NEWS UCIPEM n. 563 – 13 settembre 2015

NEWS UCIPEM n. 563 – 13 settembre 2015

                                                                                    Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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ADDEBITO                                       Per il padre “fedifrago”, se la figlia testimonia sul suo tradimento.

Addebito della separazione e risarcimento danni.

ADOZIONE                                      Lunghi i tempi tra dichiarazione di adottabilità e l’inserimento.

AFFIDO                                            Otto mila Misna per 8 mila comuni italiani.

AFFIDO CONDIVISO                     Padre aggressivo? Sì, se non lede gli interessi del minore.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Come si calcola se il marito fa il nero.

Assegno di mantenimento a vita o ridotto con l’età avanzata?

CHIESA CATTOLICA                    Possiamo imparare anche da situazioni matrimoniali irregolari.

Divorziati risposati? «Il futuro si chiama tradizione.

Spadaro: famiglia sfida decisiva per i nostri tempi.

La Chiesa cattolica e le persone omosessuali.

CONSULTORI FAMILIARI                       Consultori onlus. Prestazioni a carico degli utenti.

DALLA NAVATA                            24° domenica del tempo ordinario – anno B -13 settembre 2015.

FORUM ASS.ni FAMILIARI                       Proposta del Forum per i bambini immigrati senza famiglia.

FRANCESCO vescovo di ROMA    Parrocchie con le porte chiuse non si chiamano chiese, ma musei.

MINORI                                            Se ci sono rischi per il minore sottratto il rientro va escluso.

Il diritto e il dovere di resilienza.

NULLITÀ MATRIMONIALE         7 punti chiave della riforma sulla nullità matrimoniale.

La “mancanza di fede” nelle cause di nullità matrimoniale.

Matrimonialisti, ora si adegui anche diritto italiano.

Nullità: necessaria ma non sufficiente

OMOFILIA                                       Sui matrimoni gay l’Ue non può scavalcare la volontà degli Stati.

PARLAMENTO                                Senato 2° comm. Giustizia. Disciplina delle unioni civili

PEDAGOGIA                                               Suggerite “nuove progettualità per i vissuti familiari”.

SEPARAZIONE                                Scioglimento della comunione legale tra coniugi.

SESSUOLOGIA                                L’ Ue: dalle elementari l’educazione sessuale

SINODO SULLA FAMIGLIA          Mons. Forte: riforma processo canonico semplifica lavoro Sinodo.

UCIPEM                                            Assemblea dei Consultori Soci il 2 ottobre 2015 a Roma.

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ADDEBITO

Separazione: scatta l’addebito per il padre “fedifrago”, se la figlia testimonia sul suo tradimento.

Tribunale di Trento, Sezione civile, sentenza n. 249\2015

La deposizione della figlia, non smentita dal padre, costituisce prova di una confessione stragiudiziale che dimostra l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà. Sì all’addebito per il padre “fedifrago” incastrato dalla figlia che per caso ha scoperto gli sms inviati dall’amante sul telefonino del genitore e ha assistito alla sua “confessione”, rendendo apposita deposizione in giudizio.

            Lo ha stabilito il Tribunale di Trento pronunciandosi sulla separazione giudiziale di una coppia e concludendo per l’addebito al marito e l’affido congiunto della figlia minorenne. La vicenda aveva inizio con la domanda di addebito da parte della moglie per via della relazione extraconiugale intrattenuta dal marito e provata, tra le altre cose, anche dalla testimonianza resa dalla figlia maggiorenne, la quale, non solo aveva avuto modo di leggere alcuni sms sul telefono del padre (del tipo “sei la luce dei miei occhi”, “oggi piove si vede che non ci sei”, ecc.) inviati dall’amante, ma aveva anche assistito ad una discussione del genitore con la madre, durante la quale lo stesso ammetteva la relazione sentimentale promettendo che comunque era finita, per poi prendere le sue cose e andare via di casa.

            Per il tribunale, ciò basta ad addebitare la separazione al convenuto, ritenendo superfluo l’esame di ogni altra deduzione sul punto. La deposizione della figlia, infatti “non smentita da elementi di segno contrario, costituisce, di fatto, prova di una confessione stragiudiziale del convenuto, in virtù della quale può ritenersi dimostrato che in costanza di convivenza con la moglie lo stesso ebbe effettivamente a intrattenere una relazione extraconiugale”.

            Ciò detto, ha quindi affermato il tribunale richiamando il costante insegnamento giurisprudenziale in tema di separazione tra coniugi (cfr Cass. 2059/2012), “l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile” il che significa che laddove “la ragione dell’addebito sia costituita dall’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, questo comportamento, se provato, fa presumere che abbia reso la convivenza intollerabile, sicché, da un lato, la parte che lo ha allegato ha interamente assolto l’onere della prova per la parte su di lei gravante, e dall’altro la sentenza che su tale premessa fonda la pronuncia di addebito è sufficientemente motivata ove non risulti adeguatamente provata la mancanza di un rapporto di causa ed effetto tra l’accertata infedeltà e l’intollerabilità della convivenza”.

            E tale prova è mancata, secondo il giudice trentino, nella tesi sostenuta dal marito che affermava che il rapporto matrimoniale fosse già definitivamente compromesso all’inizio della sua relazione, per cui l’infedeltà si era verificata nell’ambito di una convivenza divenuta intollerabile o meramente formale, in quanto non forniti adeguati elementi di prova tali da escludere la rilevanza causale alla violazione dell’obbligo di fedeltà.

            Vittoria per la moglie, dunque, ma non su tutti i fronti. Perché quanto all’assegno, dai controlli effettuati non risultava la stessa avesse un reddito così basso da spettarle il mantenimento, il quale veniva, invece, disposto nei confronti delle figlie, sia minorenne (affidata congiuntamente) che maggiorenne senza redditi sufficienti.

Studio Cataldi                                               sentenza

http://www.studiocataldi.it/articoli/19363-separazione-scatta-l-addebito-per-il-padre-fedifrago-se-la-figlia-testimonia-sul-suo-tradimento.asp

            http://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_19363_1.pdf

           

Addebito della separazione e risarcimento danni.

Secondo gli orientamenti giurisprudenziali più recenti, il mancato rispetto dei doveri coniugali può comportare conseguenze anche sotto il profilo risarcitorio. – Quando lo scioglimento del rapporto matrimoniale è riconducibile al comportamento di uno dei due coniugi, e non a una semplice sopravvenuta e insuperabile incompatibilità che ostacola le possibilità di condurre una vita insieme, è possibile richiedere al giudice l’addebito della separazione.

            A disciplinare tale circostanza è, in particolare, l’articolo 151 c.c., il quale stabilisce che “il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”. Dall’addebito della separazione deriva il dovere del coniuge “responsabile” di provvedere al mantenimento dell’altro coniuge che non abbia adeguati redditi propri e la sua esclusione dai diritti successori.

            Orbene, molte discussioni sono sorte in ordine alla possibilità di riconoscere, in presenza di addebito della separazione, anche un risarcimento del danno al coniuge non responsabile derivante dal fallimento del matrimonio, ovviamente non strettamente connesso alla violazione di una norma di carattere risarcitorio (che dà inconfutabilmente diritto al risarcimento).

            Orientamento originario: l’addebito della separazione non può essere fonte di responsabilità extracontrattuale. In un primo momento vi erano remore da parte della giurisprudenza ad individuare nell’addebito della separazione anche una fonte di responsabilità extracontrattuale. Emblematica in tal senso è la sentenza n. 5866/1995 della Corte di cassazione, nella quale si è affermato che “l’addebito della separazione, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., determinando, nel concorso delle altre circostanze specificamente previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento. Pertanto, la risarcibilità dei danni ulteriori è configurabile solo se i fatti che hanno dato luogo all’addebito integrano gli estremi dell’illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità espressa dalla norma citata”.

            La svolta della giurisprudenza: il mancato rispetto dei doveri coniugali comporta conseguenze anche sul piano risarcitorio. Un punto di svolta è stato segnato dalla sentenza n. 9801/2005 della Cassazione, con la quale si è invece stabilito che “il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume il connotato di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia costituisce il presupposto logico della responsabilità civile”.

            A conferma di ciò, la successiva sentenza n. 18853/2011 ha sancito che “i doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio hanno natura giuridica e la loro violazione non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo a un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a questa preclusiva”.

            Alla luce di tali recenti orientamenti sembra quindi che, laddove l’inadempimento dei doveri coniugali che dà luogo ad addebito della separazione sia particolarmente rilevante, in capo al coniuge che lo abbia posto in essere possa riconoscersi anche una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c., che, in ogni caso, necessita di autonomo procedimento, per la diversità di rito che interessa le questioni strettamente connesse alla separazione.

Valeria Zeppilli          studio Cataldi             12 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19358-addebito-della-separazione-e-risarcimento-danni.asp

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ADOZIONE

Troppo lunghi i tempi tra la dichiarazione di adottabilità e l’inserimento in famiglia.

La scelta adottiva richiede un impegno che può tradursi in lunghe attese burocratiche, cui si affiancano le difficoltà nella costruzione di un rapporto con un passato di trascuratezze e disagi. L’iter procedurale dell’adozione in Italia è regolato dalla L.184/1983, modificata dalla L.149/2000, e pone come requisito di base per l’adottabilità la sussistenza della condizione di abbandono, come privazione materiale e morale da parte dei genitori (o dei parenti entro il quarto grado), sia nel caso di genitori ignoti o deceduti sia stabilmente incapaci di occuparsi del minore.

            Decretata l’adottabilità, seguirà l’affidamento preadottivo e la conseguente adozione: il tempo che intercorre tra la determinazione dello stato di abbandono e quello dell’adozione effettiva è un fattore critico, data l’urgenza di assicurare al bambino cure esclusive. A tal proposito l’Istituto degli Innocenti di Firenze, nel quadro delle attività del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, riporta i risultati di una ricerca relativa alle adozioni nazionali nel periodo 2006-2013, cui hanno partecipato 11 Tribunali, corrispondenti al 42% dei bambini nella fascia 0-17 (4,3 milioni su un totale nazionale di 10,2 milioni), rappresentativi delle tre ripartizioni del Paese (per il nord, Genova, Milano, Torino e Trieste; per il Centro, Ancona e Firenze; per il Sud, Bari, Campobasso, Catanzaro, Messina e Palermo).

            Esistono differenze marcate da tribunale a tribunale: il più veloce è Torino (17 mesi), seguito da Milano e Firenze (18), quindi Messina e Palermo (19), in coda Ancona (26) e Trieste (28).

            Non sempre alla dichiarazione di abbandono e di adottabilità segue una sentenza di adozione. Da questo punto di vista, i tribunali di Ancona e Bari nel 2006 segnano il punto più basso (212 iscrizioni, 7 adottabilità e relative adozioni ad Ancona; 130 iscrizioni, 11 adottabili e 10 adottati a Bari), mentre a Milano su 74 iscrizioni, le adozioni sono state 69, a Palermo 13 adozioni su 16 iscritti, con solo il 33,7% dei bambini adottato in tutta Italia (186 su 552).

            Si tratta di dati che sollevano enormi interrogativi: perché il 66,3% dei minori del 2006 non è stato collocato in famiglia? Come ridurre l’attesa e l’eventuale scarto numerico tra la dichiarazione di adottabilità e l’inserimento in famiglia? Per un minore ogni singolo giorno fa la differenza e anche un abbandono precocissimo può provocare danni irreparabili; se l’impossibilità di crescere in un ambiente permeato dall’affetto esclusivo minaccia l’equilibrio in costruzione, la tempestività dell’iter adottivo e un supporto mirato al consolidamento dell’identità (colloqui di preparazione del bambino e incontri con i futuri genitori), appaiono percorsi quanto mai obbligati.

            Fonte: Quotidiano di Sicilia                          

Ai. Bi.  10 settembre 2015                                         www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO

Otto mila Misna (minori stranieri non accompagnati) per 8 mila comuni italiani.

 È uno slogan ma un’idea fattiva e concreta che prende spunto da una coincidenza numerica. Al 31 agosto 2015 i minori stranieri non accompagnati presenti ufficialmente sul nostro territorio, sono circa 8 mila: così quanti sono i Comuni in Italia. Se ogni Amministrazione se ne prendesse in carico uno, si risolverebbero tanti problemi anche di natura economica. Non solo infatti si garantirebbe un’accoglienza sicura ad ognuno di questi bambini (attualmente distribuiti tra le comunità educative, i grandi e promiscui centri di accoglienza e i centri Sprar o peggio ancora per strada) ma ci sarebbe anche un risparmio economico per i Comuni stessi.

Avendo, infatti, ogni bambino un “costo” per le casse dell’Amministrazione, sarebbe per la stessa più sostenibile “gestirne” uno solo piuttosto che decine o centinaia. Situazione che, invece, si crea perché non tutti i Comuni “accolgono” questi i minori. Questo fa sì che ci sia una distribuzione a “macchia di leopardo” dei bambini stessi con pesanti ricadute per un’Amministrazione piuttosto che un’altra. Un’idea, una provocazione che si basa sul serio e fondato principio dell’accoglienza in rete, dell’accoglienza diffusa sempre più ribadita negli ultimi giorni dal Papa, da Cardinali, Vescovi e presti di periferia. Di tutta l’Italia: dal profondo Sud al più “alto” nord. Se ognuno facesse il suo, tra chiese, parrocchie, case private messe a disposizione dalle famiglie e associazioni questi bambini non rischierebbero di cadere nelle “mani” sbagliate.

Non è un mistero infatti che molti di questi poi scappano dai centri, diventando dei veri e propri “fantasmi” di cui si perdono totalmente le tracce…più o meno volutamente. Ma almeno altri 5mila mancano all’appello: sono gli irreperibili, quelli che dopo essere arrivati sulle nostre coste, spariscono.

Una domanda rimane senza risposta. Di fronte all’immagine di un bambino morto (uno, ma in realtà abbiamo perso il conto) cosa si può dire, quando poi ci si ricorda di aver taciuto al cospetto di bimbi vivi, che corrono, sorridono, imparano e sono in gradi di insegnare? Di bimbi che sono una risorsa e possono fare la differenza, prima di essere testimoni di un orrore che non si vuole vedere? “I bambini sono la cosa più bella del mondo”, si sente dire spesso. Eppure dei bambini ci si dimentica continuamente: forse perché non votano? E quindi non contano? La politica ritiene di doversi confrontare solo con chi è in possesso di una scheda elettorale, con i bambini no, con il loro mondo, le loro esigenze in quanto cittadini.

Ma Ai.Bi. non demorde e rimane sempre fedele alla propria mission: dare una casa e del calore ai bambini fragili e vulnerabili. Questo lo scopo del progetto “Bambini in Alto Mare” nell’ambito della Campagna “Non restare a guardare”. Il progetto Bambini in Alto Mare ha l’obiettivo di garantire e rafforzare il sistema di una “giusta” accoglienza a favore dei minori non accompagnati, madri sole e famiglie di profughi con bambini piccoli. In collaborazione con prefetture, comuni, parrocchie e associazioni locali, Ai.Bi. ha avviato una serie di iniziative imperniate su un modello di accoglienza familiare, caratterizzato da piccoli numeri, al fine di assicurare non solo una migliore e più efficace assistenza, ma anche l’instaurarsi di relazioni amicali. Ma per chi non potesse aprire le porte di casa propria può sempre attivare un Sostegno di Vicinanza: grazie a un piccolo contributo mensile, è possibile sostenere le attività del centro servizi alla famiglia “Pan di Zucchero” di Messina e a rafforzare la rete di famiglie di pronta accoglienza di Lampedusa, coadiuvata da personale qualificato. In entrambi i casi l’obiettivo è garantire formazione e accompagnamento alle famiglie che si occupano dell’accoglienza dei Misna.

Ai.Bi. con il progetto Bambini in Alto Mare ha raccolto la disponibilità di 1.782 famiglie ad accogliere un minore straniero non accompagnato. Solo una decina hanno concluso l’iter. I Comuni preferiscono inviare i ragazzini in comunità. Crotone però ha da poco lanciato l’Albo delle famiglie disponibili all’affido: un’idea da copiare

Ai. Bi.  11 settembre 2015                                        www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDO CONDIVISO

            Padre aggressivo? Sì all’affido condiviso se non lede gli interessi del minore

                        Tribunale di Roma, sentenza n. 931/2015,

            Il diritto alla bigenitorialità può essere derogato solo se c’è il rischio di compromissione del percorso educativo del figlio. Se uno dei due genitori è aggressivo e impulsivo non vi è ragione di derogare all’affido condiviso. Il diritto alla bigenitorialità, infatti, può venire meno soltanto se si dimostra un’effettiva e manifesta carenza o inidoneità di uno dei due genitori, tale da arrecare pregiudizio al preminente interesse del minore. Lo ha stabilito il Tribunale di Roma, pronunciandosi su una vicenda di separazione giudiziale e affidando il figlio minore ad entrambi i genitori nonostante la documentata aggressività del padre, provata anche dalla perizia della CTU che ne consigliava un percorso terapeutico. I giudici capitolini hanno ricordato che la regola di cui all’art. 337-ter c.c. prevede l’esercizio della responsabilità genitoriale da parte di ambedue i genitori e la condivisione delle decisioni di maggiore importanza.

            Regola alla quale si può derogare con l’affidamento esclusivo soltanto se quello condiviso risulti contrario all’interesse preminente del minore, sulla base di una valutazione che, in mancanza di tipizzazione delle circostanze ostative, è rimessa alla decisione del giudice del merito da adottarsi con provvedimento motivato. In altre parole, affinché possa derogarsi alla disposizione di legge, occorre che risulti, nei confronti di uno dei due genitori, una “condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale appunto da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore”, come ad esempio, la lontananza del genitore dal figlio o il suo disinteresse per le esigenze di cura, istruzione ed educazione. L’esclusione dal modello legale prioritario di affidamento condiviso, in sostanza, deve risultare sorretta da una motivazione, non solo sotto il profilo “positivo”, della idoneità del genitore affidatario, ma anche sotto quello “negativo”, della sua inidoneità educativa tale da escludere il pari esercizio della responsabilità genitoriale in quanto non rispondente all’interesse del figlio.

            Nel caso di specie, quindi, hanno concluso i giudici romani, non sono ostativi all’applicazione del regime legale dell’affido condiviso del figlio a entrambi i genitori, gli elementi emersi dall’istruttoria, relativamente all’aggressività o impulsività del padre, in quanto non risulta che abbiano creato difficoltà o problematiche attinenti la crescita e l’educazione del minore.

            Marina Crisafi           studio Cataldi             4 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19348-padre-aggressivo-si-all-affido-condiviso-se-non-lede-gli-interessi-del-minore.asp

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Come si calcola se il marito fa il nero.

               Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 17738, 7 settembre 2015.

Quando non è possibile determinare il reddito effettivo sulla base della documentazione fiscale e delle indagini della polizia tributaria, il giudice può limitarsi a tenere conto del tenore di vita.

            Come si determina un corretto ed equo assegno di mantenimento se il coniuge onerato al versamento ha una dichiarazione dei redditi decisamente più bassa rispetto al proprio tenore di vita perché, nei fatti, riesce ad evadere e a fare del “nero”? Un cruccio che affligge molte donne le quali, in sede di separazione o divorzio, non riescono a dimostrare – neanche con l’ausilio dell’anagrafe tributaria o della polizia tributaria – le effettive sostanze del proprio ex marito.

            Come ci si difende, allora, in questi casi? Lo chiarisce la Cassazione con una recente ordinanza, che commentiamo qui di seguito.

Secondo la Suprema Corte, a convincere il giudice del fatto che l’ex coniuge ha molto più di quanto effettivamente dichiara può essere il tenore di vita da questi condotto, la circostanza che abbia un nuovo nucleo familiare e un’attività di lavoro autonomo o imprenditoriale dove – si sa, senza peli sulla lingua – che, spesso, i redditi sfuggono alla tassazione. Inutile, quindi, obiettare che la dichiarazione dei redditi del soggetto onerato al mantenimento sia particolarmente bassa rispetto all’assegno preteso dall’ex coniuge se il suo tenore di vita dimostra che, conti alla mano, spende di più di quanto guadagna. È inverosimile, per esempio, mostrare una dichiarazione da 20mila euro all’anno se l’uomo ha una seconda casa, una nuova compagna con altri figli dalla più recente unione.

            Insomma, via libera anche alle “presunzioni”, come prove del reddito non dichiarato, ma goduto, nei fatti, dall’ex. E queste possono essere di qualsiasi tipo: il certificato di proprietà di una casa, le quote in una società, un reddito d’impresa, la formazione di una nuova famiglia, un contratto di affitto, un’auto con il relativo bollo e l’assicurazione. Insomma, il giudice si fa i conti in tasca al posto del contribuente reticente e… l’aumento scatta senza minimi termini, benché apparentemente non giustificato dalle dichiarazioni fiscali.

            La cassazione rinvia alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà.

Redazione la legge per tutti  8 settembre 2015

www.laleggepertutti.it/96587_assegno-di-mantenimento-come-si-calcola-se-il-marito-fa-il-nero

 

Assegno di mantenimento a vita o ridotto con l’età avanzata?

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 17808, 8 settembre 2015           

 Separazione e divorzi: i sopraggiunti limiti di età non sono di per sé indice di un peggioramento delle condizioni economiche del coniuge onerato, salvo prova di spese per malattia o riduzione della capacità lavorativa.

L’assegno di mantenimento da versare all’ex coniuge non può essere ridotto dal giudice solo per via dell’aumento dell’età del coniuge obbligato: il semplice fatto dell’avanzamento degli anni e dei capelli bianchi non giustifica una revisione delle condizioni economiche di separazione o divorzio. A poter motivare una eventuale riduzione dell’assegno di mantenimento sono solo delle comprovate condizioni di salute dell’onerato che gli impongono di ridurre il carico di lavoro (con conseguente abbassamento del reddito) o le spese mediche e sanitarie che ne comprimono il tenore di vita.

            A ricordare questi principi è la Cassazione che, con una recente ordinanza, ha di fatto condannato ogni soggetto che versa il mantenimento a un obbligo che, sostanzialmente, è “a vita”.

            L’età avanzata non è di per sé indice di peggioramento delle condizioni economiche per l’onerato, chiarisce la Suprema Corte. È del tutto irrilevante anche l’intervenuto pensionamento e l’impossibilità di svolgere lavoretti extra: servono prove sulla contrazione dei redditi. Quando, però, la pensione è di entità nettamente inferiore al reddito percepito da lavoratore, è bene che il coniuge onerato al versamento del mantenimento proponga un giudizio per la revisione delle condizioni di separazione o divorzio.

La conseguenza è anche in termini di mantenimento dei figli: il genitore in questione rimane vincolato a provvedere al mantenimento della prole fino a quando questa raggiunga l’indipendenza economica.

La Corte poi ricorda che la durata del matrimonio è un criterio per determinare la misura dell’assegno di mantenimento, a seguito cioè della separazione (per cui, tanto è stato breve il matrimonio, tanto è basso il mantenimento), ma non rileva più come criterio per stabilire l’assegno divorzile: la durata del matrimonio – si legge nel provvedimento in questione – non rappresenta elemento deducibile nel procedimento di divorzio.

            La massima. L’età avanzata non può essere di per sé elemento di peggioramento delle condizioni economiche del coniuge cui spetta il versamento dell’assegno a meno che egli non porti una specifica prova al riguardo. L’intervenuto pensionamento e l’impossibilità di svolgere lavoro straordinario non sono sufficienti a cambiare la situazione. Allo stesso modo il genitore in questione ha l’obbligo di provvedere al mantenimento del figlio maggiorenne che, frequentando l’università e non lavorando non ha redditi.

Redazione La legge per tutti 8 settembre 2015

www.laleggepertutti.it/96569_assegno-di-mantenimento-a-vita-o-ridotto-con-leta-avanzata

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CHIESA CATTOLICA

Il card. Schönborn: “Possiamo imparare anche da chi vive situazioni matrimoniali irregolari”

Pubblicata da “La Civiltà Cattolica” una lunga intervista con l’arcivescovo di Vienna, in cui il porporato analizza i temi del Sinodo e rilancia l’invito ai pastori ad accompagnare le famiglie ferite

http://ilregno-blog.blogspot.it/2015/09/matrimonio-e-conversione-pastorale.html#more

È un afflato pastorale – proveniente dalla sua esperienza di vescovo e cardinale, ma anche dalla sua storia familiare – quello che dà corpo e respiro alle parole del cardinale Christoph Schönborn nell’intervista alla rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica. “Matrimonio e conversione pastorale” si intitola il lungo e articolato colloquio che l’arcivescovo di Vienna – tra i protagonisti del Sinodo 2014, per i suoi interventi ‘originali’ – ha concesso al direttore padre Antonio Spadaro, in vista dell’assise ordinaria del prossimo ottobre.  Il Sinodo è infatti il centro della intervista: questo “cammino comune” messo in moto da Papa Francesco in cui – dice il cardinale – “siamo tutti chiamati a osservare la situazione” familiare e matrimoniale, “non con uno sguardo dall’alto, a partire da idee astratte, ma con lo sguardo dei pastori che percepiscono la realtà di oggi in uno spirito evangelico”.

Uno sguardo, dunque, che non sia “critico” o che sottolinei “ogni mancanza”, ma “uno sguardo benevolo, che vede quanta buona volontà e quanti sforzi esistono, pur in mezzo a molte sofferenze”. In fondo, sottolinea Schönborn, “ci viene chiesto un atto di fede: avvicinarci, come Gesù, alla folla variegata senza avere paura di essere toccati”.  Questo era l’originario impulso di Papa Francesco nell’indire i due Sinodi. E questo è l’auspicio del cardinale che vorrebbe far risaltare dall’assemblea “il desiderio di guardare le persone concrete nelle gioie e nelle sofferenze, nelle tristezze e nelle angosce della loro vita quotidiana e portare loro la Buona Notizia”. “Bisogna staccarsi dai nostri libri – aggiunge – per andare in mezzo alla folla e lasciarsi toccare dalla vita delle persone. Guardarle e conoscere le loro situazioni, più o meno instabili, a partire dal desiderio profondo inscritto nel cuore di ognuno”. Secondo lo schietto porporato, “non abbiamo ancora raggiunto questa dimensione nel discorso ecclesiastico e nel discorso del Sinodo. Parliamo ancora troppo con una lingua fatta di concetti vacui…”.

Il rischio, o forse la paura, per molti, è di allontanarsi troppo dalla dottrina. Ma per Schönborn non è così: “La sfida che ci lancia Papa Francesco – afferma – è di credere che, dotati di questo coraggio che ci viene dalla semplice vicinanza, dalla realtà quotidiana della gente, noi non ci allontaniamo dalla dottrina. Non rischiamo di diluire la sua chiarezza camminando con le persone, perché noi stessi siamo chiamati a camminare nella fede”.  “La chiarezza della luce della fede e del suo sviluppo dottrinale in ogni persona – sottolinea ancora – non è in contraddizione con il cammino che Dio compie con noi stessi, che siamo spesso lontani dal vivere in modo pieno il Vangelo”. Teologi, pastori e “custodi della dottrina” a volte dimenticano questo, come pure del fatto che “la vita umana si svolge nelle condizioni poste da una società: condizioni psicologiche, sociali, economiche, politiche, in un quadro storico”.

L’arcivescovo di Vienna individua poi alcuni punti nevralgici a cui, a suo parere, lo scorso Sinodo non ha dato il giusto peso. “Mi ha lasciato un po’ scandalizzato il fatto che al Sinodo noi abbiamo parlato molto astrattamente di matrimonio – spiega -. Pochi tra noi hanno parlato delle condizioni reali dei giovani che si vogliono sposare. Ci lamentiamo della realtà quasi universale delle unioni di fatto, di molti giovani e meno giovani che convivono senza sposarsi civilmente e ancora meno religiosamente; siamo qui per deplorare questo fenomeno, invece di chiederci: ‘Che cosa è mutato nelle condizioni di vita?'”. Ad esempio, in Austria la grande maggioranza è composta da giovani che convivono, in quanto, già oppressi da situazioni lavorative precarie, “se si sposano sono sfavoriti dal fisco”. “Come vogliamo che possano costruire una casa, fondare una famiglia, in queste condizioni?”, domanda il cardinale.

Proprio sulle famiglie che vivono situazioni “irregolari” si posa lo sguardo del cardinale Schönborn, che, ricordando l’esistenza di “cammini di guarigione e approfondimento”, in cui “la legge è vissuta passo dopo passo”, ribadisce la sua ‘teoria’ già esposta l’ottobre scorso. Ovvero il fatto che anche da queste situazioni possano emergere dati positivi, veri e propri elementi semina Verbi. “Poiché il matrimonio è una Chiesa in piccolo – spiega – la famiglia come piccola Chiesa, mi sembra legittimo stabilire un’analogia e dire che il sacramento del matrimonio si realizza pienamente là dove giustamente c’è il sacramento tra un uomo e una donna che vivono nella fede ecc. Ma ciò non impedisce che, al di fuori di questa realizzazione piena del sacramento del matrimonio, ci siano elementi del matrimonio che sono segnali di attesa, elementi positivi”.

Per questo, sottolinea il porporato, “dovremmo guardare le numerose situazioni di convivenza non solo dal punto di vista di ciò che manca, ma anche dal punto di vista di ciò che è già promessa, che è già presente”. “So di scandalizzare qualcuno dicendo questo – soggiunge il cardinale – ma si può sempre imparare qualche cosa dalle persone che oggettivamente vivono in situazioni irregolari”. Anche perché “un cattolico non può porsi su un gradino più alto rispetto agli altri. Ci sono santi in tutte le Chiese cristiane, e persino nelle altre religioni”. E inoltre “bisogna osservare prima di giudicare”. Per esempio, “ci sono casi in cui solo in una seconda, o anche in una terza unione, le persone scoprono davvero la fede. Conosco una persona che ha vissuto molto giovane un primo matrimonio religioso, apparentemente senza fede. Questo fu un fallimento, a cui sono seguiti un secondo e poi persino un terzo matrimonio civile. Solo allora, per la prima volta, questa persona ha scoperto la fede ed è diventata credente. Dunque, non si tratta di mettere da parte i criteri oggettivi, ma nell’accompagnamento devo stare accanto alla persona nel suo cammino”. Tutti i vescovi e sacerdoti sono allora chiamati a stare vicino e seguire pastoralmente questa gente ‘ferita’. L’atteggiamento giusto è quello del Buon Pastore che non resta ad aspettare “soluzioni generali” ma si pone accanto di coloro “che vivono un divorzio e un nuovo matrimonio nelle loro situazioni personali”.

Sulla questione ‘divorziati risposati’, la posizione del cardinale austriaco rimane dunque chiara: “I criteri oggettivi ci dicono chiaramente che una certa persona ancora legata da un matrimonio sacramentale non potrà partecipare in modo pieno alla vita sacramentale della Chiesa. Soggettivamente essa vive questa situazione come una conversione, come una vera scoperta nella propria vita, al punto che si potrebbe dire, in qualche modo che per il bene della fede si può fare un passo che va al di là di ciò che oggettivamente direbbe la regola”.

L’arcivescovo si dice “scioccato” dal modo di alcuni Padri di “argomentare” in modo “puramente formalista” la scure dell’intrinsece malum (atto intrinsecamente cattivo). Così facendo – afferma – “si perde tutta la ricchezza, anzi direi quasi la bellezza di un’articolazione morale, che ne risulta inevitabilmente annichilita”. “Non solo si rende univoca l’analisi morale delle situazioni, ma si resta anche tagliati fuori da uno sguardo globale sulle conseguenze drammatiche dei divorzi: gli effetti economici, pedagogici, psicologici ecc”.  “L’ossessione dell’intrinsece malum ha talmente impoverito il dibattito che ci siamo privati di un largo ventaglio di argomentazioni in favore dell’unicità, dell’indissolubilità, dell’apertura alla vita, del fondamento umano della dottrina della Chiesa. Abbiamo perso il gusto di un discorso su queste realtà umane”. 

In ultima istanza, il cardinale affronta anche la spinosa questione sull’accoglienza della Chiesa a persone omosessuali. “Si può e si deve rispettare la decisione di creare un’unione con una persona dello stesso sesso”, dice, tuttavia “se ci viene chiesto, se si esige che la Chiesa dica che questo è un matrimonio, ebbene dobbiamo dire: non possumus“. Questa “non è una discriminazione delle persone: distinguere non vuol dire discriminare”, precisa il cardinale. Ciò però “non impedisce assolutamente di avere un grande rispetto, un’amicizia, o una collaborazione con coppie che vivono questo genere di unione, e soprattutto di non disprezzarle”. 

Il card. Schönborn conclude l’intervista richiamando l’insegnamento del suo amico Benedetto XVI su queste vicende. “Papa Benedetto – sottolinea – ha mostrato in modo magnifico nel suo insegnamento che la vita cristiana non è in prima battuta una morale, ma un’amicizia, un incontro, una persona. In questa amicizia noi impariamo come comportarci. Se diciamo che Gesù è il nostro Maestro, vuol dire che impariamo da lui direttamente il cammino della vita cristiana”. Cammino che “non è un catalogo di dottrina astratta o uno zaino pieno di sassi pesanti che dobbiamo portare, ma è una relazione viva”.

Salvatore Cernuzio, Città del Vaticano, 10 Settembre 2015          ZENIT.org

www.zenit.org/it/articles/il-cardinale-schonborn-possiamo-imparare-anche-da-chi-vive-situazioni-matrimoniali-irregolari?utm_campaign=quotidiano&utm_medium=email&utm_source=dispatch

 

Divorziati risposati? «Il futuro si chiama tradizione.

Riammettere all’Eucaristia le persone divorziate in nuova unione? «È necessario cercare nella tradizione elementi che consentano da una parte di riconoscere che alcuni unioni finiscono oggettivamente, dall’altra di aprire alla possibilità di nuove unioni nella Chiesa». Così don Basilio Petra, docente di teologia morale e di morale familiare alla Facoltà teologica dell’Italia centrale di Firenze, ha spiegato ieri la sua strategia per risolvere il delicato rapporto tra divorziati risposati e dottrina della Chiesa. L’intervento è arrivato nell’ambito del tradizionale convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa di Bose, che quest’anno ha messo a tema “Misericordia e perdono”.

Impossibile, a tre settimane dal Sinodo sulla famiglia, non chiedersi anche quale misericordia e quale perdono per chi vive il fallimento del proprio matrimonio. Gli organizzatori di Bose l’hanno fatto mettendo a confronto il punto divista cattolico e quello ortodosso. Per motivare la sua proposta don Petra è partito da lontano. Ha spiegato la fatica, nella Chiesa delle origini, di armonizzare la posizione romana (consensus facit nuptias) e quella germanica (coitus facit nuptias). Anche a quell’epoca la domanda più urgente, in ambito canonistico, ruotava intorno alle modalità per dichiarare nullo un matrimonio. E le convinzioni erano ben diverse dalle nostre. Nessuno per esempio metteva in discussione la legittimità della rottura di un matrimonio in cui un coniuge si convertiva al cristianesimo e l’altro rimaneva pagano. Ma, secolo dopo secolo, all’aspetto della motivazione, si è sostituito quello della “non consumazione”. Intanto irrompe la riforma che, recuperando la tradizione orientale delle “eccezioni matteane”, ammette casi di divorzio e nuove nozze. Il mondo cattolico viaggia su altri binari. Dal Concilio di Trento al Codice di diritto canonico del 1917 è un crescendo di severità tanto che si proibisce tra l’altro ai divorziati risposati la sepoltura ecclesiastica e la possibilità di considerare legittimi i figli. Il cammino del ‘900, soprattutto dal Vaticano II alla Familiaris consortio, è ben noto.

 E oggi? Don Petra ha le idee chiare. «Si è giunti ad un punto tale che la Chiesa cattolica non può più evitare di porsi una questione decisiva: dal momento che – ha spiegato il teologo -la via della nullità non potrà riguardare tutti i matrimoni falliti e dal momento che la piena riammissione eucaristica di persone battezzate e viventi in un vincolo non valido sacramentalmente, genera inevitabili contraddizioni su vari piani, se si vuole un’adeguata soluzione pastorale è necessario cercare nella tradizione».

Quella per esempio che la Chiesa ortodossa ha conservato nella logica della oikonomia. A Bose l’ha spiegata Bassani A. Nassif, presbitero della Chiesa ortodossa di Antiochia, docente di teologia all’Università di Balamand. La prassi ortodossa che permette seconde, o anche terze nozze non sacramentali, «è modellata sulla persona compassionevole di Cristo e sulla sua opera salvifica. È grazia divina che conduce alla misericordia di Dio». E ancora: «È flessibilità esistenziale» che si oppone all’interpretazione legalistica della validità sacramentale. «Valuta ogni situazione individuale» con l’obiettivo di aprire le porte a quanti si sentono fuori dalla Chiesa.

Che dire? Spunti preziosi in vista del Sinodo.

Luciano Moia                         avvenire         11 settembre 2015

 

Incontro Sinodo. Spadaro: famiglia sfida decisiva per i nostri tempi.

Si terrà domani, sabato 12 settembre, alle ore 18 presso la sede di Civiltà Cattolica la tavola rotonda sul tema “Famiglia: vocazioni e sfide”. Numerosi i relatori, tra cui il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Vincenzo Paglia. Il confronto verrà moderato dal direttore della rivista dei gesuiti, padre Antonio Spadaro, che in questa intervista di Alessandro Gisotti si sofferma sul significato e le aspettative per questa iniziativa: 

R. – La famiglia è un po’ lo specchio della vita: un grande autore cristiano, Chesterton, ha scritto che “la famiglia è bella perché non è armoniosa”, cioè è sana perché contiene discrepanze e diversità. Questo significa che è molto ricca e che costituisce una vocazione per l’essere umano, ma anche una grande sfida. Allora, noi vogliamo affrontare questo tema della famiglia alle soglie del Sinodo con grande apertura: abbiamo chiamato uno psicanalista, come Massimo Recalcati; una sociologa come Chiara Giaccardi; un teologo come Pierangelo Sequeri, a discutere insieme su che cos’è la famiglia e su quanto essa sia decisiva e preziosa ai nostri tempi.

D. – L’incontro avviene a pochi giorni dalla pubblicazione di un libro, “Famiglia, ospedale da campo”, un volume che raccoglie i contributi di “Civiltà Cattolica” sulla famiglia. Cosa offre questo testo ai lettori?

R. – Il nostro volume serve come materia per camminare insieme come il significato della parola “Sinodo”. Le riflessioni che proponiamo hanno in comune una visione, una visione della teologia che è espressione di una Chiesa, come dice Papa Francesco, “ospedale da campo”: cioè che vive la sua missione di salvezza e di guarigione del mondo. Quindi noi abbiamo pubblicato alcuni articoli già apparsi sulla rivista e altri invece nuovi, scritti ad hoc per questo volume, proprio perché vogliamo discutere, vogliamo aprire, continuare ad aprire il dibattito; dove discutere non significa mettere in discussione, ma aprire uno spazio libero di approfondimento, per capire meglio. Del resto il Vangelo non si cambia, ma ci chiediamo: “Abbiamo già scoperto tutto?”.

D. – In un’intervista con lei, il cardinale Cottier ha sottolineato che la misericordia, al centro dell’Anno Giubilare voluto da Francesco, avrà sicuramente un ruolo da protagonista nel Sinodo di ottobre. Cosa ne pensa?

R. – La misericordia è la parola chiave del pontificato di Papa Francesco: quindi confrontarsi sul tema della famiglia e del matrimonio significa affrontare certamente questo grande tema della misericordia, capire qual è il compito della Chiesa oggi. Quindi al di là di tutto questo, di tutte le polemiche che sono state create tra conservatori e progressisti, tra seguaci della dottrina e “adattatori” della dottrina – sono polemiche inutili e, anzi, dannose – direi che invece la misericordia diventa la parola del Vangelo sulla situazione umana, su cui c’è bisogno di un discernimento pastorale, vissuto con prudenza, saggezza, ma anche audacia.

D. – Anche la riforma sulla nullità matrimoniale, secondo lei, può essere iscritta nel solco della misericordia? Molti sono rimasti colpiti dal fatto che l’entrata in vigore sia proprio l’8 dicembre, cioè il giorno dell’inizio del Giubileo.

R. – Il legame a questo punto è proprio palese ed evidente, e questa riforma è una riforma pastorale. Uno dei punti più interessanti che notiamo è la responsabilità data al vescovo come pastore. Il Papa sottolinea che non c’è un cambiamento di norme, come se queste fossero solo delle cose esterne, ma c’è la richiesta ai pastori di essere in prima persona responsabili, di poter dire una parola sul loro gregge. Quindi questa riforma così importante dà una luce su quale deve essere l’atteggiamento della Chiesa nei confronti di persone che vivono difficoltà molto serie.

Notiziario Radio vaticana – 11 settembre 2015   http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

 

            La Chiesa cattolica e le persone omosessuali.

Il teologo tedesco Goertz: “cosa ci dice oggi il messaggio cristiano”.

“Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. Così Papa Francesco si è pronunciato due anni fa durante la conferenza stampa sul volo di ritorno dal suo primo viaggio in America Latina. A ciò si ispira “Chi sono io per giudicarlo?”, titolo di una nuova raccolta di saggi sul tema “L’omosessualità e la Chiesa cattolica”. Stephan Goertz, dal 2010 professore di teologia morale presso l’Università di Mainz, spiega in questa intervista la ragione della pubblicazione del volume completo di circa 400 pagine.

Sig. Goertz, perché così tante religioni fanno fatica a comprendere l’omosessualità?

Le religioni come l’ebraismo, l’islam o il cristianesimo hanno avuto origine in un’epoca in cui non si avevano le conoscenze scientifiche sulla sessualità umana di cui disponiamo oggi. Ciò che a quel tempo valeva senza discussione fu identificato con l’ordine divino: la Terra era il centro dell’universo, gli uomini e le donne non erano uguali, tutti gli uomini desideravano le donne, tutte le donne desideravano gli uomini. E questo ha condizionato la morale sessuale.

Quali sono state le conseguenze?

La riproduzione è stata considerata il primo scopo naturale che Dio ha dato alla sessualità. E il comportamento sessuale non doveva mettere in pericolo l’ordine sociale. In questo senso, non erano tollerabili i rapporti sessuali tra uomini o tra donne.

Nel Suo libro Lei tratta in particolare del tema “L’omosessualità e la Chiesa cattolica”. Non ci sarebbero nella Chiesa di oggi temi più importanti e più urgenti di cui occuparsi?

Bisognerebbe proprio chiedere alla Chiesa perché ponga ancora problemi circa l’omosessualità. Sarebbe inammissibile se la teologia non desse un suo parere. In primo luogo, la sessualità è qualcosa che riguarda tutte le persone. E in secondo luogo, in molte parti del mondo dobbiamo ancora affrontare a livello politico la discriminazione, la persecuzione, l’emarginazione degli omosessuali. Sarebbe un’importante testimonianza cristiana, se la Chiesa cattolica si pronunciasse apertamente contro questa discriminazione. Già da diverso tempo la Chiesa sostiene che gli omosessuali non devono essere discriminati. Ma poi ci sono anche situazioni, sia nella Bibbia sia nella storia, in cui si condanna l’omosessualità. Nella nostra interpretazione dobbiamo sempre tener conto della particolare situazione storica degli autori dei testi biblici.

Nel libro del Levitico, risulta in maniera evidente, che   gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso vengono definiti “atrocità” e pure “punibili con la morte”.

In questo contesto la sessualità doveva soddisfare lo scopo primario di garantire la sopravvivenza della specie. Questa non è più, ovviamente, la nostra situazione e dopo il Concilio questa non è più la nostra morale sessuale. Pertanto, per rispondere a una questione morale contemporanea non si possono utilizzare certe citazioni estrapolandole dal contesto. Altrimenti, si farebbe un uso integralista dei testi biblici.

            Un’obiezione: Lei non fa la stessa cosa, quando sceglie quei punti che corrispondono alla Sua visione delle cose?

Io faccio riferimento a una posizione teologica basata sulla Bibbia: che Dio ha assolutamente promesso a tutti il suo amore, che nel popolo di Dio si devono superare le differenze naturali e sociali; che non dobbiamo condannare gli altri. Penso che ciò sia teologicamente più importante delle regole sulla “natura” dei singoli atti sessuali. Il problema è che oggi chiunque voglia parlare di omosessualità e della Chiesa, senza andare in escandescenza, incappa immediatamente nel fuoco incrociato dei blog affiliati alla destra o dei critici di sinistra contro la Chiesa. Per via di certi ambienti, si ha l’impressione che non si possa fare breccia con certi argomenti. Il compito della teologia è quello di esaminare gli argomenti e di domandare ciò che ci richiede oggi il messaggio cristiano. Dobbiamo discernere con cura e affrontare le questioni con schiettezza. E poi, speriamo che una tale teologia verrà di conseguenza presa in considerazione anche dai vescovi.

In autunno, il Sinodo dei Vescovi tratterà il tema del matrimonio e della famiglia. Secondo Lei che cosa possiamo aspettarci circa il rapporto con gli omosessuali nella Chiesa? E cosa sarebbe auspicabile?

E’ piuttosto probabile che verrà ancora una volta sottolineato che gli omosessuali non devono essere discriminati e criminalizzati e che hanno il loro posto naturale nella Chiesa. A livello mondiale questo è un messaggio importante. Forse alla fine si arriverà anche a smettere di condannare gli atti omosessuali. A mio avviso, sarebbe auspicabile che all’interno della Chiesa cattolica si cercasse un dialogo diretto, ancora più forte, con gli omosessuali e non si discutesse sopra le loro teste, lanciando giudizi morali. Questo sarebbe un segnale positivo.

            Potrebbe sorgere la questione, che è ora già in fase di discussione in politica: fino a che punto si deve parificare il matrimonio di una coppia gay o lesbica.

Ciò che è diverso può anche essere definito “diverso”, ma merita di ricevere attenzione e rispetto in eguale misura. Ci si potrebbe chiedere se, dal punto di vista teologico, un rapporto impegnato di amore omosessuale, inteso come coppia che crede nel Dio di Israele e in Gesù, non possegga un carattere sacramentale. Le coppie omosessuali potrebbero quindi ricevere un riconoscimento da parte della Chiesa.

            Ciò potrebbe avvenire un giorno, anche con segni esteriori, quali la benedizione delle coppie omosessuali?

Anche se non mi aspetto che questo costituisca un tema del Sinodo, non trovo alcun problema dal punto di vista teologico.

Articolo di Joachim Heinz pubblicato sul sito cattolico Katholisch (Germania) il 25 agosto 2015, liberamente tradotto da Marius per progetto Gionata                  7 settembre 2015

www.gionata.org/la-chiesa-cattolica-e-le-persone-omosessuali-il-teologo-tedesco-goertz-cosa-ci-dice-oggi-il-messaggio-cristiano

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CONSULTORI FAMILIARI

Consultori onlus. Prestazioni a carico degli utenti.

Una ONLUS può legittimamente rendere, nell’ambito della propria attività di consultorio, prestazioni il cui corrispettivo, non rimborsato dalla Regione, resta a carico dell’utente.

Sul tema è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la recente Risoluzione n. 10/E del 23 gennaio 2015.

Premesso che la stessa, con Risoluzione n. 70/E/2009 si era espressa ritenendo che “un ente che gestisce un consultorio può essere iscritto nell’anagrafe ONLUS, nel settore dell’assistenza sociale e socio-sanitaria …, senza oneri economici a carico degli utenti-assistiti”, riportiamo di seguito gli stralci più significativi del più recente provvedimento:

“Nel caso prospettato …, la Regione Lombardia – nel rispetto dei principi previsti dalla normativa nazionale e dalla delibera della Giunta regionale del 28 dicembre 2012, ed in virtù delle diminuite risorse finanziarie a disposizione – ha previsto un contingentamento delle prestazioni rimborsabili dal sistema sanitario per ogni ambito di intervento prevedendo il pagamento da parte dell’assistito delle eventuali ulteriori prestazioni che risultino necessarie al completamento della terapia.

L’istante precisa che le prestazioni effettuate verso corrispettivo (comunque calmierato e non equivalente al valore di mercato) siano analoghe a quelle rese gratuitamente e rimborsate dalla Regione Lombardia. Si tratta, infatti, di ulteriori interventi, che sono necessari a garantire l’efficacia delle terapie in corso e nel caso in cui il paziente/utente ha già usufruito del numero massimo di prestazioni rimborsabili dal servizio sanitario.

A tali condizioni, si ritiene che le predette prestazioni possano rientrare tra le attività direttamente connesse ….Si ricorda che l’esercizio di tali attività … “è consentito a condizione che non siano prevalenti rispetto a quelle istituzionali e che i relativi proventi non superino il 66% delle spese complessive dell’organizzazione …”.

            In conclusione, nel rispetto delle condizioni sopra evidenziate, riteniamo che il Vostro ente possa continuare a restare iscritto all’Anagrafe delle Onlus.

non profit on line       9 settembre 2015       www.nonprofitonline.it/default.asp?id=508&id_n=6389

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DALLA NAVATA

24° domenica del tempo ordinario – anno B -13 settembre 2015.

Isaia                  50, 05 «Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto esistenza, non mi sono tirato indietro»

Salmo             116, 02 «Verso di me ha teso l’orecchio nel giorno in cui l’invocavo».

Giacomo           02, 18            «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede»

Marco               08, 32            «Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte esi mise a rimproverarlo»

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Proposta del Forum per i bambini immigrati senza famiglia.

            L’intera Chiesa italiana ed in modo tutto speciale il mondo dell’associazionismo familiare aveva già ampiamente dimostrato di capire, condividere ed accogliere l’appello di Papa Francesco all’accoglienza nei confronti dei migranti, fin dall’inizio, con la sua visita a Lampedusa (era il 2013), e con la stessa potenza evocativa, in questi giorni, quando il Pontefice ha lanciato il pressante richiamo alla responsabilità dell’accoglienza “di ogni parrocchia, monastero, santuario, ecc.”.

Da tempo il Forum, le cinquanta associazioni e le nostre famiglie che lo compongono, da sempre abituate a rispondere ai bisogni degli altri, sono già in azione. Già nel 2010 il Forum ha avviato un progetto di dialogo e confronto tra associazioni italiane e di migranti, denominato evocativamente “Con-tatto”, seguito da un altro, appena concluso, e ancora più significativamente denominato “Integra”, tutti costruiti sulla piena convinzione che la famiglia è spazio privilegiato per entrare in contatto e integrarsi, sia per chi migra sia per il Paese ospitante. Anche la recente sperimentazione “Rifugiato a casa mia”, promossa e realizzata a Torino da enti di ispirazione cristiana, enti pubblici e volontariato, che ha consentito di ospitare in venti famiglie “normali” venti situazioni di rifugiati da varie Nazioni, singoli o famiglie, conferma che è possibile rispondere positivamente alla sfida planetaria dell’accoglienza a chi fugge da guerre, persecuzioni e massacri.

Serve oggi soprattutto un’accoglienza diffusa, dai numeri piccoli e distribuiti, ma possibili in ogni angolo dell’Italia, evitando il più possibile i grandi numeri, i grandi insediamenti di 500 o mille persone (e al CARA di Mineo sono arrivati fino a 3mila!), magari funzionali ad esigenze di controllo e di gestione, ma che rischiano di rinchiudere speranze, progetti e soggettività degli ospiti, spesso per troppo tempo. Proprio nel modello diffuso e di piccoli numeri potranno svolgere un ruolo prezioso anche le oltre 26mila parrocchie italiane chiamate all’accoglienza da Papa Francesco; ma lo potranno e sapranno fare se e in quanto anche le famiglie di quelle parrocchie si mobiliteranno, senza “voltarsi dall’altra parte”.

Questa è la grande sfida oggi, per il Paese, ma anche per ogni famiglia.

Proprio l’esperienza di questi anni ci ha fatto inoltre toccare con mano l’esistenza di un’emergenza nell’emergenza: quella dei bambini che arrivano in Europa senza la famiglia, magari perché perduta durante il viaggio. Sono quelli burocraticamente definiti Minori stranieri non accompagnati, definizione che diventa ancora più fredda e impersonale nella sigla MISNA.

Sono bambini e ragazzi che hanno già sofferto tantissimo; per molti di loro trovare una nuova famiglia che li accolga è davvero la più importante ed efficace risposta al loro bisogno estremo di cura e protezione, ma soprattutto di relazioni calde, di fiducia, di amore.

Per questo come Forum abbiamo preparato un documento che, a partire dal Piano nazionale del 2014, contiene alcune proposte di ulteriore sviluppo e valorizzazione di una accoglienza “dal sapore della famiglia”. Nella nostra proposta si chiedono, tra l’altro, procedure certe e semplificate, strutture mirate, una banca dati nazionale, applicazione delle norme sostitutive della famiglia, coinvolgimento della società civile ed in particolare dell’approccio “family to family”.

Nell’ambito di questo grande impegno il Forum è pronto a dare il proprio contributo e ad offrire il know how, in particolare attraverso le associazioni che da decenni lavorano nell’accoglienza dei minori.

Anche a livello europeo l’associazionismo familiare si è mobilitato, davanti ad un fenomeno ormai planetario, come ribadisce anche un recente comunicato della FAFCE (la Federazione europea delle associazioni familiari.

Le famiglie e le loro associazioni sono risorsa insostituibile di accoglienza e solidarietà, già in azione, che chiede anche alla politica dei grandi di rispondere positivamente all’appello di Papa Francesco: che è appello all’accoglienza, alla responsabilità ed all’urgenza, per l’Europa nel suo insieme, di ritrovare un’anima che sembrava persa

Comunicato stampa              11 settembre 2015

www.forumfamiglie.org/comunicati.php?filtro=ultimi_30_giorni&comunicato=776

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Chiese e parrocchie con le porte chiuse non si chiamano chiese, ma musei.

Nell’Udienza generale Francesco chiede di rinnovare il legame tra famiglia e comunità cristiana, i due luoghi in cui si realizza una vita più comunitaria per l’intera società

            È “indispensabile”, anzi “urgente”, rafforzare oggi il legame tra famiglia e comunità cristiana, affinché si formi “una Chiesa davvero secondo il Vangelo”. Ovvero una Chiesa che abbia “la forma di una casa accogliente, con le porte aperte, sempre”, perché le chiese e le parrocchie con le porte chiuse non possono nemmeno definirsi tali, bensì “musei”. Si snoda a partire da questa riflessione la catechesi di Francesco nell’Udienza generale di questo mercoledì: un altro tassello del grande mosaico sulla famiglia che il Pontefice costruisce da mesi e che proseguirà fino al Sinodo del prossimo ottobre.

            Quello tra famiglia e comunità cristiana “è un legame, per così dire, ‘naturale’”, afferma il Santo Padre, “perché la Chiesa è una famiglia spirituale e la famiglia è una piccola Chiesa”. Una Chiesa che “cammina in mezzo ai popoli, nella storia degli uomini e delle donne, dei padri e delle madri, dei figli e delle figlie”. Proprio “questa è la storia che conta per il Signore”, spiega il Papa. “I grandi eventi delle potenze mondane si scrivono nei libri di storia, e lì rimangono. Ma la storia degli affetti umani si scrive direttamente nel cuore di Dio; ed è la storia che rimane in eterno”.             La famiglia si conferma dunque uno scrigno prezioso di vita e di fede: essa è “luogo della nostra iniziazione – insostituibile, indelebile – a questa storia”, dice Francesco. “Questa storia di vita piena – aggiunge a braccio – che finirà nella contemplazione di Dio per tutta l’eternità nel Cielo, ma incomincia nella famiglia! Per questo è tanto importante la famiglia”.

            La vita di Cristo racconta tutto ciò: “Il Figlio di Dio – rammenta Bergoglio – imparò la storia umana per questa via, e la percorse fino in fondo”. Egli “nacque in una famiglia” e visse per 30 anni in “una bottega, quattro case, un paesino da niente”. Lì tuttavia “imparò il mondo”. Poi, quando lasciò Nazareth e incominciò la vita pubblica, “formò intorno a sé una comunità, una ‘assemblea’, cioè una con-vocazione di persone”. Formò cioè una “chiesa”, che, come narrano i Vangeli, aveva “la forma di una famiglia”: “una famiglia ospitale”, però, “non una setta esclusiva, chiusa”. In essa vi troviamo Pietro e Giovanni, ma anche l’affamato e l’assetato, lo straniero e il perseguitato, la peccatrice e il pubblicano, i farisei e le folle, perché “Gesù non cessa di accogliere e di parlare con tutti, anche con chi non si aspetta più di incontrare Dio nella sua vita”. E “i discepoli stessi sono scelti per prendersi cura di questa assemblea, di questa famiglia degli ospiti di Dio”.

            Una “lezione forte per la Chiesa”, questa, osserva il Pontefice. E ribadisce che per rendere viva oggi tale realtà, è indispensabile “ravvivare l’alleanza tra la famiglia e la comunità cristiana”, “i due luoghi in cui si realizza quella comunione d’amore che trova la sua fonte ultima in Dio stesso”. Infatti, “una Chiesa davvero secondo il Vangelo non può che avere la forma di una casa accogliente, con le porte aperte, sempre. Le chiese, le parrocchie, le istituzioni, con le porte chiuse non si devono chiamare chiese, si devono chiamare musei!”, evidenzia il Papa.

            Tale alleanza, inoltre, è necessaria per contrastare quei “centri di potere economici, ideologici e politici” in cui spesso riponiamo le nostre speranze, che invece dovrebbero essere riposte “in questi centri dell’amore, evangelizzatori, ricchi di calore umano, basati sulla solidarietà e l’evangelizzazione”, e “anche sul perdono tra noi”, afferma il Papa. Per rinnovare il legame famiglia-comunità – aggiunge – bisogna quindi partire da “una fede generosa” in modo da ritrovare “l’intelligenza e il coraggio”. A volte, infatti, “le famiglie si tirano indietro, dicendo di non essere all’altezza: ‘Padre, siamo una povera famiglia e anche un po’ sgangherata’, ‘Non ne siamo capaci’, ‘Abbiamo già tanti problemi in casa’, ‘Non abbiamo le forze’”. Sì, questo è vero, ammette Francesco. Ma è pur vero che “nessuno è degno, nessuno è all’altezza, nessuno ha le forze! Senza la grazia di Dio, non potremmo fare nulla. Tutto ci viene dato, gratuitamente dato!”. E il Signore – come dimostra il miracolo alle nozze di Cana – “non arriva mai in una nuova famiglia senza fare qualche miracolo”. “Se ci mettiamo nelle sue mani”, Lui “ci fa compiere miracoli – ma quei miracoli di tutti i giorni! – quando c’è il Signore, lì, in quella famiglia”, assicura il Pontefice.

            Anche la comunità cristiana, naturalmente, è chiamata a “fare la sua parte”. Ad esempio, cercando di “superare atteggiamenti troppo direttivi e troppo funzionali” e “favorire il dialogo interpersonale e la conoscenza e la stima reciproca”. Tutti, in fin dei conti, “dobbiamo essere consapevoli che la fede cristiana si gioca sul campo aperto della vita condivisa con tutti, la famiglia e la parrocchia debbono compiere il miracolo di una vita più comunitaria per l’intera società”, sottolinea Papa Francesco. E conclude la catechesi esortando famiglie e comunità ad ascoltare, come a Cana, le parole della Vergine Maria “Madre del buon consiglio”: “Lasciamoci ispirare da questa Madre, facciamo tutto quello che Gesù ci dirà e ci troveremo di fronte al miracolo, al miracolo di ogni giorno!”.

Salvatore Cernuzio   Zenit 09 Settembre 2015

www.zenit.org/it/articles/il-papa-chiese-e-parrocchie-con-le-porte-chiuse-non-si-chiamano-chiese-ma-museinza-generale.html

 testo ufficiale             http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150909_udie

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MINORI

Se ci sono rischi per il minore sottratto il rientro va escluso.

Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 16904, 19 agosto 2015.

No al rientro dei minori nel Paese della residenza abituale se ci sono rischi per il loro benessere psichico e fisico. Lo ha precisato la Corte di cassazione che ha ritenuto motivato e legittimo il provvedimento del Tribunale per i minorenni che aveva respinto la richiesta di un padre il quale chiedeva che i tre figli minorenni, tornati in Italia con la madre, rientrassero negli Stati Uniti, luogo della residenza abituale. Da un lato, la Corte ha ritenuto fondato il motivo di doglianza del padre che contestava la decisione del Tribunale secondo il quale non era stato dimostrato che i tre minori avessero la residenza abituale negli Stati Uniti. E’ evidente – precisa la Cassazione – che nel caso di bambini il fatto che risiedessero e frequentassero la scuola materna negli Stati Uniti è un chiaro indizio della sussistenza della residenza abituale dei minori negli Usa, senza che sia necessario dimostrare che lì era il centro dei riferimenti affettivi, culturali e sociali. Trattandosi di bambini molto piccoli, infatti, era sufficiente che vivessero negli Stati Uniti. La Corte di Cassazione ha invece condiviso la scelta del Tribunale per i minorenni che ha deciso per il mancato rientro dei minori in ragione del rischio per i bambini di essere esposti a pericoli fisici o psichici, situazione che era stata accertata dai giudici del Tribunale per i minorenni, in linea con quanto previsto dall’articolo 13 della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale del minore. Giustificato così il no al rientro e il rigetto del ricorso del padre.

Marina Castellaneta 2 settembre 2015

marinacastellaneta.it/blog/se-ci-sono-rischi-per-il-minore-sottratto-il-rientro-va-escluso.html

 

Il diritto e il dovere di resilienza.

Così iperprotetti, i bimbi del ricco e avanzato Occidente sempre più spesso non appaiono in grado di affrontare le minime paure e difficoltà della vita: è quanto sostenuto da molti esperti, tra cui lo psicologo-terapeuta canadese Michael Ungar. In un mondo irto di difficoltà e insidie occorre, anzi urge, educare i figli alla resilienza.

            Ma cos’è la resilienza? “Entrata da alcuni anni nel campo della psicologia, della pedagogia e del counseling questa parola – che in latino significa “tornare a saltare” (resilio), come scrive la giornalista ed esperta Maria Angela Masino – indica la (meravigliosa) capacità di reagire di fronte alle difficoltà, non dandosi per vinti. La parola “resilienza – afferma la Masino – appartiene al linguaggio fisico e significa la resistenza che oppongono i metalli agli urti. Ma in psicologia il concetto assume un significato più ampio: non vuol dire banalmente resistere, ma riuscire a utilizzare l’esperienza difficile per non avere più paura e trovare soluzioni sempre nuove di fronte ai problemi”.

            Nel preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989 si legge che “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società”. È doveroso e necessario, pertanto, formare bambini resilienti, capaci cioè di dare risposte adeguate a episodi traumatici senza rimanere chiusi nel loro incistamento, ma attingendo dalle ignote e inesauribili risorse interiori.

            La resilienza – continua la Masino – “è la dote che manca ai nostri figli: iperprotetti e tenuti al sicuro da problemi, difficoltà e fatiche crescono senza sviluppare difese e senza mettersi mai in discussione. Finché la realtà non li urta con tutta la sua durezza, trovandoli incapaci di reagire. Prepararli si può e si deve”.

            Nella Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance, del giugno 2007, si legge: “[…] «resilienza» che permette al bambino di ricostruirsi”. Finora è l’unico riferimento normativo alla resilienza, pur non avendo alcun valore vincolante. Il legislatore del 2007 ha inserito la parola “resilienza” dopo aver scritto: “Quando i diritti del bambino o dell’adolescente sono negati da condizioni esistenziali inique, quando i suoi punti di riferimento sono compromessi, è possibile aiutarlo a ritrovare la fiducia nella vita e la stima di sé. Il bambino possiede in lui importanti risorse. Esse si rivelano se egli può dialogare, essere ascoltato con affetto e rispetto, essere difeso”. Resilienza è coltivare e dare risorse (da “risorgere, sorgere di nuovo, rinascere”), la possibilità di ritrovare, di riprovare.

            Anche se la resilienza non è scritta nelle fonti normative, è necessario che sia iscritta nel codice della vita: questo è un altro aspetto della responsabilità genitoriale.

            Nella Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia non si parla espressamente di resilienza, ma la stessa è tutta permeata di un’ottica resiliente perché la promozione dell’infanzia è volta in tal senso. Nel preambolo e nell’art. 18 della Convenzione si usa il verbo “allevare” e il termine “allevamento”, il cui significato etimologico è “levare su, alzare verso”, proprio come deve essere l’educazione alla resilienza.

Queste sensazioni rendono vulnerabili e distolgono l’attenzione dalla cosa più importante: mantenere l’orientamento sul compito”.

            Nella Convenzione Internazionale del 1989 non si parla né di emozioni né di sentimenti, ma più volte si parla di “spirito” e di “spirituale”. Un esempio per tutti è nell’art. 17 dove si legge: “[…] promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale”. Si noti che l’aspetto spirituale è anteposto a quello morale, fisico e mentale. Lo spirito è proprio il soffio di vita da cui si originano le emozioni, i sentimenti e le reazioni. Per alimentare questa vitalità è necessario che i bambini siano educati alla resilienza (capacità di dirigere, di organizzare, di regolare le proprie reazioni in condizioni avverse), a “resilire” (verbo latino), a “ritornare di corsa”, a “rimbalzare” nella vita. Questo “l’orientamento e i consigli necessari” da dare ai bambini (art. 5 Convenzione Internazionale).

            “La creatività non è altro che un’intelligenza che si diverte” diceva Albert Einstein. Il corrispondente di quest’affermazione può essere considerato l’art. 31 della Convenzione Internazionale ove è disciplinato il diritto al gioco del fanciullo e si parla di “vita culturale e artistica” e di attività ricreative e di attività di natura creativa, in cui ci si ricrea e si ricrea. Il gioco non è passatempo ma divertimento, che etimologicamente significa “volgere altrove, in direzione opposta” e, quindi, distogliere l’animo da pensieri molesti. Il gioco (che non si riduce solo ai giocattoli) è “ri-sorsa” di vita per i bambini e per chi gioca con loro.

            “Esiste tutta una letteratura sulla relazione fraterna e sull’ordine di genitura – afferma Serena Lecce, docente di psicologia evolutiva. La relazione fraterna è di per sé stabile e dura tutta la vita, ma non è voluta, “non siamo noi a scegliercela. Questo ne spiega, in parte, l’ambivalenza. Troviamo coppie di fratelli in cui emergono solidarietà, alleanza, complicità. In altre, invece, gelosia e conflittualità. In ogni caso – spiega la Lecce – la relazione fraterna modella il nostro mondo interno: affonda le radici in una condivisione di vita famigliare, molto intensa a livello emotivo. In famiglia il bambino inizia a stare con gli altri, imparando a negoziare, a competere, a coordinarsi, a cercare alleati. Aspetti che la psicologia evolutiva considera fondamentali per lo sviluppo della competenza. I bambini che sanno coordinarsi sono quelli che poi si fanno più amici e vanno meglio a scuola. Tale vantaggio riguarda soprattutto i secondogeniti”. 

            La relazione tra fratelli e l’educazione ad una sana relazione fraterna sono importanti perché contribuiscono a creare e a far sperimentare quell’ambiente familiare, quell’atmosfera di felicità, amore e comprensione, quello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà in cui è necessario che il bambino cresca (dal preambolo della Convenzione Internazionale). Laddove sia possibile non si lascino i figli unigeniti ma si dia loro la possibilità della ricchezza (anche di sofferenze) di avere dei fratelli, una delle risorse di vita e della vita, opportunità di resilienza.

            Nel momento “in cui veniamo al mondo – afferma lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro – portiamo con noi in dote non soltanto i timori ancestrali della nostra specie (paura dell’abbandono e della separazione), ma anche – nati come siamo per vivere – l’ottimismo e la fiducia infantile nel carattere promettente dell’esistenza. Avremo una vita per ricrederci, ma all’inizio l’ottimismo è nella nostra natura e si manifesta attraverso ostinati, talvolta impercettibili, segni di vitalità anche nelle peggiori condizioni di nascita”.

            Educare alla resilienza (in metallurgia “capacità di resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi”) è insito nell’esistenza stessa, perché tanto il parto per la madre quanto la nascita per il neonato sono una forma di resilienza, ancor più evidente nel parto in acqua in cui il bambino risale dall’acqua: spingere e spingersi per andare avanti nella vita. Questo è uno dei significati della disposizione dell’art. 27 par. 1 della Convenzione Internazionale: “[…] il diritto di ogni fanciullo ad un livello di vita atto a garantire il suo sviluppo”. Il pessimismo, il nichilismo, il disfattismo non appartengono alla vita, ma alla non vita di alcuni adulti mal cresciuti.

            C’è pure chi educa “senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo – aperto a ogni sviluppo ma tentando di essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato” si legge ne “Il limone lunare” dell’educatore Danilo Dolci. In particolare i genitori non devono far realizzare i propri sogni infranti ai figli né farli vivere in un mondo di sogni, ma sognare per loro il meglio e farli sognare. In tal modo li si educa anche alla resilienza, capacità di risalire, di risaltare in caso di cadute nella vita.

            Educare alla resilienza è salvaguardare il benessere personale e generale, prevenire costi personali, familiari e sociali, in linea con quanto previsto in uno dei capoversi della Carta di Ottawa per la promozione della salute (1986): “È essenziale mettere in grado le persone di imparare durante tutta la vita, di prepararsi ad affrontare le sue diverse tappe e di saper fronteggiare le lesioni e le malattie croniche. Ciò deve essere reso possibile a scuola, in famiglia, nei luoghi di lavoro e in tutti gli ambienti organizzativi della comunità. È necessaria un’azione che coinvolga gli organismi educativi, professionali, commerciali e del volontariato, ma anche le stesse istituzioni”.

            Dovere educativo che appare richiamato nella nuova formulazione dell’art. 147 cod. civ. “Doveri verso i figli”: “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis”. Testo differente da quello previgente in cui si leggeva: “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”. È emblematica ogni singola innovazione legislativa, dall’assistenza morale che si deve ai figli al rispetto delle “loro” inclinazioni, al plurale. Resilienza: dalle inclinazioni, piegarsi in basso, alle aspirazioni, volgersi verso l’alto, conoscere le inclinazioni per ri-conoscere le aspirazioni.

            Recita un antico proverbio buddista: “se non riesci a sollevare il tavolo, non è che il tavolo è troppo pesante, ma sei tu che sei troppo debole”. Riconoscere le proprie debolezze è già un punto di forza: ciò è importante nello sviluppo dell’autostima e nell’educazione alla resilienza dei bambini.

            Mutuando le parole di esperti si può dire che la resilienza: è la capacità di riscrivere una “nuova biografia con personaggi interni più tolleranti e benevoli rispetto a quelli che ci avevano condannato alla sofferenza” (Mauro Mancia, neurofisiologo e psicoanalista); “significa crescere, diventare cioè sempre più capaci di sviluppare la tolleranza per i traumi subiti nel passato e realizzare un equipaggiamento interno che permetterà di sopravvivere alle nuove inquietudini del presente” (Walter Machet, psicologo e psicoterapeuta).

            La resilienza è la capacità di far fronte alle fisiologiche depressioni (avvallamenti, abbassamenti) della vita affinché non diventino depressione patologica, sempre più dilagante e dilaniante.

            Margherita Marzario                                   7 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19355-il-diritto-e-dovere-di-resilienza.asp

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NULLITÀ MATRIMONIALE

               Sette punti chiave della riforma sulla nullità matrimoniale.

Motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus

Sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio nel codice di diritto canonico

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20150815_mitis-iudex-dominus-iesus.html

Papa Francesco ha firmato una storica riforma per semplificare e accelerare il processo di nullità matrimoniale, che dovrebbe durare al massimo un anno. L’innovazione è stata presentata l’8 settembre 23015 in Vaticano da un gruppo di quattro esperti di Diritto Canonico e uno di Teologia.

            Solo due papi nella storia recente della Chiesa avevano realizzato una riforma delle cause di dichiarazione di nullità del matrimonio: Benedetto XIV (1741) e Pio X (1908), a cui ora si unisce Francesco, ha reso noto il decano della Rota Romana e presidente della commissione incaricata, monsignor Pio Vito Pinto.

            21 regole sono state modificate, rispettivamente nel Codice di Diritto Canonico e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.

            Un altro aspetto importante, ha sottolineato monsignor Pinto, è che la riforma è rivolta ai poveri. È una riforma profonda, che obbedisce a una doppia centralità: i poveri e la vicinanza della Chiesa a chi soffre.

            La novità dell’intervento del pontefice, secondo monsignor Pinto, è il segno che traccia in continuità con il Concilio Vaticano II. È tutto un processo, ha sottolineato, ricordando che Bergoglio è l’unico pontefice ad aver convocato due Sinodi (il prossimo straordinario a ottobre) per rispondere alle necessità della famiglia e della coppia.

            Ecco alcuni punti chiave delle due Lettere Motu proprio di papa Francesco Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et misericors Iesus, spiegati considerando anche la voce degli esperti a cui il vescovo di Roma ha affidato l’incarico di redigere i nuovi precetti.

  1. Il giudizio della Chiesa è gratuito. In primo luogo, la rivoluzione di Francesco nel processo di nullità del matrimonio riguarda la gratuità richiesta “per quanto possibile” nelle Conferenze Episcopali, “salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali”. Per questo, il papa ha chiesto che “venga assicurata la gratuità delle procedure, perché la Chiesa, mostrandosi ai fedeli madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati”.
  2. Il vescovo ha nuovi poteri. Il vescovo ha una responsabilità maggiore e deve garantire che i processi si svolgano rispettando l’ordine morale. Il vescovo diocesano, nel segno della collegialità, si unisce alla forza dei tribunali regionali, interdiocesani e sinodali, ha spiegato monsignor Alejandro W. Bunge, uditore della Rota Romana e segretario della Commissione Speciale. Nuovi tribunali diocesani. Per il bene di una vicinanza della Chiesa ai “fedeli feriti”, ora i vescovi diocesani hanno la potestà di avere i propri tribunali diocesani, e se fosse il caso anche a decidere che in quel tribunale, di fronte all’impossibilità di contare su un tribunale collegiale presieduto sempre da un chierico, ci sia un unico giudice, sempre un chierico. Il vescovo ha aiuto. Se si fa la riforma è perché ci sono molti casi, e allora il vescovo avrà anche l’aiuto dei tribunali regionali o interdiocesani, ma sarà aiutato anche dal personale del suo tribunale.
  3. Il matrimonio è indissolubile, non cambia una virgola. Il cardinale Francesco Coccopalmerio, esperto canonista, ha precisato che la riforma riguarda la dichiarazione di nullità del matrimonio, che porta “in primo luogo a vedere se un matrimonio è nullo e poi, in caso positivo, a dichiararne la nullità”.Ciò vuol dire che non si tratta di un processo “che conduca all’annullamento del matrimonio. Nullità è diversa da annullamento, dichiarare la nullità di un matrimonio è assolutamente diverso dal decretare l’annullamento del matrimonio”
  4. Il matrimonio è valido quando. L’arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer, l’unico teologo del gruppo, ha ricordato che il matrimonio è valido in “assenza d’impedimenti”, rimarcando soprattutto l’importanza del “libero consenso dei nubendi”. La dottrina, ha sottolineato, non cambia. “Il matrimonio è uno, si possono unire in matrimonio soltanto un uomo e una donna ed è impossibile una nuova unione matrimoniale durante la vita dei due coniugi”. “Il matrimonio è anche indissolubile”, ha aggiunto. “Così è stato insegnato da Gesù e abbiamo nei Vangeli numerose testimonianze di questo insegnamento. La lettera agli Efesini ci ha spiegato che il matrimonio sacramentale non si può sciogliere perché è immagine ed espressione dell’amore di Cristo per la sua Chiesa.  Il matrimonio deve essere anche aperto alla trasmissione della vita”.
  5. Il matrimonio è nullo quando. L’esperto teologo membro della Commissione ha spiegato che senza i requisiti precedenti “il matrimonio sarebbe nullo, cioè, non esisterebbe affatto”, e proprio perché c’è questo dubbio in molte persone c’era il desiderio di “offrire un mezzo rapido ma affidabile per risolverli e contribuire a pacificare le coscienze di molti cattolici”.
  6. Rapidità nei tempi del processo (massimo un anno). Monsignor Alejandro W. Bunge, segretario della Commissione, ha rivelato che il processo per la nullità sarà breve, in una chiara apertura “alle ‘masse”.“ Qui il Giudice è il Vescovo, il quale si serve per la conoscenza dei fatti, di 2 Assessori, con i quali discute previamente sulla certezza morale dei fatti addotti per la nullità matrimoniale. Se il Vescovo raggiunge la certezza morale, egli pronunzia la decisione; altrimenti invia la causa al processo ordinario”.
  7. La sentenza. Non c’è doppia sentenza (conformità), ha confermato monsignor Bunge. Ciò significa che la sentenza affermativa contro la quale non viene presentato ricorso è esecutiva ipso facto. Se poi si propone un ricorso dopo una sentenza affermativa, questo può essere respinto a limine per l’evidente mancanza di argomentazioni. Ciò può accadere in caso di appello strumentale, per pregiudicare l’altra parte; spesso la parte ricorrente non cattolica si è già risposata civilmente “Raro l’appello, perché vi è l’accordo delle parti e vi sono evidenti fatti circa la nullità; in presenza di elementi che inducono a ritenere l’appello meramente dilatorio e strumentale, l’appello potrà essere rigettato a limine”, ha infatti dichiarato monsignor Bunge.

Dettagli sul lavoro della Commissione e sulla volontà del papa. Monsignor Pinto, presidente della Commissione, ha detto che nel processo di realizzazione della riforma il papa ha voluto essere informato dall’inizio alla fine. Francesco “ha inteso solo perseguire quella che per lui è la massima legge: la salvezza delle anime”, e la riforma è stata votata quasi all’unanimità. Il presule ha poi confermato che il Successore di Pietro ha ascoltato alcuni esperti internazionali esterni alla Commissione, rimasti nell’anonimato.

            Si tratta di soccorrere i fedeli che si allontanano dalla Chiesa sotto la seduzione della cosiddetta mondanità dei nostri tempi, ha spiegato monsignor Pinto.

            Ary Waldir Ramos Díaz and Aleteia                       9 settembre 2015

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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            http://it.aleteia.org/2015/09/09/7-punti-chiave-della-riforma-sulla-nullita-matrimoniale

 

La “mancanza di fede” nelle cause di nullità matrimoniale.

Intervista al canonista Vincenzo Pacillo sul Motu proprio di Papa Francesco sul matrimonio religioso. Il Motu proprio che Papa Francesco ha voluto emanare per riformare il diritto canonico nella sua parte relativa al matrimonio e alle sue cause di nullità è un argomento che non appassiona soltanto i giuristi laici o cattolici, ma che avrà un peso nella vita di quei fedeli che si troveranno nella condizione di una unione sponsale fallita. Per capire meglio uno degli aspetti più innovativi e controversi del nuovo codice di diritto canonico, quello relativo alla cosiddetta “mancanza di fede”, Aleteia si è rivolta al professor Vincenzo Pacillo, docente di Diritto Canonico ed Ecclesiastico presso l’Università di Modena e Reggio Emilia ed è “Difensore del vincolo” presso il tribunale ecclesiastico regionale emiliano.

            Professor Pacillo, con l’espressione “mancanza di fede” nel Motu proprio il Papa vuole introdurre un nuova capo di nullità che punta a riconoscere nulli i matrimoni con persone atee o con disparità di culto? Per mancanza di fede si può intendere anche l’esclusione solo parziale di uno o più dogmi della Chiesa cattolica (non legati alla sacralità del vincolo coniugale)? In che modo, alla luce del diritto canonico e del contenuto del Motu proprio, possiamo escludere con certezza che quella espressione non potrà essere interpretata in senso restrittivo?

            Pacillo: L’espressione “mancanza di fede” mi sembra fortemente evocativa del dibattito pluridecennale che la scienza canonistica ha ingaggiato sull’eventuale nullità del matrimonio per simulazione contro la dignità sacramentale dello stesso. Sono ormai molti anni che dottrina e giurisprudenza dibattono sulla validità di matrimoni canonici in cui i nubendi escludono la dimensione sacramentale degli stessi, ritenendo la celebrazione un momento esclusivamente mondano e rifiutando allo stesso tempo che essa possa generare un’Alleanza nell’amore che costituisca segno e strumento di salvezza. Mi pare di poter dire che a tale fattispecie si ricolleghi la prospettata simulazione “per mancanza di fede”: e che pertanto tale espressione vada considerata entro i confini posti dal Magistero e dalla giurisprudenza rotale alla rilevanza dell’esclusione della dignità sacramentale. E così il giudice non potrà non considerare quanto chiaramente evidenziato da San Giovanni Paolo II nel suo discorso alla Rota Romana del 30 gennaio 2003: “un atteggiamento dei nubendi che non tenga conto della dimensione soprannaturale nel matrimonio, può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno sacramentale”. Secondo il Pontefice, la “mancanza di fede” rileva come causa di nullità del matrimonio solo quando si riverbera sulla dimensione naturale dello stesso, comportando un’esclusione della donazione esclusiva, ovvero dell’indissolubilità, della fecondità e/o della genitorialità educante. Per cui il giudizio sulla fede dei nubendi non può essere teorico o legato ad astratti indici che si intromettano nella loro coscienza, ma deve fondarsi sulla loro concreta decisione – al momento delle nozze – di rispettare o non rispettare quanto stabilito dalla Chiesa in tema di indissolubilità, fedeltà reciproca, procreazione ed educazione della prole.

            Il Papa riconosce una “mancanza” diffusa nella preparazione pastorale dei coniugi alle nozze, è possibile immaginare che il “sensus fidei” dei fedeli si sia affievolito sull’importanza capitale dell’accesso al sacramento e che dunque sia questo che il Papa vuole mettere in luce?

            Pacillo: Il Codice Canonico stabilisce al can. 1063, che i pastori sono tenuti all’obbligo di prestare assistenza “mediante la quale lo stato matrimoniale perseveri nello spirito cristiano e progredisca in perfezione”. Si specificano le vie che la Chiesa ha tracciato per questo: la predicazione, la catechesi ai minori, ai giovani e agli adulti; un adeguato uso dei mezzi di comunicazione sociale; la preparazione personale al matrimonio; una celebrazione liturgica del matrimonio, che manifesti il senso del sacramento; l’aiuto agli sposi per condurre una vita familiare ogni giorno più santa e più intensa.

            LucandreaMassaro               aleteia 10 settembre 2015

http://it.aleteia.org/2015/09/10/la-mancanza-di-fede-nelle-cause-di-nullita

 

Riforma del procedimento ecclesiastico. Matrimonialisti, ora si adegui anche diritto italiano.

            Dopo tre secoli, grazie a Papa Francesco, cambia il processo di dichiarazione di nullità del matrimonio in sede ecclesiastica. Si riducono i tempi e i costi per quanti intendono mettere in discussione l’esistenza stessa del loro vincolo matrimoniale.

“Si tratta dell’ennesimo atto di lungimiranza del Santo Padre che rispetto ai diritti delle persone si pone in termini di assoluta modernità”, afferma l’avvocato Gian Ettore Gassani, Presidente dell’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani. Anche il diritto di famiglia italiano dovrebbe essere più snello nelle separazioni e nei divorzi giudiziali eliminando, laddove possibile, i tre gradi di giudizio, salvo gravi errori di valutazione del giudice di primo grado.

Tuttavia le sentenze ecclesiastiche, per avere efficacia giuridica in Italia, devono essere delibate dalle Corti di Appello in quanto si tratta di riconoscere sentenze straniere nel nostro Paese con effetti determinanti negli equilibri economici delle coppie. “Restano invariati i principi severi dei giudici italiani secondo cui non possono essere riconosciute le sentenze ecclesiastiche quando il matrimonio è di lunga durata rendendo queste ultime del tutto inefficaci dal punto di vista dei loro effetti civili in Italia”, conclude Gassani.

Redazione AMI                      9 settembre 2015

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Nullità: necessaria ma non sufficiente.

            Le prime valutazioni della grande riforma del processo canonico voluta da papa Francesco concordano nel definirla “rivoluzionaria”, come ha fatto anche Bruno Forte, domenica scorsa, su Il Sole 24ore. In effetti, le novità procedurali introdotte nel Codice di diritto canonico non sono né marginali né prive di significativi effetti sulla prassi giudiziaria del futuro. In particolare, la cornice che introduce la riforma del Codice sottolinea il desiderio di collegare più strettamente l’esercizio della potestà giudiziaria al ministero episcopale, radicando nella Chiesa locale la competenza originaria sulle cause. Non si fa fatica a collocare questa grande riforma all’interno del percorso che va dalle prime parole pronunciate da Francesco dopo l’elezione, attraverso Evangelii gaudium e Misericordiae vultus e che attende un ulteriore svolgimento nel prossimo Sinodo ordinario e nel successivo Giubileo della misericordia. D’altra parte, la riforma entrerà in vigore proprio l’8 dicembre 2015, giorno di apertura del Giubileo.

            Bisogna tuttavia osservare che questa riforma potrà assumere il suo pieno valore solo all’interno di un movimento necessariamente più ampio. In effetti bisogna considerare una doppia distinzione che ci permette d’intendere questo motu proprio Mitis iudex dominus Iesus nella sua reale portata: occorre distinguere in primo luogo tra la sua necessità e la sua insufficienza e, in secondo luogo, tra i suoi effetti diretti e i suoi effetti indiretti.

            Una riforma necessaria, ma non sufficiente. Da tempo la stessa base dei tribunali e degli avvocati riteneva necessaria una semplificazione e uno sveltimento del meccanismo processuale volto ad accertare la nullità del vincolo matrimoniale. Dunque la riforma ha una sua ragione intrinseca, che scaturisce dalla sua storia e dalle sue logiche interne. Ma, d’altra parte, risulta ingenuo pensare che i problemi della pastorale familiare si possano risolvere semplicemente attraverso una riforma procedurale che riguarda esclusivamente la nullità del vincolo.

            Tutto ciò che viene riformato riguarda soltanto l’ipotesi che un matrimonio risulti non essere mai esistito. Nulla dice, né può dire, di tutti quei casi in cui un matrimonio, davvero esistito, giunga a fallire. Per affrontare pastoralmente i matrimoni che falliscono tutta questa riforma risulterà comunque marginale.

            Bene ha fatto Francesco a liberare il campo da ogni ambiguità: il prossimo Sinodo dei vescovi non potrà nascondersi dietro questa riforma e dovrà affrontare l’altra parte della questione. Ossia l’accompagnamento delle vicende che sperimentano la crisi di un vincolo esistente e di cui non è messa in questione l’esistenza originaria. Una pastorale delle crisi matrimoniali che si riducesse soltanto ad uno sveltimento delle pratiche giudiziarie sarebbe solo un rimedio molto parziale e unilaterale.

            Effetti diretti e indiretti, desiderati e indesiderati. Non si deve trascurare, in secondo luogo, la differenza tra gli effetti immediati della riforma e gli effetti indiretti della stessa. Bisogna infatti ricordare che ogni legge, anche la legge canonica, non risponde soltanto a esigenze o interessi legittimi, ma apre una via, diventa una pedagogia e fa scuola. Nel momento in cui il processo volto alla dichiarazione della nullità del vincolo diventa breve, gratuito e viene celebrato vicino ai soggetti, si rischia di orientare tutte le questioni che riguardano la crisi del matrimonio verso questa soluzione. Se nel frattempo non si provvederà ad articolare adeguatamente una pastorale matrimoniale che si occupi delle famiglie ferite, si rischierà di persuadere l’intero corpo ecclesiale che un matrimonio difficile è un matrimonio semplicemente nullo.

            A questo effetto indiretto, ma probabile, può rimediare soltanto un’ulteriore conversione pastorale, che il Sinodo del prossimo ottobre dovrà assumere con determinata risolutezza. Senza una grande riforma della disciplina di una “pastorale non giudiziaria”, questa riforma delle procedure potrebbe trasformarsi in un boomerang. All’interno di una revisione più complessiva dell’intera pastorale familiare, questa riforma sarà invece il primo passo significativo e atteso verso una conversione evangelica e misericordiosa, capace di riconoscere nel Signore non solo un giudice mite, ma anche maestro paziente, un compagno della sofferenza e un profeta della novità di vita. Così come la Chiesa non esercita solo la potestà di giudicare, ma anche quella di perdonare, di accompagnare e di gioire con lungimiranza.

La grande riforma del processo – che deve essere riconosciuta come un obiettivo avanzamento della cura pastorale verso le crisi familiari – acquisirà il suo vero valore solo all’interno di questa figura più completa di Cristo e di Chiesa, verso cui si è incamminata con determinazione l’azione riformatrice, fortissimamente voluta, fin dall’inizio, da papa Francesco.

Andrea Grillo            blog: Come se non.                10 settembre 2015

http://ilregno-blog.blogspot.it/2015/09/nullita-necessaria-ma-non-sufficiente.html#more

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OMOFILIA

“Sui matrimoni gay l’Ue non può scavalcare la volontà degli Stati”.

Lo ricorda il giurista Alberto Gambino, a proposito dell’ennesimo richiamo di Strasburgo nei confronti dell’Italia. E sul Ddl Cirinnà avverte: “Rischio equiparazione con il matrimonio”

            “Ce lo chiede l’Europa”. L’ormai celebre adagio è tornato a corroborare le tesi di quanti auspicano che anche l’Italia conceda alle coppie dello stesso sesso di formalizzare la propria unione. È successo a seguito della risoluzione approvata dal Parlamento europeo martedì scorso, con la quale si chiede a nove Stati membri, tra cui l’Italia, di “considerare la possibilità di offrire” alle coppie omosessuali istituzioni giuridiche come unioni civili o matrimonio.

Il nuovo sollecito nei confronti del nostro Paese – privo di valore vincolante – giunge a due mesi dalla sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, che ha condannato l’Italia per aver negato a tre coppie omosessuali di fare le pubblicazioni presso i propri Comuni di residenza per potersi sposare.

L’insistenza delle istituzioni europee su certi temi si registra in un momento storico in cui in Commissione Giustizia del Senato si discute del Ddl Cirinnà, volto a legalizzare le unioni civili. Il dibattito si fa dunque intenso e corre in punta di diritto. Per tentare di dirimere alcune questioni legate alle pressioni sovranazionali e agli aspetti legislativi del Ddl Cirinnà viene intervistato il prof. Alberto Gambino, giurista e ordinario di diritto privato presso l’Università Europea di Roma.

Prof. Gambino, che valore assume la risoluzione approvata dal Parlamento europeo?

Si tratta di un provvedimento che esprime la volontà di un organo legislativo sovranazionale che è certamente rappresentativo della cittadinanza dei Paesi che aderiscono all’Unione europea ma che non può scavalcare – su questi temi – la volontà dei Parlamenti nazionali, i quali rimangono sovrani di autodeterminarsi proprio con riguardo alla legislazione sul diritto di famiglia.

Può tuttavia influenzare l’opinione pubblica e, soprattutto, la politica italiana?

L’opinione pubblica è un concetto molto scivoloso: sono i giornali, le élite culturali, le lobby di pressione? O addirittura i sondaggi più o meno artefatti? Quanto alla politica italiana, cioè ai parlamentari, occorre ricordare che si tratta di persone elette con un sistema maggioritario che ha dato un premio di maggioranza abnorme (come ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale chiedendo di riformare la legge elettorale) ad una minoranza e che dunque non è rappresentativo fino in fondo. Anche e soprattutto per questo motivo è bene che il Parlamento non faccia forzature, soprattutto se – come pare – anche all’interno della maggioranza governativa ci sono forti resistenze sul tema.

I sostenitori delle unioni civili accusano il nostro Paese di essere culturalmente non evoluto a causa del suo ritardo, su questo tema, rispetto ad altri Paesi europei.

Se si ritengono evoluti quegli ordinamenti che riconoscono i matrimoni tra persone dello stesso sesso, credo si stia compiendo un errore di prospettiva inimmaginabile, retrocedendo inevitabilmente quell’istituto fondamentale per la crescita e lo sviluppo dei popoli che è la famiglia e la formazione della prole. Diverso è invece ritenere che l’Italia debba dotarsi di una normativa che offra una disciplina chiara per le relazioni e gli affidamenti tra persone conviventi dello stesso sesso, in questo riconosco che forse si sarebbe potuto agire con più tempestività nel recente passato.

 Commissione Giustizia del Senato, intanto, prosegue il dibattito sul Ddl Cirinnà. Ritiene che ci siano elementi costituzionali per respingere un’equiparazione tra unioni civili e matrimoni in termini di garanzie sociali, quali ad esempio reversibilità delle pensioni e assegni familiari?

, se ci fosse, porterebbe con sé tutte le prerogative tipiche del matrimonio, non soltanto le garanzie sociali e la reversibilità, ma anche le adozioni e le previdenze proprie della famiglia. Il tema centrale è proprio questo: se si utilizza lo strumento giuridico del matrimonio con le sue caratteristiche codicistiche sarà inevitabile la totale equiparazione, come è accaduto in tutti quegli ordinamenti che hanno “istituzionalizzato” le unioni civili. Anzi, aggiungo: l’equiparazione sostanziale dovrà seguire l’equiparazione formale per il rispetto – in termini giuridici – del principio di non discriminazione. Cioè una volta scelto un istituto normativo – il matrimonio appunto – non si potrà ammettere che i beneficiari di questo istituto abbiano qualcosa di meno rispetto ai coniugi di sesso diverso. Per questo ritengo profondamente erroneo richiamare le norme del codice civile sul matrimonio, come sta accadendo ora nel Ddl Cirinnà.

Codice civile che rappresenta un baluardo contro i matrimoni omosessuali.

Certo, il codice civile consente soltanto il matrimonio tra persone di sesso diverso. Ma è per questo che lo si vuole cambiare. A quel punto rimarrà “solo” il presidio costituzionale e – si spera – il vigile operato dei suoi garanti – i giudici costituzionali – che difficilmente potranno rimanere silenti.

            Federico Cenci                       Zenit org        10 Settembre 2015

zenit.org/it/articles/sui-matrimoni-gay-l-ue-non-puo-scavalcare-la-volonta-degli-stati

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PARLAMENTO

Senato 2° comm. Giustizia. Disciplina delle unioni civili

Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili   in sede referente

S 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763 e petizione n. 665

8 settembre 2015 Prosegue l’esame congiunto, sospeso nella seduta del 5 agosto 2015.  passim

Il senatore Giovanardi (AP)) …coglie l’occasione per richiamare ancora una volta l’attenzione sull’articolato e difficilmente ricostruibile atteggiamento del Governo rispetto all’iter del testo in esame. Ricorda infatti che, nel corso dell’esame, il Governo si è rimesso alla Commissione sugli emendamenti presentati e questa dovrebbe quindi considerarsi la posizione ufficiale dello stesso, alla quale però si contrappongono le dichiarazione di esponenti del Governo medesimo, tra cui anche quelle del Presidente del Consiglio, che asseriscono che il disegno di legge debba essere approvato in tempi contenuti, in particolare prima dell’esame in Senato della prossima legge di stabilità – arrivando in alcuni casi a ritenere non solo che i tempi dell’esame debbano essere così ristretti, ma che, inoltre, il testo vada approvato senza modificarne l’impianto.

            http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=938033

10 settembre 2015 Prosegue l’esame congiunto, sospeso nella seduta dell’8 settembre 2015. .  passim

Riprende l’esame degli emendamenti.

Dopo un intervento del senatore Lumia (PD) – che rileva come le forze politiche che sostengono il testo in esame non potrebbero non tener conto di una modificazione dell’atteggiamento ostruzionistico di coloro che a tale testo si oppongono e chiede, quindi, a queste ultime di ritirare gli emendamenti puramente ostruzionistici – prende la parola il senatore Giovanardi (AP)) che evidenzia come la posizione della sua parte politica sia stata sin dall’inizio chiara, ponendo la stessa tre problemi: quello relativo alla reversibilità, quello relativo al cosiddetto “utero in affitto” e quello, infine, relativo alle adozioni. Su questi tre temi la sua parte politica, fino ad oggi, ha avuto soltanto risposte nettamente negative

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=939391

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PEDAGOGIA

I pedagogisti cattolici suggeriscono “nuove progettualità per i vissuti familiari”.

“Il processo di pluralizzazione delle forme familiari si allarga a macchia d’olio inarrestabile, ma l’istituto fondato sul matrimonio resta centrale, pur obbligato a confrontarsi con i fenomeni provocati dalle trasformazioni epocali in corso: con le numerose coppie che vivono senza sposarsi, il crescente numero dei divorzi (e dei divorziati che si risposano), l’incremento dei bambini nati al di fuori del matrimonio, la rivendicazione delle coppie omosessuali a vedersi riconosciuto uno statuto pari a quello familiare, il diffondersi dell’idea che possano esserci varie modalità per assicurare la filiazione e la genitorialità”.

Inoltre “la comunità   dei pedagogisti deve sostenere l’impegno scientifico senza rinunciare ad offrire una collaborazione sempre più marcata agli educatori, alla pastorale, a chi vive l’impegno pedagogico, trovando anche nuove progettualità educative, accompagnando l vissuti familiari”. Così si è espresso stamattina, Luciano Pazzaglia, professore emerito di Storia della Pedagogia e dell’Educazione all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, alla conclusione della cinquantaquattresima edizione di Scholé, il consueto appuntamento che ogni anno richiama a Brescia almeno un centinaio di pedagogisti d’ispirazione cristiana.

Siamo davvero innanzi ad un passaggio epocale dall’universo famigliare ad una sorta di pluriverso familiare? Anche quella che è uscita ieri dall’approfondimento di Scholé è l’immagine di una “famiglia ospedale da campo”. Ormai superati i discorsi che sino ad alcuni anni fa si trinceravano solo nella difesa della famiglia tradizionale e delle sue virtualità pedagogiche, le strategie prendono atto di un confronto serrato, inevitabile, urgente, che dovrà passare anche attraverso l’offerta di nuovi strumenti pratici.

Dopo i saluti introduttivi di Pazzaglia, i lavori sono stati aperti da una relazione introduttiva scritta da monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia (impossibilitato a partecipare) e letta da don Andrea Ciucci, portavoce del dicastero. Centrato sulla paradossale situazione in cui versa l’istituto familiare, tra famigliarità e individualismo, il testo offerto ai presenti ha sostenuto la necessità di ripensare la vocazione della famiglia, di rimetterla al centro della cultura, della politica e dell’economia, oltre che della vita ecclesiale come lo è ormai dal biennio sinodale in corso e nella catechesi continua di papa Francesco.

“La famiglia resta l’architrave della società, contro il dilagare della tecnocrazia, è un insostituibile patrimonio dell’umanità e va riportata nel cuore del dibattito politico, economico, sociale e anche della Chiesa”. Questo il giudizio arrivato dal Pontificio Consiglio della famiglia: nella consapevolezza che, oltre l’attenzione ai nuclei familiari, ai soggetti in prospettiva relazionale, occorre uno sguardo che dilati all’approccio al rapporto fra “famiglia e popoli” e alla “famiglia del genere umano”.

Di grande interesse l’intervento di Luigi Pati, preside della Facoltà di scienze della formazione della Cattolica: fermando l’attenzione sui mutamenti socio-culturali in corso e sottolineandone le variazioni più significative, ha auspicato un rinnovamento esteso della pedagogia familiare “in modo da sostenere sempre meglio l’azione di coloro i quali progettano, interpretano ed attuano l’educazione domestica”.

Come pure quello di Guido Gili, docente di Scienze umane e sociali dell’Università del Molise, che analizzando la famiglia in prospettiva sociologica ne ha delineato i tratti specifici “come gruppo sociale e come istituzione”, indicando le sue principali funzione nella società attuale (“giuridica, economica, di socializzazione, oltre che di perno della vita privata”) nonché le relazioni con le altre istituzioni del sistema sociale. “Le famiglie moderne sono separate dalla rete delle relazioni parentali e dalla comunità locale e le relazioni interne sono sottili”, ha sostenuto Gili. Avvertendo che tale dato causa “una perdita delle funzioni sociali della famiglia e un rafforzamento dell’orientamento all'”io”. Pur constatando la precarietà e le ambivalenze caratterizzanti la realtà odierna, Gili ha indicato alcuni caratteri di una famiglia capace di costituire in questo momento sociale e culturale del nostro paese “una risorsa per le persone che la compongono, per il suo contesto sociale più immediato e per l’intera società”.

Nel corso dei lavori, conclusi da una animata tavola rotonda, alla quale hanno partecipato Manuela Cantoia, Paolo Ferliga, Domenico Simeone, c’è stato spazio per un ricordo di don Enzo Giammancheri, a lungo anima dell’Editrice La Scuola, affidato a Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo, nonché vicepresidente dell’editrice La Scuola, in rapporto di amicizia profonda con il noto sacerdote educatore. Ne è emerso un ritratto appassionato che ha scandagliato la vita di Giammancheri come allievo dei grandi pionieri dell’editrice La Scuola (tra i quali monsignor Angelo Zammarchi e Vittorino Chizzolini); di editore capace di raccoglierne l’eredità; di fine intellettuale.

Il ritratto di un prete confrontatosi costantemente con le tensioni del mondo, “improntando il proprio modello di conoscenza sul dialogo e sul confronto”. Esemplari furono suoi rapporti con pensatori tormentati. Vedeva in loro l’occasione per i cristiani di rigenerare la propria fede mettendosi in discussione e cercando di capire gli argomenti di chi la pensava diversamente: uno dei suoi modi di vivere la fedeltà non alle tradizioni, ma alla tradizione più viva.

            Redazione Zenit                     11 settembre 2015       

www.zenit.org/it/articles/i-pedagogisti-cattolici-suggeriscono-nuove-progettualita-per-i-vissuti-familiari

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SEPARAZIONE

Scioglimento della comunione legale tra coniugi.

In passato si è molto discusso sul dies a quo dello scioglimento della comunione legale. L’art. 191 c.c., infatti, nel disporre che la comunione tra i coniugi si sciolga per la separazione (oltre agli altri casi tassativamente citati) non forniva indicazioni di sorta in merito al momento a partire dal quale tale scioglimento diveniva operativo.

            In caso di separazione consensuale, la giurisprudenza era concorde del fare discendere lo scioglimento del regime patrimoniale legale dall’omologazione dell’accordo tra i coniugi; più discussa, invece, si presentava la questione nel caso di separazione giudiziale. In linea di principio, l’orientamento dominante riteneva che la comunione legale dovesse intendersi sciolta a partire dal passaggio in giudicato della sentenza che definiva la separazione. Un indirizzo recessivo sosteneva che lo scioglimento della comunione avvenisse (rectius: retroagisse) dal momento della proposizione della domanda di separazione. Nondimeno tale lettura esegetica veniva stigmatizzata per l’assenza di una norma espressa che prevedesse la retroazione degli effetti come quella presente nell’art. 193 c. 4 c.c. in tema di separazione giudiziale dei beni.

            Il problema interpretativo di cui sopra nasce dal fatto che in corso di separazione il rapporto di coniugio continua. Neppure i provvedimenti provvisori assunti dal presidente del Tribunale ex art. 708 c.p.c. hanno il “potere” di sciogliere il regime patrimoniale legale tra i coniugi, in quanto essi non determinano la cessazione del rapporto di coniugio in virtù della loro natura transeunte.

            Orbene tutte le incertezze ermeneutiche summenzionate sono state eliminate dal nuovo secondo comma dell’art. 191 c.c. introdotto dalla legge 6 maggio 2015 n. 55. La norma dispone che «la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al Presidente, purché omologato».

            In altre parole, il regime patrimoniale legale tra i coniugi si scioglie dal momento dell’udienza presidenziale. La riforma è evidentemente nel senso di garantire una maggior celerità nello svolgimento della procedure, anche patrimoniali, che accedono all’iter di separazione. In passato, infatti, essendo lo scioglimento della comunione rimesso al passaggio in giudicato della sentenza, potevano anche trascorrere anni prima di giungere alla divisione dei beni. Ora, invece, la domanda di scioglimento della comunione può proporsi nel corso del giudizio di separazione.

            avv.to Marcella Ferrari –studio Cataldi      5 settembre 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19344-scioglimento-della-comunione-legale-tra-coniugi-alla-luce-del-nuovo-art-191-comma-2-del-codice-civile.asp

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SESSUOLOGIA

L’Ue: dalle elementari l’educazione sessuale.

Introdurre obbligatoriamente nelle scuole, fin dalle elementari, l’educazione sessuale ma anche fornire «informazioni oggettive» sugli orientamenti omosessuali e la cosiddetta «identità di genere» (si è uomo o donna non per nascita e biologia ma per «scelta»). Il giorno dopo il rapporto sui diritti umani nell’ Ue che esorta gli Stati membri dell’Unione che ancora non l’ha fatto a introdurre le unioni omosessuali, ieri al Parlamento Europeo ha votato a Strasburgo (408 sì, 236 no e 40 astensioni) è stata la volta di un altro documento: anche questo, precisiamo, senza alcun valore legale cogente.

E ancora una volta con il solito metodo: introdurre elementi schiettamente ideologici e tutt’ altro che condivisi in un testo che invece altrimenti è ineccepibile e condivisibile. Parliamo della «Risoluzione sull’emancipazione delle ragazze attraverso l’istruzione nell’ Ue» preparata dalla socialista portoghese Liliana Rodrigues. Il Ppe aveva richiesto un voto ad hoc per eliminare il riferimento ai corsi di educazione sessuale alle elementari, ma la richiesta è stata respinta. A favore della risoluzione la delegazione del Pd, ad eccezioni di Patrizia Toia, Silvia Costa, Luigi Morgano e Damiano Zoffoli ­ contrari ­ e Nicola Danti, astenuto.

Il testo sottolinea l’importanza ­ incontestabile ­ di eliminare le troppe barriere che ancora si trovano ad affrontare le donne, come le troppe sperequazioni a cominciare dall’ istruzione, la formazione, il mondo del lavoro. Solo che, giocando sulla parola “genere” (ricordiamo che in inglese “gender” vuol dire semplicemente sesso inteso come maschio o femmina), i soliti gruppi di pressioni hanno infilato elementi che non c’ entrano affatto con la questione della parità uomo­donna. Così il testo «invita la Commissione a combattere la discriminazione basata sull’ orientamento sessuale e sull’ identità di genere nelle strutture educative» («identità di genere» è la parola chiave dell’ideologia in questione).

Inoltre si «esorta la Commissione a sostenere l’inserimento di informazioni obiettive sulle questioni relative alle persone LGBTI (Lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali) nei programmi scolastici». Nel documento, inoltre, si «incoraggiano gli Stati membri a considerare la possibilità di rendere obbligatoria l’educazione sessuale e relazionale globale nei programmi di studi per tutti gli alunni nelle scuole primarie e secondarie». Si tratta, oltretutto, di questioni che da trattato Ue sono di esclusiva competenza degli Stati nazionali, al contrario invece del rispetto dei diritti umani fondamentali su cui vigila anche la Commissione Europea.

Giovanni Maria Del Re         Avvenire                    10 settembre 2015

www.mpv.org/mpv/allegati/33540/15091023fac.pdf

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SINODO DEI VESCOVI SULLA FAMIGLIA

Mons. Forte: riforma processo canonico semplifica lavoro Sinodo.

Le due Lettere “Motu Proprio” di Papa Francesco, che riformano il processo canonico di nullità matrimoniale, possono essere lette come una nuova sottolineatura del primato della misericordia di Dio. A sostenerlo è mons. Bruno Forte, teologo, arcivescovo di Chieti-Vasto e segretario speciale del prossimo Sinodo ordinario dedicato alla famiglia.

R. – Mi sembra che la riforma del processo canonico vada inserita nella più generale opera di riforma della Chiesa alla luce del Vangelo che Papa Francesco sta portando avanti. Ecco perché non esiterei a dire che si tratta anzitutto di una riforma in senso evangelico, nel senso cioè di dare sottolineatura al primato della misericordia di Dio, alla prossimità alle situazioni umane, alla ricerca di vie ispirate insieme alla giustizia e alla carità. Dal punto di vista delle soluzioni giuridicamente proposte, mi sembra che alcune siano di grande importanza. La prima è che una sola sentenza basti per la dichiarazione della nullità, mentre finora era obbligatorio che ci fosse una doppia sentenza conforme. Questo da una parte riduce molto i tempi, dà molta più serenità alle coppie che non devono restare in lunghe attese, e certamente semplifica il processo canonico. Poi, anche il ruolo centrale del vescovo che diventa il punto di riferimento – anche in questo campo – dei suoi fedeli. Mi sembra che qui ci sia un riconoscimento della ecclesiologia del Vaticano II, del valore della sacramentalità dell’episcopato, del valore della collegialità episcopale.

D. – Un altro aspetto della riforma di Papa Francesco è quella di tempi più veloci e costi più bassi, snellimento e scelta della gratuità. Che significato ha?

R. – Per me, un significato molto molto grande. Proprio in quanto moderatore di un tribunale ecclesiastico regionale, mi rendo conto come a volte la giustizia lenta sia ingiusta, non sia giustizia. Dunque è assolutamente necessario che i tempi siano contenuti, in modo da dare serenità a persone che a volte hanno atteso per anni una risposta importante per la loro coscienza. Dall’altra parte, la gratuità più ampia possibile consente a tutti, specialmente ai poveri, di affidarsi al giudizio della Chiesa e di fidarsi di essa perché ne hanno bisogno: è un principio assolutamente necessario su cui Papa Francesco insiste e che rende più possibile, proprio per questo maggiore carattere pastorale, questa maggiore vicinanza del giudice al fedele, che la riforma stabilisce.

D. – Quanto questa riforma di Papa Francesco recepisce delle istanze che sono maturate durante il Sinodo straordinario e durante tutto il percorso che sta portando al nuovo Sinodo ordinario sulla famiglia?

R. – Credo moltissimo. Perché è stata unanime da parte di tutti i vescovi del mondo questa richiesta che si abbreviassero e semplificassero i processi per la nullità matrimoniale e si mettesse in luce anche questo principio, il più possibile ampio, di gratuità, di prossimità alla gente. Mi sembra che Papa Francesco abbia esattamente scelto, in questa direzione. Quindi questa riforma – naturalmente, con l’autorità che ha il Vescovo successore di Pietro e quindi con il suo discernimento ultimo – è voce anche di tutto l’episcopato che si era espresso in questa direzione.

D. – Quindi che tipo di influenza potrà avere questa riforma sulla prossima discussione sinodale, secondo lei?

R. – Di fatto, semplifica molto il lavoro, perché molti punti che sarebbero stati nuovamente ripresi sono stati, con questa riforma, approvati, risolti; e dall’altra parte, naturalmente, c’è il grande lavoro che poi spetta a tutti i vescovi del mondo: l’applicazione della riforma a partire da quell’8 dicembre prossimo in cui essa diventerà di fatto operativa. E o Notiziario Radio vaticana – 11 settembre 2015   http://it.radiovaticana.va/radiogiornaleccorre attrezzarsi, occorre anche su questo, forse, come vescovi, aiutarsi gli uni con gli altri per trovare le vie più adeguate per corrispondere allo spirito e alle norme delle nuove procedure.

Fabio Colagrande Notiziario Radio vaticana 9 settembre 2015 http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Assemblea dei Consultori familiari Soci il 2 ottobre 2015 a Roma.

E’ convocata l’Assemblea ordinaria dell’U.C.I.P.E.M. ex art. 9 dello statuto, a Roma venerdì 02 ottobre 2015 ore 21 presso la Casa per ferie “Giovanni Paolo II” Opera Don Orione in Via della Camilluccia, 120 Roma, sede dell’ospitalità del Convegno C.F.C. – U.C.I.P.E.M. 2/3 Ottobre 2015 – Università Cattolica del Sacro Cuore – Largo Francesco Vito 1

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 INFORMATIVA

IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

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I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati.

Il titolare dei trattamenti è UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI ONLUS- UCIPEM ONLUS – 20135 MILANO-via Serviliano Lattuada, 14-

Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone. via Favero 3-10015-Ivrea

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