NEWS UCIPEM n. 564 – 20 settembre 2015

 NEWS UCIPEM n. 564 – 20 settembre 2015

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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ADOZIONI INTERNAZIONALI    Ai.Bi. in Romania. Accoglienze possibili solo per coppie miste.

AFFIDO CONDIVISO                      Il marito infedele può avere l’affidamento dei figli.

CASA FAMILIARE                          Assegnata al genitore già convivente collocatario dei minori.

CHIESA CATTOLICA                     I motu proprio, i fallimenti, i processi.

Sinodo, per gli sposi nuova responsabilità?

                                                            Perché no. «Non cediamo a suggestioni volute da certi».

Perché sì- «Procreazione responsabile? Rispettiamo tutti».

CINQUE PER MILLE                      5 per mille 2013, partiti i primi 40 bonifici.

5 per mille arretrati? Ecco come ottenerli.

CONSULTORI FAMILIARI                       San Miniato. Convegno “Il legame creativo”.       

CONSULTORI Familiari UCIPEM Cremona Avviso genitori separati – LR 24 Giugno 2014 n.18.

                                                           Trento. Da 50 anni ci prendiamo cura delle relazioni.

DALLA NAVATA                            25° domenica del tempo ordinario – anno B -20 settembre 2015.

FORUM ASS.ni FAMILIARI                       Famiglia, buona notizia per l’uomo e la società.

Legge di stabilità 2016, “ne serve una family friendly”.

FRANCESCO vescovo di ROMA    Famiglia si salvi da colonizzazioni ideologiche.

GENDER                                           Ministra Giannini: il gender non entra a scuola.

MADRI lavoratrici dipendenti         Mobbing post-parto.

NULLITÀ MATRIMONIALE         Lettera Apostolica data Motu Propri Mitis Iudex Dominus Iesus.

Vietato chiamarlo divorzio. Ma quanto gli somiglia.

Regole procedurali per la trattazione delle cause di nullità.

{Note per i consultori familiari di ispirazione cristiana}

I canoni del Codice di diritto canonico sostituiti.

Nullità matrimoniale: la riforma “prudente” di papa Francesco.

PARLAMENTO                                Camera 2° Commissione Giustizia. Affido familiare.

Senato 2° comm. Giustizia. Disciplina delle unioni civili.

SINODO SULLA FAMIGLIA          Resi noti i nomi dei partecipanti al Sinodo di nomina pontificia.

Il cammino sinodale. Una rilettura in corso d’opera.

Il sacramento del matrimonio è un percorso di conversione.

UCIPEM                                            Assemblea dei Consultori Soci il 2 ottobre 2015 a Roma.

WELFARE                                        Quando la scuola permette alle mamme di lavorare.

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Ai.Bi. riaccreditata in Romania. Per ora accoglienze possibili solo per coppie miste.

(…) Grazie al riaccreditamento valido fino al prossimo settembre 2016, Ai.Bi. varca nuovamente il confine da quando l’Autorità Centrale della Romania (ORA) ha deciso di riaprire le adozioni internazionali chiuse dal 1 di gennaio 2005 (quando è entrata in vigore la Legge 273/2004 sul regime giuridico delle adozioni), e di esaminare nuovi dossier a partire da settembre 2013.

            Il riaccreditamento di Ai.Bi. in Romania è una grande opportunità: un minore proveniente dal Paese dei Carpazi può essere adottato in Italia solo da coppie miste (con un genitore italiano e uno rumeno) o da coppie sue connazionali (con entrambi i genitori rumeni) che possono quindi adottare nel proprio Paese d’origine.

            Per intraprendere l’iter adottivo in Romania è necessario essere in possesso del decreto d’idoneità, emesso dal Tribunale per i Minorenni territorialmente competente. I requisiti fondamentali stabiliti dalla legge sono: i coniugi devono essere sposati da almeno 3 anni o aver convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di 3 anni.  La differenza di età tra i coniugi e l’adottato deve essere compresa tra i 18 e i 45 anni. Questo limite può essere derogato per i coniugi che adottano due o più fratelli, se esiste già un figlio naturale minore in famiglia o quando uno solo dei due coniugi supera il limite massimo di età, in misura non superiore a 10 anni.

            Ottenuta l’idoneità dal Tribunale per i minori, la coppia avrà un anno di tempo per conferire mandato ad uno degli Enti Autorizzati dalla Commissione delle Adozioni Internazionali al fine di espletare l’iter adottivo. Secondo la legislazione rumena sono eleggibili per l’adozione internazionale i bambini per i quali non è stato possibile identificare una famiglia adottiva residente in Romania, entro un periodo di 2 anni dalla sentenza irrevocabile di approvazione dell’apertura della procedura di adozione nazionale. I bambini adottabili hanno quindi non meno di 3 anni.

            Una grande occasione dunque per la popolazione rumena residente nel nostro Paese che sfiora il milione di persone: nel 2012, secondo i dati Istat, toccava quota 933.354. Facile capire, quindi, quanto possa essere probabile per un bambino romeno abbandonato o orfano trovare una nuova famiglia in Italia.

            Infine alcuni dati che rincuorano su una lenta ma costante ripresa delle adozioni dai Paesi dell’Est. Nei primi 7 mesi del 2015 i minori stranieri provenienti dalle zone orientali del Vecchio Continente e accolti da famiglie italiane che avevano affidato il mandato ad Ai.Bi. sono stati 33. Ben 14 in più di quelli la cui adozione si era conclusa nello stesso arco di tempo del 2014, quando ci si fermò a 19. Un aumento del 73,7% che lascia ben sperare per il destino di una realtà tanto affascinante quanto in serio pericolo come l’adozione internazionale in Italia. (…)(

Ai. Bi.  16 settembre 2015                                        www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO CONDIVISO

Il marito infedele può avere l’affidamento dei figli.

Tribunale di Milano, nona Sezione civile, ordinanza 9 luglio 2015.

L’affidamento condiviso dei figli resta la regola anche nei casi di tradimento: una cosa sono i rapporti tra coniugi, un’altra quelli tra genitori e figli. Una cosa è la violazione dei doveri del matrimonio, un’altra quella degli obblighi di genitore. Per cui se anche l’uomo (o la donna) abbia violato il dovere di fedeltà all’altro, ben potrebbe essere un ottimo genitore. Così, deve essere ammesso l’affido condiviso dei figli anche se uno dei due coniugi abbia commesso ripetuti tradimenti. Lo ha detto il tribunale di Milano.

Non è ammissibile – si legge nel provvedimento – che un marito eventualmente fedifrago sia consequenzialmente un padre inadatto: i rapporti “orizzontali” tra marito e moglie sono una cosa ben distinta e separata da quelli “verticali” tra genitori e figli.

            La violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio è certamente sanzionabile con l’addebito e finanche, nei casi in cui l’infedeltà abbia leso la dignità dell’altro coniuge, con il risarcimento del danno; ma non giustifica affatto l’affidamento esclusivo della prole a uno solo dei genitori o una limitazione del diritto di visita del genitore traditore.

            Non solo: la madre che strumentalizza l’infedeltà del marito come scusa per incidere sul rapporto tra padre e figli facendo in modo che questi disprezzino il proprio genitore e non vogliano più vederlo, pone in essere una condotta scorretta e non allineata ai doveri genitoriali, come tale valutabile anche ai fini dei più gravi provvedimenti del tribunale come l’ammonizione del genitore, il risarcimento del danno, la sanzione amministrativa pecuniaria ed, nei casi più gravi, la revoca dell’affidamento.

            Altri giudici, in passato, si sono spinti ad affermare che anche il genitore con problemi psichiatrici non può essere di per sé dichiarato inadeguato ad avere un rapporto con il figlio: stabilire l’affidamento esclusivo del minore sulla mera base della patologia di cui il genitore risulta portatore equivarrebbe a decidere in base a pregiudizi che il “marchio” della malattia si porta dietro.

            Similare è il discorso per chi violi l’obbligo di fedeltà: non perché non ha rispettato il proprio coniuge deve essere considerato inadeguato a intrattenere rapporti autonomi con il minore e debba vederlo soltanto nella ex casa coniugale. Anche perché, nelle decisioni sull’affidamento dei bambini, a spostare l’ago della bilancia non devono essere le colpe del genitore verso l’altro coniuge, ma l’interesse del minore. Dunque, solo colui che si sia macchiato di gravi colpe verso la propria prole può essere limitato nel suo diritto di visita e negli aspetti decisionali sulla vita dei figli.

            Quanto alla possibilità che le visite ai minori avvengano anche in presenza del nuovo compagno/a del genitore, è meglio soprassedere almeno nelle prime fasi della separazione, per poi introdurre gradualmente la nuova figura sconosciute nella vita dei bambini. E ciò perché altrimenti il figlio potrebbe addebitare loro la fine del matrimonio fra i genitori iniziando a nutrire rancori o sentimento verso chi ha un’altra relazione.

Redazione La legge per tutti 14 settembre 2015

            www.laleggepertutti.it/96926_il-marito-infedele-puo-avere-laffidamento-dei-figli

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CASA FAMILIARE

La casa familiare è assegnata al genitore già convivente collocatario dei predetti minori.

            Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenzan. 17971, 11 settembre 2015.

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il genitore collocatario dei figli minori, nonché assegnatario della casa familiare, esercita sull’immobile un diritto di godimento assimilabile a quello del comodatario, la cui opponibilità infranovennale è garantita, pur in assenza di trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione, anche nei confronti dei terzi acquirenti consapevoli della pregressa condizione di convivenza.

Corte suprema di Cassazione           20 settembre 2015

www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/det_civile_prima_sezione.page;jsessionid=0E249F524D49920375DAA7E959AF9A03.jvm1?contentId=SZC1756

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CHIESA CATTOLICA

            I motu proprio, i fallimenti, i processi.

            Il processo ordinario e il processo breve sono davvero necessari?

Per capire questa domanda è utile partire un po’ da lontano andando al vecchio can. 1676 del CIC, ancora in vigore fino al prossimo 8 dicembre 2015, che così suona: “Il giudice prima di accettare la causa ed ogniqualvolta intraveda una speranza di buon esito, faccia ricorso a mezzi pastorali, per indurre i coniugi, se è possibile, a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale (coniugalem convictum)”. Questo canone del codice latino è identico al vecchio can. 1362 del CCEO (codice orientale) con l’unica differenza che invece di “convivenza coniugale” si dice “il consorzio della vita coniugale (consortium vitae coniugalis)”.

            Il senso del canone è abbastanza chiaro: il giudice è tenuto a fare tutto il possibile – supposta una speranza di buon esito – perché, anche se il matrimonio è nullo, possa essere convalidato e ristabilito sul piano della convivenza. In altre parole, l’idea sottesa al canone è che, anche se il matrimonio fosse nullo o ci fosse un serio dubbio di nullità, nel caso sia possibile convalidarlo il giudice deve cercare di farlo. C’è sotto una logica del tutto coerente con la convinzione che la nullità sostanziale di un matrimonio può essere talvolta sanata o rimediata dalla volontà pur sempre coniugale dei due sposi.

            Questi due canoni, in forza dei due motu proprio di papa Francesco emanati il 15 agosto e recentemente pubblicati, sono stati integralmente sostituiti da altri due canoni, esattamente coincidenti, il nuovo canone 1675 del Codice latino e il nuovo canone 1361 del Codice orientale. Il testo suona così: “Il giudice, prima di accettare la causa, deve avere la certezza che il matrimonio sia irreparabilmente fallito, in modo che sia impossibile ristabilire la convivenza coniugale (Iudex, antequam causam acceptet, certior fieri debet matrimonium irreparabiliter pessum ivisse, ita ut coniugalis convictus restitui nequeat)“. Il giudice, dunque, prima d’istruire la causa di nullità deve essere certo che il matrimonio sia finito: la formula latina (pessum ire) indica la distruzione o la fine di una cosa; la versione italiana “irreparabilmente fallito” ha lo stesso significato. Si sottolinea, tra l’altro, che la prova evidente di tale fallimento è che non è possibile ristabilire la convivenza (convictus).

            Con i due motu proprio dunque il giudice ha innanzitutto il compito di stabilire l’irreparabile fallimento del matrimonio. Considerate le regole procedurali aggiunte in calce ai motu proprio s’intende probabilmente che tale certezza è raggiunta attraverso l’indagine pastorale o pregiudiziale, una cosa nuova e di grande valore specie se verrà sottolineato il suo senso pastorale e non verrà ridotta a un’indagine giudiziaria un po’ meno ufficiale e formale.

Alla luce di questa annotazione ci si può chiedere se sia davvero necessario fare tutto il processo – ordinario o breve che sia – per stabilire la nullità.

            Ci si chieda infatti: la nullità eventualmente stabilita per processo o la validità eventualmente riaffermata attraverso il processo cambierà forse il fatto stabilito in partenza e con certezza che il matrimonio è irreparabilmente fallito? Evidentemente no. Anzi, c’è il rischio che per evitare di riaffermare valido un matrimonio che è chiaramente finito si sforzino i casi di nullità all’estremo come sembra intuirsi dagli esempi fatti alla regola procedurale 14 §1: la giuridizzazione del matrimonio diventerebbe così piena. E allora, sarebbe molto meglio per la Chiesa se invece d’impegnarsi nei processi – che configurano sempre giuridicamente la materia matrimoniale, brevi o lunghi che siano – prendesse atto della fine del matrimonio, l’irreparabile fallimento (o come diceva papa Francesco nell’udienza del 5 agosto: “irreversibile fallimento del legame matrimoniale”, “fallimento del matrimonio sacramentale”) e dedicasse le proprie forze ad aiutare pastoralmente i fedeli in difficoltà perché camminino verso il futuro, sanando per quanto possibile le ferite del passato, vivendo più intensamente la propria fede nella Chiesa, attuando responsabilmente la nuova unione nella consapevolezza certo del proprio peccato ma anche nella speranza fiduciosa di poter realizzare nella Chiesa una nuova esperienza significativa di quella comunione d’amore che è il senso “unitrinitario” della vita dell’uomo.

            Se un matrimonio è irreparabilmente finito, la cosa migliore è prenderne atto, sanare le ferite e i feriti di qualunque parte, preparare un futuro più serio, più profondamente ecclesiale, più autenticamente vissuto nella luce del Vangelo.

            Prof. Basilio Petrà, professore ordinario di teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia centrale e associato di morale ortodossa presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma.           14 settembre 2015

http://ilregno-blog.blogspot.it/2015/09/i-motu-proprio-i-fallimenti-i-processi.html?spref=tw

 

Sinodo, per gli sposi nuova responsabilità?

Sessualità, coniugalità, fecondità, regolazione delle nascita. Temi di grande urgenza che saranno, tra tanti altri, nell’agenda dei padri sinodali. Ma, a differenza di altri argomenti di natura più specificamente ecclesiale, il rapporto tra amore e generazione fa parte della vita concreta delle persone, esprime in profondità il senso dell’esistenza, rappresenta quel confine delicatissimo tra linguaggio del corpo e categoria del mistero, parla di fiducia nel futuro e di investimento affettivo e relazionale.

            Non poteva quindi rimanere senza conseguenze la riflessione avviata da una trentina di teologi su mandato del Pontificio Consiglio per la famiglia che, nei mesi scorsi, hanno dato vita a due sessioni di studi di grande interesse. Obiettivo quello di aprire un dibattito a viso aperto sugli argomenti fondamentali già affrontati dal Sinodo straordinario dell’ottobre scorso e in vista dell’assemblea ordinaria dei vescovi che si aprirà tra pochi giorni. Gli esperti hanno dato concretezza a un preciso mandato del Papa che aveva chiesto di utilizzare questi “mesi intersinodali” per confrontarsi in modo trasparente.

            E così è stato, anche a rischio di suscitare sorpresa agli occhi di qualche fedele convinto che la dottrina cristiana sia un monolite inscalfibile. Basterebbe conoscere un po’ la storia della Chiesa per scoprire che non è così. Giusto quindi – anche perché questa era la volontà espressa da Francesco – discutere e proporre modalità pastorali diverse e più rispondenti alla sensibilità e agli stili di vita delle coppie dei nostri giorni. Non per annacquare o per impoverire il magistero su matrimonio e famiglia, ma per scoprire nell’immenso deposito di fede e di sapienza della Chiesa, percorsi più adeguati per riproporre le verità di sempre. Tre gli ambiti affrontati da teologi, canonisti, pastoralisti provenienti da varie nazioni: sacramento del matrimonio e giovani, coniugalità e sessualità, divorziati risposati. Di ogni incontro abbiamo dato ampio resoconto, sia per l’importanza e l’originalità delle tesi espresse, sia perché i due convegni voluti dall’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, sono risultati il momento di dibattito più alto di questi mesi.

            Come detto, il tema che ha suscitato le maggiori reazioni è stato quello riguardante sessualità, coniugalità e generazione. La tesi di fondo di don Maurizio Chiodi, docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano, incaricato di aprire il dibattito con una proposta articolata – che ha incontrato il largo favore dei suoi colleghi – ha però innescato un confronto vivace anche tra i nostri lettori. Cosa ha detto in sostanza don Chiodi? Ha spiegato che il compito di una teologia morale seria non è quello di inseguire novità alla moda o facili accomodamenti ai costumi, ma di pensare in modo rigoroso e sistematico le forme dell’agire buono dei credenti, anche nell’ambito della sessualità, alla luce della verità della rivelazione, nelle concrete condizioni storiche.

            Partendo dall’inscindibile connessione tra sponsalità e generazione, affermata dall’Humanae vitae, la proposta teologica, cui ha dato voce, ha inteso porsi in perfetta continuità – come da lui stesso spiegato – con l’enciclica di Paolo VI. Il suo elemento innovativo sta nel non far coincidere necessariamente, o a priori, il legame tra sponsalità e generazione con la norma dei metodi naturali. Una scelta, beninteso, che conserva tutto il suo valore. Ma occorre lasciare alla libertà della coscienza degli sposi – rettamente formata – la possibilità di superare l’identificazione tra esperienza morale ed esecuzione del precetto, perché non si può escludere che in questa scelta ci sia un bene che è più rilevante del metodo stesso.

            Considerazioni che hanno spinto decine di lettori a scriverci, quasi ugualmente divisi tra favorevoli e contrari. Tra questi ultimi una massiccia presenza di insegnanti di metodi naturali. Nell’impossibilità di pubblicare tutte le lettere, ne abbiamo scelte due, rappresentative di entrambe le posizioni. Il dibattito sul tema, per quanto ci riguarda, finisce qui. Anche perché, tra pochi giorni, a parlare saranno i padri sinodali

Luciano Moia             avvenire         14 settembre 2015

www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/nozze-e-fecondita-sposi-responsabili.aspx

Perché no. «Non cediamo a suggestioni volute da certa propaganda».

Gentile direttore, desidero aggiungere all’argomento “Matrimonio e vita sessuale” riportato su Avvenire del 29 luglio e dell’8 agosto, la mia esperienza, quale docente di fisiologia umana, riguardo al capitolo della riproduzione, che approfondivo con un corso su “Principi di regolazione naturale della fertilità”. Corso frequentatissimo e apprezzato sia dalle ragazze, che si cimentavano a riconoscere – su loro stesse – quei “sintomi” e “segni” che il corpo invia durante la rivoluzione ormonale ciclica tipica dell’ovulazione, che i ragazzi, non solo come futuri medici possibili operatori nel settore, ma anche come soggetti parte in causa nella realizzazione di una futura relazione armonica, tra l’imperturbabile stabilità ormonale maschile, e la ciclicità femminile.

I figli si fanno (o non si fanno) in due, così come in due si condivide il piacere, la gioia ed il sacrificio. L’equilibrio del sistema femminile stupisce e le sue perturbazioni da comportamenti disordinati (fumo, droghe, alcol, palestre esagerate, diete allo sbando, notti insonni e anche molecole chimiche contraccettive/controgestative) preoccupano, così come gli stress che la vita moderna sembra irrimediabilmente imporre. L’ecologia del rapporto affascina e rende consapevoli di come il carico d’inquinamento – oggi proposto con una certa ovvietà e innocuità – non sia condiviso ma pesi solo sul corpo della donna.

Entrando nel merito dell’intervista al teologo don Maurizio Chiodi mi stupisce la maniera sbrigativa e sinceramente superficiale di alcune sue affermazioni inerenti il «primato della libertà illuminata dalla coscienza», che condividerei in linea di principio, se la coscienza non fosse oscurata dall’ignoranza e/o dalla menzogna ampiamente propagandata. Il livello d’informazione, sul questo tema, registrato per oltre vent’anni nella popolazione di studenti dai 22-24 anni e al terzo anno di studi medici, era purtroppo deludente – non tanto per la (ir)responsabilità dei giovani – quanto piuttosto per la (dis)informazione martellante veicolata dalla propaganda; se poi questa misura la valutassimo per tutta la popolazione studentesca, troveremmo la stessa, se non maggiore, ignoranza, rendendo difficile sostenere che vi sia nella giovane popolazione una diffusa coscienza formata e retta, tale da illuminare scelte libere.

Una seconda affermazione riguarda l’inclusione, tra i comportamenti che «custodiscono un modo buono di vivere l’esperienza della generazione» oltre alla contraccezione, la procreazione assistita. Qui la questione si sposta sul figlio e sulla sua vita. La contraccezione, che don Chiodi presumo intenda ormonale e/o strumentale come la “pillola” e la spirale, non impedisce, con probabilità variabile per il limite insito nei mezzi e per la variabilità umana, che avvengano concepimenti che per lo più finiscono miseramente in aborti spontanei.

La Fivet infine, che si propone di ottenere un figlio, è una questione ancora più grave (indipendentemente da altre considerazioni di cui non c’è qui spazio per enumerarle) poiché per i suoi limiti tecnici, sperimentati da quasi 40 anni, se è vero che ha “prodotto” un milione di nati, ha lascia sul campo ben cinque milioni di morti ed un numero imprecisato di embrioni congelati. Non è questo un modo buono di vivere l’esperienza della generazione ma, di fatto, è un embrionicidio il cui peso ancora una volta ricade sulla donna.

Si racconta che Madre Teresa mentre compieva con le sue seguaci le molte note opere di carità, anche insegnava alle coppie di ogni etnia in terra di missione i metodi di regolazione naturale della fertilità promuovendo, insieme alla dignità e salute della donna, un modo buono di vivere l’esperienza coniugale. Se c’è stato un vuoto ed un ingiustificato ritardo nella formazione, in ambito della pastorale familiare e giovanile nella Chiesa, ritengo che dipenda dalla prevalenza, se non esclusiva dominanza, di operatori uomini.

            Daniela Musumeci, docente Fisiologia umana – Università Pisa                14 settembre 2015

www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/nozze-e-fecondita-perche-si.aspx

Perché sì- «Procreazione responsabile? Rispettiamo tutte le scelte»

            Gentile direttore, la ringrazio per le pagine che Avvenire sta dedicando alle tematiche famigliari trattate dal Sinodo. Un arricchimento umano e teologico che aiuterà non solo i sacerdoti, ma anche laici e famiglie, che sono così diverse, problematiche, ma ricche di passione e di desiderio di riconoscimento nella società e nella Chiesa. Mi hanno impressionata (sì, proprio impressionata!) le lettere pubblicate l’8 agosto, in riferimento anche molto polemico alla sintesi dell’intervento del teologo don Maurizio Chiodi sulla procreazione responsabile. Mi son detta: «Ma questa è una minoranza di laici praticanti, perché la maggioranza».

            Sono pediatra e lavoro da anni con tante famiglie. Conosco le difficoltà di procreazione (aumentata la sterilità dei singoli e di coppia), di gestione dei figli nati in rapida successione, il dramma di avere figli disabili più o meno gravi, le difficoltà per l’adozione e le possibilità di una “buona” fecondazione assistita. I metodi naturali così semplici ma impegnativi non sono possibili per numerose coppie: quando i bimbi malati richiedono assistenza notturna, quando una gravidanza si rinvia per motivi di salute materna, quando deve essere evitata per patologie genetiche familiari, quando i mariti si assentano per lavoro per periodi ripetuti, quando… Insomma, ogni famiglia è una storia a parte.

            Ogni coppia percorre una strada familiare, un percorso sociale o un cammino di fede diverso uno dall’altro. Ma il comune denominatore che riscontro tra le centinaia di famiglie che seguo ora o conosciute nel passato è il desiderio di essere accolte “come sono” con le loro fatiche, i loro drammi, le loro incapacità a gestire i figli. Le loro fragilità.

            Ci sono poi le mamme che dopo il secondo o terzo parto cesareo, devono assolutamente evitare un’altra gravidanza, praticando tecniche chirurgiche note (perché di rottura d’utero si muore in pochi minuti!). Ebbene, proprio queste mamme, alcune amiche o conoscenti, sono piene di vita, attive in parrocchia, nei gruppi di volontariato, nel disagio sociale o tra i ragazzi. Fanno parte attiva nelle parrocchie. Sono cristiane “vere”.

            Che cosa voglio dire, gentile direttore, ad altri amici lettori? Dal piccolo angolo di mondo in cui lavoro, le diverse tecniche che possono aiutare una procreazione “responsabile” delle famiglie così diverse tra loro sono una “buona” possibilità per rendere le coppie unite, per aiutare le famiglie, per accogliere i figli veramente con amore e responsabilità. Molte mamme di disabili gravi vorrebbero altri figli, ma la loro vita così dedita al figlio fragile non lo permette, nonostante gli aiuti di molti. Non è vero che solamente le coppie che utilizzano i metodi naturali «mettono la vita sempre al primo posto… che solamente questi metodi sono moralmente buoni… che queste coppie sono le sole disponibili ad aprirsi alla vita…». Come scritto, anche con indignazione, nelle lettere di cui sopra.

            C’è molto bene, molta vita, molta fatica, ma anche molto amore nelle coppie, che sono la maggioranza, che pensano in modo diverso una procreazione responsabile, nella vita moderna così concreta e faticosa per le famiglie! Termino con un ringraziamento al teologo Chiodi: la Chiesa, anche italiana, ha bisogno di idee, di proposte, di pensieri nuovi per una pastorale familiare che sia di aiuto e di sostegno alle famiglie di oggi. Il coraggio dei teologi che mettono in luce atteggiamenti diffusi tra i cristiani di oggi deve essere premiato con un surplus di riflessione e di ricerca da parte di tutta la Chiesa, laici e consacrati insieme. L’utilizzo dei metodi naturali può essere l’obiettivo e il traguardo per alcune coppie cristiane, ma non può essere il percorso iniziale o intermedio di altre. Che sono oggi la maggioranza. Che il Sinodo della Chiesa ci aiuti a capire che il bene per ogni singolo uomo e per ogni famiglia, non è limitato al rispetto formale di norme forse desuete, ma è/sarà sempre l’aiuto concreto a vivere con il “cuore” la famiglia di oggi, quella del terzo millennio.

Elisabetta Musitelli pediatra 14 settembre 2015

www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/perche-si-sessalita-fecondita.aspx

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CINQUE PER MILLE

5 per mille 2013, partiti i primi 40 bonifici.

Il Ministero del Lavoro ha dato il via libera definitivo per i primi enti che hanno diritto a ricevere oltre 500mila euro destinati dagli italiani due anni fa. Gli altri dovranno ancora attendere

www.vita.it/it/article/2015/09/15/5-per-mille-2013-partiti-i-primi-40-bonifici/136529

            5 per mille 2015. Remissione in bonis entro il 30 settembre. E’ il termine per la regolarizzazione della domanda di iscrizione o di successive integrazioni documentali, per gli enti ritardatari interessati a partecipare al riparto della quota del cinque per mille dell’Irpef per l’esercizio finanziario 2015.

            Vi ricordiamo che possono partecipare (articolo 2, comma 2, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16) al riparto delle quote del cinque per mille 2015 anche gli enti ritardatari, ossia i soggetti che non hanno presentato la domanda di iscrizione oppure che hanno omesso la trasmissione della documentazione integrativa entro i termini stabiliti.

            Gli enti ritardatari devono presentare le domande di iscrizione e le successive integrazioni documentali entro il 30 settembre 2015, versando contestualmente una sanzione di importo pari a 258 euro utilizzando il modello F24 con il codice tributo 8115 (risoluzione n. 46 del 11/05/12).

            I requisiti sostanziali richiesti per l’accesso al beneficio devono essere comunque posseduti alla data di scadenza della presentazione della domanda di iscrizione relativa a ogni settore.

Nel dettaglio, per regolarizzare è necessario:

1) Enti del volontariato (ONLUS, Associazioni di promozione sociale, Associazioni e fondazioni riconosciute): devono presentare la domanda di iscrizione nell’elenco degli “enti del volontariato”; trasmettere alla competente Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, attestante il possesso dei requisiti per l’iscrizione, con allegata la copia del documento del sottoscrittore; pagare contestualmente una sanzione di EUR 258,00. La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con allegata la fotocopia non autenticata del documento d’identità del sottoscrittore, deve essere inviata, tramite raccomandata A/R o a mezzo PEC, alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate nel cui ambito si trova la sede legale dell’ente. (…)

            La sanzione di EUR 258,00 deve essere versata con Mod. F24 (senza possibilità di effettuare compensazione con crediti eventualmente disponibili e senza possibilità di ravvedimento).

            http://www.agenziaentrate.gov.it

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=6399

5 per mille arretrati? Ecco come ottenerli.

Il Ministero del lavoro pubblica le istruzioni per ricevere i contributi precedenti all’annualità 2013 nel caso le associazioni non abbiano comunicato l’IBAN corretto o abbiano omesso altri dati bancari. Procedure non semplici, ma che vale la pena di tentare. A disposizione anche una mail per avere chiarimenti

State ancora aspettando di incassare il 5 per mille di annualità precedenti al 2013 e non sapete come fare? Non disperate. Il Ministero del Lavoro pensa a voi e ha messo a disposizione delle associazioni un’utile pagina in cui spiega per filo e per segno come poter ottenere il dovuto arretrato. Sia chiaro, la responsabilità non è del ministero, ma nella stragrande maggioranza dei casi degli enti beneficiari, che omettono di comunicare i dati bancari o li comunicano errati, o cambiano banca di anno in anno senza aggiornare gli Iban. C’è da dire anche che aspettare due anni per ricevere il contributo non è da paese normale, e attenderne quattro o cinque è addirittura assurdo. Ma meno male che gli strumenti per sanare la situazione esistono, come spiega appunto il Ministero.

Normalmente, si legge sul sito, dopo aver pubblicato gli elenchi degli aventi diritto l’Agenzia delle Entrate trasmette al Ministero del Lavoro gli elenchi stessi completi di IBAN dei conti corrente per poter effettuare i bonifici (di solito 4). Da questi elenchi mancano però ovviamente gli enti che non hanno comunicato le coordinate, e gli enti il cui pagamento è sospeso in attesa dell’esito dei controlli sui requisiti di ammissibilità. Chi non ha comunicato l’IBAN perchè non ha un conto corrente e ha diritto a meno di 1000 euro si vedrà erogato il contributo direttamente dal Ministero del Lavoro in contanti presso la cassa della Tesoreria provinciale della Banca d’Italia. Gli altri enti cosiddetti “NoIBAN” devono inoltrare apposita richiesta al Ministero stesso (modulo NoIBAN), come spiegato appunto nella stessa pagina.

Chi invece ha modificato il codice IBAN nel corso dell’anno e non lo comunica all’Agenzia delle Entrate, vedrà parcheggiato il proprio contributo su un conto speciale presso la Banca d’Italia o presso l’Ispettorato Generale per la Finanza delle Pubbliche Amministrazioni (IGEPA) dove resta disponibile per il pagamento fino al termine all’esercizio finanziario successivo a quello in cui è stato stornato. Oltre tale termine, spiega il Ministero, i contributi residui non pagati non sono più disponibili sul bilancio dello Stato, ma non sono persi, in quanto iscritti tra le passività del patrimonio dello Stato e potranno essere erogate entro i dieci anni successivi dietro richiesta di reiscrizione in bilancio del legale rappresentante dell’ente.

Non avete capito granché? Non preoccupatevi. A vostra disposizione, oltre a una ricca sezione modulistica, c’è anche un indirizzo email a cui scrivere per avere delucidazioni:      Quesiti5perMille@lavoro.gov.it

Gabriella Meroni                   9-15 settembre 2015

www.vita.it/it/article/2015/09/09/5-per-mille-arretrati-ecco-come-ottenerli/136441

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CONSULTORI FAMILIARI

                        San Miniato. Convegno “Il legame creativo”.

Il Consultorio Familiare Diocesano “Alberto Giani” promuove un convegno pubblico che si terrà a San Miniato sabato 26 settembre presso il Conservatorio di S. Chiara sul tema “Il legame creativo nelle relazioni familiari e di aiuto”.

Il Convegno si propone di approfondire e creare uno spazio di riflessione sul tema del legame nella relazione familiare e di aiuto. Il tema è affrontato in un’ottica divulgativa e multidisciplinare, con particolare attenzione agli aspetti psicologici, antropologici, relazionali e si rivolge a quanti, professionisti della relazione d’aiuto, ma anche educatori e genitori, vivono il legame familiare e hanno a cuore il tema del miglioramento e della crescita nelle relazioni interpersonali. Il programma del convegno prevede al mattino le relazioni tenute da psicanalisti ed esperti dell’equipe del Consultorio Familiare, mentre nel pomeriggio i partecipanti rifletteranno sul tema attraverso laboratori di discussione

Per informazioni e iscrizioni al convegno, questi i recapiti a cui rivolgersi: consultorio familiare diocesano “Alberto Giani” Via Matteotti, 139 – San Romano (PI) – Tel. 0571.844511 – Cell. 328.1575989

E-mail: consultoriofamiliare@diocesisanminiato.   Sito web: www.diocesisanminiato

Facebook:       www.facebook.com/consultoriofamiliare.diocesisanminiato

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

            Cremona Avviso genitori separati – LR 24 Giugno 2014 n.18

            “Norme a tutela dei coniugi separati o divorziati, in condizione di disagio, in particolare con figli minori”. L’ASL di Cremona apre un Avviso pubblico ai sensi della DGR n. 3384 del 10/4/2015 per la presentazione delle domande di contributo a tutela dei coniugi separati o divorziati, in condizioni di disagio, con figli minori o maggiorenni con grave disabilità, anche adottati durante il matrimonio.

Per accedere all’Avviso pubblico è necessario essere in possesso dei seguenti requisiti: (omissis)

La domanda corredata dalla documentazione richiesta va presentata, preferibilmente previo appuntamento, ai Consultori Familiari del territorio dell’ASL di Cremona, in relazione alla residenza degli interessati:

Consultorio Familiare pubblico di Cremona, Vicolo Maurino n.12, tel.0372-497798

Consultorio Familiare pubblico di Crema, Via Manini n.21, tel.0373-218220

Consultorio Familiare pubblico di Casalmaggiore, Via Azzo Porzio n.73, tel.0375-284161

Consultorio Familiare UCIPEM di Cremona, Via Milano n.5/b, tel.0372-20751 www.ucipemcremona.it

Consultorio Familiare Insieme per la famiglia di Crema, Via Ferracavalli n. 16, tel. 0373-82723

Consultorio Familiare privato Kappa Due di Crema, Via Della Fiera n.12, tel.0373-85536

            Le domande di contributo possono essere presentate a partire dal giorno 1 settembre 2015 fino al 30 settembre 2015.

www.aslcremona.it/TEMPL_infodet.asp?IDLivello1=66&IDLivello2=490&IDLivello3=0&IDLT=1&IDInfo=4217

Trento. Da 50 anni ci prendiamo cura delle relazioni.

Il consultorio è nato nel 1965, è stato il primo consultorio del Trentino e tra i primi in Italia. Oggi è l’unico consultorio privato accreditato dalla Provincia Autonoma di Trento. In questo mezzo secolo di storia abbiamo aiutato gratuitamente migliaia di famiglie, persone singole e in coppia, accogliendole e affiancandole nelle difficoltà delle loro relazioni; abbiamo cercato di migliorare i servizi offerti e di facilitare l’accesso di tutti, senza distinzione alcuna.

Vogliamo festeggiare questo importante momento con tutta la cittadinanza, la comunità trentina, i nostri partner, le associazioni, le istituzioni, i singoli, le coppie e le famiglie che si sono rivolte ai nostri servizi. Vogliamo festeggiare questo importante momento con tutta la cittadinanza, la comunità trentina, i nostri partner, le associazioni, le istituzioni, i singoli, le coppie e le famiglie che si sono rivolte ai nostri servizi.

Abbiamo organizzato due appuntamenti, gratuiti e ad accesso libero, per portare un po’ della nostra esperienza e della nostra storia all’attenzione di tutti.

  • Venerdì 25 settembre 2015 ore 20.30 Sala di Rappresentanza Regione Autonoma Trentino Alto Adige/Südtirol, Piazza Dante 16 – Trento

Tutto troppo presto! L’educazione sessuale nell’era di internet con Alberto Pellai – medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, Università degli Studi di Milano

Presenta Enrica Tomasi – presidente Consultorio Familiare Ucipem di Trento

  • Martedì 1 dicembre 2015 ore 20.30 Sala Falconetto, Via Belenzani 19 – Trento

Conferenza spettacolo Consultorio Familiare Ucipem: Una Storia. Tante Storie…

Monica Ronchini – ricercatrice Fondazione Museo Storico di Trento

Francesco Belletti –direttore Centro Internazionale Studi Famiglia di Milano

Associazione NasoNaso Social Clown

Introduce Fulvio Gardumi, giornalista

            Il libro che racconta i nostri primi 50 anni, presentato dall’autrice, ispirerà la riflessione di Francesco Belletti e l’interpretazione improvvisata e giocosa di attori professionisti.

www.ucipem-tn.it/wp-content/uploads/2015/09/Brochure_50anni-UCIPEM_nobord.pdf

Consultorio Familiare UCIPEM – onlus Via F. Ferruccio 1 38122 Trento

Tel. 0461 233004 – Fax 0461 223196                       consultorioucipem@virgilio.it                      www.ucipem-tn.it

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DALLA NAVATA

25° domenica del tempo ordinario – anno B -20 settembre 2015.

Sapienza         02, 17 «Vediamo se le sue parole sono vere, consideriamo ciò che gli accadrà alla fine».

Salmo             54, 06 «Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore sostiene la mia vita».

Giacomo         03, 16 «Dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni».

Marco             09, 32 «Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo».

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

                        Famiglia, buona notizia per l’uomo e la società.

Il sito del Pontificio consiglio per la famiglia ospita un commento all’Instrumentum laboris del prossimo Sinodo curato dal presidente Belletti e dal titolo “Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari, direttore del Cisf e Consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ci offre il suo commento al Capitolo II della Parte I dell’Instrumentum Laboris dal titolo “La famiglia e il contesto socio-economico”.

            “È un lettura da consigliare a tutti coloro che vogliono farsi un’idea veritiera dei temi del Sinodo, e che non si fidano delle riduzioni ideologiche di troppi media e opinion leader”, scrive l’autore riferendosi all’intero documento, che raccoglie e amplia i Lineamenta conclusivi del Sinodo 2014 e getta le basi per le riflessioni del sinodo di ottobre. Apprezza l’“attento e puntuale lavoro di avvicinamento alla realtà” presente nel testo che gli ha permesso di acquisire una dimensione concreta e reale avvicinandolo alla vita delle persone e alle sfide che quotidianamente si trovano ad affrontare nella società.

Belletti si sofferma in particolare sull’incipit del capitolo analizzato, dedicato alla “famiglia insostituibile risorsa della società”, mettendo in risalto il valore fondamentale e il ruolo insostituibile che la famiglia ha all’interno di essa, fonte di vita e di bellezza, oltre che di ricchezza, capace di far uscire l’uomo dall’isolamento, dalla solitudine e dalla povertà. Le grandi sfide che il mondo contemporaneo e il contesto socio-economico ci presentano, sostiene, possono essere dunque combattute da questa “Buona Notizia” della famiglia, un valore che illumina e riscalda, e che rimane saldo anche davanti agli attacchi esterni.

Ma, proprio in virtù di questo potenziale che racchiude al suo interno, la famiglia oggi è chiamata ad uscire e a testimoniare la sua bellezza, a dialogare con le istituzioni, ad immischiarsi nella società diventando generatrice per essa di bene comune, di vita buona e accoglienza a bellezza della famiglia: una buona notizia per l’uomo e per la società”. Il commento si sofferma in particolare sul Capitolo II della Parte I dell’Instrumentum Laboris che ha per titolo “La famiglia e il contesto socio-economico”.

www.familiam.org/famiglia_ita/chiesa/00011426_La_bellezza_della_famiglia__una_Buona_Notizia_per_l_uomo_e_per_la_societa.html

www.familiam.org/pcpf/allegati/11426/Testo_Allegato_Commento_Belletti.pdf

 

Legge di stabilità 2016, “ne serve una family friendly”.

Per il Forum delle associazioni familiari occorre modulare tutti gli interventi sulla base dei carichi familiari ed evitare paradossi come quello del bonus 80 euro. Il presidente Belletti: “Le famiglie non sono solo un costo”. Priorità assoluta: meno tasse su base familiare.

Una legge di stabilità 2016 “family friendly” che possa avere la famiglia come riferimento per modulare le proprie misure e non solo quelle a sostegno delle fragilità. È questo l’auspicio del Forum delle associazioni familiari in vista dell’imminente dibattito attorno ad un testo che stabilirà le priorità del paese per il prossimo anno. Per Francesco Belletti, presidente del Forum, serve soprattutto questo: “Un’attenzione ad una dimensione familiare che ci sembra ancora assente”. La famiglia, quindi, come parametro su cui modulare gli interventi, anche quelli più urgenti come la lotta alla povertà assoluta, ma senza dimenticare quelli sulle politiche fiscali. Tuttavia, racconta con un certo rammarico Belletti, l’Italia fa ancora fatica a mettere al centro la famiglia: “Niente di nuovo e nessuna responsabilità particolare per questo governo, ma permane una gestione fiscale ed economica pubblica che vede la famiglia soltanto come un consumatore o come un centro di costo”.

Per il Forum Famiglie allora il primo passo da fare è, senza dubbio, quello di un fisco a misura di famiglia. “La priorità assoluta che vorremmo sottolineare è un sostegno e un alleggerimento della pressione fiscale secondo i carichi familiari – spiega Belletti -. Misura che noi avevamo proposto con un modello di revisione dei carichi familiari che sembra abbastanza lontano dalle priorità agite”. Qualche segnale, però, c’è e arriva proprio dal dibattito aperto attorno ad un intervento necessario contro la povertà assoluta. “Le varie proposte in discussione sul sostegno economico alle condizioni di povertà ci vedono molto attenti – aggiunge -: non sarebbe male investire un po’ in legge di stabilità nel contrasto diretto della povertà. Solo che vorremmo che le misure immaginate siano modulate in funzione dei carichi familiari. Un conto è sostenere un adulto di 50 anni da solo o un giovane di 30 anni povero, un altro è sostenere una famiglia con tre figli”.

Secondo il Forum, rimodulare misure sulla famiglia, se solo lo si vuole, si può fare. Ma serve volontà politica. “Faccio l’esempio dei 10 miliardi di euro impiegati dal governo per i famosi 80 euro – aggiunge Belletti -. Sono stati tirati fuori una montagna di soldi per un obiettivo condivisibile, cioè l’alleggerimento della pressione fiscale del lavoro dipendente”. Ma un incentivo che non guardi ai carichi familiari può produrre effetti non sempre favorevoli alla famiglia. Può capitare, infatti, che “una famiglia con tre figli sopra ad una certa soglia non riceva nessun beneficio – argomenta Belletti -, mentre un’altra in cui ci sono tre percettori di reddito sotto la stessa soglia riceva tre volte 80 euro ogni mese”. E progettare una misura sui carichi familiari, a parità di bilancio, non sarebbe neanche stato così complesso, spiega Belletti, ma “questa cosa è stata rifiutata ideologicamente”, come se ci fosse “un’esplicita ostilità nei confronti della famiglia”.

Tra le priorità, inoltre, per Belletti non bisogna dimenticare quei “fondi di protezione delle famiglie in difficoltà – spiega Belletti -. In particolare i fondi per la disabilità e per la non autosufficienza. E’ ovvio che se si rinforzano i servizi per le famiglie e questi fondi, anche la condizione delle famiglie viene alleggerita. Oggi le famiglie sono schiacciate tra conti di cura pesanti, che diventano anche costi economici, e un’oggettiva fatica ad arrivare a fine mese”. Su questo fronte, non manca certo u po’ di preoccupazione in merito all’intenzione anticipata dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, di abolire l’Imu sulla prima casa e la Tasi. Anche se, precisa Belletti, “bisogna riflettere bene sull’impatto di certe misure. Alleggerire la tassazione sulla prima casa è una misura familiare, anche se, come tutti gli analisti hanno affermato, rischia di portare maggiori benefici a famiglie che sono messe meglio di quelle più povere. Un po’ di riequilibrio ci vuole, però alleggerire la pressione fiscale diretta sulle famiglie ci sembra comunque un valore”.

Una riflessione, quella del presidente del Forum delle associazioni familiari, che non nasconde l’amarezza dell’aver visto il tema della famiglia tornare un po’ nell’ombra.  “Spiace – racconta Belletti – che, dopo il biennio 2010-2012 dove si è discusso di politiche familiari, si è costruito un piano nazionale per la famiglia e questa logica strategica sembrava essere passata, siamo tornati ad una logica per cui si parla di famiglia quando si tratta di trovare degli angolini, degli spiragli tra le pieghe di bilancio per intervenire a sostengo di situazioni di specifica fragilità. Si perde l’occasione di mettere benzina nel motore del paese. Sostenere le famiglie significa investire su una risorsa, non su un centro di spesa”. Nel dibattito attuale, in quello attorno alle misure di contrasto alla povertà, ma anche in merito alla nuova legge di stabilità serve una ritrovata sensibilità verso la famiglia, conclude Belletti, con la speranza che il “family friendly” possa essere “sensibile e visibile”.

(ga) Agenzia redattore sociale          14 settembre 2015

www.agenzia.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/490258/Legge-di-stabilita-2016-ne-serve-una-family-friendly

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

                        Famiglia si salvi da colonizzazioni ideologiche.

“La famiglia è alla base della cultura mondiale che ci salva dagli attacchi, dalle distruzioni e dalle colonizzazioni del denaro e ideologiche“. E’ quanto ha ribadito il Papa nella catechesi dell’udienza generale di oggi in Piazza s. Pietro davanti a migliaia di fedeli. Chiudendo il ciclo di riflessioni sulla famiglia il Pontefice ne ha ribadito la portata universale e la responsabilità, che non è, “curare un’intimità fine a se stessa” ma “rendere domestico il mondo”, nella certezza della misericordiosa protezione di Dio.

La famiglia è una comunità umana fondamentale e insostituibile la cui portata è universale, per questo, ricorda il Papa ai fedeli aprendo la sua catechesi, avranno respiro mondiale i due imminenti appuntamenti ad essa dedicati, il Sinodo del mese di ottobre e l’incontro a Filadelfia della prossima settimana. Ed è alla famiglia che il Papa attinge per l’epoca odierna dominata, dice, dalla tecnocrazia economica e dalla potente logica del profitto:

Famiglia comunità umana fondamentale, universale e strategica. “In questo scenario, una nuova alleanza dell’uomo e della donna diventa non solo necessaria, anche strategica per l’emancipazione dei popoli dalla colonizzazione del denaro. Questa alleanza deve ritornare ad orientare la politica, l’economia e la convivenza civile! Essa decide l’abitabilità della terra, la trasmissione del sentimento della vita, i legami della memoria e della speranza”. La famiglia dunque ci difende, ribadisce con forza il Papa, è la base per salvarci da tante “distruzioni che minacciano il mondo”.

Alla famiglia è affidato il progetto di rendere domestico il mondo. Ed è alla famiglia, “nodo d’oro” dell’alleanza uomo donna, che Dio ha affidato “l’emozionante progetto di rendere domestico il mondo”. Ciò che accade tra loro dà l’impronta a tutto, come dimostra l’eredità del peccato originale. Nonostante ciò, ed è questa l’altra sottolineatura di Papa Francesco,” non siamo maledetti né abbandonati a noi stessi”, lo dimostrano le pagine della Bibbia “scritte col fuoco a questo riguardo”:

“Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe (Gn 3,15a). Sono le parole che Dio rivolge al serpente ingannatore, incantatore. Mediante queste parole Dio segna la donna con una barriera protettiva contro il male, alla quale essa può ricorrere – se vuole – per ogni generazione. Vuol dire che la donna porta una segreta e speciale benedizione, per la difesa della sua creatura dal Maligno!” Un profondità, osserva il Pontefice, che rivela una “teologia della donna” contrastante con i luoghi comuni, spesso offensivi, “sulla donna tentatrice che ispira al male”.

Dio non ci abbandona al nostro destino di peccatori. Né all’uomo né alla donna dunque Dio fa mancare la sua protezione: li veste di tuniche, dice la Bibbia, prima di allontanarli dall’Eden, quindi non li lascia “nudi al loro destino di peccatori”. E l’incarnazione stessa di Cristo è segno di questa tenerezza divina: “Cristo, nato da donna, da una donna. È la carezza di Dio sulle nostre piaghe, sui nostri sbagli, sui nostri peccati. Ma Dio ci ama come siamo e vuole portarci avanti con questo progetto, e la donna è quella più forte che porta avanti questo progetto”

La promessa di protezione e salvezza che Dio fa all’uomo e alla donna “include tutti gli esseri umani sino alla fine della storia”, camminiamo dunque insieme, con fede “sotto questa benedizione”, è l’invito conclusivo del Papa, e “sotto questo scopo di Dio di farci tutti fratelli nella vita, in un mondo che va avanti e che nasce proprio dalla famiglia, dall’unione dell’uomo e la donna”.

Gabriella Ceraso       Notiziario Radio vaticana – 16 settembre 2015

http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Testo ufficiale              http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150916_udienza-generale.html

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GENDER

Ministra Giannini: il gender non entra a scuola.

            Nuova circolare del ministero dell’Istruzione per ribadire che nella Buona scuola non c’è alcuna apertura alla teoria gender. Il testo, inviato a tutti i dirigenti scolastici, ricorda che «tra i diritti e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né “ideologie gender” né l’insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo». In mattinata, intervenendo a Radio24, lo stesso ministro Stefania Giannini si era spinta a definire una «colossale e scandalosa truffa culturale» la campagna informativa che, soprattutto sui social network, da mesi sta circolando tra le famiglie, sollecitate a tenere alta la guardia. Se la circolare «non bastasse –aveva aggiunto il ministro – passeremo a strumenti legali».

            Già lo scorso luglio, il Miur aveva emanato una prima circolare sull’argomento, ribadendo «il ruolo strategico e la centralità del Piano dell’offerta formativa, in cui obbligatoriamente tutte le attività che le istituzioni scolastiche intendano realizzare devono essere specificate». Inoltre, nel documento si ricordava il «diritto e dovere delle famiglie di conoscere prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola i contenuti del Pof». Anche le attività extracurricolari, comunque da indicare nel Pof, dovranno prevedere «la richiesta del consenso dei genitori» che, «in caso di non accettazione» hanno la facoltà di non mandare i figli a scuola. Motivo del contendere, il comma 16 della legge 107/2015 sulla Buona scuola nella parte in cui prevede che il Pof «assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni». Proprio l’accenno al «genere» ha fatto scattare il campanello d’allarme in tante famiglie, scottate da esperienze, anche molto recenti, nelle quali, dietro la giusta intenzione di combattere le discriminazioni, si erano fatte passare tra i ragazzi teorie affini all’ideologia gender. Su tutte, fece molto scalpore, ad inizio 2014, la diffusione nelle scuole dei cosiddetti “opuscoli Unar” apertamente schierati a favore di tale teoria. Ora, il ministro, per la seconda volta in tre mesi, ribadisce che queste “lezioni” nulla hanno a che fare con gli intenti della Buona scuola e, quindi, non dovranno più entrare nelle aule. Lo stesso scrive, sulla propria pagina Facebook, il sottosegretario all’Istruzione, Davide Faraone, che annuncia «a breve» la costituzione di un «tavolo tecnico per elaborare le linee guida da fornire alle scuole». (…)         Paolo Ferrario                     avvenire         16 settembre 2015

            www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/teoria-gender-scuola-circolare.aspx

Ministero dell’Istruzione, dell’Università, della Ricerca.

Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione

Prot. AOODPIT n. 1972 del 15/09/2015

(—) Ai Dirigenti scolastici, Al Forum dei Genitori, Al Forum degli Studenti

Oggetto: Chiarimenti e riferimenti normativi a supporto dell’art. 1 comma 16 legge 107/2015

Pervengono al MIUR numerose richieste di chiarimenti, sia da parte di dirigenti scolastici e docenti che di genitori, riguardo a una presunta possibilità di inserimento all’interno dei Piani dell’Offerta Formativa delle scuole della cosiddetta “Teoria del Gender” che troverebbe attuazione in pratiche e insegnamenti non riconducibili ai programmi previsti dagli attuali ordinamenti scolastici.

Soprattutto tra i genitori si è riscontrata un forte preoccupazione derivante anche dalla risonanza mediatica di informazioni non sempre corrette e obiettive. Si ritiene pertanto indispensabile da parte dell’Amministrazione fornire ulteriori chiarimenti a integrazione di quanto già comunicato nella nota del 6 luglio 2015, trasmessa a tutte le scuole, sui corretti adempimenti relativi al POF.

I maggiori dubbi dei genitori scaturiscono da una non corretta interpretazione del comma 16 della legge 107/2015 di Riforma su “La Buona Scuola” che recita testualmente: “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119”.                                                                                www.istruzione.it/allegati/2015/prot1972.pdf

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MADRI LAVORATRICI DIPENDENTI

Mobbing post-parto.

Molti madri lavoratrici in Italia subiscono silenziosamente un fenomeno definito mobbing post-parto, fenomeno di cui, purtroppo, si parla ancora poco ma che negli ultimi cinque anni ha subito un triste aumento, pari al %. L’Osservatorio Nazionale Mobbing stima che negli ultimi due anni 800mila donne sono state licenziate o costrette a dimettersi e almeno 350mila sono state discriminate per via della maternità o per aver avanzato richieste per conciliare il lavoro con la vita familiare. L’incidenza è superiore nelle regioni del Sud (21%), del Nord Ovest (20%) e del Nord Est (18%) ma le situazione più allarmante si registra nelle grandi città, di cui Milano è capofila. I settori più diffusi riguardano il commercio, i pubblici esercizi, gli studi professionali ma anche settori come le telecomunicazioni e l’editoria.

            Le donne che denunciano le proprie aziende sono davvero molto poche e, spesso, se hanno il coraggio di farlo, si limitano ad avviare una causa al Tribunale del Lavoro che di solito non riescono a portare a termine poiché all’interno dell’azienda stessa prendono campo dei meccanismi psicologici che portano allo stremo la donna che, esasperata, rassegna le dimissioni e lascia definitivamente il lavoro. I sindacati confermano che le denunce verso i datori di lavoro vengono ritirate senza avere neppure raggiunto un adeguato compromesso economico: ogni giorno si ritrovano a ricevere segnalazioni e a raccogliere storie di donne vittime di mobbing al rientro dalla maternità o addirittura a gravidanza ancora in corso. Mentre nelle aziende si continua a demansionare, isolare e provare psicologicamente le lavoratrici fino a provocarne le dimissioni.

            E il punto infatti è proprio questo perché anche il mobbing ha le sue regole: non sarà mai il datore di lavoro a prendere l’iniziativa e a licenziare, la legge è dalla parte della donna in questo, non si può licenziare una dipendente incinta o appena rientrata dalla maternità. Quindi, se l’obiettivo dell’azienda è quello che la donna se ne vada, farà in modo che sia lei stessa, psicologicamente provata, a chiedere le dimissioni.

            Quali le soluzioni allora? Innanzitutto la lavoratrice dovrebbe trovare la forza di non dimettersi. Sarebbe necessario combattere contro questo fenomeno, denunciare questi atti subdoli e, soprattutto, una volta vinta la causa, tornare al lavoro, cosa che, molte donne, stanche e umiliate, non riescono a fare. E in questo modo sono comunque le aziende ad averla vinta.

            Altre donne, costrette a lasciare il lavoro, decidono comunque di non arrendersi e di reinventarsi come libere professioniste e imprenditrici. Mettendo a frutto il proprio talento aprono una piccola impresa autonoma in modo che possano gestirsi e organizzarsi da sole, conciliando la vita lavorativa con quella di madre.

            Marica Vignozzi        agorà giornale telematico     13 settembre 2015

www.agoragiornaletelematico.it/parliamo-di-mobbing-post-parto

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NULLITÀ MATRIMONIALE

                                   Lettera Apostolica data Motu Proprio        Mitis Iudex Dominus Iesus

Il Signore Gesù, Giudice clemente, Pastore delle nostre anime, ha affidato all’Apostolo Pietro e ai suoi Successori il potere delle chiavi per compiere nella Chiesa l’opera di giustizia e verità; questa suprema e universale potestà, di legare e di sciogliere qui in terra, afferma, corrobora e rivendica quella dei Pastori delle Chiese particolari, in forza della quale essi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di giudicare i propri sudditi.

Nel volgere dei secoli la Chiesa in materia matrimoniale, acquisendo coscienza più chiara delle parole di Cristo, ha inteso ed esposto più approfonditamente la dottrina dell’indissolubilità del sacro vincolo del coniugio, ha elaborato il sistema delle nullità del consenso matrimoniale e ha disciplinato più adeguatamente il processo giudiziale in materia, di modo che la disciplina ecclesiastica fosse sempre più coerente con la verità di fede professata. Tutto ciò è stato sempre fatto avendo come guida la legge suprema della salvezza delle anime, giacché la Chiesa, come ha saggiamente insegnato il Beato Paolo VI, è un disegno divino della Trinità, per cui tutte le sue istituzioni, pur sempre perfettibili, devono tendere al fine di comunicare la grazia divina e favorire continuamente, secondo i doni e la missione di ciascuno, il bene dei fedeli, in quanto scopo essenziale della Chiesa.

Consapevole di ciò, ho stabilito di mettere mano alla riforma dei processi di nullità del matrimonio, e a questo fine ho costituito un Gruppo di persone eminenti per dottrina giuridica, prudenza pastorale ed esperienza forense, che, sotto la guida dell’Eccellentissimo Decano della Rota Romana, abbozzassero un progetto di riforma, fermo restando comunque il principio dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale. Lavorando alacremente, questo Coetus ha apprestato uno schema di riforma, che, sottoposto a meditata considerazione, con l’ausilio di altri esperti, è ora trasfuso in questo Motu proprio.

            È quindi la preoccupazione della salvezza delle anime, che – oggi come ieri – rimane il fine supremo delle istituzioni, delle leggi, del diritto, a spingere il Vescovo di Roma ad offrire ai Vescovi questo documento di riforma, in quanto essi condividono con lui il compito della Chiesa, di tutelare cioè l’unità nella fede e nella disciplina riguardo al matrimonio, cardine e origine della famiglia cristiana. Alimenta la spinta riformatrice l’enorme numero di fedeli che, pur desiderando provvedere alla propria coscienza, troppo spesso sono distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa a causa della distanza fisica o morale; la carità dunque e la misericordia esigono che la stessa Chiesa come madre si renda vicina ai figli che si considerano separati.

            In questo senso sono anche andati i voti della maggioranza dei miei Fratelli nell’Episcopato, riuniti nel recente Sinodo straordinario, che ha sollecitato processi più rapidi ed accessibili. In totale sintonia con tali desideri, ho deciso di dare con questo Motu proprio disposizioni con le quali si favorisca non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio. Ho fatto ciò, comunque, seguendo le orme dei miei Predecessori, i quali hanno voluto che le cause di nullità del matrimonio vengano trattate per via giudiziale, e non amministrativa, non perché lo imponga la natura della cosa, ma piuttosto lo esiga la necessità di tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo: e ciò è esattamente assicurato dalle garanzie dell’ordine giudiziario.

Si segnalano alcuni criteri fondamentali che hanno guidato l’opera di riforma.

  1. Una sola sentenza in favore della nullità esecutiva. – È parso opportuno, anzitutto, che non sia più richiesta una doppia decisione conforme in favore della nullità del matrimonio, affinché le parti siano ammesse a nuove nozze canoniche, ma che sia sufficiente la certezza morale raggiunta dal primo giudice a norma del diritto.
  2. Il giudice unico sotto la responsabilità del Vescovo. – La costituzione del giudice unico, comunque chierico, in prima istanza viene rimessa alla responsabilità del Vescovo, che nell’esercizio pastorale della propria potestà giudiziale dovrà assicurare che non si indulga a qualunque lassismo.
  3. Lo stesso Vescovo è giudice. – Affinché sia finalmente tradotto in pratica l’insegnamento del Concilio Vaticano II in un ambito di grande importanza, si è stabilito di rendere evidente che il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati. Si auspica pertanto che nelle grandi come nelle piccole diocesi lo stesso Vescovo offra un segno della conversione delle strutture ecclesiastiche, e non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giudiziaria in materia matrimoniale. Ciò valga specialmente nel processo più breve, che viene stabilito per risolvere i casi di nullità più evidente.
  4. Il processo più breve. – Infatti, oltre a rendere più agile il processo matrimoniale, si è disegnata una forma di processo più breve – in aggiunta a quello documentale come attualmente vigente –, da applicarsi nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti. Non mi è tuttavia sfuggito quanto un giudizio abbreviato possa mettere a rischio il principio dell’indissolubilità del matrimonio; appunto per questo ho voluto che in tale processo sia costituito giudice lo stesso Vescovo, che in forza del suo ufficio pastorale è con Pietro il maggiore garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina.
  5.  L’appello alla Sede Metropolitana. – Conviene che si ripristini l’appello alla Sede del Metropolita, giacché tale ufficio di capo della provincia ecclesiastica, stabile nei secoli, è un segno distintivo della sinodalità nella Chiesa.
  6.  Il compito proprio delle Conferenze Episcopali. – Le Conferenze Episcopali, che devono essere soprattutto spinte dall’ansia apostolica di raggiungere i fedeli dispersi, avvertano fortemente il dovere di condividere la predetta conversione, e rispettino assolutamente il diritto dei Vescovi di organizzare la potestà giudiziale nella propria Chiesa particolari. Il ripristino della vicinanza tra il giudice e i fedeli, infatti, non avrà successo se dalle Conferenze non verrà ai singoli Vescovi lo stimolo e insieme l’aiuto a mettere in pratica la riforma del processo matrimoniale. Insieme con la prossimità del giudice curino per quanto possibile le Conferenze Episcopali, salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali, che venga assicurata la gratuità delle procedure, perché la Chiesa, mostrandosi ai fedeli madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati.
  7. L’appello alla Sede Apostolica. – Conviene comunque che si mantenga l’appello al Tribunale ordinario della Sede Apostolica, cioè la Rota Romana, nel rispetto di un antichissimo principio giuridico, così che venga rafforzato il vincolo fra la Sede di Pietro e le Chiese particolari, avendo tuttavia cura, nella disciplina di tale appello, di contenere qualunque abuso del diritto, perché non abbia a riceverne danno la salvezza delle anime. La legge propria della Rota Romana sarà al più presto adeguata alle regole del processo riformato, nei limiti del necessario.
  8. Previsioni per le Chiese Orientali. – Tenuto conto, infine, del peculiare ordinamento ecclesiale e disciplinare delle Chiese Orientali, ho deciso di emanare separatamente, in questa stessa data, le norme per riformare la disciplina dei processi matrimoniali nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

Tutto ciò opportunamente considerato, decreto e statuisco che il Libro VII del Codice di Diritto Canonico, Parte III, Titolo I, Capitolo I sulle cause per la dichiarazione di nullità del matrimonio (cann. 1671-1691), dal giorno 8 dicembre 2015 sia integralmente sostituito come segue:     vedi sotto

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20150815_mitis-iudex-dominus-iesus.html

 

.                       Vietato chiamarlo divorzio. Ma quanto gli somiglia.

            La riforma dei processi matrimoniali voluta da papa Francesco moltiplicherà da poche migliaia a molti milioni le sentenze di nullità. Ottenibili con grande facilità anche in soli 45 giorni. Il sinodo sulla famiglia si aprirà in ottobre a cose fatte.

Col passare dei giorni si fa sempre più palese la portata rivoluzionaria dei due motu proprio datati 15 agosto 2015, pubblicati l’8 settembre 2015 da papa Francesco – il secondo per le Chiese cattoliche di rito orientale – sulla riforma dei processi di nullità matrimoniale:

Lettera apostolica “Mitis Iudex Dominus Iesus”

http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/09/08/0652/01418.html#ita

Lettera apostolica “Mitis et Misericors Iesus”        per le Chiese orientali

http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/09/08/0653/01419.html#italiano

È il papa in persona, nell’esordio del documento, a dire il movente della riforma: “L’enorme numero di fedeli che, pur desiderando provvedere alla propria coscienza, troppo spesso sono distolti dalle strutture giuridiche della Chiesa”.

            Nella presentazione ufficiale dei motu proprio, il presidente della commissione che ha elaborato la riforma, monsignor Pio Vito Pinto, decano della Rota Romana, ha trasformato il movente in un traguardo: “Passare dal ristretto numero di poche migliaia di nullità a quello smisurato di infelici che potrebbero avere la dichiarazione di nullità ma sono lasciati fuori dal vigente sistema”.

            Francesco è da tempo arciconvinto che almeno la metà dei matrimoni celebrati in chiesa in tutto il mondo siano invalidi. L’ha detto nella conferenza stampa del 28 luglio 2013 sull’aereo di ritorno da Rio de Janeiro. L’ha ridetto al cardinale Walter Kasper, come questi ha riferito nell’intervista a “Commonweal” del 7 maggio 2014. E dunque anche questi fedeli inesauditi nell’attesa di veder riconosciuta la nullità del loro matrimonio fanno parte, nella visione di Francesco esplicitata da Pinto, di quei “poveri” che sono al centro del suo pontificato. Milioni e milioni di “infelici” in attesa di un soccorso che è loro dovuto.

            La riforma processuale voluta da Jorge Mario Bergoglio mira proprio a questo: consentire a queste folle sterminate di accedere con facilità, con rapidità, con gratuità al riconoscimento di nullità dei loro matrimoni. Il sinodo dello scorso ottobre (si veda il paragrafo 48 della “Relatio” finale) si era espresso genericamente a favore di migliorie dei processi. Ma un buon numero di padri si era detto contrario all’una o all’altra delle riforme da varie parti proposte. Che invece sono proprio quelle che ora si ritrovano nei motu proprio.

Sono principalmente due i tipi di processo matrimoniale che la riforma delinea. Quello ordinario e quello – nuovissimo – detto “più breve”.

Il processo ordinario. Nel processo ordinario la novità principale è l’abolizione dell’obbligatorietà della doppia sentenza di nullità. Ne basterà una sola, come già si era consentito in via sperimentale, tra il 1971 e il 1983, ai tribunali ecclesiastici degli Stati Uniti, salvo poi revocare tale concessione a motivo delle nullità a pioggia rilasciate da quei tribunali e della cattiva fama di “divorzio cattolico” che ne era derivata. Una sola sentenza, senza l’appello, comporta la riduzione a circa un anno della durata di un processo ordinario.

            I tribunali ecclesiastici, inoltre, dovranno essere eretti in ogni diocesi del mondo, anche piccola e remota, obiettivo da cui la Chiesa cattolica è oggi lontanissima, principalmente per la carenza di ecclesiastici e di laici esperti in diritto canonico.

            C’è però un’ulteriore innovazione più di sostanza, espressa dal nuovo canone 1678 § 1 che andrà a sostituire il corrispondente canone 1536 § 2 del vigente codice di diritto canonico. Mentre nel canone in via di abbandono “non si può attribuire forza di prova piena” alle dichiarazioni delle parti, a meno che “si aggiungano altri elementi ad avvalorarle in modo definitivo”, nel nuovo canone “le dichiarazioni delle parti possono avere valore di prova piena”, da valutarsi come tali dal giudice “se non vi siano altri elementi che le confutino”. Si scorge in ciò un’esaltazione della soggettività di colui che fa causa che ben si sposa con quanto detto nella presentazione ufficiale dei due motu proprio sia da monsignor Pinto sia dal segretario della commissione da lui presieduta, monsignor Alejandro W. Bunge, a proposito del “motivo precipuo” che a loro giudizio spinge tanti cattolici – in futuro una “massa” – a rivolgersi ai tribunali matrimoniali:

            “La nullità è chiesta per motivi di coscienza, per esempio vivere i sacramenti della Chiesa o perfezionare un nuovo vincolo stabile e felice, a differenza del primo”. È quindi facile prevedere che l’annosa controversia sulla comunione ai divorziati risposati sarà superata dai fatti, sostituita dal ricorso illimitato e praticamente infallibile alla certificazione di nullità del primo matrimonio.

            Il processo “più breve”. La maggiore novità della riforma voluta da Francesco è comunque il processo detto “più breve”. Anzi, brevissimo. A norma dei nuovi canoni può cominciare e finire nel giro di soli 45 giorni, con il vescovo del luogo come giudice ultimo ed unico.

            Il ricorso a tale procedura abbreviata è consentito “nei casi in cui l’accusata nullità del matrimonio è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti”. Ma c’è di più. Il ricorso a questo tipo di processo è non solo consentito ma incoraggiato, vista la sovrabbondante esemplificazione di circostanze incentivanti fornita dall’articolo 14 § 1 delle “Regole procedurali” annesse al motu proprio.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20150815_mitis-iudex-dominus-iesus.html

Dice letteralmente tale articolo:

Art. 14 § 1. Tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve secondo i cann. 1683-1687, si annoverano per esempio:

– quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà,

– la brevità della convivenza coniugale,

– l’aborto procurato per impedire la procreazione,

– l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo,

– l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione,

– la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna,

– la violenza fisica inferta per estorcere il consenso,

– la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici, ecc.”.

§ 2. Tra i documenti che sostengono la domanda vi sono tutti i documenti medici che possono rendere inutile acquisire una perizia d’ufficio.

La lista stupisce per quanto è eterogenea. Comprende circostanze, come la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, che sono effettiva causa di nullità di un matrimonio. Ma ne comprende altre, come la brevità della convivenza coniugale, che non possono in alcun modo sorreggere una pronuncia di invalidità. E ne comprende un’altra ancora, come la mancanza di fede, che pur difficile da valutare è sempre più spesso evocata come nuovo universale passe-partout per la nullità. Eppure queste circostanze sono tutte elencate alla pari, con in più un “ecc.” finale che induce ad aggiungere altri esempi a volontà.

            Ma oltre che eterogenea, la lista appare equivoca. Di per sé elenca delle circostanze che semplicemente consentirebbero di accedere al processo “più breve”. Ma è facilissimo che venga letta come un elenco di casi che consentono di ottenere il riconoscimento di nullità. Molte coppie hanno vissuto qualcuna delle circostanze esemplificate – ad esempio la gravidanza prima delle nozze – ed è quindi naturale che in esse sorga la convinzione che, su richiesta, il loro matrimonio possa essere sciolto, vista anche la pressione che la Chiesa esercita suggerendo – proprio in presenza di quelle circostanze – di ricorrere al processo di nullità, e addirittura a quello veloce.

            Insomma, se a questo si aggiunge che in ogni diocesi dovrà funzionare un servizio preliminare di consulenza per indirizzare su questa strada chi vi è ritenuto idoneo, un siffatto processo “più breve”, una volta avviato, avrebbe come esito praticamente scontato una sentenza di nullità. Cioè nell’opinione generale un divorzio, come lo stesso papa Francesco sembra presagire e temere, là dove scrive, nel proemio del motu proprio: “Non mi è sfuggito quanto un giudizio abbreviato possa mettere a rischio il principio dell’indissolubilità del matrimonio”.

            E prosegue: “Appunto per questo ho voluto che in tale processo sia costituito giudice lo stesso vescovo, che in forza del suo ufficio pastorale è con Pietro il maggiore garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina”. Monsignor Pinto, nella presentazione ufficiale della riforma, ha però ammesso che “un vescovo con milioni di fedeli nella sua diocesi non potrebbe personalmente presiedere la decisione delle nullità di tutti i fedeli che la richiedano”. Né va trascurato che sono pochi, pochissimi i vescovi con la competenza giuridica necessaria per fare da giudici in tali processi.

            Come in oriente. Improvvisata in meno di un anno e volutamente pubblicata prima che il sinodo sulla famiglia si riunisca in ottobre, la rivoluzione dei processi matrimoniali decisa da papa Francesco si rivela dunque un colosso dalle basi fragili, la cui messa in opera si prevede lunga e difficoltosa, ma che ha già prodotto effetti immediati sull’opinione pubblica dentro e fuori la Chiesa.

            Di questi effetti, il principale è la convinzione diffusa che ormai anche nella Chiesa cattolica hanno trovato cittadinanza il divorzio e la benedizione delle seconde nozze.

Nella presentazione ufficiale della riforma, monsignor Dimitrios Salachas, esarca apostolico di Atene per i cattolici greci di rito bizantino, ha fatto notare quest’altra novità dei due motu proprio: “A quanto mi risulta, è la prima volta che in un documento pontificio di indole giuridica si ricorre al principio patristico di misericordia pastorale chiamato ‘oikonomia‘ presso gli orientali, per affrontare un problema come quello della dichiarazione di nullità del matrimonio”. Evidentemente, papa Bergoglio aveva in mente anche questo approdo, quando due anni fa disse, durante il volo da Rio de Janeiro a Roma: “Gli ortodossi seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una seconda possibilità di matrimonio, lo permettono. Credo che questo problema si debba studiare”.

            Sandro Magister        chiesaespressonline    15 settembre 2015    

            http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351131

 

Regole procedurali per la trattazione delle cause di nullità matrimoniale.

{Note per i consultori familiari di ispirazione cristiana

Si evidenziano le parti che interessano gli operatori consultoriali.}

La III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, celebrata nel mese di ottobre 2014, ha constatato la difficoltà dei fedeli di raggiungere i tribunali della Chiesa. Poiché il Vescovo, come il buon Pastore, è tenuto ad andare incontro ai suoi fedeli che hanno bisogno di particolare cura pastorale, unitamente con le norme dettagliate per l’applicazione del processo matrimoniale, è sembrato opportuno, data per certa la collaborazione del Successore di Pietro e dei Vescovi nel diffondere la conoscenza della legge, offrire alcuni strumenti affinché l’operato dei tribunali possa rispondere alle esigenze dei fedeli, che richiedono l’accertamento della verità sull’esistenza o no del vincolo del loro matrimonio fallito.

Art. 1. Il Vescovo in forza del can. 383 § 1 è tenuto a seguire con animo apostolico i coniugi separati o divorziati, che per la loro condizione di vita abbiano eventualmente abbandonato la pratica religiosa. Egli quindi condivide con i parroci (cfr. can. 529 § 1) la sollecitudine pastorale verso questi fedeli in difficoltà.

Art. 2. L’indagine pregiudiziale o pastorale, che accoglie nelle strutture parrocchiali o diocesane i fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo, è orientata a conoscere la loro condizione e a raccogliere elementi utili per l’eventuale celebrazione del processo giudiziale, ordinario o più breve. Tale indagine si svolgerà nell’ambito della pastorale matrimoniale diocesana unitaria.

Art. 3. La stessa indagine sarà affidata a persone ritenute idonee dall’Ordinario del luogo, dotate di competenze anche se non esclusivamente giuridico-canoniche. Tra di esse vi sono in primo luogo il parroco proprio o quello che ha preparato i coniugi alla celebrazione delle nozze. Questo compito di consulenza può essere affidato anche ad altri chierici, consacrati o laici approvati dall’Ordinario del luogo. La diocesi, o più diocesi insieme, secondo gli attuali raggruppamenti, possono costituire una struttura stabile attraverso cui fornire questo servizio e redigere, se del caso, un Vademecum che riporti gli elementi essenziali per il più adeguato svolgimento dell’indagine.

Art. 4. L’indagine pastorale raccoglie gli elementi utili per l’eventuale introduzione della causa da parte dei coniugi o del loro patrono davanti al tribunale competente. Si indaghi se le parti sono d’accordo nel chiedere la nullità.

Art. 5. Raccolti tutti gli elementi, l’indagine si chiude con il libello, da presentare, se del caso, al competente tribunale.

Art. 6. Dal momento che il Codice di diritto canonico deve essere applicato sotto tutti gli aspetti, salve le norme speciali, anche ai processi matrimoniali, a mente del can. 1691 § 3, le presenti regole non intendono esporre minutamente l’insieme di tutto il processo, ma soprattutto chiarire le principali innovazioni legislative e, ove occorra, integrarle.

Titolo I – Il foro competente e i tribunali        

Art. 7 § 1. I titoli di competenza di cui al can. 1672 sono equivalenti, salvaguardato per quanto possibile il principio di prossimità fra il giudice e le parti.

§ 2. Mediante la cooperazione fra tribunali, poi, a mente del can. 1418, si assicuri che chiunque, parte o teste, possa partecipare al processo col minimo dispendio.

Art. 8 § 1. Nelle diocesi che non hanno un proprio tribunale, il Vescovo si preoccupi di formare quanto prima, anche mediante corsi di formazione permanente e continua, promossi dalle diocesi o dai loro raggruppamenti e dalla Sede Apostolica in comunione di intenti, persone che possano prestare la loro opera nel tribunale per le cause matrimoniali da costituirsi.

§ 2. Il Vescovo può recedere dal tribunale interdiocesano costituito a norma del can. 1423.

Titolo II – Il diritto di impugnare il matrimonio

Art. 9. Se il coniuge muore durante il processo, prima che la causa sia conclusa, l’istanza viene sospesa finché l’altro coniuge o un altro interessato richieda la prosecuzione; in questo caso si deve provare l’interesse legittimo.

Titolo III – L’introduzione e l’istruzione della causa

Art. 10. Il giudice può ammettere la domanda orale ogniqualvolta la parte sia impedita a presentare il libello: tuttavia, egli ordini al notaio di redigere per iscritto un atto che deve essere letto alla parte e da questa approvato, e che tiene luogo del libello scritto dalla parte a tutti gli effetti di legge.

Art. 11 § 1. Il libello sia esibito al tribunale diocesano o al tribunale interdiocesano che è stato scelto a norma del can. 1673 § 2.

§ 2. Si reputa che non si oppone alla domanda la parte convenuta che si rimette alla giustizia del tribunale o, ritualmente citata una seconda volta, non dà alcuna risposta.

Titolo IV – La sentenza, le sue impugnazioni e la sua esecuzione

Art. 12. Per conseguire la certezza morale necessaria per legge, non è sufficiente una prevalente importanza delle prove e degli indizi, ma occorre che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo di errore, in diritto e in fatto, ancorché non sia esclusa la mera possibilità del contrario.

Art. 13. Se una parte ha dichiarato di rifiutare di ricevere qualsiasi informazione relativa alla causa, si ritiene che abbia rinunciato ad ottenere la copia della sentenza. In tal caso può esserle notificato il solo dispositivo della sentenza.

Titolo V – Il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo

Art. 14 § 1. Tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve secondo i cann. 1683-1687, si annoverano per esempio: quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o di una carcerazione, la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici, ecc. {di consulenza familiare, psicologici? ndr}

§ 2. Tra i documenti che sostengono la domanda vi sono tutti i documenti medici che possono rendere inutile acquisire una perizia d’ufficio.

Art. 15. Se è stato presentato il libello per introdurre un processo ordinario, ma il Vicario giudiziale ritiene che la causa possa essere trattata con il processo più breve, egli, nel notificare il libello a norma del can. 1676 § 1, inviti la parte che non lo abbia sottoscritto a comunicare al tribunale se intenda associarsi alla domanda presentata e partecipare al processo. Egli, ogniqualvolta sia necessario, inviti la parte o le parti che hanno sottoscritto il libello ad integrarlo al più presto a norma del can. 1684.

Art. 16. Il Vicario giudiziale può designare se stesso come istruttore; però per quanto sia possibile nomini un istruttore dalla diocesi di origine della causa.

Art. 17. Nell’emettere la citazione ai sensi del can. 1685, le parti siano informate che, se non fossero stati allegati al libello, possono, almeno tre giorni prima della sessione istruttoria, presentare gli articoli degli argomenti sui quali si chiede l’interrogatorio delle parti o dei testi.

Art. 18. § 1. Le parti e i loro avvocati possono assistere all’escussione delle altre parti e dei testi, a meno che l’istruttore ritenga, per le circostanze di cose e di persone, che si debba procedere diversamente.

§ 2. Le risposte delle parti e dei testi devono essere redatte per iscritto dal notaio, ma sommariamente e soltanto in ciò che si riferisce alla sostanza del matrimonio controverso.

Art. 19. Se la causa viene istruita presso un tribunale interdiocesano, il Vescovo che deve pronunziare la sentenza è quello del luogo in base al quale si stabilisce la competenza a mente del can. 1672. Se poi siano più di uno, si osservi per quanto possibile il principio della prossimità tra le parti e il giudice.

Art. 20 § 1. Il Vescovo diocesano stabilisca secondo la sua prudenza il modo con cui pronunziare la sentenza.

§ 2. La sentenza, comunque sottoscritta dal Vescovo insieme con il notaio, esponga in maniera breve e ordinata i motivi della decisione e ordinariamente sia notificata alle parti entro il termine di un mese dal giorno della decisione.

Titolo VI – Il processo documentale

Art. 21. Il Vescovo diocesano e il Vicario giudiziale competenti si determinano a norma del can. 1672.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20150815_mitis-iudex-dominus-iesus.html

Il Libro VII del Codice di Diritto Canonico, Parte III, Titolo I, Capitolo I sulle cause per la dichiarazione di nullità del matrimonio (cann. 1671-1691),

www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/cic_index_it.html

dal giorno 8 dicembre 2015 è integralmente sostituito come segue:

Art. 1 – Il foro competente e i tribunali

Can. 1671 § 1. Le cause matrimoniali dei battezzati per diritto proprio spettano al giudice ecclesiastico.

§ 2. Le cause sugli effetti puramente civili del matrimonio spettano al magistrato civile, a meno che il diritto particolare non stabilisca che le medesime cause, qualora siano trattate incidentalmente e accessoriamente, possano essere esaminate e decise dal giudice ecclesiastico.

Can. 1672. Nelle cause di nullità del matrimonio, che non siano riservate alla Sede Apostolica, sono competenti: 1° il tribunale del luogo in cui il matrimonio fu celebrato; 2° il tribunale del luogo in cui una o entrambe le parti hanno il domicilio o il quasi-domicilio; 3° il tribunale del luogo in cui di fatto si debba raccogliere la maggior parte delle prove.

Can. 1673 § 1. In ciascuna diocesi il giudice di prima istanza per le cause di nullità del matrimonio, per le quali il diritto non faccia espressamente eccezione, è il Vescovo diocesano, che può esercitare la potestà giudiziale personalmente o per mezzo di altri, a norma del diritto.

§ 2. Il Vescovo costituisca per la sua diocesi il tribunale diocesano per le cause di nullità del matrimonio, salva la facoltà per lo stesso Vescovo di accedere a un altro viciniore tribunale diocesano o interdiocesano.

            § 3. Le cause di nullità del matrimonio sono riservate a un collegio di tre giudici. Esso deve essere presieduto da un giudice chierico, i rimanenti giudici possono anche essere laici.

            § 4. Il Vescovo Moderatore, se non è possibile costituire il tribunale collegiale in diocesi o nel vicino tribunale che è stato scelto a norma del § 2, affidi le cause a un unico giudice chierico che, ove sia possibile, si associ due assessori di vita specchiata, esperti in scienze giuridiche o umane, approvati dal Vescovo per questo compito; allo stesso giudice unico competono, salvo che risulti diversamente, le funzioni attribuite al collegio, al preside o al ponente.

            § 5. Il tribunale di seconda istanza per la validità deve sempre essere collegiale, secondo il disposto del precedente § 3.

§ 6. Dal tribunale di prima istanza si appella al tribunale metropolitano di seconda istanza, salvo il disposto dei cann. 1438-1439 e 1444.

            Art. 2 – Il diritto di impugnare il matrimonio

Can. 1674 § 1. Sono abili ad impugnare il matrimonio: 1° i coniugi; 2° il promotore di giustizia, quando la nullità sia già stata divulgata, se non si possa convalidare il matrimonio o non sia opportuno.

§ 2. Il matrimonio che, viventi entrambi i coniugi, non fu accusato, non può più esserlo dopo la morte di entrambi o di uno di essi, a meno che la questione della validità non pregiudichi la soluzione di un’altra controversia sia in foro canonico sia in foro civile.

§ 3. Se poi un coniuge muore durante il processo, si osservi il can. 1518.

            Art. 3 – L’introduzione e l’istruzione della causa               

Can. 1675. Il giudice, prima di accettare la causa, deve avere la certezza che il matrimonio sia irreparabilmente fallito, in modo che sia impossibile ristabilire la convivenza coniugale.

Can. 1676 § 1. Ricevuto il libello, il Vicario giudiziale, se ritiene che esso goda di qualche fondamento, lo ammetta e, con decreto apposto in calce allo stesso libello, ordini che una copia venga notificata al difensore del vincolo e, se il libello non è stato sottoscritto da entrambe le parti, alla parte convenuta, dandole il termine di quindici giorni per esprimere la sua posizione riguardo alla domanda.

            § 2. Trascorso il predetto termine, dopo aver nuovamente ammonito, se e in quanto lo ritenga opportuno, l’altra parte a manifestare la sua posizione, il Vicario giudiziale con proprio decreto determini la formula del dubbio e stabilisca se la causa debba trattarsi con il processo ordinario o con il processo più breve a norma dei cann. 1683-1687. Tale decreto sia subito notificato alle parti e al difensore del vincolo.

            § 3. Se la causa deve essere trattata con il processo ordinario, il Vicario giudiziale, con lo stesso decreto, disponga la costituzione del collegio dei giudici o del giudice unico con i due assessori secondo il can. 1673 § 4.

            § 4. Se invece viene disposto il processo più breve, il Vicario giudiziale proceda a norma del can. 1685.

            § 5. La formula del dubbio deve determinare per quale capo o per quali capi è impugnata la validità delle nozze.

Can. 1677 § 1. Il difensore del vincolo, i patroni delle parti, e, se intervenga nel giudizio, anche il promotore di giustizia, hanno diritto: 1° di essere presenti all’esame delle parti, dei testi e dei periti, salvo il disposto del can. 1559; 2° di prendere visione degli atti giudiziari, benché non ancora pubblicati, e di esaminare i documenti prodotti dalle parti.

            § 2. Le parti non possono assistere all’esame di cui al § 1, n.1.

Can. 1678 § 1. Nelle cause di nullità del matrimonio, la confessione giudiziale e le dichiarazioni delle parti, sostenute da eventuali testi sulla credibilità delle stesse, possono avere valore di prova piena, da valutarsi dal giudice considerati tutti gli indizi e gli amminicoli, se non vi siano altri elementi che le confutino.

            § 2. Nelle medesime cause, la deposizione di un solo teste può fare pienamente fede, se si tratta di un teste qualificato che deponga su cose fatte d’ufficio, o le circostanze di fatti e di persone lo suggeriscono.

            § 3. Nelle cause in materia di impotenza o di difetto del consenso per malattia mentale o per anomalia di natura psichica il giudice si avvalga dell’opera di uno o più periti, se dalle circostanze non appare evidentemente inutile; nelle altre cause si osservi il disposto del can. 1574.

           

§ 4. Ogniqualvolta nell’istruttoria della causa fosse insorto un dubbio assai probabile che il matrimonio non sia stato consumato, il tribunale, sentite le parti, può sospendere la causa di nullità, completare l’istruttoria in vista della dispensa super rato, ed infine trasmettere gli atti alla Sede Apostolica insieme alla domanda di dispensa di uno o di entrambi i coniugi ed al voto del tribunale e del Vescovo.

            Art. 4 – La sentenza, le sue impugnazioni e la sua esecuzione

Can. 1679. La sentenza che per la prima volta ha dichiarato la nullità del matrimonio, decorsi i termini stabiliti nei cann. 1630-1633, diventa esecutiva.

Can. 1680 § 1. Alla parte, che si ritenga onerata, e parimenti al promotore di giustizia e al difensore del vincolo rimane il diritto di interporre querela di nullità della sentenza o appello contro la medesima sentenza ai sensi dei cann. 1619-1640.

            § 2. Decorsi i termini stabiliti dal diritto per l’appello e la sua prosecuzione, dopo che il tribunale di istanza superiore ha ricevuto gli atti giudiziari, si costituisca il collegio dei giudici, si designi il difensore del vincolo e le parti vengano ammonite a presentare le osservazioni entro un termine prestabilito; trascorso tale termine, il tribunale collegiale, se l’appello risulta manifestamente dilatorio, confermi con proprio decreto la sentenza di prima istanza.

        § 3. Se l’appello è stato ammesso, si deve procedere allo stesso modo come in prima istanza, con i dovuti adattamenti.

§ 4. Se nel grado di appello viene introdotto un nuovo capo di nullità del matrimonio, il tribunale lo può ammettere e su di esso giudicare come se fosse in prima istanza.

Can. 1681. Se è stata emanata una sentenza esecutiva, si può ricorrere in qualunque momento al tribunale di terzo grado per la nuova proposizione della causa a norma del can. 1644, adducendo nuovi e gravi prove o argomenti entro il termine perentorio di trenta giorni dalla proposizione dell’impugnazione.

Can. 1682 § 1. Dopo che la sentenza che ha dichiarato la nullità del matrimonio è divenuta esecutiva, le parti il cui matrimonio è stato dichiarato nullo possono contrarre nuove nozze, a meno che non lo proibisca un divieto apposto alla sentenza stessa oppure stabilito dall’Ordinario del luogo.

§ 2. Non appena la sentenza è divenuta esecutiva, il Vicario giudiziale la deve notificare all’Ordinario del luogo in cui fu celebrato il matrimonio. Questi poi deve provvedere affinché al più presto si faccia menzione nei registri dei matrimoni e dei battezzati della nullità di matrimonio decretata e degli eventuali divieti stabiliti.

            Art. 5 – Il processo matrimoniale più breve davanti al Vescovo

Can. 1683. Allo stesso Vescovo diocesano compete giudicare la cause di nullità del matrimonio con il processo più breve ogniqualvolta:

                        1° la domanda sia proposta da entrambi i coniugi o da uno di essi, col consenso dell’altro;

                        2° ricorrano circostanze di fatti e di persone, sostenute da testimonianze o documenti, che non richiedano una inchiesta o una istruzione più accurata, e rendano manifesta la nullità.

Can. 1684. Il libello con cui si introduce il processo più breve, oltre agli elementi elencati nel can. 1504, deve: 1° esporre brevemente, integralmente e chiaramente i fatti su cui si fonda la domanda; 2° indicare le prove, che possano essere immediatamente raccolte dal giudice; 3° esibire in allegato i documenti su cui si fonda la domanda.

Can. 1685. Il Vicario giudiziale, nello stesso decreto con cui determina la formula del dubbio nomini l’istruttore e l’assessore e citi per la sessione, da celebrarsi a norma del can. 1686 non oltre trenta giorni, tutti coloro che devono parteciparvi.

Can. 1686. L’istruttore, per quanto possibile, raccolga le prove in una sola sessione e fissi il termine di quindici giorni per la presentazione delle osservazioni in favore del vincolo e delle difese di parte, se ve ne siano.

Can. 1687 § 1. Ricevuti gli atti, il Vescovo diocesano, consultatosi con l’istruttore e l’assessore, vagliate le osservazioni del difensore del vincolo e, se vi siano, le difese delle parti, se raggiunge la certezza morale sulla nullità del matrimonio, emani la sentenza. Altrimenti rimetta la causa al processo ordinario.

            § 2. Il testo integrale della sentenza, con la motivazione, sia notificato al più presto alle parti.

            § 3. Contro la sentenza del Vescovo si dà appello al Metropolita o alla Rota Romana; se la sentenza è stata emessa dal Metropolita, si dà appello al suffraganeo più anziano; e contro la sentenza di altro Vescovo che non ha un’autorità superiore sotto il Romano Pontefice, si dà appello al Vescovo da esso stabilmente designato.

            § 4. Se l’appello evidentemente appare meramente dilatorio, il Metropolita o il Vescovo di cui al § 3, o il Decano della Rota Romana, lo rigetti a limine con un suo decreto; se invece l’appello è ammesso, si rimetta la causa all’esame ordinario di secondo grado.

            Art. 6 – Il processo documentale

Can. 1688. Ricevuta la domanda presentata a norma del can. 1676, il Vescovo diocesano o il Vicario giudiziale o il Giudice designato, tralasciate le formalità del processo ordinario, citate però le parti e con l’intervento del difensore del vincolo, può dichiarare con sentenza la nullità del matrimonio, se da un documento che non sia soggetto a contraddizione o ad eccezione alcuna, consti con certezza dell’esistenza di un impedimento dirimente o del difetto della forma legittima, purché sia chiaro con eguale sicurezza che non fu concessa la dispensa, oppure del difetto di un mandato valido in capo al procuratore.

Can. 1689 § 1. Contro questa dichiarazione il difensore del vincolo, se prudentemente giudichi che non vi sia certezza dei difetti di cui al can. 1688 ovvero della mancata dispensa, deve appellare al giudice di seconda istanza, al quale si devono trasmettere gli atti avvertendolo per scritto che si tratta di un processo documentale.

            § 2. Alla parte che si ritiene onerata resta il diritto di appellare.

Can. 1690. Il giudice di seconda istanza, con l’intervento del difensore del vincolo e dopo aver udito le parti, decida allo stesso modo di cui nel can. 1688 se la sentenza debba essere confermata o se piuttosto si debba procedere nella causa per il tramite ordinario del diritto; nel qual caso la rimandi al tribunale di prima istanza.

Art. 7 – Norme generali  

Can. 1691 § 1. Nella sentenza si ammoniscano le parti sugli obblighi morali o anche civili, cui siano eventualmente tenute l’una verso l’altra e verso la prole, per quanto riguarda il sostentamento e l’educazione.

            § 2. Le cause per la dichiarazione di nullità del matrimonio non possono essere trattate con il processo contenzioso orale di cui nei cann. 1656-1670.

            § 3. In tutte le altre cose che si riferiscono alla procedura, si devono applicare, a meno che la natura della cosa si opponga, i canoni sui giudizi in generale e sul giudizio contenzioso ordinario, osservate le norme speciali per le cause sullo stato delle persone e per le cause riguardanti il bene pubblico.

* * *.* * *

La disposizione del can. 1679 si applicherà alle sentenze dichiarative della nullità del matrimonio pubblicate a partire dal giorno in cui questo Motu proprio entrerà in vigore.  (8 dicembre 2015)        

            Al presente documento vengono unite delle regole procedurali, che ho ritenuto necessarie per la corretta e accurata applicazione della legge rinnovata, da osservarsi diligentemente a tutela del bene dei fedeli.

            Ciò che è stato da me stabilito con questo Motu proprio, ordino che sia valido ed efficace, nonostante qualsiasi disposizione in contrario, anche se meritevole di specialissima menzione.

            Affido con fiducia all’intercessione della gloriosa e benedetta sempre Vergine Maria, Madre di misericordia, e dei santi Apostoli Pietro e Paolo l’operosa esecuzione del nuovo processo matrimoniale.

            Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 del mese di agosto, nell’Assunzione della Beata Vergine Maria dell’anno 2015, terzo del mio Pontificato.

Francesco

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20150815_mitis-iudex-dominus-iesus.html

 

Nullità matrimoniale: la riforma “prudente” di papa Francesco.

Secondo il canonista Andrea Bettetini, professore alla Cattolica di Milano, “la maggiore celerità delle cause permetterà un migliore superamento di molti problemi di coscienza”. Niente più obbligo di “doppia sentenza conforme” ma sarà ancora consentito un secondo grado processuale. La gratuità assoluta per i ricorrenti non è assicurata ma le conferenze episcopali dovranno impegnarsi per permetterla. Quanto al Vescovo, egli è proclamato “giudice” nella sua diocesi ma, di fatto, egli può costituire un tribunale, con relativi aiutanti, anche laici.

Il motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, promulgato la scorsa settimana da papa Francesco, a disciplina delle nuove procedure di nullità del matrimonio sacramentale, lungi dall’essere una rivoluzione, si pone per quello che è, ovvero una prudente riforma. I contenuti del motu proprio sono stati analizzati, in un’intervista esclusiva con Zenit, dal professor Andrea Bettetini, ordinario di diritto canonico all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Prof. Bettetini, quali sono le novità più rilevanti che papa Francesco ha sancito per i processi di nullità matrimoniale?

Vorrei soffermarmi su quella che mi pare la maggiore novità. Una caratteristica del processo canonico matrimoniale pre-riforma era infatti che la sentenza di primo grado si sarebbe potuta eseguire (tranne alcune marginali eccezioni), solo se fosse stata confermata da una sentenza conforme ad essa successiva. Vigeva in questa ipotesi il principio della “doppia conforme”, tale per cui era l’emanazione di una sentenza concorde a un’altra precedente che poneva termine al processo. Proprio perché la sentenza di appello contraria a quella precedentemente emanata poteva e doveva – seppur con alcuni logici limiti – essere riesaminata nel merito in seconda o addirittura in terza istanza, si poteva dare l’ipotesi che si giungesse all’esecutività di una sentenza matrimoniale, non dopo due soli gradi di giudizio, ma dopo tre, quattro o più, con un pericoloso allungamento dei tempi processuali e la conseguente creazione di un’area di insicurezza sulla propria condizione (a volte passano anni prima che si dichiari un matrimonio nullo, impedendo così a una persona di ripensare il disegno di realizzare una nuova famiglia, un’identità in definitiva).

Ecco allora la ricerca di una maniera più rapida per giungere alla verità sostanziale sul vincolo coniugale. Non a caso, il Sinodo straordinario del 2014 aveva avanzato a larga maggioranza l’ipotesi di superare la “doppia sentenza conforme”. Ed effettivamente, la nuova normativa così dispone: “La sentenza che per la prima volta ha dichiarato la nullità del matrimonio, trascorsi i termini stabiliti…, diventa esecutiva” (can. 1679). Non è pertanto più obbligatorio appellare a un secondo grado. Tuttavia non è certamente negata la possibilità di appellare la sentenza, perché la nuova legislazione al contempo dispone che “alla parte che si ritenga onerata e parimenti al promotore di giustizia e al difensore del vincolo rimane il diritto di interporre querela di nullità della sentenza o appellare contro la medesima sentenza…” (can. 1680, § 1).

È vero che i processi saranno più brevi?

È evidente che, non essendo più necessario un secondo grado di giudizio, le sentenze saranno esecutive prima, rispetto a quando invece era necessario un altro grado di giudizio, sino a giungere alla doppia conforme. Nella prospettiva, su rilevata, di velocizzare i processi di nullità di matrimonio, la nuova normativa prevede altresì un “processus brevior”, un processo più breve e agile – in aggiunta a quello documentale come attualmente vigente – in cui giudice unico è il Vescovo diocesano. Perché si possa far ricorso a questa strada procedurale, la causa di nullità deve essere introdotta da entrambe le parti, le quali pertanto devono essere entrambe convinte nella nullità del matrimonio; e le prove testimoniali o documentali devono essere evidenti e rendere evidente la nullità.

I processi saranno gratuiti?

Il Papa non ha stabilito che il processo debba essere gratuito ma nel preambolo (che non ha in senso stretto valore percettivo) del motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus si è augurato che le conferenze episcopali trovino le modalità per assicurare una giustizia gratuita, “salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali”. Ritengo poi che, per ragioni di giustizia, deve essere comunque essere fatta salva la doverosa retribuzione degli avvocati e procuratori. Del resto, il gratuito patrocinio è tradizionalmente presente da sempre nei tribunali ecclesiastici. Basti solo porre mente all’art. 5 delle norme circa il regime amministrativo e le questioni economiche dei tribunali ecclesiastici regionali dettate dalla Conferenza Episcopale italiana; e, naturalmente, la normativa universale stabilita dal Codice di diritto canonico (can. 1464, 1490, 1649 ecc.).

Una delle novità più rilevanti sembra essere l’introduzione del Vescovo come “giudice unico”. Che cosa significa in termini giuridici e cosa cambia nella realtà?

Il nuovo testo del canone 1671 presuppone la dottrina secondo la quale il Vescovo diocesano è giudice nella sua Chiesa particolare, e quindi afferma che il tribunale può essere costituito dal solo Vescovo diocesano. Questi non è però l’unico giudice nella sua Chiesa particolare: si chiede, infatti, al Vescovo diocesano di costituire un tribunale che possa giudicare in sua vece, e si dà, comunque, al Vescovo stesso la facoltà di accedere a un tribunale viciniore. Inoltre, nel caso di “processo ordinario”, se il vescovo non può istituire un tribunale né servirsi di quello di una diocesi vicina, può nominare un giudice unico, un chierico, che, laddove sia possibile, sarà associato a due aiutanti anche laici “di vita specchiata, esperti in scienze giuridiche o umane”, che saranno approvati dallo stesso vescovo per questo compito.

Indicando il Vescovo come “giudice unico”, si ha l’impressione che si voglia dare una soluzione ai processi non più solo giuridica ma anche pastorale. Qual è il suo parere in proposito?

Mi pare che al riguardo la risposta migliore sia quella che offre il Pontefice, ossia che tale normativa serve a “rendere evidente che il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati”. Non solo: con specifico riferimento al processo più breve, papa Francesco nel preambolo al motu proprio scrive altresì: “Non mi è tuttavia sfuggito quanto un giudizio abbreviato possa mettere a rischio il principio dell’indissolubilità del matrimonio; appunto per questo ho voluto che in tale processo sia costituito giudice lo stesso Vescovo, che in forza del suo ufficio pastorale è, con Pietro, il maggiore garante dell’unità cattolica nella fede e nella disciplina”. È infatti sempre più doveroso far comprendere che nel processo, percepito spesso dai coniugi spesso come lungo e faticoso, ogni operatore della giustizia ecclesiale debba piegarsi verso i fedeli spesso smarriti e feriti, facendosi evangelizzatore, anche per non turbare il cuore delle parti coinvolte e renderle più consapevoli delle scelte vocazionali future alla luce di quanto acclarato nel giudizio.

Alcuni hanno osservato che, con questa riforma, il problema di concedere la comunione a divorziati e risposati è superato a priori. Lei che ne pensa?

Con affermazioni del genere si confondono due piani ben diversi: il processo matrimoniale canonico ha un suo oggetto proprio e specifico, che è la validità o l’invalidità del vincolo. Il matrimonio sacramentale c’è o non c’è, non vi sono vie di mezzo, e pertanto il vincolo matrimoniale canonico non si potrà sciogliere come nel divorzio, ma solo dichiarare se sia esistente oppure inesistente per una delle cause di nullità previste dal diritto.

Il divorzio, appunto, scioglie ciò che è valido, priva quindi di effetti una realtà che sino a quel momento aveva sempre e validamente prodotto effetti (giuridici, morali, sociali ecc.). Il matrimonio canonico, rato e consumato, come recita il can. 1141 in un latino che è comprensibile a tutti, “nulla humana potestate nullaque causa, praeterquam morte, dissolvi potest”.

Senza entrare in un tema complesso, la dottrina della Chiesa tuttora vigente è quella proposta dal n. 1650 del Catechismo della Chiesa cattolica: “Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (“Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo e si sono impegnati a vivere in una completa continenza”.

Chi pertanto afferma che con il nuovo processo matrimoniale il “problema di concedere la comunione a divorziati e risposati è superato a priori”, non fa altro che considerare questo ciò che in realtà non è e non può essere, una “catholic way to divorce”.

Certamente, la maggiore celerità delle cause permetterà un migliore superamento di molti problemi di coscienza: chi si trova in una situazione irregolare (come appunto quella di un divorziato risposatosi) qualora se ne diano le condizioni potrà chiedere la declaratoria di nullità del precedente matrimonio canonico, così che, una volta ottenutala, potrà risposarsi anche “coram Deo et hominibus” e accedere al Sacramento a cui tutti gli altri sono finalizzati, ossia l’Eucaristia. Cosa che, del resto, un fedele poteva fare anche nel precedente sistema, con il vantaggio ora di una maggiore semplificazione e rapidità delle cause.

Di Luca Marcolivio   Zenit.org        14 settembre 2015

www.zenit.org/it/articles/nullita-matrimoniale-la-riforma-prudente-di-papa-francesco

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PARLAMENTO

Camera 2° Commissione Giustizia  Affido familiare

Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare.

C. 2957 approvata dal Senato, C. 2040 Santerini, C. 350 Pes, C. 3019 Marzano e C. 910 Elvira Savino.

15 settembre 2015 Prosegue l’esame del provvedimento rinviato nella seduta del 18 giugno 2015.

Donatella Ferranti, presidente, avverte che sono state presentate al provvedimento in titolo circa trenta proposte emendative (vedi allegato), il cui esame dovrà concludersi, onde consentire la trasmissione del testo modificato alle competenti Commissioni per l’espressione del relativo parere, entro martedì 22 settembre prossimo. (…)

Michela Marzano (PD) osserva che la ratio del provvedimento è quella di salvaguardare il diritto alla continuità affettiva dei minori già dichiarati adottabili, onde evitare loro il trauma di una «doppia separazione», sia dalla famiglia di origine, sia da quella affidataria. Nell’illustrare, inoltre, le proposte emendative a sua firma, rileva come le stesse siano dirette ad evitare ingiuste discriminazioni ai danni delle coppie non sposate e dei single. Osserva, infatti, come la proposta di legge in discussione rechi disposizioni volte a salvaguardare unicamente la continuità delle relazioni socio-affettive consolidatesi tra il minore e la famiglia affidataria, senza ricomprendervi i single e le coppie non sposate.

Donatella Ferranti, presidente, richiamando l’audizione del Professor Cesare Massimo Bianca, svoltasi il 10 giugno scorso, osserva che la problematica testé evidenziata è sovente determinata da un inadeguato funzionamento dei servizi sociali. Rileva, quindi, l’opportunità che la Commissione avvii sul tema un’approfondita attività conoscitiva, ferma restando la possibilità che venga presentato, nel corso dell’esame in Assemblea, uno specifico ordine del giorno rinvia il seguito dell’esame del provvedimento ad altra seduta.

www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2015&mese=09&giorno=15&view=&commissione=02&pagina=data.20150915.com02.bollettino.sede00030.tit00010#data.20150915.com02.bollettino.sede00030.tit00010

Senato 2° comm. Giustizia. Disciplina delle unioni civili

Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili   in sede referente

S 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763 e petizione n. 665

15 e 16 settembre 2015 Prosegue l’esame congiunto, sospeso nella seduta del 10 settembre 2015.

            In assenza di accordo in Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi, la Commissione ha approvato a maggioranza il nuovo calendario dei lavori che prevede per martedì 22 settembre sedute notturne da fine lavori d’Aula fino alle ore 23.

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SINODO DEI VESCOVI SULLA FAMIGLIA

Resi noti i nomi dei partecipanti al Sinodo di nomina pontificia.

            Sono stati resi noti oggi i partecipanti di nomina pontificia al prossimo Sinodo, molti gli italiani, non solo vescovi, segnale che ci avviciniamo alla seconda fase di questo delicato evento che sotto molti punti di vista sta facendo emergere una linea di frattura tra episcopati, teologi, osservatori e popolo di Dio. C’è chi si aspetta grandi trasformazioni, c’è chi le teme. E’ bene ricordare tuttavia – cosa che in molti sembrano aver dimenticato – che il Sinodo non è “non è deliberativo”. E che – come spiega il Segretario del Sinodo, Cardinal Lorenzo Baldisseri, su Avvenire – “Solo il Papa o un Concilio in comunione con il Papa possono deliberare. Il compito del prossimo Sinodo è valutare con autentico discernimento le proposte che emergeranno per poi esprimere collegialmente delle indicazioni pastorali, delle proposte di soluzioni adeguate, nel rispetto della verità e nella carità, da consegnare al Papa” (15 settembre 2015).

            L’importanza del Sinodo proviene dall’intuizione di Paolo VI che ne disegnò le caratteristiche all’indomani del Concilio Vaticano II. Di questa innovazione si celebrano i 50 anni proprio durante i lavori di ottobre e il cardinale di Vienna Christoph Schönborn farà una relazione sui cinquant’anni dell’attività sinodale. “Seguiranno – prosegue Baldisseri – cinque interventi dai diversi continenti. Non solo quindi si evidenzieranno le assemblee sinodali generali, ordinarie e straordinarie, ma anche le singole assemblee speciali dell’Africa, dell’Europa, dell’Asia, delle Americhe, dell’Oceania che saranno corredate da una rappresentazione visuale con i passaggi più importanti dei vari sinodi. È infine atteso un discorso ad hoc del Papa sull’importanza dello strumento sinodale per la Chiesa” (Avvenire).

Una ulteriore iniezione di saggezza e di esperienza. Potrebbe essere questa la lettura per la scelta del Papa a proposito dei partecipanti al prossimo Sinodo sulla famiglia. Con l’ultima tranche di nomine papali, resa nota ieri dalla Sala stampa vaticana in accordo con la Segreteria generale, delle persone che parteciperanno alla grande assemblea dei vescovi sulla famiglia del prossimo ottobre (4-25), è definitivamente completo.

Tra le novità (belle) che si rintracciano nell’elenco ufficiale, otto cardinali e due vescovi italiani. Tutti con vasta esperienza pastorale e con conoscenze specifiche sul tema famiglia. A cominciare dall’arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, dall’arcivescovo emerito di Milano, Dionigi Tettamanzi e dal presidente emerito del Pontificio consiglio per la vita, Elio Sgreccia. Tutti e tre vantano una bibliografia con decine e decine di titoli nell’ambito del matrimonio, della famiglia e della vita. Esperto di famiglia anche l’arcivescovo di Ancona-Osimo, Edoardo Menichelli (che aveva partecipato anche in passato anche presidente della Commissione episcopale Cei appunto per la famiglia e la vita. Gli altri porporati italiani indicati dal Papa per partecipare all’assemblea sinodale sono l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, Gualtiero Bassetti; l’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro; il presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, Giuseppe Bertello e il decano del Collegio cardinalizio, Angelo Sodano. Due i vescovi italiani voluti da Francesco tra i nuovi 5 Padri sinodali -ne aveva nominati personalmente 26 nel Sinodo dell’ottobre scorso-, sono Marcello Semeraro, pastore diocesano di Albano e segretario del cosiddetto ” C 9 “, la Commissione dei cardinali a cui il Papa ha affidato lo studio della riforma della Curia. E monsignor Pio Vito, decano del Tribunale della Rota Romana, scelta quasi inevitabile visto il ruolo avuto nella presentazione del recente “Motu proprio ” di Francesco sulla riforma del processo canonico di nullità.

Oltre a cardinali e vescovi – sempre per limitarci agli italiani – il Papa ha chiamato poi a partecipare al Sinodo il direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, e due parroci, don Saulo Scarabattoli di Perugia e don Roberto Rosa di Trieste.

Le nuove nomine vanno ad aggiungersi ai partecipanti previsti dagli statuti. Per quanto riguarda la Cei, l’ultima assemblea di maggio, aveva scelto come rappresentanti il presidente dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco, l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, e poi due presuli con specifiche competenze per quanto riguarda la teologia e la pastorale della famiglia. E cioè il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, e il vescovo di Parma, Enrico Solmi che nell’ultimo decennio è stato presidente della Commissione episcopale Cei per la famiglia e la vita. Nell’elenco dei partecipanti annunciato ieri figurano poi, dal segretario di Stato Pietro Parolin. E poi, passando ai padri sinodali eletti dall’Unione dei superiori generali, ecco i nomi di padre Mario Aldegani (Giuseppini del Murialdo) e di padre Franco Tasca (Frati Minori Conventuali). Tra sempre per quanto riguarda vescovi e cardinali italiani, dodici capi dicastero della Curia Romana, a cominciare gli esperti, chiamati come collaboratori, del Segretario speciale, una decina di italiani, tra cui il preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, monsignor Pierangelo Sequeri e l’ex presidente del Forum delle associazioni familiari, Giovanni Giacobbe.

Visto che il tema è quello della famiglia, al Sinodo ordinario prenderanno parte anche diciotto coppie di sposi (erano otto al Sinodo straordinario). Tra gli italiani Giuseppina De Simone e Francesco Miano, già presidente nazionale di Azione Cattolica; Marialuisa Zecchini e Marco Matassoni, membri della commissione per la pastorale familiare della diocesi di Trento; Patrizia Calabrese e Massimo Paoloni, impegnati nella pastorale missionaria della famiglia. Tra gli uditori diverse esperte e teologhe, tra le altre la storica Lucetta Scaraffia. Dulcis in fundo, non possiamo dimenticare il segretario generale del Sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri, il segretario speciale, l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte e il sottosegretario, vescovo Fabio Fabene.

Luciano Moia             avvenire                     16 settembre 2015

http://www.forumfamiglie.org/allegati/rassegna_35645.pdf

            Elenco dei partecipanti

http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/09/15/0676/01469.html

 

Il cammino sinodale. Una rilettura in corso d’opera.

In vista del Sinodo ordinario di ottobre sulla famiglia, una lettura dei documenti finora prodotti consente di orientarsi in un tema tanto delicato quanto complesso. (…)

Iniziato nell’ottobre 2013, il “processo sinodale” – come lo ha definito lo stesso papa Francesco – si è imposto all’attenzione dei media nel febbraio 2014, quando il cardinale Walter Kasper ha tenuto al Concistoro – l’assemblea collegiale di tutti i cardinali, presieduta dal Papa – una relazione introduttiva nella quale articolava i punti fermi del Magistero cattolico sulla famiglia, con le sfide poste alla pastorale dai nuovi contesti delle relazioni familiari, con particolare attenzione alle questioni matrimoniali. A questo proposito, il card. Kasper portava come esempi due situazioni in cui la prassi della Chiesa, basata su un modo di procedere giuridico, mostra i suoi limiti: la separazione voluta da uno o entrambi i coniugi, certi in coscienza di non aver contratto validamente il sacramento del matrimonio, ma impossibilitati a dimostrarlo in modo oggettivo; e il rifiuto di dichiarare nullo il proprio matrimonio da parte di persone separate che lo ritengono tuttavia fallito (Kasper 2014a). Se il nucleo essenziale del messaggio evangelico – di cui la Chiesa è chiamata a essere annunciatrice e testimone – è la misericordia, come coniugarla con le esigenze della giustizia e del diritto, evitando gli estremi del lassismo e del rigorismo?

Le parole del card. Kasper hanno suscitato un acceso confronto fra quanti ritengono possibile modificare alcuni aspetti della prassi pastorale della Chiesa relativa alle unioni cosiddette “irregolari”, mantenendosi fedeli al Vangelo e alla tradizione, e quanti, invece, non lo ritengono possibile nella sostanza. I media hanno interpretato questo dibattito in termini di apertura o chiusura dei vescovi rispetto ai profondi cambiamenti che negli ultimi decenni hanno segnato l’ambito delle relazioni familiari, presentando gli uni come progressisti, gli altri come conservatori. Si tratta di una lettura semplicistica e a volte strumentale, da superare perché non aiuta a seguire il confronto in atto dentro la Chiesa e a comprenderne le ragioni più profonde e le conseguenze.

Lasciando cadere la logica degli schieramenti e cercando, invece, di cogliere il nucleo essenziale delle questioni in esame, si osserva che nel cammino sinodale le discussioni più animate hanno riguardato non tanto la famiglia, quanto la relazione coniugale, la cura delle unioni ferite o irregolari e la relativa prassi pastorale e sacramentale. Una chiave di lettura più adatta, allora, ci sembra la distinzione fra due modi con cui si può guardare al matrimonio: dal punto di vista giuridico, ponendo in primo piano la dimensione istituzionale oggettiva, che contempla diritti e doveri; e da quello della relazione interpersonale, osservandone la qualità e subordinandovi l’istituzione. Al di là delle differenze di vedute, nessuno ha messo in discussione la concezione ecclesiale della famiglia, fondata sul matrimonio inteso come unione stabile e indissolubile di un uomo e una donna, aperta alla procreazione (cfr Lumen fidei, n. 52 e Familiaris consortio [FC], nn. 14-20). Pertanto, anche le due prospettive con cui si propone di rileggere il cammino sinodale compiuto finora non si trovano fra i vescovi come tali, in una forma assoluta, isolate l’una dall’altra: portate alle estreme conseguenze, infatti, risulterebbero incompatibili con la visione cattolica del matrimonio. Di fatto sono state tenute entrambe in considerazione, sebbene con diversa gradazione, e hanno interagito all’interno del Sinodo straordinario producendo un documento finale che è una mediazione fra le due.

La matrice storica delle questioni disputate. Nel corso dei secoli la concezione del matrimonio in Occidente ha avuto una notevole evoluzione. È in questa cornice storica più ampia l’esortazione apostolica Familiaris consortio, scritta da Giovanni Paolo II nel 1981 sul tema della famiglia, raccoglie le indicazioni del Sinodo dei vescovi del 1980 su «I compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi».

Nei primi secoli dopo Cristo, la giurisprudenza romana stabilì progressivamente le norme in base alle quali la convivenza stabile fra un uomo e una donna si distingue dal concubinato – ritenuto anch’esso legittimo – e può considerarsi un “giusto matrimonio”, ovvero un’unione conforme al diritto, secondo il quale l’elemento costitutivo e discriminante della relazione matrimoniale è il consenso dei coniugi. La codificazione romana influì sulla prassi ecclesiale, finché i canonisti del XII e XIII sec. unirono gli elementi che i giuristi romani avevano desunto dal diritto naturale e dalla consuetudine con quelli dedotti dalla Scrittura come diritto divino e dalla tradizione della Chiesa. Vengono così fusi insieme l’aspetto giuridico, per cui il matrimonio è un contratto, e quello sacramentale, che prevede un’unione indissolubile, segno visibile ed efficace dell’alleanza fra Dio e il suo popolo e dell’amore fra Cristo e la Chiesa. Il passaggio definitivo si compie al Concilio di Trento, quando vengono sistematizzate le questioni relative ai sacramenti in reazione alla riforma luterana, che aveva riguardato anche il matrimonio. Con l’avvento degli Stati liberali e la distinzione fra dimensione civile e religiosa si produce una separazione: a seconda della legislazione vigente nei vari Paesi, la celebrazione ecclesiale delle nozze può o meno avere anche effetti civili, con diverse conseguenze, ad esempio, in caso di divorzio, ammissibile per lo Stato ma non per la Chiesa.

Uno sviluppo più recente, ma forse più radicale, perché determinato da fattori culturali, è l’importanza crescente attribuita all’amore fra i coniugi, ovvero alla qualità della loro relazione interpersonale, considerata un elemento essenziale anche per la sussistenza del vincolo. Ma non è così ovunque: in molti luoghi della terra il matrimonio nasce da un patto fra le famiglie di origine e talora prescinde dalla volontà dei coniugi e da ciò che provano. L’amore, inteso come trasporto sentimentale verso l’altro, come rispetto e cura, si può costruire una volta istituita la convivenza stabile. Anche in Occidente questo sviluppo è relativamente recente: fondare il matrimonio su un tale amore reciproco è considerato la regola solo da alcuni decenni. Il consenso libero e consapevole, espresso in modo manifesto, continua a essere l’elemento costitutivo della relazione coniugale, ma la componente oggettiva con le sue conseguenze giuridiche e quella intersoggettiva hanno assunto un peso e un ruolo diversi rispetto al passato.

Con le dovute proporzioni, tenendo presente che per la Chiesa si tratta di un sacramento, l’evoluzione storica e la tensione venutasi a creare fra queste due componenti essenziali del matrimonio hanno segnato anche il Magistero.

Il matrimonio come grazia e come patto. Il “sì” dei nubendi, pronunciato davanti a testimoni nel contesto liturgico, istituisce la relazione coniugale nella forma sacramentale del patto, che rimanda alla categoria biblica dell’alleanza, caratterizzata da una dimensione verticale – il riconoscimento che quell’unione è voluta da Dio ed è una manifestazione del suo amore eterno – e una orizzontale, la promessa di reciproca fedeltà nell’amore per tutta la vita. Quanti partono da una visione giuridica di tale consenso danno la priorità ai diritti e ai doveri che conseguono al rapporto così istituito, retto al contempo dal diritto divino e canonico. In questo senso, il matrimonio è innanzitutto «una realtà che viene da Dio e non è più nella disponibilità degli uomini», come insegna Gesù: «l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Marco 10,9). Neanche la Chiesa può sciogliere il vincolo, ma solo constatarne la nullità. In questo caso, dovendo quanto più possibile escludere il rischio di dichiarare nullo un matrimonio valido, sono necessari dei riscontri oggettivi e per questo la via giuridica è l’unica percorribile, in quanto le clausole di possibile nullità sono solo quelle sancite dal diritto canonico.

Quanti, invece, partono da una concezione personalistica del matrimonio, tendono piuttosto a vederlo come «un’unione personale nella quale i coniugi si donano e si accolgono reciprocamente» e in quest’ottica «recuperano» gli «aspetti “oggettivi” ed istituzionali». Chi segue questo approccio intende riprendere la linea seguita dal Concilio, che considera «l’alleanza fra i coniugi», consistente «nell’irrevocabile consenso personale», finalizzata a stabilire «l’intima comunità di vita e d’amore coniugale» (cfr Gaudium et spes, n. 48). In questo modo la Chiesa aveva ridimensionato la concezione canonistica del matrimonio ricorrendo alla categoria biblica del patto, inteso in termini di comunione fra le persone e non solo o principalmente come rapporto giuridico. Pertanto, anche le parole pronunciate da Gesù nella controversia con i farisei sul divorzio non vanno interpretate come «un paragrafo di un ordinamento giuridico cristiano» che sancisce una legge inderogabile, ma come appello radicale ai coniugi affinché si affidino alla volontà originaria di Dio, che li salva dall’arbitrio, in modo che «nessuno dei due è posto in balia dell’altro».

Il canone n. 1081 del CIC del 1917 definiva il consenso che istituisce il matrimonio come «un atto della volontà con il quale ciascuna parte dà e riceve il diritto perpetuo ed esclusivo sul corpo in ordine ad atti idonei alla generazione della prole». Il CIC del 1983, con il canone 1055, elimina questa definizione e recepisce la categoria del patto matrimoniale introdotta dal Concilio.

Entrambe le posizioni, portate alle estreme conseguenze, presentano dei limiti. La prima rischia di essere astorica, nel senso di vedere il matrimonio come un evento puntuale, legato a una volontà immutabile di Dio incarnata in un “sì” rispetto al quale il prima e il dopo vengono presi in considerazione solo in caso di difficoltà, di fronte a un fallimento, mentre anche nelle unioni andate a buon fine è sempre il tempo a rivelare se il vincolo sacramentale si è stabilito efficacemente. Inoltre, si rischia di non dare sufficiente rilievo alla coscienza individuale, affidandosi solo a ciò che può essere provato con la certezza del diritto, considerando egualmente irregolari tutte le situazioni diverse dalla norma, salvo prova contraria. Anche la dimensione spirituale della relazione, di cui si deve tener conto nella fase di preparazione al matrimonio, resta esclusa da un eventuale processo di separazione.

Dall’altro lato, insistere troppo sulla dimensione soggettiva rischia di enfatizzare oltre misura la componente affettiva, esponendo la relazione all’oscillazione dei sentimenti e alla variabilità delle circostanze, rendendola fragile e impedendole di perseverare nella grazia. La concezione personalistica del matrimonio è più in sintonia con la mentalità corrente, ma richiede particolare prudenza per evitare di recepirne aspetti incompatibili con il Vangelo e la tradizione.

Il dibattito sinodale. Queste chiavi di lettura e la prospettiva storica possono aiutare a seguire i lavori del Sinodo ordinario di ottobre con maggiore consapevolezza, riducendo l’impatto emotivo che gli argomenti trattati inevitabilmente portano con sé. Nel quadro fin qui delineato si propone ora di rileggere il documento pubblicato il 23 giugno 2015 da cui prenderà il via il dibattito sinodale, l’Instrumentum laboris, al tempo stesso punto di arrivo del cammino svolto finora. Questo documento, infatti, è frutto del lavoro di un’apposita commissione che ha rielaborato la relazione conclusiva del Sinodo straordinario dello scorso ottobre, la Relatio Synodi, ampliandone i singoli paragrafi con approfondimenti e proposte da discutere. Presenta, quindi, sia gli orientamenti già emersi e condivisi da una parte dell’episcopato, sia elementi nuovi su cui i vescovi sono chiamati a riflettere e a esprimere il proprio parere.

L’Instrumentum laboris si apre proprio considerando l’emergere della soggettività come la principale sfida per la famiglia, nel contesto di un più ampio mutamento antropologico-culturale caratterizzato da luci e ombre: una maggiore libertà di espressione e l’affermazione dei diritti, in particolare di donne e bambini, ma anche il rischio dell’individualismo.

Sempre in termini di sfide, si evidenzia la tensione che a volte si instaura fra la dimensione giuridica del matrimonio e quella della relazione interpersonale, ad esempio nel caso dei matrimoni misti, un’opportunità in chiave ecumenica e di dialogo interreligioso, se non prevale l’indifferenza, ma difficili da configurare giuridicamente. Anche nella prassi sempre più diffusa della convivenza prima delle nozze o non orientata verso alcun vincolo istituzionale si sottolinea la divaricazione fra aspetto pubblico e privato della relazione. In questa linea, uno specifico capitolo è dedicato a «Famiglia, affettività e vita». A fronte del riconoscimento di una giusta aspirazione a «relazioni affettive di qualità» emersa negli ultimi decenni, si afferma la necessità di tener conto del tempo necessario ai processi di crescita che la Chiesa è chiamata ad accompagnare. La prospettiva temporale è senza dubbio uno degli assi portanti dell’Instrumentum laboris, fortemente orientato in senso pastorale, ma non per questo privo di elementi teologici.

Nel Sinodo straordinario era stata proposta la legge della gradualità di cui si parla al n. 34 della Familiaris consortio come criterio di discernimento delle diverse situazioni familiari, tenendo presente che anche Dio comunica all’umanità la grazia dell’alleanza per tappe successive. La proposta era stata rifiutata per non creare equivoci, «come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse» (cfr FC, n. 34), ma nella relazione finale è stato mantenuto il riferimento alla pedagogia con cui Dio fa evolvere l’ordine della creazione verso quello della redenzione. Questo è particolarmente evidente nel caso del matrimonio, una realtà innanzitutto “naturale”, cioè voluta da Dio per tutta l’umanità (cfr Genesi 1-2), che in Cristo viene elevata a sacramento e trova così il suo compimento.

Questa prospettiva storica di progressivo sviluppo a partire da un dato “naturale”, universale, viene combinata con quanto aveva affermato a suo tempo il Concilio a proposito dei semina Verbi, quegli elementi di verità, bontà e bellezza presenti in tutte le culture e anche nelle altre religioni, che i cristiani possono riconoscere come segni della presenza del Verbo, da coltivare e far crescere verso la piena manifestazione. Ecco la seconda coordinata, “spaziale”, con cui il documento preparatorio affronta le sfide esaminate nella prima parte, proponendo alcuni orientamenti pastorali. Questo approccio, come detto, integra e relativizza la dimensione giuridico-istituzionale, nel senso che l’atto pubblico con cui viene sancita la relazione coniugale e istituita una nuova famiglia resta l’elemento costitutivo dell’unione, ma a partire “dal basso”, dal riconoscimento della presenza di alcuni segni essenziali per ogni giusto matrimonio, che possono crescere nel tempo fino a un definitivo “sì”. Per questo l’Instrumentum laboris da una parte ribadisce che il matrimonio naturale va compreso «alla luce del suo compimento sacramentale», perché solo il riferimento a Cristo fa conoscere «fino in fondo la verità dei rapporti umani»; dall’altra promuove «una morale della grazia che faccia scoprire e fiorire la bellezza delle virtù proprie della vita matrimoniale, fra le quali: rispetto e fiducia vicendevoli, accoglienza e gratitudine reciproche, pazienza e perdono».

Questa prospettiva che valorizza la qualità della relazione interpersonale non era certo assente nei precedenti documenti del Magistero, ma non era ancora il punto focale da cui discernere limiti e potenzialità delle diverse situazioni, anche quelle cosiddette “irregolari”. Infatti, uno dei punti più controversi della Relato Synodi è stata l’affermazione di una nuova sensibilità pastorale, frutto di quegli elementi teologici evidenziati sopra, che porta a «cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze», come, ad esempio, «quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove». In questi casi la Chiesa è invitata a incoraggiare e sostenere lo sviluppo verso il matrimonio.

Proseguendo su questa linea di riconoscimento del bene presente nella relazione, ma non ammissibile dalla legge, sono stati affrontati i casi di separazione, proponendo di rendere più accessibili e possibilmente gratuite le procedure per il riconoscimento di nullità, anche per via amministrativa, sotto la responsabilità del vescovo, o con un processo sommario quando la cosa è evidente. L’Instrumentum laboris in proposito definisce il processo giudiziale come la via di discernimento più accreditata nella storia della Chiesa, ma non l’unica, per accertare la verità sulla validità del vincolo matrimoniale. Un’integrazione del processo canonico di nullità con altre forme di valutazione e accompagnamento delle situazioni problematiche viene prospettato anche nel caso dei divorziati risposati. Com’è noto, infatti, la prassi ecclesiale esclude dalla comunione sacramentale chi vive una seconda unione coniugale mentre è ancora valido il precedente matrimonio, perché questa condizione di vita contraddice «oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia» (cfr FC, n. 84). Inoltre, trattandosi di una situazione continua di peccato grave manifesto, non è possibile neanche ricevere l’assoluzione per mezzo del sacramento della riconciliazione.

Il Sinodo straordinario aveva già discusso casi particolari e modalità di riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti, proponendo varie forme possibili, tra cui un cammino penitenziale sotto la responsabilità del vescovo. L’Instrumentum laboris specifica meglio questo punto e lo amplia, chiedendo di ripensare «le forme di esclusione attualmente praticate nel campo liturgico-pastorale, in quello educativo e in quello caritativo» di questi fedeli, che non sono esclusi dalla Chiesa. Se queste proposte hanno senso e possono essere prese in considerazione, è proprio perché introducono il riferimento alla coscienza individuale, un fattore di cui non si può avere un’evidenza oggettiva tale da rientrare come elemento di valutazione nel procedimento giuridico, pur avendo un ruolo essenziale nel determinare le vicende matrimoniali e familiari. Alcuni divorziati risposati vivono situazioni irreversibili, consapevoli del fallimento, a volte colpevole, della precedente unione, ma impossibilitati a porvi rimedio senza causare ulteriori ferite e danni anche peggiori. Bisogna poi discernere i casi in cui la situazione oggettiva di peccato è o meno imputabile dal punto di vista morale.

Implicazioni del dibattito in corso. L’approccio teologico-pastorale adottato finora nel processo sinodale ha implicazioni che vanno oltre le questioni dibattute, toccando non solo alcuni punti essenziali della prassi ecclesiale, ma anche il modo in cui il Magistero affronta le sfide del mondo contemporaneo con i suoi rapidi cambiamenti. Se, infatti, il discernimento delle situazioni particolari va fatto a partire dal riconoscimento dei semina Verbi e con una prospettiva di sviluppo temporale, il sacramento o l’istituto del matrimonio non segnano tanto l’inizio di un cammino, la nascita di una nuova famiglia che prima era del tutto inesistente, ma rappresentano una tappa fondamentale all’interno di un cammino di progressiva consapevolezza di ciò che Dio ha già seminato e fatto crescere e che si rende visibile nei segni veri, buoni e belli che accompagnano la relazione. Si potrebbe parlare di un approccio fenomenologico al matrimonio, a partire da un’esperienza sottoposta a discernimento, in cui la Chiesa ha principalmente il compito di riconoscere e accompagnare il processo spirituale in atto. Anche per questo i documenti esaminati pongono grande enfasi sulla formazione e sui cammini di preparazione alle nozze e propongono la costituzione di appositi uffici di consulenza matrimoniale gratuita presso le diocesi.

Andando oltre la distinzione mediatica e semplicistica fra conservatori e progressisti, il Sinodo potrebbe essere il punto di partenza per una più ampia revisione della pastorale sacramentale della Chiesa, chiarendo anche meglio il rapporto fra i sacramenti, in particolare matrimonio, riconciliazione ed eucarestia. Il primo, ad esempio, insistendo su una realtà innanzitutto “naturale”, può stimolare la riflessione teologica a comprendere più in profondità la relazione fra creazione e redenzione tenendo conto del processo di secolarizzazione. Anche il potere di sciogliere e legare che la Chiesa ha ricevuto da Cristo può essere visto in una luce nuova e l’eucarestia considerata sempre più un rimedio per i peccatori e non un premio per i giusti.

Come si vede, quindi, le risposte che il Sinodo darà alle sfide pastorali relative a famiglia e matrimonio coinvolgono gli aspetti fondamentali della vita ecclesiale. Spetterà poi a papa Francesco raccoglierle nell’esortazione post-sinodale e indicare la direzione in cui procedere in modo che la misericordia sia sempre più il fondamento teologico e pastorale dell’azione della Chiesa nel mondo contemporaneo.

Giuseppe Trotta S.J    redazione di Aggiornamenti sociali             settembre 2015

            www.aggiornamentisociali.it/easyne2/LYT.aspx?Code=AGSO&IDLYT=769&ST=SQL&SQL=ID_Documento=12953

Cardinal Schönborn : “Il sacramento del matrimonio è anche un percorso di conversione”

Sono stati resi noti i partecipanti di nomina pontificia al prossimo Sinodo, molti gli italiani, non solo vescovi, segnale che ci avviciniamo alla seconda fase di questo delicato evento che sotto molti punti di vista sta facendo emergere una linea di frattura tra episcopati, teologi, osservatori e popolo di Dio. C’è chi si aspetta grandi trasformazioni, c’è chi le teme. E’ bene ricordare tuttavia – cosa che in molti sembrano aver dimenticato – che il Sinodo non è “non è deliberativo”. E che – come spiega il Segretario del Sinodo, Cardinal Lorenzo Baldisseri, su Avvenire – “Solo il Papa o un Concilio in comunione con il Papa possono deliberare. Il compito del prossimo Sinodo è valutare con autentico discernimento le proposte che emergeranno per poi esprimere collegialmente delle indicazioni pastorali, delle proposte di soluzioni adeguate, nel rispetto della verità e nella carità, da consegnare al Papa” (15 settembre2015).

L’importanza del Sinodo proviene dall’intuizione di Paolo VI che ne disegnò le caratteristiche all’indomani del Concilio Vaticano II. Di questa innovazione si celebrano i 50 anni proprio durante i lavori di ottobre e il cardinale di Vienna Christoph Schönborn farà una relazione sui cinquant’anni dell’attività sinodale. “Seguiranno – prosegue Baldisseri – cinque interventi dai diversi continenti. Non solo quindi si evidenzieranno le assemblee sinodali generali, ordinarie e straordinarie, ma anche le singole assemblee speciali dell’Africa, dell’Europa, dell’Asia, delle Americhe, dell’Oceania che saranno corredate da una rappresentazione visuale con i passaggi più importanti dei vari sinodi. È infine atteso un discorso ad hoc del Papa sull’importanza dello strumento sinodale per la Chiesa” (Avvenire).

Ma il cardinal Schönborn è anche protagonista di una importante intervista rilasciata al gesuita Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica entrambi resi “ex nominatione pontificia” padri sinodali.

Un dialogo serrato quello tra i due che si è tradotto in un volume inedito ancora in Italia, e riassunto per il secondo numero di settembre della storica rivista dei gesuiti si occupa dei temi del matrimonio, mette in luce la scarsa attenzione per alcuni elementi della pastorale familiare da parte del Sinodo specialmente per il ruolo delle famiglie di origine degli sposi anch’esse spesso ferite dai fallimenti matrimoniali o la solitudine in cui versa il coniuge abbandonato. Che tipo di assistenza spirituale forniscono le parrocchie? E poi il tema dei figli di separati di cui poco si dice. Un tema che tocca da vicino il cardinale viennese a sua volta figlio di separati. Ma tocca al tema del matrimonio fare la parte del leone in questa discussione:

            Quali sono allora le sfide che il Sinodo ordinario dovrà affrontare?

            Si possono individuare diversi punti nevralgici ai quali sarebbe dannoso non dare il giusto peso. Il primo che mi viene in mente è di prendere coscienza della dimensione storica e sociale del matrimonio come della famiglia. Troppo spesso noi teologi e vescovi, pastori e custodi della dottrina, dimentichiamo che la vita umana si svolge nelle condizioni poste da una società: condizioni psicologiche, sociali, economiche, politiche, in un quadro storico. Questo finora è mancato, nel Sinodo. E la cosa è sorprendente rispetto alle enormi evoluzioni che individuo nel corso dei settant’anni della mia stessa vita. Come si può dimenticare che nel corso della storia il matrimonio non è stato accessibile a tutti? Durante alcuni secoli, forse millenni, il matrimonio non era quello che la Bibbia ci dice dell’uomo e della donna. Per un grandissimo numero di persone il matrimonio era semplicemente impossibile, a causa delle condizioni sociali. Pensiamo solo agli schiavi. Pensiamo a tante professioni per le quali il matrimonio era sia inaccessibile economicamente, sia escluso ex professo. Nelle campagne, fino a tre generazioni fa, c’erano serve, contadine che non si sposavano perché non avevano la possibilità di pagare la dote. Il nostro beato austriaco che tanto amiamo, Franz Jägerstätter, martire del nazismo, beatificato da Benedetto XVI, era il figlio illegittimo di una serva che non avrebbe mai potuto sposarsi se un contadino non avesse avuto pietà di lei e non l’avesse presa in sposa adottando il ragazzo. Nei registri battesimali dell’Ottocento a Vienna, circa la metà dei bambini erano illegittimi, figli di tutti i servitori delle case borghesi che non si potevano sposare perché non ne avevano i mezzi. Pensiamo alla situazione, anche attuale, dei Paesi poveri. Mi ha lasciato un po’ scandalizzato il fatto che al Sinodo noi parliamo molto astrattamente di matrimonio. Pochi tra noi hanno parlato delle condizioni reali dei giovani che si vogliono sposare. Ci lamentiamo della realtà quasi universale delle unioni di fatto, di molti giovani e meno giovani che convivono senza sposarsi civilmente e ancora meno religiosamente; siamo qui per deplorare questo fenomeno, invece di chiederci: «Che cosa è mutato nelle condizioni di vita?».

Quale sguardo e quale atteggiamento tenere, a suo giudizio, verso le coppie che vivono una situazione irregolare?

            Nell’ultimo Sinodo ho proposto una chiave di lettura che ha suscitato molte discussioni ed è stata ancora ricordata nella Relatio post disceptationem, ma che non è più presente nel documento finale, la Relatio Synodi. Era un’analogia con la chiave di lettura ecclesiologica data dalla Lumen gentium, la costituzione sulla Chiesa, nel suo articolo 8. La domanda in questione è: «Dove si trova la Chiesa di Cristo? Dov’è incarnata concretamente? Esiste veramente la Chiesa di Gesù Cristo, da lui voluta e fondata?». A questo il Concilio ha risposto con la famosa affermazione: «L’unica Chiesa di Gesù Cristo sussiste nella Chiesa cattolica», subsistit in Ecclesia catholica. Non è una pura e semplice identificazione, come se si dicesse che la Chiesa di Gesù Cristo è la Chiesa cattolica. Lo ha affermato il Concilio: «sussiste nella Chiesa cattolica», unita al Papa e ai vescovi legittimi. Il Concilio aggiunge questa frase, che è divenuta chiave: «Ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica». Le altre confessioni, le altre Chiese, le altre religioni non sono semplicemente il nulla. Il Vaticano II esclude un’ecclesiologia del tutto o niente. Il tutto si realizza nella Chiesa cattolica, ma ci sono elementi di verità e di santificazione anche nelle altre Chiese, e persino nelle altre religioni. Questi elementi sono elementi della Chiesa di Cristo, e per loro natura tendono verso l’unità cattolica e l’unità del genere umano, verso cui tende la Chiesa stessa, anticipazione, per così dire, del grande progetto di Dio che è un’unica famiglia di Dio, l’umanità. In questa chiave si giustifica questo approccio del Concilio, per il quale non si considera dapprima ciò che manca nelle altre Chiese, comunità cristiane o religioni, ma ciò che di positivo esiste. Si colgono i semina Verbi, come si è detto, i semi del Verbo, elementi di verità e di santificazione.

            In che modo questa intuizione si può applicare, a suo avviso, alla famiglia? Pensa che ci siano elementi di santificazione e di verità, cioè elementi positivi, nelle forme imperfette di matrimoni e famiglie? In queste forme manca l’esplicita alleanza matrimoniale sacramentale. Ma questo pare non impedisca che ci siano anche elementi che sono quasi promesse di tale alleanza: la fedeltà, l’attenzione gli uni agli altri, la volontà di fare famiglia. Questo non è tutto, ma è già qualche cosa. È possibile riconoscere in esse «semi» della verità sulla famiglia, che poi i pastori possono aiutare a far crescere e maturare?

            Ho semplicemente proposto di applicare questa chiave di lettura ecclesiologica alla realtà del sacramento del matrimonio. Poiché il matrimonio è una Chiesa in piccolo, l’ecclesiola, la famiglia come piccola Chiesa, mi sembra legittimo stabilire un’analogia e dire che il sacramento del matrimonio si realizza pienamente là dove giustamente c’è il sacramento tra un uomo e una donna che vivono nella fede ecc. Ma ciò non impedisce che, al di fuori di questa realizzazione piena del sacramento del matrimonio, ci siano elementi del matrimonio che sono segnali di attesa, elementi positivi.

Ad esempio, consideriamo il matrimonio civile.

            Sì, noi lo consideriamo come qualche cosa di più di una semplice unione di fatto. Perché? È un semplice contratto civile che dal punto di vista strettamente ecclesiale non ha alcun significato. Ma riconosciamo che nel matrimonio civile esiste un maggiore impegno, dunque una maggiore alleanza, che in una semplice unione di fatto. I due si impegnano davanti alla società, agli uomini e a se stessi, in un’alleanza più esplicita, legalmente ancorata con sanzioni, obblighi, doveri, diritti… La Chiesa ritiene che sia un passo in più rispetto alla semplice convivenza. Esiste in questo caso una maggiore vicinanza al matrimonio sacramentale. Come una promessa, un segnale di attesa. Invece di dire tutto ciò che manca, ci si può anche avvicinare a tali realtà, notando ciò che di positivo esiste in questo amore che si stabilizza

 

Il cardinale invita a guardare alle situazione di convivenza sia dal punto di vista di ciò che manca ma anche di ciò che è già presente. Restando all’analogia con la Chiesa, essa è sì Santa, e in essa sussiste la Chiesa di Cristo, ma essa è fatta di peccatori che avanzano in un cammino di conversione: “Un cattolico non può porsi su un gradino più alto rispetto agli altri. Ci sono santi in tutte le Chiese cristiane, e persino nelle altre religioni. Gesù ha detto due volte a dei pagani, a una donna e a un ufficiale romano: «Una fede così in Israele non l’ho trovata». Una vera fede, che Gesù ha trovato al di fuori del popolo eletto.” Così da trovare anche in queste unioni imperfette quegli elementi positivi di vero eroismo, vera carità e dono reciproco, pur riconoscendo che ancora non c’è una piena realtà del sacramento. “La Chiesa è un popolo che Dio attira a sé e nel quale tutti sono chiamati. Il ruolo della Chiesa è di accompagnare ciascuno in una crescita, in un cammino. Come pastore sperimento questa gioia di essere in cammino, tra i credenti, ma anche tra molti non credenti” (Civiltà Cattolica, 26 settembre 2015).

 

            Qual è il problema legato a ciò che si definisce «intrinsece malum»?

            In pratica si esclude ogni riferimento all’argomento di convenienza che, per San Tommaso, è sempre un modo di esprimere prudenza. Non è né utilitarismo, né un facile pragmatismo, ma un modo di esprimere un senso di giustezza, di convenienza, di armonia. Sulla questione del divorzio, questa figura argomentativa è stata sistematicamente esclusa dai nostri moralisti intransigenti. Se mal compreso, l’intrinsece malum sopprime la discussione sulle circostanze e sulle situazioni per definizione complesse della vita. Un atto umano non è mai semplice, e il rischio è di «incollare» in maniera posticcia la vera articolazione tra oggetto, circostanze e finalità, che invece andrebbero letti alla luce della libertà e dell’attrazione al bene. Si riduce l’atto libero all’atto fisico in modo tale che la limpidezza della logica sopprime ogni discussione morale e ogni circostanza. Il paradosso è che focalizzandosi sull’intrinsece malum si perde tutta la ricchezza, anzi direi quasi la bellezza di un’articolazione morale, che ne risulta inevitabilmente annichilita. Non solo si rende univoca l’analisi morale delle situazioni, ma si resta anche tagliati fuori da uno sguardo globale sulle conseguenze drammatiche dei divorzi: gli effetti economici, pedagogici, psicologici ecc. Questo è vero per tutto ciò che tocca i temi del matrimonio e della famiglia. L’ossessione dell’intrinsece malum ha talmente impoverito il dibattito che ci siamo privati di un largo ventaglio di argomentazioni in favore dell’unicità, dell’indissolubilità, dell’apertura alla vita, del fondamento umano della dottrina della Chiesa. Abbiamo perso il gusto di un discorso su queste realtà umane. Uno degli elementi cardine del Sinodo è la realtà della famiglia cristiana, non da un punto di vista esclusivo, ma inclusivo. La famiglia cristiana è una grazia, un dono di Dio. È una missione, e per sua natura — se vissuta in modo cristiano — è qualcosa da accogliere. Ricordo una proposta di pellegrinaggio per famiglie in cui gli organizzatori volevano invitare esclusivamente quelle che praticano il controllo naturale delle nascite. Durante un incontro della Conferenza episcopale abbiamo chiesto loro come facessero: «Selezionate solo quelli che praticano al 100%, al n %? Come fate?». Da queste espressioni un po’ caricaturali ci si rende conto che, se si vive la famiglia cristiana da quest’ottica, si diventa inevitabilmente settari. Un mondo a parte. Se si cercano sicurezze, non si è cristiani, ci si centra solo su se stessi!

Lucandrea Massaro aleteia 15 settembre 2015

http://it.aleteia.org/2015/09/15/cardinal-schonborn-il-sacramento-del-matrimonio-e-anche-un-ercorso-di-conversione/?utm_campaign=NL_it&utm_source=topnews_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it-09/16/2015

L’intera intervista è in Civiltà Cattolica Quaderno N°3966 del 26 settembre 2015 – (Civ. Catt. III 449-552)

www.laciviltacattolica.it/it/quaderni/articolo/3667/matrimonio-e-conversione-pastorale-intervista-al-cardinale-christoph-sch%C3%B6nborn

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Assemblea dei Consultori familiari Soci il 2 ottobre 2015 a Roma.

E’ convocata l’Assemblea ordinaria dell’U.C.I.P.E.M. ex art. 9 dello statuto, a Roma venerdì 02 ottobre 2015 ore 21 presso la Casa per ferie “Giovanni Paolo II” Opera Don Orione in Via della Camilluccia, 120 Roma, sede dell’ospitalità del Convegno C.F.C. – U.C.I.P.E.M. 2/3 Ottobre 2015 – Università Cattolica del Sacro Cuore – Largo Francesco Vito 1

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                                                                       WELFARE

                        Quando la scuola permette alle mamme di lavorare.

Senza alternative accessibili, la scuola diventa strumento di conciliazione vita-lavoro. Così, la possibilità di anticipare di un anno la scuola dell’infanzia, che ha un prezzo contenuto rispetto all’asilo nido, ha aumentato l’offerta di lavoro delle madri. I risultati di una recente ricerca.

            Servizi per l’infanzia e offerta di lavoro femminile. A settembre inizia un nuovo anno scolastico. Gli studenti trascorrono una parte rilevante della loro giornata a scuola, alleggerendo le responsabilità di cura dei genitori, soprattutto per i bambini più piccoli. In Italia, dove questi servizi sono costosi e non sempre si può fare affidamento sui nonni, la scuola può diventare uno strumento di conciliazione dei tempi di vita familiare e lavorativa.

I servizi per l’infanzia, di qualità e accessibili, sono tra i principali strumenti per la conciliazione. Nei paesi in cui sono maggiormente diffusi, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è più elevata (figura 1). Il nostro paese è fanalino di coda su entrambi i fronti: alla ridotta offerta di servizi pubblici (che copre solo il 13 per cento dei bambini a cui sono rivolti) corrisponde un tasso di occupazione femminile tra i più bassi di Europa (46,8 per cento). I servizi per l’infanzia, prevalentemente asili nido, sono tra l’altro molto costosi: il loro prezzo varia a livello comunale, con picchi superiori ai 300 euro mensili.

Questi elementi rendono difficile il rientro al lavoro delle madri: nel 2012 la percentuale di donne ancora inattive a due anni di distanza dalla nascita del figlio era pari al 22,4 per cento, contro il 18 per cento nel 2000. Si parla spesso di aumentare l’offerta pubblica di servizi per l’infanzia per sfruttare a pieno il potenziale dell’occupazione femminile: era un esplicito punto della legge delega n. 183/2014 (il Jobs Act), venuto però meno nel decreto attuativo in materia di conciliazione (decreto legislativo, n. 80), e ora compare nella recente legge delega n. 124/2015 sulla riforma della pubblica amministrazione.

            Il caso dell’anticipo alla scuola dell’infanzia. In un recente lavoro mostriamo che la fornitura di servizi per l’infanzia a prezzo contenuto può avere effetti positivi e rilevanti sull’offerta di lavoro delle madri. Sfruttiamo la cosiddetta riforma Moratti del 2003 che ha introdotto in Italia l’anticipo alla scuola dell’infanzia: possono accedere tutti i bambini che compiono 3 anni tra gennaio e aprile dell’anno scolastico di riferimento (anziché entro il 31 dicembre). Per esempio, per l’anno scolastico 2015-2016 si sono potuti iscrivere al primo anno di scuola materna tutti i bambini nati entro il 30 aprile 2013, mentre prima della riforma Moratti avrebbero potuto farlo solo quelli nati entro il 31 dicembre 2012. L’istituto ha permesso alle famiglie di questi bambini di usufruire di un servizio sensibilmente meno costoso rispetto agli asili nido.

Poiché la ricerca di un’occupazione richiede tempo e sforzi, è legittimo ipotizzare che i servizi di cura siano necessari non solo per le madri occupate, ma anche per quelle in cerca di lavoro. Una riduzione del costo dei servizi permetterebbe dunque a un numero maggiore di donne di attivarsi nella ricerca e di lavorare. Tuttavia, poiché la possibilità di utilizzare la scuola dell’infanzia aumenta di fatto il reddito netto per le famiglie sia nel caso in cui la madre sia occupata che in cerca di occupazione, è possibile che alcune mamme disoccupate decidano di non accettare offerte di lavoro dai salari troppo bassi. Il livello di occupazione femminile finirebbe così col ridursi.

Dati, metodologia ed effetti. Utilizzando i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, abbiamo stimato gli effetti della possibilità di utilizzare gli anticipi alla scuola dell’infanzia sulle scelte lavorative delle madri. La metodologia utilizzata consiste nel confrontare le scelte delle madri dei bambini nati appena prima del 30 aprile (la data limite per l’iscrizione anticipata alla scuola dell’infanzia) con quelle delle madri dei bambini nati appena dopo.

La figura 2 mostra i tassi di partecipazione e occupazione delle madri a seconda della data di nascita del figlio minore. L’asse orizzontale mostra le date di nascita dei bambini rispetto alla soglia per l’anticipo (la linea verticale). I bambini nati prima sono a destra, quelli nati dopo a sinistra. I due grafici mostrano che sia la partecipazione sia l’occupazione aumentano in maniera discontinua in corrispondenza della soglia, rispettivamente di circa 6 e 5 punti percentuali.

L’effetto sull’occupazione è dovuto non solo all’aumento del numero di donne che decidono di cercare lavoro, ma anche a un abbassamento di quasi 150 euro mensili il livello minimo di salario che le madri disoccupate devono ricevere per accettare un lavoro. La riduzione si è verificata solo per le madri di famiglie ad alto reddito, poiché sono quelle che hanno maggiormente beneficiato della riforma. Queste famiglie pagano per il nido rette ben più elevate di quelle per la scuola dell’infanzia, al contrario delle famiglie a basso reddito che beneficiano di sconti significativi.

Gli effetti sono più marcati nelle aree in cui il mercato del lavoro è maggiormente dinamico (nelle regioni del Nord), tra le donne con un grado di istruzione secondario e quelle sposate, tradizionalmente meno propense a partecipare al mercato del lavoro.

            Implicazioni di welfare. La possibilità di anticipare l’ingresso alla scuola dell’infanzia ha permesso a un numero maggiore di donne di partecipare al mercato del lavoro. Tuttavia, gli effetti si sono concentrati solo su alcuni segmenti della popolazione, mentre per gli altri l’anticipo ha rappresentato un mero trasferimento di reddito. Per ampliarne gli effetti, sarebbe opportuno condizionare o modulare l’offerta di servizi per l’infanzia allo status occupazionale, favorendo sia le donne occupate sia quelle in cerca di lavoro. Ma i risvolti occupazionali determinati dall’anticipo potrebbero anche spingere le imprese a creare nidi aziendali, come benefit accessorio per i dipendenti al fine attrarre il potenziale femminile.

Francesca Carta e Lucia Rizzica     La voce           15 settembre  2015

Testo integrale            www.lavoce.info/archives/36981/quando-la-scuola-permette-alle-mamme-di-lavorare

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