News UCIPEM n. 988 – 12 novembre 2023

News UCIPEM n. 988 – 12 novembre 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le news sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}. Link diretti e link per pdf -download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono ripresi nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte primaria.

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviate una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.com con richiesta di disconnessione.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza. [Invio a 921 connessi].

Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

                               Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

02 CENTRO GIOVANI COPPIE      Secondo incontro del ciclo 2023-2024ù

02 C. INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n.41, 8 novembre 2023

O4 CHIESA IN ITALIA                       Padre Alberto Maggi “Adesso donne sacerdoti e fine del celibato dei preti”

05 CHIESA NEL MONDO                Chiesa cattolica in Francia. In nome della speranza

O7                                                         Conferenza episcopale tedesca: focus sugli abusi spirituali

10 CITTÀ DEL VATICANO                               Chiedere x sapere e chiedere x ottenere: le forme ecclesiali nella società della dignità

12                                                          Attacco dai tradizionalisti «Anche le donne in conclave. Sarà la riforma Bergoglio

13                                                          Caso Rupnik: ora i fatti, le sole parole non bastano

14 DALLA NAVATA                           XXXII Domenica del tempo ordinario – Anno A

14                                                          Quel che decide non è un più di sapere ma è un più di amore.

15 DONNE NELLA (per la ) CHIESA L’avanzata delle teologhe

17 FRANCESCO VESCOVO di ROMA Trans e gay la mossa del Papa

19 MEDIATORE FAMILIARE          Mediatore familiare: il DM n. 151 del 27 ottobre 2023

20.NATALITÀ                                     L’intesa. Natalità, il governo gioca la carta del patto pubblico-privato: ecco cos’è

20 OMOFILIA                                    Trans come padrini e madrine? È la pastorale dell’accoglienza

22                                                          “La fede non è questione di sesso davanti a Dio siamo tutti uguali”

22 RIFLESSIONI                                “Lavorate sempre al vostro tempio interiore, lì c’è la grande bellezza”

24 SEPARAZIONE E DIVORZIO     senza odiarsi, il ruolo de Avvocato x affrontare la separazione con equilibrio e dignità

25                                                          Cumulo consensuale di separazione e divorzio: disco verde della Cassazione

27 SINODO                                        Alcuni pensieri a Sinodo terminato

29                                                          Mons. Tshitoko: “Dobbiamo uscire dal clericalismo”

31                                                          15 gemme nascoste nel rapporto sinodale sulla sinodalità

33                                                          I religiosi condividono il modo in cui la sinodalità modella le loro decisioni

35                                                          Un Sinodo freddo sui temi caldi

35                                                          Un Sinodo deludente per le donne

36                                                          Per una piena uguaglianza di donne e persone Lgbtq+

36                                                          Non potete tornare indietro e non lo farete

37                                                          Cambiare il diritto canonico sul celibato

38 UNIVERSITÀ                                Master Affido, adozione e accoglienza familiare

CENTRO GIOVANI COPPIE

Secondo incontro del ciclo 2023-2024

del Centro Giovani Coppie San Fedele

“Tracciare e mantenere la rotta: stimoli e soste per la navigazione di coppia”

Il desiderio e la tensione verso una durata sono presenti nelle persone che scelgono di vivere in coppia. La possibilità di un “essere insieme” che esista nel tempo è una scommessa che si desidera vincere. Quali risorse possiamo scoprire e coltivare per realizzare questa aspirazione?

Giovedì 23 novembre 2023 ci incontreremo con

P. Iuri Sandrin – gesuita e Elisabetta Orioli – psicologa psicoterapeuta

                                                                                                     sul tema:

Scegliersi ancora. La coppia è un work in progress”

P. Iuri Sandrin s.J., gesuita friulano, è laureato in Filosofia presso l’Università di Padova e in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana, con specializzazione in Liturgia Pastorale conseguita a Padova, presso ILP di Santa Giustina. È stato impegnato per diverso tempo nella pastorale universitaria tra Padova, Bologna e Pisa.

Elisabetta Orioli, psicologa psicoterapeuta, ha collaborato fino al 2010 con il COSPES dei Salesiani dove si è occupata di orientamento, psicodiagnostica, consulenza clinica e formazione. Attualmente lavora come psicoterapeuta; collabora a progetti formativi per genitori e per coppie e con il Centro Giovani Coppie San Fedele.

Incontriamoci di persona alle ore 21,00, nella Sala Ricci in piazza San Fedele 4, a Milano.

Per partecipare in presenza non è necessario prenotarsi.

Chi volesse invece seguire in streaming la conferenza, deve prenotarsi inviando una mail a mail@centrogiovanicoppiesanfedele.it e indicando in oggetto “Conferenza 1” entro domenica 20 novembre 2023. Il link per collegarsi sarà inviato a ciascuno entro mercoledì 22 novembre.

Chi proprio non riuscirà ad esserci né in presenza né in streaming potrà comunque vedere e ascoltare in differita la conferenza sul canale YouTube del Centro.

https://mailchi.mp/410920163ce7/centro-giovani-coppie-san-fedele-conferenza-del-23-novembre-2023?e=dc6e7d7dc1

CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia

Newsletter CISF – N.41, 8 novembre 2023

§ il cisf family report in trasmissione su telenova. Da segnare in agenda gli appuntamenti di sabato 11 novembre (ore 23) e mercoledì 15 novembre (ore 10.15) per seguire la trasmissione condotta da Adriana Santacroce interamente dedicata all’uscita del Cisf Family Report 2023, “Politiche al servizio della famiglia“. Presenti in studio il direttore Cisf, Francesco Belletti e il giornalista di Avvenire Massimo Calvi, in collegamento da Roma l’economista Matteo Rizzolli (Lumsa) per approfondire i vari temi del report, che quest’anno coinvolge la fiscalità, l’impatto dell’assegno unico, la crisi della natalità e molti altri aspetti, che saranno spiegati anche attraverso contributi video di altri autori del report, l’esperto di diritto tributario Francesco Farri (univ. di Genova), la filosofa del diritto Margherita Daverio (Lumsa), la sociologa Elisabetta Carrà (Univ.Cattolica). La trasmissione sarà anche scaricabile attraverso l’App Telenova (disponibile su iOS, Android, Apple Store, Google Play). A questo link il video di lancio della trasmissione.                        www.youtube.com/watch?v=Hz7dGnIvGjY

§ #Osservatorio culturale bioetica: si parla di family global compact. Il 23 novembre dalle ore 17.00, la Facoltà di Bioetica dell’UPRA invita a partecipare al webinar dell’#osservatorioculturalebioetica: “Riflessioni sul Family Global Compact. La promozione della famiglia come obiettivo comune di università e società contemporanea”. Tra i relatori Adriano Bordignon (Presidente del Forum delle associazioni familiari e Francesco Belletti (Presidente Centro Internazionale Studi Famiglia – CISF) [qui il link per iscriversi]

www.upra.org/evento/osservatorioculturalebioetica-riflessioni-sul-family-global-compact

§ USA: adoperare l’ai per gli incontri romantici anche per l’abbinamento tra famiglie affidatarie e minori? Un algoritmo progettato da ex ricercatori di un servizio di incontri online potrebbe aumentare le adozioni riuscite negli Stati Uniti e promuovere l’efficienza delle agenzie di assistenza all’infanzia in deficit di risorse umane e finanziare. È questa l’ipotesi di un’organizzazione non profit americana, Adoption-Share, che ha offerto alle agenzie governative l’algoritmo Family-Match. Il funzionamento del sistema, proposto già l’anno scorso, è stato al centro di un’inchiesta giornalistica dell’Associated Presse che ne ha rivelato la poca efficacia (Virginia e Georgia hanno abbandonato l’algoritmo dopo le prove, notando la sua incapacità di creare adozioni). Tali esperienze, si legge nell’articolo, forniscono lezioni alle agenzie di servizi sociali che cercano di implementare l’analisi predittiva senza una piena comprensione dei limiti delle tecnologie, soprattutto quando si cerca di affrontare sfide umane durature come trovare case per i bambini descritti dai giudici come i “meno adottabili“.

https://apnews.com/article/ai-adoption-investigation-eharmony-child-welfare-f803bf3faa02bc90d285e68b1d2bc560

§ Delega anziani, i decreti vanno realizzati entro gennaio 2024. Il 23 marzo 2023 il Parlamento ha approvato la Legge n. 33 «Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane». Essa prevede che le deleghe al Governo debbano essere esercitate entro gennaio 2024, con l’adozione dei decreti legislativi attuativi, tra cui vi sono quelli finalizzati a definire la persona anziana, promuoverne la dignità e l’autonomia, l’invecchiamento attivo e la prevenzione della fragilità. Il che significa che è più che mai urgente entrare nel vivo dell’elaborazione legislativa, che dovrà “definire le politiche a favore dell’invecchiamento attivo nel nostro Paese per i prossimi anni”, si legge report “Invecchiamento attivo: legge delega 33/2023: una occasione da non perdere” [qui il testo] curato da Claudio Falasca – Uff. studi AUSER – Abitare e Anziani. L’associazione, in particolare, sottolinea preoccupazione per l’assenza, ad oggi, di notizie sullo sviluppo di questi decreti.

                www.auser.it/wp-content/uploads/2023/10/Spi-2023_10_Report-Invecchiamento-attivo.pdf

§  Scuola e adozione: presentate linee di indirizzo. Il 13 e 14 novembre la Commissione Adozioni Internazionali e il Ministero dell’Istruzione terranno a Firenze, presso l’Istituto degli Innocenti, una due giorni di convegno per la presentazione delleLinee di indirizzo per favorire il diritto allo studio delle alunne e degli alunni che sono stati adottati” [qui il testo delle Linee di indirizzo].

ww.miur.gov.it/web/guest/-/diritto-allo-studio-delle-alunne-e-degli-alunni-adottati-1

L’evento vedrà la partecipazione di rappresentanti istituzionali, tecnici ed esperti del mondo dell’adozione, tra cui il Coordinamento CARE. [per il programma, qui il link alla locandina].

 Percorsi di formazione

§            l’universo del metaverso. Il Centro Asteria propone un corso (in presenza e online) in 3 tappe per conoscere il “metaverso”: un aspetto del mondo digitale di cui tutti parlano, ma le cui implicazioni esistenziali, con rischi e opportunità, pochi conoscono. Un’occasione per riflettere, a livello interdisciplinare, sull’uso di una tecnologia che sembra appartenere al futuro, ma che in realtà è già pienamente inserita nel nostro presente. Gli appuntamenti sono: 13 dicembre (ore 10 – relatrice Glenda Franchin, ricercatrice in Culture della Comunicazione), 12 gennaio 2024 (ore 10 – relatrice Nicoletta Vittadini, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi) e 19 febbraio 2024 (ore 10 – relatore Silvano Petrosino, docente di Filosofia Teoretica, Teorie della comunicazione e Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano). [qui il programma]

S             SAVE THE DATE

  • Webinar (Usa) – 14/15 novembre 2023. “Advancing Research on Race, Ethnicity and Inegualisti” promosso dal Census Bureau [qui per info e orari]

www.census.gov/newsroom/press-releases/2023/workshop-race-ethnicity-inequality.html

  • Evento (Roma/Milano) – 14/15 novembre 2023. “Worklife balance & genitorialità. Quando l’azienda diventa la migliore alleata” doppio evento a cura di Young Women Network [qui gli orari sulle due location]

www.youngwomennetwork.com/event/work-life-balance-genitorialita-quando-lazienda-puo-diventare-la-migliore-alleata

  • Congresso Internazionale (Messico) – 15/17 novembre 2023. “Soluciones contra la violencia sexual. Innovación y aportaciones para la prevención y atención de niñas, niños y adolescentes” a cura di un numeroso gruppo di associazioni della società civile messicana e istituzioni sociali nazionali [qui il link dell’evento]                                                                                                           https://congresointernacional.org/index
  • Convegno (Milano/Web) – 17 novembre 2023 (15-16.30). “L’associazionismo familiare cattolico in Europa”, convegno di presentazione del volume a cura di Giovanna Rossi e Sara Nanetti  [qui il programma]     
  • www.unicatt.it/eventi/ateneo/milano/2023/La-rete-delle-associazioni-per-le-famiglie-in-Europa.html
  • Presentazione (Como/Web) – 19 novembre 2023 (inizio ore 17). “Amare per credere” presentazione del volume di don Francesco Pesce a cura dell’Ufficio Pastorale per la Famiglia [qui per info e iscrizioni]

 http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio    http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=oxx49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vt2xNCLM

CHIESA IN ITALIA

Padre Alberto Maggi “Adesso donne sacerdoti e fine del celibato dei preti” – intervista

   *1945, teologo, biblista cattolico e religioso dell’Ordine dei Servi di Maria.

«Le aperture del Papa per le persone transgender e omosessuali rappresentano un passo avanti enorme verso una Chiesa in cui c’è posto davvero per tutti. Francesco lo avrebbe compiuto anche prima, ma ha dovuto affrontare resistenze durissime della galassia tradizionalista. Servirebbe anche una richiesta di perdono da parte delle Sacre Stanze per tutte le sofferenze che, con le loro chiusure ideologiche, hanno provocato a migliaia di persone».

Lo scandisce padre Alberto Maggi, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria. Teologo, 78 anni, a Montefano, in provincia di Macerata, dal 1995 dirige il Centro Studi biblici Giovanni Vannucci, dove la prima domenica di ogni mese organizza incontri sul Vangelo, a cui partecipano centinaia di persone che arrivano da tutta Italia e dall’estero.

                In particolare, «ho sempre accolto chi si sente escluso e ferito dalla Chiesa. Tantissime persone omosessuali e transgender. Per questo per anni ci hanno accusato di essere eretici».

Adesso le persone transgender possono ricevere il battesimo. E fare da padrino, madrina e testimone di nozze, e questo vale anche per uomini gay e donne lesbiche. Sì al battesimo dei bambini delle coppie omosessuali anche se nati con gestazione per altri o fecondazione assistita. Che cosa ne pensa?

«Era ora. Sono contentissimo per questi enormi e necessari passi in avanti compiuti grazie a papa Francesco. Non è una questione di dottrina, gioisco per il cambio di mentalità che sta diffondendo il Pontefice. La direzione è quella di una Chiesa aperta concretamente a tutti. Solo dispiace che sia arrivata in ritardo, arrancando, non è stata al passo con i tempi della società. Il Pontefice avrebbe accelerato anche prima ma ha dovuto affrontare opposizioni forti dei circoli tradizionalisti. E adesso gli animi di chi è ostile al pontificato si infiammeranno ancora di più. Tra l’altro, queste aperture dovrebbero essere accompagnate da una richiesta di perdono della Chiesa».

Per che cosa?

«Per avere inflitto sofferenze terribili a migliaia di persone, che hanno avuto la vita distrutta perché si sono sentite contro natura, umiliate, nel peccato, rinunciando per questo a una vita affettiva. Perché arrivavano in parrocchia e si sentivano dire che erano sbagliate. E non reggevano al giudizio: quante esistenze rovinate così».

Lei come si comporta con loro?

«Quando parlo con coppie omosessuali e vedo che si vogliono bene e io dico loro che la persona che hanno incontrato è un regalo del Signore: “affinché tu sia felice”. E queste persone si illuminano di gioia. Quando scoprono, proprio dalle pagine del Vangelo, che sono creature amate da Dio così come sono, e che non sono sbagliate, rinascono. Questa accoglienza sarà pure “eretica”, ma restituisce la vita alle persone. Dopo anni in cui uomini in tonaca hanno cercato di reprimere la loro affettività. Spesso questa è stata più forte, così hanno cercato un compagno o una compagna, ma sempre vivendo con un senso di colpa che in tanti casi ha devastato la relazione. Così hanno dovuto soffocare i propri sentimenti, e sono finiti dallo psicologo o dallo psichiatra».

La benedizione delle coppie gay non è permessa

«Per me non è giusto che non si possa “dire bene” a una coppia omosessuale che si vuole bene e desidera vivere la fede cristiana. Benedire non significa sacramento del matrimonio. Il mio parere è che questa benedizione si può dare; adesso tocca offrirla clandestinamente».

Ruoli di responsabilità ai laici, diaconato e sacerdozio femminile: sono altri temi su cui riflettere?

«La forza vitale della Chiesa sta nella capacità di avere sempre nuove risposte ai nuovi bisogni che continuamente emergono. Il mondo cambia, e sovente in meglio. Quando la Chiesa strumentalizza vecchi “anatemi” la gente non la ascolta. Basta con i “no, no, no” basati sui pregiudizi».

E il celibato dei preti?

«In quasi tutti i continenti ci sono sempre meno sacerdoti e parroci, e sono sempre più anziani. L’obbligo del celibato fa acqua da tutte le parti. Non è un dogma, è inutile insistere. Vedo tanti preti anziani soli nelle case di riposo del clero. È una tristezza… Se avessero una moglie quanto starebbero meglio. E quanto sarebbero stati più sereni nel loro ministero sacerdotale».

intervista di Domenico Agasso “La Stampa” 10 novembre 2023

www.lastampa.it/cronaca/2023/11/10/news/padre_alberto_maggi_dopo_lapertura_del_papa_a_gay_e_trans_adesso_donne_sacerdoti_e_fine_del_celibato_dei_preti-13850733

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231110maggiagasso.pdf

CHIESA NEL MONDO

Chiesa cattolica in Francia. In nome della speranza

La domenicana Véronique Margron *1957, parla con una chiarezza pari a nessun altro degli abusi nella Chiesa cattolica francese. Che cosa la fa restare?

  Ogni tanto Véronique Margron si toglie i sandali grigi e mette un piede nudo sul tavolinetto davanti a sé. Non perché abbia caldo. Ma perché vuole mettersi comoda quando si tratta di parlare dell’argomento più scomodo e più doloroso della Chiesa cattolica: gli abusi sessuali. Nel suo ampio ufficio a Parigi, rue de Vaugirard, la presidente dell’Unione delle religiose francesi (Corref) ha ascoltato negli anni scorsi centinaia di vittime di abuso. Non passa settimana che non si aggiunga agli altri un nuovo rapporto sconvolgente.

La piccola, energica donna con gli occhialini ritondi è una buona ascoltatrice. Non interrompe, rimane concentrata seduta sul divano e non guarda né il grande orologio sulla scrivania né lo smartphone. Le Monde ha definito “il volto compassionevole della Chiesa cattolica” questa sessantacinquenne, il cui lavoro è centrato in particolare sul tema della violenza sessuale. Dopo la sua elezione a presidente della Corref nel 2016, è stata una delle prima persone a riconoscere che solo delle esperte e degli esperti indipendenti avrebbero potuto analizzare lo scandalo degli abusi.

Pochi mesi dopo fu decisa la costituzione della Commissione indipendente per l’indagine degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica francese (Ciase). Quando la domenicana parla dell’argomento abusi, si sente quanto sia arrabbiata. Un prete che ha violato per anni delle donne lo chiama “sporcaccione”. “Viene voglia di picchiare”, dice commentando un’altra terribile storia che un giorno un uomo le ha raccontato. Ma Véronique Margron non picchia. Agisce, cioè cerca un avvocato per una vittima, cerca per un’altra un contatto con un vescovo o con uno psicologo. “Non basta mostrare il volto compassionevole della Chiesa. Bisogna fare qualcosa”.

Perché le persone scelgono di andare proprio da lei?

Penso che la maggior parte di loro parla con me perché io non corrispondo all’immagine dell’autore del reato”. La maggior parte dei crimini di abuso nella Chiesa cattolica sono commessi da uomini maschi. Quindi il fatto che lei sia una donna ha un ruolo decisivo. Inoltre, è vero che Margron ha un incarico ecclesiale, ma non rappresenta la gerarchia. A differenza di un vescovo, non ricade su di lei il sospetto di aver coperto rei o scandali. Molte delle vittime che vanno da lei hanno in precedenza già bussato ad altre porte. Margron pensa che anche la sua biografia la aiuti a trattare il tema dell’abuso nella Chiesa senza preconcetti. Da piccola è cresciuta in un ambiente lontano dalla Chiesa. I suoi genitori, che si separarono, erano entrambi non credenti. “Oggi considero una fortuna il fatto di non aver frequentato alcun ambiente cattolico”.

Alla religione Margon è arrivata attraverso lo studio della psicologia a Tours quando è entrata in contatto con studentesse e studenti cattolici impegnati. Una serie di incontri l’ha portata fino ad una comunità di domenicane, “donne che avevano un vita davvero interessante e profonda”, dice. Dopo la laurea ha lavorato per il ministero della giustizia come psicologa con pregiudicati minorenni. Contemporaneamente ha cominciato a studiare teologia. I suoi colleghi vedevano con diffidenza la sua nuova religiosità. “Alcuni erano atei e pensavano fossi caduta vittima di una setta”. La critica esterna l’ha aiutata ad analizzare criticamente fin dall’inizio la sua fede. Senza idealizzare troppo la sua vita religiosa, a 24 anni è entrata nell’ordine delle domenicane. È poi diventata teologa morale e nel 2004 è stata la prima donna decana di una facoltà teologica. Fino alla sua elezione a superiora generale delle circa 150 domenicane in Francia nel 2013, il suo percorso era stato di tipo accademico. Si è trovata a confortarsi con il pesante scandalo degli abusi solo quando, tre anni dopo, è stata messa a capo della Corref, con i suoi ben 20.000 membri. Era il periodo in cui la Chiesa cattolica di Francia viveva il suo primo grosso scandalo. All’allora vescovo di Lione, Philippe Barbarin veniva rimproverato di aver coperto per anni un prete che abusava di giovani scout.

Allora Margron ricevette molte lettere da vittime la cui vita era stata distrutta dalla violenza sessuale. “Ci si trova confrontati ad un panorama di orrore che per me era inimmaginabile”. Presto capì che non si trattava solo di storie individuali, ma che l’intera Chiesa ne era colpita. E che aveva a che fare con uno scandalo doppio: l’abuso e il silenzio sistematico, l’omertà. La religiosa si sentì sopraffatta. “Non solo perché avevamo troppo pochi mezzi, ma anche perché come parte della Chiesa ci eravamo dentro”. Per questo convocò esperti esterni alla Chiesa che le consigliarono la creazione di una commissione indipendente. Il 5 ottobre 2021la Ciase presentò la sua relazione molto apprezzata, i cui dati erano spaventosi: si stimava che 216.000 bambini erano stati vittime nei precedenti 70 anni di abusi da parte di preti o religiosi. Il numero delle vittime saliva a 330.000 se venivano calcolati tra i rei anche dei laici – ad esempio in istituti o in colonie estive. “La Commissione era giunta ad una conclusione univoca: la Chiesa non voleva vedere né capire né ascoltare i deboli segnali”, disse il presidente della Commissione Jean-Marc Sauvé.

Véronique Margron, insieme al presidente della Conferenza episcopale francese Eric de Moulins-Beaufort, accolse la pila di documenti di 3000 pagine. Visibilmente provata, tenne un breve discorso sui risultati della relazione. “Come ci riprendiamo da questo colpo? Non lo so”. Nei mesi e negli anni seguenti fece innumerevoli interviste sull’argomento, sul quale trova parole chiare come nessuno che abbia una carica ecclesiale in Francia. Divenne non solo l’orecchio, ma anche la voce delle vittime. Quando il cardinale e presidente emerito della Conferenza episcopale, Jean-Pierre Ricard, confessò negli anni scorsi l’abuso di una minorenne, lei si rivolse alla pubblica opinione descrivendo la vittima che si era affidata a lei. “Il trauma che quella donna ha vissuto è estremamente forte”, ha detto Margron alla radio. È “moralmente impensabile” che dopo un simile

crimine possa ancora partecipare all’elezione del papa.”

Il giornalista Jérôme Cordelier scrive nella prefazione al libro di MargronUn moment de vérité”: “Per la prima volta sento che una voce, che ha un peso nella Chiesa francese, accetta in piena sincerità una realtà che è stata negata da molti suoi colleghi”. E più avanti: “Una religiosa pronta a combattere con onestà di fronte all’indicibile”. Ma il quotidiano lavoro in prima linea costa molta forza alla domenicana. Chiesa cattolica in Francia. In nome della speranza

Il sostegno, la religiosa lo trova nella comunità delle sue consorelle a Parigi. Certo, non parla loro dei casi di abuso, ma vivere insieme con altri e pregare insieme fanno bene. “Altrimenti, non so come sarei riuscita a farcela”. Definisce sé stessa una “suora fortunata”. Anche se distingue tra celibato e scandalo degli abusi, chiede di ripensare, per il futuro, il celibato dei preti e dei religiosi. Sono necessarie riforme in molti ambiti. Ma, a suo avviso, anche su temi come l’aiuto a morire, la Chiesa sarà credibile solo quando avrà rielaborato pienamente lo scandalo degli abusi e introdotto le necessarie riforme. “Chi ha tradito il Vangelo? Proprio la Chiesa. Quindi è lei che deve ora riparare”. Tanto è dura con l’istituzione, tanto forte rimane la sua fede in Dio, che in Cristo ha mostrato la sua solidarietà con i sofferenti. Il suo discorso dopo la consegna della relazione sugli abusi lo terminò con una citazione dello scrittore Georges Bernanos: “La speranza è la più grande e più difficile La speranza è la più grande e più difficile vittoria che l’uomo può ottenere sulla propria anima. Vi si giunge solo attraverso la verità – e con grandi fatiche”.

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231107longinmargron.pdf

Christine Longin  “www.zeit.de” (Christ&Welt) 6 novembre 2023 (traduzione: www.finesettimana.org)

Conferenza episcopale tedesca: focus sugli abusi spirituali

Per molto tempo, all’interno della Chiesa cattolica, l’attenzione si è concentrata sulla prevenzione e la riparazione della violenza sessuale. L’abuso spirituale era invece considerato solo un problema marginale. Attualmente le cose stanno cambiando. I vescovi tedeschi hanno ora presentato un documento con indicazioni su questo tema.

Quando lo studio MHG è stato presentato all’assemblea generale d’autunno dei vescovi tedeschi a Fulda cinque anni fa, il tema della violenza sessuale, specialmente su bambini e giovani, è stato ulteriormente posto al centro dell’attenzione. Da allora, molto si è fatto in termini di elaborazione e prevenzione: ogni assemblea generale dei vescovi ha messo la questione all’ordine del giorno; più recentemente, è stato avviato un sistema per permettere di riconoscere le situazioni. Nelle diocesi si sono formati consigli consultivi. Inoltre, numerose diocesi hanno commissionato perizie ad esperti di vario orientamento per indagare sui comportamenti illeciti all’interno della Chiesa. Finora tutti questi sforzi si sono concentrati sulla violenza di tipo sessuale.

Del fatto che ci siano state e continuino ad esserci altre forme di abuso (di potere) nella chiesa si era generalmente consapevoli, ma tale consapevolezza non ha ancora trovato espressione, neppure in studi scientifici sull’argomento.

Sistemi di esercizio del potere, dipendenze e silenzi. A poco a poco le cose sono cambiate negli ultimi anni. Le ricerche su comunità come “Totus Tuus” o “Katholische Integrierte Gemeinde” (cfr Herderkorrespondenz novembre 2020) hanno mostrato come le dipendenze possano sorgere anche in ambito spirituale. Che questo fenomeno non esista necessariamente solo nelle cosiddette Nuove Comunità (cfr. Herderkorrespondenz marzo 2023) lo si constata considerando il caso del gesuita e artista sloveno Marko Ivan Rupnik. È un caso che rivela un sistema di dipendenze, un esercizio problematico del potere e molti silenzi.

Per la prima volta nel novembre 2020, una conferenza specifica, organizzata dall’Accademia Cattolica Dresden-Meißen in collaborazione con la Conferenza Episcopale Tedesca e l’Associazione dei medici della Sassonia, si è occupata in maniera sistematica di abusi spirituali sotto il titolo “Dangerous Seelenführer? Abuso psicologico e spirituale» (cfr. documentazione: Herder Thema, Friburgo 2021). Il vescovo di Münster Felix Genn, allora presidente della commissione per le professioni ecclesiali e i servizi ecclesiali, ammetteva autocriticamente che c’era stata troppo poca attenzione su questo settore. Heinrich Timmerevers, vescovo di Dresden-Meißen, ha detto all’epoca: “Il caso della “Katholische  Integrierte Gemeindemostra quanto una comunità religiosa come la Chiesa cattolica sia vulnerabile rispetto agli abusi spirituali”. Ha ammesso che la Chiesa ha a lungo considerato questo fenomeno “solo un fenomeno marginale e una mancanza di singole persone”, e che la conferenza ha mostrato che i vescovi avevano più possibilità di controllo nelle comunità spirituali e nei movimenti ecclesiali di quanto egli avesse pensato. Negli ultimi anni i vescovi diocesani hanno anche adempiuto alla loro responsabilità in questo settore, ma nel frattempo la “Katholische Integrierte Gemeindenell’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga e la comunità “Totus Tuus” a Münster erano state sciolte. Timmerevers annunciava dopo la conferenza che i risultati della stessa sarebbero stati analizzati nell’Assemblea Generale dei vescovi. Riteneva che fosse necessario un “cambiamento di prospettiva con maggiore empatia per le persone coinvolte”. Il fatto che questa empatia fosse mancata fino a quel momento lo esplicitava una lettera aperta inviata a Timmerevers e al Presidente

della Conferenza episcopale, Georg Bätzing, da parte di persone vittime di abusi psicologici e spirituali prima dell’Assemblea generale di primavera del 2021. In essa, si lamentava la mancanza di comprensione umana e di partecipazione alla sofferenza delle vittime.

“Nei numerosi tentativi di denunciare gli abusi spirituali, le persone coinvolte hanno dovuto sperimentare che le loro denunce e richieste di aiuto non venivano ascoltate e che ancora oggi vengono per lo più ignorate dai vescovi e dalle loro amministrazioni”, scrivevano i firmatari, tra i quali molti erano membri della “rete contro gli abusi spirituali” fondata nel 2019. Chiedevano un trattamento indipendente, sistematico e completo degli abusi spirituali, misure di prevenzione appropriate e un dialogo aperto e a lungo termine con le persone coinvolte (vedi ora anche: HK Spezial, Freiheit im Glauben. “Sekten” – religiöse Bewegungen – kirchliche Gemeinschaften, Freibourg 2023).

Poco interesse nella pubblica opinione Ora la Conferenza episcopale ha compiuto un importante passo avanti verso la messa a fuoco del problema dell’abuso spirituale. Dopo che all’assemblea generale di Dresda nel febbraio 2023 è stato approvato un documento con indicazioni adeguate, è stato ora anche ufficialmente presentato nell’assemblea d’autunno dei vescovi a Wiesbaden-Naurod il documento “Abuso di autorità spirituale. Sul modo di affrontare l’abuso spirituale”. Alla presentazione del testo di circa 40 pagine, Timmerevers, presidente della Commissione per istruzione e scuola, ha sottolineato che la pubblicazione non è avvenuta su pressione dell’opinione pubblica. E che, purtroppo, c’è ancora troppo poco interesse pubblico per i danni che l’abuso spirituale causa. È invece grazie all’iniziativa delle persone coinvolte, cioè delle vittime, che l’opuscolo è stato ora pubblicato.

È molto importante rilevare che i vescovi sono consapevoli del fatto che nell’ambito degli abusi spirituali le cose si stanno muovendo. Si sono trovati di fronte ad una tensione determinata dal fatto che, da un lato, una tempestiva pubblicazione del documento con indicazioni era urgentemente attesa da molte parti. Ma che, allo stesso tempo, non era ancora stata acquisita una grande quantità di esperienze nell’ambito dell’elaborazione dell’abuso di autorità spirituale, e che il processo di elaborazione scientifica era ben lungi dall’essere completato. Il documento ha quindi rappresentato una “istantanea dell’attuale stato della discussione”, ha spiegato il vescovo di Magonza Peter Kohlgraf, in qualità di presidente della commissione pastorale, coinvolto anche nella stesura del documento. Per questo motivo, dovrà esserci una revisione e una valutazione del documento tra tre anni. Nonostante la sua provvisorietà, il documento con indicazioni è “un passo importante per la gestione del fenomeno”.

In questo contesto, le diocesi di Münster e Osnabrück lo scorso anno avevano commissionato un progetto di ricerca intitolato “Abusi spirituali in ambito di comunità religiose”, svolto sotto la direzione della teologa di Münster Judith Könemann. La Conferenza episcopale e l’Ordine delle suore francescane di Thuins partecipano al progetto. L’obiettivo è quello di indagare il fenomeno degli abusi psicologici e spirituali sulla base di due comunità religiose nelle diocesi di Münster e Osnabrück.

Quali conseguenze ha l’abuso spirituale per le persone coinvolte? Quali sono i presupposti e le strutture che lo producono? Quali pratiche religiose, credenze teologiche e concetti antropologici lo favoriscono?

I vescovi sperano che i risultati del progetto di ricerca portino a conclusioni utili per il lavoro di prevenzione anche in altre diocesi tedesche. Un problema nell’esame dell’abuso spirituale è stato finora la mancanza di definizione del concetto. Perciò, il primo capitolo del documento è dedicato a una definizione adeguata. Si usa comunemente il termine “abuso spirituale” per indicare un abuso da parte di una autorità ecclesiale. “Perché un abuso in sé non può mai essere di natura spirituale”, si dice nella prefazione. Ma si è consapevoli del fatto che l’abuso spirituale non è sempre necessariamente una forma di abuso di potere da parte di ministri della Chiesa. Esso può invece anche provenire da altre persone come direttori spirituali, educatori o insegnanti religiosi che non hanno funzioni di potere nella Chiesa.

Secondo Timmerevers, l’abuso spirituale è un “fenomeno specificamente ecclesiale”. Anche se in molti casi è come una preparazione alla violenza sessuale, è assolutamente diverso da quest’ultima. Come definizione, il documento con indicazioni fa riferimento al documento del 2022 sulla cura pastorale “Nella cura pastorale risuona il cuore della Chiesa”. In esso, viene citato il gesuita Klaus Mertes, secondo il quale l’abuso spirituale si basa “su una profonda confusione tra la persona “sacra” e la voce di Dio”. I vescovi scrivono ora: “L’abuso di autorità spirituale sembra che venga legittimato da persone che si identificano con la “voce di Dio” o che altri equiparano alla voce di Dio”.

Michael Gerber, vescovo di Fulda e nuovo rappresentante del Presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha sottolineato in questo contesto che l’abuso di autorità spirituale disconosce il carattere di mistero di Dio, dell’uomo o di entrambi. Questo induce a conclusioni sbagliate, come: “Io so cosa è bene per te, io so ciò che Dio vuole da te”. “Sono conclusioni sbagliate, con conseguenze spesso fatali per le vittime”, afferma Gerber. Tuttavia, il documento con indicazioni non si limita al chiarimento del concetto e alla definizione. Dal momento che esso vuole offrire sia ai “curatori d’anime” che alle vittime orientamento e assistenza, vi sono elencati tra l’altro anche luoghi e occasioni in cui possono verificarsi abusi spirituali. Così si cerca di sensibilizzare sull’argomento. Inoltre, vengono introdotti anche concetti di intervento e prevenzione e vengono formulati criteri per avere punti di riferimento. Un capitolo a parte è dedicato alle prove e ai criteri di discernimento.

Il catalogo delle domande ha lo scopo di contribuire a classificare meglio il fenomeno; serve come punto di riferimento. Allo stesso tempo si sottolinea che non vi è alcuna pretesa di fornire un elenco completo. Inoltre, il documento con indicazioni indica le possibilità di intervento per “risolvere il più rapidamente possibile inconvenienti e abusi spirituali”. Infatti il sanzionamento di abuso spirituale attraverso organismi preposti all’applicazione di pene è un’impresa ben difficile in quanto esige una descrizione precisa degli atti. Né il codice di diritto canonico né il codice penale statale hanno una competenza tale da indicare come punire l’abuso di autorità spirituale. Nella sfera laica, l’azione penale può essere avviata solo se vi sia al contempo il sospetto di privazione della libertà, e in ambito ecclesiastico solo, ad esempio, se vi è associato un abuso d’ufficio o la violazione del segreto confessionale. Secondo i vescovi, il sanzionamento ufficiale deve essere per quanto possibile evitato e devono essere sviluppate altre misure legali e requisiti strutturali.

Dana Kim Hansen-Strosche www.herder.de” novembre 2023 (traduzione: www.finesettimana.org)

  Dana Kim Hansen-Strosche, nata nel 1990, ha studiato teologia cattolica a Magonza. Dal 2016 al 2018 è volontaria presso la Katholischen Nachrichten-Agentur, poi fino al 2020 è stata consulente per

la teologia di media e stampa nella segreteria della Conferenza episcopale tedesca a Bonn. Dal marzo 2021 è redattrice presso Herder Korrespondenz.

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231109hansenstrosche.pdf

CITTÀ DEL VATICANO

Chiedere per sapere e chiedere per ottenere: le forme ecclesiali nella società della dignità.

 A proposito delle risposte ai 6 dubia di Mons. Negri.

Quando si pone una domanda, lo abbiamo imparato studiando il latino, si possono compiere due azioni diverse: si può chiedere per sapere e si può chiedere per ottenere. Un “dubium” può essere sollevato per due motivi: o per sapere qualcosa che non è chiaro o per ottenere qualcosa che non è ancora acquisito. Nel caso che qui si presenta, mi pare molto chiaro che le domande poste alla Congregazione da parte del Vescovo Negri, sollevate da una diocesi (Santo Amaro) interna alla metropoli di San Paolo del Brasile, fossero orientate ad ottenere un chiarimento su decisioni pastorali ragionevoli, ma che l’inerzia della società dell’onore tende a giudicare sempre “da fuori” e quasi “in contumacia”.

Ecco le 6 domande:

1. Un transessuale può essere battezzato?

2. Un transessuale può essere padrino o madrina di battesimo?

3. Un transessuale può essere testimone di un matrimonio?

4. Due persone omoaffettive possono figurare come genitori di un bambino, che deve essere battezzato, e che fu adottato o ottenuto con altri metodi come l’utero in affitto?

5. Una persona omoaffettiva e che convive può essere padrino di un battezzato?

6. Una persona omoaffettiva e che convive può essere testimone di un matrimonio?

Come è evidente, si tratta di domande che riguardano la incidenza delle “forme di identità sessuale

e di esercizio della sessualità” (transessuale e/o omosessuale) sulla possibilità di entrare (a diverso titolo) nella prassi sacramentale della Chiesa. Le azioni rituali considerate sono il battesimo (su cui vertono 4 domande) e il matrimonio (per 2 domande). La formulazione del dubbio è fatta nelle forme classiche ed anche la risposta segue lo stile classico, formale nel tenore e amministrativo nello stile. Tuttavia, dalle risposte, è facile notare come le argomentazioni, pur seguendo un procedimento argomentativo classico, aprono su una lettura aggiornata della tradizione. Provo a identificare i punti più importanti di questa novità:

a) I sacramenti non sono cose, ma persone. Non sono beni da amministrare, ma soggetti da accompagnare. Una società dell’onore tende a subordinare la “cosa sacra” al consenso sociale. Così pensa che l’onore di un atto sacro, come il battesimo o il matrimonio, non possa tollerare la trasgressione delle forme acquisite dal passato. Per questo innalza il criterio dello scandalo a criterio sommo nella amministrazione della prassi sacramentale. Così è stato possibile, fino a che questo criterio è stato dominante, che alla coppia omosessuale o al transessuale, fosse vietata, col consenso della Chiesa, l’attribuzione di appartamenti, perché la presenza di “irregolari” avrebbe penalizzato i padroni delle case vicine, in quanto “famiglie regolari e normali” che così avrebbero perso una parte del loro patrimonio. Il criterio dello scandalo ha le sue ragioni, ma non ha tutte le ragioni. Questa nuova evidenza, che a partire da Amoris lætitia ha iniziato a valere ufficialmente nelle considerazioni pastorali della Chiesa cattolica, implica un discernimento continuo.

b) Alcune domande, come è evidente, sono risolte in modo netto: essere “testimone di nozze” è in funzione della pubblicità dell’atto come “fatto sociale”, non ha nulla di specificamente ecclesiale. A partire dal Decreto Tametsi [concilio di Trento] e poi con l’irrigidimento ottocentesco che giunge al suo culmine nel Codice del 1917, abbiamo potuto pensare che l’integrale esperienza matrimoniale potesse essere “di competenza ecclesiale”. E che la Chiesa potesse anche giudicare sulla “dignità morale” dei testimoni. Questo appare il frutto di una deformazione clericale della dimensione naturale e secolare del matrimonio, che in Cristo è “elevato” a sacramento. Questa elevazione presuppone un “atto pubblico” in cui la testimonianza dei terzi è condizionata solo dal fatto che siano capaci di intendere e di volere. Il fatto che sia stata posta la domanda sui “testimoni” dice con molta chiarezza a quale punto di “distorsione” sia potuto arrivare il sogno di un totale controllo ecclesiale esercitato sulla unione e sulla generazione tra battezzati.

c) Un terzo elemento significativo, nel valutare le risposte della Congregazione, consiste nel notare come, nel ridimensionamento del criterio dello scandalo (che non scompare, ma non detta legge), si affaccia una diversa comprensione della legge, anche della legge canonica. Uno dei sogni, che la chiesa ottocentesca ha prima maturato e poi realizzato nel Codice del 1917, era di dotarsi di “leggi universali e astratte” con cui l’intera pastorale sarebbe stata orientata al bene: bene ecclesiale, ma, ultimamente, “bonum animarum”. Il passaggio dalla “società dell’onore” alla “società della dignità” ha profondamente modificato la concezione della legge. Nella società dell’onore, la legge è una pedagogia di orientamento al bene, controllata dal centro. La tutela delle “differenze” e delle “preferenze” va nella direzione della “salvezza delle anime”. Così è possibile concepire che tutte le differenze naturali e sociali (tra uomo e donna, tra liberi e schiavi, tra giudei e greci, ma anche tra figli naturali e figli legittimi, tra eterosessuali e omosessuali) non siano superate in Cristo, ma siano “custodite nella Chiesa”. Solo custodendo le differenze si tiene l’orientamento al bene comune. Ma la società della dignità non funziona così. La giustificazione della legge non è soltanto più nella “pedagogia dell’ordinamento”, ma nel “riconoscimento del soggetto”. Ciò che superiamo, con questo passaggio complesso, è l’idea che la Chiesa sia la amministratrice di “cose” che può concedere solo “a certe condizioni”. La Chiesa incontra “persone” che accompagna nel discepolato di Cristo, lungo percorsi, itinerari, cammini. E deve dotarsi per questo di uno strumento di discernimento diverso dalla sola “legge oggettiva” (come dice benissimo AL 303, parlando, per il passato, di un agire “meschino” che “pusilli animi est”).

d) Come è evidente, le domande sollevate come dubia, come le risposte della Congregazione, scontano alcuni “deficit” che sono il portato di una lettura “doganale” e “amministrativa” della Chiesa. Tutto rischia di essere ridotto al “sì” o al “no” sulla possibilità di partecipare ad un “atto formale”: essere soggetto del battesimo proprio, essere padrino o madrina del battesimo altrui, essere genitori di un figlio non generato, ma adottato, essere testimoni di nozze. Tutto questo può cadere nella trappola (antica e nuova) di essere ridotto ai due estremi: o “concessione ecclesiale” o “diritto soggettivo”. Questi sono gli stili opposti, proprio della “società dell’onore” e della “società della dignità”: la prima conosce solo concessioni, la seconda solo diritti. Nella trama della coscienza più autentica, la Chiesa sa che questi eventi non sono mai semplicemente “atti amministrativi”, sui quali sindacare diritti, interessi legittimi o doveri. Il cammino che porta al battesimo conta tanto quanto l’atto formale e sacramentale che lo conclude; la relazione di conoscenza e frequentazione tanto quanto la funzione formale del padrinato/madrinato. Queste evidenze ecclesiali, che restano sotto traccia anche nello scambio tra Vescovo e Congregazione, come era inevitabile, devono trovare una risposta ulteriore, rispetto a quella data ai 6 dubia. Una “conversione pastorale” che recuperi i sacramenti come persone, e non li tratti più come cose, considera queste risposte ai dubia come “utili paracarri” al bordo della strada, e si occupa invece della strada, su cui camminano le vite delle persone, con la loro grazia e le loro disgrazie.

e) Siccome nessuno ha mai posto il “dubium” se possa essere battezzato un capo-mafia o uno spacciatore di droga, ma si pone la questione se il transessuale possa essere battezzato, è evidente che si comprende la differenza tra una condizione che “può essere oggetto di conversione” (peccato, in senso stretto) e quella che “non può esserlo”. Essere transessuale o omosessuale è una condizione, non anzitutto un peccato. Qui sta il punto culturalmente ed ecclesialmente decisivo. Abbiamo considerato da alcuni secoli il “peccato sessuale”, ridotto ad “atto impuro”, come il peggiore dei mali. E abbiamo colpevolizzato le esistenze anzitutto su questo piano. Così abbiamo potuto costruire un sistema nel quale l’esercizio della sessualità diventa una sorta di “forca caudina”, inaggirabile per il giudizio sulla abilitazione del soggetto a stare “onorevolmente” nella Chiesa. La dignità di ogni battezzato implica una scelta di vita che non può essere controllata soltanto sul piano delle relazioni sessuali. La superbia, l’invidia e l’ira sono le piaghe della umanità, di tutti, anzitutto dei “regolari”. E sappiamo bene che il “lavoro ecclesiale” non avrebbe senso se ponessimo, all’inizio di una esperienza ecclesiale, una serie di dubia così concepiti: – un superbo può essere battezzato? – un invidioso può fare il padrino? – un iracondo può essere testimone di nozze?

Il vero scandalo, dal quale la società della dignità può aiutarci a guarire, è che ci facciamo tutti i problemi possibili per le forme di vita in cui l’esercizio della sessualità non è quello tradizionale, ma non abbiamo alcun problema a benedire e regolarizzare la superbia, l’invidia e l’ira e a sopportarne quasi con disinvoltura la presenza ostinata e dirompente. È scandaloso il fatto che vediamo come peccati e come disordini le identità complesse sul piano sessuale e vediamo come naturali e normali le identità disumane, le differenze imposte e le preferenze sfacciate.

Le risposte di buon senso offerte dalla Congregazione alle 6 domande del Vescovo Negri aiutano a ridimensionare un difetto di sguardo della tradizione cattolica moderna: quello di ingigantire a dismisura le cose piccole e di rimpicciolire senza limiti le cose grandi. Una messa a fuoco della vista passa anche da risposte ragionevoli e domande sanamente provocatorie.

Andrea Grillo     “promundivita.it”         8 novembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231109grillo.pdf

Attacco dai tradizionalisti «Anche le donne in conclave. Sarà la riforma Bergoglio

Papa Francesco vuol far eleggere il suo successore anche alle donne. Vero o falso? Dalla Santa Sede e dai diretti collaboratori di Bergoglio piovono smentite, l’ala tradizionalista s’infiamma. Non a caso dal momento che è dalle sue fila che nelle ultime ore è uscita l’indiscrezione destinata, al di là della sua reale fondatezza, ad agitare il dibattito in una Chiesa fortemente polarizzata e a rendere più impervio il cammino delle riforme caro ai bergogliani, ancor più che a Francesco.

Stando ai blog della destra cattolica, Messa in latino, The Remnant e l’autorevole The Pillar, il Papa starebbe lavorando alla riforma della costituzione apostolica “Universi Dominici Gregis”, promulgata da Giovanni Paolo II nel 1996 per disciplinare il Conclave. In particolare, le modifiche si concentrerebbero su due aspetti: da un lato, le congregazioni generali – le riunioni di confronto che precedono il voto non vedrebbero più la partecipazione dei cardinali over 80 e sarebbero articolate in lavori di piccoli gruppi come al recente Sinodo al posto dei classici interventi in plenaria; dall’altro, i porporati elettori – di cui attualmente il 72% creato dallo stesso Francesco – esprimerebbero solo il 75% dei voti, lasciando il restante 25% a laici e religiosi, donne comprese. Questi ultimi sarebbero nominati da Bergoglio prima della sede vacante.

Per quanto concerne il voto, la riforma si riallaccerebbe alle origini della Chiesa, quando il Pontefice – Papa, perché vescovo di Roma, e non il contrario – era eletto dall’intero popolo capitolino, senza distinzioni di sesso. Niccolò II (1059-1061) restrinse la cerchia ai soli cardinal-vescovi, un centinaio di anni più tardi il Concilio Lateranense III conferì l’elettorato attivo all’intero collegio cardinalizio. Mentre bisognerà attendere il 1274 e Gregorio X per avere il conclave. Istituzione pleonastica, se ci fosse già stata, per la spietata senatrix Marozia che nel X secolo ‘governò’ Roma (e non solo), grazie anche alle sue ‘entrature’ nei talami papali. L’esclusione dei cardinali over 80, invece, sarebbe un passo ulteriore per la loro messa fuori gioco dopo che Paolo VI li estromise dal voto in Cappella Sistina, perché in rotta coi porporati di Curia italiani.

Ma questo è un altro discorso, un’altra storia. Tornando ai rumor sulla modifica della “Universi Dominici

Gregis”, i tradizionalisti puntualizzano che Bergoglio avrebbe affidato l’incarico al canonista Gianfranco Ghirlanda. Da par suo, però, il collaboratore del Papa nella stesura della riforma della Curia, smentisce. «È una menzogna – incalza il cardinale -, smentisco decisamente di star lavorando col Papa ad una qualsivoglia riforma del Conclave. Non ne so niente e comunque sono totalmente estraneo ad essa». D’altra parte proprio Francesco, nel recente libro intervista “Non sei solo”, sottolinea come per l’elezione del Papa sia fondamentale essere vescovi, escludendo poi l’ipotesi di donne-elettrici, in quanto impossibilitate ad essere preti.

Ce n’è abbastanza insomma per accreditare i sospetti dei liberal sull’ennesima polpetta avvelenata dei tradizionalisti. Il bersaglio sarebbe la sinodalità – la partecipazione di tutti i fedeli alle decisioni della Chiesa che ‘entrerebbe’ in Conclave. Ed è dal Sinodo, destinato a chiudersi nel 2024, che potrebbero arrivare le proposte sul celibato facoltativo dei preti e sul diaconato femminile. Tutto fumo negli occhi per i tradizionalisti.

Giovanni Panettiere       “Qn” 7 novembre 2023

                www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231107panettiere.pdf

Caso Rupnik: ora i fatti, le sole parole non bastano

Coordinamento ItalyChurchToo

«Il Papa è fermamente convinto che se c’è una cosa che la Chiesa deve imparare dal Sinodo è ascoltare con attenzione e compassione coloro che soffrono, soprattutto coloro che si sentono emarginati dalla Chiesa» (bollettino Sala Stampa vaticana, 28/10/2023).

                Il 19 settembre scorso cinque ex religiose che accusano di abusi Ivanka Hosta e Marko Rupnik hanno rivolto una lettera aperta al papa, diffusa dal nostro sito: un grido di indignazione e di disillusione di fronte al recente, unilaterale incontro del papa con l’attuale direttrice del Centro Aletti, Maria Campatelli – ma non con loro, che pure lo chiedono da anni – e al susseguente comunicato del Vicariato di Roma riguardante l

La visita canonica allo stesso Centro Aletti, conclusasi con una diagnosi di buona salute della comunità e con l’espressione di dubbi riguardanti la procedura che nel 2020 portò alla scomunica di Marko Rupnik, poi misteriosamente ritirata.

                La lettera al papa delle cinque ex religiose, che si sono esposte firmandosi con nome e cognome, ha fatto il giro del mondo ed è arrivata in Vaticano. La Pontificia Commissione Tutela Minorum, integrata alla sezione disciplinare del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha alzato le antenne. Il papa è stato informato.

                L’8 ottobre, la stessa Commissione ha contattato le vittime proponendo un incontro, non finalizzato a mettere in discussione le decisioni prese su Rupnik (che, lo ricordiamo, non è stato sottoposto a un secondo processo canonico perché i fatti esaminati erano caduti in prescrizione, ed è stato soltanto “dimesso” (espulso) dalla Compagnia di Gesù per disobbedienza ai provvedimenti disciplinari che gli erano stati comminati), quanto a una revisione procedurale del modo in cui le ex religiose erano state trattate. L’incontro, al quale ha partecipato una di loro, si è svolto il 21 ottobre.

                Il 26 ottobre la diocesi di Capodistria, in Slovenia, ha dato notizia ufficiale dell’incardinazione di Marko Rupnik nel suo clero, insistendo sull’innocenza dell’ex gesuita, in quanto non toccato da alcuna condanna.

                Il 28 ottobre la Sala Stampa vaticana ha comunicato che il papa, ascoltata la Pontificia Commissione Tutela Minorum riguardo a «problemi nella gestione del caso di p. (sic) Marko Rupnik e la mancanza di vicinanza alle vittime (sic), ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della Fede di esaminare il caso e ha deciso di derogare alla prescrizione per consentire lo svolgimento di un processo». Una decisione inattesa, che sembrerebbe (il condizionale è d’obbligo) ribaltare di 180 gradi la politica vaticana di protezione dell’ex gesuita cui finora si è assistito.

Italychurchtoo accoglie favorevolmente la decisione del papa: la deroga alla prescrizione è certamente la conditio sine qua non per chiarire le responsabilità di Rupnik e per disegnare un debito percorso di giustizia per le vittime.

Ma le parole non bastano.

Pur condividendo il cambio di postura rispetto alla questione,

  • ci rattrista e ci pare paradossale che il papa, perché incalzato dal succedersi di eventi peraltro controversi, si renda conto solo ora della «mancanza di vicinanza alle vittime»;
  • ci rattrista e ci pare paradossale che «ascoltare con attenzione e compassione coloro che soffrono, soprattutto coloro che si sentono emarginati dalla Chiesa» sia qualcosa che va «imparato dal Sinodo».
  • Sottolineiamo con forza come, a questo punto, ci si attenda che:
  • la decisione del papa, che apre uno spiraglio di speranza per le vittime, sia in tempi brevi trasformata nella realtà di un processo canonico: un impegno non mantenuto costituirebbe un altro, ennesimo abuso;
  • ciò che riguarda l’istruzione, lo sviluppo e la conclusione del processo sia oggetto di comunicazione alle vittime e al pubblico, nel segno di una effettiva e reale trasparenza che consenta l’accertamento della verità;
  • il processo canonico a Rupnik, alla cui istruzione il papa si è impegnato, non si trasformi in un processo alle vittime: la loro credibilità di donne adulte dovrà essere rispettata e tutelata; dovranno potersi avvalere di avvocati di loro scelta; essere informate debitamente sulle procedure e coinvolte direttamente; in caso contrario, non faranno che rivivere un ulteriore abuso;
  • il processo canonico a Rupnik venga condotto in tempi rapidi e preluda a ulteriori procedimenti volti a far emergere le responsabilità di chi, nella catena di comando della gerarchia ecclesiastica, pur sapendo, ha coperto e insabbiato;
  • nella stessa dimensione di trasparenza, siano rese pubbliche in tempi brevi le conclusioni della visita apostolica alla Comunità Loyola di Ivanka Hosta.
  • Solo se questi requisiti minimali saranno rispettati si potrà pensare che la Chiesa istituzionale si trovi davvero sulla soglia di un nuovo e più concreto modo di affrontare gli abusi, rendendo verità e giustizia alle vittime e perseguendo i responsabili, senza più protezioni e coperture.

Adista Documenti n° 38               11 novembre 2023

www.adista.it/articolo/70873

DALLA NAVATA

XXXII Domenica del Tempo ordinario- -Anno A

Sapienza                             06, 15. Riflettere su di lei, infatti, è intelligenza perfetta, chi veglia a causa sua sarà presto senza affanni; poiché lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei, appare loro benevola per le strade  e in ogni progetto va loro incontro.

Salmo responsoriale     62, 04. Poiché il tuo amore vale più della vita.

Paolo a 1Tessalonicési 04, 13. Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono

                                               morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo

                                               che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro

                                                che sono morti.

Matteo                                25,13. ‹‹Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Quel che decide non è un più di sapere ma è un più di amore.

                Noi abbiamo bisogno di questo più di amore. Tutta la nostra cultura è nata all’interno di orizzonti particolaristici anche se non ce ne siamo accorti. Un tempo un fiorentino con il suo linguaggio culturale, parlava dell’uomo con la U maiuscola. Qui è nato l’umanesimo. Ma quando qui nasceva l’umanesimo, c’erano ancora oltre l’Atlantico, gli Indios e nell’Africa i negri che dell’umanesimo nulla sapevano. E noi credevamo di parlare dell’uomo. Si parlava di noi, della nostra isola. Solo oggi noi non possiamo più parlare di umanesimo senza vergognarci se questo umanesimo non prende le sue misure con ogni uomo, anche col negro. Ecco perché ci vuole un di più di amore, oggi. Non è facile. La spinta del passato, che è una specie di forza di inerzia, ci soffoca. Anche nei discorsi di uomini politici, senza distinzione fra i migliori o i peggiori, c’è una insularità culturale che fa paura. Se noi non ci preoccupiamo, non dico della fame del mondo — per tornare ad un tema, mi vergogno di dirlo, vuoto, tanto se ne parla sterilmente, senza conseguenze — ma di tutte le attese umane e a dimensione politica, delle attese sociali del mondo intero, senza passare da qui, il nostro discorso non è sapiente. Potrà essere vantaggioso, machiavellicamente efficace, ma nell’immediato la catastrofe si avvicina, il rischio della fine aumenta, perché l’esser molto intelligenti, all’interno di un sistema falso, è un pericolo, in quanto l’intelligenza deduttiva porta alle estreme conseguenze i mali insiti nel sistema. Un certo empirismo rimedia da sé ai propri errori ma la deduttività dell’intelligente, in un sistema erroneo, è micidiale. Noi dobbiamo, ricordiamocene, uscire fuori dai perimetri del sistema per sedere accanto all’uomo e aspettare che la sapienza venga. La sapienza viene proprio nell’incontro con l’uomo. E lei che ci sta cercando. Se noi incontrando in città, a Firenze, un negro ci sedessimo con lui perché ci raccontasse la sua storia, noi ci vergogneremmo! La sapienza viene attraverso il volto degli uomini di colore, ma noi non ce ne curiamo o al più siamo caritatevoli, facciamo opera di assistenza ma non ascoltiamo la sapienza. Se noi chiedessimo a un ragazzo che si smarrisce nella droga e nella violenza perché ci racconti la sua vita, la sapienza verrebbe a noi. Ma noi non ascoltiamo, noi prepariamo le strutture per relegarci i delinquenti e i drogati, ma non ascoltiamo. La nostra è una cultura che produce da sé i propri rimedi, i propri strumenti e i propri progetti, ma non ascolta più.

Torno al punto di partenza. Il nostro modo di vivere l’attesa della fine deve essere di tenere la lampada ricolma di olio. Questo olio è la sapienza che si deve esercitare nella dimensione del quotidiano. Se pensate a tutte le volte che avete scansato un incontro, avete scansato un ascolto, vi siete sbrigati per una presenza inopportuna… forse avete contato le occasioni in cui la sapienza stava per venire verso di voi e voi non l’avete

voluta ascoltare.

                p. Ernesto Balducci, scolopio                                    “Il Vangelo della pace” vol.1 anno A

www.fondazionebalducci.com/12-novembre-2023-32-domenica-t-o

DONNE NELLA (per la ) CHIESA

L’avanzata delle teologhe

L’11 ottobre del 1962 mentre correvo verso casa per piazzarmi davanti al televisore e restarvi per ore a guardare la lunghissima processione dei vescovi che entravano nell’aula conciliare di certo mai avrei pensato che quell’evento, capito sino a un certo punto da una adolescente ribelle, avrebbe inciso profondamente nella mia vita e cambiato il volto della Chiesa. Nulla sarebbe stato più come prima e un nuovo soggetto avrebbe fatto la sua comparsa. Parlo ovviamente delle donne teologhe e della teologia che avrebbero elaborata, a mio giudizio il fatto più innovativo e rilevante nella riflessione metodico-critica sulla fede nei decenni ultimi del secolo passato e nei primi di quello presente.

Benché condannate al silenzio e all’invisibilità le donne si erano già misurate criticamente con la fede. Penso a suor Juana Ines de la Cruz che aveva scelto di monacarsi tra le “geronimite”, emula delle dame dell’Aventino, le allieve e collaboratrici di San Girolamo. La sua audace presa di parola aveva ribadito per lei come per le altre donne l’obbligo del silenzio. Unica via d’uscita, a proprio rischio e pericolo, la loquela profetica e l’esperienza mistica, comunque da sottoporre al vaglio maschile clericale. Ne sono uscite vincenti Ildegarda di Bingen, Caterina da Siena, Brigida di Svezia, Domenica da Paradiso, Teresa d’Ávila, Maria Maddalena de’ Pazzi… Altre hanno pagato con la vita — basti ricordare Margherita Porete.

Ciò malgrado le donne hanno elaborato una teologia al femminile, fiorita soprattutto in contesti monastici. Nel passaggio all’età moderna hanno rivendicato l’accesso alla Scrittura, letta da alcune nelle lingue originali. Si colloca su questa pista di dotta acquisizione della fede la vicenda di Elisabetta Cornaro Piscopio, la prima donna a chiedere una laurea e in teologia. Le fu negata a partire dal detto dell’apostolo Paolo: tacciano le donne nella Chiesa. Fu gioco forza però laurearla in filosofia. Troppo importante la sua famiglia per opporre un radicale rifiuto.

Ci sono voluti più di due secoli perché le donne conseguissero la laurea nelle diverse discipline, ultima la medicina e ultimissima la teologia. A me è toccato d’essere tra le prime in Italia a frequentarne la facoltà. Era l’ottobre del 1968. Due anni dopo Maria Luisa Rigato veniva ammessa come uditrice al Pontificio Istituto Biblico mentre ne era rettore Carlo M. Martini. L’anno dopo erano diverse le allieve ordinarie che nel giro di due anni sarebbero state presenti in tutte le facoltà ecclesiastiche romane.

                Altrove ciò era avvenuto prima. Cito tra le primissime a conseguire il titolo la statunitense Mary Daly e la tedesca Elisabeth Moltmann Wendel. Quest’ultima raccontava che non si sapeva come declinarla nel diploma e scelsero la formula di virgo sapientissima!

Parallelamente le donne accedevano alle cattedre e portavano a termine ricerche fondamentali di carattere storico, patristico, biblico. Alla tedesca Elisabeth Gössmann il censore di tesi ebbe a rimproverare un vizio generazionale: era nata troppo presto e, infatti, mai in patria ci sarebbe stata una cattedra per lei.

                Sono approdata alla facoltà di teologia con una laurea in filosofia già conseguita e ho condotto i miei studi per un quadriennio conseguendo la licenza. Mi si chiese poi di portare avanti l’anno di dottorato, e per la tesi decisi di studiare la concezione del femminile di Giovanni Crisostomo, essendomi imbattuta nel suo epistolario alla diaconessa Olimpiade. Avevo sottovalutato la mole degli scritti e il percorso risultò lento. Anche perché nel 1974/75 mi era stato proposto d’insegnare introduzione alla teologia alla Scuola di Teologia per laici della mia diocesi. L’anno dopo avrei insegnato anche ecclesiologia e immediatamente dopo sarei stata cooptata all’Istituto Teologico San Giovanni Evangelista per la Sicilia Occidentale. Insomma, avrei insegnato ai candidati agli ordini.

Giocava in questa scelta la volontà esplicita di rendere operative le scelte conciliari. Spazio ai laici e alle donne. Ero donna e laica e avevo i titoli necessari. Tanto più che già nei primissimi anni Settanta a Roma insegnavano teologia l’italiana Nella Filippi e l’australiana Rosemary Goldie, una delle 23 uditrici del Concilio Vaticano II. La prima, grazie a un percorso che le aveva fatto accelerare i tempi, conseguito il dottorato era stata invitata a insegnare cristologia. La seconda, chiamata per chiara fama, veniva così ricompensata per il perduto ruolo di sottosegretario al Pontificio Consigli dei laici.

Anche altrove in Europa le donne cominciavano a insegnare. Prima tra tutte l’olandese Katharina Halkes, per chiara fama, chiamata dall’Università cattolica di Nimega alla cattedra di Femminismo e teologia. Per non dire delle tante i cui studi incidevano profondamente nell’elaborare una teologia militante, segnatamente diversa da quella sin lì elaborata dagli uomini. Non più una teologia in cui la specificazione “della donna” avesse una valenza oggettiva, ma una teologia di donne (genitivo soggettivo) sulla donna o semplicemente una teologia elaborata dalle donne – cito per tutte la norvegese Kari E. Børresen a cui dobbiamo studi fondamentali accompagnati da un lessico suggestivo e inedito.

Non è comunque che nella Chiesa per le donne tutto andasse a gonfie vele. Erano chiamate in causa nelle tre questioni che Paolo VI aveva avocato a sé: ministero femminile, celibato ecclesiastico, regolamentazione delle nascite. Il niet più spiazzante che tuttavia non chiuse il problema fu quello relativo al ministero. Nel frattempo la Chiesa era a suo modo coinvolta nell’anno internazionale della donna celebrato dalle Nazioni Unite nel 1975. Anche il Vaticano mise su una commissione di studio che non approdò a nulla o quasi. Certo due donne erano state proclamate “dottore della Chiesa”, ma lo stesso Paolo VI dovette giustificarsi dinanzi all’adagio già citato relativo al loro silenzio nella Chiesa.

Mi si lasci dire che le donne correvano veloci, ma la Chiesa faceva fatica a raccoglierne le istanze. Si allargava una crepa difficile da sanare, malgrado gli sforzi in alcuni paragrafi (numeri 34 e 35) della Esortazione apostolica di Paolo VIMarialis Cultus” del 1974. Le teologhe operavano una scelta di campo femminista; abbandonavano la teologia della donna per fare proprio il “pensiero della differenza” e a seguire avrebbero prestato attenzione a tutte le declinazioni del pensiero femminista, anche radicale, interloquendo o acquisendo le teorie di genere e le stesse teorie queer.

                Questo faticoso dialogo, spesso tra sordi, ha visto donne e Chiesa su posizioni divergenti. Alla Chiesa e al suo Magistero si è rimproverato di non avere mai abbandonato la cosiddetta “mistica della femminilità” così disegnando una donna irreale, iscritta in stereotipie a torto attribuite alla natura. La questione si è ingarbugliata durante il pontificato di Giovanni Paolo II . Il suo “femminismo della differenza” di fatto ha assunto come cifra la loro capacità di generare e ricondotto a essa il loro compito nella società come nella Chiesa. Restava senza eco il lavoro titanico di decostruzione e riformulazione della fede che veniva prodotto dalla riflessione femminista. Cito solo a mo’ di esempio, negli Stati Uniti, Elizabeth Johnson, il suo “Colei che è”; senza dimenticare Elisabeth Schüssler Fiorenza e il suo” In memoria di lei”

Quanto a me, ho conseguito la laurea nel 1979. Stava per essere eretta la Facoltà Teologica di Sicilia e la licenza non bastava più per far parte dell’organico. Non mi fu data la titolarità dell’ecclesiologia ma della teologia del laicato. Continuavo però ad insegnarla sempre con crescente passione. Le donne a Palermo si moltiplicavano e già si avvertiva all’orizzonte la seconda generazione delle ricercatrici e docenti. E, in effetti, là dove ho cominciato opera già la quarta generazione.

Le teologhe d’oggi non hanno le preoccupazioni di quelle della prima ora. Ho faticato tanto per riuscire a insegnare abbandonando un linguaggio “neutro”. Nei miei primi anni bisognava dimostrare di essere all’altezza. La femminilità doveva in qualche modo venire mascherata. Guardo con sollievo le teologhe più giovani sofisticate, carine, madri, sposate… insomma ben lontane dal cliché asessuato della consacrata alla scienza e interessata solo a quella.

In Italia la sociologa Chiara Canta nell’ultimo decennio ha dedicato alle teologhe un saggio suggestivamente titolato “Le pietre scartate”. E, di recente, ha accostato il pensiero di papa Francesco relativo alle donne. Certo la situazione è diversa. Le teologhe hanno affermato la loro professionalità dando vita ad associazioni specifiche, nazionali e non – il CTI in Italia, ad esempio. Ma anche in altri ambiti ecclesiali le donne sono più visibili. Restano però nodi insoluti, il ministero femminile innanzitutto. Resta la misoginia clericale. Resta insomma un cammino ancora tutto in salita che né certa presenza pastorale né il riconoscimento di Teresa di Lisieux e di Ildegarda di Bingen come dottore della Chiesa bastano a spianare. Ad esempio perché non riconoscere tale Edith Stein? Martire sì e nessuno lo nega, ma anche filosofa e teologa, ma forse appunto per questo spiazzante.

Eppure, guardando alle nuove generazioni mi sento piena di fiducia e ottimismo. La Chiesa non considera ancora come un prezioso tesoro questa schiera tenace, ma confido in tempi nei quali ciò avverrà. Occorre ridire la fede, renderla di nuovo seducente. Le teologhe possono farlo, anzi lo fanno già. Occorre far loro spazio a tutto campo. Per loro non è più tempo di tacere ma di parlare ed essere ascoltate.

Cettina Militello*1968 Teologa, vice-presidente della Fondazione Accademia Via Pulchritudinis.

Cettina Militello  ha sperimentato in prima persona le novità che il Concilio Vaticano II ha comportato per le donne: è stata tra le prime in Italia a essere ammessa in una  facoltà di teologia, nel 1968, e nel 1975 tra le prime laiche a insegnare in una Facoltà teologica (quella di Sicilia). Si è dedicata soprattutto a ecclesiologia, mariologia, ecumenismo, questione femminile, rapporto tra architettura e liturgia. È stata allieva e amica di Rosemarie Goldie, una delle 23 madri conciliari. È tra le fondatrici del Coordinamento delle Teologhe italiane, nato nel 2003. Ha curato «Il Vaticano ii e la sua ricezione al femminile», Edb, che traccia un bilancio sul Concilio a partire da una peculiare prospettiva: la novità ha comportato sul fronte delle donne. I suoi ultimi libri sono «Sinodalità e riforma della Chiesa. Lezioni del passato e sfide del presente», pubblicato da San Paolo Edizioni e «Le chiese alla svolta- Ripristinare i ministeri», Edb.

                Fonte: L’Osservatore Romano 4 novembre 2023 inserto Donne Chiesa Mondo

www.osservatoreromano.va/it/news/2023-11/dcm-010/l-avanzata-delle-teologhe.html

                                                    FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Trans e gay la mossa del Papa

     Le persone transgender possono ricevere il battesimo «alle condizioni degli altri fedeli». E fare da padrino, madrina e testimone di nozze, e questo vale anche per uomini gay e donne lesbiche. Sì al battesimo dei bambini delle coppie omosessuali anche se nati con gestazione per altri o fecondazione assistita. La svolta è stata scritta nero su bianco nelle Sacre Stanze vaticane del Dicastero per la Dottrina della Fede, l‘ex Sant’Uffizio. Firma: il cardinale prefetto Víctor Manuel Fernández, detto Tucho. Controfirma: Francesco. Il documento (che non menziona le persone bisessuali) è una risposta ad alcuni quesiti di un vescovo, monsignor Josè Negri, pastore di Santo Amaro in Brasile, inviati il 14 luglio scorso.

www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_ddf_20231031-documento-mons-negri.pdf

      Bergoglio imprime un’accelerazione all’idea di Chiesa concretamente aperta a «tutti, tutti, tutti», come predica dall’inizio del pontificato e come ha esclamato davanti a milioni di ragazze e ragazzi la scorsa estate a Lisbona alla Giornata mondiale della Gioventù.

     La prima indicazione fornita a monsignor Negri è che «un transessuale – che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e ad intervento chirurgico di riattribuzione di sesso – può ricevere il battesimo, alle medesime condizioni degli altri fedeli, se non vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli». Nel caso di bambini o adolescenti con «problematiche di natura transessuale, se ben preparati e disposti, possono ricevere il Battesimo».

     Il sito Vatican News spiega che «attraverso citazioni di san Tommaso e sant’Agostino, il Dicastero ricorda che Cristo continua a cercare il peccatore e quando sopraggiunge il pentimento, il carattere sacramentale ricevuto dispone immediatamente a ricevere la grazia». Così si può capire perché il Papa «ha voluto sottolineare – si legge nella nota della Dottrina della Fede – che il battesimo “è la porta che permette a Cristo di stabilirsi nella nostra persona e a noi di immergerci nel suo Mistero”». E si cita l’esortazione apostolica «Evangelii gaudium, sull’annunzio del Vangelo nel mondo attuale»: implica «concretamente che “nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo (…) la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”».

     Perciò, anche quando «rimangono dubbi circa la situazione morale oggettiva di una persona, non si deve mai dimenticare quest’aspetto della fedeltà dell’amore incondizionato di Dio, capace di generare anche col peccatore un’alleanza irrevocabile, sempre aperta ad uno sviluppo, altresì imprevedibile».

     Secondo punto: «A determinate condizioni, si può ammettere al compito di padrino o madrina un transessuale adulto che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e a intervento chirurgico di riattribuzione di sesso». Allo stesso tempo si ricorda che questo compito non costituisce un diritto e dunque «la prudenza pastorale esige che esso non venga consentito qualora si verificasse pericolo di scandalo, di indebite legittimazioni o di un disorientamento in ambito educativo della comunità ecclesiale». Non c’è nulla invece nella «vigente legislazione canonica universale» che proibisca a una persona transessuale «di essere testimone di un matrimonio».

     Un interrogativo particolarmente delicato riceve un’apertura inedita. Domanda: «Due persone omoaffettive possono figurare come genitori di un bambino, che deve essere battezzato, e che fu adottato o ottenuto con altri metodi come l’utero in affitto?». Risposta dalla Santa Sede: «Perché il bambino venga battezzato ci deve essere la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica».

     Altro tema: «Una persona omoaffettiva e che convive può essere padrino di un battezzato?». C’è il via libera anche a uomini gay padrini e donne lesbiche madrine che convivono con un’altra persona, basta che conducano «una vita conforme alla fede». E nulla osta a una persona omosessuale a «essere testimone di un matrimonio».

     Queste porte che si spalancano nei Sacri Palazzi e nelle sacrestie sono «fumo negli occhi per gli ultra-conservatori», commenta un prelato d’Oltretevere. Così come «le prossime sfide da affrontare e su cui riflettere per rendere la Chiesa più pronta a dialogare con il mondo e la contemporaneità: il diaconato e il sacerdozio femminile, la benedizione delle coppie gay, il celibato dei preti».

Domenico Agasso                                 “La Stampa”                                9 novembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231109agasso.pdf

MEDIATORE FAMILIARE

Mediatore familiare: il DM n. 151 del 27 ottobre 2023

    Con D.M. 27 ottobre 2023, n. 151 il MIMIT ha adottato il “Regolamento sulla disciplina professionale del mediatore familiare

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2023-10-31&atto.codiceRedazionale=23G00162

    Con il D.M. n. 151/2023 , composto da 10 articoli e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 255/2023, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy compie un passo nella direzione tracciata dalla riforma Cartabia, che, con D. lgs n. 149/2022, ha inserito il Capo – I bis – “Dei mediatori familiari” nel Regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, introducendo così nel nostro ordinamento la figura in esame.

www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:regio.decreto:1941-08-25;1368

     Il D.M. n. 151/2023 si propone di disciplinare l’attività professionale del mediatore familiare, la sua formazione e i suoi requisiti, nonché in generale le modalità e i limiti entro i quali il mediatore familiare è legittimato ad operare.

                                                                     Chi è il mediatore familiare

   L’art. 2 del Decreto prevede che il mediatore familiare è una figura professionale terza e imparziale, munito di una specifica formazione, che “interviene nei casi di cessazione o di oggettive difficoltà relazionali di un rapporto di coppia, prima, durante o dopo l’evento separativo”.

    Tale intervento è volto a facilitare i soggetti coinvolti nel percorso di riorganizzazione della relazione, anche mediante il raggiungimento di un accordo negoziato, avendo riguardo alla salvaguardia dei rapporti familiari e della relazione genitoriale, ove esistente.

   Vai alla guida Il mediatore familiare

                                                                     Requisiti

   Gli articoli 3, 4 e 5 del Decreto si occupano di stabilire quali siano i requisiti di onorabilità, professionali e di formazione che il mediatore deve possedere per l’esercizio dell’attività di mediazione.

   In particolare, è previsto che il mediatore debba essere, alternativamente, in possesso di uno dei seguenti requisiti:

 a) attestazione rilasciata dalle associazioni professionali iscritte alla II Sezione dell’elenco tenuto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge, n. 4 del 2013;

  b) certificazione di conformità del singolo professionista alla normativa tecnica UNI 11644, ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 4 del 2013, rilasciata da organismi di certificazione accreditati dall’organismo unico nazionale di accreditamento ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008;

   c) diploma di laurea almeno triennale nell’area disciplinare umanistico-sociale di cui all’allegato 1 del decreto del Ministro dell’università e della ricerca del 30 dicembre 2020, n. 942 o altro titolo equivalente o equipollente per legge.

www.mur.gov.it/sites/default/files/2021-02/Decreto%20Ministeriale%20n.%20942%20del%2030-12-2020.pdf

   L’attività di mediatore familiare è inoltre consentita a coloro che, alla data di entrata in vigore del D.M. n. 151/2023 (15 novembre 2023), siano già in possesso dell’attestato di mediatore familiare, conseguito con la frequenza di un corso di almeno 220 ore e il superamento dell’esame finale e che abbiano altresì svolto documentata attività di mediazione familiare nel precedente biennio.

Formazione

   Il Decreto impone che mediatore debba seguire un corso di formazione iniziale, riconosciuto da associazioni professionali ai sensi della legge n. 4 del 2013, oppure erogato dai soggetti da queste riconosciuti, la cui struttura e contenuto è delineata all’art. 5, comma 3, lettere a), b) e c). Al termine del corso è previsto un esame finale il cui superamento comporta il rilascio di un attestato di idoneità all’esercizio della professione di mediatore familiare.

Costi e compensi

   Ciascuna delle parti coinvolta nella mediazione si impegna a corrispondere al mediatore familiare, per ogni incontro effettivamente svolto, la somma di € 40,00 oltre oneri di legge. Tale somma è moltiplicata, a norma dell’art. 8, comma 5, a secondo della complessità e la conflittualità della mediazione.

Silvia Pascucci                                        Studio Cataldi                             06 novembre 2023

www.studiocataldi.it/articoli/46194-mediatore-familiare-il-dm-n-151-del-27-ottobre-2023.asp

NATALITÀ

L’intesa. Natalità, il governo gioca la carta del patto pubblico-privato: ecco cos’è

Un’alleanza con il mondo produttivo per un lavoro accogliente nei confronti della genitorialità. E per un’impresa a misura di mamma. Sottoscritto stamane al Tempio di Adriano a Roma il Patto per le imprese responsabili in favore della maternità, lanciato dal ministero per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, nel corso di un evento dal titolo “La maternità (non) è un’impresa”.

     «Siamo qui per proporre un’alleanza perché l’Italia, l’Europa hanno un problema: che consistenza avranno le prossime generazioni rispetto allo spopolamento», spiega la ministra Eugenia Roccella alla presentazione del Codice di autodisciplina di imprese a favore della maternità.

     Per Roccella «abbiamo tanti fronti che si aprono e da coprire, questo governo per la prima volta ha messo al centro il tema della natalità, lo ha messo al centro del dibattito pubblico, affrontandolo in maniera trasversale e più ampia, siamo all’anno zero». La ministra precisa: «Non siamo dirigisti, non crediamo ai piani quinquennali, crediamo nella sussidiarietà e vogliamo creare un ambiente amichevole per le donne e la maternità nel mondo del lavoro. Per questo dobbiamo valorizzare il lavoro di cura».

     L’accordo siglato con diverse aziende contiene «tre punti fondamentali:

  1. un accompagnamento al rientro al lavoro dopo la maternità,
  2. l’aspetto sanitario come lo screening sulla fertilità
  3. poi il più importante cioè la flessibilità con una valutazione degli obiettivi e non solo della presenza sul lavoro».

     Enel è tra le prime 100 aziende firmatarie del Patto. Il Gruppo ha deciso di aderire all’iniziativa per rafforzare ulteriormente il suo impegno a favore delle lavoratrici madri e sostenerle nei loro percorsi di carriera, arricchendo così il pacchetto di iniziative già avviate a sostegno delle genitorialità. Il Gruppo da tempi attua politiche di welfare all’avanguardia. Le azioni avviate negli ultimi anni da Enel sono già in linea con le buone pratiche di comportamento aziendale indicate nel patto per le imprese responsabili e comprendono iniziative di assistenza sanitaria, contributi per la cura e l’educazione dei figli, nonché misure di varia natura volte a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro destinati alle lavoratrici e ai lavoratori con figli.

     La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha inviato un videomessaggio in cui ribadisce che la famiglia e la natalità sono al centro dell’azione di governo: «Futuro e investimento sono le parole chiave di questo Patto. Senza figli avremo un’Italia più povera, sarà a rischio la sostenibilità del nostro welfare e verrà meno quella staffetta generazionale sulla quale si fonda la capacità di portare nel futuro la nostra identità di popolo».

     «Per decenni – continua la premier – c’è stata molta disattenzione nei confronti della famiglia e, mentre altrove si correva ai ripari, da noi parlare di sostegno alla natalità sembrava quasi essere un tabù. Ecco, noi abbiamo infranto quel tabù, abbiamo messo la famiglia e la natalità al centro della agenda di governo. Lo abbiamo fatto nonostante le poche risorse che avevamo a disposizione: con questa legge di Bilancio, con quella precedente abbiamo messo in campo un pacchetto di provvedimenti che vale complessivamente oltre due miliardi e mezzo di euro. Chiaramente non è sufficiente, lo sappiamo bene, però la direzione tracciata, è chiara e disegna una visione».

                                                                     Avvenire Redazione romana               7 novembre 2023

OMOFILIA

Trans come padrini e madrine? È la pastorale dell’accoglienza

      Spiegando che anche persone transessuali e omoaffettive possono essere scelte per accompagnare ai Sacramenti, il Dicastero per la dottrina della fede non ha cambiato la dottrina. Parlano i sacerdoti che operano nel settore.

     Più che la sostanza, il coraggio di aprire la strada a un lessico che riflette la realtà e le richieste concrete di tanti credenti. Più che la dottrina, che rimane la stessa, lo slancio umano e pastorale che supera gli schemi del passato, quelli contrassegnati dalla politica dei molti “no”, e sceglie una valutazione serena delle diverse situazioni in uno spirito di accoglienza e di integrazione. Ma con un punto di partenza ben chiaro. Ogni persona «indipendentemente dal proprio orientamento sessuale va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione». Sono le parole di papa Francesco in Amoris lætitia che, come già messo in luce su queste pagine, la Nota del Dicastero per la dottrina della fede, accoglie e traduce in prassi pastorale concreta. Non è un “libera tutti”, non si tratta di un’apertura indiscriminata verso scelte di vita che prescindono dalla coerenza della fede e contraddicono il Vangelo. Persone transessuali e omoaffettive possono essere madrine e padrini di Battesimo, ma anche testimoni di nozze a condizione che non vi siano dubbi, spiega la Nota, «sulla situazione morale oggettiva in cui si trova una persona, oppure sulle sue disposizioni soggettive verso la grazia». Cosa significa? «Nel caso del Battesimo – si spiega nel documento – la Chiesa insegna che, quando il Sacramento viene ricevuto senza il pentimento per i peccati gravi, il soggetto non riceve la grazia santificante, sebbene riceva il carattere sacramentale». Per il Battesimo di una persona transessuale toccherà quindi al sacerdote esercitare quel discernimento caso per caso, tenendo comunque sempre presente il magistero di papa Francesco, secondo cui «la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa», importante per sottolineare la prevalenza dell’aspetto pastorale sul rigore della norma. Anche se, a proposito della domanda sul fatto che una persona omoaffettiva e che convive può essere padrino di un battezzato, la risposta è positiva solo per chi «conduce una vita conforme alla fede e all’incarico che assume». Diverso è il caso, si ribadisce, «in cui la convivenza di due persone omoaffettive consiste, non in una semplice coabitazione, bensì in una stabile e dichiarata relazione more uxorio ben conosciuta dalla comunità».

     Sulla novità pastorale della Nota concorda padre Pino Piva, gesuita, esperto di pastorale di frontiera, che da anni organizza un corso per formatori pastorali “per” e “con” persone lgbt – a cui sono intervenuti come relatori anche il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e l’arcivescovo Erio Castellucci, vicepresidente per il Nord Italia – «è certamente bene che il Vaticano ne parli, che usi termini più appropriati (come persone omoaffettive), ma in verità – come dice lo stesso documento non ci sono aperture dottrinali. Solo alcune precisazioni, certamente importanti, ma che lasciano sullo sfondo importanti questioni pastorali che dovremmo invece avere il coraggio di affrontare».

     Padre Piva pensa al problema del registro di Battesimo: «Ad esempio la quarta domanda del documento: due persone omoaffettive possono figurare come genitori di un bambino, che deve essere battezzato, e che fu adottato o ottenuto con altri metodi come l’utero in affitto? In altre parole: possono comparire tutte e due nel registro dei Battesimi come genitori? E a quali condizioni? La domanda rimane inevasa. E ancora: una persona transessuale, quando viene battezzata (o anche dopo anni dal Battesimo, quando fa la transizione) può essere registrata nel registro parrocchiale con il nuovo nome anagrafico corrispondente alla transizione stessa? Al

momento le risposte a queste domande sono negative». Il riferimento rimane una Nota della presidenza della Cei (21 gennaio 2003) che rispondeva a richieste di chiarimenti provenienti da alcune cancellerie vescovili in merito all’opportunità di variazioni anagrafiche sui Libri parrocchiali per i fedeli che aveva scelto di sottoporsi a riconversione sessuale. Riprendendo una dichiarazione del 1991 della Congregazione per la dottrina della fede, la Cei aveva risposto che «non può essere apportata nessuna variazione».

     Privilegio della fede, ma nessuna variazione della dottrina è quanto ribadisce anche don Gianluca Carrega, biblista, responsabile per la pastorale delle persone lgbt dell’arcidiocesi di Torino: «Vanno benissimo queste sottolineature – osserva – ma ricordiamo che la pastorale è più avanti perché appunto ormai da anni cerchiamo di lavorare sull’inclusione comunitaria delle persone omosessuali e transessuali. Il cammino prosegue, ma tante domande rimangono aperte».

     Questioni insuperabili? Secondo don Andrea Conocchia, parroco di Torvaianica, Trans come padrini e madrine? È la pastorale dell’accoglienza

 Luciano Moia                                         “Avvenire”  10 novembre 2023

www.avvenire.it/chiesa/pagine/trans-padrini-e-madrine-una-pastorale-piu-accogliente

“La fede non è questione di sesso davanti a Dio siamo tutti uguali”

intervista a Antonio Borio a cura di Cristina Palazzo

     «È una notizia bella perché dimostra un’apertura da parte della Chiesa. Non si tratta di seguire i trend ma di guardare negli occhi le persone. E tutti sono figli di Dio, nessuno è escluso dal suo amore se cerca la pace e il bene».

     Non ha dubbi il parroco torinese Don Antonio Borio sull’importanza delle indicazioni del Vaticano per cui una persona trans può ricevere il battesimo. Lui stesso, un anno fa, finì al centro delle polemiche per aver accolto la richiesta di cresima di una persona trans.

     Oggi come vive quest’apertura?

     «La fede non è una questione di sesso. Bisogna guardare le persone, senza fatti scandalistici o finire sui giornali. Se l’indicazione arriva dal Vaticano è un po’ più ufficiale. Apertura che già c’era all’inizio della Chiesa. Negli atti degli apostoli Giacomo Filippo battezza un eunuco. Purtroppo poi le cose andarono diversamente».

     Lei, però, fu criticato.

     «Poi si è tutto risolto, la persona non ha ancora ricevuto la cresima perché sta affrontando il percorso di preparazione. Una persona davvero di fede, bravissima. Non è l’unica, penso ad altri e alla sofferenza. Anche chi si sottopone a operazioni, dolorose e costose, lo fa coscientemente e noi dobbiamo cercare di rispettare le persone».

     Prete da quasi 50 anni, ha sempre avuto questo approccio?

     «Poco per volta, anche io mi sono formato. Tutto ciò non si impara sui libri ma vivendo le persone e imparando a non giudicare mai. Perché anche nei più cattivi c’è del bene. È la mia esperienza, non tutti i sacerdoti sono d’accordo. Ma non siamo padroni della misericordia di Dio, dobbiamo solo manifestarla. Ci sono delle regole, certo, ma ognuno cerca di starci come può, l’importante è che lo faccia nel bene».

intervista a Antonio Borio a cura di Cristina Palazzo     “la Repubblica” 9 novembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231109boriopalazzo.pdf

RIFLESSIONI

“Lavorate sempre al vostro tempio interiore, lì c’è la grande bellezza”

    Un viaggio dentro sé stessi. Dall’origine della vita sino alle più intime convinzioni passando per quei parallelismi che uniscono le religioni e le spiritualità.

                          Questa mattina Vito Mancuso *1962) ha preso per mano un pubblico folto all’Eurac per portarlo a guardarsi dentro. All’edificazione del proprio tempio interiore. Un evento organizzato dal Grande Oriente d’Italia.

    Quando si lavora al tempio interiore?

  “Qui e ora. Adesso. Ogni momento è quello possibile per la costruzione di un tempio interiore. Per elevarsi. Uno dei grandi pericoli da cui dobbiamo proteggersi è l’appiattimento della nostra multidimensionalità”

    Lavorare alla costruzione interna è l’antidoto?

   “Sì, fare questo significa custodire la nostra natura che è elevata. A più dimensioni. Questo progresso, però, è qui e ora. Si costruisce nel momento”

    Bisogna essere capaci di parlare con l’interiorità.

   “La prima riflessione da fare è come ciascuno chiami la sua inferiorità. Non per sfociare nel nominalismo ma per rispettare le fondamenta della conoscenza di qualsiasi cosa che è fatta di res e di nomen. Della cosa e del nome. Il secondo è al servizio della prima. Come la chiamate?”

     Anima?

    “Sì quello è il termine che la tradizione ci consegna. È un concetto che mi è caro ma so anche che qualcuno alza le sopracciglia e lo avverte come un concetto di altri tempi. Persone che sentono come il termine anima non vada più bene per quella interiorità. Qualcuno potrebbe parlare di mente, un altro ancora di spirito, coscienza, cuore, ragione, profondo sé…”

    Avranno degli elementi in comune tutti questi termini?

     “Sì ma l’importante è sapere di rivolgersi a questa dimensione. Qualsiasi forma di vita capta informazioni dall’ambiente e le elabora per soddisfare prima di tutto i bisogni primari come l’alimentazione e la riproduzione. Poi si può approfondire nel rapporto con tutti gli altri entrando nell’ambito, per esempio, della coscienza morale”

    Torniamo al concetto di costruzione.

     “La radice etimologica porta proprio al processo che edifica. Ecco, noi dobbiamo sentirci dentro ad un grande processo costruttivo che nell’interiorità può continuare sempre verso l’alto rispetto alla costruzione fisica. La mente può essere sempre più pulita, cristallina e trasparente”

     Un’igiene spirituale?

      “Sì, un lasciare filtrare la luce dentro di noi. La luce del bene, della bellezza. La passività dell’ascolto e dell’accoglienza è più importante, alla lunga, dell’attività. È una capacità che non verrà mai meno fino alla fine dei nostri giorni. Dovremmo rinnovare, inoltre, la meraviglia verso la vita quotidianamente. È un miracolo che dimentichiamo. La nascita della vita è un qualcosa di incredibile. Se fosse nata dal caso è come pensare che una tromba d’aria passando su un magazzino di materiali produca un Boeing 747 perfettamente funzionante. Eppure è una possibilità valida. Ciascuno sceglie la teoria che lo fa vivere meglio: il caso? Dio? A metà tra caso e Dio? Va tutto bene. I dogmi sono al servizio del vivere bene”

     Poi c’è il concetto di tempio.

      “Nasce proprio dallo stupore degli esseri umani. Un qualcosa che rimaneva insoddisfatto rispetto agli edifici già esistenti come la casa o il negozio. Se ci pensiamo a cosa serve biologicamente un tempio? Eppure è comparso subito. Plutarco diceva che una città senza santuari non esisterà mai. Naturalmente ci sono varie tipologie di templi o chiese. Elencandone sono arrivato a undici: non è solo un concetto cristiano, ovviamente. Quel che conta è che gli esseri umani hanno subito avuto bisogno di edifici per custodire un’altra dimensione. Quella interiore. Attenzione, però, che il tempio esteriore può anche essere una delusione. C’è gente, per esempio, che rimane deluso dal Santo Sepolcro a Gerusalemme. Spesso può essere qualcosa di molto politico o di molto mondano. Qualcosa di collegato al potere. Talvolta un bellissimo palcoscenico. Spesso si avverte che l’esteriorità o i riti, anche più sacri, non appagano”

     È qui che entra in gioco la propria mente come altare che appaghi?

     “Sì. I pensieri al posto di pane e vino. D’altronde l’Illuminismo stesso ci dice che il divino o ha a che fare con il bene o la giustizia oppure non esiste. Per me è fonte di grande meraviglia, però, pensare che tutte le culture mondiali hanno colto il tema dell’interiorità rispondendo a questa necessità. Sapete cosa dice il buddismo?”

      Prego…

      “Siate un’isola per voi stessi. Che il vostro rifugio sia l’ordine cosmico. Non si sta contraddicendo ma sta dicendo che tra la nostra interiorità più profonda e il tutto c’è attiguità. Quando costruiamo la nostra interiorità stiamo entrando a contatto con l’universalità. Se vogliamo con Dio”

      Quando lei dice interiorità, però, a cosa si riferisce?

      “A una dimensione che contiamo che è anche eterna. Al di là della materialità e dell’immaterialità. Spesso parliamo di una luce al di là del tempo e dello spazio quindi al di là dell’esperienza spazio temporale. Non sono un esperto di meccanica quantistica ma ci rivela lei stessa l’esistenza di qualcosa che eccede le leggi spaziotemporali. È la stessa scienza a cogliere un’altra dimensione dell’essere che sembra essere diversa eppure costitutiva. Non a caso la tecnologia che si rifà alla meccanica quantistica funziona. Pensiamo alla capacità di due particelle di influenzarsi a distanza senza che ancora siamo riusciti a capire in che modo. Parliamo di fisica e sono gli stessi fisici a dire che la meccanica quantistica ha a che fare con l’anima. Ne parla anche Hannah Arendt”

     Come?

       “In un piccolo libretto su Socrate scrive che chi ha fatto esperienza dei totalitarismi sa che il loro primo interesse era di eliminare qualsiasi possibilità di solitudine. Vede, le forme secolari di coscienza e di interiorità vengono eliminate quando non è più garantita la facoltà di stare da soli con sé stessi. Se manca il dialogo con sé stesso l’uomo è annientato. Eccolo qui il tempio interiore in atto. La solitudine non come isolamento ma come raccoglimento e inizi a porti delle domande. Vere e profonde. Mi sono chiesto, per esempio, a chi avrei scritto l’ultima lettera se io fossi condannato alla fucilazione. E cosa avrei scritto. È un bell’esercizio per conoscere sé stessi. Chiudo, però, con il filosofo neoplatonico Plotino”

      Dove ci porta?

     “Dice di tornare in sé stessi e guardare. Se non ci si vede interiormente belli bisogna fare come lo scultore di una statua. Lavorare levando il superfluo, raddrizzando e pulendo in continuazione. Sino ad essere splendore di una luce pura. Questo è l’occhio che vede la grande bellezza”.

Alan Conti   colloquia con Vito Mancuso            4 novembre 2023

www.bznews24.it/bolzano/lavorate-sempre-al-vostro-tempio-interiore-li-ce-la-grande-bellezza/

                                                    SEPARAZIONE e DIVORZIO

Separarsi senza odiarsi: il ruolo dell’Avvocato per affrontare la separazione con equilibrio e dignità

Il delicato cammino dell’avvocato tra la difesa dei diritti e il rispetto della dimensione umana e dei sentimenti. La separazione coniugale è un evento che incide profondamente sull’esistenza degli individui, un vortice emotivo che può facilmente trascendere in una conflittualità trasformando così quello che un tempo era un amore in un odio profondo.

Non è semplice trovare un equilibrio in momenti così delicati, motivo per cui la figura dell’avvocato assume un ruolo cruciale, non solo come esperto del diritto ma soprattutto come professionista capace di dare il massimo rilievo alla dimensione umana della crisi coniugale.

L’arte di condurre una separazione senza conflitti si fonda sulla premessa che ogni individuo ha il diritto di chiudere un capitolo della propria vita anche nel disaccordo con l’altro, e questa scelta merita rispetto indipendentemente dalla condivisione delle ragioni.

L’avvocato non deve solo saper navigare nella complessità delle norme giuridiche, deve possedere una spiccata empatia, dote essenziale per comprendere che dietro ogni processo di separazione tra coniugi c’è il dramma umano di persone con il loro mondo interno, con il loro vissuto fatto di sentimenti e di emozioni spesso contrastanti. Non va dimenticato che chi chiede assistenza per una separazione non cerca solo una soluzione tecnico-normativa, è anche alla ricerca di un nuovo equilibrio e di una nuova stabilità.

Ecco perché occorre saper bilanciare tra la tutela dei diritti del cliente e la ricerca di un dialogo costruttivo tra le parti. È un delicato gioco di equilibri, dove la legge incontra la dimensione umana e dove il rispetto delle parti deve guidare ogni azione.

Una gestione non conflittuale della separazione può comportare notevoli vantaggi per le parti ma si tratta di un traguardo tutt’altro che facile da raggiungere. Sicuramente è richiesta una grande capacità di ascolto e una sensibilità tale da riuscire a calarsi nei panni dei clienti. Se ci sono questi presupposti, l’avvocato può riuscire a condurre le parti verso il superamento delle barriere dell’odio e del risentimento stabilendo un equilibrio tra il necessario rispetto dei diritti da un lato e la dignità delle persone dall’altro.

Insomma la dimensione umana nella professione forense non può mai essere considerata come una eventualità. Chi è soltanto un grande tecnico rischia di causare seri disastri, magari convinto di aver assicurato al cliente una vittoria legale indiscussa, non si rende conto di aver portato la parte a una sonora sconfitta sul piano umano pregiudicando il futuro delle sue relazioni familiari non solo con l’ex coniuge ma anche, se ci sono, con i propri figli.

In quanto avvocati, non dobbiamo mai perdere il contatto con la dimensione umanistica della nostra professione; è proprio in questo che si distingue un grande avvocato da un banale azzeccagarbugli.

In quanto avvocati non dobbiamo mai perdere il contatto con la dimensione umanistica della nostra professione perché è proprio questo contatto che fa la differenza tra un grande avvocato e un banale azzeccagarbugli.

Roberto Cataldi                               Studiocataldi.it                6 novembre 2023

www.studiocataldi.it/articoli/46198-separarsi-senza-odiarsi-il-ruolo-dell-avvocato-per-affrontare-la-separazione-con-equilibrio-e-dignita.asp

Cumulo consensuale di separazione e divorzio: disco verde della Cassazione

Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, sentenza n. 28727, 16 ottobre 2023

www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/28727_10_2023_civ_oscuramento_noindex.pdf

La Corte di Cassazione ha enunciato un importante principio di diritto in relazione alla ammissibilità, nell’ipotesi di ricorso per separazione dei coniugi consensuale, del cumulo oggettivo della domanda congiunta di separazione personale dei coniugi unitamente a quella di divorzio.

Nello specifico, la Corte, con la pronuncia in commento, ha statuito che “In tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis. 51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

La vicenda. Con ricorso congiunto di separazione personale, una coppia di coniugi ha adito il Tribunale di Treviso al fine di ottenere la pronuncia della loro separazione alle condizioni indicate in ricorso, relative all’affidamento e collocazione della figlia minorenne, nonché alla corresponsione dell’assegno di mantenimento da parte del genitore non collocatario in favore della figlia minorenne e del figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente.

Nello stesso ricorso le parti hanno chiesto lo scioglimento/cessazione degli effetti civili del matrimonio alle stesse condizioni di cui alla separazione, previo decorso del tempo previsto dall’art. 3 L. n. 898/1970 e passaggio in giudicato della sentenza che ha pronunciato sulla separazione personale.

Il giudice delegato dal Presidente del Tribunale, nel rilevare l’esistenza di una questione pregiudiziale di diritto, in merito alla ammissibilità, nei casi di ricorso per separazione dei coniugi consensuale, del cumulo oggettivo della domanda congiunta di separazione personale dei coniugi unitamente a quella di divorzio, ha investito della questione la Suprema Corte di Cassazione, previa prospettazione della esistenza della predetta questione ai coniugi, in sede di udienza di comparizione delle parti.

Prima di esaminare le ragioni della decisione, occorre mettere in rilievo che il giudice di merito, in presenza della questione di diritto da risolvere, ha investito la Corte di Cassazione nel rispetto di quanto statuito dalla Riforma Cartabia (d.lgs. n. 149/2022 – lett. g), comma 9 unico articolo legge delega n. 206 del 2021), ai sensi dell’art. 366-bis. (Rinvio pregiudiziale), sussistendone tutti i presupposti di legge, ovvero: – questione necessaria alla definizione anche parziale del giudizio che non è stata ancora risolta dalla Corte di Cassazione; – la questione presenta gravi difficoltà interpretative; – la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi.

Motivi della decisione. Passiamo adesso ad esaminare i motivi che hanno indotto la Corte di Cassazione ad enunciare il principio di diritto sopra riportato, preceduto da orientamenti giurisprudenziali di merito, contrari e favorevoli, alla luce dei quali, al fine di eliminare ogni tipo di contrasto, il Tribunale di Treviso ha deciso di ricorrere alla Suprema Corte.

Orientamento contrario. Secondo l’orientamento contrario, stando al tenore letterale delle norme di cui alla Riforma Cartabia, il legislatore ha previsto l’ammissibilità del cumulo delle domande di separazione e di scioglimento/cessazione degli effetti civili del matrimonio soltanto per i giudizi contenziosi ex art. 473-bis 49 c.p.c., e non per il procedimento su domanda congiunta previsto nell’art. 473-bis 51 c.p.c. (ubi lex non dixit, non voluit).

Inoltre, il cumulo sarebbe incompatibile con il procedimento di volontaria giurisdizione e con la diversa natura dei due giudizi. Ed ancora, si andrebbe a decidere su diritti indisponibili e non ancora sorti. Infine, la giurisprudenza contraria pone ostativa la gestione delle “sopravvenienze” in caso di cumulo di domande congiunte.

Orientamento favorevole. L’orientamento giurisprudenziale di merito favorevole al cumulo fa, innanzitutto, espresso riferimento al tenore letterale dell’art. 473-bis. 51 che utilizza al primo comma il plurale “relativo ai procedimenti” e non al procedimento, lasciando intendere, quindi, una implicita ammissibilità del cumulo su domande di separazione e divorzio congiunte.

                Inoltre, sul contestato tema dell’indisponibilità dei diritti oggetto di accordo, sostiene che “i coniugi che propongono due domande congiunte di separazione e divorzio, cumulate in simultaneum processum, non concludono, in sede di separazione, un accordo sugli effetti del loro eventuale futuro divorzio, tale da condizionare la volontà di un coniuge o da comprimere i suoi diritti indisponibili”.

La questione interpretativa viene, quindi, risolta dalla Suprema Corte che pone a fondamento della decisione l’obiettivo della riforma, ovvero quello della “necessità di dettare disposizioni che possano prevedere un coordinamento tra i due procedimenti, nonché ove opportuna la loro contemporanea trattazione“, e quindi garantire il risparmio di energie processuali attraverso il simultaneus processus e il coordinamento delle decisioni rese nei diversi giudizi.

A tal fine, ritiene la Corte che il risparmio di energie processuali che si ottiene nel giudizio contenzioso non è comparabile con quello che si potrebbe conseguire con il cumulo di domande congiunte, di cui all’art. 473-bis. 51, essendo profondamente diversa la natura dei due giudizi e l’attività processuale che in essi viene compiuta.

Secondo il giudizio della Corte, poi, non vi sarebbero ragioni ostative alla ammissibilità del cumulo con riferimento alle domande congiunte di separazione e divorzio, atteso che la trattazione della domanda di divorzio è sempre condizionata all’omologazione della separazione consensuale con sentenza passata in giudicato e al decorso del termine breve di sei mesi previsto dalla legge.

                In relazione, poi, al silenzio della legge e al principio ubi lex non dixit, non voluit, sotto il profilo letterale, la stessa normativa propende per l’ammissibilità del cumulo posto che il primo comma dell’art. 473-bis. 51 fa riferimento alla “domanda congiunta relativa ai procedimenti di cui all’art. 473-bis. 47” e non ad “uno” dei procedimenti di cui all’art. 473-bis. 47.

La Corte di Cassazione, quindi, ritiene ammissibile il cumulo delle domande congiunte di separazione e divorzio sul presupposto che:

1) In caso di domande congiunte di separazione e divorzio si tratta di un cumulo oggettivo di domande connesse in relazione alla causa petendi, volte a regolare la crisi matrimoniale irreversibile;

2) Poiché l’art. 473-bis. 51 prevede il medesimo procedimento sia per le separazioni che per i divorzi, risulta agevole far sì che si attui il simultaneus processus (cfr. art. 40 c.p.c. e artt. 273 e 274 c.p.c.);

3) La trattazione della domanda di divorzio è sempre condizionata all’omologazione della separazione consensuale con sentenza passata in giudicato e al decorso del termine breve di sei mesi previsto dalla legge e quindi ciò non osta all’ammissibilità del cumulo delle domande;

4) Per quanto riguarda il passaggio della fase di decisione della domanda congiunta di separazione a quella congiunta di divorzio, si applica l’art. 279, comma 2, n. 5 c.p.c. e, pertanto, il Collegio pronuncia sentenza quando, valendosi delle facoltà di cui agli artt. 103, comma 2, c.p.c. e art. 1047, comma 2, c.p.c., decide solo su alcune delle cause riunite sino a quel momento, disponendo, con distinti provvedimenti, l’ulteriore istruzione o la separazione);

5) Sia nei procedimenti di separazione e divorzio contenziosi che in quelli congiunti, le parti non dispongono anticipatamente degli status bensì propongono le domande che verranno decise dall’organo giudiziario cui sono state avanzate;

6) L’assenza di disposizioni sulla gestione delle sopravvenienze non può essere di ostacolo al cumulo delle domande congiunte atteso che trattasi di eventualità sussistente anche per le domande di separazione e divorzio presentate separatamente.

La Corte di Cassazione, alla luce delle argomentazioni che precedono, pronunciando sul rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Treviso ha enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis. 51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”.

Avv. Marianna Famà Responsabile Territoriale AMI Paola – Distretto di Catanzaro

.studiocataldi.it/articoli/46188-cumulo-consensuale-di-separazione-e-divorzio-disco-verde-della-cassazione.asp

SINODO

Alcuni pensieri a Sinodo terminato

Con una tempestività inattesa, sabato sera 28 ottobre alle 21.30, alla vigilia della celebrazione conclusiva in Piazza San Pietro, i principali membri della Segreteria davano una conferenza stampa e pubblicavano la «Relazione di sintesi» dei lavori della Prima Sessione del Sinodo dei vescovi 2023-2024.

I commenti sui media si sono rapidamente moltiplicati. Il tono generale, per quanti ne ho potuti vedere, non è stato duramente critico, ma pressoché tutti hanno osservato la timidezza nelle proposte di soluzione di problemi che esigerebbero audacia nell’affrontarli.

Difficile fare sintesi. Il tema di fondo per il quale il Sinodo è stato convocato che, in fondo, è univoco e assai semplice, cioè la promozione di forme sinodali per le quali nella Chiesa tutti i fedeli possano condividere la responsabilità delle decisioni da prendere, lungo il Cammino sinodale di questi ultimi due anni si è caricato, inevitabilmente, di molte questioni, che oggi pesano sulla coscienza ecclesiale.

I redattori dell’Instrumentum Laboris, giustamente, si sono preoccupati di non abbandonare alcuno dei molti interrogativi che vi erano stati avanzati e che sono stati accuratamente raccolti nelle sei assemblee continentali della primavera scorsa. È così che i sinodali, all’inizio dei lavori, si sono trovati con in mano un Foglio di Lavoro, 50 pagine in carta formato 30×20, dotato di una batteria di schede di lavoro fitte di domande. Troppa carne al fuoco per un’assemblea di 350 persone in un mese, anche se per 46 ore settimanali (roba da operai dell’Ottocento!).

I gruppi di 10-12 persone (Circuli minores) lavoravano ciascuno, ogni giorno su un sottotema di un tema e, quindi, si riusciva abbastanza a mettere a fuoco l’argomento, mentre le Congregazioni generali sono state appesantite da interventi generici e non di rado fuori tema. I moderatori erano troppo benevoli: solo in un caso è stata tolta la parola di un intervento che si annunciava non pertinente.

Venuti dalle più diverse parti del mondo, differenti per lingua (ottimo il servizio della traduzione simultanea), costumi, modi di pensare, situazioni di vita e finanche abbigliamenti i più vari, dai diversi copricapi dei vescovi orientali e dalle cuffiette delle suore alla raffinata eleganza delle signore, ciascuno sentiva il bisogno di dire come viveva la sua Chiesa e quali problemi doveva affrontare.

Ma si stentava a fare il punto sul tema, così come ora si stenta a farlo da parte dei commentatori: «Per una Chiesa sinodale». A giustificazione degli uni e degli altri sta il sottotitolo, che intendeva spalmare la riflessione su tre piste: «Comunione, partecipazione, missione», allargando enormemente gli spazi della riflessione. Se, come molti hanno osservato, la Relazione di sintesi si distende su troppi argomenti, senza approfondirli in maniera adeguata, se soffre di un certa genericità, ripropone domande e accumula rinvii a uno studio ulteriore, più che avanzare proposte di soluzione, lo si deve all’ampiezza delle questioni emerse nella consultazione del popolo di Dio di questi due ultimi anni e allo scopo relativamente modesto cui giungere, visto che in questa sessione ci si doveva fermare a metà strada, consegnando il compito conclusivo ai lavori della Seconda sessione.

A dire il vero, bisogna anche notare che il livello della riflessione teologica e della profondità di analisi delle situazioni concrete di alcuni interventi non erano molto brillanti. In particolar modo mi colpiva la difficoltà di molti a guardare in faccia, e tirarne le conseguenze, il fenomeno dell’abbandono della fede, in Europa e in Nord America, da parte di grandi numeri di battezzati.

Un evento storico. Il Sinodo dei vescovi, sia chiaro, non è un concilio ecumenico. Non ha potere deliberativo. È un organo consultivo del papa, cui spetta prendere le ultime decisioni. Non sarebbe stato realista attendersi decisioni dirompenti, soprattutto da questa prima assemblea sinodale.

Ciò nonostante, confesso che lungo i lavori mi perseguitava il ricordo del Concilio Vaticano II. Sono ormai uno dei pochi che può dire: «Io c’ero», se pure senza alcun ruolo: facevo semplicemente da segretario al mio arcivescovo. Mentre l’atmosfera di questo Sinodo è stata del tutto pacifica, pur nella diversità delle prese di posizione, quella del Concilio era quasi sempre agitata.

                La conflittualità fra le diverse posizioni dei Padri è stata però feconda e ha rivelato nei fatti che lo Spirito Santo guida la Chiesa: alla fine, infatti, i Padri conciliari sono approdati a decisioni molto audaci e, dopo molto battagliare, hanno raggiunto il consenso quasi unanime su tutti i documenti.

Una volta preso atto delle debolezze di questa Prima sessione del Sinodo, sarebbe da ottusi non misurare la reale dimensione dell’evento, la cui importanza merita, senza temere l’uso inflazionato del termine, di essere definita storica. È la prima volta nella storia della Chiesa, salvo un’improbabile smentita ed esclusa l’esperienza delle Chiese della Riforma, che si sono visti sedere allo stesso tavolo vescovi e cardinali, fedeli laici uomini e donne, suore, preti, diaconi e frati, con lo stesso diritto di voto a determinare le decisioni da prendere.

Le stesse immagini dei 36 tavoli rotondi nella luminosa e magnifica Sala Nervi del Vaticano sono destinate ad avere un singolare impatto sull’immaginario collettivo dei fedeli. La stessa «Relazione di sintesi», pur con i suoi limiti, non manca di darci, qua e là, asserti sorprendenti, che non potranno in futuro non risultare fecondi.

                Alcune questioni rilevanti. Non è sorprendente ma, a mio giudizio, è di fondamentale importanza il ricorrente riconoscimento che i fedeli laici sono veri soggetti della missione nelle loro attività sociali, che le loro esperienze e competenze sono l’attuazione, per ciascuno, di una sua vocazione specifica, per cui non è la frequentazione assidua di spazi ecclesiali a fondare la loro rilevanza nel partecipare ai processi decisionali della Chiesa, bensì la loro «genuina testimonianza evangelica nelle realtà più ordinarie della vita».

                Altra richiesta rilevante presente nella Relazione di sintesi è l’esigenza, più volte ripetuta, di por mano ad una revisione del Codice di diritto canonico. Anche fra i teologi e i canonisti poche voci si erano alzate in passato a domandare la stessa cosa e non credo sia facile reperire in alcun documento ufficiale una proposta di questo genere. Eppure il Codice del 1983 è decisamente inadeguato a rispondere alle esigenze di una seria promozione della sinodalità.

                La Relazione suggerisce anche alcuni ambiti su cui operare: rendere obbligatori ai diversi livelli i consigli pastorali, dotarli e, a certe condizioni, della capacità di dare un voto deliberativo, il conferimento anche alle donne di «ruoli di responsabilità nella pastorale e nel ministero» e del ruolo di «giudici in tutti i processi canonici», favorire «un esercizio più collegiale del ministero papale», liberare il vescovo dal ruolo di giudice, da affidare ad altri, in modo da permettergli di esercitare la sua paternità.

                Nell’ambito poi dell’ordinamento canonico delle Chiese orientali, si chiede un aggiornamento degli attuali loro rapporti con la Santa Sede in ordine alla nomina dei vescovi.

È anche la prima volta, salvo la eventuale smentita di una verifica da fare, che in un documento ufficiale si avanza un interrogativo a proposito dell’obbligo di celibato dei preti: «Se la sua convenienza teologica con il ministero presbiterale debba necessariamente tradursi nella Chiesa latina in un obbligo disciplinare».

La denuncia, proveniente soprattutto da parte delle donne, del maschilismo e del clericalismo è ricorrente e robusta. Tanto che alla fine l’assemblea ha sentito il dovere di esprimere tutta la gratitudine della Chiesa ai preti per il loro quotidiano prodigarsi nel ministero pastorale, per evitare anche la parvenza di voler dare su di loro un giudizio negativo generalizzato.

                Nell’atteso affrontamento da parte del Sinodo del tema dell’accesso delle donne al diaconato, la Relazione di sintesi resta nel guado, segnalando l’esistenza di chi lo rifiuta perché non c’è nella Tradizione, di chi vi scorge il recupero di una Tradizione delle origini e di chi lo considera una «risposta appropriata e necessaria ai segni dei tempi».

Dopo aver ascoltato une bella e convincente lezione di un teologo australiano, Ormond Rush, sulla «Tradizione vivente», mi sarei aspettato un concreto passo in avanti, che non c’è stato. Se c’è un ambito della dottrina cattolica dei sacramenti in cui la tradizione si rivela estremamente mobile è proprio quello del sacramento dell’Ordine. Fra i mille particolari che si potrebbero ricordare basterebbe dire che per il Concilio di Trento il suddiaconato era un grado dell’Ordine, mentre non lo era l’episcopato, mentre per il Concilio Vaticano II lo è l’episcopato mentre il suddiaconato scompare dalla scena.

Cristiani LGBT. Le attese dell’opinione pubblica, a dire il vero artificiosamente alimentate dai media, che produrranno maggiori delusioni riguardano la possibile inclusione delle persone LGBTQ nei ruoli attivi delle comunità cristiane. Non che l’assemblea sinodale fosse indifferente al problema: grande è stata l’emozione al sentire una giovane polacca raccontare di una sua sorella che si era uccisa, dopo che il confessore le aveva negato l’assoluzione.

È stato riaffermato l’imperativo del cristiano di non mancare di rispetto per la dignità di nessuna persona e il dovere della Chiesa di corrispondere alle «persone che sono o si sentono ferite o trascurate dalla Chiesa, che desiderano un luogo in cui tornare “a casa” e in cui sentirsi al sicuro, essere ascoltate e rispettate, senza temere di sentirsi giudicate».

Ma nel venire alla questione del come reintegrarle nei ruoli della comunità l’assemblea ha realisticamente riconosciuto che le questioni relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale risultano controverse anche nella Chiesa, perché pongono domande nuove. È sentito il dovere di promuovere il discernimento sugli aspetti dottrinali, pastorali e morali della questione «alla luce della Parola di Dio, dell’insegnamento della Chiesa, della riflessione teologica». Si aggiunge l’intenzione di coinvolgere nella comune riflessione «esperti di diverse competenze e provenienze» e di «dare spazio anche alla voce delle persone direttamente toccate dalle controversie menzionate», assicurando loro «un contesto istituzionale che tuteli la riservatezza del dibattito e promuova la schiettezza del confronto».

Severino Dianich             Settimana news                               2 novembre 2023

                8 commenti                         www.settimananews.it/sinodo/alcuni-pensieri-a-sinodo-terminato

Mons. Tshitoko: “Dobbiamo uscire dal clericalismo”

Dobbiamo uscire dal clericalismo, lavorare con il popolo di Dio cominciando con l’ascoltarlo. La Chiesa non è solo una faccenda di vescovi e preti, ma di tutti”, sottolinea

l’arcivescovo Pierre-Célestin Tshitoko Mamba *1956 Il Vescovo di Luebo, Repubblica Democratica del Congo, ha rappresentato il suo paese al Sinodo riunito a Roma dal 4 al 29 ottobre 2023.

“L’uscita dal clericalismo richiede un cambiamento di mentalità, anche da noi in Africa. Dobbiamo già prestarvi maggiore attenzione nei nostri seminari in modo che i futuri preti siano sensibilizzati.

Quale esperienza ha avuto in questa assemblea romana?

È stata un’esperienza felice. Tutti erano contenti di vivere questo momento. Ciò che si nota maggiormente è la gioia e non le crisi. La gioia di incontrarci nella Chiesa universale per condividere le nostre esperienze di fede viva in Gesù Cristo. Eravamo attorno a un tavolo. Non c’erano leader da una parte e fedeli dall’altra. Questo corrisponde abbastanza bene al modo di conversare africano quando si discute attorno al fuoco. Tutti sono stati in grado di dire liberamente quello che pensano. Questa libertà è piaciuta molto. Il metodo di conversazione nello Spirito permette a ciascuno di esprimersi. Di dire ciò che lo ha colpito. E le pause di silenzio hanno aiutato a creare questa atmosfera “cristiana”.

Lei viene da una chiesa giovane, che messaggio vuole trasmettere?

La Repubblica Democratica del Congo attraversa un periodo difficile con la guerra nell’est del paese. Volevamo prima di tutto condividere questa dolorosa esperienza di sofferenza, miseria e guerra. Abbiamo ricevuto comprensione, compassione da rappresentanti di altre chiese. La preoccupazione per la pace era molto presente, specialmente nelle preghiere. Dio deve mostrarci la via della pace. Quando il Papa è arrivato nella Repubblica Democratica del Congo lo scorso febbraio, le vittime sono andate a trovarlo e lui ha pianto ascoltando le loro testimonianze. La povertà e lo sfruttamento sono il risultato di questo conflitto.

 La vostra diocesi di Luebo si trova nel Kasai, nel centro del paese. Qual è la situazione attuale?

Oggi, dopo le violenze che hanno scosso la regione nel 2016-2017, la situazione è più calma, ma prevale la povertà. Ho l’impressione che, con il conflitto in Ucraina, l’attenzione si concentri su quel paese, ma che il Congo sia un po’ dimenticato. La mia diocesi di Luebo è di circa 32.000 chilometri quadrati, tre quarti della Svizzera, per circa 1,2 milioni di battezzati, ma ho solo cinquanta sacerdoti, non bastano. Facciamo quindi appello ai laici come catechisti e leader di comunità. Che si incontreranno nel prossimo futuro per riflettere sullo sviluppo della pastorale. Condividerò con loro quello che ho vissuto a Roma.

Donne e uomini laici hanno partecipato al sinodo. Come ha vissuto la loro presenza?

Abbiamo udito la voce del popolo di Dio. La Chiesa non è solo i vescovi. I laici erano felici di poter parlare e mangiare alla stessa tavola con i vescovi, e vedere che la loro voce veniva udita.

Il posto e il ruolo delle donne in chiesa sono stati uno dei temi della discussione. Come vede questo ruolo?

Dobbiamo ancora fare grandi sforzi. Sono le donne che sostengono la famiglia attraverso il lavoro dei campi o l’educazione dei figli. Ma non hanno la possibilità di avere un’istruzione, nemmeno di base. Le stiamo spingendo in questa direzione, in modo che possano assumersi responsabilità. E le troviamo molto numerose nei movimenti d’azione cattolica, più degli uomini.

Anche la questione dell’autorità del vescovo è stata discussa.

Da noi, in Africa e in Congo, abbiamo sviluppato il concetto di Chiesa Famiglia. In una famiglia c’è il padre che deve assumere il suo ruolo ad immagine del padre biblico. Il vescovo è il padre di questa famiglia. In Occidente, l’immagine del padre non è più così forte, è molto svalutata. Per cui la Chiesa è vista come un’impresa e i vescovi come imprenditori che devono gestire tutto. Di conseguenza, il vescovo non ha più il tempo di stare vicino al popolo di Dio.

Uno dei commentatori sinodali ha detto che i vescovi non dovrebbero essere cani silenziosi.

I vescovi non possono tacere di fronte alla miseria, allo sfruttamento, alle ingiustizie. Noi dobbiamo essere profeti. Il nostro ruolo è quello di aiutare il potere politico in modo che sia in grado di prendersi cura della vita delle persone. ‘Servire e non servirsi di altri‘ come diceva il nostro ex presidente Mobutu. (Risate)

Omosessualità, ordinazione delle donne, abbandono del celibato obbligatorio per i preti, queste erano le questioni poste dalle Chiese occidentali. Che cosa ne pensa?

Le priorità per noi non sono questi problemi, ma miseria, guerra, paura del futuro. Migliorare il tenore di vita della popolazione, sviluppando anche le infrastrutture. Questa è la maggiore urgenza. Immagini che a volte mi ci vogliono diverse ore per percorrere 50 chilometri.

Dobbiamo, naturalmente, anche parlare di una cultura che non accetta l’omosessualità. L’omosessuale è considerato una persona che rompe l’ordine sociale e quindi attira la maledizione sul villaggio. Di fatto, il Sinodo ha parlato soprattutto della missione della Chiesa, dell’evangelizzazione. Come riuscire ad essere insieme e a comunicare? Come far partecipare tutti?

La Chiesa in Congo è ancora in crescita.

Sì, ma questa crescita soffre per la proliferazione di gruppi che promettono la salvezza immediata. A causa della miseria, la tentazione è forte di andare in quelle chiese che offrono soluzioni facili. Se un malato che non ha soldi per pagare il medico va in una di queste chiese, gli verrà detto: “Pregheremo per te e sarai guarito”. L’animazione e la formazione dei laici sono il mezzo per difendere una fede sana in una visione veramente pastorale.

Una delle soluzioni proposte è il decentramento con poteri dati ai continenti, alle regioni o alle conferenze episcopali.

Sì, come già a livello diocesano. La Chiesa sinodale è la condivisione delle responsabilità tra tutti. Il vescovo non può fare tutto. L’Assemblea sinodale, ad esempio, raccomanda di circondarsi non solo di un consiglio presbiterale, ma anche di un consiglio pastorale. Il sinodo non è ancora finito. Il secondo passo fornirà ulteriori risposte.

intervista a Pierre-Célestin Tshitoko Mamba. a cura di Maurice Page in “www.cath.ch” del 5 novembre 2023 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202311/231106tshitokopage.pdf

15 gemme nascoste nel rapporto sinodale sulla sinodalità

Al sinodo sulla sinodalità, i media occidentali si sono concentrati su un numero limitato di questioni scottanti: l’ordinazione delle donne, i preti sposati e la benedizione delle coppie gay. Ma nascoste nella sintesi di 40 pagine dei partecipanti al sinodo ci sono alcune gemme sorprendenti che potrebbero portare a una riforma significativa nella Chiesa.

  1. Il primo è una nuova enfasi sul coinvolgimento dei laici. Rispetto ad altre chiese cristiane, la Chiesa cattolica è molto gerarchica. Questo Sinodo, in particolare le conversazioni nelle tavole rotonde, è stato strutturato in modo tale che le voci dei laici, comprese le donne e i giovani, fossero ascoltate e rispettate. “Il percorso sinodale voluto dal Santo Padre è quello di coinvolgere tutti i battezzati”, rileva il rapporto. “Desideriamo ardentemente che ciò accada e vogliamo impegnarci per renderlo possibile.”
  2. In secondo luogo, il Sinodo promuove la “conversazione nello Spirito”. Il termine si riferisce a una pratica che “permette un ascolto autentico per discernere ciò che lo Spirito dice alle Chiese”, spiega il rapporto, aggiungendo che “la ‘conversazione’ esprime più di un semplice dialogo: intreccia pensiero e sentimento, creando un dialogo condiviso spazio vitale.”
  3. In terzo luogo, il rapporto riconosce disaccordi e incertezze. In passato la gerarchia tendeva a insabbiarli, presentando un fronte unito ai fedeli e al mondo. Ma nella prima pagina la relazione del sinodo riconosce “la molteplicità degli interventi e la pluralità delle posizioni espresse in Assemblea” e ammette “che non è facile ascoltare idee diverse, senza cedere subito alla tentazione di contrastare le opinioni espresse .”In ogni capitolo successivo, eventuali disaccordi e incertezze sono elencati sotto “questioni da considerare” che “richiedono un approfondimento della nostra comprensione pastoralmente, teologicamente e canonicamente”. Il rapporto riconosce anche le sue divisioni. “Anche la Chiesa è colpita da polarizzazione e sfiducia in questioni vitali come la vita liturgica e la riflessione morale, sociale e teologica”, si legge. “Occorre riconoscere le cause di ciascuno attraverso il dialogo e intraprendere processi coraggiosi di rivitalizzazione della comunione e processi di riconciliazione per superarli”.
  4. In quarto luogo, il rapporto affronta le preoccupazioni delle donne. “Le donne chiedono giustizia in società ancora segnate dalla violenza sessuale, dalla disuguaglianza economica e dalla tendenza a trattarle come oggetti”, si legge. “Le donne sono segnate dalla tratta, dalla migrazione forzata e dalla guerra. L’accompagnamento pastorale e una vigorosa difesa delle donne dovrebbero andare di pari passo”. La Chiesa deve «evitare di ripetere l’errore di parlare della donna come una questione o un problema. Desideriamo invece promuovere una Chiesa in cui uomini e donne dialogano insieme, per comprendere più profondamente l’orizzonte del progetto di Dio, che li vede insieme da protagonisti, senza subordinazioni, esclusioni e competizioni.” Il Sinodo ha concluso che nella Chiesa “è urgente garantire che le donne possano partecipare ai processi decisionali e assumere ruoli di responsabilità nella pastorale e nel ministero”.
  5. In quinto luogo, non ha dimenticato i poveri, “che non hanno il necessario per condurre una vita dignitosa”. Insiste invece sulla loro dignità, mettendo in guardia la Chiesa dall’evitare di “considerare coloro che vivono in povertà in termini di ‘loro’ e ‘noi’, come ‘oggetti’ della carità della Chiesa. Mettere al centro coloro che sperimentano la povertà e imparare da loro è qualcosa che la Chiesa deve fare sempre di più.”
  6. In sesto luogo, accusa la Chiesa di combattere il razzismo e la xenofobia, affermando che deve agire contro “un mondo in cui il numero di migranti e rifugiati aumenta mentre diminuisce la disponibilità ad accoglierli e dove lo straniero è visto con crescente sospetto”. Inoltre, “i sistemi all’interno della Chiesa che creano o mantengono l’ingiustizia razziale devono essere identificati e affrontati. Dovrebbero essere creati processi di guarigione e riconciliazione, con l’aiuto di coloro che sono danneggiati, per sradicare il peccato del razzismo”.
  7. Settimo, occorre affrontare gli abusi nella Chiesa, suggerendo che la Chiesa esplori la possibilità di istituire un organo giuridico separato dal vescovo per gestire le accuse di abusi clericali, affermando: “È necessario sviluppare ulteriori strutture dedicate alla prevenzione degli abusi abuso.”
  8. Ottavo, i partecipanti al sinodo hanno chiesto di riformare la formazione sacerdotale. “La formazione non dovrebbe creare un ambiente artificiale separato dalla vita ordinaria dei fedeli”, afferma il rapporto, e chiede “una revisione approfondita dei programmi di formazione, con particolare attenzione a come possiamo favorire il contributo delle donne e delle famiglie ad essi. ” Raccomandava programmi di formazione congiunti per “l’intero popolo di Dio (laici, ministri consacrati e ordinati)”. Ha inoltre invitato le conferenze episcopali a “creare una cultura di formazione e apprendimento permanente”.
  9. Nono, il Sinodo ha chiesto una revisione regolare del modo in cui vescovi, sacerdoti e diaconi svolgono il loro ministero nella loro diocesi, compreso “un controllo regolare dell’operato del vescovo, con riferimento allo stile della sua autorità, all’amministrazione economica dei beni della diocesi, e il funzionamento degli organi di partecipazione, nonché la tutela contro ogni possibile forma di abuso.”
  1. Decimo, il rapporto affronta il linguaggio liturgico, affermando che i testi utilizzati nei riti cattolici dovrebbero essere “più accessibili ai fedeli e più incarnati nella diversità delle culture”. Successivamente ha suggerito che la liturgia così come i documenti ecclesiali debbano essere “più attenti all’uso di un linguaggio che prenda in pari considerazione sia gli uomini che le donne, e includa anche una gamma di parole, immagini e narrazioni che attingono più ampiamente
  2. L’undicesima, ha elevato la possibilità di offrire la Comunione ai non cattolici, o quella che ha chiamato “ospitalità eucaristica (Communicatio in sacris)”. Dicendo che si trattava di una questione pastorale tanto quanto ecclesiale o teologica, il rapporto ha osservato che tale ospitalità era “di particolare importanza per le coppie inter-chiese”.
  3. Dodicesimo, il rapporto ha preso di mira cosa significa essere un diacono nella chiesa. Così com’è, il diaconato è in gran parte visto come un trampolino di grado verso il sacerdozio. La relazione mette in discussione l’enfasi sul ministero liturgico dei diaconi piuttosto che “servizio a coloro che vivono in povertà e che sono bisognosi nella comunità. Raccomandiamo quindi una valutazione di come il ministero diaconale è stato attuato dal Vaticano II”.
  4. Tredicesimo, la riforma della Curia romana deve continuare. Il Sinodo ha affermato la dichiarazione di Papa Francesco nella Costituzione Apostolica “Prædicate evangelium”, rilasciata nel marzo 2022, che “la Curia Romana non si frappone tra il Papa e i Vescovi, ma si pone al servizio di entrambi in modi che sono propri della natura di ciascuno”. Il Sinodo ha chiesto “un ascolto più attento delle voci delle Chiese locali” da parte della Curia, specialmente durante le visite periodiche dei vescovi a Roma, che dovrebbero essere occasioni per “uno scambio aperto e reciproco che favorisca la comunione e un vero esercizio di collegialità e sinodalità”. Il sinodo ha anche chiesto un’attenta valutazione di “se è opportuno ordinare i prelati della Curia Romana come vescovi”, suggerendo implicitamente che i laici potrebbero ricoprire posizioni di vertice vaticana.
  5. Quattordicesimo, il rapporto afferma che il diritto canonico ha bisogno di essere aggiornato. “Una più ampia revisione del Codice di Diritto Canonico”, si legge, “è richiesta in questo momento” per sottolineare la sinodalità della Chiesa a tutti i livelli. Per esempio, suggerisce, i consigli pastorali dovrebbero essere obbligatori nelle parrocchie e nelle diocesi. Ha anche tenuto per l’imitazione di un recente consiglio plenario dell’Australia.
  6. Infine, il Sinodo vuole promuovere piccole comunità cristiane, “che vivono la vicinanza del giorno per giorno, intorno alla Parola di Dio e dell’Eucaristia” e, per loro natura, promuovere uno stile sinodale. “Siamo chiamati a migliorare il loro potenziale”, hanno detto i membri del sinodo.

Non troverete queste gemme scritte nei media, ma se lasciamo che i media ci dica cosa vedere nel sinodo, potremmo perdere importanti opportunità di riforma della chiesa.

Thomas Reese    National Catholic Reporter.  9 novembre 2023

www.ncronline.org/opinion/ncr-voices/15-hidden-gems-synod-synodality-report

I religiosi condividono il modo in cui la sinodalità modella le loro decisioni,

la vita comune e può aiutare la Chiesa più ampia

Forse“, ha detto Fr. Timothy Radcliffe – predicatore, oratore ed ex maestro dell’Ordine dei Predicatori, comunemente noto come i Domenicani – “gli ordini religiosi hanno qualcosa da insegnare alla Chiesa sull’arte della conversazione”.

Offrire un ritiro di tre giorni al Sinodo sui partecipanti alla sinodalità prima del suo inizio a Roma il 4 ottobre 2023, padre Radcliffe catalogò le capacità comunicative di diversi leader religiosi. “St. Benedetto ci insegna a cercare il consenso; st Domenico         per animare il battito; St. Caterina da Siena per deliziare la conversazione; e S. Ignazio di Loyola, l’arte del discernimento”, ha detto ai suoi ascoltatori.

Mentre la Chiesa cattolica è nel mezzo della comprensione e della definizione della sinodalità, al centro della parola c’è fondamentalmente un processo di parlare e ascoltare che cerca attivamente di includere e coinvolgere una diversità di voci quando si affronta la discussione collettiva e il processo decisionale. Quindi gli ordini religiosi “fanno” la sinodalità in un modo che il resto della Chiesa cattolica può imparare?

“Non sono ancora del tutto sicuro di cosa intendiamo per sinodalità”, ha detto padre domenicano Thomas Petri, presidente e assistente professore di teologia morale e studi pastorali presso la Dominican House of Studies di Washington, ha detto a OSV News. Ma se significa una sorta di conversazione insieme – e guardando alla missione, e a ciò che Dio vuole che facciamo, e desideri che facciamo – sì, ha affermato Petri, “Penso che ci sia un certo modo in cui la vita religiosa lo fa, intrinsecamente ed esplicitamente, che altre vocazioni probabilmente non lo fanno”.

I domenicani sono diventati – e lo sono ancora – noti per la robusta predicazione e l’erudizione. Ci sono più di 30.000 frati domenicani, sacerdoti e suore in tutto il mondo. “È parte integrante della vita religiosa che non ci muoviamo da soli – ci muoviamo sempre in tandem con i nostri fratelli”, ha spiegato Petri, aggiungendo che gli sforzi coordinati sono “il modo in cui i domenicani di discernono e si muovono nel mondo e attraverso la storia insieme – vale a dire, sempre in conversazione l’uno con l’altro”.

La vita e la struttura comunitarie contribuiscono anche alla sinodalità. “Quando sei un religioso, sei seduto al tavolo; pranzi e cena insieme tutto il tempo. Quindi c’è un’arte di imparare a parlare e includere tutti al tavolo “, ha detto Petri. Ma, cosa più importante, per i domenicani – e penso che questo sia vero per la maggior parte dei religiosi – ci sono anche tipi formali di conversazioni, come comunità. Conosciuti come “capitoli”, quelli possono aver luogo nel priorato locale, in tutta la provincia o per l’intero ordine. “Il capitolo priorato deve incontrarsi settimanalmente, e il priore (il superiore di una comunità domenicana) sopporterà preoccupazioni o commenti”, ha detto Petri,e ci sarà un’opportunità di discussione“.

“Questo non è qualcosa di nuovo“, Sr. Gemma Simmonds, direttrice del Religious Life Institute presso il Margaret Beaufort Institute of Theology di Cambridge, in Inghilterra, ha detto a OSV News. “Questo è in realtà profondamente tradizionale“. L’ordine di Simmonds, la Congregazione di Gesù, è una congregazione internazionale di circa 1.400 religiose attive e contemplative fondate nel 1609. “Tutto questo approccio sinodale è davvero coerente con le più profonde tradizioni spirituali all’interno della Chiesa. Come hanno fatto a capire cosa fare al Primo Concilio di Gerusalemme?” chiese Simmonds, riferendosi al primo raduno conosciuto dei capi della chiesa. Descritto in Atti 15:1-31, si pensa che il consiglio si sia tenuto a Gerusalemme intorno ad A.C. – 48-50. “Si sono seduti e si sono ascoltati a vicenda”, ha detto Simmonds, “e hanno pregato intorno a ciò che avevano sentito“. Simmonds è stato uno dei quattro delegati dell’ordine religioso scelti per raccogliere le risposte del sondaggio sinodale per le congregazioni di uomini e donne in tutto il mondo, come rappresentato dall’Unione delle Superiore Generali e dall’Unione Internazionale delle Superiore Generali. Insieme, questi gruppi comprendono circa 200 ordini religiosi di uomini e 2.000 ordini religiosi di donne, tutti invitati a un mini-sinodo e di produrre un rapporto. “Ciò che ci ha assolutamente sconvolti”, ha condiviso Simmonds, “è stato il livello di consenso in tutto il mondo (tra le sorelle di diversi continenti). … E penso che sia perché queste sono persone il cui lavoro di vita è ascoltare la voce dello Spirito. Per i religiosi, è un’abilità acquisita e acuita di anno in anno di preghiera e di vita una vita comunitaria. “La gente dice che sanno come ascoltare”, ha detto Simmonds. “Grandi notizie flash: non lo fanno. La maggior parte delle persone – anche se sono in piccoli gruppi – stanno ascoltando con un solo orecchio, ma in realtà stanno pensando alla loro risposta. La sinodalità, al contrario, è decisamente intenzionale – e attenta. “Se la gente vuole sapere cos’è la sinodalità“, ha detto Simmonds, “in realtà è prima di tutto imparare ad ascoltare in un modo che è veramente ricettivo”.

Si‘. Maria Cimperman, professore di etica teologica cattolica presso l’Unione teologica cattolica di Chicago e direttore fondatore del Centro per lo studio della vita consacrata, ha anche fatto parte del team di revisione sinodale di quattro persone su cui Simmonds ha servito. Membro dei Religiosi del Sacro Cuore di Gesù, l’ordine incentrato sull’educazione di Cimperman conta 1.800 suore in 41 paesi oggi ed è stato fondato nella Francia post-rivoluzionaria nel 1800 da S. – Madeleine Sophie Barat.

“Quando si parla di sinodalità, è un modo di camminare insieme – ma è anche un modo di discernimento che è fatto insieme”, ha detto Cimperman a OSV News. “Invece di dire: ‘Cosa pensi che dovremmo fare?’, è una domanda molto più profonda: ‘Cosa senti che lo Spirito sta chiedendo?‘” Ma, ha spiegato Cimperman, la sinodalità può anche a volte essere impegnativa per i religiosi. “Nella comunità, puoi andare, ‘Ah! È stata una conversazione davvero frustrante, o puoi arrabbiarti con qualcuno. Ma la chiamata è sempre per tornare al tavolo; per tornare l’uno all’altro “, ha detto. “Quando parli di sinodalità, è un modo di camminare insieme, ma è anche un modo di discernimento che è fatto insieme.

Per il Fr. Ed Tlucek, un sacerdote francescano che serve due parrocchie del Wisconsin e presto diventerà consigliere provinciale per la Provincia di Nostra Signora di Guadalupe, l’eredità francescana è anche una guida alla sinodalità. Fondata in Italia da St. Francesco d’Assisi nel 1209, i francescani – noti per il loro abbraccio della semplicità evangelica, la forte identificazione con i poveri e la cura del creato – oggi sono circa 35.000 frati, 60.000 religiose di clausura e 155.000 religiose e fratelli “Terzo Ordine Regolari”.

È nella conversazione che esce dal vivere con i fratelli – l’ambiente della comunità in cui viviamo – che siamo costantemente sfidati”, ha detto Tlucek a OSV News. Non solo per condividere i nostri pensieri interiori, ma per ascoltare l’altro. E poi essere disposti, nella conversazione, a cambiare”.

Quel modello di ascolto è stato critico quando cinque U.S. Le province francescane alla fine hanno deciso di fondersi quest’anno in una nuova Provincia di Nostra Signora di Guadalupe. “Non è stato fatto nel vuoto. E certamente non è stato fatto dall’alto verso il basso”, ha detto Tlucek. “Era dal discernere la volontà di Dio a livello di base.”

Tlucek sente che il suo ordine ha qualcosa da offrire alla chiesa oggi – anche il mondo moderno – in particolare quando si tratta di comunicazione. “Siamo chiamati a usare le abilità che abbiamo come francescani e invitiamo i laici con i quali lavoriamo a considerare questi strumenti nelle loro conversazioni; nella loro esperienza; nel loro discernimento”, ha detto. “Più possiamo condividerlo, più la chiesa sarà ricca. Siamo tutti in questo insieme”.

National Catholic Reporter.  9 novembre 2023

www.globalsistersreport.org/news/religious-share-how-synodality-shapes-their-decisions-common-life-and-can-help-wider-church?site_redirect=1

Un Sinodo freddo sui temi caldi

È stato interlocutorio il sinodo che si è celebrato a ottobre (“Per una Chiesa anche la sollecitazione a proseguire «la ricerca teologica e pastorale sull’accesso delle donne al diaconato» con l’avvertenza che la “concessione” del ministero diaconale alle donne, per «alcuni», «sarebbe inaccettabile in quanto in discontinuità con la Tradizione» e «espressione di una pericolosa confusione antropologica».

                A proposito dell’obbligatorietà del celibato sacerdotale, afferma il documento che «sono state espresse valutazioni diverse» sull’argomento. «Tutti ne apprezzano il valore carico di profezia e la testimonianza di conformazione a Cristo», mettono le mani avanti i vescovi, che aggiungono: «Alcuni chiedono se la sua convenienza teologica con il ministero presbiterale debba necessariamente tradursi nella Chiesa latina in un obbligo disciplinare, soprattutto dove i contesti ecclesiali e culturali lo rendono più difficile. Si tratta di un tema non nuovo, che richiede di essere ulteriormente ripreso». Non manca un accenno ai preti sposati: «Si consideri, valutando caso per caso e a seconda dei contesti, l’opportunità di inserire presbiteri che hanno lasciato il ministero in un servizio pastorale che valorizzi la loro formazione e la loro esperienza».

Eletta Cucuzza                  Adista Documenti n° 38              11 novembre 2023

www.adista.it/articolo/70865

Un Sinodo deludente per le donne

«Noi desideriamo essere accompagnate e accompagnare non perché donne ma perché parte legittima di una Chiesa equa e inclusiva».

                Ci sentiamo interpellate a riflettere su tutto il documento pubblicato, ma ora condividiamo una reazione a caldo sul capitolo “Le donne nella vita e nella missione della Chiesa”. Constatiamo che nella Relazione di sintesi della Prima sessione sinodale sulla sinodalità, un capitolo nella seconda sessione, è interamente dedicato alle Donne nella vita e nella missione della Chiesa. Il nostro obiettivo è che arrivi il giorno in cui la questione femminile non sia più una questione da trattare in un capitolo a parte, ma ad oggi non è così.

                A una prima lettura sentiamo come le donne nella Chiesa siano percepite ancora troppo come destinatarie e oggetti e non protagoniste con pari dignità degli uomini.

Percepiamo una tiepidezza nell’osare spazi e modelli più inclusivi delle donne che ci fa sentire deluse.

Sentiamo una paura e un timore nel riconoscere alle donne una soggettività pro-attiva. Percepiamo un tono paternalistico che contraddice la realtà di tante donne, laiche e consacrate, leader e preparate per mettere i loro doni al servizio della comunità ecclesiale. Sinceramente, siamo un po’ stanche di essere destinatarie di azioni pastorali come viene ricordato in questo passaggio: «chiediamo alla Chiesa di crescere nell’impegno di comprendere e accompagnare le donne, dal punto di vista pastorale e sacramentale».

                Noi desideriamo essere accompagnate e accompagnare non perché donne ma perché parte legittima di una Chiesa equa e inclusiva.

                Tra le questioni da affrontare leggiamo: come la Chiesa può inserire più donne nei ruoli e nei ministeri esistenti? Se servono nuovi ministeri a chi spetta il discernimento, a quale livello e con che modalità?

Sentiamo che queste domande, pur importanti e legittime, non sono affatto nuove perché ce le poniamo già da tempo: sentiamo sia il tempo di nominare con chiarezza quali cambiamenti, ai diversi livelli, siano necessari perché questo accada.

La nostra associazione, così come altri movimenti e realtà femministe, hanno proposto passi concreti, dal diaconato femminile alla riforma dei ministeri; da processi decisionali più trasparenti e partecipativi alla revisione di parti del Diritto canonico, a una maggiore presenza di donne nei seminari, come insegnanti e direttrici.

Riconosciamo in questo sinodo la presenza di donne ma, purtroppo, in un numero troppo ridotto perché ci sia una equa riflessione sulla conversione necessaria perché le donne siano partecipi nella Chiesa come soggetti a tutto campo.

Se vogliamo veramente un cambiamento e la complementarità tanto cara a una parte della Chiesa tra uomini e donne, è necessario che a parlarne siano tutte le donne, con modalità partecipative da pensare insieme. Se le donne invitate a riflettere sono scelte da uomini che, in diversi modi, manifestano il timore di lasciare loro più spazio, questo mina la validità del processo stesso del discernimento.

Siamo comunque grate a tutti le donne e uomini che in questo mese hanno dedicato tutta la loro attenzione, cura, riflessione e preghiera a questo documento.

                Continueremo a riflettere e a discernere come donne “diverse e unite per una Chiesa equa”.

Donne per la Chiesa 04 novembre 2023

Tratto da: Adista Documenti n° 38 del 11 novembre 2023

www.adista.it/articolo/70866

Per una piena uguaglianza di donne e persone Lgbtq+

A seguito della 16ª Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, durata un mese e convocata da papa Francesco in Vaticano, la Women Ordination Conference (WOC) esprime il proprio sostegno all’espressione della necessità di una maggiore partecipazione delle donne alla vita pastorale e al governo della Chiesa è stata delineata nel documento finale, pubblicato il 28 ottobre 2023.

                Tuttavia, allo stesso tempo, la WOC è costernata dal fatto che il Sinodo non abbia preso sul serio i pressanti appelli ad aprire tutti i ministeri ordinati alle donne. L’indicazione che il dibattito sulle donne nei ministeri ordinati dovrebbe essere limitato al diaconato permanente o a «nuovi ministeri» non definiti, semplicemente non riflette i bisogni della Chiesa di oggi, né la pienezza delle vocazioni femminili.

Mentre la WOC celebra il significativo sviluppo del processo decisionale vaticano che ha permesso a 54 donne di votare per la prima volta accanto ai loro colleghi maschi, il trattamento superficiale del documento sull’ingiustizia della disuguaglianza di più della metà dei membri della Chiesa è motivo di preoccupazione. Per certi versi, il documento sembra riflettere un riconoscimento delle ferite che le donne hanno sperimentato per mano della Chiesa, ma non riesce a impegnarsi in modo sostanziale nella guarigione di tali ferite, scegliendo invece di lasciare tali questioni a studi e commissioni che si moltiplicano.

Affinché il processo sinodale mantenga una qualche credibilità, dovrà prendere sul serio la piena uguaglianza delle donne e delle persone LGBTQ+ in ogni aspetto della vita della Chiesa. Una “Chiesa in ascolto” che non si trasforma a causa della fondamentale esclusione delle donne e delle persone LGBTQ+ non riesce a incarnare il Vangelo stesso. La nostra continua testimonianza continua, soprattutto nel prossimo anno, sarà essenziale per garantire che le voci, le esperienze e le vocazioni delle donne non vengano ulteriormente cancellate nel processo sinodale.

Se l’assemblea sinodale non ha notato le urgenti grida, le preghiere e le speranze delle donne, o non è disposta a compiere passi concreti per smantellare le strutture e le politiche della Chiesa che opprimono e sminuiscono le donne, allora la Conferenza per l’ordinazione delle donne e i nostri sostenitori dovranno semplicemente rendersi ancora più visibili. Continueremo a lavorare per rendere conto alla base e a essere una voce intransigente per un’equa inclusione delle donne a ogni livello della Chiesa. Abbiamo visto le donne votare nelle sale del Vaticano: non si può tornare indietro.

Women Ordination Conference 04 novembre 2023

Tratto da: Adista Documenti n° 38 del 11 novembre 2023

www.adista.it/articolo/70867

Non potete tornare indietro e non lo farete

Al Sinodo ne sono consapevoli, come ha suggerito il cardinale Hollerich, relatore generale del Sinodo sulla sinodalità, nella conferenza stampa finale: c’è un’opposizione, che approfitta di ogni scappatoia per diffondere il suo discorso abituale, anche se non ha nulla a che vedere con quanto vissuto durante il cammino sinodale. E perché ciò avvenga è necessario impedire a qualcun altro, compreso il Papa, di parlare. È un voler tornare indietro, un atteggiamento che non può essere e non sarà consentito. Per pochi che siano, e insisto su “pochi”, fanno molto rumore.

Quando diciamo che le decisioni devono essere frutto della diversità, chi è sempre stato al comando si alza in armi; quando si propone di sedersi con tutti alla stessa tavola rotonda, c’è chi vuole ancora un posto a capotavola, quando si parla di ascoltare i poveri, le donne, le persone LGBTI, quelli che hanno deciso di fare un altro percorso nel loro cammino vocazionale, si fanno il segno della croce. Possiamo chiederci se la conversione allo Spirito è penetrato in loro o se sono ancora attaccati alle strategie e ai calcoli umani di cui parla sempre Francesco, di cui ha parlato oggi e di cui continuerà a parlare.

Non fatevi spaventare dalla diversità. Coloro che sono spaventati dalla diversità, coloro che sono turbati da una Chiesa sinodale, devono pensare alla solidità dei loro fondamenti di vita e di fede. In fondo, non sono persone libere, vivono ancorate alle ideologie dell’Antico Testamento, sono idolatri, come ha detto il Papa, ricordando le parole in cui il card. Martini ricorda che Dio può «cambiare le mie aspettative», non può essere controllato.

Non sanno che la diversità ci arricchisce, apre prospettive, ci aiuta a vedere che la vita, e la Chiesa, non possono essere monocromatiche, che i colori diversi ci aiutano a scoprire che ciò che conta davvero è «amare Dio con tutta la vita e amare il prossimo come noi stessi», principio e fondamento a cui Francesco ha fatto riferimento nell’omelia della messa di chiusura di questa prima sessione dell’Assemblea sinodale. rendendo omaggio a Sant’Ignazio come un buon gesuita.

E questo non è qualcosa di astratto, è qualcosa che ha dei volti, concreti, diversi, pieni di vita e di insegnamenti, espressioni chiare dell’amore di Dio.

Adorare, servire e amare. Quando adoriamo e serviamo, quando Dio e coloro che non contano sono presenti nella nostra vita e nel cammino della nostra Chiesa, la diversità non ci spaventa. Quando si ama, si capisce e si impara a convivere e a godere della presenza accanto a noi, alla nostra stessa tavola, di qualcuno che è diverso. Ma per questo è fondamentale avere la capacità di lasciarsi sorprendere dalle storie di vita degli altri, uno stupore che nasce dall’ascolto vero, dal modo di ascoltare di Gesù, di Dio fatto amore concreto.

La diversità ci porta a contemplare Dio in tutti e ci aiuta a non cadere nella tentazione di metterci al centro e di non mettere realmente questo Dio incarnato nell’altro, anche nel diverso, in colui che dobbiamo servire, perché «non c’è amore per Dio senza impegno a prendersi cura del prossimo», e anche il diverso è prossimo.

Dio al centro con i poveri e i deboli. La riforma della Chiesa, che può essere considerata uno dei grandi propositi del Sinodo, si compirà solo nella misura in cui riusciremo ad «adorare Dio e ad amare con lo stesso amore i fratelli», coloro che oggi si identificherebbero con quelli che il Libro dell’Esodo chiama straniero, vedova e orfano. Si tratta di mettere «Dio al centro e con Lui quelli che Lui preferisce, i poveri e i deboli», per creare «una Chiesa che sia serva di tutti, serva degli ultimi», come ha insistito il papa.

                «Una Chiesa dalle porte aperte, che sia un porto di misericordia» è la via da seguire. Possiamo chiederci se questa sarà la Chiesa che nascerà dall’attuale processo sinodale. A tal fine, è decisivo «sperimentare la tenera presenza del Signore e scoprire la bellezza della fraternità», che è presente nella diversità, «nella ricca varietà delle nostre storie e delle nostre sensibilità», secondo le parole del papa.

                Non perdiamo di vista un cammino che continua, cerchiamo di essere «una Chiesa più sinodale e missionaria, che adora Dio e serve le donne e gli uomini del nostro tempo, andando a portare a tutti la gioia consolante del Vangelo», anche a chi è diverso.

Luis Miguel Modino (IHU-Unisinos) 04 novembre 2023

Tratto da: Adista Documenti n° 38 del 11novembre 2023

www.adista.it/articolo/70868

Cambiare il diritto canonico sul celibato

                «Si consideri, valutando caso per caso e a seconda dei contesti, l’opportunità di inserire presbiteri che hanno lasciato il ministero in un servizio pastorale che valorizzi la loro formazione e la loro esperienza».

                È questo uno dei passaggi più innovativi del documento di sintesi dei lavori del Sinodo approvato questa sera nell’Aula Paolo VI in Vaticano. In queste poche righe c’è un cambiamento storico, un approccio totalmente diverso da quello tradizionale. Nel mondo sono più di 120.000 i preti che hanno abbandonato il sacerdozio per farsi una famiglia, circa un quarto dei preti attualmente in servizio pastorale.

È un segnale così importante che la Chiesa non può più ignorare: «il tema del celibato che ha raccolto valutazioni diverse nel corso dell’assemblea. Tutti – si legge nella Relazione finale – ne apprezzano il valore carico di profezia e la testimonianza di conformazione a Cristo; alcuni chiedono se la sua convenienza teologica con il ministero presbiterale debba necessariamente tradursi nella Chiesa latina in un obbligo disciplinare, soprattutto dove i contesti ecclesiali e culturali lo rendono più difficile. Si tratta di un tema non nuovo, che richiede di essere ulteriormente ripreso».

                Per il Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati fondato nel 2003 da don Giuseppe Serrone, il tema dei preti sposati, che è fondamentale per l’esistenza della Chiesa, non deve essere solo ripreso, ma data la rilevanza, il papa stesso, dovrà prenderlo in considerazione immediatamente e porre mano al cambiamento del Diritto Canonico per far celebrare Messa ai sacerdoti sposati che desiderano ritornare al ministero attivo.

Associazione preti sposati           04 novembre 2023

                Tratto da: Adista Documenti n° 38 del 11 novembre 2023            

https://www.adista.it/articolo/70869

UNIVERSITÀ

Master Affido, adozione e accoglienza familiare

Settimana edizione del Master biennale di II livello (Executive) “Affido, adozione e nuove sfide dell’accoglienza familiare: aspetti clinici, sociali e giuridici”.

Il Master è promosso dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia A. Gemelli e l’Istituto degli Innocenti di Firenze con le facoltà di Psicologia, Scienze politiche e sociali e Giurisprudenza.

A fronte di una crescente fragilità familiare, oggi più che mai è necessario rilanciare l’adozione e l’affido e accompagnare quelle famiglie che aprono i propri confini per accogliere un bimbo perché quel bimbo possa sentirsi figlio e  possa godere di quella risorsa insostituibile che è la famiglia. E poi si emergono temi sfidanti: dall’accoglienza di bambini di altre culture, all’open adoption, alle modalità di affido cosi dette “leggere” , all’affiancamento familiare, per citarne solo alcune.  i propri confini per accogliere un bimbo perché quel bimbo possa sentirsi figlio e  possa godere di quella risorsa insostituibile che è la famiglia.

E poi si emergono temi sfidanti: dall’accoglienza di bambini di altre culture, all’open adoption, alle modalità di affido cosi dette “leggere” , all’affiancamento familiare, per citarne solo alcune.

Certo è che per intervenire in situazioni così complesse, è necessario affinare modalità di intervento che abbiano una solida base scientifica nei risultati delle ricerche e acquisire competenze che spaziano a 360° dagli aspetti giuridici, a quelli psicologici e clinici, all’intervento dei servizi.

Per questo  abbiamo messo a punto una formazione  rivolta  a diverse figure professionali che  già operano o che intendono operare in questo settore.

Si tratta di un master di secondo  livello promosso dal centro di Ateneo studi  e ricerche sulla famiglia insieme all’alta scuola Agostino gemelli oltre che insieme all’istituto degli innocenti di Firenze;  è  un master di  interfacoltà sostenuto dalle facoltà di psicologia, da servizio sociale e della facoltà di giurisprudenza

È stata fatta richiesta al Coordinamento Nazionale Servizi Affido e alla Commissione Adozioni Internazionali per il patrocinio, già conferito a precedenti edizioni.

Il Master ha avviato le pratiche per riconoscimento dei crediti formativi per gli avvocati e preso contatti con il CROAS per crediti formativi per la formazione continua degli Assistenti Sociali; la frequenza al Master esonera gli psicologi dall’acquisizione di altri ECM negli anni di svolgimento dei corsi.

La scadenza per le iscrizioni è prevista per il 31 gennaio 2024.

Sono previste diverse borse di studio a totale o parziale riduzione della quota di partecipazione.

informazioni sono disponibili nella pagina dedicata al Master

https://asag.unicatt.it/asag-master-affido-adozione-e-nuove-sfide-dell-accoglienza-familiare-aspetti-clinici-sociali

Riceve questo notiziario in quanto è presente nella mailing list di newsUCIPEM.

Comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. I suoi dati non saranno diffusi a terzi e saranno trattati in modo da garantire sicurezza e riservatezza.

Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus

Corso Diaz, 49 – 47100 Forlì                      

Il responsabile è il dr Giancarlo Marcone, via A. Favero 3-10015-Ivrea.

Condividi, se ti va!