste sia per gli etero sia per gli omo- o i transessuali.

Nella morale sessuale il paradigma in uso è ormai inadeguato. In ogni caso, queste e altre considerazioni che potrebbero farsi ripropongono con sempre maggior forza l’inadeguatezza dell’attuale paradigma ermeneutico in ordine alla morale sessuale. Com’è noto, nella storia della Chiesa e delle correlate valutazioni moral-teologiche si sono succeduti diversi paradigmi (patristico, scolastico, post-tridentino ecc.). Il paradigma successivo al Vaticano II e auspicato al n. 16 dell’ “Optatam totius” è francamente incompiuto.

www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651028_optatam-totius_it.html

Questioni relative all’etica della procreazione, all’inizio e al fine vita, all’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati, alla sessualità nelle diverse identità di genere non possono risolversi col paradigma giusnaturalistico tuttora utilizzato. Saranno inevitabili i conflitti, le aporie, i dubia inviati al Dicastero per la e docente dottrina della fede.

Occorre un radicale e profondo rinnovamento che dia gli strumenti più adeguati e pertinenti per affrontare in modo compiuto tali problematiche.

                Salvino Leone, ginecologo e docente di teologia morale e bioetica           Il Regno   15 novembre 2023

https://ilregno.it/moralia/blog/identita-di-genere-e-sacramenti-salvino-leone?utm_source=newsletter-mensile&utm_medium=email&utm_campaign=2023/19

ISRAELE

Stato ebraico/ Stato di Israele

La scelta delle parole deve riflettere la storia ed evitare confusioni fra politica e religione

Nella lingua giornalistica si è diffuso il termine «Stato ebraico» ogni qual volta si parla della realtà politica dello Stato di Israele. Questa denominazione è stata accolta ed è proposta come “naturale”. Ho dei dubbi ad adottarla, perché ritengo che sia generativa di rafforzamento di pregiudizi, che non aiuti a ragionare in termini di soluzione politica di un conflitto altamente simbolico. Questo perché si nutre di un’ambiguità profonda. È questa ambiguità che è importante sciogliere.

La domanda è: il diritto israeliano è uguale al diritto ebraico e dunque il sistema politico che discende da quel diritto si può perciò chiamare “ebraico”? La mia risposta è negativa e la spiegazione di questa non corrispondenza consiste in questo.

Già prima dell’esistenza dello Stato, si è svolto fra i giuristi sionisti un vivace dibattito sul problema se lo Stato di Israele avesse dovuto recepire, o meno, il Diritto ebraico tradizionale, come diritto dello Stato. A favore della recezione, per motivi sionisti e religiosi, si schieravano in gran parte studiosi, giuristi, giudici, rabbini che sostenevano che il Popolo ebraico doveva fare ritorno alle proprie radici, alla propria terra e alla propria lingua, a una indipendenza non solo dal punto di vista politico, ma anche dal punto di vista spirituale e culturale.

                L’opinione opposta sosteneva che il Diritto ebraico è tale, non solo per la sua fonte, cioè per essere scritto in determinati libri, ma anche per i suoi giudici e tribunali: solo quando i giudici si sentono parte integrale del sistema, e lo accettano pienamente, solo quando si sentono sottoposti al modo tradizionale di interpretazione del diritto, solo se, avvertendo tutta l’importanza di tale tradizione giuridica, non si sentono autorizzati a cambiare arbitrariamente il diritto, si potrà parlare di Diritto ebraico; se lo Stato non è disposto a tale ricezione, è meglio non creare una confusione di cui non si potranno valutare le conseguenze.

La maggioranza dei giuristi ha preferito respingere l’idea della ricezione per timore di una ingerenza religiosa, sostenendo pure che la maggioranza dei giuristi israeliani non ha le conoscenze adatte per poter usare correntemente i testi del Diritto ebraico. In pratica è stata la posizione dominante nella vita dello Stato, che, come dato di fatto, non ha recepito il Diritto ebraico, fatta eccezione per la parte riguardante lo status personale. Per questo definire “ebraico” lo Stato di Israele è improprio.

                Ma resta il fatto, accanto a questo, che oggi ci sia un tentativo di andare in questa direzione e che uno dei connotati de progetto politico del governo diretto da Netanyahu in carica dal novembre 2022 (prima dell’attuale formula che guida l’azione di guerra) sia anche quello di muoversi in questa direzione. Insieme sta anche il fatto che non tutto il mondo ortodosso e religioso sia favorevole a questa svolta, contrariamente a quanto pretende di rappresentare la coalizione che ha vinto le ultime elezioni.

                Fare in modo di dare cittadinanza e spazio pubblico a queste voci, anche fuori da Israele sarebbe importante, proprio per non favorire la costruzione di un’identità impropria e aiutare a comprendere il senso del confronto politico e culturale di una società politica caratterizzata da profondi elementi di conflittualità, piuttosto che di una presunta omogeneità.

David Bidussa 08             Organo di informazione delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi                 novembre 2023

Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.

https://riforma.it/it/articolo/2023/11/08/stato-ebraico-stato-di-israele

SACERDOTI

Preti soli. Tremendamente soli

Mi capita spesso di incontrare amici preti che vivono con passione e impegno i loro numerosi impegni pastorali e che restituiscono, oltre alla gioia del loro servizio, anche le fatiche di una condizione che sta attraversando, da parecchio tempo, una situazione di crisi quasi mai tematizzata e fatta oggetto di un confronto

                Per questo, ho voluto rileggere con attenzione l’articolo di padre Giacomo Cucci pubblicato da Civiltà Cattolica nel quaderno 4152 il 17 giugno di quest’anno (si può leggere integralmente sul sito). Il titolo pone una questione importante e che non può essere presto rimossa: “Solitudine e disagio del prete: un problema strutturale?”  ww.laciviltacattolica.it/articolo/solitudine-e-disagio-del-prete-un-problema-strutturale

Troppi impegni, la scarsa cura della vita interiore, una formazione inadeguata…

                Nel commentare alcune ricerche effettuate negli anni scorsi attorno al malessere dei preti vengono fatte emergere alcune cause. In particolare il burnout

www.my-personaltrainer.it/salute/burnout.html#Caratteristiche%20Del%20Burn-Out

anche se gran parte dei preti intervistati non ha usato questo termine e spesso neppure lo conosce. Si rilevano piuttosto delle precise cause esterne (molteplicità degli impegni, complessità delle problematiche, la sensazione di essere dei “funzionari del sacro”, che erogano servizi asettici a fedeli indifferenti)]. Altri lamentano la scarsa cura della vita interiore e un conseguente vuoto affettivo, che porta a considerare il celibato come un peso.

                La formazione ricevuta ha insistito in modo esasperato sull’aiuto ad altri e sul dono di sé, a scapito della cura personale. La formazione ricevuta è un’altra causa di burnout: si è insistito in modo esasperato sull’aiuto ad altri e sul dono di sé, a scapito della cura personale e del creare un clima di comunione e amicizia nel seminario e in seguito con i presbiteri. Padre Cucci fa riferimento poi ad una ricerca condotta da Alessandro Castegnaro, presidente dell’Osservatorio socio-religioso del Triveneto (Osret) che giunge alle medesime conclusioni.

I troppi compiti ai quali il prete non è stato preparato. Un crescente senso di inadeguatezza ad affrontare le problematiche odierne, per la mancanza di preparazione e soprattutto di tutela giuridica e personale (come la possibilità di confrontarsi con un supervisore). Più che al tempo dedicato al ministero, la causa del disagio è in buona parte legata alla crescente burocratizzazione: al numero dei fronti da gestire si aggiunge la loro complessità. Il prete si trova di fronte a compiti per i quali non è stato preparato. Da lui si richiedono competenze amministrative e giuridiche che non possiede. Tutto ciò alla fine lo rende più simile a un cattivo manager che a un buon pastore.

                Un parroco ha sintetizzato così la sua situazione: «Anche i padri di famiglia si devono occupare della caldaia; io ne ho sette!» Si tratta di un disagio destinato a crescere, perché spesso i preti hanno diverse parrocchie da amministrare, senza risiedere in nessuna di esse, e ai compiti amministrativi si aggiungono le responsabilità canoniche, civili e penali. Da qui la difficoltà ad affidare ad altri tali mansioni: «Delegare funzioni senza delegare responsabilità è poco praticabile […]. Di particolare rilievo sono gli effetti che tutto questo induce sull’offerta liturgica, e non solo nei casi in cui il prete è ormai ridotto a vivere una sorta di rally eucaristico a ogni festa. I preti stessi riconoscono una scarsa capacità di comunicazione e ne soffrono».

Rapporti di tipo burocratico. Scarse relazioni, anche con i confratelli. Il burnout è una delle conseguenze principali, che per il prete, rispetto alle altre professioni, ha come caratteristica peculiare la «spersonalizzazione», cioè la tendenza a vivere i rapporti con le persone senza partecipazione emotiva, in modo burocratico e ripetitivo: un vulnus terribile che va a minare profondamente la sua idealità, da sempre associata (e riconosciuta) alla sua «umanità». Povertà di relazioni, soprattutto con i fedeli, accentuata dal fatto che non si è mai vissuta una fraternità presbiterale.

La solitudine, specie tra i più giovani, legata al senso di spersonalizzazione. [Tempo fa facevano gavetta come vice parroci e vivevamo con il parroco per un po’ di anni] Si tratta infatti non tanto di una solitudine sociale o familiare, ma «ministeriale, ecclesiale», povera cioè di relazioni, soprattutto con i fedeli, accentuata dal fatto che non si è mai vissuta una fraternità presbiterale: «Il presbiterio in particolare, al di là di una patina superficiale di cameratismo, non sembra essere un ambiente capace di attivare relazioni umanamente ricche. Emerge dunque un problema che investe direttamente i rapporti umani nella Chiesa […]. Il presbiterio non fa squadra, l’io prevale sul noi. Mancano funzioni di supervisione pastorale e mancano occasioni per sviluppare un lavoro di laboratorio pastorale, che permetta un confronto con le esperienze vissute dai confratelli. E così ognuno resta da solo con i propri problemi».

                Questa situazione innesca un pericoloso circolo vizioso: il burnout accentua la negativa percezione di sé da parte del prete e rende sempre meno attraente per un giovane tale scelta di vita; la diminuzione delle vocazioni a sua volta costringe il prete a un carico di lavoro sempre più pesante, che rischia di sommergerlo. Il suo primo pensiero diventa come sopravvivere a tutto ciò, selezionando i fronti, lasciandone alcuni disattesi o vivendo una perenne situazione di emergenza.

Alla fine, una strana drammatica forma di solitudine. Dopo aver presentato questi dati, padre Cucci si chiede se i preti sono “soli per scelta”. Perché tutte le ricerche mostrano come quasi mai la sindrome arriva all’improvviso. Eppure, pur avendo bisogno di aiuto, buona parte dei preti sembra restia a chiederlo e a riceverlo, convincendosi che deve darsi da sé la soluzione al proprio malessere. Gli intervistati rilevano in particolare – e la cosa mi ha molto colpito – di non aver mai coltivato una vera amicizia fraterna con altri presbiteri; altri preferiscono essere soli piuttosto che in compagnia di altri preti, soprattutto per il timore di sentirsi giudicati. La solitudine diventa così una forma di tutela della propria intimità.

La solitudine diventa una forma di tutela della propria intimità. Non solo: il gesuita autore dell’articolo si chiede se a questa situazione possa contribuire anche una certa modalità formativa, che porta a pensare il ministero presbiterale come un’avventura da condurre in solitaria. Il sacerdote diocesano è solitamente pensato per vivere da solo: la vita comune è propria degli anni di seminario. Da qui la tendenza a viverli come una parentesi artificiale, molto diversa dalla vita «vera» che lo attenderà dopo l’ordinazione, e quindi a considerare gli altri seminaristi come compagni di un viaggio momentaneo da cui si separerà una volta giunto a destinazione.

                Insomma, queste sono alcune delle questioni (decisive) e delle sfide (irrinunciabili) a cui i preti oggi sono chiamati ad affrontare (e non a rimuovere). Ci stiamo ragionando o lasciamo tutto all’impegno e alla fatica dei singoli? Quali risposte stiamo ecclesialmente tentando di dare?

Daniele Rocchetti            La barca e il mare                           16 novembre 2023

Commenti

Da tempo si vede e si parla della solitudine dei preti. Articoli, ricerche, inchieste e disastri annessi a queste solitudini ormai sono diventate cronaca e biblioteca. Non aggiungo altro ma, mentre leggo l’articolo di Daniele, risuona in me la melodia e il testo di un prezioso canone di Taizé con le parole di s. Teresa: “nada te turbe … niente ti turbi, niente ti spaventi; chi ha Dio, non manca di nulla, solo Dio basta”. Vere le analisi psicologiche, sociologiche, antropologiche sui preti e la loro solitudine ma in essa ne emerge un tratto teologico, non eroico ma profondamente spirituale. E mi domando perché non ci basta Dio, quel Dio che è creato, fraternità, bellezza. meraviglia. Oso sottolineare come questa solitudine sia anche e spesso “ignoranza di Dio”. Ho finito da poco la messa in comunità e abbiamo accolto uno splendido passo della Sapienza (13,1-9): “Davvero vani per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio, e dai beni visibili non furono capaci di riconoscere colui che è, né, esaminandone le opere, riconobbero l’artefice.” Temo che questa radice di ignoranza, scateni la solitudine di un prete, di un battezzato, di una umanità orfana e incapace di stupore, di lasciarsi affascinare dalla bellezza, cieca al sensibile creaturale e umano che ci circonda e sorda all’inatteso di un Dio che non è soddisfazione ma pro-vocazione.

Don Fabio Corazzina      17 novembre 2023

Sollecitato da questo articolo, chiederei al Papa di considerare la possibilità di ordinare al ministero presbiterale alcuni diaconi permanenti sposati. Questo ci porterebbe anche a riflettere sull’attuale disciplina, che chiede ai candidati al presbiterato di non accedere al matrimonio. Potremmo essere aiutati dalla scelta di uomini maturi, buoni sposi e disposti con le loro mogli ad accogliere la cura pastorale di una comunità. Il rapporto con fratelli della Riforma e dell’ Ortodossia, che vivono la positività di un ministero assunto e vissuto con le loro spose, porrebbe una domanda importante anche per la nostra Chiesa e potrebbe incoraggiare un ripensamento sulla nostra attuale disciplina.

Don Giovanni Nicolini    16 novembre 2023 alle 10:53 

SINODO

Le strade della chiesa

È un tempo di fatica e di travaglio per la chiesa cattolica questo anno di prolungamento del sinodo, voluto per approfondire ulteriormente i grandi problemi emersi sui quali si sono manifestate posizioni divergenti. Quasi tutti hanno dimenticato che il sinodo aveva lo scopo di conoscere e discernere meglio cosa sia la sinodalità ecclesiale e come potrebbe essere esercitata e vissuta, mentre l’attenzione e le attese si sono concentrate su alcuni temi che da decenni alimentano un acceso dibattito tra i cattolici. Questi problemi non potevano essere evasi e taciuti e la libertà assicurata in tutta la fase del confronto e dell’ascolto li ha fatti emergere con forza fino allo scatenamento del conflitto, della delegittimazione reciproca e di giudizi nei quasi si è fatto ricorso persino all’accusa di eresia.

Purtroppo alcuni cardinali e alcuni vescovi, privi di senso della comunione, hanno aperto le ostilità nei confronti del Papa anche in modo scomposto e indegno della responsabilità loro affidata. Dunque i problemi, alcuni anche tralasciati dalle relazioni finali di sintesi, restano vivi nel dibattito e non sono per nulla risolti.

Vorrei qui, con un linguaggio che sia comprensibile anche per i non cattolici, cercare di metterli a fuoco. Innanzitutto da molte parti della chiesa si chiede di poter ordinare anche uomini sposati che potrebbero così presiedere la comunità e soprattutto l’eucaristia senza la quale non si edifica la chiesa. Anche il sinodo dell’Amazzonia aveva richiesto a grande maggioranza che si desse la possibilità di presbiteri uxorati, ma il Papa aveva poi ritenuto che non fosse ancora maturo il tempo per una risposta positiva.

Legato a questa urgenza ci si chiede anche se il celibato resterà legge obbligatoria per i presbiteri della chiesa latina: credo che anche questa sollecitazione potrebbe ricevere una risposta adeguata perché da sempre il celibato è stato compreso come un dono non necessariamente legato al presbiterato. È una legge della chiesa, non una necessità del sacramento.

E infine c’è tutta la problematica relativa al mutamento dell’antropologia avvenuto soprattutto in occidente, mutamento che ha fornito ai credenti un nuovo sguardo soprattutto sulla sessualità, sull’orientamento sessuale della persona, sul gender. E qui il travaglio si fa veramente difficile, perché le Scritture bibliche e la Tradizione sono state finora unanimi nella lettura e nella valutazione etica dei problemi. È vero: la Bibbia condanna le unioni omoaffettive e ogni situazione sessuale ibrida, ma oggi il nostro giudizio, a causa dell’evoluzione culturale, è mutato. Nelle chiese del nord Europa si chiede di benedire le coppie omoaffettive mentre nelle chiese africane e orientali questo è ritenuto un sacrilegio. E così noi oggi abbiamo il Dicastero della fede che conferma il divieto di benedire le unioni omoaffettive e vescovi in  Germania e Gran Bretagna che permettono dei riti di benedizione purché ben distinti dal sacramento del matrimonio. D’altronde se si benedicono animali, auto e perfino le armi perché non benedire anche quei frammenti di amore presenti in una storia d’amore anche se non è secondo la legge? Ma sarà difficile arrivare a una posizione che abbia universale autorità in tutta le chiese.

E infine il problema dell’apertura del ministero presbiterale alle donne: la richiesta non appare nella sintesi finale perché i padri sinodali hanno ritenuto che sia impossibile per ora da parte del popolo di Dio accettare questa innovazione, oltre al fatto che si aprirebbe un nuovo fronte di gravissima divisione con le chiese orientali e ortodosse. Insomma, anche se esegeti e teologi in buona parte affermano che non ci sono ragioni per l’esclusione delle donne dal ministero per ora è impossibile che questa strada si apra nella nostra chiesa.

Blog di Enzo Bianchi                      13 novembre 2023

www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/214474/le-strade-della-chiesa

Sul Sinodo parla Theobald

Anticipiamo alcuni passaggi dell’intervista – integrale sul numero de Il Regno-attualità di novembre – al teologo ed esperto al Sinodo Christoph Theobald SI,*1946  curata dalla giornalista Marie-Lucile Kubacki (inviata a Roma per La Vie) e pubblicata in francese il 23 ottobre scorso. Le difficoltà di una Chiesa globale in un mondo multiculturale e globalizzato; l’opportunità della sinodalità come risposta adeguata – ma non ancora compiuta – all’evolversi dell’interpretazione della Tradizione da un lato e della Scrittura dall’altro; il ripensamento dei ministeri, della collegialità e del primato petrino. Significativamente Theobald chiude l’intervista con questa affermazione: «Dobbiamo imparare a convivere con domande che non hanno ancora trovato soluzioni» (M.E. G.)

È diventata una Chiesa globale

L’attuale crisi della Chiesa cattolica è solo una tra le tante o ha qualcosa di particolare?

«La Chiesa ha già attraversato altre crisi, la separazione tra Oriente e Occidente nell’XI secolo, la Riforma nel XVI secolo. La particolarità di questa è la globalizzazione. Contemporaneamente alla colonizzazione, nel XX secolo la Chiesa è diventata per la prima volta una Chiesa globale. Questo è un primo elemento importante, segnato dall’emergere di una pluralità culturale e di una particolarizzazione delle unità culturali. Così, la questione dell’unità si pone in termini completamente nuovi. La crisi attuale può essere definita come la sovrapposizione di due concezioni della Chiesa: una visione molto uniforme basata su un’unica dottrina, una sola liturgia, una sola teologia morale, e un’altra segnata da questa emergente differenziazione.

Ciò che caratterizza questa situazione ecclesiale e questa crisi generalizzata è l’incertezza sul futuro. Ecco perché papa Francesco parla non di un’epoca di cambiamenti, ma di un cambiamento d’epoca».

(…)

L’interpretazione della Lumen gentium

Il Sinodo è un tentativo di rispondere alla multipolarizzazione del mondo globalizzato?

«Certamente, e per diverse ragioni. Il Sinodo è un organismo rappresentativo dell’intera cattolicità, con la presenza, che potremmo anche auspicare sia più ampia, dei delegati fraterni e di rappresentanti di altre confessioni cristiane. La cosa più commovente delle celebrazioni è la presenza di tutte le Chiese locali, e, quando prendono la parola vescovi, laici o religiosi, religiose e sacerdoti, si sente parlare ciascuna Chiesa.

È un organo rappresentativo che, sebbene non abbia lo statuto giuridico di un concilio, ha uno statuto quasi conciliare per la presenza di tutte le Chiese e soprattutto per l’ampiezza dell’interrogativo che, come nel Vaticano II, riguarda la figura della Chiesa.

                Dietro la questione della sinodalità, sta infatti il problema dell’interpretazione dei testi dei concili Vaticano I e Vaticano II, e più precisamente della costituzione dogmatica “Lumen gentium” sulla Chiesa; documenti riletti nell’ottica dell’uguaglianza battesimale di tutti i cristiani. E ciò conferisce a questo Sinodo una dimensione conciliare. Il fatto che la fase di consultazione nelle parrocchie, nelle diocesi, nelle nazioni e nei continenti si sia già svolta secondo una modalità sinodale dimostra che a tutti i livelli della Chiesa siamo alla ricerca di un nuovo modo di metterci d’accordo, in maniera fraterna».

La parità dei battezzati

Quali conseguenze concrete potrebbe avere questo approccio sull’architettura della Chiesa come la conosciamo oggi?

                «La conseguenza è che le responsabilità di ciascuno nella Chiesa devono essere ristabilite all’interno di ciò che è comune a tutti: l’uguaglianza battesimale. Per la Chiesa latina, questo significa riarticolare l’insegnamento degli ultimi concili: il Vaticano I, che ha specificato le prerogative del ministero di Pietro, quelle del papa, spesso male interpretate in maniera esclusiva. Il Vaticano II ha avanzato la nozione di collegialità episcopale; l’istituzione del Sinodo da parte di Paolo VI nel 1965 è stato il primo frutto di questa collegialità episcopale e della comunione delle Chiese, come definita dal Vaticano II.

                La novità di oggi è rappresentata dal quadro globale delineato nel capitolo 2 della costituzione Lumen gentium sul popolo di Dio. Se si enfatizza la parità dei battezzati, qual è dunque il posto dei ministri ordinati, dei vescovi e dei sacerdoti in questo quadro? Non si tratta solo di una questione di governance».

La comunità non può autoconvocarsi

Le nostre società, prosegue Theobald, «sono fondate su principi diversi, come l’idea del contratto sociale, la separazione dei poteri, la rappresentanza popolare e il sistema del voto maggioritario.

Il principio della Chiesa è diverso: si fonda su una “convocazione”. Ora, questa convocazione divina da parte del Signore Gesù nello Spirito Santo è simboleggiata dal ministero ordinato. In questo senso se il sacerdote dicesse soltanto: “Il Signore sia con voi”, avrebbe già esercitato la sua funzione, perché avrebbe convocato la comunità, che non può autoconvocarsi. Tuttavia, ogni sacerdote svolge questa convocazione collegialmente, come parte di un presbyterium, con il vescovo a capo di una Chiesa locale. Tutta la Chiesa è realmente presente in ogni Chiesa locale. Ma ogni Chiesa è situata all’interno della comunione di tutte le Chiese, raccolte intorno al successore di Pietro, vescovo della Chiesa di Roma.

Tornando alla sua domanda sull’architettura della Chiesa, papa Francesco introduce due nuove metafore per andare al di là del nostro immaginario piramidale: quella di una piramide rovesciata, dove la testa si trova sotto al corpo ecclesiale, perché il ministero è a servizio dei battezzati e della missione di tutta la Chiesa; e quella del cammino nel quale il vescovo occupa una posizione mobile, a volte in mezzo al suo popolo, a volte davanti, a volte dietro… Insistere su questa mobilità è decisivo perché la Chiesa possa uscire da una forma statica».

                Marie-Lucile Kubacki  Giornalista

TEOLOGIA

La teologia dell’incarnazione alla sfida del transumanesimo

intervista a Cristoph Theobald

Nella saletta a fianco dell’aula delle tesi della Pontificia Università Gregoriana incontriamo il padre gesuita Christoph Theobald, raffinato teologo (ricordiamo la sua voluminosa opera sul Cristianesimo come stile) ma oggi, soprattutto, padre sinodale. È tardi qui, nel centro di Roma, l’università si è svuotata e la serata si è fatta presto buia e fredda dopo il lungo ottobre caldo, ma padre Christoph, classe 1946, è fresco e tranquillo, desideroso di trasmettere la forza del clima “primaverile” che ha respirato nella grande aula del Sinodo. A lui rivolgiamo le nostre domande all’interno dell’indagine sul mondo e la Chiesa ai tempi del «cambiamento d’epoca».

Non è un’epoca di cambiamento ma un cambiamento d’epoca e il cambiamento più grande è sicuramente quello antropologico, una teologia dell’incarnazione parte dall’uomo e oggi dobbiamo riconoscere che l’uomo e la donna sono profondamente e rapidamente cambiati. In una delle interviste precedenti che abbiamo realizzato per “Zona franca”, il cardinale Hollerich ci ha detto «il mio timore è che noi continuiamo a parlare a un uomo e una donna che non esistono più».

Quindi una teologia esperienziale come quella che invoca Papa Francesco deve partire da una osservazione dell’uomo, di come è cambiato, e come possiamo dialogare con questo uomo. Spesso abbiamo il timore che il dogma dell’incarnazione abbia prodotto nella Chiesa una certa fissità dell’idea dell’uomo; poiché Dio si è incarnato in quell’uomo di Nazareth noi continuiamo a pensare che quello è l’uomo. Volevamo partire da questo per rivolgerle la prima domanda ormai di rito in questa serie di conversazioni che stiamo facendo sulle sfide della Chiesa nel cambiamento d’epoca: dove sta andando il mondo?

Stiamo vivendo ovviamente un cambio di tempi, come dice Papa Francesco, caratterizzato, secondo me, e anche secondo tante altre persone, da due fenomeni che mi sembrano assolutamente decisivi.

  1. Il primo è la crisi ecologica. Essa sta creando ormai una sorta di paura collettiva, un vero e proprio timore tra la gente, che rischia di attizzare la violenza sul nostro pianeta, la lotta per la sopravvivenza, ma che suscita anche — e ciò è positivo — tanta riflessione e creatività. Si tratta quindi di un fenomeno ambivalente: da un lato si manifesta una sorta di resilienza, uno slancio creativo, perché la presa di coscienza è rapida e gli investimenti tecnologici, per esempio per i cambiamenti energetici, sono enormi, e dall’altro lato siamo diventati un’umanità che ha paura perché tante cose della realtà ci colpiscono, come ad esempio l’innalzamento del livello del mare in molte regioni del nostro pianeta.
  2. Il secondo elemento è la violenza che osserviamo in seno all’umanità. Gli Stati si sono indeboliti e viviamo all’interno di un sistema economico estremamente violento. Sono rimasto molto colpito durante l’assemblea sinodale da tutte le sofferenze di guerra che sono state evocate. Mi sembra che siamo usciti da un’epoca in cui le guerre erano solo localizzate, in un certo modo circoscritte, ed eccoci arrivati al tempo del terrorismo e di tanti altri fenomeni simili. La violenza si espande nelle stesse società perché le regole politiche ed economiche non funzionano più.
  3. Aggiungerei un terzo fenomeno per tornare alla questione antropologica: noi ci troviamo in una situazione del tutto paradossale, perché di fronte alla teologia dell’incarnazione si sta sviluppando il transumanesimo. Cioè un tipo di tecnologia, di digitalizzazione creata dall’uomo e che lo supera radicalmente; egli non ne è più padrone e si comporta come un «apprendista stregone», con questa folle utopia di credere di poter sopravvivere a sé stesso e addirittura superare il limite della morte. La fede nell’incarnazione di Dio ci porta a prendere sul serio la questione della morte. E quello che temo riguardo al futuro è proprio il transumanesimo. Si investe molto denaro in questa specie di evoluzione indefinita della tecnologia, un’evoluzione che occulta la questione della transizione ecologica che invece richiede un altro tipo di investimento. È proprio in rapporto a questa diagnosi che interviene la tradizione messianica del cristianesimo.

Cosa diciamo quando parliamo del Regno di Dio, che è davanti a noi? Noi speriamo nella pace e nella giustizia, non solo tra gli esseri umani ma anche tra l’umanità e la terra. È questo che implica la fede nell’incarnazione di Dio. Nelle sue due encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, Papa Francesco ha colto delle tradizioni messianiche —

vale a dire non solo della tradizione cristiana ma anche dell’ebraismo e dell’islam — che possono e devono avere un impatto sul futuro del nostro pianeta.

E allora per me, come cristiano, interviene qui la questione della teologia della risurrezione, che è la questione centrale del cristianesimo. In questi ultimi millenni anni abbiamo progressivamente preso coscienza che ognuno di noi ha una sola vita e ora ci rendiamo conto che abbiamo un solo pianeta: ciò che sta avvenendo è un mutamento della coscienza umana, vale a dire che la posta in gioco non è soltanto la questione della morte individuale, ma quella anche della possibile morte del nostro pianeta.

Ed è qui che appare l’impatto messianico della resurrezione nel cristianesimo, il che significa che in fondo il pianeta terra non appartiene ad una sola generazione ma a tutte le generazioni. Noi siamo gli eredi delle generazioni precedenti e abbiamo altre generazioni che abiteranno lo stesso pianeta.

Questo è il senso della risurrezione, o della comunione dei santi, cioè che tutte le generazioni convivono in Dio. È anche la ragione teologica dell’uguaglianza di tutte le generazioni, di tutti gli esseri umani. Abbiamo ricevuto il pianeta e dobbiamo lasciarlo alle generazioni successive. Possiamo farlo perché viviamo già insieme, tutti noi esseri umani, nella profondità abissale di Dio.

Della centralità del tema della resurrezione abbiamo discusso con don Piero Coda*1955  e abbiamo sottolineato l’aspetto della credibilità della risurrezione, del come spiegarla all’uomo di oggi così influenzato dall’onnipotenza della scienza. E allora abbiamo affrontato un tema di confine, che attiene al dialogo alle scienze e la fede: oggi tutta la comunità scientifica condivide l’idea che esistono più dimensioni spazio temporali, e quello che noi immaginiamo nella vita che viene può essere un’altra dimensione spazio temporale che i nostri sensi non percepiscono. Sembra alludere a questo aspetto il brano del capitolo 17 degli “Atti degli Apostoli” che mettendo al centro la resurrezione, afferma che Dio ha creato il tempo e lo spazio. Se il tema centrale oggi è la credibilità della resurrezione, il punto dolente nel mondo credente e in quello non credente, resta la domanda posta dallo scandalo rappresentato dalla morte. Come annunciare allora la fede nella resurrezione di Cristo e degli uomini?

 Lo spazio e il tempo indicano che siamo limitati; nello spazio nessuno di noi è onnipresente a tutto il reale. Dal punto di vista tecnologico ognuno di noi può fare innumerevoli cose ma non può sfuggire alla limitazione dello spazio e del tempo. La fenomenologia ci ha insegnato molto su questo: penso a Husserl, Heidegger e a tanti altri, e anche a Papa Francesco, secondo il quale il tempo è superiore allo spazio. Gli scienziati concordano per dire che ci sono altre dimensioni, ma direi che le altre dimensioni non ci portano fuori dalle dimensioni in cui esistiamo. Esiste inoltre una facoltà umana su cui riflettono molto scienziati, epistemologi e filosofi: l’immaginazione, vale a dire, la capacità di immaginare altri mondi. Ora, nella cosmologia abbiamo una pluralità di modelli, non c’è più solo quello del big bang. Ma ci possiamo anche chiedere: ci sono altri universi, universi paralleli, universi futuri dopo un’entropia generalizzata? Viviamo con l’immaginario e progrediamo in esso. E allora possiamo dire, nel nostro mondo scientifico moderno, che il cristianesimo è un “mito”; è quello che ha già detto molto tempo fa il teologo evangelico tedesco

 Rudolf Bultmann *1884-1976   

Sorge ovviamente qui la questione della credibilità: qual è oggi la credibilità dell’immaginario cristiano, del mito cristiano, tenendo peraltro presente che credibilità non viene stabilita da una prova? Penso che ci siano più livelli di credibilità. Il livello più elementare è che ogni essere umano sperimenta oggi nella sua carne il fatto che il suo itinerario personale nasconde un infinito. Come diceva Pascal: «l’uomo supera infinitamente l’uomo». Ma non solo: tutti noi percepiamo oggi che il pianeta terra nasconde un infinito. La tradizione biblica e cristiana ha il coraggio di pensare all’unità di tutte le generazioni umane. Tutte le creazioni sono in legame con la “carne” che è la terra. La credibilità del «mito cristiano» può essere stabilita da una nuova evidenza ecologica e planetaria, e basarsi sul fatto che la tradizione cristiana rappresenta un modo di vivere questa nuova consapevolezza nella «speranza contro ogni speranza».

Nella sua grammatica teologica ricorre spesso l’immaginazione, che si nutre di simboli. Ma viviamo in un’epoca che ha ucciso i simboli, non solo nella religione. Il simbolo è scomparso, la crisi della liturgia stessa è la crisi del simbolo.

Questa crisi deriva dal fatto che la simbolica umana è cambiata e che la liturgia con la sua struttura piramidale deriva dall’immaginario del passato. La trasformazione non si è ancora prodotta anche se abbiamo ricevuto segnali forti in tal senso. Michel de Certeau *1925-1986,   ci ricorda che l’immaginazione inizia nella vita quotidiana, ma non è il solo a dirlo. Un teologo come Karl Rahner *1904-1984 , che consideriamo molto spesso astratto, ha elaborato una teologia della quotidianità, della vita di tutti i giorni. Si tratta di due teologi estremamente sensibili alla vita concreta delle persone. Vorrei quindi sottolineare che per esprimersi in modo semplice in teologia, bisogna averla studiata tanto. La teologia si manifesta in modo semplice nella poetica della vita quotidiana di Certeau e lo è anche quando si legge Kart Rahner nei suoi scritti spirituali e nelle sue meditazioni sulla vita quotidiana. Io inizio sempre i miei corsi facendo agli studenti domande del tipo: cosa vuol dire svegliarsi, cosa vuol dire mangiare, camminare, dormire, conversare, pregare, ecc.? È determinante per una buona predicazione. Riguardo al linguaggio, è opportuno sottolineare che abitiamo il nostro mondo grazie alle metafore. Si tratta di un altro modo di parlare dell’immaginazione. Una delle metafore fondamentali della vita umana e cristiana è quella dell’odos, del cammino. Papa Francesco ha capito bene che per camminare insieme (syn-odos) serve innanzitutto un odos.     Riprendo qui la domanda dell’eunuco in Atti degli apostoli, 8, 31: «E come posso comprendere questo passaggio del profeta, se nessuno mi guida su questo cammino?». Il cammino passa per delle soglie, dei confini. Cerchiamo una casa, una tenda e per camminare abbiamo bisogno di un orizzonte e di una postura.

Direi che queste metafore ci portano anche a reinventare il linguaggio cristiano e soprattutto il simbolismo liturgico.

Si vede che la sua è la generazione del grido “l’immaginazione al potere!”.

Sono nato nel 1946, ma conosco anche tanti giovani che immaginano molto, perché non sono toccati dalla morte dell’immaginazione, dell’immaginare mondi alternativi, altri universi. E immaginazione e scienza sono strettamente collegate. Ho un figlioccio a cui piace molto la scienza, la cosmologia, e che passa tanto tempo davanti allo schermo immaginando altri universi. Mio padre era un professore di matematica e aveva molta immaginazione, come tutti grandi matematici.

Il linguaggio simbolico della Chiesa, le forme della liturgia, appaiono vestigia antiche che non dicono più nulla alle nuove generazioni. E dunque dove deve andare la Chiesa oggi, rispetto a un mondo con il quale sembra aver perso contatto

Innanzitutto, partiamo da un’esperienza ecclesiale locale, dove ci sono le condizioni essenziali per un’esperienza di fraternità, di ospitalità: ti accolgo, tu sei accolto così come sei, incondizionatamente. Questo non attiene soltanto all’ambito dell’immaginazione, si tratta prima di tutto di un’esperienza concreta. Io esercito un lavoro pastorale nel centro della Francia — che è un Paese di missione — nella regione del Limousin. Lo chiamo anche lo “spazio amazzonico” della Francia. È molto scristianizzato e quindi tra i cristiani c’è bisogno di fraternità. Lo si avverte dopo la messa della domenica dove le persone sono venute per incontrarsi e parlarsi. Sono poche ma si vedono e si incontrano, così come sono. Bisogna ripartire da qui.

Il secondo elemento decisivo per il futuro della Chiesa consiste nell’imparare a leggere insieme ad altri le Scritture, in piccoli gruppi. Questo è molto importante perché il testo ci offre qualcosa di oggettivo e allo stesso tempo ci dà la parola, potremmo dire oggi in maniera “sinodale”. Si tratta della prima socializzazione missionaria oggi in una situazione di crisi: leggendo le Scritture le persone possono imparare a parlare della loro vita. Nelle nostre società, molte persone infatti sono afasiche, non hanno parole per condividere la loro esperienza e ancor meno la loro fede. Questa esperienza dell’ascolto comune della parola di Dio può allora eventualmente condurre a una nuova maniera di entrare nell’esperienza sacramentale.

Quello sacramentale è il linguaggio principale della Chiesa, ed è quello che è maggiormente nutrito di simboli e quindi quello maggiormente in crisi.

Io direi che il rito si trova in crisi. Il simbolo dell’acqua non è in crisi, e neppure quello della cena, con il pane e il vino. Il rito, invece, è in crisi. Su questo bisogna lavorare in futuro. Per il battesimo ad esempio abbiamo ancora tante famiglie, soprattutto in Italia e anche un po’ in Francia, che vengono con i loro bambini perché hanno vissuto il miracolo della nascita. In Francia paradossalmente il numero dei catecumeni aumenta notevolmente, spesso si tratta di giovani, di trentenni o quarantenni che cominciano a riflettere sul senso della vita. Ogni situazione è unica e diventa impossibile avere un modello unico di catecumenato perché si deve accompagnare ogni persona. Ed è lì che il simbolismo dell’acqua diventa centrale. Spesso celebriamo i battesimi la notte di Pasqua e durante questa notte viene proposto un mondo di simboli. Questo è un problema centrale oggi: il simbolismo non è scomparso ma è disarticolato. Il simbolismo è un mondo, un immaginario e dobbiamo quindi trovare il modo di entrarvi gradualmente utilizzando, come Gesù e i primi cristiani, i simboli elementari dell’esistenza umana.

Passiamo ad un altro sacramento: l’ordine sacerdotale. Cosa rispondere a chi dice, e sono in molti, che la crisi della Chiesa è la crisi dei sacerdoti?

Non è la crisi del sacramento dell’ordine, è la crisi, direi, del ministero nella Chiesa. Il prete è diventato un tuttofare, perché i preti sono in pochi, e quei pochi devono fare tutto, scompare quindi il loro carisma specifico. Quando ero giovane seminarista, prima di diventare gesuita e prete, c’erano ancora molte possibilità, si poteva diventare prete insegnante, cappellano ospedaliero, ecc., cioè era possibile esprimere il proprio carisma. Oggi invece il sacerdote deve fare tutto e, in molti casi, non può più realizzare il proprio carisma. Questo è il primo elemento della crisi.

Secondo elemento, tanti giovani vedendo i preti sovraccaricati e stanchi, dicono «non sono fatto per vivere questo, non posso vivere questo». E tanti giovani preti si concentrano su ciò che possono meglio controllare. Non hanno la capacità di fare tutto, si rinchiudono nel necessario, essenzialmente nei sacramenti e nel governo, spesso ancora in modo clericale perché è un modo per realizzarsi.

Terzo elemento: molti cristiani non sanno neanche più perché i preti sono necessari. Sento dire due reazioni: alcuni mi dicono che in tutte le religioni ci sono i preti; quindi, devono essercene anche nella religione cristiana; altri mi dicono che ogni associazione ha bisogno di qualcuno che governi, chiedendosi perché la Chiesa cattolica fissa delle esigenze così elevate. Come rispondere oggi nel modo più semplice alla domanda: perché i preti sono necessari, perché il ministero ordinato è costitutivo? In fondo è semplice: la Chiesa non è un’associazione costruita su un contratto sociale ma è convocata da Dio, da Gesù Cristo nello Spirito. Abbiamo bisogno di qualcuno che simboleggia questa convocazione. Quando nel convocare l’assemblea il sacerdote dice semplicemente «il Signore sia con voi», ha già fatto il suo lavoro. È ordinato per questo. Dobbiamo spiegare questa risposta minimale al popolo di Dio: avete bisogno di qualcuno che vi “convochi” in quanto Chiesa, che vuol dire la “convocata”. Poi interviene la dimensione storica. Il ministero è cambiato molto in duemila anni, e dobbiamo trovare oggi una figura nuova che mantenga perlomeno l’essenziale. Possiamo riassumere il tutto in una frase — è stato Papa Francesco a dirlo — ovvero che la sinodalità è una dimensione costitutiva della Chiesa, così come il ministero gerarchico ne è costitutivo: esso si colloca nella Chiesa sinodale e la convoca.

Quindi per esempio potrebbe darsi che nel dogma invece di tre gradi nel sacramento dell’ordine ne nascano altri?

Non direi. Penso che la distinzione tra ministero episcopale e ministero presbiterale sia fondamentale. Si è imposta grossomodo alla fine del secondo secolo dopo Cristo. Questa distinzione è strutturale perché la Chiesa è interamente presente in ogni Chiesa locale: «il vescovo è nella Chiesa locale e la Chiesa locale è nel vescovo». Il ministero episcopale rappresenta quindi il legame con tutta la Chiesa di cui ha la cura con gli altri vescovi, mentre il ministero presbiterale è legato a una determinata comunità locale all’interno di una Chiesa locale o diocesana. Per il ministero diaconale è diverso. La possibilità di un ministero diaconale esercitato da donne è una questione seria che si pone oggi e che deve essere discussa.

Secondo lei, il Sinodo è la risposta adeguata della Chiesa al cambiamento d’epoca? Il Sinodo sulla sinodalità è un ritorno, un recupero, alla riflessione della Chiesa sul metodo e quindi sul cristianesimo come stile?

Il Sinodo sulla sinodalità introduce davvero una nuova immagine della Chiesa, sulla base dell’uguaglianza battesimale tra tutti, senza mettere in discussione la collegialità o a fortiori il primato. Mentre le nostre democrazie e società sono in crisi, noi riflettiamo molto sulla questione della deliberazione. La Chiesa è la prima istituzione al mondo che introduce la deliberazione sinodale a un livello di uguaglianza tra tutte le Chiese locali e tutti i credenti. Tutti sono coinvolti. Certo ci sono molte resistenze e siamo soltanto all’inizio di un lunghissimo processo di cambiamento. Ma questa nuova insistenza sulla sinodalità è dell’ordine di un segno messianico all’interno delle nostre società sempre più frammentate. Secondo me, si tratta proprio della risposta al cambiamento d’epoca che stiamo vivendo.

Direi che il Concilio vaticano II , in particolare la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, la Gaudium et spes, è stato reso possibile dalla pastorale dell’Azione cattolica; penso più particolarmente al cardinale Joseph-Léon Cardijn che è intervenuto al Concilio: si tratta del metodo del «vedere, giudicare e agire» che è più di un metodo. Dopo il Concilio tutto ciò è andato perso, sono apparsi altri movimenti e la pastorale si è frammentata. Papa Francesco ha introdotto la «conversazione spirituale» nel lavoro del Sinodo e spera che tutte le chiese locali adottino questo modo di procedere, come stile. Questo metodo che quindi è più di un semplice metodo è complesso e implica anche l’esercizio dell’argomentazione. È questo versante propriamente teologico che è mancato durante questa assemblea sinodale. Spero che questa «maniera di procedere» diventi un nuovo modo di fare pastorale; questo potrebbe essere un buon frutto del Sinodo.

a cura di Andrea Monda e Roberto Cetera          “L’Osservatore Romano13 novembre 2023 www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231113theobaldmondacetera.pdf

TEOLOGIA MORALE

Il messaggio morale della Bibbia: criteri per comprenderlo e attualizzarlo

Nella ricerca della propria felicità e pienezza di vita, l’uomo trova nella Scrittura la possibilità per fondare la propria relazione con Dio e con il prossimo, imparando così a distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Proprio nella Scrittura, dunque, si può trovare un luogo di confronto e dialogo sulle questioni che toccano la vita morale.

                Nella nostra società assistiamo ad una trasformazione rapida delle modalità con le quali i credenti definiscono i criteri da adottare per compiere le proprie scelte morali, un dinamismo che, in alcuni casi, non rientra nella logica e nell’agire dell’amore misericordioso di Dio (progressi scientifici e tecnici, comunicazioni sociali e innovazioni digitali, complessità dei vissuti personali e interpersonali).

                Queste trasformazioni esercitano un evidente influsso sulla coscienza morale col rischio di sviluppare una cultura relativista, che scarta persone e ambienti che non ci interessano personalmente, con il desiderio di aprirsi alle novità ma non sempre approfondite a sufficienza nei fondamenti filosofici e teologici. Anche per un cristiano cattolico la cultura dell’apertura e della tolleranza ha un’altra faccia della medaglia: una sfiducia, addirittura un’intolleranza e chiusura di fronte ad alcuni aspetti dell’insegnamento morale della Chiesa se pur avvolte con basi evangeliche, perché spesso si utilizza la Bibbia a nostro piacimento, senza le opportune categorie ermeneutiche e prendendo solo ciò che riteniamo ci aggrada.

Come giungere ad un equilibrio tra ciò che ci dice la Sacra Scrittura e le nuove sfide che la teologia morale è chiamata ad affrontare oggi?

 In che modo la Scrittura può essere fondamento nel determinare i criteri per le scelte morali, avendo come principio cardine la carità?

Domanda di Tommaso Fucci. studente al terzo anno del ciclo istituzionale di teologia presso l’Istituto Teologico Regina Apuliæ di Molfetta, Facoltà Teologia Pugliese.

L’orizzonte semantico delle domande

La domanda presentata ha una duplice prospettiva.

  1. Nella prima, la questione è posizionata nello spazio epistemologico che si estende fra il vivo messaggio della Scrittura e le nuove sfide della teologia morale. È un “incontro”, spesso polarizzato, di voci che hanno un’origine diversa. La prima è una Parola antica, ma ispirata dallo Spirito che – narrando il passato – illumina e anticipa il futuro. L’altra voce – quella delle odierne sfide morali – rappresenta il grido dell’attualità umana ingrovigliata fra l’eredità del passato, le ansie del presente e le angosce del domani…
  2. La seconda domanda, più personale e soggettiva, approfondisce la prima, focalizzando l’attenzione sulla Scrittura quale fondamento agapico per l’indicazione dei criteri con cui operare le scelte per il bene, orientate alla promessa di felicità del singolo essere umano e dell’intera famiglia umana.

Lo spazio dove risuonano le due domande, dunque, è nella mente di chi studia e coltiva la riflessione morale rispettando il cammino dell’umanità (soggettivo e comunitario), senza trascurare i suoi tormenti e le sue speranze. Tale spazio, però, deve effettivamente allargarsi e abbracciare i destinatari di ogni discorso etico-morale, ovvero le coscienze personali di coloro che ascoltano la Parola, se ne nutrono con il desiderio di stabilirvi una dimora permanente («[…] se rimanete nella mia parola” – Gv 8,31) e operano delle scelte vitali che intendono rispecchiare sia la natura dell’uomo nuovo, ricreato in Cristo (homo agapicus), sia il cuore della Rivelazione che è la carità. Soltanto la carità «[…] si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta […] non avrà mai fine» (1Cor 13,6-8).

                Orizzonte ermeneutico delle domande. Il desiderio di giungere ad un equilibrio tra il messaggio ispirato della Parola abitata dallo Spirito e le sfide – insieme esistenziali ed etiche – dell’uomo odierno, deve aprirsi ancora ad ulteriori contestualizzazioni previe.

  1. La prima riguarda proprio l’universo della Bibbia stessa. Essa regge su principi di ragionevolezza e di coerenza comunicativa diversi dalle discipline discorsive che oggi chiamiamo “scientifiche”.

Condiscendenza. La Scrittura infatti poggia su un principio dialogale che si chiama “condiscendenza” (attemperatio in latino, synkatábasis in greco, cf. DV, 13). Il divino Autore entra nel mondo espressivo umano marcato da tutte le sue limitazioni, imprecisioni e addirittura oscurità, adattandosi al livello ricettivo del suo partner umano.

                La Pienezza divina deve esprimersi tramite la limitatezza umana, l’eternità si inserisce nella transitorietà, la felicità deve rivestirsi di vulnerabilità e di dolore, la vita stessa deve conoscere il dramma di dissolversi e di morire. Tale condiscendenza è l’unica strada che l’Eterno possiede per entrare in contatto soteriologico con l’umanità smarrita e rivelarsi come Amore.

                La Scrittura, inoltre, pur presentandosi come un unico volume, in realtà è una “biblioteca” di 73 libri. L’orizzonte temporale abbraccia tante vite e generazioni, epoche e imperi. Questa “antologia” speciale dei testi, scritti in tre lingue, richiede un’apertura che porta ad una progressiva conoscenza, verso i livelli di senso e di significato lontani dalla cultura dell’odierna comunicazione. In altre parole, la Bibbia è un libro che nel suo divenire abbraccia almeno tre millenni, conserva delle sorprese al livello di modalità comunicative, invita a trattare con rispetto il mistero del suo messaggio, rivestito spesso di contenuti e di formule arcaiche.

La crescita della rivelazione nella storia. Un equilibrio interpretativo fra “il Messaggio” antico e “l’oggi” dell’uomo che cerca una chiara “formula etica” per vivere bene e saziare il cuore con la felicità sognata, è inoltre raggiungibile tramite l’atteggiamento prudenziale da assumere nella lettura del testo sacro. Quest’ultimo contiene la rivelazione, sì, ma nella sua forma storicamente “estesa”, cioè progressiva.

                I valori (assiologia) e le virtù fattive corrispondenti (aretologia), cioè, si esplicitano nella storia in lunghi processi generativi e non sempre lineari. Tale processo non riguarda soltanto il passato, ma abbraccia anche l’oggi dell’umanità e ogni futuro del creato (cf. Rm 8,19-23).

                La crescita della Parola nel lettore. Non si può nemmeno ignorare l’aspetto strettamente soggettivo-personale del lettore dei testi sacri, anche quando essi ricorrono a tale lettura per la ricerca teologica e non solamente spirituali: Scriptura crescit cum legente (s. Gregorio Magno). Le due crescite sono strettamente collegate: le “doglie del parto” riguardano anche il senso delle divine comunicazioni e si ambientano innanzitutto nel cuore dell’interlocutore umano della Parola.

                Tale processo assume una dimensione comunitaria: il lettore della Scrittura non è mai un individuo solitario, ma si inserisce in un “Noi” creato dalla Pasqua del Signore. Dice infatti Gesù nel suo “discorso d’addio”: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà» (Gv 16,12-15).

Di fronte a tali dimensioni, il lettore potrà raggiungere “equilibrio” divino-umano nella sua vita morale nutrita dalla Parola soltanto rispettando il suo mistero: dietro le storie e affermazioni umane sta davvero il Divino Comunicatore che abbraccia il senso intero della storia umana, permeata dal suo amore concretamente soteriologico.

Il centro di un cosmo. L’incontro dinamico fra la Parola ispirata e il popolo di Dio che cammina verso gli orizzonti della sua aspirata felicità, è dunque aperto a 360° e avvolto dal mistero di Dio ineffabile che si “pronuncia” in Cristo e si “amplifica” nello Spirito, donato alla comunità dei credenti e si “propone” al mondo in coloro che formano un solo corpo e hanno un solo cuore (cf. Ef 4,4-6), irradiandosi dal centro della loro coscienza condivisa.

                Un simile cammino potrebbe essere indicato da varie luci, stelle, galassie o asteroidi, in realtà anche distraendo o confondendo chi cammina. Ci vuole un’indicazione chiara, un punto fisso e univoco del “GPS della Parola” per continuare il cammino fra varie sorprese, difficoltà e sfide sempre nuove. Una simile “stella polare” che orienta e possibilmente struttura il percorso, disteso fra i valori e gli atteggiamenti virtuosi, indicando i cardini non negoziabili, è stata indicata da Giannino Piana, recentemente scomparso (*1939-†2023). Secondo questo celebre studioso della morale, l’etica cristiana “si riassume in una frase di Gesù”. Sembra addirittura che si tratti qui uno degli ipsissima verba di Gesù.

                Il testo in questione è rintracciabile in Mt 16,24-27 e in testi paralleli (Mc 8,35; Lc 9,24; Gv 12,25): «chi perde la propria vita la troverà, chi cerca la propria vita la perderà». G. Piana applica subito tale individuazione del centro morale del Vangelo alla vita del credente: “Il tendere al proprio autoperfezionamento morale è pur sempre un cercare la propria vita. Per Gesù la prospettiva non è la ricerca di sé, ma il dono di sé. Il dono di sé è l’opposto anche della ricerca di un perfezionamento morale altissimo”.

                Il discorso continua: “[…] il cristianesimo non è un’ascesi o un’etica, ma è prima di tutto una fede e una mistica. E soltanto come conseguenza, in linea strumentale, può essere un’ascesi e un’etica. La morale e l’ascesi sono mezzo, non fine. Il fine è la mistica, la contemplazione, il rapporto con Dio, la comunione” (Orientamenti biblici e riflessione morale. Sintesi della relazione di Giannino Piana, Verbania Pallanza, 8 marzo 2008).

Se questo è il centro etico-morale della Rivelazione. Sulla “cultura del dare” come l’orizzonte etico dell’umanità redenta, nel suo cammino verso la patria, situata nel cuore della Trinità, esiste ormai una vasta bibliografia e un consenso epistemico-spirituale vastamente condiviso. Se questo conferma i passaggi riconosciuti e tipici per la teologia morale fondata sulla Parola (Revelatio – Theoria – Praxis), conviene andare avanti nel senso ancor più radicare: a partire dalla rivelazione che sgorga dalle piaghe di Cristo, presenti nell’umano.

                Una luce particolare a questo riguardo ci è stata donata nelle parole di papa Francesco, pronunciate di fronte alle persone disabili: “Qui è Gesù nascosto in questi ragazzi, in questi bambini, in queste persone. Sull’altare adoriamo la Carne di Gesù; in loro troviamo le piaghe di Gesù. Gesù nascosto nell’Eucaristia e Gesù nascosto in queste piaghe. Hanno bisogno di essere ascoltate!”.

                L’ascolto di questa rivelazione nasce dalla Scrittura e – in particolare – dal suo centro pasquale del Venerdì santo. È lì che risplende la cultura del Dono che verrà confermata dall’effusione dello Spirito del Risorto nella pentecoste. Tale cultura, che è – per così dire – l’anima della Trinità, implica una reciprocità particolare: quella che intercorre fra il donare (donarsi) e il ricevere (riceversi). Da qui il triangolo “Dio-Io-Tu” nel quale si estende un Noi paradisiaco, già ricevuto nella pasqua di Cristo e crescente fino alla parusia e consumazione escatologica.

La vita morale come mistica della prossimità in un cammino condiviso. Gli “equilibri” fra la Parola che è Vita incontenibile e un “sistema morale” che indica i valori del Vangelo con il corrispondente agire – costruttivo e proprio dell’umanità nuova – saranno da ricercare sempre. È forse il tempo per accentuare meglio l’approccio sempre più “induttivo”, se la rivelazione di Cristo presente nell’umanità deve essere ascoltata – nella storia – innanzitutto a partire dal grido delle piaghe umane da lui assunte come proprie.

Ma è un approccio insieme “mistico”! L’attuale Pontefice l’ha voluto indicare nella capacità di avvicinarsi all’altro: “[…] quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio. Come conseguenza di ciò, se vogliamo crescere nella vita spirituale, non possiamo rinunciare ad essere missionari” (Evangelii Gaudium, 272).

La storia continua dunque. I criteri agapici dell’agire morale andranno sempre riproposti con vesti concettuali nuove che emergeranno alla luce della Parola. Essa continuerà a rivelarsi nella Scrittura, “amplificandosi” nel vissuto concreto di ogni essere umano, specie quando marcato dal mistero fecondo del dolore.

                (Teologia) morale che evangelizza. Forse un aspetto attende una nuova esplicitazione se Evangelii gaudium n. 272 deve essere presa sul serio: la vita vera è spontaneamente un’evangelizzazione! La visione morale che nasce dal Vangelo, per esprimersi in una prassi rivitalizzante la società, continuamente oscurata dai “baalim” – le divinità false del guadagno esasperato e del profitto illimitato –, forse deve ancora pronunciarsi meglio come evangelizzazione?

                L’evangelizzazione è segno e strumento di vita spirituale autentica. Tutti riconoscono che l’evangelizzazione è una conditio sine qua non dell’essere cristiani vivi. Evangelii gaudium n. 272 ha il coraggio di avvisarci addirittura di un “lento suicidio” se questa forma di vita credente venisse a mancare. Perciò è necessario pensare la teologia morale secondo un modello evangelizzatore.

                Come esprimere i valori “nuovi” per i tempi violenti che l’umanità d’oggi attraversa con stupore di scoprirsi così impotente anche nelle istituzioni preposte alla pace e allo sviluppo? Una teologia morale del futuro, nata dalla Parola Incarnata – Cristo crocifisso e risorto, vivo in mezzo alla sua Comunità – che accoglie la Sua presenza nelle piaghe dell’umano, è invitata ad esprimersi come una morale evangelizzatrice. Centrali saranno qui i valori come la prossimità, la gratuità, la reciprocità… La vita morale distesa fra i dinamismi di avvicinamento – incontro – ascolto – riconoscimento – accoglienza – cammino – essere casa, sempre in riferimento all’“altro”, rivelerà sempre meglio la fede “come rapporto”, dilatando i cuori delle persone e nella grazia di crescere insieme nelle sorprese di Dio.

 prof. Andrzej S. Wodka,*1959 C.SS.R., della Congregazione del SS. Redentore, è docente ordinario di teologia morale biblica presso l’Accademia Alfonsiana in Roma.

https://www.promundivita.it/blog-23-24

VIANDANTI

Presbiteri e ministeri per una chiesa comunità di comunità

Pubblichiamo come editoriale la riflessione che la Rete e l’Associazione Viandanti hanno fatto in relazione al tema del loro recente IV Convegno nazionale. Il documento vuole essere un contributo alla discussione sul tema della formazione e del ruolo del presbitero che è emerso in modo significativo nelle sette Assemblee continentali preparatorie del Sinodo dei Vescovi (2023-2024) e in particolare nella Sintesi nazionale della consultazione della Chiesa italiana. Per questo verrà inviato anche alla CEI.

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Il IV Convegno nazionale della Rete Viandanti (Un Buon Pastore. Per un nuovo ministero ordinato. Bologna 30 settembre-1° ottobre 2023) vuole affidare ai battezzati e alle battezzate di buona volontà, alle comunità ecclesiali, a coloro che sono impegnati nei lavori Sinodali e a tutti i vescovi italiani alcune riflessioni – in forma sintetica ed essenziale e come espressione del suo sensus Ecclesiæ –, in particolare riguardo alle sfide e alle urgenze, che appaiono più evidenti, ai fini di un rinnovamento del Ministero Ordinato.

            Abbiamo considerato tali interrogativi, che avvertiamo con l’urgenza che ci viene dalla nostra coscienza, sviluppando una riflessione che si è confrontata con il contesto attuale che si configura come profondo e radicale cambiamento d’epoca.

La Chiesa cattolica intera è chiamata a questo suo stesso cambiamento d’epoca. Mettiamoci perciò in ascolto dello Spirito o saremo come quei discepoli di Efeso che dissero all’apostolo Paolo: «Non abbiamo neppure sentito dire che ci sia lo Spirito Santo» (At 19, 2).

Abbiamo tenuto presente anche l’indicazione di papa Francesco secondo cui la Chiesa ha sempre bisogno di crescere nell’interpretazione della Parola rivelata, senza che ciò implichi l’imposizione di un unico modo di esprimerla. Infatti, le diversità se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, fanno crescere la Chiesa in tutte le sue componenti.

Ci siamo confrontati con teologi e teologhe, esperti ed esperte di Sacra Scrittura, Diritto Canonico, Storia del Cristianesimo, presbiteri e fratelli e sorelle di altre Chiese cristiane, dopo che il tema aveva assunto rilievo da qualche anno negli incontri periodici con i gruppi aderenti alla Rete Viandanti e attraverso la preparazione con due seminari.

Scopo del convegno è stato l’approfondimento dell’orientamento di fondo che il presbitero dovrebbe assumere in una chiesa comunione e comunità di comunità. Senza riprendere le molto ampie e articolate motivazioni teologiche, né le analisi sulle necessità pastorali e neppure l’approfondimento storico sulle caratteristiche del cambiamento d’epoca – tutti aspetti che, ovviamente, diamo per presupposti – indichiamo alcune questioni che ci appaiono prioritarie e che indicano una svolta in un cammino ineludibile. [1]

[1] Nella stesura del testo abbiamo tenuto presente: Lumen Gentium 12; Evangelii Gaudium 40, 132; Laudato si’ 17; Gaudete et exultate 39; Fidem servare 2; la Lettera del Santo Padre al nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, Víctor Manuel Fernández, del 1° luglio 2023; i recenti documenti della Commissione Teologica Internazionale; i lavori del Cammino sinodale della Chiesa tedesca.

Il posto e la fisionomia del presbitero

Si tratta di dare corpo ulteriore all’ecclesiologia del Popolo di Dio e dei diversi ministeri che lo Spirito suscita al suo interno. Accanto a quelli propri di tutti i christifideles, quello Ordinato deve spostare la centralità dalla dimensione sacerdotale [cristologica] (non annullabile) a quella del pastore [ecclesiologica], segno e strumento di cura e unità della comunità. Un passaggio poi dalla esclusività teologica del munus sanctificandi e dalla invadenza formale del munus regendi, che l’ha soffocato di impegni cerimoniali e amministrativi, ad un più significativo equilibrio del munus congregandi, centrato sul radunare e pascere il gregge di Dio, nel quale la riscoperta profezia della parola, la regalità umile del governo e la sacerdotalità come presidenza del culto comune trovano nuova forza. È quanto esprimiamo con la dizione “un buon pastore”.

                Attorno a questo ruotano esigenze impellenti: la riforma dei seminari, la formazione, la selezione, la vocazione alla cura, alla custodia e all’unità dei fedeli. Salva la specifica funzione di consacrazione eucaristica, che presiede a nome della comunità, occorrerà dar corpo al superamento delle barriere tra clero e laicato e mettere meglio a frutto la ricchezza dei molteplici carismi presenti nella comunità. Ci pare necessario e ormai indilazionabile che si avvii una riflessione sulla struttura sacramentale della Chiesa: un percorso che possa auspicabilmente portare alla definizione di nuove forme di ministeri e uffici, verso una Chiesa tutta ministeriale, improntata alla sorellanza e alla fratellanza.

                Ciò richiede di ridisegnare la fisionomia giuridica canonica delle comunità, l’organizzazione della potestas, i ruoli e i compiti consultivi e deliberativi attribuiti alle soggettività pastorali in comunione con il vescovo.

                Apertura di tutti i ministeri alle donne. Convinti di esprimere la sensibilità di molti altri battezzati e battezzate, riteniamo che limitare al solo ministro maschio la presidenza della liturgia eucaristica sia incomprensibile e di inesistente fondazione scritturistica. Il Concilio Vaticano II ha tracciato la strada per ripensare la pluralità dei ministeria nell’alveo di un unico Ordine sacro. Il fondamento su cui poggia la Chiesa è l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo e la forma che essa adotta deve porsi al servizio di tale aspirazione.

                L’esclusione delle donne dal ministero sacramentale non ci appare né giustificata in modo comprensibile dalla ragione né in linea con l’agire di Dio testimoniato dai racconti biblici. Vi sono donne che avvertono la chiamata e in cui la percezione e l’esperienza altrui scorgono carismi raccomandabili anche per l’assunzione di funzioni direttive nell’ambito del ministero sacramentale. Le argomentazioni teologiche finora espresse nei documenti magisteriali esistenti ci sembrano fortemente condizionate da paradigmi culturali superati. Esse devono quindi essere sottoposte a una revisione critica evangelica nel contesto della Chiesa, revisione per la quale si deve utilizzare anche la necessaria competenza scientifica. Ci pare altresì utile un confronto nell’ambito del dialogo ecumenico.

Anche in Italia, negli ultimi decenni, si è sviluppato un dibattito (teologico, filosofico e socio-scientifico) sulle questioni dell’equità di genere e della partecipazione delle donne in tutti gli ambiti della vita ecclesiale. Il contributo di tante teologhe è stato originale e creativo: un innegabile e positivo segno dei tempi. Ci si aspettano ora ricadute concrete nelle nostre comunità. Si auspica, pertanto, che al sensus fidelium di tutto il Popolo di Dio, e in particolare a quello delle donne, si voglia donare uno spazio sempre maggiore. In sintonia con molti altri e molte altre, siamo decisamente favorevoli all’apertura di tutti i ministeri anche alle donne.

                Ci aspettiamo che i vescovi italiani, come primo passo, si facciano sostenitori presso la Santa Sede dell’ammissione delle donne al diaconato.

                 Superamento del celibato ecclesiastico obbligatorio. L’unica sequela di Gesù è testimoniata, in modo adeguato, tanto dal celibato quanto dal matrimonio sacramentale, che simboleggia l’amore e la fedeltà indissolubile di Dio verso il suo Popolo, come già affermato nella Lettera agli Efesini (Ef 5,31s). Al più tardi a partire dal Concilio Vaticano II non si può più sostenere responsabilmente una supremazia dello stile di vita celibatario. I celibi possono infatti essere una ricchezza per i coniugi e viceversa. Le vocazioni, nella loro ampia varietà, hanno bisogno le une delle altre e si sostengono vicendevolmente.

                Aprire il presbiterato anche alle persone sposate può significare un arricchimento complessivo della testimonianza di vita. Così come il celibato ecclesiastico vanta una lunga, benché discontinua, tradizione all’interno della Chiesa cattolica di rito latino, lo stesso è vero per l’opzione e la realtà dei presbiteri sposati. In base alla testimonianza della Parola di Dio (1Timoteo 3 e altri), i ministri sposati rappresentano una realtà molto positiva: ciò è ancora valido non solo nelle Chiese ortodosse, ma anche in quelle cattoliche di rito orientale. Nell’ottica della fisionomia del pastore, in una comunità tutta ministeriale, anche la gestione del ruolo familiare può trovare facilitazione. Insieme, può far risaltare la volontaria scelta celibataria per il servizio comunitario.

Alla luce delle trasformazioni culturali, spirituali, antropologiche, emergenti nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, chiediamo:

  • il superamento del celibato ecclesiastico obbligatorio, riconsiderando caso per caso le situazioni critiche in atto e effettuando, con opportuno discernimento, l’accompagnamento vocazionale dei candidati al ministero;
  • l’introduzione dell’ordinazione di viri probati;
  • il riesame caso per caso, con opportuno discernimento, della situazione dei presbiteri sospesi e dispensati, perché sposati, che volessero riprendere l’esercizio del ministero.
  • Discernere i ruoli comunitari affidati a presbiteri e laici

Occorre valutare competenze, capacità e abilità richieste dai diversi ruoli pastorali, in modo da non attribuirli solo per acquisizione di un “titolo ministeriale” astrattamente inteso. Al contempo, ci pare di avvertire un’eccessiva “creatività” che disegna ministeri la cui funzione risponde più a bisogni contingenti – e in quanto tali affrontabili senza particolari consacrazioni – che a elementi costitutivi della vita comunitaria. Ben vengano comunque nuovi ministeri riconosciuti e istituiti, i cui candidati, di entrambi i sessi, siano adeguatamente formati. Accanto, il riconoscimento di semplici carismi personali che possano rispondere ai bisogni del corpo ecclesiale.

Ad esempio, anche al fine di assicurare l’importanza e la qualità della predicazione – un nervo scoperto ricorrente anche nella consultazione sinodale – si può prevedere l’affidamento dell’omelia, nelle celebrazioni eucaristiche della domenica e dei giorni festivi, a fedeli qualificati dal punto di vista teologico e spirituale, presbiteri o laici che siano. Un ispirato regolamento sulla predicazione definirebbe criteri più precisi per il conferimento della facoltà di predicare. Ciò sarebbe in sintonia con quanto afferma Paolo: “Quando vi radunate, uno ha un salmo, un altro ha un insegnamento; uno ha una rivelazione, uno ha il dono delle lingue, un altro ha quello di interpretarle: tutto avvenga per l’edificazione”. (1Cor 14,26).

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Queste proposte – che sorgono dalla preghiera e dalla riflessione, approfondite nel nostro Convegno e adeguatamente riformulate – vogliono essere il frutto tanto dell’ascolto umile dello Spirito quanto di uno sguardo amorevole alla Chiesa reale. Sono un auspicio, una richiesta accorata, un appello.

            Parma, 16 ottobre 2023

Associazione Viandanti

Associazione Amici di don Germano / Venezia; Associazione Esodo / Venezia ;Associazione Ospedale da campo / Città di Castello (PG); Casa della Solidarietà / Quarrata (PT); Chicco di senape / Torino; “Città di Dio” – Associazione ecumenica di cultura religiosa / Invorio (NO); Comunità del Cenacolo / Merano (BZ); Comunità cristiana di via Germanasca / Torino; Finesettimana / Verbania (VB); Granello di Senape / Pistoia; Gruppo Davide / Parma; Gruppo ecumenico donne / Verbania (VB); Gruppo per il pluralismo e il dialogo / Verona; In cammino per le riforme di papa Francesco / Messina; Il filo – Gruppo laico di ispirazione cristiana / Napoli; Manifesto 4 ottobre / Brindisi; Oggi la Parola / Camaldoli (AR); Rivista “il foglio” / Torino; Rivista “l’altrapagina” / Città di Castello (PG); Rivista “Parola&parole” / Lugano; Rivista “Tempi di Fraternità” / Torino; RomanintornoallaParola / Roma.

                [Pubblicato il 16.11.2023]

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Il responsabile è il dr Giancarlo Marcone, via A. Favero 3-10015-Ivrea.    newsucipem@gmail.com

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