news UCIPEM  n. 986 – 29 ottobre 2023

news UCIPEM  n. 986 – 29 ottobre 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le news sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}. Link diretti e link per pdf -download a siti internet, per documentazione.

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Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

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02 CENTRO INT. STUDI FAMIGLIA    Newsletter CISF – n. 39, 25 ottobre 2023

04 CHIESA CATTOLICA                        «Nozze omosessuali e donne cardinali. Ecco la Chiesa del futuro»

05                                                          Le donne, la Chiesa, il genere. Perché parlarne fa bene a tutti

07 CHIESA IN ITALIA                            Sei trentenni su dieci non credono in Dio, ma pure gli atei ascoltano papa Francesco

09                                                          Presbiteri e ministeri, per una chiesa comunità di comunità

11 CHIESE RIFORMATE                       La Riforma e il nostro futuro

13 CITTÀ DEL VATICANO                    Abusi, Rupnik può andare a processo. «Prima di tutto l’ascolto delle vittime»

14 DALLA NAVATA                               XXX domenica del tempo ordinario (anno A)

14                                                          È «amore» la parola chiave del Vangelo

15 DENATALITÀ                                     Crollo nascite “Non abbiamo ancora toccato il fondo, ecco come invertire il trend”

16 DONNE NELLA (per la ) CHIESA Dubia o delle dubbie motivazioni contro l’ordinazione delle donne

18 EDUCAZIONE ALLA SESSUALITÀ Chi parla ai giovani di relazioni di sesso e relazioni?

19 FRANCESCO VESCOVO di Roma Papa Francesco tenta di infondere una nuova cultura nella Chiesa cattolica

22 OMOFILIA                                        La storia del suicidio dei giovani LGBT+ che ha scosso i partecipanti al Sinodo

24 RICORDI- MONS. BETTAZZI          Esce il 10 novembre “A tu per tu con Dio”, l’ultimo libro di mons. Luigi Bettazzi

25                  GIANNINO PIANA        Quale laicità?

27                                                           Surrogazione di maternità: alcune questioni

28 RIFLESSIONI E PROSPETTIVE       Memorie di futuro

32 SINODO DEI VESCOVI                   Sinodo verso la conclusione. Anzi no: tutto rimandato a ottobre 2024

33           il testo finale                        Sinodo 2023, tra le proposte un C9 come consiglio sinodale e molte questioni aperte

36                                                          Il Sinodo apre alle riforme ma non osa. Spaccatura su donne diacono e celibato

37                                                          Dio si fa carne anche oggi

39                                                          Il dibattito nelle Chiese

40                                                          “È un sinodo molto spirituale. Richiede a noi conversione, non c’è posto per pregiudizi

41                                                          Sinodo: il non detto, i rinvii e le questioni aperte dal Papa

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA – CISF

Newsletter CISF –  n. 39, 25 ottobre 2023

  • Foto di famiglia, dal Giappone un film su sopravvivenza e memoria familiare. Dal 18 ottobre è in rotazione al cinema “Foto di famiglia”, film giapponese campione d’incassi, tratto dall’emozionante storia vera del fotografo Masashi Asada che nel 2011, dopo la tragedia dello tsunami, parte alla ricerca di una famiglia da lui ritratta in passato, per sapere se è sopravvissuta al disastro, e finisce per diventare un volontario nel gruppo che recupera fotografie tra i relitti, sperando di riconsegnarle ai legittimi proprietari. Quelle foto infatti rappresentano l’unica traccia lasciata dai dispersi, e il loro valore era diventato inestimabile.                    il trailer su                                     www.youtube.com/watch?v=EArKymhdOe0
  • Finanziaria e famiglie, approfondimenti e analisi. Una direzione giusta, ma alcuni punti in chiaroscuro. La manovra finanziaria continua a tenere banco, in particolare rispetto alla ricaduta sulle famiglie: ne ha parlato il direttore Cisf, Francesco Belletti, in un intervento su Il Sussidiario

www.ilsussidiario.net/news/la-famiglia-nella-manovra-la-scelta-virtuosa-che-lascia-qualche-zona-dombra/2606555

e in un’intervista su Tempi.         www.tempi.it/manovra-positiva-per-le-famiglie-ma-equita-fiscale-resta-un-miraggio

A questo quadro si aggiunge il recente allarme di Eurostat, secondo cui l’Italia è l’unico fra i grandi Paesi europei (Francia, Germania e Spagna) in cui la quota di famiglie che riporta almeno qualche difficoltà a far quadrare i conti nel 2022 è sopra il 63%. Certamente, “per provare a cambiare passo sono necessari provvedimenti strutturali, generosi e universali”, ha commentato Adriano Bordignon, presidente del Forum delle Associazioni Familiari, intervenendo al Festival della Statistica e della Demografia.

www.avvenire.it/attualita/pagine/famiglia-i-conti-che-non-tornanoeurostat-il-63

 “A fianco di questi poi è necessario cominciare a “indossare gli occhiali della famiglia” considerandola una dimensione strategica per il Paese e non un settore residuale, come troppo spesso si è fatto in Italia”.

  • La giornata ONU sul lavoro di cura e di assistenza.  Con una Risoluzione approvata nel luglio di quest’anno, l’Assemblea Generale dell’ONU ha proclamato il 29 ottobre la Giornata internazionale del lavoro di cura e di assistenza con una decisione definita “pietra miliare” che “riflette il riconoscimento collettivo del ruolo fondamentale che l’assistenza retribuita e non retribuita e il lavoro domestico svolgono nel garantire il benessere delle società”           www.un.org/en/observances/care-and-support-day

Secondo l’ILO, le donne svolgono il 76,2% del totale del lavoro di cura non retribuito, 3,2 volte più tempo degli uomini [si veda qui il Report Care Work and Care Jobs – 479 pp]

www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—dgreports/—dcomm/—publ/documents/publication/wcms_633135.pdf

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  • ISTAT: Record di permessi di soggiorno nel 2022. Nel 2022 sono stati rilasciati 449.118 permessi di soggiorno, una cifra che non si registrava da oltre 10 anni. A riportarlo è l’Istat, sottolineando che la crisi ucraina, con la concessione di quasi 148mila nuovi permessi per protezione temporanea, ha notevolmente contribuito all’incremento. Si è trattato di una situazione straordinaria che ha segnato gli scenari migratori in tutta Europa, con l’arrivo di flussi costituiti in prevalenza da donne e bambini. Al 1° gennaio 2023 i cittadini non comunitari con regolare permesso sono oltre 3 milioni e 700mila. La collettività ucraina, superando quella cinese, si colloca al terzo posto per numero di presenze dopo quella marocchina e quella albanese [qui il report integrale].

                www.istat.it/it/files//2023/10/REPORT-CITTADINI-NON-COMUNITARI-2023.pdf

  • Garante infanzia: indagine nazionale sulla giustizia riparativa. L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti, ha presentato un’indagine nazionale in collaborazione con il Ministero della giustizia e l’Istituto degli innocenti, per approfondire l’importanza della giustizia riparativa in ambito minorile, come strumento volontario che si affianca (e non si sostituisce) al percorso giudiziario e che contribuisce a una presa di consapevolezza da parte dell’autore del reato, insieme all’ascolto e alla considerazione della sofferenza della vittima. “Il ruolo della famiglia è fondamentale”, ha detto Garlatti, “la ricerca mostra infatti come questo abbia un evidente effetto moltiplicatore dell’efficacia del percorso e della soddisfazione di chi vi ha preso parte” [qui l’approfondimento].

www.garanteinfanzia.org/giustizia-riparativa-funziona-indagine-agia

  • Progettare percorsi di affiancamento familiare. È il tema della proposta di formazione del corso online (suddiviso in due moduli, il 9 e il 23 novembre 2023 – ore 9/13) condotto dai componenti dell’équipe formativa della Fondazione Paideia e rivolto a operatori di enti pubblici e organizzazioni del privato sociale che a vario titolo si occupano di minori, aiuto alle famiglie in difficoltà, sviluppo di percorsi di comunità [a questo link programma e info per iscrizioni]

www.riflessiformazione.it/prodotto/progettare-percorsi-di-affiancamento-familiare

  • Dalle case editrici

Vi proponiamo questa settimana una serie di titoli per riflettere sul tema della guerra, i suoi terribili costi umani, la possibilità della pace, e un tentativo di lettura dei tempi complessi che stiamo vivendo.

  • G. Cerqueti, Cristo sulla linea del fronte, San Paolo, Cinisello B., 2023, pp. 189.
  • P. Gabrielli, Se verrà la guerra chi ci salverà? Lo sguardo dei bambini sulla guerra totale, il Mulino, Bologna, 2021, pp. 260.
  • Y.N. Harari, Lezioni per il XXI secolo, San Paolo, Cinisello B., 2023, pp. 189.
  • Save the date
  • Webinar (USA/web) – 3 novembre 2023 (15-16.30 CT). “The Way We Are Now: Advancing Family Science Through the Pandemic & Beyond”, Virtual Conference National Council on Family Relations 2023

Traduzione cliccando sul tasto                     www.ncfr.org/events/2023-virtual-ncfr-annual-member-meeting

  • Evento Internazionale (Roma) – 8/10 novembre 2023 (9-18). “Incontro Internazionale Multidisciplinare: Bioestetica e Bioetica Globale”, presso l’aula magna dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

www.upra.org/evento/incontro-internazionale-multidisciplinare-bioestetica-e-bioetica-globale

  • Incontro (Milano) – 9 novembre 2023 (a partire dalle ore 18). “Le nuove frontiere e i problemi dell’Intelligenza Artificiale” a cura della Fondazione Ambrosianeum
  •  Workshop (Bologna) – 11 novembre 2023 (9-13.30). “La tutela della vita tra eutanasia, suicidio assistito e cure palliative” promosso dalla Fondazione Ipsser, dall’Istituto Veritatis Splendor, dall’Associazione Insieme per Cristina e da Avvenire [iscrizione]                                                             www.ipsser.it/11novembre2023
  • Convegno (Bergamo) – 18 novembre 2023 (a partire dalle ore 16). “La bellezza e la cultura della famiglia e della vita nella società” a cura del Forum Provinciale di Bergamo delle Associazioni Familiari, ospiti il ministro Eugenia Roccella, il presidente del Forum nazionale delle Associazioni familiari Adriano Bordignon, il professor Gian Carlo Blangiardo
https://unicalmondo.musvc2.net/e/tr?q=5%3dHX5aLX%26l%3dU%265%3dV8V%266%3dV2UQX%26u%3d0ANpK_9uSr_Je_rsjt_2h_9uSr_IjwOD.0aEzAlAr7rA0Ni355.iL_9uSr_Ijm7uCa_JhwP_TWJd8_9uSr_IjcA00_rsjt_2hs9r9rGo_SO_HoNvGbJv_7oFC9gF6.Dp9%26u%3dGuKC72.FvN%26iK%3dMW9S%26AM%3d2bIW1bIY1WHd5U%26y%3d607Jba8sVeTsX14H0fW3r5auUcZL838KYdZud9SKYaZQ80SIW2TwXaXJ59Tw00XsUfSP

Iscrizione http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp

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CHIESA CATTOLICA

«Nozze omosessuali e donne cardinali. Ecco la Chiesa del futuro» «Nozze omosessuali e donne cardinali. Ecco la Chiesa del futuro»

Entra nel vivo il Sinodo che sabato approverà e consegnerà al Papa una relazione di sintesi del lavoro svolto. Per la prima volta anche dei laici potranno votare il documento frutto di un dibattito in Aula Paolo VI che non sta sfuggendo a nessuno dei temi caldi per il futuro di una Chiesa votata alla sinodalità. Largo spazio stanno avendo il confronto sul maggior coinvolgimento delle donne, le questioni della formazione dei preti, della prevenzione e della lotta agli abusi sessuali, senza dimenticare la pastorale Lgbtq+ e l’accoglienza dei migranti. Più defilata la discussione sull’ordinazione di uomini sposati, nonostante, come auspicato dal vescovo di Essen  Franz-Josef Overbeck, (*1964) «con così pochi seminaristi qualcosa dobbiamo fare ».

                Sarà per l’inedita disposizione dell’aula – tavoli circolari in cui siedono insieme madri e padri sinodali, cardinali e catechiste – e per il metodo della conversazione nello spirito, ma al vertice non si registrano particolari polarizzazioni. Le opinioni però restano molteplici, fra chi chiede per esempio il diaconato femminile e chi al massimo è favorevole alle omelie anche per le donne. Risultato, si prevede una sintesi interlocutoria per avanzare proposte più concrete solo nell’ultima parte del Sinodo fra 12 mesi.

Donne e omosessualità saranno anche temi che monopolizzano il circuito mediatico sul Sinodo. Come lamentato dai vertici dell’ assemblea vaticana in corso, ma all’interno della Chiesa sono tutt’altro che ignorati. Da tempo su queste questioni Oltreoceano si è polarizzato il dibattito fra cattolici liberal e conservatori. Dei primi    suor Jeannìne Gramick, 81 anni, è uno dei punti dì riferimento grazie al suo impegno ultra quarantennale per i diritti degli omosessuali. Sanzionata nel 1999 dall’ex Sant’Uffizio, allora retto da Joseph Ratzinger, la religiosa è stata riabilitata da papa Francesco che l’ha ricevuta qualche giorno fa a Santa Marta. L’incontro, lungo e cordiale, si è tenuto proprio nelle more dì un Sinodo che, al netto della prudenza dei suoi leader – funzionale a scongiurare polarizzazioni in aula -, sta affrontando anche i nodi della condizione delle donne e degli omosessuali. E chissà che in un futuro prossimo non si arrivi a celebrare in chiesa un matrimonio gay e ad avere una donna cardinale, così come auspica suor Gramick, femminista arcobaleno.

Che cosa l’ha spinta ad avviare un ministero pastorale per le persone Lgbtq+?

«Ho incominciato nel 1971 dopo l’incontro con una persona gay e i suoi amici, ero una studentessa all’Università della Pennsylvania. L’ho accompagnato, ho ascoltato le sue storie di rifiuto da parte della famiglia e della Chiesa. Ho riunito i preti per celebrare la messa a casa sua per i suoi amici gay e lesbiche».

Crede che la Chiesa abbia ferito le persone Lgbtq+?

                «Sì, la Chiesa istituzione e i membri della Chiesa le hanno ostracizzate, facendole sentire come dei lebbrosi moderni. Tutto ciò per mancata conoscenza o comprensione». 

Che cosa ha provato nell’incontrare papa Francesco?

«Mi sono sentita felice ed emozionata nell’essere ricevuta da chi è davvero un pastore per il suo popolo. Lui ci ama con l’amore di Dio. Puoi vedere questo nel suo viso e nei suoi occhi».

Lei è stata sanzionata durante il pontificato di Ratzinger. Ora come è cambiata la Chiesa?

«Benedetto XVI si preoccupava di mantenere la verità della fede. Francesco ritiene che questo sia molto importante, ma si rende anche conto che il mondo è cambiato e che la Chiesa ha bisogno di predicare e vivere la fede in un modo che le persone di oggi possano capire. Adesso abbiamo molta più comprensione degli uomini e donne Lgbtq+ rispetto al secolo scorso».

Perché, però, Bergoglio non trova il coraggio di cambiare anche la dottrina, il Catechismo sull’omosessualità?

«Non è compito di un Papa mutare l’insegnamento della Chiesa. ll Pontefice – e ogni leader della Chiesa – deve proclamare la fede del popolo. Solo quando saprà in che cosa crede la gente, potrà pronunciarsi ufficialmente. Come nella Chiesa primitiva, le persone devono riunirsi, parlare in base alle proprie esperienze e ascoltarsi».

Il Papa ha aperto al discernimento sulla benedizione delle coppie Lgbtq+: la Chiesa potrà mai approvare il matrimonio omo-sex?

«Un giorno lo farà, ma questa è solo la mia opinione. È necessario che il popolo di Dio si confronti su questo tema nei futuri sinodi».

Com’è la condizione delle donne nella Chiesa?

«Sono ancora di ‘seconda classe’. In molti luoghi a loro è vietato proclamare o predicare la Parola di Dio. Dobbiamo vivere secondo l’ammonimento di San Paolo: ‘Non c’è né ebreo né greco, né schiavo né libero, né maschio, né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù’ (Gal 3,28)».

È d’accordo col sacerdozio o il diaconato femminile?

«Sì, sono a favore»

Riesce ad immaginare una Chiesa con un cardinale donna?

«Assolutamente».

E che cosa risponde a chi l’attacca, dicendo che sostiene i gay, perché anche lei è omosessuale?

«Non importa se io, o chiunque altro, è omosessuale o eterosessuale. Dovremmo tutti sostenerli, perché Dio ci ama tutti».

intervista a suor Jeannine Gramick di Giovanni Panettiere           “Qn”    23 ottobre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202310/231023gramickpanettiere.pdf

Le donne, la Chiesa, il genere. Perché parlarne fa bene a tutti

                Tempo superiore allo spazio, libertà nella ricerca, poliedro e presa di distanza dai giudizi lanciati come pietre sulle vite delle persone contrassegnano l’inizio e la fine di AL (§ 2-3 e 305) e in certo senso anche questi dieci anni che, nell’accelerazione che stiamo vivendo, rappresentano un arco temporale significativo. Di Chiesa cattolica si parla, certamente, ma non solo e per più ragioni:

perché i cattolici, più o meno praticanti, vivono nel contesto comune a tutti gli altri;

  • in secondo luogo perché nonostante il loro calo numerico, in ambiti sensibili è ancora forte la pressione esercitata dal loro establishment, con esito nullo sul disarmo e scarso sulla giustizia, ma ancora forte su alcuni temi sessuali, così come sul fine vita; infine perché i giudizi – caustici o al contrario benevoli – non lasciano indifferente, in fondo, nessuno.

Ha senso, dunque, in questo quadro generale, per giunta in un contesto di crisi ambientale ingravescente e di guerra diffusa, ritagliare uno spazio specifico per le donne e il dibattito sul genere? La risposta può essere affermativa solo ad alcune condizioni, che cercheremo di onorare:

  • prima di tutto che le donne non rappresentino un tema – una categoria di fragili, magari raccolta nel singolare “donna” ma siano considerate soggetti plurali e anche prisma da cui leggere sessualità, famiglie e società
  • e poi a condizione che parlare di loro non sia un modo per omettere, ancora una volta, di nominare il convitato di pietra, ossia la questione della maschilità.

                In entrambi questi sensi anche l’input fornito da AL ha chiesto e chiede di essere precisato e ampliato. I toni del dibattito attorno al genere hanno invece goduto enormemente della interruzione della animosità permessa anche dall’Esortazione post-sinodale, cui ci stiamo riferendo: lo segnalano fra gli altri i nn. 56 e 286

che fanno di quello che era un campo di battaglia una questione su cui riflettere. Lo mostra anche il clima con cui si è giunti al Sinodo attuale. Sarebbe facile iniziare dicendo che le donne non sono più “angeli del focolare” perché non ci sono i focolari. Non voglio sostenere posizioni ireniche o addirittura negare l’evidenza di molti fattori di crisi, nel senso più comune del termine. Sono, però, convinta che esistano molti nuclei di vita comune, di affetto e di cura reciproca: molte famiglie, appunto.

AL ha recepito quanto le scienze sociali e antropologiche (nel senso della antropologia culturale) dicevano da tempo, ossia che i modelli di famiglia sono molti e si riscontrano, anche in Italia, contemporaneamente e non solo nell’agorà multiculturale della immigrazione di prima, seconda e terza generazione, ma anche tra persone di lunga tradizione italiana: famiglie estese, famiglie nucleari e anche monoparentali; famiglie ricomposte, provenienti da diverse unioni precedenti; famiglie mono-affettive, con o senza figli, e persone che vivono da sole e che spesso coltivano relazioni di coppia più o meno stabili e – perché non computarle? – famiglie religiose, di persone consacrate, di solito omogenee, o tutte maschili o tutte femminili.

Tutte queste modalità, alcune delle quali sono indicate come situazioni complesse (nn. 24, 72, 52) si rileva che sono/dovrebbero essere attraversate dalla cura reciproca, dall’affetto, dal rispetto, dalla dimensione estetica ed erotica e dalla generatività, sia pure in modi diversi (nn. 126-146)). In questa complessità e nelle crisi che l’attraversano le donne svolgono ruoli importanti: alcuni nella realtà anche se spesso sottaciuti, altri nell’immaginario sovente ipertrofico e popolato da fantasmi.

Iniziando dalle constatazioni, sia empiriche che legate a indagini statistiche, ci si rende conto che, fatte salve le dovute eccezioni, anche nelle forme di convivenza meno convenzionali, come le convivenze e le persone single che coltivano intense varie relazioni, che spesso e compatibilmente con esigenze lavorative e aggravi economici la residenza prescelta, specie dalle donne, è matrilocale. Si deve interpretare come “mammismo latino”?

È il vecchio welfare all’italiana che trova nella cura reciproca fra generazioni quanto non viene offerto a livello sociale? O può indicare anche l’intraprendenza femminile che continua a trovare modalità creative per vivere la famiglia, qualunque essa sia, senza rinunciare alla professione e ad altre pratiche culturali? È a questo livello, comunque, che l’innegabile forza delle donne si mescola con dimensioni negative che non si possono più ignorare: il lavoro sottopagato, in nero o introvabile (gender gap) che ha perfino meritato in questi giorni il Nobel per l’economia e il meccanismo detto della scogliera di cristallo. Quest’ultimo è un punto di vista sofisticato che interagisce con quel più noto soffitto di cristallo che impedisce la presenza di donne in ruoli apicali: la scogliera, altrettanto efficace pur se invisibile, suggerisce invece che nella crisi si cercano proprio le donne, salvo poi respingerle ai margini quando il pericolo è passato.

Superfluo osservare che ognuno di questi aspetti si vive anche nella Chiesa? Scontato, sì, superfluo forse no, visto che soffriamo di maculopatia piuttosto seria e vediamo meglio all’esterno che all’interno. Accanto a questi dati fin troppo reali, si aggirano poi i fantasmi vecchi e nuovi, per cui le ex angeli del focolare diventano streghe maligne: uno rilanciato di recente colpevolizza le donne per la denatalità – intesa come mancanza di figli italiani di madre autoctona – senza tener conto delle difficoltà economiche, nonché della cri-si sistemica dell’ambiente e delle guerre spaventose.

Colloco qui, ma poteva essere anche il primo punto, un aspetto drammatico e per niente in miglioramento, non ignoto a AL, ma che chiede ancora maggiore analisi oltre che vigilanza: mi riferisco alla violenza nei nuclei familiari, a volte per gelosia ma più spesso perché le donne vogliono interrompere un rapporto di coppia o l’hanno già fatto e che va dalla violenza psicologica alle percosse fino a totalizzare un numero impressionante di femminicidi. Piaccia o meno il neologismo, il fenomeno è veramente impressionante e non cenna a diminuire. Ad esso si devono aggiungere gli stupri, spesso agiti da branchi di uomini, anche minorenni, e i linciaggi mediatici, questi rivolti a tante tipologie di persone.

Come si chiede da tempo per un altro plesso drammatico quale quello degli abusi – ecclesiastici, ma anche di altri adulti con potere sui minori, nel mondo della scuola e dello sport e, ancora una volta anche se si tende a tacerlo, nella famiglia – è tempo non solo di abbandonare definitivamente l’omertà, ma anche di aprire laboratori stabili per comprenderne meglio le cause. Tralasciando, ovviamente, i tentativi di colpevolizzare ancora una volta le vittime, peraltro esclusi anche in AL 54, saltano agli occhi sia le dimensioni strutturali del fenomeno degli abusi che l’esigenza di un lavoro sulla maschilità, il nostro convitato di pietra, che per “lungo tacer pare fioco”. L’espressione dantesca a cui faccio spesso ricorso mi sembra rispondente alla situazione ed essere, almeno spero, abbastanza rispettosa di una situazione che non è omogenea, la cui descrizione come tale verrebbe a colpevolizzare proprio gli uomini – qui nel senso ristretto di maschi – che stanno tentando di uscire da quella sorta di nebulosa che impedisce loro di mettersi a tema come parziali, di mettere a fuoco in prima persona gli elementi educativi e strutturali che perpetuano la gerarchizzazione (anche la loro) per cui la differenza diventa discriminazione, fino all’esclusione o alla violenza. Qualcosa o, meglio, qualcuno, si sta muovendo anche in Italia e lo dimostrano pubblicazioni, associazioni, nonché i dialoghi che ognuno può intrecciare.

A livello ecclesiale e soprattutto ecclesiastico, dato che al momento i quadri sono ancora maschili, servirebbe proprio un colpo di reni perché i percorsi intrapresi da qualcuno non siano soffocati, come lo stoppino incerto e piccolo di cui parla il Vangelo. Perché questo sia possibile serve capacità di introspezione, umiltà per apprendere da cammini già fatti, disponibilità alla conversione personale e delle strutture. Per tali ragioni, e torno all’aspetto segnalato all’inizio, è essenziale che continuiamo a custodire lo spazio di ascolto serio e pacato che, senza ingenuità ma anche senza preconcetti, si sta muovendo attorno alla questione di genere, nel senso più ampio del termine.

Cristina Simonelli *1956     “Avvenire” del 22 ottobre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202310/231023simonelli.pdf

CHIESA IN ITALIA

Sei trentenni su dieci non credono in Dio, ma pure gli atei ascoltano papa Francesco

Il cardinal Ruini, e con lui molti degli scienziati sociali che a lungo hanno fatto eco alle sue parole, parlava, a proposito della secolarizzazione, cioè del progressivo distacco delle persone dalla religione, di un’eccezione italiana. Secondo colui che è stato per tanto tempo il capo dei vescovi italiani, il nostro paese avrebbe guidato la riscossa del cattolicesimo sul continente europeo.

Mai profezia fu più sballata. L’ennesima conferma proviene dai risultati di un’interessantissima ricerca promossa dalla rivista cattolica “Il Regno” e realizzata sotto la supervisione di due autorevoli sociologi quali Arturo Parisi e Paolo Segatti.

L’indagine si presenta come la replica di una precedente, condotta quasi quindici anni orsono, nel 2009. Le domande del questionario sono rimaste le stesse e ugualmente rappresentativo dell’intera popolazione italiana è stato anche l’ampio campione di soggetti intervistati: 1500 nella prima indagine, 2010 nella seconda.

l primo dato è inequivocabile: nel 2009 si definiva cattolico più dell’81% di intervistati, nel 2023 il numero è sceso a meno di 73%. Un crollo verticale e di dimensioni notevoli, a cui ha corrisposto un aumento altrettanto impressionante nella quantità di atei e non credenti, passati dal 6,2% del 2009 al 15,9% del 2023.

La pratica. Anche gli indicatori di una partecipazione attiva alla vita della Chiesa cattolica vanno nella stessa direzione. La quantità di coloro che dichiarano di andare a messa tutte le domeniche si è quasi dimezzata in meno di un quindicennio: erano il 28% del campione nel 2009, sono solo il 18% nel 2023 (e si tenga conto che, come altre ricerche hanno dimostrato, le persone che poi a messa ci vanno davvero sono sempre di meno di quelle che, rispondendo a un sondaggio, dicono di andarci).

La quantità di quelli che sostengono di non andarci mai a messa, nemmeno una volta all’anno, raddoppia dal 2009, passando dal 19 al 37% per cento e finisce dunque per comprendere anche una parte consistente di quelli che si dichiarano cattolici.

La fede. Il declino nella pratica religiosa cattolica riguarda tutte le generazioni, ma diventa clamoroso nel caso di quelle più giovani. Tra i nati dopo il 1981 il numero di praticanti regolari scende sotto il 10%, mentre la quantità di coloro che dichiarano di credere in Dio scende, tra i nati dopo il 1990, sotto il 40% (rimanendo intorno al 50 per i nati dopo il 1981). Un dato ancora più sorprendente è rappresentato dal fatto che, in due coorti di età, quella dei nati negli anni Settanta e Ottanta, il numero di donne praticanti regolari è inferiore a quello degli uomini: la cosiddetta “fuga delle quarantenni” (per citare il titolo di un popolare libretto di Don Armando Matteo) è dunque realtà e non leggenda. È vero che la quantità di donne che si definiscono atee o non credenti è inferiore a quella analoga degli uomini, ma il loro distacco dalla Chiesa è forte e crescente e, per alcune generazioni, supera quello maschile. Crescono insomma tra le donne delle forme di credenza che non passano più dall’affiliazione con il cattolicesimo. È un dato ampiamente noto alle gerarchie, che però non hanno in alcun modo i mezzi per contrastare l’esodo mantenendo intatto il quadro normativo e politico attuale.

Questo è dunque lo scenario: credibile, sensato e non difforme da altri elaborati in questi anni da altri gruppi di ricerca. Il primo quesito che sorge spontaneo dopo la lettura di queste cifre è il seguente: cosa può fare la Chiesa cattolica per invertire il trend, per veder risalire il numero di persone che partecipa ai suoi riti, per conquistare l’attenzione ormai quasi del tutto perduta delle giovani generazioni?

La risposta è: nulla. La secolarizzazione è un fenomeno diffuso in tutti i paesi europei, una realtà che non riguarda solo la frequentazione delle chiese, ma che pertiene la stessa fede in Dio. A confermarlo è ancora una cifra offerta dalla ricerca di Parisi e Segatti: coloro che affermano di credere all’esistenza di Dio sono passati dal 2009 al 2023 dal 72 al 57%, quelli che credono senza dubbi dal 50 al 36%. Insomma, scompare progressivamente la fede e insieme ad essa si ritira la religione. Non c’è molto che le chiese possano fare. Quelle più progressiste, ad esempio quella anglicana, hanno introdotto alcune profonde riforme, hanno aperto alle donne e ai gay, ma non hanno recuperato un solo fedele e sono sempre più spopolate.

La seconda domanda che viene da porsi è invece quest’altra: quali sono le conseguenze di questa situazione per la Chiesa cattolica italiana? Anche in questo caso gli allarmismi eccessivi sono ingiustificati. Certo, il distacco di una parte consistente di popolazione provoca alcuni danni all’istituzione: diminuisce la sua capacità di orientare i comportamenti di molti soggetti, fa scemare la sua capacità di allestire iniziative e attività pastorali.

La politica. Ma accanto a questi dati preoccupanti (per l’organizzazione ecclesiale si intende) non si può non notare il fatto che il cattolicesimo mantiene nel nostro paese una sua elevatissima reputazione culturale e politica. Lo dimostra l’ultimo dei dati della ricerca che voglio riportare qui: il 47% del campione ritiene che sia legittimo, cioè che «sia parte della sua missione» (per usare le parole del questionario), che la Chiesa si occupi di aborto, il 49% pensa che debba interessarsi alla disoccupazione, il 38% all’omosessualità, il 55% all’immigrazione.

Molte di queste percentuali sono addirittura in crescita rispetto al 2009. Si tratta di un dato illuminante: gli italiani disertano sempre di più le funzioni domenicali e credono di meno in Dio, ma guardano, in misura crescente, alla Chiesa cattolica come a una fonte autorevole di indicazioni morali e di strategie politiche. L’enorme popolarità del papa argentino (e per molti versi del presidente della Cei, il cardinal Zuppi) anche in tantissimi ambienti atei e di sinistra conferma questo elemento.

Con una battuta potremmo concludere che, in tempo di scristianizzazione galoppante, in tanti sognano un ritorno del papa re e della chiesa guida morale e politica della nazione. Ne riparleremo.

Prof. Marco Marzano Università di Bergamo                     “Domani” del 26 ottobre 2023

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Presbiteri e ministeri, per una chiesa comunità di comunità

                Il IV Convegno nazionale della Rete Viandanti (Un Buon Pastore. Per un nuovo ministero ordinato. Bologna 30 settembre-1° ottobre 2023) vuole affidare ai battezzati e alle battezzate di buona volontà, alle comunità ecclesiali, a coloro che sono impegnati nei lavori Sinodali e a tutti i vescovi italiani alcune riflessioni – in forma sintetica ed essenziale e come espressione del suo sensus Ecclesiæ –, in particolare riguardo alle sfide e alle urgenze, che appaiono più evidenti, ai fini di un rinnovamento del Ministero Ordinato.

                Abbiamo considerato tali interrogativi, che avvertiamo con l’urgenza che ci viene dalla nostra coscienza, sviluppando una riflessione che si è confrontata con il contesto attuale che si configura come profondo e radicale cambiamento d’epoca.

                La Chiesa cattolica intera è chiamata a questo suo stesso cambiamento d’epoca. Mettiamoci perciò in ascolto dello Spirito o saremo come quei discepoli di Efeso che dissero all’apostolo Paolo: «Non abbiamo neppure sentito dire che ci sia lo Spirito Santo» (At 19, 2). Abbiamo tenuto presente anche l’indicazione di papa Francesco secondo cui la Chiesa ha sempre bisogno di crescere nell’interpretazione della Parola rivelata, senza che ciò implichi l’imposizione di un unico modo di esprimerla. Infatti, le diversità se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, fanno crescere la Chiesa in tutte le sue componenti.

                 Ci siamo confrontati con teologi e teologhe, esperti ed esperte di Sacra Scrittura, Diritto Canonico, Storia del Cristianesimo, presbiteri e fratelli e sorelle di altre Chiese cristiane, dopo che il tema aveva assunto rilievo da qualche anno negli incontri periodici con i gruppi aderenti alla Rete Viandanti e attraverso la preparazione con due seminari.

                Scopo del convegno è stato l’approfondimento dell’orientamento di fondo che il presbitero dovrebbe assumere in una chiesa comunione e comunità di comunità. Senza riprendere le molto ampie e articolate motivazioni teologiche, né le analisi sulle necessità pastorali e neppure l’approfondimento storico sulle caratteristiche del cambiamento d’epoca – tutti aspetti che, ovviamente, diamo per presupposti – indichiamo alcune questioni che ci appaiono prioritarie e che indicano una svolta in un cammino ineludibile.

  1. Il posto e la fisionomia del presbitero. Si tratta di dare corpo ulteriore all’ecclesiologia del Popolo di Dio e dei diversi ministeri che lo Spirito suscita al suo interno. Accanto a quelli propri di tutti i christifideles, quello Ordinato deve spostare la centralità dalla dimensione sacerdotale [cristologica] (non annullabile) a quella del pastore [ecclesiologica], segno e strumento di cura e unità della comunità. Un passaggio poi dalla esclusività teologica del munus sanctificandi e dalla invadenza formale del munus regendi, che l’ha soffocato di impegni cerimoniali e amministrativi, ad un più significativo equilibrio del munus congregandi, centrato sul radunare e pascere il gregge di Dio, nel quale la riscoperta profezia della parola, la regalità umile del governo e la sacerdotalità come presidenza del culto comune trovano nuova forza. È quanto esprimiamo con la dizione “un buon pastore”.

1 Nella stesura del testo abbiamo tenuto presente: Lumen Gentium 12; Evangelii Gaudium 40, 132; Laudato si’ 17; Gaudete et exultate 39; Fidem servare 2; la Lettera del Santo Padre al nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, Víctor Manuel Fernández, del 1° luglio 2023; i recenti documenti della Commissione Teologica Internazionale; i lavori del Cammino sinodale della Chiesa tedesca.

                Attorno a questo ruotano esigenze impellenti: la riforma dei seminari, la formazione, la selezione, la vocazione alla cura, alla custodia e all’unità dei fedeli. Salva la specifica funzione di consacrazione eucaristica, che presiede a nome della comunità, occorrerà dar corpo al superamento delle barriere tra clero e laicato e mettere meglio a frutto la ricchezza dei molteplici carismi presenti nella comunità. Ci pare necessario e ormai indilazionabile che si avvii una riflessione sulla struttura sacramentale della Chiesa: un percorso che possa auspicabilmente portare alla definizione di nuove forme di ministeri e uffici, verso una Chiesa tutta ministeriale, improntata alla sorellanza e alla fratellanza.

Ciò richiede di ridisegnare la fisionomia giuridica canonica delle comunità, l’organizzazione della potestas, i ruoli e i compiti consultivi e deliberativi attribuiti alle soggettività pastorali in comunione con il vescovo.

  • Apertura di tutti i ministeri alle donne. Convinti di esprimere la sensibilità di molti altri battezzati e battezzate, riteniamo che limitare al solo ministro maschio la presidenza della liturgia eucaristica sia incomprensibile e di inesistente fondazione scritturistica. Il Concilio Vaticano II ha tracciato la strada per ripensare la pluralità dei ministeria nell’alveo di un unico Ordine sacro. Il fondamento su cui poggia la Chiesa è l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo e la forma che essa adotta deve porsi al servizio di tale aspirazione. L’esclusione delle donne dal ministero sacramentale non ci appare né giustificata in modo comprensibile dalla ragione né in linea con l’agire di Dio testimoniato dai racconti biblici. Vi sono donne che avvertono la chiamata e in cui la percezione e l’esperienza altrui scorgono carismi raccomandabili anche per l’assunzione di funzioni direttive nell’ambito del ministero sacramentale.

Le argomentazioni teologiche finora espresse nei documenti magisteriali esistenti ci sembrano fortemente condizionate da paradigmi culturali superati. Esse devono quindi essere sottoposte a una revisione critica evangelica nel contesto della Chiesa, revisione per la quale si deve utilizzare anche la necessaria competenza scientifica. Ci pare altresì utile un confronto nell’ambito del dialogo ecumenico.

                Anche in Italia, negli ultimi decenni, si è sviluppato un dibattito (teologico, filosofico e socio-scientifico) sulle questioni dell’equità di genere e della partecipazione delle donne in tutti gli ambiti della vita ecclesiale. Il contributo di tante teologhe è stato originale e creativo: un innegabile e positivo segno dei tempi. Ci si aspettano ora ricadute concrete nelle nostre comunità. Si auspica, pertanto, che al sensus fidelium di tutto il Popolo di Dio, e in particolare a quello delle donne, si voglia donare uno spazio sempre maggiore. In sintonia con molti altri e molte altre, siamo decisamente favorevoli all’apertura di tutti i ministeri anche alle donne. Ci aspettiamo che i vescovi italiani, come primo passo, si facciano sostenitori presso la Santa Sede dell’ammissione delle donne al diaconato.

3. Superamento del celibato ecclesiastico obbligatorio. L’unica sequela di Gesù è testimoniata, in modo adeguato, tanto dal celibato quanto dal matrimonio sacramentale, che simboleggia l’amore e la fedeltà indissolubile di Dio verso il suo Popolo, come già affermato nella Lettera agli Efesini (Ef 5,31s). Al più tardi a partire dal Concilio Vaticano II non si può più sostenere responsabilmente una supremazia dello stile di vita celibatario. I celibi possono infatti essere una ricchezza per i coniugi e viceversa. Le vocazioni, nella loro ampia varietà, hanno bisogno le une delle altre e si sostengono vicendevolmente. Aprire il presbiterato anche alle persone sposate può significare un arricchimento complessivo della testimonianza di vita. Così come il celibato ecclesiastico vanta una lunga, benché discontinua, tradizione all’interno della Chiesa cattolica di rito latino, lo stesso è vero per l’opzione e la realtà dei presbiteri sposati. In base alla testimonianza della Parola di Dio (1Timoteo 3 e altri), i ministri sposati rappresentano una realtà molto positiva: ciò è ancora valido non solo nelle Chiese ortodosse, ma anche in quelle cattoliche di rito orientale. Nell’ottica della fisionomia del pastore, in una comunità tutta ministeriale, anche la gestione del ruolo familiare può trovare facilitazione. Insieme, può far risaltare la volontaria scelta celibataria per il servizio comunitario. Alla luce delle trasformazioni culturali, spirituali, antropologiche, emergenti nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo, chiediamo:

  1. il superamento del celibato ecclesiastico obbligatorio, riconsiderando caso per caso le situazioni critiche in atto e effettuando, con opportuno discernimento, l’accompagna-mento vocazionale dei candidati al ministero;
  2. l’introduzione dell’ordinazione di viri probati;

c) il riesame caso per caso, con opportuno discernimento, della situazione dei presbiteri sospesi e dispensati, perché sposati, che volessero riprendere l’esercizio del ministero.

  4. Discernere i ruoli comunitari affidati a presbiteri e laici Occorre valutare competenze, capacità e abilità richieste dai diversi ruoli pastorali, in modo da non attribuirli solo per acquisizione di un “titolo ministeriale” astrattamente inteso. Al contempo, ci pare di avvertire un’eccessiva “creatività” che disegna ministeri la cui funzione risponde più a bisogni contingenti – e in quanto tali affrontabili senza particolari consacrazioni – che a elementi costitutivi della vita comunitaria. Ben vengano comunque nuovi ministeri riconosciuti e istituiti, i cui candidati, di entrambi i sessi, siano adeguatamente formati. Accanto, il riconoscimento di semplici carismi personali che possano rispondere ai bisogni del corpo ecclesiale.

                Ad esempio, anche al fine di assicurare l’importanza e la qualità della predicazione – un nervo scoperto ricorrente anche nella consultazione sinodale – si può prevedere l’affidamento dell’omelia, nelle celebrazioni eucaristiche della domenica e dei giorni festivi, a fedeli qualificati dal punto di vista teologico e spirituale, presbiteri o laici che siano. Un ispirato regolamento sulla predicazione definirebbe criteri più precisi per il conferimento della facoltà di predicare. Ciò sarebbe in sintonia con quanto afferma Paolo: “Quando vi radunate, uno ha un salmo, un altro ha un insegnamento; uno ha una rivelazione, uno ha il dono delle lingue, un altro ha quello di interpretarle: tutto avvenga per l’edificazione”. (1Cor 14,26).

** ** **

                Queste proposte – che sorgono dalla preghiera e dalla riflessione, approfondite nel nostro Convegno e adeguatamente riformulate – vogliono essere il frutto tanto dell’ascolto umile dello Spirito quanto di uno sguardo amorevole alla Chiesa reale. Sono un auspicio, una richiesta accorata, un appello.

Parma, 16 ottobre 2023                              Associazione Viandanti

www.adista.it/articolo/70820

Adesioni dei Gruppi della Rete:

  • Associazione Amici di don Germano / Venezia
  • Associazione Esodo / Venezia
  • Associazione Ospedale da campo / Città di Castello (PG)
  • Casa della Solidarietà / Quarrata (PT)
  • Chicco di senape / Torino
  • “Città di Dio” – Associazione ecumenica di cultura religiosa / Invorio (NO)
  • Comunità del Cenacolo / Merano (BZ)
  • Comunità cristiana di via Germanasca / Torino
  • Finesettimana / Verbania (VB)
  • Granello di Senape / Pistoia
  • Gruppo Davide / Parma
  • Gruppo ecumenico donne / Verbania (VB)
  • Gruppo per il pluralismo e il dialogo / Verona
  • In cammino per le riforme di papa Francesco / Messina
  • Il filo – Gruppo laico di ispirazione cristiana / Napoli
  • Manifesto 4 ottobre / Brindisi
  • Oggi la Parola / Camaldoli (AR)
  • Rivista “il foglio” / Torino
  • Rivista “l’altrapagina” / Città di Castello (PG)
  • Rivista “Parola&parole” / Lugano
  • Rivista “Tempi di Fraternità” / Torino
  • RomanintornoallaParola / Roma

CHIESE RIFORMATE

La Riforma e il nostro futuro

31 ottobre: sappiamo ancora parlare della giustificazione per fede alla nostra società?

                Il 31 ottobre 1517 il frate agostiniano Martin Lutero affisse alla porta della chiesa del castello di Wittenberg 95 tesi sulle indulgenze. Quella data e quel gesto sono spesso ricordati come momento d’inizio della Riforma protestante e come passaggio epocale da un monolitico mondo medievale a una nuova e moderna concezione del mondo. Le chiese evangeliche vedono in quell’evento l’inizio dello sviluppo della propria identità, la società civile vi riconosce la radice di molti valori che sono stati elaborati e precisati nel corso dei secoli successivi.

Dal punto di vista delle chiese evangeliche, occorre riconoscere che la Riforma è stata un movimento ambivalente: è la storia di peccatori redenti e non di santi, i Riformatori non sono eroi senza macchia, la luce della libertà riscoperta dalla Riforma è stata oscurata, travisata e tradita a più riprese fin dal XVI secolo. E più in generale, la conquista centrale della Riforma è stata la riscoperta dell’Evangelo, e non la costituzione di nuove chiese o l’affermazione di una particolare identità confessionale.

La Riforma ha certamente fornito impulsi importanti. Essa ha a esempio sottolineato il principio del “sacerdozio universale dei credenti”, una novità per l’Europa del tempo e un’intuizione che ha avuto ripercussioni fino ai nostri giorni: i processi di partecipazione democratica possono essere visti come un prodotto di tale principio. Per la struttura della chiesa, quel principio ha comportato la distinzione pragmatica tra ufficio e persona: ciò che contraddistingue a esempio il pastore è la funzione che svolge, non l’ordinazione che ha ricevuto.

In secondo luogo, la Riforma – che ha fatto proprio lo slogan rinascimentale ad fontes, cioè il ritorno alle fonti del sapere e della conoscenza – ha promosso la formazione: i credenti, uomini e donne, devono poter accedere alla Bibbia e perciò devono imparare a leggere. E dunque bisogna aprire delle scuole, a cui ammettere anche le ragazze. Ciò ha avuto, a lungo andare, un influsso sull’emancipazione delle donne nella chiesa, sebbene non si possano ignorare le forti opposizioni che ci sono state contro tale sviluppo. Inoltre, nelle chiese evangeliche si è sviluppata una teologia che ha saputo coltivare il confronto critico con la Scrittura, con la pretesa assolutistica del cristianesimo, con il pensiero scientifico e che si è caratterizzata per una costante ricerca di una religiosità illuminata.

L’intuizione centrale di Martin Lutero, e di tutti i Riformatori, secondo cui la giustificazione è opera della grazia mediante la fede, e non il frutto delle opere compiute secondo la legge, ha suscitato un impulso di libertà che è risuonato attraverso i secoli. La libertà di cui parla la Riforma, radicata nella Parola di Dio, non è la libertà di cui parla il mondo moderno, ma ne è certamente una delle fonti, in particolare per quanto concerne i diritti umani e il rispetto della dignità umana.

Non dimentichiamo poi l’influsso che la Riforma ha avuto sulla chiesa cattolica romana: senza la Riforma, il cattolicesimo romano non sarebbe quello che è oggi, in quanto esso ha riformulato la propria identità nel costante confronto anche con la Riforma. Le due confessioni hanno inoltre contribuito indirettamente alla formazione del mondo moderno attraverso i loro scontri: le guerre di religione hanno provocato lo sviluppo di una concezione dello Stato e delle sue leggi in cui diritti civili e religiosi vengono distinti, in cui si affermano le libertà individuali e di credo. Non c’è da essere fieri degli scontri del passato, ma oggi cattolici e protestanti, che hanno imparato attraverso quelli la tolleranza, possono indicare ad altre comunità di fede e ideologie la via della rinuncia al fondamentalismo.

                Al termine di questo breve elenco di traguardi raggiunti dalla Riforma, si fa strada un senso di insoddisfazione. La Riforma ha messo in moto molti cambiamenti, ha avuto storicamente un influsso profondo, ma che cosa ha da dire al nostro presente, e per il nostro futuro? È stata un evento importante, ma quali conseguenze può avere per il XXI secolo? Come superare il giustificato rispetto nei confronti delle conquiste del passato, e scoprire la rilevanza della Riforma per l’oggi in cui viviamo? E a questo punto, non indoriamo la pillola: il problema della irrilevanza della Riforma oggi è legato all’incomprensibilità del suo messaggio centrale, quello della giustificazione per fede. Questo messaggio non è più compreso nella società contemporanea. E forse non lo cogliamo più neppure noi. I tentativi di dimostrare la rilevanza delle nostre chiese attraverso la sottolineatura del loro contributo nel campo degli aiuti umanitari, della diaconia, dell’amore per il prossimo che esse mettono in campo, non sono convincenti: le utili funzioni svolte da una comunità di fede, non sono fede, ma funzioni. Non contribuiscono a risolvere il problema del senso, non sono risposte relative alla sostanza della fede.

All’epoca di Lutero la chiesa era iperattiva, disponeva di risposte a ogni problema: santi protettori, indulgenze, riti, celebrazioni, pellegrinaggi, miracoli, reliquie. Forse non si trovava in una situazione molto diversa da quella in cui ci troviamo noi oggi. E anche allora, e malgrado quell’armamentario religioso, prevaleva un senso di insicurezza, prevalevano paure per il presente e per il futuro. In quel contesto di paura, Lutero riuscì a trovare una risposta nella grazia di Dio che libera dalla paura. Nel contesto delle paure in cui si dibatte il nostro mondo, la nostra società, qual è un messaggio evangelico che libera dall’angoscia le donne e gli uomini della nostra generazione? È di questo che dobbiamo parlare se vogliamo fare del ricordo della Riforma non una celebrazione di cose passate, ma un’occasione per guardare al nostro presente e al nostro futuro alla luce della libertà dalla paura che si trova nella fede.

  Paolo Tognina *1964, pastore e giornalista  27 ottobre 2023

https://riforma.it/it/articolo/2023/10/27/la-riforma-e-il-nostro-futuro

CITTÀ DEL VATICANO

Abusi, Rupnik può andare a processo. «Prima di tutto l’ascolto delle vittime»

Papa Francesco concede la deroga alla prescrizione che avrebbe impedito un eventuale procedimento dell’ex gesuita accusato da diverse persone. Se ne occuperà il Dicastero per la dottrina della fede

Papa Francesco ha chiesto al Dicastero per la dottrina della fede di esaminare la vicenda di don Marko Rupnik e ha deciso di derogare alla prescrizione per consentire lo svolgimento di un processo. Il Pontefice, precisa una nota diffusa ieri dalla Sala Stampa vaticana, «è fermamente convinto che se c’è una cosa che la Chiesa deve imparare dal Sinodo è ascoltare con attenzione e compassione coloro che soffrono, soprattutto coloro che si sentono emarginati dalla Chiesa». Questo è l’ultimo sviluppo del caso riguardante il noto mosaicista e predicatore, accusato di abusi psicologici e sessuali da alcune consacrate maggiorenni e dimesso lo scorso giugno dalla Compagnia di Gesù di cui era membro. Nella nota si precisa che la decisione del Papa arriva in conseguenza del fatto che a settembre la Pontificia Commissione per la tutela dei minori gli ha segnalato «gravi problemi nella gestione» del caso e «la mancanza di vicinanza alle vittime».

                L’ulteriore sviluppo arriva anche dopo la pubblicazione della notizia, uscita negli ultimi giorni sul sito “Silere non possum” e confermata dal vescovo interessato, che Rupnik ad agosto ha trovato accoglienza nel presbiterio della diocesi slovena di Koper (Capodistria). Lo scorso 8 ottobre, invece, la Pontificia Commissione per la tutela dei minori ha inviato per mail una lettera a diverse persone che si sono dichiarate vittime di Rupnik. «Il motivo di questa email – si legge nel documento – è quello di condividere la preoccupazione della Pontificia Commissione riguardo il trattamento che Lei, e le altre vittime del caso Rupnik, avete ricevuto durante un processo che sappiamo essere stato estremamente doloroso e frustrante per voi, per le vostre famiglie, per i vostri cari e per una parte importante della Chiesa, riguardo l’ascolto, l’indagine, il seguito, il sostegno e la comunicazione che vi sono stati forniti».

Nell’annunciare la decisione della Compagnia di Gesù di dimettere Rupnik dall’ordine, si ricordava che tale provvedimento arrivava in conseguenza di denunce di comportamenti riguardanti periodi diversi (Comunità Loyola, persone singole che si dichiarano abusate in coscienza, spiritualmente, psicologicamente o molestate sessualmente durante personali esperienze di relazione con padre Rupnik, persone che hanno fatto parte del Centro Aletti), coprendo un arco temporale di più di trent’anni, dalla metà degli anni ’80 al 2018. «Il grado di credibilità di quanto denunciato o testimoniato – si leggeva nella dichiarazione di padre Johan Verschueren, delegato per le case interprovinciali di Roma dei gesuiti – sembra essere molto alto».

«Molti ci hanno chiesto – aveva precisato poi a luglio Verschuerencome mai non si è proceduto a un processo che potesse portare alla perdita dello stato clericale di Marko Rupnik. Tengo qui a ricordare che questo non è di per sé competenza della Compagnia di Gesù, ma della Santa Sede. Ho sempre desiderato come superiore maggiore, nelle diverse circostanze di queste lunghe e complesse vicende, poter avviare un processo che potesse garantire l’accertamento giudiziale dei fatti, il diritto alla difesa e le pene sanzionatorie conseguenti (o la possibile assoluzione), ma diversi motivi, tra cui gli attuali limiti delle normative relative a situazioni simili, non lo hanno permesso». Ora la decisione del Papa sembra andare verso quanto auspicato da Verschueren.

Da ricordare che sempre Verschueren, alla fine dello scorso anno, aveva rivelato che l’allora Congregazione per la dottrina della fede nel maggio 2020 aveva dichiarato lo stato di scomunica latæ sententiæ di Rupnik per aver commesso il delitto di assoluzione del complice in peccato contro il sesto comandamento. Scomunica che era stata revocata nello stesso mese dopo che Rupnik aveva «ammesso i fatti e chiesto perdono».

 Nel settembre scorso però sono stati pubblicati i risultati di una visita canonica disposta dal cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, con un esito sostanzialmente assolutorio nei confronti di Rupnik. Tanto da manifestare «fondati dubbi anche sulla stessa richiesta di scomunica».

Gianni Cardinale              Avvenire             27 ottobre 2023

www.avvenire.it/chiesa/pagine/abusi-rupnik-potra-andare-a-processo-prima-di-tu

DALLA NAVATA

XXX Domenica del Tempo ordinario – Anno A

Esodo                                   22. 20. «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltratterai la vedova o l’orfano.

Salmo responsoriale     17.02. Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore.

                                               i siete convertiti dagli idoli, per servire Dio e attendere il suo Figlio.

Paolo 1Tessalonicesi     11,08. Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne.

Matteo                                22,37. Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti

È «amore» la parola chiave del Vangelo

 Gesù rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: «Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Maestro, qual è il comandamento grande? Il comandamento-sorgente, la parola-fonte, la legge che unifica e dà senso alle altre, così che possiamo anche noi semplificare la vita, andare diritti all’essenziale? Domanda seria, alla quale Gesù risponde ma, come al suo solito, liberando dagli schemi, proponendo una parola che tra le Dieci Parole non c’è. Comincia con un verbo: amerai, al futuro, a indicare che l’amore è il futuro del mondo, che senza amore non c’è futuro: amatevi, altrimenti vi distruggerete. È tutto qui il Vangelo. Tu amerai, per guarire la vita e farla felice, perché la bilancia su cui si pesa la beatitudine di questa vita è dare e ricevere amore. Non amare è solo un lento morire. Lentamente muore chi non ama, chi non trema per una persona, di quell’amore che ripulisce gli occhi, che “fa vedere le persone come le vede la divinità, che muove il sole e le altre stelle e muove tutto in noi” (M. Gualtieri), che scava pietre per costruire case, cha fa nascere abbracci per ritrovarci interi, che fa sorgere arcobaleni che indicano la via.

 Amerai Dio con tutto il cuore. Qualcuno ha proposto un’altra traduzione: amerai Dio con tutti i tuoi cuori. Come a dire: con il tuo cuore di luce e anche con il cuore d’ombra; con il cuore che crede e anche con il cuore che dubita; quando splende il sole e quando si fa buio; a occhi chiusi quando hai un po’ paura, e perfino con le lacrime. Lo amerai come puoi, meglio che puoi, con ciò che hai, magari col fiatone. Ma con tutta la tua anima, cioè con tutta intera la tua vita. Con tutta la tua mente. Amore intelligente dev’essere; quindi conoscilo, leggi, parlane, vai a fondo. Scrivi una preghiera, una canzone, una poesia d’amore al tuo Amore… Amerai con tutto. Se fai entrare una persona nella tua vita, non puoi essere avaro di te, sarai generoso di sentimenti buoni. Ma con questo, cosa ha detto di nuovo Gesù? In fondo sono le parole che ripetono i mistici, i cercatori di Dio di tutte le religioni. La novità di Gesù sta nell’aggiunta di un secondo comandamento, che è simile al primo… Il genio del cristianesimo: “amerai l’uomo” è simile a “amerai Dio”. Il prossimo è simile a Dio. Il prossimo ha volto e voce, ha cuore e bellezza, simili a Dio. La terra risponde al cielo. Vangelo strabico, verrebbe da dire: un occhio in alto, uno in basso, testa nel cielo e piedi per terra. La grandezza della vita ha a che fare con l’amore. Dio ha a che fare con l’amore. E Gesù è venuto a prendersene cura, come guaritore del disamore del mondo. Il disamore è l’unico peccato che rende deserta la terra e impensabile il domani. Venuto per guarire il cuore. E che diventi la culla del futuro e la culla di Dio.

             p. Ermes Ronchi, *1947 OSM

www.avvenire.it/rubriche/pagine/e-amore-la-parola-chiave-del-vangelo

DENATALITÀ

Crollo nascite “Non abbiamo ancora toccato il fondo, ecco come invertire il trend”

Ieri l’Istat ha diffuso il report sulla natalità e la fecondità della popolazione con dati che sembrano destinati a peggiorare.                                                                                                                       www.istat.it/it/archivio/289772

Non arrivano buone notizie per un Paese che drammaticamente invecchia come l’Italia. In base al report di Istat sulla natalità e la fecondità della popolazione residente diffuso ieri emerge, infatti, che nel 2022 le nascite sono state solamente 393.000, 6.916 in meno rispetto all’anno precedente. Si tratta di un nuovo minimo storico, ma Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, evidenzia che «purtroppo non abbiamo toccato il fondo».

Questo perché dal report Istat emerge anche che nel primo semestre del 2023 si è registrato un calo delle nascite pari all’1,9% rispetto allo stesso periodo del 2022?

Non solo. Dico che non abbiamo ancora toccato il fondo perché diversi trend vanno in questa direzione. Basti pensare che l’età media al parto continua a crescere e che diminuisce il contributo alla natalità da parte dei cittadini stranieri. C’è, però, un dato che più di altri è indicativo della criticità che abbiamo davanti: continua a diminuire il numero di donne in età feconda, convenzionalmente fissata tra i 15 e i 49 anni. Questo è il punto chiave.

Perché?

                Perché se diminuisce il numero di donne che possono avere figli diventa molto difficile poter aumentare il numero di nascite e riequilibrare la situazione demografica del Paese. Queste donne rappresentano una sorta di patrimonio che continuiamo a vedere diminuire e che non riusciamo a valorizzare. Anche perché c’è un problema di fondo che non emerge dai dati di Istat che stiamo commentando.

A che cosa si riferisce?

Al fatto che da altre ricerche e sondaggi emerge chiaramente l’aumento delle donne che non possono o non vogliono avere un figlio. Nel primo caso, l’ostacolo principale è di natura economica, mentre nel secondo il problema sembra riguardare la mancanza di un’aspettativa di un futuro positivo.

                Cosa si potrebbe fare per rimuovere l’ostacolo di natura economica che fa sì che ci siano donne che non possono avere figli?

L’intervento principale deve essere volto a favorire la loro occupazione, accompagnato anche da adeguati servizi per l’infanzia. Più in generale, occorre che i genitori, quindi anche gli uomini, possano avere un lavoro ben retribuito, in modo che vengano meno gli ostacoli di natura economica alla natalità.

Il Governo con la Legge di bilancio ha approvato dei provvedimenti per favorire l’occupazione delle donne madri e consentire a quelle che hanno almeno due figli di avere una busta paga un po’ più alta. Cosa ne pensa?

Si tratta di provvedimenti benvenuti, ma a mio avviso, visto che una delle poche “luci” nel quadro riportato dall’Istat è rappresentato dal fatto che quasi un nato su due nel 2022 è primogenito, sarebbe necessario fare in modo che le misure a sostegno delle madri lavoratrici riguardino anche quelle che hanno un solo figlio. Un’altra cosa importante è fare in modo che queste misure abbiano carattere strutturale.

Per questo servono però non poche risorse.

È vero, si tratta di far comprendere l’importanza che avrebbero. E qui ci riagganciamo a quanto dicevo prima a proposito della mancanza di un’aspettativa di un futuro positivo che fa sì vi siano donne che non vogliono avere figli

Ci spieghi meglio.

                C’è un clima non favorevole al mettere al mondo figli, a fare progetti di vita che li contemplino. È un clima culturale che non può cambiare dall’oggi al domani. Un primo passo potrebbe essere, al di là degli slogan politici, valorizzare i bambini nel dibattito pubblico, nella scena pubblica, non solo quando sono oggetto di violenza piuttosto che protagonisti di fatti negativi come sempre più spesso oggi avviene. Se cominciamo da qui sarà anche più facile costruire il consenso necessario a trovare la copertura finanziaria per misure strutturali a favore della natalità.

Cosa ci dicono i dati dell’Istat rispetto all’apporto che l’immigrazione può avere per contrastare la denatalità?

                Che senza saremmo messi ancora peggio, ma che non rappresenta la soluzione. Infatti, guardando i dati si nota che le famiglie composte da stranieri è come se acquisissero via via uno standard di vita che non è molto diverso da quello delle famiglie italiane a basso reddito e, quindi, anche nel loro caso si vede un trend discendente della natalità.

Il quadro complessivo non appare, dunque, positivo. Ma il trend può cambiare?

Sì, può cambiare, cominciando dalle piccole cose. Anche misure banali, come un’aliquota Iva agevolata sui prodotti per la prima infanzia, non devono essere cancellate dopo un anno, ma vanno rese stabili. Occorre dare un orizzonte di certezza, altrimenti sarà impossibile cambiare rotta.

Lorenzo Torrisi                  intervista al prof. Luigi Campiglio    il Sussidiario              27 ottobre 2023

www.ilsussidiario.net/news/crollo-nascite-non-abbiamo-ancora-toccato-il-fondo-ecco-come-invertire-il-trend/2609367

DONNE NELLA (per la ) CHIESA

Dubia o delle dubbie motivazioni contro l’ordinazione delle donne

In barba al fatto che i testi biblici vetero e neotestamentari attribuiscono a donne ruoli di rilievo, quali guida, comando, annuncio, profezia, liturgia, apostolato, diaconato, e che alcune testimonianze documentarie epigrafiche e raffigurazioni sacre del primo millennio presentano riferimenti a ministræ, presbyteræ, arcidiaconissæ, sacerdotæ e episcopæ tuttavia i teologi si sono affannati dapprima in modo sporadico poi in modo sempre più consistente a offrire le più diverse giustificazioni per tenere fuori le donne da ruoli che potessero implicare il potere. Lo fecero anzitutto dicendo che non potevano farlo: che è la migliore testimonianza del fatto che quelle lo facevano.

Le donne sono state ordinate. La storia è piena di riferimenti a donne «ordinate»: rituali, requisiti canonici, storie di donne. ordinate, ruoli assegnati a donne inclusi in liste di ministri ordinati, donne che furono considerate ordinate da molti cristiani per molti secoli. Nel corso della storia però la definizione di «ordinazione» si è trasformata e in certe epoche si è arrivato a definire cosa rendesse valida un’ordinazione, distinguendo i criteri per considerare invalida o inadeguata l’ordinazione data in un altro periodo.

La storia della Chiesa ha conosciuto molti ruoli come quello dei portinai, degli ostiari, e tanti altri ministeri ecclesiali che a loro tempo erano considerati «ordinati» e per i quali era previsto un rituale di «ordinazione» che oggi non abbiamo più e che non si sente necessità di reintrodurre. Il Concilio di Trento riconobbe sette gradi dell’ordine, dai quali era escluso l’episcopato, e infliggeva la scomunica a chi non riconoscesse tale numero di gradi.

La teologia evolve perché suo scopo è la spiegazione della fede in contesti nuovi e nei tempi che cambiano: non di rado istanze culturali nuove hanno permesso di guardare meglio a ciò che in quel deposito era rimasto nascosto. Gli stessi termini assumono lungo la storia significati diversi anche a seconda dei contesti e certi ruoli potevano non includere le funzioni che noi vi proiettiamo o averne altri. Per esempio si parla di diaconi e diacone sia nei testi neotestamentari che dei primi secoli. Certamente a quel tempo i criteri, i riti, le funzioni di tale diaconato erano diversi sia da comunità a comunità, sia da quelli che furono definiti successivamente. Ma accade che se il termine diacono è attribuito a uomini, si presuppone retroattivamente che questi siano stati ordinati validamente secondo la definizione di ordinazione che abbiamo oggi, mentre se attribuito a donne si tende a interpretare tale termine solo come un generico servizio (cfr. Febe, Rm 16,1). Oppure accade che quando troviamo in un documento il termine presbytera, corriamo a farne la moglie del presbitero. Gli storici rilevano che molte donne sono state considerate ordinate secondo la definizione che al tempo si dava di ordinazione.

Esclusioni di carattere sociale. Occorre notare che le motivazioni con le quali i teologi hanno tenuto le donne in situazione di sudditanza all’interno della Chiesa sono state sostanzialmente di carattere sociale. Per tutto il primo millennio lo sforzo principale riguardante il sesso femminile è stato teso a comprendere se, e fino a che punto, esse fossero create ad immagine di Dio. Per fare questo la riflessione antropologica si è basata su un dossier di testi neotestamentari, interpretandoli secondo l’arcaica concezione binaria secondo la quale il maschio sarebbe attivo e la donna ricettiva, con l’intervento dell’antica metafora della semina che riduceva il ruolo dei generi a quello che essi avrebbero nella fecondazione. E poiché la metafora della semina veniva usata anche per l’insegnamento ne derivava che il ruolo di docenza sarebbe stato riservato ai soli maschi (Didimo).

Di fatto l’idea stessa di femminilità aveva connotazione «subordinante» e di inferiorità che portava a dire per esempio (Origene, Didimo) che tutta l’umanità in rapporto a Dio sarebbe femmina. I tipici assunti acritici di una cultura sessista non hanno permesso nemmeno alle migliori menti del passato di riflettere in modo lucido su queste questioni. Per Cirillo Alessandrino, che certo non brilla per reputazione da quando è accusato di essere il mandante dell’uccisione di Ipazia, la donna è incapace di pensare con rigore e sagacità mentre l’uomo è più pronto a comprendere. Per Diodoro di Tarso e Crisostomo essere ad immagine di Dio significa esercitare l’autorità o dominare. Ora maschi e femmine hanno pari dignità, ma poiché l’uguaglianza porta al conflitto, è bene che in famiglia ci sia un solo capo. Quindi deve comandare il maschio, mentre la donna dovrà assoggettarglisi. A questo punto Crisostomo pensa che forse la donna non sarebbe nemmeno pienamente ad immagine di Dio perché appunto ella non domina e l’uomo non può certo essere subordinato alla donna. E siccome non possono dominare Crisostomo vieta alle donne anche d’insegnare.

Strano, perché molti di questi padri conoscevano e hanno avuto intensi rapporti con diacone del loro tempo (Olimpia), spesso di livello sociale, culturale ed economico maggiore del loro e qualche studiosa si è chiesta se le donne non siano state giudicate inferiori non solo sulla base di una mera cultura sessista, che ha prevalso sulla speculazione teologica, ma anche per un malcelato senso di inferiorità di certi personaggi.

Perfino i Cappadoci (Basilio, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo) convinti dalla loro speculazione sulla Trinità che uomini e donne siano pari nella dignità e nelle capacità, quando però arrivano a codificare il comportamento esemplare che le donne dovrebbero tenere, tornano ad enumerare gli elenchi tradizionali della cultura pagana quali obbedienza al marito, silenzio nell’assemblea finanche a prevedere una disparità di trattamento tra uomini e donne riguardo all’adulterio.

Insomma egualitari nella teoria, ma conservatori per quanto attiene ai ruoli sociali. Questo dualismo tra cultura patriarcale e riflessione razionale resta in Agostino che riconosce alla donna di essere nella sua anima ad immagine di Dio ma solo subordinatamente e comunque mai senza il maschio.

In persona Christi? È però la sua teoria circa la validità del sacramento, da lui elaborata rispetto al problema donatista (se siano validi i sacramenti amministrati da ministri indegni), a fornirci materia di riflessione sull’ordine in merito alle donne. Agostino infatti disgiunge le condizioni di chi amministra il sacramento dall’efficacia del sacramento stesso la cui grazia deriva solo da Cristo, unico ministro. Se perfino la condizione morale o l’indegnità di un ministro umano non è collegata all’efficacia della Grazia dell’unico Ministro divino, non si vede perché dovrebbe esserlo la sua condizione sessuata. Le implicazioni dell’in persona Christi infatti dovevano ancora essere formulate.

A partire dalla riforma gregoriana, i toni delle discussioni che riguardano le donne cominciano a inasprirsi e a diventare apertamente misogini. Molti studiosi ipotizzano che ciò sia avvenuto a causa di un rimodulamento del concetto di ordine e delle concomitanti restrizioni delle leggi del celibato obbligatorio per il clero (sancito a Pisa nel 1135), il cui modello viene fortemente monasticizzato, con conseguente ossessione rigorista sulle leggi di purità.

Ma lo vedremo in un prossimo contributo.

Per il carattere divulgativo di questo testo sono stata costretta necessariamente ad essere rapida e sintetica. Le affermazioni qui avanzate possono essere approfondite in molti studi tra i quali segnalo:

  • G. Macy, The Hidden Histery of Womans Ordination. Female Clergy in the Medieval West (Oxford University Press 2007);
  • J. Wijngaards, Women Deacons in the Early Church. Historical Texts and Contemporary Debates (Crossroad 2006);
  • C. Taddei Ferretti, Anche i cagnolini. L’ordinazione delle donne nella Chiesa cattolica (Gabrielli 2014)
  •  e per la documentazione, A. Piola, Donna e sacerdozio. Indagine storico-teologica degli aspetti antropologici dell’ordinazione.

Selene Zorzi       “Rocca” n. 21    del 1 novembre 2023

EDUCAZIONE ALLA SESSUALITÀ

Chi parla ai giovani di relazioni di sesso e relazioni?

È la mancanza di educazione sessuale la causa dei casi di violenza di gruppo? Siamo di fronte a un’emergenza?

               «Mi sembra una situazione davvero problematica: i nostri figli subiscono una erotizzazione precoce già nell’infanzia (vengono a contatto con contenuti sessuali precocemente e troppo persistentemente) e inoltre la pornografia ha sfondato il limite degli 11 anni. Perciò ricevono una educazione sessuale da Pornhub e Youporn, per citare solo 2 delle piattaforme più invasive del Web. Secondo voi dove hanno imparato i comportamenti predatori e crudeli di cui tanto si è parlato?»

Un tempo il sesso era tabù, non se ne parlava con i genitori, poco con gli amici. È un bene o un male che ora si affronti così esplicitamente?

               «È un male. L’erotizzazione precoce compromette la capacità di gestire l’intimità in modo più sano e ampio. Non a caso i cortocircuiti sessuali e aggressivi sono troppo frequenti nei ragazzini e negli adolescenti. Inoltre l’erotizzazione precoce è un fenomeno che si correla a un maggior rischio di disagio psichico, in modo particolare alla loneliness, cioè a quella dolorosa percezione di solitudine che accompagna molti adolescenti e soprattutto quelli più smart sui social».

               Parlando di sessualità c’è un confine oltre il quale i genitori non dovrebbero andare per rispetto dei figli?

«Magari noi genitori parlassimo di sessualità e di educazione affettiva! Purtroppo i nostri figli non hanno davvero adulti di riferimento autorevoli: spesso, infatti, più che di adulti dovremmo parlare di adultescenti, cioè adulti che non hanno ancora risolto i temi adolescenziali e si comportano in modo assai incoerente con il ruolo genitoriale».

Quanta influenza ha la famiglia e quale è il suo ruolo nell’educazione sessuale? E la scuola?

«Verso gli 11 anni i ragazzini perdono fiducia negli adulti. A quell’età si completa la “smartphonizzazione” di quasi tutti i figli. Cosicché i ragazzini partecipano a comunità virtuali nelle quali, anche attraverso influencer e youtubers, costruiscono il loro sapere, in modo svincolato dagli adulti. Così si creano due mondi paralleli: la famiglia, la scuola, l’oratorio, i catechisti da un lato e i social e il Web dall’altro. Quale dei due mondi sarà più influente sullo sviluppo dei nostri figli? Eppure non c’è da perdersi d’animo: un adulto autorevole, coerente e affascinante è al momento ancora più attrattivo dei social!».

               L’educazione sessuale va affrontata diversamente con i maschi e con le femmine?

«No, va affrontata insieme e soprattutto va inserita nell’ampio tema dello sviluppo psicoaffettivo. Che senso ha parlare di sesso senza insegnare la costruzione di relazioni affettive e senza imparare il gusto dell’intimità, della condivisione e della reciprocità? A parlare di sesso e basta ci pensa la pornografia e a banalizzare la sessualità ci pensano i social. Solo questo può aiutare i maschi a imparare il rispetto dell’altro sesso».

Quali sono i danni della pornografia?

«La pornografia insegna il disprezzo, la manipolazione finalizzata al piacere anonimo, la crudeltà. L’intimità, invece, è empatia e reciprocità. E della pornografia sono vittime anche le ragazzine: imparano a sottomettersi e a considerarsi solo oggetto di piacere. Guardate il proliferare di pornografia light sui social: alcuni profili di ragazzine sono impressionanti per l’inconsapevolezza del loro agire. I social hanno aumentato il gender gap e sono pieni di luoghi comuni orribili».

A che età iniziano i ragazzi ad avere i primi approcci e poi rapporti?

«L’erotizzazione precoce ha precocizzato anche gli approcci sessuali. Durante la pandemia abbiamo avuto lo sfondamento del limite di 11 anni tra gli utenti della pornografia. E soprattutto non c’è gradualità. La conseguenza è il furto della felicità scambiata con stereotipi: i maschi debbono essere un po’ predatori e le femmine debbono accontentarli. Non ci crederete, ma i nostri figli vivono continuamente stereotipi di questo tipo, alimentati da social e porno».

               Quali sono le parole giuste di un genitore al figlio adolescente che ha iniziato ad avere una vita sessuale e affettiva?

«Le parole non servono: il problema è che spesso la relazione affettiva tra i genitori è così scadente e deludente che nessuna parola può essere efficace. La miglior risposta? Una relazione affettiva felice tra mamma e papà».

 Tonino Cantelmi, * 1962, psichiatra e psicoterapeuta    

Fonte: Famiglia Cristiana 42/2023 – Inchiesta di Orsola Vetri        pubblicata il 20 ottobre 2023

www.toninocantelmi.it/userfiles/2023-rassegna-stampa/GIOVANI%20SESSUALITA%20fc42-1.pdf

PAPA FRANCESCO

Papa Francesco tenta di infondere una nuova cultura nella Chiesa cattolica

                Alla conclusione della prima sessione dell’assemblea generale del sinodo voluto dal pontefice come strumento di un’istituzione “a servizio di tutti”, è stato redatto un rapporto che accenna alla possibilità di ordinare le donne diacono.

La liturgia non sopporta l’uguaglianza. La mattina di domenica 29 ottobre, alla messa di chiusura della prima assemblea del Sinodo sulla sinodalità, la grande riunione voluta da Francesco per riflettere sul futuro della Chiesa cattolica, ognuno aveva ripreso il proprio posto “come si deve” nella basilica di San Pietro a Roma: cardinali vestiti con casula verde in prima fila, poi i vescovi, anch’essi in verde, e infine i laici. Eppure, per quattro settimane, dal 4 al 29 ottobre, si erano tutti seduti uno accanto all’altro, attorno a tavoli rotondi sistemati per l’occasione nella sala Paolo VI, per discutere di una eventuale evoluzione nel governo della Chiesa cattolica.

L’assemblea sinodale ha, così, visivamente, reincarnato il cambiamento di cultura voluto da un papa desideroso di vedere i fedeli partecipare più attivamente al governo dell’istituzione. Fatto storico, l’assemblea ha perfino, per la prima volta, avuto un certo numero di donne. In 54 su 365, hanno potuto votare. All’ordine del giorno di queste quattro settimane di discussioni, che molti hanno trovato un po’ lunghe, sulla base di questioni sollevate dai fedeli del mondo intero consultati per l’occasione: il posto delle donne nella Chiesa, l’inclusione delle persone LGBTQ, lo spazio eccessivo del clero e la lotta contro gli abusi e le violenze sessuali.

Sabato sera, l’assemblea (che era la prima, mentre la prossima – che dovrebbe essere conclusiva – si svolgerà nell’ottobre 2024) ha presentato il rapporto di sintesi dei suoi lavori in italiano. Il testo, certo provvisorio, non contiene nessuna raccomandazione definitiva, ma offre piuttosto dei suggerimenti e lascia questioni aperte, presentate come “punti da risolvere”. Senza sorpresa, il posto delle donne nella Chiesa cattolica, di cui tutti i fedeli hanno più o meno parlato nelle loro richieste nel pre-sinodo, ha occupato uno spazio importante.

Le discussioni hanno riguardato in modo particolare la possibilità di ordinare delle donne diacono, cioè ministri del culto il cui ruolo è anche assistere i preti nei loro compiti liturgici. Il capitolo dedicato a questo argomento è stato, certo, adottato sabato, come tutto il resto del testo presentato, ma è anche quello che ha raccolto il maggior numero di voti negativi, segno delle divergenze di vedute ancora molto forti tra i prelati sull’opportunità di lasciare più spazio alle donne che pure rappresentano la metà del miliardo e 300mila cattolici. Si è specificato che per “alcuni”, “questo passo sarebbe inaccettabile, perché sarebbe una rottura con la tradizione”.

Un altro punto di evidente sfaldatura riguarda l’omosessualità. Mentre l’acronimo LGBTQ figurava nel documento di lavoro all’inizio, è completamente scomparso nella sintesi finale a favore di “identità di genere” e di “orientamento sessuale”. Questo capitolo, che indica in modo estremamente timido una Chiesa più inclusiva a questo riguardo, ha anch’esso incontrato più opposizione di altri. Sabato, il gesuita americano James Martin, persona di riferimento sulla difesa della comunità LGBTQ nella Chiesa, e membro dell’assemblea generale del sinodo, non nascondeva la sua delusione. “C’erano vedute divergenti sull’argomento, avrei comunque voluto che il prodotto di quelle discussioni, che erano aperte e franche, fosse trascritto nel rapporto”, ha spiegato al sito americano National Catholic Reporter.

Consapevole delle attese e della possibile delusione di coloro che avrebbero voluto un testo più impegnato, il papa ha ricordato domenica, nell’omelia, la sua visione e ciò che desidererebbe ottenere da questo sinodo. Per lui, si tratta di un punto centrale dell’eredità del suo pontificato. L’Argentino ha quindi delineato i contorni della Chiesa “che siamo chiamati a sognare”: “una Chiesa che sia a servizio di tutti, a servizio degli ultimi. Una Chiesa che non esige mai una pagella di buona condotta, ma accoglie, serve, ama, perdona”.

Rivolgendosi ai fedeli del mondo intero, ha inoltre precisato: “Oggi, non vediamo il frutto completo di questo processo, ma con lungimiranza possiamo guardare all’orizzonte che si apre davanti a noi. Il Signore ci guiderà e ci aiuterà ad essere una Chiesa più sinodale e missionaria, che adora Dio e serve le donne e gli uomini del nostro tempo”.

Per Francesco, non si tratta solo di ancorare più fortemente l’istituzione cattolica nel suo tempo, ma anche di operare un cambiamento di cultura. Il papa vorrebbe veder emergere ovunque nel mondo a tutti i livelli una Chiesa più inclusiva ma anche, per certi aspetti, più democratica, all’interno della quale il clero non fosse sempre quello che decide tutto, e dove i fedeli avessero tutto il loro spazio nella gestione quotidiana delle loro parrocchie e diocesi. Ossia, secondo molti partecipanti, incorporare ancora più fortemente nella grande comunità cattolica un modo di pensare promosso dal Concilio Vaticano II, grande aggiornamento della Chiesa cattolica, tenuto tra il 1962 e il 1965.

“L’obiettivo principale, è comunque ancora il Vaticano II. Se ci fosse stata una buona ricezione del concilio, non saremmo a questo punto”, fa notare uno dei responsabili dell’organizzazione del sinodo. L’abolizione della gerarchia tra gli uni e gli altri, seduti attorno a tavoli rotondi e non su gradini diversi, in funzione delle loro posizioni, la diversità dei temi un tempo tabù, o ancora la facilità di presa di parola sono state accolte dai partecipanti come un metodo quasi rivoluzionario. Un modo di fare inedito che, sperano, sia riproposto e si diffonda in tutti gli organismi della Chiesa fino al livello più basso. “Le persone che erano qui hanno assaporato la democrazia, vorranno che questo duri”, sussurra maliziosamente un’osservatrice invitata al sinodo senza diritto di voto.

Ai vescovi che durante l’assemblea sono stati numerosi a criticare la presenza di laici, rimettendo in discussione la legittimità stessa dell’assemblea, il cardinale Mario Grech, segretario generale del sinodo, ha aspramente ricordato che spettava al papa deciderlo. Le opposizioni franche tra conservatori e progressisti che tutti si aspettavano sono state appianate grazie al metodo di discussione.

Comunque sia, la prossima assemblea, che dovrà essere conclusiva, sarà in grado di proporre veri passi avanti? Come trasmettere a livello di un miliardo di individui l’esperienza di poche centinaia?

In un anno, il “soufflé” ha forse il tempo (come spera un papa che compirà 87 anni in dicembre) di consolidarsi, ma ha soprattutto il tempo di “sgonfiarsi.

Sarah Belouezzane “www.lemonde.fr” 29 ottobre 2023 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202310/231030belouezzane.pdf

OMOFILIA

Credenti gay, un cammino alla luce delle indicazioni arrivate da Francesco

Le riflessioni dell’assemblea sinodale su affettività e sessualità “difficili”. Il dibattito, partito dalla traccia dell’Instrumentum laboris, chiamato a suggerire nuovi percorsi di accoglienza.

«Come possiamo creare spazi in cui coloro che si sentono feriti dalla Chiesa e sgraditi dalla comunità possano sentirsi riconosciuti, accolti, non giudicati e liberi di fare domande? Alla luce dell’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris lætitia, quali passi concreti sono necessari per andare incontro alle persone che si sentono escluse dalla Chiesa in ragione della loro affettività e sessualità (ad esempio divorziati risposati, persone in matrimonio poligamico, persone LGBTQ+, ecc.)?” ( Instrumentum laboris, B, 1.2)

È una delle tante questioni su cui il Sinodo si è confrontato in questi giorni. Lo spirito non è stato quello di individuare una ricetta buona per tutti gli usi perché alcune questioni appaiono divisive, su altre il dibattito teologico che si interroga a proposito delle dinamiche tra amore e verità, appare ancora lontano dall’assumere una posizione condivisa. Allora occorre avere la capacità di vivere un apparente paradosso: «Proclamare con coraggio il proprio insegnamento autentico e allo stesso tempo offrire una testimonianza di inclusione e accettazione radicale».

Va detto che su alcune questioni complesse, come appunto l’accoglienza delle persone LGBT+ (usiamo l’espressione dei documenti sinodali) definire l’insegnamento autentico è un percorso tutt’altro che facile. Elementi di discontinuità sono stati introdotti dallo stesso papa Francesco che, pochi giorni prima dell’inizio del Sinodo, rispondendo ai Dubia posti da alcuni cardinali a proposito dell’opportunità di concedere una benedizione alle coppie gay, ha spiegato che, se non bisogna confondere il matrimonio sacramentale con altre forme di unione che lo realizzano solo «in modo parziale e analogico», tuttavia, «nel rapporto con le persone, non si deve perdere la carità pastorale, che deve permeare tutte le nostre decisioni e atteggiamenti. La difesa della verità oggettiva non è l’unica espressione di questa carità, che è anche fatta di gentilezza, pazienza, comprensione, tenerezza e incoraggiamento. Pertanto, non possiamo essere giudici che solo negano, respingono, escludono».

Possibile quindi concedere quanto richiesto alla luce di una prudenza pastorale che «deve discernere adeguatamente se ci sono forme di benedizione, richieste da una o più persone, che non trasmettano

un concetto errato del matrimonio»

Perché non si deve negare il conforto di una benedizione alle coppie omosessuali? Il Papa lo spiega con grande chiarezza: «Perché quando si chiede una benedizione, si sta esprimendo una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per poter vivere meglio, una fiducia in un Padre che può aiutarci a vivere meglio».

 E a proposito della situazione di “irregolarità” in cui vivrebbero le coppie gay che chiedono la benedizione, papa Francesco chiarisce, riprendo un concetto già espresso in Amoris lætitia: «D’altra parte, sebbene ci siano situazioni che dal punto di vista oggettivo non sono moralmente accettabili, la stessa carità pastorale ci impone di non trattare semplicemente come “peccatori” altre persone la cui colpa o responsabilità può essere attenuata da vari fattori che influenzano l’imputabilità soggettiva (Cfr. san Giovanni Paolo II, Reconciliatio et Pænitentia, 17)».

E quindi? Via libera alle benedizioni in modo indiscriminato alla luce di una nuova normativa introdotta appunto da queste risposte? No, anche in questo caso occorre discernere caso per caso: «Le decisioni che, in determinate circostanze, possono far parte della prudenza pastorale, non devono necessariamente diventare una norma. Cioè, non è opportuno che una Diocesi, una Conferenza Episcopale o qualsiasi altra struttura ecclesiale abiliti costantemente e ufficialmente procedure o riti per ogni tipo di questione, poiché tutto ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma» perché questo «darebbe luogo a una casuistica insopportabile» (Amoris lætitia 304). «Il Diritto Canonico non deve né può coprire tutto, e nemmeno le Conferenze Episcopali con i loro documenti e protocolli variati dovrebbero pretenderlo, poiché la vita della Chiesa scorre attraverso molti canali oltre a quelli normativi».

Qualcuno ha parlato di svolta rispetto al Responsum (15 maggio 2021) in cui la Congregazione per la dottrina della fede aveva vietato la benedizione delle coppie omosessuali. Forse è meglio parlare di sviluppo coerente con quanto già affermato in Amoris lætitia , a proposito della necessità di «assicurare un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare la volontà di Dio nella loro vita» (Al, 250).

Difficile infatti sostenere che anche una benedizione, se richiesta con cuore sincero e desiderio di accoglienza, non possa diventare un “aiuto necessario” nel proprio cammino di fede.

Ma quanto spiegato da papa Francesco a proposito dell’accoglienza alle persone LBGTQ+ si comprende meglio alla luce dei suoi tanti interventi sul tema, a partire dall’ormai celebre «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». (28 luglio 2013). Per proseguire con la richiesta di scuse agli omosessuali (26 luglio 2016) e all’appello rivolto ai genitori perché non condannino mai un figlio omosessuale (26 agosto 2018). E poi – tra tanti altri interventi – non va dimenticata la risposta data a un gruppo di genitori con figli LGBT+ dell’associazione Tenda di Gionata al termine dell’udienza in piazza San Pietro: «Il Papa ama i vostri figli così come sono, perché sono figli di Dio» (16 settembre 2020). Fino all’invito ai vescovi che sostengono leggi che criminalizzano l’omosessualità o discriminano la comunità gay a «fare un processo di conversione ». Certo, sono risposte informali, interviste che se formalmente non possono essere definiti “magistero autentico” (a parte il paragrafo di Amoris lætitia), rappresentano però in modo inequivocabile il pensiero sul tema di papa Francesco, nella logica di una misericordia pastorale che, come ha spesso ripetuto, ha come obiettivo quello di permettere a tutti – nessuno escluso – di partecipare alla vita della Chiesa.

Ora tocca al Sinodo, alla luce di un percorso che in dieci anni di pontificato si è dipanato in modo coerente, individuare quali “spazi” aprire e quali “passi concreti” compiere perché nessuno più debba sentirsi escluso dalla comunità ecclesiale per il proprio orientamento sessuale o per la propria identità di genere.

                Dall’accoglienza all’integrazione. Anche questo, in qualche modo, un passaggio che segna un’epoca nuova della Chiesa. Amoris lætitia, i tanti interventi di Francesco sul tema e le risposte sulla benedizione, punto di partenza per coerenti sviluppi pastorali..

Luciano Moia                    “Avvenire”         25 ottobre 2023 www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202310/231025moia.pdf

OMOFILIA

La storia del suicidio dei giovani LGBT+ che ha scosso i partecipanti al Sinodo in Vaticano

I partecipanti ad un incontro (sinodale), in corso in Vaticano, hanno ascoltato una testimonianza su una giovane persona LGBT+ che non sentendosi accolta dai pastori della Chiesa cattolica si è suicidata. Tutti sono stati invitati a tenere in considerazione questa tragedia, quando valutano come le strutture della Chiesa globale potrebbero essere rese più accoglienti.

                “Molti di noi hanno pianto quando hanno saputo di quella giovane donna che si è suicidata perché bisessuale e che non si sentiva accolta. Io ho pianto“,   ha affermato il domenicano p. Timothy Radcliffe *1945  che all’assemblea del Sinodo dei vescovi il 18 ottobre ha detto: ”Spero che (questa testimonianza) ci abbia cambiato“.

                “Il Santo Padre ci ha ricordato ‘tutti sono i benvenuti: todos, todos, todos ‘“, ha affermato Radcliffe, ripetendo il mantra del Papa, ormai citato spessissimo, che ci ricorda che la Chiesa cattolica è aperta a “tutti, tutti, tutti”.

                Radcliffe, ex responsabile dell’ordine domenicano a livello globale, ha condotto un ritiro di tre giorni per i delegati (al sinodo) prima dell’inizio del vertice in Vaticano, e ha pronunciato le sue osservazioni durante la terza settimana del sinodo di Papa Francesco, dal 4 al 29 ottobre, e all’inizio della nuova sezione su “Partecipazione, governance e autorità”.

                Sebbene le sessioni sinodali si svolgano generalmente non in forma pubblica, il Vaticano offre un live streaming all’inizio di ogni fase della discussione. Le parole di Radcliffe sembrano riferirsi a una testimonianza resa da uno degli oltre 450 partecipanti al sinodo, durante una delle sessioni a porte chiuse dell’assemblea.

                Il 13 ottobre, durante le prime discussioni del sinodo sul tema della “comunione”, inoltre ha riferito il National Catholic Reporter (NCR), che ci sono state delle discussioni molto agitate tra i vescovi e i delegati laici sulla possibilità di espandere i ministeri della Chiesa per includere meglio le persone LGBT+.

                All’inizio del nuovo modulo, il 18 ottobre, il cardinale lussemburghese

Jean-Claude Hollerich *1958 ,  uno dei principali coordinatori del sinodo del 2023, ha affermato che l’obiettivo delle attuali discussioni del sinodo è quello di considerare: “Quali processi, strutture e istituzioni sono presenti in una chiesa sinodale missionaria?”  In particolare, il cardinale gesuita ha affermato che è necessario che il Sinodo esamini i processi decisionali della Chiesa a tutti i livelli, per comprendere “Come possiamo imparare a costruire un consenso che non si polarizzi e che allo stesso tempo rispetti il ruolo distintivo dell’autorità, senza che questa si isoli dalla comunità?“.

                (…) Durante una riflessione biblica sul tema della partecipazione, Radcliffe ha affermato che la storia della Chiesa offre infiniti esempi di “creatività istituzionale” nel ripensare le sue strutture e i suoi ministeri.

                “Il nuovo è sempre un rinnovamento inaspettato del vecchio“, ha affermato “ecco perché qualsiasi contrapposizione tra tradizione e cambiamento è del tutto estranea al cattolicesimo“.

“Ogni battezzato è un profeta”, ha proseguito, perciò “come riconosciamo e abbracciamo il ruolo della profezia nella chiesa oggi? Che possiamo dire della voce profetica delle donne, ancora spesso viste come ospiti a casa propria?“. Il compito del Sinodo, ha detto, è quello di “sollevare i pesi dalle spalle stanche dei nostri fratelli e sorelle di oggi, che spesso si sentono a disagio nella Chiesa“.

Innocenzo          “Gionata”                          20 ottobre 2023

www.gionata.org/la-storia-del-suicidio-dei-giovani-lgbt-che-ha-scosso-i-partecipanti-al-sinodo-in-vaticano

RICORDI

Esce il 10 novembre “A tu per tu con Dio”, l’ultimo libro di mons. Bettazzi

Esce in libreria il 10 novembre per Edb “A tu per tu con Dio”, l’ultima opera di mons. Luigi Bettazzi, morto lo scorso 16 luglio: il testamento spirituale di una delle figure più influenti nel panorama cattolico e politico, scritto in vista dei suoi 100 anni, che avrebbe compiuto il 26 novembre. Bettazzi era l’ultimo dei vescovi italiani presenti al concilio Vaticano II ed è sempre stato dalla parte degli ultimi, trasmettendo con il suo operato i valori della pace e della nonviolenza.

«L’eternità è un mondo misterioso per noi umani, strutturati per inquadrare tutto nello spazio e nel tempo: l’eternità è al di fuori del tempo, inimmaginabile» scrive il vescovo emerito di Ivrea  «ciascuno si costruisce la propria eternità vivendo convenientemente nella sua vita terrena: il paradiso o l’inferno ce lo costruiamo noi giorno per giorno».

                Una riflessione che chiama a immaginare la bellezza di Cristo, nella consapevolezza che è solo nell’incontro finale “a tu per tu con Dio” che il cammino spirituale e umano di ogni credente trova davvero il suo compimento.

Il volume raccoglie anche i testi che ne hanno accompagnato le esequie: le parole di papa Francesco, il messaggio del card. Matteo Zuppi e il discorso di mons. Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi.

                «È stato un vescovo del concilio Vaticano II. Non è mai entrato, né prima né dopo, nella folta schiera dei profeti di sventura, coloro che “non senza offesa” al successore di Pietro preferivano e preferiscono continuare ad usare le armi del rigore credendole indispensabili per difendere la verità», lo ricorda il presidente della Cei Matteo Zuppi. «Cercava il dialogo non perché ambiguo, facile, ma proprio perché convinto della propria identità […] parlava della chiesa e dei poveri perché la chiesa è di tutti».

Redazione          ADISTA                 22 ottobre 2023              www.adista.it/articolo/70804

Articoli recenti di Giannino Piana

Quale laicità?

La laicità dello Stato e, in senso più ampio della politica, rappresenta un presupposto costitutivo delle democrazie occidentali. Se essa dunque sul piano teorico (e astratto) non è in discussione, esistono tuttavia oggi nella prassi delle varie nazioni, forme di compromesso dettate da reciproci interessi. Si pensi, per rimanere nel nostro Paese, al Concordato Casaroli-Craxi dove a motivo del mantenimento di buoni rapporti con la Chiesa, lo Stato ha consentito a riconoscerle alcuni privilegi, che rappresentano una vera e propria lesione della laicità.

O ancora si pensi alle interferenze del mondo cattolico, gerarchia in primis, nelle scelte politiche e legislative, soprattutto quando sono in causa valori morali che appartengono al patrimonio della tradizione cristiana, ma che non possono essere imposti allo Stato, il quale va rispettato nella sua autonoma funzione.

Alcune essenziali premesse. Ma, al di là delle interferenze segnalate — e ve ne sono molte altre —, il problema di fondo che va affrontato con chiarezza, per uscire dal pericolo di equivoci, è il modello di laicità al quale occorre attenersi per rispettare, da un lato, le prerogative dello Stato e delle istituzioni pubbliche, e, dall’altro la libera espressione della Chiesa (e delle Chiese e, in senso più ampio, delle diverse tradizioni religiose), fin dove è ovviamente compatibile con i principi del vivere civile, rappresentati in Italia dagli indirizzi propri della Carta tradizionale e dall’ordinamento civile e penale cui occorre consentire per conferire uno sviluppo ordinato della vita sociale.

Prima di entrare nell’analisi dei modelli di laicità oggi presenti nelle diverse società occidentali (e non solo) è importante chiarire i termini del problema in questione, definendone con precisione i margini e indicando le modalità con il quale affrontarlo.

  1. La prima considerazione che, a tale proposito, è importante fare riguarda la molteplicità dei significati con cui il termine laicità è stato e viene tuttora non infrequentemente utilizzato. Laicità, deriva dal sostantivo greco laòs laos (popolo) da cui discende l’aggettivo laico contrapposto a sacro applicato a diverse realtà: persone, oggetti, tempi, luoghi ecc.; con tale aggettivo si indica ciò che è separato dalla rimanente realtà in quanto fa riferimento a qualcosa che la trascende e da cui dipende. È questo il significato originario di laicità che designa pertanto tutto ciò che appartiene all’ordine naturale e mondano, che ha dunque in sé stesso la propria ragion d’essere, godendo di piena autonomia rispetto a ogni ordine trascendente. Nel contesto religioso italiano (e non solo) essa si specifica per la distinzione, che qualche volta assume le forme di netta separazione fino ai limiti della contrapposizione, dal mondo cristiano (più ancora cattolico), rivendicando il proprio spazio di libertà e respingendo ogni indebita ingerenza della Chiesa nell’ambito delle istituzioni statuali e della politica.
  2. Stato e società civile. La seconda considerazione chiama in causa la complessità dei problemi a tale distinzione soggiacenti, in primo luogo la distinzione tra Stato e società civile (sulla quale torneremo), ma soprattutto la non assoluta neutralità dell’azione statuale e politica rispetto al mondo dei valori, e perciò la necessità del riferimento a un sistema etico, che varia da società a società, ma che non può essere del tutto accantonato, perché costituisce una precomprensione imprescindibile per la stessa definizione dello Stato e delle sue modalità di intervento. È ovvio che, in una società pluralista — come l’attuale — caratterizzata da una molteplicità di sistemi valoriali lo sforzo che si deve fare è ricercare un minimo comune denominatore, mettendo a confronto e facendo dialogare tra loro i diversi soggetti sociali che a tali sistemi fanno appello, senza alcuna imposizione della propria visione come purtroppo tende a fare (in verità con poco successo), soprattutto in presenza di temi scottanti, la Chiesa cattolica, ricorrendo alla categoria del diritto naturale, oggi fortemente in discussione, o avanzando il pretesto dell’esistenza di principi non negoziabili.

Due modelli contrapposti e inaccettabili. Due modelli di concezione e di messa in atto della laicità vanno, alla luce di quanto fin qui detto, anzitutto respinti.

Il primo è quello dello Stato etico; il secondo, all’opposto, quello laicista che rifiuta il riferimento a ogni ordine valoriale . Si direbbe che il pericolo del primo — il ritorno allo Stato etico — nei Paesi a regime democratico non sussista. In realtà è nella maggior parte di essi scongiurato. Ciò non toglie che possa affiorare la tentazione di riproporlo, sia pure in termini parziali, come è avvenuto (e avviene) in Paesi che fanno parte dell’Unione europea quali la Polonia e l’Ungheria e come sta avvenendo anche da noi con il governo in carica, il quale non esita a richiamarsi a valori Dio, patria, famiglia — introducendo un modello culturale, che non può che avere alcuni connotati dello Stato etico.

Se il primo pecca per difetto, il secondo — quello di una laicità senza limiti e condizioni — pecca per eccesso. Un esempio significativo di questa forma di laicità, o meglio di laicismo, è rappresentato dal repubblicanesimo francese erede di una tradizione che viene da lontano; dagli anni della rivoluzione peraltro contrassegnati da posizioni contraddittorie: basti pensare alle parole d’ordine — libertà, uguaglianza e fraternità — che affondano le loro radici nella più genuina tradizione cristiana. Ad affermarsi è qui una visione della laicità che si estende senza soluzione di continuità dallo Stato alla società, non distinguendo i due piani, che vanno trattati in modo diverso persino opposto. Se è vero infatti che lo Stato deve essere laico in tutte le sue manifestazioni, non è meno vero che la società deve essere rispettata nella pluralità delle sue differenze individuali e di gruppo, le quali costituiscono un ricco patrimonio per l’intera collettività. La proibizione imposta ai cittadini di presentarsi in pubblico con segni che manifestano la loro appartenenza etnico-culturale e religiosa è un segnale allarmante di questa tendenza.

Esistono valori universali? Il modello alternativo alle due ipotesi delineate è già implicitamente presente nelle riflessioni fin qui sviluppate. A essere richiesto è il rispetto della libertà di opinione e di quella religiosa, da un lato (naturalmente quando le loro manifestazioni non sono illegali); e di difesa dello Stato e delle istituzioni pubbliche, dall’altro, compresi i luoghi a esse legati, da intromissioni confessionali — un esempio di tale intromissione sono i crocifissi appesi nelle aule scolastiche e nei tribunali che, oltre a costituire un segno di contraddizione in una società multireligiosa e multiconfessionale (si pensi alla reazione di ebrei e musulmani suonano come un oltraggio allo stesso crocifisso per l’indifferenza con cui viene considerato dai più — e di dare in tal modo spazio all’esercizio di una vera laicità.

Esistono valori universali? Particolare approfondimento merita, in questo contesto, la questione relativa alla radice etica della laicità. Essa non può (e non deve) essere concepita come una realtà del tutto neutrale, una sorta di indifferentismo valoriale, che ha come fonte un relativismo assoluto, per il quale a venir meno è la distinzione tra il bene e il male, divenuti del tutto interscambiabili. Questa posizione si riflette sul terreno legislativo nell’accettazione di una logica meramente procedurale, che, anche a causa del pluralismo dei sistemi valoriali, ha come unico riferimento pragmatismo ed efficienza.

Per superare questa tendenza è allora necessario rispondere a due fondamentali interrogativi:

  1. è possibile identificare alcuni valori universali attorno ai quali convergere?
  2. E, ammesso che sia possibile. come fare a rintracciarli e a porli alla base dell’azione politica e legislativa?

Quale modello allora? Alla prima domanda la risposta sembra essere positiva, se si considera l’esistenza di numerose Carte dei diritti umani, a partire da quella del 1948, che rivendicano il rispetto di alcuni fondamentali diritti, e rinviano pertanto a una piattaforma etico-valoriale di carattere universale nella quale affondano le loro radici. Più difficile è stabilire i criteri per la loro rintracciabilità e i processi che vanno messi in atto per dare a essa concreta attuazione.

L’odierno pluralismo etico impone l’adozione di quella che Habermas definisce l’«etica della comunicazione», le cui condizioni sono la valorizzazione da parte di ciascun gruppo sociale delle posizioni altrui, la disponibilità a un confronto onesto, non viziato da sterili pregiudizi, e la volontà di pervenire, attraverso la messa in atto di una forma di mediazione, a un risultato positivo.

Se poi ci riferiamo al nostro Paese, tale mediazione già sussiste, ed è quella offerta dai primi dodici articoli della Carta costituzionale (Principi fondamentali), i quali contengono un ethos civile di grande rilievo, che delinea i fondamenti imprescindibili di una convivenza libera e giusta, nella quale la laicità è il fondamento stesso della democrazia.

Giannino Piana                                “Il Gallo” settembre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202310/231012piana.pdf

Surrogazione di maternità: alcune questioni

intervista a Giannino Piana a cura di Esodo

A proposito di maternità surrogata è stata avanzata dalla destra politica e da alcune aree reazionarie del mondo cattolico la proposta di dichiararla “reato universale”. Cosa si deve pensare?

Personalmente la ritengo una proposta stravagante. E non solo per le ragioni da molti giustamente addotte circa le ricadute negative sui bambini – anche laddove ad essi venisse riconosciuto (non è così nel nostro Paese) il diritto ad avere una coppia genitoriale, e dunque i diritti propri di ogni bambino – ma anche perché si violerebbe in questo modo l’autonomia dei singoli Stati, che devono poter intervenire a darsi la legislazione che ritengono più conforme alle istanze della loro cittadinanza.

Certo il motivo principale del “no” è la situazione dei bambini, che non potrebbero che risentire negativamente, anche in presenza – come ho detto – della parità dei diritti, della condizione monogenitoriale come di una sorta di marchio psicologicamente disturbante, nello sviluppo della personalità.

Sempre a proposito della maternità surrogata diverse sono le motivazioni del ricorso e diverse le modalità con le quali si procede alla sua messa in atto. Non si può non distinguere nettamente il rapporto monetario dalla donazione gratuita di chi si sottopone a essa per altruismo. Sono due situazioni non paragonabili.
                È possibile, secondo te, ipotizzare un dispositivo legislativo, che salvaguardi la possibilità della prestazione a titolo gratuito, continuando a condannare anche penalmente il rapporto monetario?

La diversità delle due fattispecie evidenziate è fuori discussione e, di conseguenza, anche diversa la valutazione morale. Ho invece seri dubbi sulla possibilità di una legge che riesca a contenere il fenomeno entro i limiti da te definiti. D’altra parte, la gravità del rapporto monetario che, oltre a costituire una strumentalizzazione del corpo della donna ridotta a mera incubatrice, introduce e legittima una nuova (pesante) forma di schiavitù alla quale vengono sottomesse donne che accettano di sottoporsi a questa pratica per affrontare situazioni di povertà nelle quali in gioco vi è la sopravvivenza propria e della propria famiglia. La gravità di quest’ultima modalità di esercizio della maternità surrogata è costituita dal fatto che essa rappresenti quantitativamente la fetta di gran lunga più consistente del ricorso ad essa, e che occorre allora una particolare cautela nell’introdurre un dispositivo legislativo, sia pure limitato al caso in cui l’offerta della prestazione da parte della donna è gratuita, ma si può temere che esso possa avere ripercussioni di maggiore tolleranza anche nel caso del rapporto monetario. Al riguardo non è inutile ricordare – come già affermava, a suo tempo, Aristotele – che la legge è, per sua natura, limitata “vale nella pluralità dei casi, non nella totalità”. Il fatto che si dia una minoranza di soggetti che da essa non ricevono (e non possono ricevere) una risposta positiva alle loro legittime esigenze e che si sentano di conseguenza penalizzati, non giustifica l’introduzione del dispositivo cui si è fatto riferimento. Il primato va riservato nel caso qui in esame alla tutela delle categorie più deboli, alle quali va data un’assoluta precedenza. D’altra parte – ma questo è un giudizio del tutto mio personale (anche se ha in realtà il consenso di molti) – la maternità surrogata non manca di suscitare per sé stessa, anche laddove avviene per altruismo, qualche perplessità. Anche in questi casi infatti non è esclusa del tutto la strumentalizzazione del corpo femminile. Inoltre, non è senza significato la distinzione tra l’offerta di sottoporsi alla maternità surrogata per aiutare parenti o amici e l’offerta di farlo gratuitamente (sia pure con il pagamento degli oneri della prestazione) quando ci si rivolge a coppie monogenitoriali sconosciute e con le quali non vi sarà, nella maggior parte dei casi, un rapporto continuativo. Aggiungerei, in conclusione, che se è vero che l’introduzione del “reato mondiale” comporta gravi conseguenze negative per il bambino, conseguenze analoghe sussistono anche in ogni forma di maternità surrogata. Accanto infatti a chi sostiene – sono gli esperti di “psicologia prenatale” – che il bambino percepirebbe come un fatto traumatico il passaggio dall’utero che lo ha generato alla coppia che lo ha voluto. Vi è, infine, chi rileva (e non senza ragioni) a proposito di coppie monogenitoriali femminili che la duplice figura materna o (qualche volta, anche se raramente) persino tripla, quando alla madre che lo ha voluto e a quella che lo ha portato in seno fino alla nascita si aggiunge la madre biologica (colei che ha donato l’ovulo) come questa esperienza non possa non influire sullo sviluppo della personalità del bambino.

Una seria obiezione alla rigidità del giudizio appena formulato, viene giustamente avanzata da chi ricorda, a proposito dello sfruttamento del corpo della donna, il fenomeno della prostituzione, che da quelle destre politiche e religiose che chiedono la condanna dell’utero in affitto anche attraverso la definizione di “reato universale” è, invece, considerata come accettabile, fino a chiedere regole più larghe per il suo esercizio. Che dire di questa contraddizione?

Sono del tutto d’accordo nel giudizio implicitamente espresso nella stessa domanda. La contraddizione sussiste e rivela la doppiezza di certe posizioni, spesso dovuta a motivi di semplice propaganda ideologica. Personalmente ritengo qui assai più grave dello stesso utero in affitto la strumentalizzazione della donna ridotta a “oggetto” per un fine del tutto ignobile come la soddisfazione dell’istinto sessuale maschile. Ho tuttavia qualche dubbio sulla possibilità che si possa giungere sul terreno legislativo a una forma di proibizionismo assoluto. E questo soprattutto per l’entità quantitativa del fenomeno e per la sua universalità. La presenza di esso in tutte le culture – da quelle più antiche a quella attuale – rende impossibile il controllo e rischia che la legge manchi di un fondamentale requisito, quello dell’efficacia. Requisito in assenza del quale ogni intervento legislativo risulta del tutto inutile.

“www.esodoassociazione.it”                    26 giugno 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202306/230627pianaesodo.pdf

RIFLESSIONI E PROSPETTIVE

Memorie di futuro

Apprendere a vivere si dà nell’abitare. Il sapere del vivere si coltiva là dove si fa casa con altri, dove si risiede, ci si accoglie ed ospita, dove concretamente nei giorni si tesse vita comune.

Il sapore del vivere si fa nelle comunità. Vivere è attesa di bene, scrive Simone Weil, che resta anche se tradita o delusa. Vivere a volte è prova e smarrimento; allora si fa in cerca di parole e di gesti sui quali appoggiare narrazioni nuove e nuovi inizi. Il sapere, ed anche il sapore del vivere, si fa nelle comunità,  si fa nelle case  che accolgono e tra le vite che cercano vita. Specie quando le storie personali sono forzate in “torsioni”, o quando vivono fratture o sfinimenti, allora occorre di nuovo apprendere a vivere: ad incontrarsi, a muoversi, a costruire.

I corpi e i sogni vivono nelle vite quotidiane, nelle vite che si incontrano, che si accolgono. Chi vive naufragi esistenziali è importante viva un appoggio e un approdo per la sua prostrazione, perché la deriva si faccia passaggio che lo porti a vivere non da naufrago ma da navigante. Pure provando un poco l’esilio, oppure l’esodo. Occorre recuperare l’attesa nei corpi, e la pratica dei sogni: i corpi e i sogni vivono nelle vite quotidiane, nelle vite che si incontrano, che si accolgono, che un po’ si fanno via via vita comune.          Allora la dignità e una certa fierezza per la strada fatta nella vita dei giorni, nella vita quotidiana, come il senso raccolto nel corso dell’esperienza diventano importanti, da riconoscere e consolidare.

Dove nasce quel che nasce? Nella vita quotidiana si appoggia la domanda “dove nasce quel che nasce?” Si appoggia in passaggi delicati impastati di corpi, di esitazioni, di mancati respiri. Piano nasce il senso di aperto mentre ci si sente afferrati dal vuoto. E il confidare dopo il tradimento, la cura dopo l’offesa. Dove nasce quel che nasce? Corpo a corpo, sogno a sogno.

Le comunità spesso si radicano come riserve d’acqua e di futuro in terreni difficili. Nasce nella vita quotidiana delle comunità dei contadini di Tomas Muntzer che sognavano le prime comunità cristiane degli Atti degli Apostoli; nasce nelle trame di vita raccolte attorno a Bartolomé de Las Casas nel Chapas. E nasce giorno dopo giorno nella vita della prigione di Robben Island tra Mandela e alcuni dei suoi e alcune delle guardie. Nasce nelle vite quotidiane, nel gesto feriale di tanti dei giusti disseminati nella storia dei conflitti e delle oppressioni del mondo.

Le comunità spesso si radicano come riserve d’acqua e di futuro in terreni difficili, e per persone difficili e in difficoltà. A volte sono improbabili ed osano, a volte solo un po’ fuori dal tempo, altre volte vedono vivere insieme nemici, altre ancora vedono gli inaffidabili darsi regole condivise. A volte han forme un poco “storte” o strane, o soltanto molto diverse.

Il lichene bello come la rosa di maggio. Ma chi ha detto che il lichene è meno bello della rosa di maggio? Quando la vita, il suo racconto, la sua forma resiste o cambia, e cerca alleanze e prende colore, quando si trasforma e si adatta, e lo fa creando altro, è comunque meraviglia e speranza, sorpresa e bellezza. Quella del lichene.

Nella vita quotidiana delle comunità compaiono licheni. La vita usa piccoli spazi, momenti e lentezze, forti ripetizioni e l’occasione di fessure, anche di incontri. La vita quotidiana è tessitura e chiamata, indicazione e coltivazione. È anche disvelamento e lenta scoperta, può farsi annuncio ed anche provocazione. Nella vita quotidiana le prospettive diverse si tendono, e i conflitti prendono dimensione, o si contengono e vivono. La giustizia e la cura si obbligano alla mescolanza: corpo a corpo, sogno a sogno. Annuncio e provocazione, o forse profezia.

Si sta nelle comunità per prendersi cura e per essere cura, perché si è rispettati se non si può dire e perché si ha da dire. Si vive malinconia e rabbia, sofferenza e silenzio, ci sta anche il “non ce la faccio più”; e si vive la calma e l’ascolto, la liberazione e il rispetto: anche la dignità. Il riconoscimento del poter essere quel che si è, in una propria possibilità ed anche in una propria grazia, muovono a passi ed anche a risonanze. A qualche legame.

Si sta nelle comunità per prendersi cura e per essere cura, perché si è rispettati. E così nella comunità, nei suoi giorni feriali non ci si sente soli, ci si sente di qualcuno, e ci si porta nella testa ed anche nel cuore. Ci si scrive, a volte anche cose buone: “ti scrivo perché i miei occhi rinverdiscono quando ti pensano”. Ci si parla, ci si ascolta, perché così ci si aiuta a nascere ancora “come germogli di consapevolezza che, via via, non è più così amara, ma un po’ luminosa” come annota la mamma di Ibrahim.

Le donne e gli uomini a volte vivono la realtà di trovarsi modificati in sé stessi diventando ciò che fanno, ritrovandosi in gesti e moventi di cura e attenzione che li hanno portati oltre difese e pregiudizi, oltre l’agire stereotipato e difensivo. Come in un anticipo, un desborde, un traboccamento: verso le sofferenze, le solitudini e le umiliazioni che ci si presentano accanto, verso le miserie morali delle persone che si incontrano sul nostro cammino.

Percorsi particolari che vanno al contrario. Si possono a volte vedere, e questo dà a pensare, percorsi particolari, che insolitamente vanno al contrario cioè dagli altri a sé stessi. Si può giungere ad “amare gli altri fino a scoprire di essere un altro, da amare come tutti. Un recupero di sé, del proprio io”, addirittura partendo “dal punto in cui non ci sono più motivi nuovi per amare”. Là dove si può sentire la presenza di quel conflitto ghiacciato, del sentire che l’altro afferma (o io stesso affermo) “tu per me non esisti”.

                In comunità “ci si dà da fare”, gli uni con gli altri, e così si cambia, si vivono cammini, ci si scopre in inizi, in “domande meravigliate”. La umanità dei corpi, la declinazione delle culture, degli stili di relazione in cui vive la comunità dà origine a dinamiche personali, esistenziali e a dinamiche di convivenza e sociali. Non sono serre le comunità, neppure piccoli monasteri o rifugi, sono piuttosto attendamenti nei quali passare da dissolvenze o cristallizzazioni sofferte alla costruzione di un luogo abitabile e abitato con altri e di una responsabilità che matura dentro riconoscimenti, scambi e incontri. Quasi e per certi versi sempre, ci si ritrova migranti[5] tra stagioni, identità ed appartenenze. Non più in fuga, non più costretti in difese aggressive o abuliche, ma giorno dopo giorno capaci di fare i conti con vulnerabilità e ferite e con pratiche e desideri di pace e di riconciliazione. Anche tra parti di sé.

                Quasi e per certi versi sempre, ci si ritrova migranti tra stagioni, identità ed appartenenze. Le storie intrecciate nelle vite quotidiane delle persone che danno vita alle comunità residenziali e di accoglienza, operatori compresi, si dipanano come sempre uniche. Attraversano, guardano, tornano a interessare la convivenza intera, i suoi mondi di vita, le sue forme e le sue tensioni. Interrogano le sue rigidità selettive ed escludenti, si rispecchiano nelle sue dinamiche generative di fraternità e di prossimità.

                Ascoltare in profondità e con una certa continuità la vita che avviene e che prende forma nelle comunità può essere prezioso per la convivenza, può anche aiutare a costruire momenti di convivenza condivisa su ciò che si apre e con ciò che fatica.

                È prezioso esplorare nelle esperienze di accoglienza un processo di formazione che è ancora in fase emergente: è importante seguire esperienze attraverso studi di caso intensivi che aiutino a ricostruire eventi e situazioni con dati di prima e seconda mano, sviluppando collegamenti tra idee, concetti, prospettive, variabili non previste, elaborando ipotesi interpretative e itinerari di riflessione che si generano e via via prendono tratteggio.

Le differenze da cogliere nel loro valore specifico. Le differenze, anche profonde, tra le esperienze delle comunità, delle residenzialità e delle convivenze vanno colte nel valore specifico delle loro diverse traiettorie, che permettono di accogliere differenti attese e differenti fragilità, diverse fratture biografiche e familiari. Occorre cogliere anche i diversi modi delle transizioni e delle elaborazioni culturali  che promuovono la dilatazione dei campi di esperienza, nelle quali sono raccolte e incontrate le narrazioni e le ridefinizioni delle identità, le maturazioni di scelte nuove, di prese d’autonomia, di una nuova intenzionalità.

                La voglia di comunità di cui parlava Zigmut Baumann trova maturazione e configurazione nella necessità di ricomporre la vita attorno a tessiture di legami riscoperti, sufficientemente forti. Il confronto continuo con gli altri, l’allargamento dell’orizzonte relazionale, una relazione continua e profonda, creano effetti sulla vita quotidiana, sui modi della vita. Il vissuto comunitario tra adulti (pur portatori di responsabilità e vincoli differenti), e tra adulti e minori può far maturare un senso della vita comune che ha la concretezza legata alle pratiche e ai caratteri di un contesto particolare, e può essere più interiorizzato, radicato in dimensioni emotive o simboliche.

Certamente ogni comunità, ogni storia ed ogni cammino ha le sue trasparenze e le sue opacità, un suo narrato e un suo sotto taciuto. Quello che vi avviene va oltre le dimensioni giuridiche o quelle trattamentali, ma vi si aprono processi di tutela e promozione di un periodo della vita. Che non si esaurisce nella comunità, né si compie solo in essa.

Certamente come sosteneva anni fa Giuliano Piazzi, «la sofferenza può costituire la levatrice della coscienza dell’uomo, ma intendendola come una levatrice che porta a vivere l’uomo nelle sue radici più profonde.» Coscienza di un uomo che prende coscienza di quello che lui è veramente: “cioè di non essere colui che si edifica nel confronto relazione-distinzione dagli altri, ma di essere colui che nasce dalla distinzione dalla morte, dalla non vita. La sofferenza è levatrice di coscienza proprio perché fa prendere coscienza del fatto che l’uomo è, essenzialmente e all’origine, un insieme di possibilità che nascono nel momento stesso in cui l’uomo è vita.

                A volte l’esperienza della sofferenza “porta lontano”: si sente e si teme di non appartenere più a nessuno. Ma a volte l’esperienza della sofferenza “porta lontano”: si sente e si teme di non appartenere più a nessuno, e di non appartenersi più. Serve allora la forza delicata e fedele della presenza del corpo dell’altro nel proprio corpo, il tocco della cura, della presenza discosta e concreta, quella che avviene dentro l’orizzonte di una vita quotidiana che può resistere al farsi esperienza del vuoto e del nonsenso. La relazione, la rete di presenze “entra dentro” e aiuta a dare forma ai sentimenti ed alle emozioni, alle conoscenze e alle relazioni. Si costruisce così una nuova solidarietà tra corpo e mente, tra dentro e fuori, tra emozioni ed elementi culturali, tra bisogno di credere e desiderio di capire.

L’altra scoperta preziosa e quasi necessaria. E l’altro, singolare ed unico, differente è scoperta, preziosa e quasi “necessaria” con il suo portato di strategie di vita e ricomposizioni, di significati e di domande. Patrimonio da incontrare, da cui ricevere e cui offrire alla ricerca di nuove possibilità, di possibili armonizzazioni, di riequilibri,  di passaggi oltre le paludi e di labirinti, quelli che a volte prendono dentro persone, interiorità e legami.

Le comunità sono un luogo in cui abita, si accoglie, si “soffre” anche la sconfitta, il fallimento. Nella stagione in cui ha preso piede la tecnica del lavoro sociale, gli “effetti” frustranti dell’insuccesso sugli operatori sociali sono stati non di rado elaborati e banalizzati con riferimento alla categoria del burn out. Nelle comunità vivono vite che il fallimento lo hanno attraversato e lo vivono come presente e persone che operano con competenza incontrando il limite e la fatica, l’impossibilità di controllo e di efficacia. Queste ultime sentono la tentazione di fuggire entro schemi di lavoro tecnico-burocratici e linee guida per il trattamento, oppure in luoghi esistenziali lontani dalle radiazioni della sofferenza. E la tentazione d’immunizzarsi.

Stare ad attraversare la sconfitta è piuttosto questione di sapienza umana. Stare ad attraversare la sconfitta è piuttosto questione di sapienza umana, è questione che rimanda al saper trattare con il mistero, è questione di ricerca pratica di un’emancipazione della sofferenza che non sia cercare su di essa vittoria o successo.

L’insuccesso può non essere distruzione o dissolvimento, può essere recuperato, riattraversato e rinarrato come interno ad una nuova possibilità d’inizio. Ad una profezia, a un segno di futuro. Con segnali e anticipi concreti; con saperi messi alla prova nella vita quotidiana, e nella combinazione di suoi elementi: il riconoscimento, la gioia, la giustizia, il bene, il servizio.

Fare percepire il volto nuovo della vita quotidiana. «Fare percepire il volto nuovo della vita quotidiana» scrive Mario Pollo «permette di aprire al sogno», alla profezia. Si tratta di una valorizzazione, di collocare in un contesto diverso e in una diversa relazione reciproca le cose di cui la vita quotidiana è intessuta. «Sognando» la vita quotidiana «si può costruire una realtà nuova più consona al desiderio di una vita nuova liberata.»

                Il futuro di cui costruire l’annuncio nelle esperienze di soglia, come sono o possono essere le comunità, va scoperto anche nelle asperità del presente ed anche negli elementi stessi che disegnano la sconfitta. Se non si intendono riscattare le sofferenze della sconfitta le persone soffocano nel disincanto cinico o nella disperazione.

Lavorare nelle comunità chiede agli operatori di sperimentare il limite delle proprie capacità e competenze, sapendo che si può sperimentare, come in ogni attraversamento difficile, anche il naufragio. Il proprio esercizio professionale si arricchirà così della logica del vivente e accederà a una nuova sapienza: è questa che può serbare la speranza che spesso fatica nei passaggi della sconfitta.

Come invita spesso a fare Franca Olivetti Manoukian, riprendendo una riflessione di Eligio Resta occorre allora passare dal pensare alla pensosità. Pensare prova a tracciare la linea più breve tra un problema individuato e una soluzione; la pensosità “si muove su ritmi e tempi diversi” perché si sofferma, indaga attorno, si sofferma in ascolto, cerca altro, incontra sguardi non considerati. Permette di darsi delle prospettive diverse e non già pensate, è riconoscimento e ri-conoscenza.  «É una conoscenza che ritorna su di sé per auto osservarsi e riesce a vedere diversamente proprio perché rielabora la sua ottica

Passare dal pensare alla pensosità. L’orizzonte in cui si sono disegnate queste pagine è quello della fenomenologia: la realtà si dà sempre dal vissuto delle persone che ne fanno esperienza. Va alimenta l’attenzione al suo manifestarsi, evitando di mettersi in cerca di fatti da riordinare da parte dell’intelletto, ma muovendosi alla tessitura di quei significati che si offrono alla ragione e al sentire. «Non si tratta di un vedere con gli occhi, eppure si tratta di una presa di coscienza immediata, di un “vedere dentro” che non ha nulla da invidiare alla conoscenza sensoriale.»

                Si tratta di una postura esistenziale, della pratica di un’etica del quotidiano attenta al valore di una vita liberata dai pregiudizi; è la prospettiva di un’epistemologia della contingenza liberata dalle ansie di un sapere capace di controllare e tenere tutto nei concetti. Fuori da mondi anticipati, sospendendo il giudizio si può apprendere a muoversi in ascolto di ciò che si presenta, tracciando sapere dalla esperienza, pensosi e recettivi.

                Annota Daniele Bruzzone: «chi ritiene che lavorare nel sociale richieda solo spirito pragmatico e abilità professionale forse sbaglia. Se l’anima del lavoro sociale è la cura delle persone e se la cura delle persone si fonda sull’amore per la vita, allora è necessario anche imparare a pensare le questioni più profonde, quelle del senso e del non senso dell’esistere.» Abitare le comunità di accoglienza, operandovi, chiede di lasciare risuonare in sé il vissuto dell’altro: vuol dire “fargli spazio” dentro di sé e, insieme, stare esposti a sentire. Una preziosa occasione per coltivare uno spazio interiore.

 Prof. Ivo Lizzola*1954-  Università di Bergamo – Pedagogia generale e sociale

 24 ottobre 2023             14 note                https://labarcaeilmare.it/persone-e-societa/memorie-di-futuro

SINODO DEI VESCOVI

[Attese, Aspettative  e Prospettive]

 Sinodo verso la conclusione. Anzi no: tutto rimandato a ottobre 2024

Il documento di sintesi, alla fine dei lavori del Sinodo che si tiene questo mese in Vaticano, «sarà un testo relativamente breve, e sarà un testo transitorio, basato sull’esperienza dell’assemblea e che terrà conto degli argomenti sui quali c’è consenso e sui quali c’è disaccordo». È quanto ha tenuto a precisare il prefetto del Dicastero per la comunicazione del Vaticano, Paolo Ruffini, nel briefing con i giornalisti del 18 ottobre.

«Non avrà la forma di un documento finale né sarà l’Instrumentum Laboris per il prossimo Sinodo» che si terrà nell’ottobre 2024, ha aggiunto.

Come dire, tanto rumore per nulla? Quasi. In sostanza la prima delle due fasi conclusive in cui è articolata l’assise in corso in Vaticano, avrà un carattere sostanzialmente interlocutorio, la discussione di queste settimane dovrà essere infatti riportata nelle Chiese locali che, a loro volta, si esprimeranno sui temi affrontati, avanzeranno proposte, consensi e dissensi, e fra un anno si arriverà a una deliberazione definitiva. Nel frattempo, entro il 21 ottobre, si chiuderà il confronto nei circoli minori per passare, dal 23 al 28 ottobre, alla fase conclusiva di questa prima sessione, quella delle proposte, appunto. Intanto l’assemblea ha già deciso di pubblicare una lettera rivolta a tutto il popolo di Dio che sarà discussa e votata nella giornata del 23 ottobre, il 24 sarà invece un giorno di pausa.

Un percorso a ostacoli. Quindi i lavori, secondo il calendario aggiornato diffuso dalla Segreteria del sinodo proseguiranno nel seguente modo: «I partecipanti si ritroveranno mercoledì 25 ottobre per la presentazione e consegna dello schema della Relazione di Sintesi da parte del relatore generale (il card. Jean Claude Hollerich, ndr). Il testo sarà oggetto prima di lettura personale e successivamente discusso in Congregazione Generale e nei Circoli Minori, per l’elaborazione di “modi” (le singole proposte, ndr), nel pomeriggio di mercoledì e nella mattinata di giovedì 26 ottobre». Quindi «nel pomeriggio di giovedì 26 ottobre, i partecipanti si riuniranno in congregazione generale per la raccolta delle proposte su metodi e tappe per i mesi tra la prima e la seconda sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi». Il 27, stop ai lavori e tutti i partecipanti sono invitati a prendere parte alla preghiera per la pace in piazza San Pietro alle ore 18; il giorno dopo, il 28, nuove riunioni delle congregazioni generali, sia la mattina che il pomeriggio, dove verrà data lettura della relazione di sintesi quindi si procederà alla sua approvazione, il 29 si svolgerà la messa conclusiva del sinodo nella basilica di San Pietro. Infine, appuntamento al 2024.

                Un percorso, come si vede, abbastanza farraginoso, il cui scopo è raggiungere il più ampio consenso possibile sul documento che chiuderà il sinodo nell’ottobre del prossimo anno. Vedremo dunque fra una decina di giorni se la montagna avrà partorito il classico topolino rimandano ogni nodo controverso al discernimento delle Chiese locali, o se qualcosa di concreto uscirà comunque fuori.

                Non si parla di unioni omosessuali. Di certo il prefetto per la Comunicazione si è assunto l’onere di fare il pompiere, preventivamente, di fronte alla possibilità che esca dall’assise qualche novità clamorosa. La questione delle benedizioni per le coppie omosessuali, per esempio, ha detto Ruffini, «non è il tema centrale della nostra conversazione». «Se voi pensate – ha detto rivolgendosi ai giornalisti che chiedevano lumi in proposito – che si sta discutendo primariamente di questo, non è così. Si è parlato, conversato molto di più del tema della formazione, del tema del rapporto tra ministero ordinato e ministeri non ordinati, di che cos’è il ministero ordinato, di che cos’è l’opzione per i poveri, di come il colonialismo può aver provocato delle ferite, di come si può evangelizzare le culture partendo dalle culture». «Stiamo parlando più di questo: anzi direi che non è il tema del Sinodo la benedizione delle coppie omosessuali», ha affermato il capo dicastero per la comunicazione vaticana. «Se ne può accennare – ha aggiunto – in un altro senso: cioè se siamo tutti figli di Dio, se la Chiesa è chiamata a testimoniare il Vangelo a tutti e non soltanto ad alcuni. Stiamo parlando del modo in cui la Chiesa è “una”, del modo in cui la Chiesa è accogliente, inclusiva, del modo in cui a volte inavvertitamente noi ci ergiamo su un piedistallo e magari inavvertitamente feriamo gli altri per il clericalismo, che può essere – è stato detto – tanto dei laici quanto dei chierici». «È più questo di cui stiamo discutendo», ha detto ancora Ruffini. «Il tema della sinodalità è quello centrale – ha proseguito –, cioè il modo in cui la Chiesa riscopre la sua chiamata alla comunione che è nel Vangelo. In che modo siamo davvero membra gli uni degli altri. È questo il centro della nostra conversazione. Naturalmente tutto sulla base del Vangelo e della storia e della tradizione della Chiesa. Siamo tutti fedeli e credenti».

                Insomma, par di capire, una discussione che evita i problemi irrisolti, pure posti da tante Chiese locali, approcciando le questioni in termini più generali senza entrare nel dettaglio. In ogni caso il tema della pastorale verso gli omosessuali «è comparso durante le riflessioni», ma «questa sessione del Sinodo non porta a conclusioni o a determinazioni. È desiderio del Santo Padre che le decisioni siano prese nella sessione di ottobre 2024», ha confermato, da parte sua, il card. Leonardo Ulrich Steiner, arcivescovo di Manaus (Brasile). Tuttavia, ha aggiunto, «è bene che sia venuto fuori questo tema. Il Papa ha detto a Lisbona che la Chiesa è per tutti», ha ricordato il cardinale ribadendo che «le questioni concrete dovranno essere affrontate nella sessione del prossimo anno».

                Includere tutti. A sua volta, rispondendo ai giornalisti, p. Vidal Tirmanna, redentorista originario dello Sri Lanka, docente di Teologia morale sistematica, ha spiegato che al Sinodo «noi non dobbiamo affrontare questioni specifiche: non ci dimentichiamo che noi siamo qui una comunione di credenti, ognuno di noi presenterà le proprie questioni specifiche, ma non ci fermeremo là. Queste questioni particolari verranno affrontate, ma come credente ordinario e come studioso posso assicurare che una volta che i fondamenti della vita sinodale vengono stabiliti e collocati nel posto giusto, allora su questi fondamenti si potrà costruire tanto altro». «Ma il problema – ha proseguito – non è la questione di parlare del femminile, o della benedizione delle unioni gay o della comunità Lgbt: non sto dicendo che non sono importanti, ma se siamo seri rispetto all’esigenza di una Chiesa universale, che deve includere tutti, allora dobbiamo stabilire una base solida sulla quale poter collocare le questioni di tutti».

Diaconato femminile. In ogni caso, di qualche tema concreto i padri e le madri sinodali hanno parlato, per ammissione dello stesso Ruffini. L’assemblea sinodale ha discusso sulla possibilità di aprire al diaconato femminile, chiarendo prima «la natura stessa del diaconato». Quanto al ruolo delle donne nella Chiesa, ha riferito Ruffini, «si è ricordato che Gesù ha associato delle donne al suo seguito» e «ci si è domandati se non sia possibile prevedere che le donne, che hanno dato il primo annuncio della Resurrezione, non possano anche tenere delle omelie». «Si è detto inoltre che quando le donne sono presenti nei Consigli pastorali le decisioni sono più pratiche e le comunità più creative».

Fuori dall’aula dei lavori sinodali, in ogni caso, il clima non è altrettanto sereno. Una ventina di rappresentanti del Catholic Women’s Council (CWC), organizzazione che riunisce associazioni di diversi Paesi, hanno inscenato una protesta chiedendo l’ordinazione sacerdotale per le donne.

Francesco Peloso            Adista Notizie n° 36       28 ottobre.2023

www.adista.it/articolo/70794

Sinodo 2023, tra le proposte un C9 come consiglio sinodale e molte questioni aperte

Un documento aperto, discusso fino all’ultimo, emendato a lungo, ma che si presenta con una maggioranza forte di due terzi per ogni punto. Ecco di cosa parla la relazione di sintesi del Sinodo 2023

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/10/28/0751/01653.html

La riforma del C9 in un Consiglio Sinodale. La richiesta di istituire un Consiglio di Patriarchi e arcivescovi maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche presso il Santo Padre. Le proposte di approfondire vari cammini, da quelli del diaconato femminile a quelli riguardanti l’identità di genere, e persino la poligamia in Africa (ma è un punto su cui c’è stata vasta contrarietà). E la consapevolezza che “la Parola di Dio viene prima della parola della Chiesa”. Si presenta in 42 pagine, 3 parti (Il volto della Chiesa sinodale”, “Tutti discepoli, tutti missionari”, “p. Vidal Tirmanna Tessere legami, costruire comunità”) e ogni paragrafo diviso in convergenze, questioni da affrontare e proposte il testo di sintesi del Sinodo sulla sinodalità, o per meglio dire su comunione, missione e partecipazione.

                Dopo aver discusso 1.251 emendamenti al testo, averlo profondamente cambiato in varie parti, aver probabilmente deluso alcuni gruppi di pressione (non c’è ad esempio il termine LGBT), specialmente sulla questione del maggior peso delle donne nella vita della Chiesa che ha avuto un numero alto di no, i padri sinodali consegnano un testo che è, come nelle previsioni del prefetto del Dicastero della comunicazione Paolo Ruffini, “transitorio”. E c’è una forte spinta alla questione della “ospitalità ecumenica”, ovvero della comunione, un tema che tocca anche i matrimoni interconfessione, mentre, in vista del 1.700esimo anniversario del Concilio di Nicea nel 2025 c’è una forte spinta a cercare di stabilire una data di Pasqua in comune tra cattolici e Chiese di rito orientale.

                Molti i temi che restano allo studio, ci sono poche conclusioni, frutto di un andamento dinamico che ha portato anche a vari cambi di programma, e che licenzia un testo che mette sullo stesso piano, tra le questioni controverse, quelle del fine vita e dell’identità di genere e sessuale, e che chiede semplicemente di continuare a studiare alcuni temi come quello del diaconato femminile. C’è anche un paragrafo dedicato alla pastorale digitale, tema molto caro al Dicastero per la comunicazione vaticano che a maggio aveva licenziato il documento “Verso una piena presenza”.

                Questo va al di là dalla “gioia e dall’armonia” percepita nell’aula sinodale raccontata dal Cardinale Mario Grech in conferenza Stampa, e mette in luce che “è chiaro che alcuni temi avrebbero avuto grande opposizione”, nelle parole del Cardinale Jean-Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo, che però dice che “le resistenze non sono così grandi come si pensava prima”. Un segno che si voglia andare in una direzione di riforma dopo?

                Papa Francesco, al termine dei lavori, ricorda che il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo, e le conclusioni del testo sottolineano che “la Parola di Dio è di più della parola della Chiesa” e che “oggi, in una cultura della lotta per la supremazia e dell’ossessione per la visibilità, la Chiesa è chiamata a ripetere le parole di Gesù, a farle rivivere in tutta la loro forza”. Come, dunque, prendere i risultati del Sinodo?

 LGBT. Il termine LGBT non c’è nel testo, mentre la questione della cosiddetta identità di genere entra nelle questioni controverse, così come quella del fine vita, alle situazioni matrimoniali difficili, alle problematiche etiche connesse all’intelligenza artificiale. Questioni che “risultano controverse non solo nella società, ma anche nella Chiesa, perché pongono domande nuove”.

Allora si devono – si legge nel testo – “investire le energie migliori” in questi temi, “senza cedere a giudizi semplificatori che feriscono le persone e il Corpo della Chiesa”, considerando che “molte indicazioni sono già offerte dal magistero e attendono di essere tradotte in iniziative pastorali appropriate”.

                Tra le proposte, quella di “promuovere iniziative che consentano un discernimento condiviso su questioni dottrinali, pastorali ed etiche che sono controverse, alla luce della Parola di Dio, dell’insegnamento della Chiesa, della riflessione teologica e, valorizzando l’esperienza sinodale”. E questo “può essere realizzato attraverso approfondimenti tra esperti di diverse competenze e provenienze in un contesto istituzionale che tuteli la riservatezza del dibattito e promuova la schiettezza del confronto, dando spazio, quando appropriato, anche alla voce delle persone direttamente toccate dalle controversie menzionate”. È un percorso da avviare in vista della prossima sessione sinodale.

Alcune proposte. Per ora, serve prima di tutto dare uno sguardo generale al testo. Tra le proposte più interessanti, quella, nella parte dedicata all’ecumenismo, di “di istituire un Consiglio dei Patriarchi e Arcivescovi Maggiori delle Chiese orientali cattoliche presso il Santo Padre”, e persino di dedicare “un Sinodo speciale dedicato alle Chiese orientali cattoliche, alla loro identità e missione”, mentre si pensa di stabilire una commissione congiunta di teologi, storici e canonisti orientali e latini”, e di ampliare il numero di membri delle Chiese orientali nei dicasteri vaticani.

Altro tema, quello di rivedere le mutuæ relationes tra i rapporti tra vescovi e religiosi nella Chiesa, quello di rendere obbligatorio il Consiglio Episcopale, e il Consiglio pastorale diocesano o eparchiale, cosa che in fondo si trovava anche nel documento della Commissione Teologica Internazionale sulla sinodalità del 2018.

                Il documento di sintesi chiede anche di  “avviare una verifica dei criteri di selezione dei candidati all’episcopato, equilibrando l’autorità del Nunzio apostolico con la partecipazione della Conferenza Episcopale. Si richiede anche di ampliare la consultazione del Popolo di Dio, ascoltando un maggior numero di laici e laiche, consacrate e consacrati e avendo cura di evitare pressioni inopportune”. È una proposta che, in fondo, cambia poco quello che già succede, laddove il nunzio avvia ampie consultazioni di fronte i candidati.

                E ancora, si propone si rafforzare province ecclesiastiche e metropolie, di dare attuazione all’esercizio della sinodalità fino a suggerire la creazione di province ecclesiastiche internazionali, e fino alla richiesta di elaborare “una configurazione canonica delle Assemblee continentali che, nel rispetto della peculiarità di ogni continente, tenga nel dovuto conto la partecipazione delle Conferenze Episcopali e quella delle Chiese, con propri delegati che rendano presente la varietà del Popolo fedele di Dio” .

I temi in gioco. Il documento ha un’ampia introduzione che vuole mostrare come il cammino, iniziato due anni fa, si sta “svolgendo alla luce del magistero conciliare”. Ma sottolinea anche che “senza sottostimare il valore della democrazia rappresentativa, Papa Francesco risponde alla preoccupazione di alcuni che il Sinodo possa diventare un organo di deliberazione a maggioranza privo del suo carattere ecclesiale e spirituale, mettendo a rischio la natura gerarchica della Chiesa”.

Il testo è abbastanza onesto da mettere in luce che “alcuni temono di essere costretti a cambiare; altri temono che non cambierà nulla e che ci sarà troppo poco coraggio per muoversi al ritmo della Tradizione vivente”.

Ancora, il testo ammette che “il rinnovamento della comunità cristiana è possibile solo riconoscendo il primato della grazia. Se manca la profondità spirituale, la sinodalità rimane un rinnovamento di facciata” e quindi “ciò a cui siamo chiamati, però, non è solo tradurre in processi comunitari un’esperienza spirituale maturata altrove, ma più profondamente sperimentare come le relazioni fraterne siano luogo e forma di un autentico incontro con Dio”.

Non solo: la celebrazione dell’eucarestia è fondamentale, il battesimo non può essere compreso in modo isolato, né individualistico, la Confermazione deve essere approfondita anche alla luce della sinodalità, e si nota che “sotto il profilo teologico pastorale è importante proseguire la ricerca sul modo in cui la logica catecumenale può illuminare altri percorsi pastorali, come quello della preparazione al matrimonio, o l’accompagnamento a scelte di impegno professionale e sociale, o la stessa formazione al ministero ordinato, in cui tutta la comunità ecclesiale deve essere coinvolta”.

I poveri sono “protagonisti del cammino della Chiesa”, e si mette in luce la necessità di evitare il rischio di considerare i poveri come “oggetti della carità della Chiesa”.

Importante la richiesta di approfondire la Dottrina Sociale della Chiesa, una “risorsa troppo poco conosciuta, su cui tornare a investire”.

                Entrano nel testo anche le sfide di oggi, i movimenti migratori di persone che portano “le ferite dello sradicamento, della guerra e della violenza, diventano una fonte di rinnovamento e arricchimento per le comunità che li accolgono e un’occasione per stabilire un legame diretto con Chiese geograficamente lontane”. Ma anche la polarizzazione e la sfiducia, che colpisce la Chiesa anche nel suo interno, e dunque il documento chiede di riconoscere le cause di questo fenomeno “attraverso il dialogo e intraprendere processi coraggiosi di rivitalizzazione della comunione e di riconciliazione per superarle”, e dare rinnovata attenzione ai linguaggi.

Decentramento e nuovi ministeri. Il documento di sintesi dà per scontato che si sperimenteranno forme di decentramento, chiede che “per esigenze di coerenza, i processi di discernimento in materia di decentramento devono avvenire in stile sinodale, prevedendo il concorso e il contributo di tutti gli attori coinvolti ai diversi livelli”, si sottolineano “nuovi paradigmi per l’impegno pastorale con le popolazioni indigene, nella linea di un cammino insieme e non di una azione fatta a loro o per loro”, si sottolinea anche la necessità di meglio conoscere il Concilio Vaticano II, ma anche “le nostre diverse tradizioni per essere più chiaramente una Chiesa di Chiese in comunione, efficace nel servizio e nel dialogo”.

C’è anche la richiesta di lavorare per combattere razzismo e xenofobia, e viene raccomandata “un rinnovato impegno nel dialogo e nel discernimento in materia di giustizia razziale”.

                Il documento riconosce anche le “capacità apostoliche delle persone con disabilità”, ed è un tema forse marginale ma importante.

                “Si percepisce – si legge nel documento – la necessità di una maggiore creatività nell’istituzione di ministeri in base alle esigenze delle Chiese locali, con un particolare coinvolgimento dei giovani. Si può pensare di ampliare ulteriormente i compiti al ministero istituito del lettore, che già oggi non si limitano al ruolo svolto durante le liturgie.”

La questione delle donne e i vescovi. E le donne? Si chiede di allargare il “servizio di ascolto, accompagnamento e cura alle donne che nei diversi contesti sociali risultano più emarginate”, si ritiene “urgente garantire che le donne possano partecipare ai processi decisionali e assumere ruoli di responsabilità nella pastorale e nel ministero”, e si arriva a chiedere di “adattare il diritto canonico” proprio per favorire una maggiore presenza delle donne nella Chiesa”, mentre si raccomanda di proseguire “la ricerca teologica e pastorale sull’accesso delle donne al diaconato, giovandosi dei risultati delle commissioni appositamente istituite dal Santo Padre e delle ricerche teologiche, storiche ed esegetiche già effettuate. Se possibile, i risultati dovrebbero essere presentati alla prossima Sessione dell’Assemblea”. Da notare che il paragrafo sul diaconato femminile è quello che ha il minor numero di consensi.

Il vescovo è invece descritto avere “un ruolo insostituibile nell’avviare e animare il processo sinodale nella Chiesa locale, promuovendo la circolarità tra ‘tutti, alcuni e uno’”. Spiega il testo: “Il ministero episcopale (l’uno) valorizza la partecipazione di ‘tutti’ i fedeli, grazie all’apporto di “alcuni” più direttamente coinvolti in processi di discernimento e di decisione (organismi di partecipazione e di governo). La convinzione con cui il Vescovo assume la prospettiva sinodale e lo stile con cui esercita l’autorità influenzano in modo determinante la partecipazione di preti e diaconi, laici e laiche, consacrate e consacrati. Per tutti, il Vescovo è chiamato a essere esempio di sinodalità”.

E il Papa? Anche il ruolo del Papa deve essere riconsiderato alla luce della nuova Chiesa sinodale. In fondo, di un nuovo esercizio del ministero petrino parlava anche la “Ut Unum Sint” di San Giovanni Paolo II.

Si nota nel testo anche che “la sinodalità può fare luce sulle modalità di collaborazione del collegio dei Cardinali al ministero petrino e sulle forme attraverso cui promuovere il loro discernimento collegiale nei Concistori ordinari e straordinari”. E si chiede che “è importante per il bene della Chiesa studiare i modi più opportuni per favorire la mutua conoscenza e i legami di comunione tra i membri del Collegio dei Cardinali, tenuto conto anche della loro diversità di provenienza e di cultura”. Tema, quest’ultimo, interessante, se si pensa che Papa Francesco ha convocato in questi dieci anni solo tre concistori per discutere dei temi specifici e aver tra-le-proposte-un-c9-come-consiglio-sinodale-e-molte-questioni-apertere uno scambio ampio di tutti i cardinali.

Andrea Gagliarducci –  Città del Vaticano,   ACI Stampa 28 ottobre 2023

www.acistampa.com/story/sinodo-2023-tra-le-proposte-un-c9-come-consiglio-sinodale-e-molte-questioni-aperte

Il Sinodo apre alle riforme ma non osa. Spaccatura su donne diacono e celibato

Se doveva essere una perestrojka, ha la prudenza e il passo lento di chi vuole evitare che le riforme inneschino scossoni e spaccature irreversibili. Papa Francesco ha concluso un’assemblea sinodale che ha fortemente voluto per spingere la Chiesa a intraprendere i cambiamenti necessari per stare al passo coi tempi. Per quattro settimane (4-29 ottobre), 464 padri e – per la prima volta – madri sinodali hanno discusso in Vaticano dei temi più caldi. Bergoglio ha voluto che l’incontro fosse a porte rigorosamente chiuse, ma dall’aula Nervi sono filtrate discussioni robuste, a volte polemiche, sui temi caldi come il ruolo delle donne e la questione lgbtq. Il documento finale votato e approvato ieri, però, è una fotografia che sfoca le divergenze ed elenca una serie di proposte molto graduali, che non hanno faticato a raccogliere il consenso dei due terzi dei 365 votanti. Dei temi più controversi si riparlerà l’anno prossimo, quando, a ottobre, si svolgerà una nuova assemblea che concluderà questo Sinodo iniziato, a livello locale, nel 2021.

Se l’idea delle donne prete non è neppure menzionata, la minoranza conservatrice si è coagulata, in particolare, sull’ipotesi di ammettere le donne al diaconato, ossia sostituire all’altare, in alcune funzioni (celebrare matrimoni, amministrare i sacramenti, benedire, predicare), il pastore della comunità. Il maggior numero di opposizioni (69 no, 277 sì) è stato registrato su un’ipotesi che, in realtà, fotografa una spaccatura: “Sono state espresse posizioni diverse in merito all’accesso delle donne al ministero diaconale”, recita il passaggio per poi elencare le varie posizioni, favorevoli, contrarie e possibiliste. Per alcuni membri del Sinodo è comunque troppo ipotizzare che su questo tema la Chiesa cambi, come confermato anche da un paragrafo che propone che “prosegua la ricerca teologica e pastorale sull’accesso delle donne al diaconato” (67 no, 279 sì), e la proposta di “una più approfondita” ricerca teologica sul diaconato (61 no, 285 sì).

L’altro nodo che per una minoranza non può neppure essere discusso è quello di ipotizzare una riflessione sul celibato obbligatorio dei preti, approvato con 55 no e 291 sì. Ha suscitato 53 voti contrari e 293 positivi anche il suggerimento di considerare, “valutando caso per caso e a seconda dei contesti, l’opportunità di inserire presbiteri che hanno lasciato il ministero in un servizio pastorale che valorizzi la loro formazione e la loro esperienza”. Bocciata da 43 membri del Sinodo la proposta, venuta dall’Africa, di “promuovere un discernimento teologico e pastorale sul tema della poligamia”.

Il cardinale gesuita Jean-Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo, ha sdrammatizzato: «Non sono affatto preoccupato da questi risultati, credo che fosse chiaro che alcune questioni avrebbero incontrato resistenza: sono semmai sorpreso dal fatto che così tante persone hanno votato a favore, il che significa che le resistenze non sono così forti come qualcuno pensava». Sulla stessa linea il segretario generale del Sinodo, il cardinale Mario Grech, secondo il quale l’assemblea ha mostrato che «si sono aperti degli spazi» e «il ghiaccio si scioglie». Dalla bozza iniziale è sparito, prima del voto, l’acronimo Lgbtq. L’unico paragrafo che accenna all’omosessualità in modo molto generico non ha avuto problemi a passare.

Ha raccolto solo 27 no la proposta di “garantire che le donne possano partecipare ai processi decisionali e assumere ruoli di responsabilità nella pastorale e nel ministero”, solo 26 voti contrari l’affermazione che “clericalismo, maschilismo e un uso inappropriato dell’autorità continuano a sfregiare il volto della Chiesa e danneggiano la comunione (…) Abusi sessuali, di potere ed economici continuano a chiedere giustizia, guarigione e riconciliazione”. Solo 19 no l’affermazione circa “i casi di discriminazione lavorativa e remunerazione iniqua all’interno della Chiesa (…) in particolare per quanto riguarda le consacrate che troppo spesso sono considerate manodopera a basso prezzo”.

Una novità è la proposta, bocciata solo da 25 partecipanti al Sinodo, di “ampliare la consultazione del Popolo di Dio”. Solo 18 persone hanno votato contro l’affermazione che alcune perplessità e opposizioni al Sinodo “nascondono anche la paura di perdere il potere e i privilegi che ne derivano”. L’introduzione, quanto di più generico, ha raccolto il voto contrario di un irriducibile, evidentemente contrario all’idea stessa del Sinodo.

Iacopo Scaramuzzi          “la Repubblica”               29 ottobre 2023

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202310/231029scaramuzzi.pdf

www.repubblica.it/cronaca/2023/10/28/news/sinodo_vescovi_donne_diacono_celibato-419046173

Dio si fa carne anche oggi

La vita è una sfida sempre nuova che la chiesa non può non affrontare. Il sinodo in corso può e deve diventare uno strumento di conoscenza e missione.

L’oggetto di questo Sinodo non sono le questioni dottrinali, ma l’apprendere a camminare, ad ascoltare e discernere insieme, e così facendo affrontare tutte le questioni che interpellano la Chiesa”. Queste parole di un membro del Sinodo sulla sinodalità, il card. Gérald Cyprien Lacroix, *1957  arcivescovo di Québec (Canada), nel briefing del 13 ottobre scorso in Sala stampa vaticana, sono interessanti e rivelatrici. Mostrano che non soltanto chi è spettatore esterno, come noi, ma anche chi partecipa in modo diretto all’esperienza sinodale si pone le domande fondamentali: perché questo sinodo? Come può aiutare la Chiesa nel cambiamento d’epoca che sta vivendo, e che la vede un po’ smarrita e frammentata? E continua: “La nostra diversità ci unisce: ci permette di crescere nella comunione e nella partecipazione. […] Ne facciamo esperienza qui, ma anche nelle nostre parrocchie, nelle assemblee nazionali e continentali. È la bellezza della diversità delle nostre tradizioni che prende tempo per riflettere, ascoltare e discernere ciò che il Signore dice alla nostra missione in questo momento preciso della storia”.

Pochi giorni fa, don Alberto Cozzi indicava bene l’urgenza per la Chiesa di oggi: il cambiamento d’epoca ci chiede in modo forte di riappropriarci della nostra fede.

www.ilsussidiario.net/news/sinodo-dei-vescovi-riappropriarci-della-nostra-fede-la-sfida-che-rischiamo-di-non-capire/2602692

Le parole del card. Lacroix ci aiutano a comprendere come l’esperienza sinodale ci può essere d’aiuto e di sostegno nel cogliere questa urgenza, vivendo l’esperienza sinodale (sia dentro l’aula vaticana che nel quotidiano della vita cristiana) come uno stimolo per il nostro bisogno di comunione e di missione. In particolare, emergono tre vie interessanti per svolgere questo compito.

Prima via: imparare insieme a dare un nome al nuovo che ci provoca. Uno studioso, acuto interprete dei nostri tempi, sostiene che “dobbiamo imparare a vivere in modo non apocalittico questo tempo escatologico(Slavoj Žižek* 1949). I progressi della tecnoscienza e del digitale hanno accelerato la trasformazione culturale in atto, creando dei nuovi spazi di esperienza in cui siamo chiamati a giocare la nostra libertà per costruire le nostre storie individuali e comunitarie. La morte, l’identità, la generazione, la famiglia, il legame: tutte queste esperienze fondamentali della vita hanno bisogno di essere risignificate, talmente tanti sono i mutamenti che stanno conoscendo. Riappropriarci della nostra fede significa scegliere di affrontare in modo comunitario (in modo sinodale) questo compito, lasciando che la fede professata insieme illumini la Chiesa nel cogliere come Dio si fa carne anche oggi, assume la natura umana (questa natura umana) per redimerla e donarci la salvezza.

Seconda via: rispondere in modo immaginativo alla crisi organizzativa che tocca la Chiesa. Le ricerche sociali mostrano in modo impietoso come anche in Italia la Chiesa sta conoscendo un processo di decisa riduzione del proprio organico (meno preti, meno fedeli, ma anche e soprattutto meno battesimi). Non servono tuttavia le statistiche, basta la nostra esperienza quotidiana per percepire il declino organizzativo della forma istituita di esperienza cristiana che ci ha generato. La tentazione si annida in modo forte nella ricerca di ricette immediate che sappiano tamponare se non risolvere la crisi in atto. Anche in questo campo, l’esperienza di momenti comunitari di riappropriazione della fede è essenziale: ci dà l’energia per resistere a questa tentazione, evitando di produrre esperimenti di ingegneria pastorale dal fiato corto e a forte impatto reattivo; e ci permette di scendere in profondità, di avere energie per immaginare la Chiesa, la “Gerusalemme celeste”, come un dono che ci viene da Dio. L’esperienza sinodale, in Vaticano come nel quotidiano delle nostre realtà ecclesiali, ci permetterà di trasformare l’ansia per il futuro delle nostre organizzazioni nella sete condivisa di luoghi in cui fare reale esperienza della presenza vivente di Dio, che ci dona il Figlio come risposta alla nostra profonda sete di amore, e ci guida nella nostra storia col suo Spirito.

Terza via: ascoltare cosa lo Spirito dice alla sua Chiesa. L’esperienza sinodale può infine essere lo strumento giusto per vivere in modo comunitario l’ascolto dello Spirito, imparando a riconoscere le forme del corpo ecclesiale che lo Spirito sta disegnando attraverso l’opera di seminagione di doni e carismi. Il cattolicesimo che sta nascendo nelle trame del tessuto sociale e culturale in piena trasformazione sarà frutto non soltanto del nostro impegno e delle nostre azioni, ma anche della nostra capacità di contemplazione, di riconoscimento e di comunione, chiamando a unità i tanti doni disseminati che altrimenti rischiano la dispersione.

Il Sinodo ci aiuta a riapprendere un compito fondamentale legato alla professione della fede: l’attitudine della veglia, della vigilanza (della sentinella), che cura con attenzione che la logica evangelica non venga meno, che il primato della missione sia salvaguardato, che la passione verso l’uomo che Dio ci ha mostrato sin dalla creazione rimanga un ingrediente fondamentale della nostra esperienza di fede. Il Sinodo come esperienza di comunione per la missione è il dono che viene fatto dallo Spirito alla nostra Chiesa che si interroga sulla sua identità e sul suo futuro.

Luca Bressan     il sussidiario     23 ottobre 2023

www.ilsussidiario.net/news/sinodo-dei-vescovi-imparare-a-cogliere-come-dio-si-fa-carne-anche-oggi/2607331

Il dibattito nelle Chiese

Per il cardinale Schönborn papa Francesco: “può cambiare la dottrina cattolica sulle relazioni omosessuali

Parlando con i giornalisti in Vaticano, il cardinale di Vienna Christoph Schönborn *1945

 ha affermato che un possibile cambiamento nella dottrina ufficiale della Chiesa sulle relazioni omosessuali è di esclusiva responsabilità del Papa. Il porporato ha ricordato che il cambiamento dottrinale sulla pena di morte è stato introdotto nel Catechismo da papa Francesco.

                Rispondendo a una domanda, (il cardinale) Schönborn ha ricordato ai giornalisti accreditati (in Vaticano) al Sinodo che, sino a ora, c’è stato un solo cambiamento nel Catechismo approvato nel 1992. Nel 2018, papa Francesco ha aggiunto nel catechismo della Chiesa cattolica “l’inammissibilità” della pena di morte. Se ci saranno ulteriori cambiamenti spetta esclusivamente al Papa promulgarli nel Catechismo e metterli in atto, ha affermato il cardinale austriaco, che è stato coinvolto più di 30 anni fa nella stesura dell’attuale Catechismo.

                Sul tema dell’omosessualità e del peccato, Schönborn ha osservato che Francesco parla spesso della questione della colpa dell’individuo. C’è un divario tra l’ordine oggettivo dato e il livello soggettivo del singolo essere umano, che è sempre un peccatore. La Chiesa deve rispettare e accompagnare ogni essere umano con i suoi limiti e la sua storia. Al sinodo si è discusso molto su come la Chiesa cattolica dovrebbe accompagnare in futuro le persone che hanno una relazione omosessuali.

                Dottrina immutabile che muta. Diversi membri del Sinodo hanno chiesto un cambiamento su questo punto. Alla domanda sul ruolo che la teologia e il pensiero dei fedeli giocano nello sviluppo della dottrina della Chiesa, Schönborn ha sottolineato che la dottrina della Chiesa è immutabile. Ma la comprensione e la presentazione della fede si evolve e si approfondisce. Il cardinale sostiene la tesi secondo cui secondo cui qualsiasi cambiamento radicale nella dottrina – come è avvenuto con Amoris lætitia e in relazione alla pena di morte – può essere giustificato come un’evoluzione e una maggiore conoscenza di quel tema, cosicché se la Chiesa ha insegnato una cosa per secoli e ora insegna l’opposto, i fedeli possono accettarlo senza ulteriori indugi.

                Elogio dei metodi di lavoro del Sinodo. Schönborn ha anche elogiato il metodo di lavoro del Sinodo. Il metodo della sinodalità è “chiaro, corretto e necessario“, ha affermato il cardinale. Nell’assemblea, l’ascolto è la prima priorità; inoltre, si tratta di discernere insieme. “Questo approccio cambia profondamente la situazione“.

Schönborn ha aggiunto di aver recentemente parlato del Sinodo con l’economista e consigliere politico statunitense Jeffrey Sachs ed ha affermato che anche il Consiglio di Sicurezza (dell’ONU) dovrebbe lavorare alla maniera del Sinodo; allora forse ci sarebbe un po’ più di pace nel mondo. Nessuno nel Consiglio di Sicurezza ascolta veramente, ha ricordato Schönborn. Lì, i diversi rappresentanti presentano le direttive dei loro governi, ma senza discutere veramente tra di loro.

Schönborn, 78 anni, ha già partecipato a otto sinodi dei vescovi. Nell’attuale Sinodo mondiale in Vaticano, è membro votante del Consiglio del Sinodo, una sorta di consiglio degli anziani. Secondo il cardinale, il metodo di lavoro di questa assemblea è il migliore che abbia mai sperimentato. Per lui la sinodalità è la via per vivere la comunione; “La Chiesa è comunione”, ha ribadito Schönborn. Ha ricordato il Concilio Vaticano II (1962-1965) e il documento “Lumen gentium” che ha portato a nuova autocomprensione della Chiesa come comunità dei credenti. E ha ricordato che alla fine del Concilio Vaticano II era uno studente di teologia di 20 anni. Il teologo Karl Rahner (1904-1984) affermò allora che tutto il Concilio sarebbe stato vano se non si fosse stato tradotto in più fede, speranza e misericordia. “Direi lo stesso di questo Sinodo“, ha affermato Schönborn.

Inoltre, l’arcivescovo di Vienna ha espresso il desiderio di una cooperazione più visibile tra i vescovi a livello europeo. Il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) non è riuscito ancora a sviluppare lo stesso potenziale dei Concili episcopali continentali dell’Asia o dell’America Latina. “Siamo rimasti un po’ indietro nella sinodalità vissuta tra le Chiese locali d’Europa. Penso che abbiamo bisogno di uno stimolo per andare oltre”.

Ad esempio, le conferenze episcopali d’Europa non sono ancora riuscite a formulare una parola comune sul dramma dell’emigrazione e dei rifugiati, ha affermato criticamente Schönborn.

Innocenzo Pontillo         Gionata               24 ottobre 2023

Articolo pubblicato sul portale web InfoCatólica (Spagna) il 24 ottobre 2023, liberamente tradotto da Innocenzo Pontillo

Testo originale: Schönborn asegura que es responsabilidad exclusiva del Papa cambiar la doctrina sobre las relaciones homosexuales

www.gionata.org/per-il-cardinale-schonborn-papa-francesco-puo-cambiare-la-dottrina-cattolica-sulle-relazioni-omosessuali

 “Questo è un sinodo molto spirituale. Richiede a noi conversione, ogni giorno; non c’è posto per pregiudizi”

  mons. József-Csaba Pál*1955 (Timisoara-Romania),nominato da Papa Francesco membro del Sinodo dei vescovi ed è pastore di una diocesi multilinguistica in una regione della Romania che si distingue per il pluralismo religioso. In un’intervista alla tv cattolica romena Angelus Tv, mons. Iosif Csaba Pál, vescovo di Timișoara, ha parlato della sua esperienza sinodale. “Partecipo per la prima volta ad un Sinodo dei vescovi – ha confidato a don Francisc Ungureanu, direttore Angelus Tv –. Sono arrivato con emozioni e un certo peso per la responsabilità affidata, però lo spirito nel quale viviamo qui la sinodalità mi ha dato tanta gioia. Questo è un sinodo molto spirituale. Lo dice pure chi ha partecipato anche ad altri sinodi”. Durante i lavori, spiega il vescovo romeno, “impariamo il discernimento comunitario e lo stile della sinodalità. E questo richiede da noi una conversione, ogni giorno, perché non c’è posto per pregiudizi. Quando ascoltiamo gli altri dobbiamo farlo in uno spirito di ascesa e di amore”. Parlando della presenza dei laici al sinodo dei vescovi, mons. Pál ha detto: “considero sia molto utile per i vescovi sentire la voce dei laici, da tutti i continenti. È vero che non c’è chiesa senza vescovi, ma neanche senza laici”.

 Oltre a mons. Pál, al Sinodo partecipano dalla Romania: mons. Gergely Kovács, da parte della Conferenza episcopale romena; mons. Cristian Crișan, delegato della Chiesa greco-cattolica romena; la teologa laica Klára Csiszár; il metropolita ortodosso Iosif, del patriarcato ortodosso romeno.

Redazione          Agenzia SIR                        27 ottobre 2023

www.agensir.it/quotidiano/2023/10/27/romania-mons-pal-timisoara-questo-e-un-sinodo-molto-spirituale-richiede-a-noi-conversione-ogni-giorno-non-ce-posto-per-pregiudizi

Sinodo: il non detto, i rinvii e le questioni aperte dal Papa

Francesco ha dato al sinodo della Chiesa cattolica una forma diversa: quella di un «concilio non-generale», che riunisce una porzione del collegio episcopale, alcuni fedeli cattolici e pochi cristiani di altre Chiese. Lo ha convocato per una sessione ormai prossima alla conclusione con un documento intermedio, ed una seconda l’anno prossimo: alla vigilia di una lunga intersessione in cui il sinodo non è né sciolto né riunito non si possono tirare delle somme, ma elencare delle questioni.

Il sinodo si è avvolto di un segreto paradossale. Dei colloqui papali a braccio fatti coi gesuiti d’ogni dove, sappiamo ogni sospiro: della più grande assemblea cristiana dai tempi del Vaticano II nulla. Il divieto di comunicare è stato imposto da Francesco con la pia fraus che nei sinodi sulla famiglia e sull’Amazzonia erano stati i giornalisti a dettare l’agenda sulla comunione dei divorziati e sui preti uxorati (che sono stati ammessi da Benedetto XVI, ma solo se ex anglicani). Risultato: la comunicazione c’è stata, ma ha detto urbi et orbi che la chiesa cattolica ha fatto una scelta autoreferenziale, in una murmuratio globale svolta proprio mentre un’alluvione di sangue bagnava la terra di Israele e quella di Gaza, aggiungendo un capitolo chiave alla terza guerra mondiale a puntate.

Nel discorso più importante del suo pontificato – perché la conciliarità è il contenuto più importante del pontificato – Francesco s’è limitato a dire che il sinodo non è un parlamento ed è fatto dallo Spirito. Principio sacrosanto: il sinodo non è «rappresentanza» di una platea, ma «rappresentazione» della Chiesa universale e riceve autorità immediatamente dal Cristo, per intuire parti di verità cristallizzate dal disuso e riscoperte man mano che alla luce della storia la comprensione del vangelo «matura» (il «maturetur» di Dei Verbum 12); e l’azione dello Spirito è dimostrata non dall’adozione di un composto galateo ecclesiastico, ma dalla capacità di parlare alle vite concrete della fede concreta. Eppure da quei principi non è disceso nulla: o almeno nulla che facesse capire che la differenza fra un vescovo e un Luca Casarini non viene da una logica di casta, ma dal fatto che la consacrazione episcopale rende il vescovo voce della communio ecclesiarum, senza la quale la policromia delle Chiese diventa federalismo degli estranei.

La preoccupazione del Papa di non sottoporre al sinodo atti precotti (come accadeva nei sinodi da Paolo VI a Benedetto XVI) ha portato la segreteria ad una ossessione «metodologica». Gli ottimisti dicono che questo ha evitato il conflitto che ci si attendeva, specie su temi collocati noiosamente sotto la cintola. I pessimisti dicono che lo ha rinviato. I realisti dicono che non dovendo discutere si è accantonato il problema dei problemi che è la prossimità fra vescovi e teologi: è grazie a quella che hanno funzionato i grandi appuntamenti conciliari della Chiesa con la storia, come il Vaticano II e il Tridentino, durante il quale i vescovi dovevano assistere alla discussione dei teologi prima di prendere la parola e di votare.

Il sistema dei tavoli tematici in cui ciascuno dice ciò che pensa e poi ciò che ha capito degli altri, ha tacitato i saperi (esegetici, storici, canonistici); ha dunque sedato la fobia romana per i vescovi «transalpini»; e ha silenziato il goffo partito dei dubia, che vorrebbe bocciare il Papa all’esame di cattolicesimo. Ma ha anche fatto sì che gli interventi plenari della durata di tre minuti abbiano prodotto un torrente di pensieri frammentati: un lungo tik-tok chiesastico, nel fluire del quale nessuno capisce dove si vada o si debba andare.

Christoph Theobald, il teologo di maggior rango al sinodo, lo aveva descritto in un libro in uscita come «un nuovo concilio che non dice il suo nome» (cioè non si definisce come concilio). Che però stiamo assistendo ad un Vaticano III di piccola taglia, capace di guarire le molte lividure che la Chiesa ha conosciuto e s’è inflitta durante gli ultimi tre pontificati, non è certo. Il sinodo, infatti, è lo strumento con cui la comunione espressa nell’atto liturgico produce decisioni con le quali la Chiesa confessa che «non è il vangelo che cambia, ma siamo noi iniziamo a comprenderlo meglio» (Roncalli). Ma ad oggi l’unica decisione presa è stata quella di posporre tutto al 2024 senza dir nulla sulla intersessione, che è il momento cruciale.

Per evitare dunque che il 2024 deliberi sul niente o precipiti posizioni che riconsegnerebbero alla Suprema Autorità il compito di dire se un orientamento è «ideologico» (quando una cosa non gli piace, Francesco dice così) o meno, serve comprendere che il sinodo si prolunga durante l’intersessione e richiede molto pensiero, molta saggezza, molta fiducia.

Non è un problema nuovo: fu così fra il primo e il secondo periodo del Vaticano II quando lavorò una commissione di coordinamento e quando Paolo VI scelse quattro «moderatori» dotati dei poteri di dirigere la discussione, aprire sessioni di voto, sottoporre quesiti, così da evitare che il dibattito si avvitasse su se stesso; ripensare quegli strumenti per l’intersessione sinodale è forse il solo modo per evitare che la Chiesa appaia, nel piissimo silenzio in cui il sinodo s’è chiuso, presa dai fatti propri, mentre il mondo brucia in attesa della Parola che salva.

Alberto Melloni               “Corriere della Sera”    26 ottobre 2023

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