NEWS UCIPEM n. 559 – 16 agosto 2015

NEWS UCIPEM n. 559 – 16 agosto 2015

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

20135 MILANO – via S. Lattuada, 14-c.f. 801516050373-. ☎ 02.55187310

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“notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line direttore responsabile Maria Chiara Duranti.

direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Le news sono così strutturate:

  • notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
  • link a siti internet per documentazione.

Le notizie, anche con il contenuto non condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.

La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto di questo new è liberamente riproducibile citando la fonte.

Per i numeri precedenti, dal n. 527 al n. 552 andare su          

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ADOTTABILITÀ                             Adottabilità nel segno dell’ascolto del minore

ADOZIONE INTERNAZIONALE  Collaborazione, formazione, rete.

ADOZIONI INTERNAZIONALI    Colombia. L’adozione è vincente ma la troppa burocrazia frena.

AFFIDAMENTO                              Figli affidatari, il Jobs Act li accompagna alla ricerca del lavoro

ASSEGNO DI MANTENIMENTO 

A. I. C. C. e F.                                  Rinnovo degli Organi Sociali.

                                                           La rivista il “consulente familiare”.

AVVOCATURA                               Avvocati. il Ministro ha firmato il decreto specializzazioni.

CENTRO italiano di sessuologia      Concepire e comprendere. Atti del Congressso.

CHIESA CATTOLICA                   

CONSULTORI FAMILIARI                       Una storia ricca e una sfida che si rinnova.

DALLA NAVATA                            20° domenica del tempo ordinario – anno B -16 agosto 2015.

DIRITTI DEL MINORE                  Il legame affettivo del minore conta più di quello biologico.

FECONDAZIONE ARTIFICIALE  Eterologa, arrivano le 5 regole per evitare un far west.

 

PATERNITÀ                                     Dichiarazione di paternità: il rifiuto a sottoporsi ai test

PROCREAZIONE RESPONSABILETreviso. Meeting internazionale “Natural Family Planning.

SEPARAZIONE                                Separarsi in tempo di crisi.

SINODO SULLA FAMIGLIA          La domanda chiave: Gesù ammette o no il divorzio?

                                                           Matrimonio e divorzio. Occhio al teorema di Gödel.

Gödel e san Bonaventura, tra matematica e teologia.

 

 

http://news.avvocatoandreani.it/news-giuridiche/archivio.php

 

 

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ADOTTABILITÀ

Adottabilità nel segno dell’ascolto del minore

            E’ determinante, nella decisione sullo stato di abbandono del minore, preliminare alla dichiarazione di adottabilità, sentire il minore, in linea con quanto previsto dalla Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 25 gennaio 1996, ratificata dall’Italia con legge n. 77 del 20 marzo 2003 e dalla Convenzione di New York  del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata con legge 27 maggio 1991 n. 176.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, prima sezione civile, con la sentenza n. 11890 depositata il 9 giugno, che si è pronunciata a seguito di un ricorso del tutore di un minore.

http://www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=11463#.Vc9V9n3Lp7M

 Il Tribunale per i minorenni aveva dichiarato l’adottabilità dopo aver verificato lo stato di abbandono, ma la Corte di appello, a seguito del ricorso dei genitori e di una zia, aveva annullato il provvedimento ritenendo che il minore potesse essere affidato alla zia. Di qui il ricorso in Cassazione da parte del tutore le cui ragioni sono state accolte. E’ vero – scrive la Suprema Corte – che la dichiarazione di adottabilità costituisce una soluzione estrema, ma non si può ritenere che lo stato di abbandono venga meno solo perché un parente entro il quarto grado fornisce cure essenziali.

Il giudice di merito, quindi, valutata l’inidoneità dei genitori deve tenere conto delle opinioni espresse dal minore in linea con la Convenzione di Strasburgo sui diritti del minore del 1996 e con la Convenzione Onu del 1989. Nel caso in esame le dichiarazioni del minore, che si era pronunciato nel senso di non voler stare con la zia, non erano state considerate. Di conseguenza, la Cassazione ha annullato la pronuncia della Corte di appello, rinviando ad altra sezione.

Marina Castellaneta. 16 agosto 2015

www.marinacastellaneta.it/blog/adottabilita-nel-segno-dellascolto-del-minore.html

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Collaborazione, formazione, rete.

Sono le tre parole magiche da cui deve ripartire l’adozione internazionale in Italia. Ad affermarlo è Monya Ferritti, presidente del Care (Coordinamento delle famiglie adottive e affidatarie in rete), “voce” delle famiglie accoglienti che concluderà i lavori del convegno internazionale organizzato e promosso da Amici dei Bambini in programma a Gabicce Mare, in provincia di Pesaro e Urbino, il 26 e 27 agosto 2015.

“Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza”, questo il titolo dell’incontro, sarà una preziosa opportunità di confronto e di dialogo tra i vari soggetti del mondo delle adozioni: famiglie, enti autorizzati, istituzioni, sia italiane che straniere. Una di quelle occasioni che gli attori del sistema non possono lasciarsi sfuggire per ridare linfa a un settore che in questi anni sta affrontando grosse difficoltà, a cominciare da una crescente sfiducia da parte delle coppie che si riflette nel sempre minor numero di minori adottati.

            Occasioni di dialogo come quelle che lo stesso Care si occupa di organizzare e promuovere. Ne è un esempio il primo “Family Lab” sull’adozione internazionale tenutosi a Roma a maggio. “Un evento che si ripeterà il 17 ottobre 2015 – annuncia Monya Ferritti -, sempre nella Capitale. Una giornata che consisterà di due sessioni. Prima un focus group tra i vari soggetti che si occupano di adozioni internazionali (enti, associazioni familiari, Tribunali, servizi sociali…) e poi un momento di ‘restituzione’ dei risultati emersi dai lavori della prima parte alle istituzioni operative nel settore, dagli stessi Tribunali alla Commissione Adozioni Internazionali ai referenti parlamentari”. Determinante, nell’organizzazione di tali occasioni di confronto, l’azione delle associazioni familiari. “Perché per noi – precisa Ferritti – l’associazionismo familiare deve essere un modello virtuoso, da non confondere con l’associazionismo spontaneo, che è positivo, ma è un’altra cosa”.

            Il Family Lab di ottobre sarà preceduto proprio dal convegno di Gabicce, nel corso del quale si analizzeranno i problemi attuali e le prospettive future dell’adozione internazionale. In quest’ottica, la strategia giusta, secondo la presidente del Care, è “una virtuosa azione di rete e l’elaborazione di un progetto che veda i vari soggetti interagire tra loro”. “Solo così – spiega – il sistema potrà viaggiare su binari sicuri”.

            Le istituzioni, dal canto loro, sono chiamate a fare la propria parte. “Il governo metta in agenda la questione delle adozioni – è l’appello di Ferritti –. Sia quelle da fare che quelle già fatte. Perché le famiglie adottive non possono essere lasciate sole, soprattutto nella fase del  post-adozione che richiede molti sacrifici ai neogenitori. Per questo il governo nel suo progetto dovrebbe prevedere strumenti di supporto alle famiglie, anche di tipo economico. Cominciando, per esempio, a ripristinare quel fondo adozioni fermo al 2011 e non ancora completato neppure per quell’anno”.

            A livello “umano”, le risorse con cui far ripartire l’adozione internazionale in Italia ci sono. Sono l’immensa generosità delle nostre famiglie – che hanno sempre dimostrando capacità di accoglienza anche di quei bambini con storie più difficili – e un sistema di grande tradizione. “Grazie alle associazioni familiari, a un Terzo Settore che lavora bene, all’impegno degli enti – ricorda la presidente del Care – nel nostro Paese c’è molta formazione sulle adozioni, argomento entrato in profondità nella società italiana. La formazione, unita a un’intensa attività di sensibilizzazione sul tema dell’abbandono, ha permesso di diffondere una vera cultura dell’adozione. Che a sua volta ha fatto sì che la disponibilità all’accoglienza delle famiglie italiane diventasse sempre più grande”.

            Ancora una dimostrazione, quindi, di come la voglia di adozione sia tuttora forte tra le nostre famiglie. Ma è solo attraverso un impegnativo lavoro di collaborazione e di rete che questo desiderio potrà tornare a tradursi in accoglienza reale.

                        Ai. Bi.  11 agosto 2015                                              www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Colombia. L’adozione è una strategia vincente ma la troppa burocrazia frena l’accoglienza.

La burocrazia è nemica dell’adozione. Se ne sono da tempo resi i conto i Paesi tradizionalmente più accoglienti, tra cui il nostro, dove, tra le principali cause del progressivo allontanamento delle famiglie dalla realtà dell’adozione internazionale, viene citato spesso un iter burocratico troppo lungo e complesso. E ora stanno avviando una riflessione in materia anche i Paesi di origine. Che, contrariamente a quanto solitamente si credeva, cominciano a dirsi seriamente preoccupati del generale calo delle adozioni internazionali.

            L’ultimo caso è quello della Colombia, dove la testata giornalistica “El Tiempo” ha recentemente proposto una riflessione sul tema dell’avvocato e giornalista Claudia Dangond-Gibsone.

            La quale parte da una premessa fondamentale: l’adozione è una strategia vincente. “Gli adottati hanno l’opportunità di crescere in famiglia – spiega – e gli adottanti di soddisfare il loro desiderio di allargare il nucleo familiare, fornendo le condizioni adeguate per un bambino che non le ha potute trovare altrove”. Il tutto con il beneplacito dello Stato  che garantisce che il minore cresca nelle mani di una famiglia in grado di soddisfare i requisiti etici e materiali per costruire i cittadini del domani: amore, solidarietà, generosità, rispetto delle regole, onestà.

            La famiglia è il nucleo fondamentale della società – ricorda la giornalista -. Più i bambini imparano e si sviluppano in famiglia, fin dalla tenera età, più si può essere sicuri che gli uomini di domani saranno cittadini che fonderanno la società sugli stessi pilastri” su cui si basa la loro educazione.

            In Colombia, però, le adozioni sono in calo. E “non per la mancanza di bambini o di famiglie che desiderano accoglierli”, evidenzia Claudia Dangond-Gibsone. “Dal 2012 – spiega -, dopo una sentenza della Corte Costituzionale, l’Icbf (Instituto Colombiano de Bienestar Familiar, Autorità Centrale del Paese sudamericano, ndr), caratterizzato dall’essere relativamente efficiente, è preda di norme e interpretazioni giudiziarie” che non gli permettono di condurre in porto un numero maggiore di adozioni. Per ogni bambino abbandonato dai suoi genitori biologici, infatti, l’Icbf oggi è tenuto “a cercare di rintracciare i membri della cosiddetta ‘famiglia allargata’: nonni, discendenti, parenti collaterali legittimi fino al sesto grado, fratelli naturali…”, perché “secondo la Corte a questi spetta per primi la ‘protezione, la cura e l’assistenza” dei minori.

            Di conseguenza, i bambini che ricevono il “certificato di adottabilità” sono sempre meno, perché essere riconosciuti ufficialmente abbandonati “può richiedere anni”. Nel frattempo molti aspiranti mamme e papà continuano a nutrire speranze che spesso vengono frustrate. E migliaia di bambini trascorrono anni perdendo l’opportunità di essere accolti, curati e formati da genitori idonei, desiderose di amarli e di insegnare loro i valori familiari.

            I dati, del resto, parlano chiaro. Il numero complessivo di minori colombiani adottati, tra adozione nazionale e internazionale, è sceso da 3.058 del 2010 a 1.148 del 2014.

            La preoccupazione colombiana non è un caso isolato. Ricordiamo che recentemente, ad aprile 2015, anche le autorità brasiliane avevano espresso apprensione per il calo delle adozioni internazionali, sottolineando l’importanza di arginare questa crisi, ricorrendo, innanzitutto, a una riduzione della burocrazia e dei costi.

Fonte: El Tiempo       Ai. Bi.  11 agosto 2015                                  www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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AFFIDAMENTO

Figli affidatari, il Jobs Act li accompagna alla ricerca del lavoro

            Sono gli ultimi tra gli ultimi. Perché oltre a dover fronteggiare le difficoltà dei loro coetanei, una volta giunti alla maggiore età molto spesso si ritrovano ad affrontare la vita da soli. A cominciare dalla ricerca del lavoro, missione non certo semplice in questo periodo storico. In un Paese come il nostro, con un tasso di disoccupazione giovanile del 44%, per i 18enni in uscita dai percorsi di accoglienza la vita è ancora più dura che per gli altri ragazzi. Ma ora, tra i decreti attuativi del Jobs Act, ce n’è uno che viene loro incontro.

            Su circa 3.200 neomaggiorenni che ogni anno lasciano le case famiglia e le famiglie affidatarie, almeno 2mila  non tornano dai loro genitori biologici. Ovvero: ogni anno 2mila giovani particolarmente vulnerabili – con alle spalle abusi, maltrattamenti, violenze familiari – vengono lasciati completamente soli, esposti al rischio di marginalizzazione e povertà. In assenza di interventi specifici per favorire il loro pieno reinserimento sociale, anche dal punto di vista del lavoro, si finirebbe quindi per vanificare gli effetti positivi ottenuti durante il percorso di affido.

            Consapevoli di questo, le Commissioni lavoro della Camera e del Senato hanno riconosciuto la necessità di inserire, nei decreti attuativi del Jobs Act, anche delle misure per l’inserimento lavorativo dei maggiorenni provenienti da case famiglia o famiglie affidatarie. Si cercherà quindi di promuovere l’accompagnamento verso una vera autonomia dei ragazzi di età compresa tra i 15 e il 29 anni, “destinatari di provvedimenti di allontanamento della famiglia di origine o per altra ragione provenienti da percorsi d’accoglienza, comunità di tipo familiare o famiglie affidatarie”, come si legge nel relativo comunicato.

            Con il loro parere positivo sulla questione, le Commissioni hanno scelto di valorizzare maggiormente il prezioso patrimonio dei giovani “fuori famiglia”. Questi, secondo le stime puramente economiche, nell’arco di 10 anni produrrebbero un ritorno di 150 milioni di euro, derivanti da reddito da lavoro e da minori interventi assistenziali diretti e indiretti.

            Aiutandoli nel loro ingresso nel mondo del lavoro, si riuscirebbe anche a sanare un’ingiusta disuguaglianza di trattamento. Nella classifica negativa delle opportunità di inserimento nel mercato regolare del lavoro, infatti, gli ultimi posti sono occupati proprio dai giovani fuori famiglia che, compiuti i 18 anni, escono dal sistema di protezione dell’infanzia. E ciò non certo per colpa loro: sono ragazzi privi di una “rete” familiare e spesso con carenti competenze scolastiche, a causa del tempo dedicato al superamento di devastanti traumi psicologici piuttosto che agli studi.

            Fonte: Vita     Ai. Bi.  11 agosto 2015                                  www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ASSOCIAZIONE ITALIANA CONSULENTI CONIUGALE E FAMILIARI

Rinnovo degli Organi Sociali.

Il prossimo autunno, in occasione della celebrazione dell’Assemblea ordinaria dei Soci, si svolgeranno le elezioni per il rinnovo degli organi collegiali dell’Associazione, previsti dallo Statuto, e cioè: il Consiglio Direttivo, il Collegio dei Revisori dei Conti, il Collegio dei Probiviri.

Nella riunione del Consiglio Direttivo del 28 giugno 2015 sono stati  definiti tutti gli aspetti relativi all’elezione dei nuovi organi ed è stato approvato il Regolamento per le elezioni.

La campagna elettorale per il rinnovo degli organi è aperta ed è ancora possibile presentare la propria candidatura.

I soci effettivi possono candidarsi ad un solo organo collegiale. I candidati possono pubblicizzare la propria candidatura comunicandolo alla Segreteria dell’Associazione (segreteria@aiccef.it) o alla redazione della Rivista (redazione@aiccef.it), con una foto ed un sintetico profilo.

http://www.aiccef.it/News/62-Elezioni_d_autunno.html

 

            La rivista il “consulente familiare”.

E’ in distribuzione il n. 3 de “il consulente familiare” organo d’informazione dell’A.I.C.C.eF.

  • Editoriale della redazione,
  • Rita Roberto lettera della Presidente.
  • Giornata di studio – Bologna 18 ottobre 2015: Metodologia professionale e deontologia del consulente familiare”. Hotel campus Bononia, via Sante Vincenzi 49- villaggio del fanciullo. Iscrizioni esclusivamente on-line.
  • Speciale elezioni 2015.
  • Intervista al prof. Domenico Simeone, ordinario di pedagogia UCSC e presidente CFC
  • Conferenza internazionale “I tempi cambiano, L’impatto del tempo sulla vita familiare”. Berlino 22-24 giugno 2015.
  • Rita Roberto la consulenza di coppia.
  • Essere consulenti familiari. Contributi ed esperienze di Sergio Martinenghi, Cristina Parrotta.
  • Riparte l’Italia con la road map del CoLap
  • Letto per voi di Licia Serino,Davide Monaci.
  • Lettere all’AICCeF
  • Primi effetti del divorzio breve. Claudio Visani.
  • AICCeF notizie: Senigallia, Avellino, Pescara, Bologna, Pisa, Roma, Firenze.
  • Italia a crescita zero.

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AVVOCATURA

Avvocati: via libera alle specializzazioni. il Ministro ha firmato il decreto

Il regolamento prevede 18 aree specialistiche e non più di due titoli per professionista.

            La specializzazione degli avvocati è diventata realtà. Il 12 agosto 2015, infatti, il ministro della giustizia Andrea Orlando ha firmato il regolamento che disciplina il conseguimento e il mantenimento del titolo di specialista (qui sotto allegato), in attuazione delle previsioni della legge professionale forense.

            Sarà in vigore 60 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Diciotto le aree di specializzazione indicate nell’art.3 del Regolamento(tra cui alla lettera a) diritto delle relazioni familiari , delle persone e dei minori) nell’ambito delle quali il professionista potrà “scegliere” il proprio titolo, con il limite massimo di due settori.

            Nei 16 articoli che compongono il regolamento, è illustrato anche il procedimento per conseguire la specializzazione che dovrà essere richiesta dall’avvocato con apposita domanda all’ordine di appartenenza, soltanto se in possesso dei seguenti requisiti: – aver frequentato, con esito positivo, negli ultimi 5 anni i corsi di specializzazione; – non aver riportato, nei 3 anni precedenti alla richiesta, una sanzione disciplinare definitiva; – non aver subito, negli ultimi 2 anni, la revoca del titolo.

            La formazione per ottenere la specializzazione è predisposta in ambito universitario, con programmi che verranno definiti dall’apposita commissione permanente istituita presso il ministero, mentre il Consiglio Nazionale Forense dovrà firmare le convenzioni sia con le università che con le associazioni specialistiche più rappresentative.

            Il percorso formativo dovrà durare almeno un biennio e avere un minimo di attività didattica di 200 ore, con obbligo di frequenza pari almeno all’80%.

            Potrà conseguire il titolo di avvocato specialista anche chi ha un’anzianità di iscrizione all’albo forense di almeno 8 anni e che negli ultimi 5 anni dimostri di avere esercitato la professione “in modo assiduo, prevalente e continuativo” in uno dei settori di specializzazione, nei quali dovrà avere trattato (sempre nel quinquennio precedente) “incarichi professionali fiduciari rilevanti per quantità” e qualità” almeno pari a 15 per ogni anno.

            Per mantenere il titolo, ogni tre anni l’avvocato specialista dovrà documentare al proprio Consiglio dell’ordine l’adempimento degli obblighi di formazione permanente, oppure dimostrare l’esercizio assiduo prevalente e continuativo dell’attività nel settore specifico.

            Quanto alla revoca, la stessa può conseguire sia dall’irrogazione di una sanzione disciplinare definitiva, diversa dall’avvertimento, sia dal mancato adempimento degli obblighi di formazione continua o del deposito della documentazione che comprovi il possesso dei requisiti.

            Nella fase transitoria, è previsto il conferimento del titolo (previo superamento di un esame scritto e orale), anche a favore degli avvocati che nel periodo 2011-2015 hanno già conseguito un attestato di frequenza a un corso almeno biennale di alta formazione specialistica.

Marina Crisafi                       www.StudioCataldi.it             14 agosto 2015                      testo

www.studiocataldi.it/articoli/19132-avvocati-via-libera-alle-specializzazioni-il-ministro-ha-firmato-il-decreto.asp

www.studiocataldi.it/visualizza_allegati_news.asp?vai=ok

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CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA

Concepire e comprendere

É uscito il nuovo numero della Rivista di Sessuologia:Concepire e comprendere. atti del XXIX Congresso Nazionale CIS, a cura di: Gabriella Rifelli e Stefania Valanzano e dedicato. al prof. Giorgio Rifelli

  • Maria Cristina Florini, presidente CIS, Gabriela Moschioni, past presidente UCIPEM A testimonianza dei suoi insegnamenti:
  • Alessandro Bosi Lezione magistrale.
  • Carlo Flamigni Bioetica e Procreazione Medicalmente Assistita.
  • Marco Filicori Il percorso delle coppie che affrontano la Procreazione Medicalmente Assistita.
  • Stefania Taraborrelli Sterilità/infertilità di coppia: il supporto psicologico all’interno di un approccio multidisciplinare
  • Manuela De Leonardis Lo stato della Procreazione Medicalmente Assistita in Italia e all’estero dal punto di vista giuridico.
  • Ines Testoni Procreazione Medicalmente Assistita e corporeità cyborg: autodeterminazione e costruzione sociale della differenza sessuale.
  • Silvia Vegetti Finzi Gli aspetti intrapsichici nella Procreazione Medicalmente Assistita.
  • Stefania Valanzano Sessualità e Procreazione Medicalmente Assistita.
  • Margherita Graglia Coppie omosessuali e Procreazione Medicalmente
  • Lia Lombardi Procreazione Medicalmente Assistita e contesto sociale. Generi e relazioni.
  • Stefano Bernardi Esperienze di sostegno in un centro di Procreazione Medicalmente Assistita.
  • Raffaella Visigalli Sterilità/infertilità di coppia: il supporto psicologico all’interno di un approccio multidisciplinare.
  • Mara Cristina Bivona L’attesa dell’attesa, la sospensione del tempo e la sospensione del giudizio: casi clinici a confronto.

Diana Miconi, Marta Panzeri, Rossella Ponchia, Antonella Grillo, Silvia Salcuni Studio Esplorativo inter-genere delle caratteristiche psicoaffettive di coppie che si sottopongono a PMA.

  • Antonella Questa “Stasera Ovulo”.
  • Gessica Iannone  Cinema, Psicologia e Coppia.

http://www.cisonline.net/index.php?option=com_content&view=article&id=197&catid=9Assistita.

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CHIESA CATTOLICA

Il tetrafarmaco di Pierangelo Sequeri per il Sinodo.

Nella bella sintesi offerta da Maria Elisabetta Gandolfi, sul n. 5 del Regno, 15 maggio 2015, con il titolo “Fidarsi” (p.306), appaiono le conclusioni che P. Sequeri ha tratto alla fine del Convegno di Milano dello scorso maggio.                   www.ilregno-blog.blogspot.it/2015/06/indissolubile-in-che-senso.html#more

Potremmo considerarle quasi come un prezioso “tetrafarmaco” in vista del prossimo Sinodo. Esaminiamole e commentiamole per ordine:

  1. Sulla potenza del vincolo morale. Il primo punto, che assume con lucidità il dibattito sulla differenza tra “indissolubilità fisica e indissolubilità morale”, sottolinea la sfida di una riproposizione della “parola data” come “vincolo” che passi necessariamente per una coscienza e una volontà più forte di una regola esteriore o di una sanzione pubblica. Scrivere nel cuore la “saldezza familiare” non può essere delegato soltanto alle “carte bollate”. Ma senza una riflessione adeguata su questa concezione “morale” della unione matrimoniale, e senza uscire dalle strettoie di una lettura “ontologico-disciplinare”, non si potrà venire a capo della questione nel mondo di oggi e di fronte alle nuove e prossime generazioni.
  2. Non è mai come se non fosse successo niente. Se in ogni sacramento il fallimento è parte della sua possibilità (umana). Affermare questa logica, oggi, significa rischiarare tutte le questioni sorte dalla concentrazione di ogni “soluzione” nel riconoscimento di una “nullità originaria”. Se anche si riscontrano vizi di origine, non è mai come se non fosse successo niente. Su questo la Chiesa deve darsi, gradualmente, una cultura diversa. E può imparare anche qualcosa di importante proprio dal mondo, che ha elaborato le forme concrete – e realistiche – di relazione con questi “fallimenti”. Fronteggiare il fallimento, piuttosto che rimuoverlo o negarlo, è una condizione inaggirabile di ogni pastorale credibile. Altrimenti il rischio è quello di una chiesa non solo “auto-”, ma anche “retro-referenziale”. Capace di guardare solo indietro, e non avanti.
  3. Il ruolo della teologia. Un compito delicato spetta alla teologia, che deve elaborare una teologia del matrimonio in grado di mettere in rapporto il “duplice affidamento” – della coppia al suo interno e della coppia a Dio –secondo delicati equilibri di fede e di esperienza, che nessuna norma può semplicemente sostituire o scavalcare. Il dialogo tra teologia e diritto canonico diventa essenziale, per evitare quelle forme di “interferenza” che generano solo false sicurezze o fredde indifferenze.
  4. Una Chiesa all’altezza. Una Chiesa che sappia percorrere le prime tre tappe indicate, saprà essere all’altezza della propria missione, sfuggendo al pericolo di cadere sia nel “casuismo cattivo”, sia nel “casuismo buono”. Offrire, in altri termini, una lettura complessiva, credibile e misericordiosa, della vita familiare, diventa una sfida più complessiva alla presenza ecclesiale oggi nel mondo. La famiglia, posta come è a cavallo tra privato e pubblico, chiede la urgente elaborazione di linguaggi capaci di mediare la “comunione”, che ogni famiglia autentica sa che è “per sempre”, senza delegarne la espressione alla privatezza autoreferenziale o alla pubblicità senza coscienza.

Il “tetrafarmaco” suggerito da Sequeri può condurre lontano. Coglie i punti più urgenti del dibattito e li orienta alla loro più adeguata comprensione. Nell’ “ospedale da campo” ecclesiale abbiamo bisogno di buoni farmaci. Questi 4 dovremo tenerli sempre a portata di mano.

Andrea Grillo            munera           14 agosto 2015                      www.cittadellaeditrice.com/munera

 

A proposito della nullità del matrimonio…

di Luisa Solero*

in “matrimonio” – in ascolto delle relazioni d’amore – n. 2 del giugno 2015

Fra le proposte del Sinodo c’è anche quella di ampliare, rendere più agile e accessibile,

possibilmente gratuita, la richiesta di nullità del matrimonio. Io ci penso da tempo, a mio parere il

tribunale ecclesiastico oggi non ha più senso, o lo ha per casi residuali, forse ha perso la sua ragion

d’essere, o piuttosto ha evidenziato i suoi limiti.

Penso dunque che tutta la materia che riguarda la nullità del matrimonio andrebbe rivista, e non nel

senso di aumentare le possibilità di accedere alla dichiarazione di nullità, o di aumentare le

competenze del tribunale allargandole alla possibilità di accertare la sopravvenuta morte del vincolo

matrimoniale. Neppure riterrei utile attribuire al tribunale ecclesiastico la competenza ad esaminare

i casi e a stabilire un percorso penitenziale che consenta la ripresa della pratica sacramentale e la

eventuale benedizione di un “secondo” matrimonio.

A mio parere il tribunale ecclesiastico dovrebbe proprio essere abolito, perché penso che vada

avviato un diverso modo di pensare, e lo penso per diverse ragioni.

Già il concetto di tribunale va stretto. Se Dio è il Giudice misericordioso che esercita la giustizia

attraverso i canoni del perdono, mi domando come possa la chiesa pensare di utilizzare altri schemi,

o arrogarsi la pretesa di giudicare secondo altri canoni che non siano quelli di Dio.

Mi domando come possano fare degli uomini, chiamati per vocazione all’esercizio della

misericordia, a mettersi nella prospettiva di giudicare secondo criteri legalistici e non secondo

l’amministrazione del perdono.

E’ semmai attraverso il sacramento della riconciliazione (sacramento che pure andrebbe rivisto e

riscoperto nella sua dimensione di incontro con il Dio della misericordia e del perdono) che può

individuarsi, io credo, una soluzione, o forse la assoluzione. Lì, nel sacramento, Egli è presente, fra

le persone che gli stanno davanti nella loro autentica povertà, tanto il prete che il penitente, o i

penitenti, e il dono del perdono non arriva perché si sono portate delle prove, o si è accusata una

colpa. Spesso nella fragilità del matrimonio non ci sono colpe, ci sono forse errori, sviste, poca

attenzione, fragilità appunto dell’uno o dell’altro, o di entrambi. Nel sacramento della

riconciliazione il perdono arriva perché nell’incontro il prete lo invoca e il penitente lo chiede.

Io poi sono convinta che la misericordia di Dio sia così grande che il perdono arriva anche se uno

non lo chiede, credo che i sacramenti non siano necessari per sperimentare l’amore di Dio, che ci

siano molti santi fra i non credenti, e che fede e religione non siano la stessa cosa. Io penso che la

materia del matrimonio appartenga più all’area del perdono, che a quella dei presupposti codificati

del diritto canonico.

Varrebbe la pena di fare una ricerca per vedere se e quale valenza abbia la nullità matrimoniale nelle

varie aree del mondo. Qui da noi c’è il tribunale di prima istanza e quello di seconda istanza, mentre

a fronte di una difformità di giudizi c’è la Sacra Rota. C’è un certo numero di richieste, sappiamo

che una buona parte perviene a sentenza di accoglimento. Ma quante siano le richieste di nullità in

Francia o Germania, in Europa, negli Stati dell’America Latina o dell’Africa e via dicendo, non

saprei. So di un prete che era stato mandato in Kenia per occuparsi di nullità dei matrimoni… Come

se si potessero applicare al matrimonio in Kenia, o al celibato dei preti africani, i principi del diritto

romano su cui si fonda il diritto canonico. Del resto, una collega tedesca qualche anno fa mi diceva

che l’istituto della nullità del matrimonio, civile o religioso, in Germania è praticamente un istituto

sconosciuto. La nullità del matrimonio civile (che da noi ha margini ristretti) io non l’ho mai

incontrata nell’arco della mia professione, ricordo solo un possibile caso cui peraltro si rinunciò, dal

momento che la dichiarazione di nullità, mettendo nel nulla il matrimonio, avrebbe tolto alla

persona interessata anche quel minimo di tutela economica che viceversa una separazione, e in

futuro il divorzio, le poteva in qualche modo garantire.

Di nullità del matrimonio religioso (con ricaduta su quello civile stanti i Patti Lateranensi) ne ho

avuto varie esperienze, pur non essendomene occupata direttamente. Quello che posso dire è che a

monte spesso c’era un accordo fra le parti, che si erano accordate nel senso di assumersi appunto

una responsabilità attraverso il riconoscimento di una immaturità data dalla giovane età, dalla

mancanza di esperienza, dalla ricerca di uscire dai vincoli dalla famiglia, o c’era la conferma di una

propria inadeguatezza, o della esclusione di figli, o la mancanza di fede o di consapevolezza del

sacramento… Quante volte dietro la richiesta congiunta, o anche di quella avanzata dall’uno nei

confronti dell’altro, quante volte a monte c’era anche un pagamento di somme importanti, la

cessione di proprietà di una casa, regolazioni economiche, l’assunzione delle spese legali…

Certamente ognuno ha la sua storia, e tanti sono i motivi, ma quello che posso dire per esperienza di

tante vicende è che dentro e dietro la richiesta di nullità c’è una sorta di freddezza, una sorta di

ambiguità di fondo. L’indagine si ferma al momento della celebrazione del sacramento e va alla

ricerca degli antefatti che sostengano una decisione di nullità così da far cadere, come si dice “in

radice”, il matrimonio. Si costruisce cioè una via di uscita che oltrepassi a piedi pari il contenuto

della relazione nel tempo, e consenta un decollo futuro, spesso idealistico o fantastico quanto lo era

stato il primo.

Né la consulenza tecnica, che spesso viene richiesta all’interno del procedimento, aiuta le persone

ad un ripensamento del proprio vissuto al fine di dargli un senso. Anzi, spesso la consulenza tecnica

costituisce per le persone più fragili una invasione della sfera personale inutile e penalizzante,

mentre le persone più forti utilizzano la consulenza per raggiungere il loro risultato, anche a prezzo

della sofferenza e della fragilità dell’altro.

La nullità del matrimonio è spesso una ferita grave che viene inferta all’altro. Quando lo si accusa

di incapacità (psichiatrica o psicologica, sessuale nelle sue varie sfumature…), la richiesta di nullità

può essere perfino sconvolgente, può arrivare a minare la personalità. Per che cosa e per che fine?

Talvolta la rinuncia a chiedere l’accertamento di una causa di nullità va proprio nel senso del

rispetto dell’altro, diventa un autentico gesto d’amore. Una volta un cliente, proprio davanti alla

scelta o meno di intraprendere un procedimento di nullità, mi ha detto che, per amare veramente,

delle volte è meglio “non” fare qualcosa, piuttosto che farla.

Se poi lo sguardo va ai figli, la mia esperienza mi dice che la nullità del matrimonio dei genitori può

non essere rasserenante per loro. La separazione dei genitori è certamente dolorosa, è la fine di un

mondo anche se non è la fine del mondo, e i figli la attraversano con la fatica della elaborazione di

un lutto. Come per i lutti, anche il tempo della separazione aiuta a recuperare i ricordi buoni, a

ricostruire le relazioni in modo diverso e a guardare il futuro con occhi nuovi. Dentro questa

dimensione, il successivo divorzio dei genitori viene vissuto come una ridefinizione dei ruoli

(restano genitori se non più coniugi), come una strada aperta verso il futuro (si parla oggi di diritto a

rifare famiglia), come il riconoscimento di una storia vissuta che si è evoluta in modo diverso da

come era stata pensata, ma che è valsa la pena di vivere, perché nulla di ciò che era buono è andato

perduto (e i figli ne sono la prova). I coniugi senza figli si separano con molta malinconia, per loro

la sensazione più forte e più dolorosa è quella del tempo perduto.

La nullità del matrimonio dei genitori è spesso difficile da spiegare ai figli, o richiede una

particolare attenzione verso di loro. Quando infatti un tribunale ecclesiastico emette una sentenza di

nullità è come se il matrimonio non fosse mai esistito, anzi la sentenza dichiara proprio che non è

mai esistito, è stato un errore sostanziale, si dichiara la nullità, si ritorna insomma alla casella di

partenza. Puoi dire ai figli che loro restano legittimi per legittimità putativa (che oggi non esiste

più), ma un matrimonio messo nel nulla ha un sapore amaro, viene etichettato come un errore, uno

sbaglio, una nullità appunto, e può mettere in grave disagio i figli. Essi sono nati da un gesto

d’amore e hanno bisogno di sentirsi dire che quell’amore c’era, ed era vero, e non era un errore o

una nullità. Un tribunale ecclesiastico è, nell’immaginario delle persone, una istituzione sacra anche

se fatta da uomini, e una sentenza di nullità emessa dalla chiesa non è rassicurante, non dà senso e

significato al tempo vissuto, alle difficoltà affrontate e ai rapporti ricostituiti. Non rilancia un futuro

che tenga conto del passato. Agli occhi dei figli la nullità del matrimonio può suonare priva di

senso, perché li fa privi di senso.

Chi può giudicare? Ciascuno attraversa come può il breve spazio della vita. Le persone si sposano

secondo le varie tradizioni e le diverse culture, in Europa come in Africa o altrove. I legami

sopravvivono se si alimentano nella quotidianità e non in funzione di un rito celebrato.

E’ la promessa che si è fatta allora che insegue i coniugi nel tempo, sempre che essi la sappiano

riconoscere, e riconfermare giorno dopo giorno, e portare con sé. Se non ce la fanno, forse è meglio

un aiuto terapeutico che li aiuti a capire il perché, e a ritrovare il senso di un cammino da percorrere

ancora insieme, o l’alternativa di una scelta diversa, magari sofferta ma forse migliore, per sé e per i

figli. Ha senso oggi un tribunale ecclesiastico? Io credo che oggi nessuno possa pensare che il

sostegno e l’aiuto della misericordia di Dio possa arrivare da un tribunale ecclesiastico, credo che

nessuno possa riporre nell’immagine di una Chiesa giudicante il senso di sollievo e di speranza per

guardare al futuro. Oggi l’uomo chiede anche alla società civile di cercare strade di benevolenza e

di pace, di accoglienza e di integrazione, di rispetto dell’altro e di soluzioni da trovare attraverso il

dialogo. Non è più il giudizio formale che proviene dall’alto che fonda il vivere sociale, ma la

ricerca di soluzioni condivise attraverso l’accettazione anche dei limiti dell’altro.

Se è vero dunque che anche la società civile si pone come obiettivo quello di un diritto mite per

fondare una società migliore, come fa la Chiesa a non pensare che la ricerca della pace passa

attraverso altre strade che non sono quelle del giudizio ma quelle della misericordia? Perché non c’è

pace senza giustizia, ma non c’è giustizia senza perdono.

  • Avvocato del Foro di Padova, esperto in diritto della famiglia e dei minori

Fine Settimana           16 agosto 2015

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Divorzio, l’unico peccato ancora senza assoluzione.

Mi ricevono nell’appartamento dove vivono, in una bella zona residenziale di una grande città del Nord. Me li ha

presentati un’amica comune. Sono miei coetanei cinquantenni Paola e Giulio. Una coppia normale, ma non per la

Chiesa cattolica. Paola si è sposata molto giovane, intorno ai venti, per uscire velocemente di casa. Dopo due anni,

arriva l’unico figlio e poco dopo giunge la scoperta di avere un marito infedele. Da qui le crisi, la lenta separazione

affettiva, le prime uscite da sola, le gite in montagna con gli amici.

“Non c’era più stima –dice oggi con serenità –e per di più la famiglia di mio marito si impicciava continuamente dei

fatti nostri”. La relazione si inclina verso la rottura.

“Diventammo separati in casa, fino a che fu lui a dirmi che voleva una separazione reale e sarebbe andato a vivere

altrove”.

Qualche anno di solitudine inframmezzata da una relazione non fortunata e poi Paola conosce Giulio, separato come lei.

L’esclusione permanente dai sacramenti

Giulio fa il carabiniere e, spedito in servizio lontano da casa, dieci anni prima ha conosciuto una giovanissima ragazza

siciliana, Concetta, che ha sposato rapidamente (“lei ha tanto insistito”, ricorda lui con una residua fitta di dolore).

Pochi mesi dopo il matrimonio Giulio scopre che Concetta lo tradisce. Giulio cercherà in tutti i modi di salvare il suo

matrimonio. Fallendo. “Mi resi conto –ammette oggi – che non era servita la terapia di coppia, né minacciarla di

abbandono e neppure accettare i continui tradimenti insieme all’umiliazione di vedermi sessualmente rifiutato. Mi

decisi a chiedere la separazione, lasciandole tutto: la proprietà della casa e i pochi risparmi.

Tornai a casa, con l’intenzione di star lontano da relazioni impegnative”. Ma poi arriva Paola. Che gli fa cambiare idea.

E gli permette di scoprire la possibilità di un amore finalmente sereno. E anche ricco di spiritualità. Perché nei loro

infelici matrimoni Paola e Giulio avevano frequentato attivamente la Chiesa. Ma sempre da soli. Senza i rispettivi

partner.

Quando si mettono insieme, Paola e Giulio scoprono una comune sensibilità religiosa. Iniziano a frequentare i corsi per

separati tenuti da un frate cappuccino, conoscono la comunità di Romena che li accoglie, intraprendono esperienze di

meditazione cristiana, cammini spirituali, pellegrinaggi, fanno volontariato. Le difficoltà arrivano per loro solo quando

si imbattono nella rigidità della dottrina. Quando un parroco nega a Giulio la possibilità di fare il padrino di un suo

nipote o quando qualche confessore nega loro l’assoluzione (quella che, almeno in teoria, potrebbe non essere negata

all’autore di una strage di mafia o a un pedofilo), o ancora quando qualche sacerdote li invita a recarsi in una parrocchia

diversa dalla loro, “per non sconcertare il resto dei fedeli”.

La Chiesa esclude l’accesso alla comunione eucaristica dei divorziati che abbiano una nuova unione. Un’esclusione

permanente, revocata solo da un eventuale ritorno del divorziato sui propri passi, dall’interruzione della nuova relazione

e dalla ripresa di quella consacrata con il matrimonio religioso.

Per Giulio e Paola questo significherebbe lasciarsi e tornare nella tragedia delle loro vecchie unioni. Impensabile.

Nel frattempo, loro hanno fatto i conti con questa situazione, riuscendo ad accettare stoicamente le tante sofferenze

provocate dall’emarginazione e soprattutto a sentirsi amati da Dio come tutti gli altri credenti. Né più né meno. Sperano

di cuore che al Sinodo di ottobre prevalgano i riformatori, ma sono anche convinti che non sarà facile che accada. Non

tutti i divorziati si trovano nella situazione di Paola e Giulio. Per alcuni il problema si pone solo occasionalmente,

quando c’è di mezzo la comunione di un figlio o la richiesta di fare da padrino o da madrina per un battesimo o una

cresima. È solo in quelle occasioni che per la stragrande maggioranza dei battezzati italiani riaccasati dopo un divorzio

si pone il problema. La questione è più seria solo per quella minoranza che a messa ci va tutte le domeniche o quasi e

che in molti casi è anche impegnata in parrocchia o in oratorio. Per costoro l’esclusione dalla comunione è una

sofferenza reale. Un dolore spesso compreso da tanti sacerdoti.

“Figurati se Nostro Signore si arrabbia davvero se qualcuno – mi ha confidato un parroco emiliano – casomai dopo aver

tentato tutte le strade per salvare il matrimonio, si separa e si unisce, con serietà e facendo tesoro del fallimento

precedente, in una nuova relazione! Con tutti i peccati che ci sono in giro! Compresi quelli legati all’affettività, rispetto

ai quali la scelta di divorziare e risposarsi è un segno di onestà e di correttezza. Quante volte mi capita di dover dare la

comunione a persone sposate dalla condotta non certo irreprensibile e doverla negare a persone per bene solo perché

divorziate”. “Stiamo facendo un errore terribile – mi dice un altro prete – insistendo a mantenere questa norma. L’errore

di far pensare che uccidere la moglie (un peccato per il quale si può essere assolti in confessione) sia meno grave che

separarsi”. “La Chiesa è intransigente – mi dice un parroco molisano – con la rottura del matrimonio mentre è

tollerantissima con i “preti che sbagliano”.

Se i sacerdoti fossero sposati, la Chiesa troverebbe il modo di affermare che anche Gesù si era sposato. A noi viene

perdonato tutto, ai laici quasi nulla”. Giudizi come questi si riflettono sulla prassi, nelle migliaia di scappatoie,

adattamenti, totali ignoranze della norma, percorsi pastorali autogestiti ormai dilaganti nella Chiesa italiana.

Se la società cambia e la norma no, quest’ultima diventa inapplicabile, ridicolizzata, inutile, dannosa.

Questa è una regola sociologica generale. Che vale anche per la Chiesa Cattolica.

Perché i corrotti non indignano?

Se il danno che il divorziato fa ricevendo la comunione consiste anche, secondo la dottrina, nello scandalo che il suo

gesto produce negli altri membri della comunità, è difficile negare che oggi quella reazione sia prodotta, più che dal

divorzio, considerata un’azione dolorosa a livello essenzialmente individuale e privato, da peccati come la corruzione,

la criminalità, l’evasione fiscale, eccetera, eccetera. Quelli suscitano davvero scandalo in tutti noi, cristiani e non. E

quelli continuano invece a essere oggetto di una permanente potenziale assoluzione per la dottrina cattolica.

Il problema riguarda soprattutto il controllo delle coscienze. Se la Chiesa ammettesse che la coscienza precede la

norma, che chi ha infranto il vincolo matrimoniale può aver avuto buone ragioni per farlo o comunque meritare di

essere pienamente riammesso nella comunità, se la Chiesa riconoscesse questo, essa degraderebbe di fatto le proprie

norme a un rango inferiore rispetto a quello in cui albergano le coscienze individuali.

Significherebbe ammettere che quello che conta per Paola e Giulio è anche (e forse soprattutto, dato che si tratta di

amore) quel che avviene all’interno dei loro cuori e non nei codici ecclesiastici o nei precetti. Che sia questo il senso

della “Chiesa della misericordia” di cui parla papa Francesco?

Marco Marzano        in “il Fatto quotidiano” del 15 agosto 2015

 

marco.marzano@unibg.it

 

Il problema riguarda soprattutto il controllo delle coscienze. Se la Chiesa ammettesse che la coscienza precede la norma, … essa degraderebbe di fatto le proprie norme a un rango inferiore rispetto a quello in cui albergano le coscienze individuali. Significherebbe ammettere che quello che conta per Paola e Giulio è anche (e forse soprattutto, dato che si tratta di amore) quel che avviene all’interno dei loro cuori e non nei codici ecclesiastici o nei precetti.

Che sia questo il senso della “Chiesa della misericordia” di cui parla papa Francesco?

Fine Settimana….15 agosto 2015…..www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage

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CONSULTORI FAMILIARI

Una storia ricca e una sfida che si rinnova.

Si terrà a Roma nei giorni 2 e 3 ottobre 2015 il convegno nazionale promosso dall’UCIPEM e dalla C.F.C. dal titolo  “I Consultori Familiari: una storia ricca e una sfida che si rinnova. Bilanci e prospettive a 40 anni dalla legge 405/1975” che e si concluderà, invitati da Papa Francesco, con la veglia di preghiera in piazza S. Pietro.

Università Cattolica Sacro Cuore – centro congressi Europa Sala Italia – largo Francesco Vito. Roma

            Ospitalità in convenzione; Centro don Orione – via della Camilluccia 120 – Roma

Per informazioni ed iscrizioni  contattare       cfcroma@libero.it                             www.cfc-italia.it

vedi news n. 558, pag 4

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DALLA NAVATA

                                    20° domenica del tempo ordinario – anno B -16 agosto 2015.

Proverbi         09, 05  «Venite, mangiate il mio pane, bevete  il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza. »

Salmo             34,15   «Sta’ lontano dal male e fa’ il bene, cerca e persegui la pace.»

Efesini                        05,17   «Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual’è la volontà del Signore.»

Giovanni        06, 58  «Chi mangia questo pane vivrà in eterno.»

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DIRITTI DEL MINORE

                        Il legame affettivo del minore conta più di quello biologico. Lo dice Strasburgo

            Il legame affettivo con il minore deve essere salvaguardato. Anche quando un test biologico accerta che il presunto padre non era il genitore del bambino. E’ il principio stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che, con la sentenza di condanna alla Russia, depositata il 16 luglio 2015, rafforza l’interesse superiore del minore e il diritto di un adulto a mantenere il legame stabile con i minori (case of Nazarenko v. Russia).

Il ricorrente, che aveva avuto una figlia con l’ex moglie, aveva divorziato. Entrambi gli ex coniugi avevano chiesto l’affido esclusivo. Tuttavia, la donna aveva negato la paternità dell’uomo. Dopo il test di paternità, accertato che l’ex marito non era il padre, l’uomo aveva perso ogni diritto e la possibilità di mantenere un legame con la bimba, malgrado per 5 anni avesse avuto un rapporto stabile e di grande affetto.

Un’evidente violazione della Convenzione, scrive la Corte europea. In base all’articolo 8, che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il padre aveva diritto, anche in assenza di un legame biologico, a mantenere il rapporto con la figlia. D’altra parte, la nozione di vita familiare non è confinata ai rapporti tra coniugi né è basata unicamente sul matrimonio, quanto piuttosto sulla reale esistenza dei legami familiari. La coabitazione – prosegue Strasburgo – è certo un elemento significativo, ma non è l’unico perché vanno valutati i legami affettivi e ogni altro fattore. Di conseguenza, l’interesse superiore del minore non può essere presunto in via automatica in base a una mera previsione legislativa. La scelta delle autorità russe, dovuta a una legislazione inflessibile che spezza ogni legame tra colui che non è il genitore biologico e il minore, contrasta con la Convenzione e non permette la realizzazione dell’interesse superiore del minore. Di qui la condanna alla Russia.

Marina Castellaneta.  11 agosto 2015

www.marinacastellaneta.it/blog/il-legame-affettivo-del-minore-conta-piu-di-quello-biologico-lo-dice-strasburgo.html

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FECONDAZIONE ARTIFICIALE

Eterologa, arrivano le 5 regole per evitare di trasformarla in un far west.

Arrivano i primi paletti alla fecondazione eterologa. Lo fanno sotto forma di un regolamento che dovrebbe recepire la direttiva europea 39 del 2012 sul trattamento di tessuti e cellule umane. Il testo predisposto dal ministero della Salute detterebbe i punti fermi in materia di donatori e donazione di gameti, adottando i criteri europei. I quali, per esempio, escludono qualunque tipo di compenso per i donatori e la possibilità di selezionare questi ultimi in base alle caratteristiche somatiche o genetiche preferite. Insomma, niente commercio di semi e ovociti e niente figli “su misura”.

In attesa di una legge in materia, si mette almeno nero su bianco un sistema di norme atteso da un anno per evitare che quello dell’eterologa, non regolamentato dallo Stato, si trasformi in un far west. Il testo arriva infatti esattamente un anno dopo la rinuncia da parte del Governo a provvedere con decreto a rimediare al “buco” creato dalla sentenza della Corte Costituzionale dell’aprile 2014 che rimuoveva il divieto di fecondazione eterologa in Italia.

Il regolamento ha già ricevuto l’approvazione del Consiglio superiore di sanità e del Garante per la privacy ed è ora all’esame della Conferenza Stato-Regioni, prima di passare al vaglio del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti.

Sono 5 i punti sui quali il testo detta le regole per il nostro Paese.

  1. Innanzitutto l’età di chi dona i gameti: varia a seconda del differente sviluppo dell’apparato sessuale e va dai 18 ai 40 anni per gli uomini e dai 20 ai 35 per le donne.
  2. Quindi il numero massimo di nati per ciascun donatore: ognuno di essi potrà consentire di generare con le proprie cellule riproduttive non più di 10 bambini. Limite a cui si può derogare solo in un caso: quello in cui una coppia che ha già un “figlio dell’eterologa” desideri un altro bambino e chieda di ricorrere ai gameti dello stesso donatore.
  3. Un unico criterio, poi, per la selezione di chi dona ovociti o sperma: un’anamnesi sanitaria e medica, tramite questionario e colloquio personale con specialisti abilitati per la scelta. Lo scopo è quello di evitare che la donazione si traduca in un rischio sanitario. Eventualità, tra l’altro, già drammaticamente accaduta: un donatore danese, portatore inconsapevole di neurofibromatosi, negli anni scorsi ha diffuso in mezzo mondo il gene della patologia di cui è affetto, ora presente in un centinaio di bambini.
  4. Regole certe anche per la privacy. Alla coppia ricevente sarà consegnata un’informativa sugli esami clinici del donatore, di cui però non potrà conoscere l’identità.
  5. Infine, si limita il ricorso selvaggio alla pratica dell’egg sharing, ovvero la donazione a coppie sterili di gameti “avanzati” a chi è ricorso alla donazione omologa. In questo caso si adotteranno gli stessi criteri di selezione validi per l’eterologa, come già previsto dalle linee guida per la legge 40 firmate a luglio dal ministro Lorenzin.

Fonte: Avvenire          Ai. Bi.  11 agosto 2015                                  www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Giada Aquilino, bollettino radiogiornale     5 agosto 2015              http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Testo ufficiale             http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150805_udienza-generale.html

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PATERNITÀ

Dichiarazione di paternità: il rifiuto a sottoporsi ai test

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 16226, 31 luglio 2015.

            In un giudizio promosso per l’accertamento della paternità, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice.

La Corte di appello ha fatto applicazione delle norme in questione alla stregua della giurisprudenza di legittimità ormai costante (cfr. da ultimo Cass. Civ. sezione I n. 6025 del. 25 marzo 2015) secondo cui nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116, secondo comma, cod. proc. civ., di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda.

Testo sentenza                                               www.divorzista.org/sentenza.php?id=10525

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PROCREAZIONE RESPONSABILE

Treviso. Meeting internazionale “Natural Family Planning.

La Fondazione Centro della Famiglia di Treviso, in collaborazione con altri Enti, organizza il meeting internazionale “Natural Family Planning: interfacing biological & relational aspects, and new information technologies”, che si terrà a Monastier di Treviso, presso il Park Hotel Villa Fiorita, nei giorni venerdì 23 (15-19) e sabato 24 (9-13) ottobre 2015

            Tra i Patrocini: Centro Italiano di Sessuologia

La pianificazione familiare naturale: recenti innovazioni informatiche e studi relazionali.       

Un originale tavolo di aggiornamento professionale e di confronto culturale scevro da posizioni ideologiche precostituite

Lo sviluppo dell’informatica è entrato in ogni settore della vita personale e sociale costringendo e supportando un salto di qualità nel gestire la complessità attuale. In prima linea vi sono le scienze mediche che si avvantaggiano delle nuove tecnologie con ritmi sempre più veloci e con risultati straordinari per la diagnosi e per la cura. Anche l’insegnamento e l’applicazione del controllo delle nascite con i metodi naturali (NFP – Natural Family Planning) trovano nelle applicazioni informatiche strumenti sofisticati e di facile gestione che aiutano a conoscere il ciclo fertile in modo più preciso e consapevole.

NFP va considerato non soltanto di competenza della singola donna, bensì come stile di coppia. Per questo vanno considerate le variabili relazionali incidenti nel ciclo mestruale, come la teoria della competenza relazionale ha messo in evidenza.

La tecnologia ha finora messo a disposizione di NFP vari strumenti che monitorizzano e gestiscono singoli segni specifici indicanti fertilità-infertilità. Il convegno ha l’obiettivo di confrontarsi sui costi e benefici e sulla possibile creazione di algoritmi che gestiscano in modo appropriato la pluralità dei segni di fertilità-infertilità.

Le ragioni indicate motivano la proposta e la realizzazione di un meeting internazionale che possa fare il punto sulla situazione con esperti del settore e prospettare eventuali utili collaborazioni e realizzazioni nella ricerca e nell’insegnamento.

venerdì pomeriggio 15.00-19.00

• Contraccezione e NFP in Italia: la situazione attuale Silvana Borsari

• Efficacia di NFP nel prevenire e nell’ottenere gravidanze Robert T. Kambic

• Efficacia d’uso raggiunta dalle coppie che utilizzano internet/social media/ app per imparare NFP senza insegnante faccia a faccia Petra Frank- Hermann

• NFP e soddisfazione sessuale Francesco Forcolin

sabato mattina 9.00-13.00

• Competenza relazionale della coppia: attuali sfide e risorse Mario Cusinato

• La finestra fertile Sandro Girotto e Bruno Scarpa

• Analisi quantitativa di dati qualitativi relazionali di insegnanti NFP Walter Colesso

• L’uso della tecnologia digitale – in particolare cellulari e altri dispositivi con accesso a internet – di supporto a NFP Victoria H. Jennings

• Un metodo (EHFM) di pianificazione familiare con monitoraggio elettronico ormonale della fertilità Richard J. Fehring

• L’esperienza di una app medica di successo Mirco Bettelini

• Tavola rotonda: cosa abbiamo imparato? Coordinatore: Enrico Busato

Partecipanti: Umberto De Conto, medico di famiglia; Valter Adamo, ginecologo; Mary Bottarel ostetrica; Walter Bertin farmacista; Francesco Forcolin sessuologo; Goretta Scandiuzzi insegnante RNF; Mario Cusinato psicologo.

La partecipazione al Meeting è gratutita.

Per informazioni organizzative e alloggi riferirsi a: segreteria meeting NFP

segreteria@centrodellafamiglia.eu                                    www.centrodellafamiglia.it

http://www.ordinepsicologiveneto.it/eventi-e-formazione/dettaglio-news/?tx_ttnews[tt_news]=527&cHash=bfc87b5408b095605eef30502ca5d8b8

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SEPARAZIONE

Separarsi in tempo di crisi.

            Un’intervista all’avv. Cesare Rimini

La crisi economica ha inciso profondamente nel diritto di famiglia e molte coppie non hanno i mezzi per separarsi. La crisi economica ha inciso profondamente nel tessuto sociale e nella vita delle coppie. Ci si separa più spesso rispetto al passato, ma se un tempo le principali difficoltà a cui si andava incontro erano principalmente dovute a quelle ferite interne che la fine di un amore inevitabilmente provoca, oggi la coppia in crisi deve fare i conti anche con inevitabili problemi di natura economica.

Ne abbiamo parlato con l’avv. Cesare Rimini, indiscusso principe del foro matrimonialista, autore di numerosi interventi sul Corriere della Sera e di pubblicazioni di notevole spessore tra cui: Dica pure avvocato, Mondadori 1988; E a casa, tutti bene?, Bompiani 2006; Le storie di Piero, Bompiani 2008; Lasciamoci così… appunti e ricordi di un avvocato matrimonialista, Longanesi 1994.

Nato a Mantova nel ’32, ha sempre esercitato a Milano. La profonda umanità di questo Maestro del diritto traspare anche dalle righe dell’esclusiva intervista che, generosamente ci ha concesso. Lo ringraziamo con viva cordialità! 

            Avvocato Cesare Rimini, Lei è il più famoso dei matrimonialisti in Italia. A volte le cronache raccontano di padri separati che per pagare il mantenimento a moglie e figli non possono permettersi di pagare l’affitto per una nuova casa e diventano dei clochard. Non pensa che a volte agli ex mariti siano imposti oneri economici insostenibili?

            Lasciamo stare la fama, quello che conta è, forse per l’età, le migliaia di storie che ho sentito. Il nostro lavoro non ti permette di annoiarti. E questo è un privilegio. Ogni cliente nuovo è una persona nuova che vedi e che conosci nei suoi problemi più intimi dopo pochi minuti.

Il problema degli oneri che gravano sui padre separati è assolutamente vero, ma bisogna non dimenticare due cose: che il giudice nel fare il suo provvedimento ha dei dati precisi se si tratta di persone a reddito fisso e dei dati molto più incerti quando si tratta di redditi da lavoro autonomo. Il Giudice ha spesso il sospetto che una parte dei redditi non siano dichiarati e perciò tenta di ancorarsi al tenore di vita da cui dedurre indirettamente il reddito dei coniugi.

            E’ vero che il matrimonio conviene ai mariti mentre la separazione conviene alle mogli?

            Non è affatto vero, ci sono anche mogli con bambini che vengono a trovarsi in enormi difficoltà. Una soluzione davvero eccellente è quella adottata da alcuni tribunali, in virtù della quale il presidente, all’inizio della causa di separazione (e di divorzio se i problemi economici sono ancora aperti), chiede alle parti di produrre una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, nella quale entrambi i coniugi devono indicare, assumendosene la responsabilità anche penale, i propri redditi, i propri patrimoni mobiliari e immobiliari in Italia e all’estero. I fenomeni a cui tu alludi, i rischi di provvedimenti “sbagliati” si riducono molto seriamente perché è raro che una parte menta, correndo i rischi che ne derivano in una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

            Negli ultimi tempi il sistema giudiziario crea e disfa, con una velocità impressionante, le sue regole, sembra non ci sia mai una riforma della giustizia destinata a durare nel tempo. Cosa pensa di questo frequente utilizzo della decretazione d’urgenza? In particolare ritiene utili i recenti interventi in materia di negoziazione assistita?

            I recenti interventi che hanno sicuramente velocizzato le procedure sono stati utili. Meno concreti mi sembrano quelli in materia di negoziazione assistita.

            Quando ci si separa inevitabilmente le spese della famiglia aumentano: si paga un doppio affitto, raddoppiano le bollette e una sola macchina non può più bastare. In questo contesto è davvero possibile che l’assegno di mantenimento possa garantire un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio? Non c’è il rischio che solo uno dei due coniugi riesca mantenere quel tenore a discapito dell’altro?

            Chi si occupa di diritto di famiglia sa che qualsiasi sia la posizione economica dei coniugi non ha senso logico pensare di poter mantenere il tenore di vita di entrambi i due pezzi della famiglia separata. Il “tenore di vita” serve come tendenza al giudice per dettare il suo  provvedimento.

            Marcel Achard scrisse che il matrimonio che può rendere davvero felice un uomo è quello di sua figlia. Lei che ne pensa?

            In materia di matrimonio le frasi icastiche e di effetto sono infinite, ce ne sono anche nella Bibbia. La idea di fondo è che la felicità dell’uomo e della donna dipende dalla donna e dall’uomo che trova.

            Ogni anno vengono celebrati circa 200mila matrimoni ma, allo stesso tempo, ogni anno ci sono più di 80.000 separazioni e 50mila divorzi. C’è qualcosa che non va nell’istituzione del matrimonio o è cambiato qualcosa nell’approccio a quest’istituzione?

            Lasciando stare i numeri, tutti sappiamo che il matrimonio è cambiato in modo accelerato negli ultimi tempi e che non sono aumentate solo le separazioni e i divorzi, ma sono diminuiti anche i matrimoni che molte volte sono un sogno non realizzato o una esperienza rifiutata prima di averla.

            Sulla base della sua esperienza, quali sono i principali motivi che portano alla crisi di coppia?

            La crisi della coppia secondo me nasce dal silenzio. Quando non si parla più, quando non si litiga (anche le liti sono fisiologiche) non c’è più discorso e senza discorso il matrimonio naufraga fatalmente.

            E’ vero che a volte la separazione crea più problemi di quanti non se ne voglia risolvere?

            E’ vero che la separazione giudiziale apre la porta ad una infinità di problemi e che gli avvocati di esperienza si battono fino alla fine per cercare di trovare la strada per la separazione consensuale. E’ certo, comunque, che se ognuno guarda il proprio lavoro con umiltà ci sono anche gli errori dei magistrati e degli avvocati, anche se l’impegno molte volte è serio e responsabile.

            Quale è la sua opinione sui matrimoni gay e cosa pensa del DDL sulle unioni civili? Ritiene sia una buona disciplina o va integrata? E comunque il legislatore non dovrebbe attivarsi al più presto per colmare una lacuna sanzionata anche dalla CEDU?

            La mia opinione sui matrimoni gay e sulle unioni civili è orientata con preferenza alle soluzioni attuate nel resto di Europa. Eviterei il termine matrimonio, ma darei all’unione gay tutti i diritti che spettano ai cittadini eterosessuali. E’ ora di obbedire alla decisione della CEDU.

Lei rappresenta una figura di riferimento fondamentale per gli avvocati italiani, soprattutto per i più giovani. Cosa può consigliare loro in un’epoca contrassegnata da una così profonda crisi dell’avvocatura?

            Ai giovani avvocati consiglio l’impegno che hanno dovuto avere i vecchi avvocati. Nel campo del diritto di famiglia la crisi economica si è fatta sentire anche più che negli altri settori. Basta dire che ci sono coppie che non hanno i  mezzi per separarsi. Non per le spese della giustizia, non per le spese degli avvocati, ma perché mancano i mezzi come dicevamo prima, per creare da un menage due menage.

            In una recente intervista Lei ha affermato che un avvocato non è un grande avvocato se non ha mai avuto almeno un cliente povero. Oggi che anche gli avvocati sembrano diventati una delle nuove categorie di poveri questa regola vale ugualmente?

            Per la verità io ho detto che un avvocato deve avere anche i clienti poveri, non per un gesto di doverosa solidarietà, ma perché dalle cause dei poveri impari molto di più che dalle cause dei ricchi. I poveri, nel senso antico del termine, ti aiutano a capire i problemi e forse anche a migliorare la qualità come donna, come uomo e anche come avvocato.

StudioCataldi.it                      13 agosto 2015

www.studiocataldi.it/articoli/19108-separarsi-in-tempo-di-crisi-un-intervista-all-avv-cesare-rimini.asp

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SINODO DEI VESCOVI SULLA FAMIGLIA

La domanda chiave: Gesù ammette o no il divorzio?

L’esegesi del Vangelo di Matteo fatta da padre Innocenzo Gargano, secondo cui Gesù non revocò affatto la concessione mosaica della facoltà di divorziare, ha trovato un ennesimo, risoluto obiettore nel biblista Gonzalo Ruiz Freites, dottore in esegesi biblica presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, docente di esegesi del Nuovo Testamento e vicario generale dell’Istituto del Verbo Incarnato.

Sta per essere pubblicato un suo libro ha per titolo: “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. E per sottotitolo: “Studio sugli insegnamenti del Nuovo Testamento su divorzio e seconde nozze in risposta al prof. Guido I. Gargano”.  (…)

Viene pubblicata in anticipo la conclusione del volumetto di prossima uscita, omesse le note a piè di pagina.

Da: “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. Capitolo finale: “Conclusioni”.

            L’insegnamento di Gesù su divorzio e seconde nozze, presente sia nei Vangeli sinottici che negli scritti di Paolo, è unanime e definitivo, e forma parte della rivelazione del Nuovo Testamento, ricevuta e custodita fedelmente dalla Chiesa. Si tratta di un insegnamento di origine divina-apostolica, assoluto e universale, che proibisce il divorzio e, in caso di seconde nozze di chi ha divorziato, considera questa seconda unione come un adulterio.

            L’ipotesi di padre Guido Innocenzo Gargano non ha nessun sostegno in una esegesi seria dei testi da lui studiati, sia nel loro senso letterale, sia nei contesti immediati, sia nell’insieme della rivelazione del Nuovo Testamento. Il suo è un tentativo fallito, inoltre, perché egli ha scelto i testi che voleva trattare in base ai suoi preconcetti e non alla precomprensione della fede dell’insieme del Nuovo Testamento. Poi, li ha studiati in maniera oltremodo parziale, senza una minima analisi esegetica sia dei testi come dei contesti. Infine, li ha forzati per poter trarre conclusioni che siano in accordo ai preconcetti con cui aveva iniziato.

            Ci vengono in mente le parole di san Girolamo, allorquando egli insegna che chi studia il testo sacro deve attenersi innanzi tutto “all’esatta interpretazione” e che “il dovere del commentatore non è quello di esporre idee personali bensì quelle dell’autore che viene commentato”. Altrimenti, egli aggiunge, “l’oratore sacro è esposto al grave pericolo, un giorno o l’altro, a causa di un’interpretazione errata, di fare del Vangelo di Dio il Vangelo dell’uomo”.

            Per Gargano, Gesù approvava il libello di ripudio come una concessione misericordiosa. Approvava, pertanto, l’adulterio che ne derivava. Le conseguenze di un tale ragionamento sono disastrose, anche se Gargano non le deduce esplicitamente. Gesù non sarebbe venuto ad abolire nulla, ma a tener conto della situazione concreta del peccatore. Non sarebbe venuto dunque a chiamare tutti i peccatori a uscire della situazione di peccato chiamandoli alla conversione (cfr. Lc 5, 32). Per alcuni ci sarebbe un’altra via, quella della legge mosaica. In questo modo Gesù non sanerebbe la natura ferita dal peccato. Lascerebbe, invece, che i malati continuino ad essere malati. Egli stesso dovrà accontentarsi di non poter raggiungere lo “skopòs” desiderato.

            La confusione di Gargano è grande, e la sua concezione della salvezza sembra più protestante che cattolica: manca una adeguata teologia della grazia. Se vogliamo essere coerenti con il suo ragionamento, dobbiamo concludere che, almeno in alcuni casi, la natura umana è irrimediabilmente corrotta dal peccato, senza la possibilità di essere risanata dalla grazia. In una simile posizione non c’è posto per la grazia infusa nel cuore dell’uomo, che ne fa una nuova creatura risanandone le ferite dall’interno ed elevandola all’ordine soprannaturale per la formale partecipazione alla vita divina. È in questo modo che si raggiunge lo “skopòs” dell’opera salvifica di Cristo!

            Inoltre, affermare nuovamente la validità della legge mosaica per la salvezza, anche se entrando come “minimo” nel regno dei cieli, è gravemente contrario alla rivelazione del Nuovo Testamento, e di conseguenza alla fede cristiana. Se la legge mosaica è tuttora via di salvezza, Cristo sarebbe morto invano.

            È molto grave, anche, cercare di imporre la validità dei precetti della legge antica ai cristiani. Più volte, mentre scrivevo queste righe, pensavo al grido di Paolo nella lettera ai Galati, contro coloro che cercavano di “giudaizzare” in questo senso i cristiani venuti dalla gentilità. Dopo aver detto: “Non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano” (Gal 2, 21), l’apostolo prosegue: “O stolti Galati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso! Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola della fede? Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne?” (Gal 3, 1-3).

            È chiaro che l’insegnamento del Signore è nuovo nel mondo ebraico, dove era consentito il divorzio e le seconde nozze a condizione di elargire un libello di ripudio. È in questo contesto che Gesù vieta la possibilità di divorziare e risposarsi con il suo precetto assoluto: l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto (Mc 10, 9; Mt 19, 6).

            La Chiesa primitiva, dunque, dovette affrontare questo problema sia per gli ebrei che abbracciavano la fede, sia per i pagani, che erano abituati alla validità legale della prassi del divorzio. Fin dall’inizio, però, la Chiesa è stata fedele al suo Signore. Il testo paolino di 1 Corinzi 7, 10-11 attesta come l’autorità del comandamento del Signore sia prevalsa di fronte a tutta la permissività del mondo antico, sia ebraico che pagano. Questa fermezza è dovuta alla fede nel comandamento che è stato dato dallo stesso Gesù: “L’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto”. Questa convinzione ha sostenuto lungo i secoli i costanti insegnamenti della Chiesa in questa materia.

            La missione di Gesù è tutta caratterizzata dalla misericordia verso i peccatori. È però una misericordia che spinge alla conversione e al cambiamento del cuore, come Egli stesso la definisce: “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (Lc 5, 32). Gesù non ha condannato la donna sorpresa in adulterio, ma nemmeno le ha detto “Va e fatti dare il libello di ripudio, così puoi continuare a vivere nello stesso modo”. Invece, chiaramente, le ha comandato: “Va e non peccare più” (Gv 8, 11).

            Gesù non comanda cose impossibili. Per il necessario cambiamento del cuore Egli ha portato con sé la legge nuova, la grazia dello Spirito Santo effusa nei cuori (cfr. Rm 5, 5). Con la sua grazia è possibile compiere tutti i suoi comandamenti, compreso il precetto di non unirsi “more uxorio” ad una persona che non è il proprio coniuge, anche se questo significa dover portare la croce ogni giorno (cfr. Lc 9, 23). Pensare che vivere la castità non è possibile per chi ha fallito nel proprio matrimonio significa non credere, di fatto, nella grazia interiore di Dio, che fa dell’uomo vecchio una nuova creatura (cfr. 2 Cor 5, 17; Gal 6, 15). Significa anche pensare che il Signore ci comanda di compiere ciò che è impossibile, annullando di fatto la grazia di Dio con la quale tutto è possibile, malgrado le nostre debolezze.

            Una chiave ermeneutica di lettura del pensiero di padre Gargano si trova nella sua lettera a Sandro Magister, quando egli distingue tra “verità oggettiva” e “verità soggettiva” nel campo morale-esistenziale. La distinzione è inaccettabile nel senso proposto dall’autore, e apre la porta a qualsiasi tipo di relativismo morale, dove la propria coscienza diventa la norma suprema dell’agire, anche quando non corrisponde con la verità oggettiva o con la legge di Dio. La verità per definizione è oggettiva. La realtà soggettiva può corrispondere alla verità o può non corrispondere. In questo ultimo caso non si tratta di “verità soggettiva”, ma di errore, ed è un’opera di misericordia correggere chi sbaglia. Amare il peccatore significa anche questo, secondo l’insegnamento del Signore (Mt 18, 15-17; cfr. Ef 6, 4; Eb 12, 5-11).

            Il Concilio Vaticano II, in “Dignitatis humanae”, ha indicato che l’uomo deve governarsi con la sua coscienza, ma ha anche insegnato che “tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa, e sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e a rimanerle fedeli”. E questo a motivo della dignità della persona umana, per cui gli uomini “sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze”. E più avanti: “Quanto sopra esposto appare con maggiore chiarezza qualora si consideri che norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con sapienza e amore ordina, dirige e governa l’universo e le vie della comunità umana. E Dio rende partecipe l’essere umano della sua legge, cosicché l’uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio conoscere l’immutabile verità. Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza”.

            Nella formazione della loro coscienza, i cristiani devono però considerare anche la dottrina della Chiesa, orientata alla salvezza di tutti secondo il proposito di Dio salvatore, “il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2, 4). È per volontà di Cristo che la Chiesa cattolica è maestra di verità. La sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana. Nell’insegnare tutta la verità contenuta nei Vangeli, dunque, la Chiesa non fa altro che obbedire al comandamento del Signore risorto: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20). In questo “tutto” è incluso l’insegnamento sul divorzio e le seconde nozze.

            La Chiesa, seguendo il modello e l’insegnamento del suo Signore, ha sempre insegnato che si devono trattare con squisita misericordia le persone che si trovano in situazioni irregolari riguardo il matrimonio. Una misericordia, però, che non tenga conto di tutti gli insegnamenti del Signore in questa materia sarebbe una falsa misericordia, perché privata, in parte o in tutto, della verità. Sarebbe, anzi, causa e fonte di molti mali, come insegna san Tommaso nel suo commento alle beatitudini del Discorso della Montagna: “La giustizia senza la misericordia è crudeltà; la misericordia senza la giustizia è madre di dissoluzione”.

            Solo la verità rende completamente libero l’uomo. Quella verità che è la persona di Gesù,Verbum abbreviatum” che compendia tutte le Scritture, antiche e nuove. Egli è la verità che si esprime in tutte le sue parole, senza tagli o sconti. Egli è la verità che è allo stesso tempo via alla vita, all’eterna salvezza, unica meta della nostra esistenza cristiana (Gv 14, 6). Così lo confessò San Pietro, primo papa, quando molti abbandonavano il Signore perché trovavano “dure” le sue parole: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv 6, 68).

Gonzalo Ruiz Freites

Sandro Magister        3 agosto 2015             http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351104

 

Matrimonio e divorzio. Occhio al teorema di Gödel.

            Ma anche padre Ruiz Freites ha sollevato a sua volta obiezioni. Come quelle riportate qui di seguito del prof. Antonio Emanuele. Insegna fisica all’università di Palermo. Si è formato nell’Azione cattolica e nella FUCI, ha frequentato le settimane teologiche e bibliche del monastero di Camaldoli, lo stesso di padre Gargano. Ma le riflessioni che qui ci espone risentono marcatamente anche della sua competenza fisico-matematica, a cominciare dal celebre teorema formulato nel 1931 da Kurt Gödel.

Gentile Magister,

avevo già pensato a scriverle sull’argomento del sinodo alla fine di questa estate, ma la notizia della imminente pubblicazione di un libro scritto dal biblista Gonzalo Ruiz Freites per confutare quanto espresso da padre Innocenzo Gargano mi ha convinto ad anticipare.                     estratto

Si tratta di due riflessioni molto diverse, la seconda più tecnica.

1. Durante il periodo pasquale ho ascoltato un brano degli Atti degli Apostoli (At 10, 25-48) che riporta la conclusione di una delle prime discussioni della Chiesa, quella sulla possibilità di battezzare non ebrei. Allora non c’erano i Vangeli, non c’erano teologi e cardinali, non c’era l’ermeneutica del Nuovo Testamento, non c’era la tradizione e… non c’erano neanche i blog. Però riesco a immaginare una discussione molto accesa tra gli apostoli, con chi assicurava di aver sentito dire da Gesù che per ricevere il battesimo bisognasse prima essere circoncisi.

            La mia sorpresa è stata la conclusione di Pietro: se riconosciamo che questi hanno ricevuto lo Spirito Santo come possiamo negare loro il battesimo? Non era una conclusione sulla base della esperienza con Gesù vissuta dagli apostoli. Era l’accettazione di una novità dello Spirito. E, credo per la prima volta, un movimento religioso sceglieva una prassi inclusiva (universale) piuttosto che esclusiva (tipica dei movimenti costruiti attorno a una identità).

            2. La seconda riflessione è stata rafforzata in me da una frase delle conclusioni del libro di Ruiz Freites, come (sopra) riportata:

            “La verità per definizione è oggettiva. La realtà soggettiva può corrispondere alla verità o può non corrispondere. In questo ultimo caso non si tratta di ‘verità soggettiva’, ma di errore, ed è un’opera di misericordia correggere chi sbaglia”.

            È grande l’errore logico che l’autore fa in questa frase. Mi sembra che egli affermi che tutto ciò che non corrisponde alla verità sia un errore. Ma è logicamente sbagliato affermare che è falso tutto ciò che non è dimostrato vero. In un ragionamento logicamente corretto è necessario dimostrare che una affermazione sia falsa, non basta dire che nelle affermazioni vere non c’è.

            Spero che si tratti solo di un incidente e che il libro non contenga altri esempi di questi errori metodologici. Purtroppo, la conclusione della frase è stata utilizzata nella storia per giustificare violenze e sofferenze inimmaginabili.

Dentro questo errore sta forse una convinzione diffusa anche fra i non credenti: che sia possibile costruire un sistema razionale il quale, a partire da un certo numero di principi, sia in grado di dedurre (dimostrare) tutto ciò che è vero e tutto ciò che è falso.

            Mi dispiace per padre Ruiz Fretes, ma i teoremi di Gödel e Tarski hanno dimostrato che questo sistema razionale non può essere costruito con la logica aristotelico-stoica, anche se usassimo una infinità numerabile di principi.

            Ciò non significa la non esistenza della verità. La verità esiste ma la sua esistenza non può essere completamente dimostrata con gli strumenti linguistici e logico-formali che usiamo correntemente per comunicare. A chi fosse interessato ricordo il tentativo dello stesso Gödel di dimostrare l’esistenza di Dio, e quelli successivi, tutti compiuti con enti e strumenti non convenzionali.

            Conseguenza di questi teoremi è l’impossibilità di un pensiero razionale fondamentalista. Conseguenza di ciò è che pur esistendo una sola verità non può esistere una sola teologia che la includa tutta. E non è colpa di nostre soggettive mancanze ma dello strumento (la logica) che usiamo.

            Per questo motivo gli aspetti pastorali di una questione, che spesso vengono considerati di minor peso o secondari agli aspetti dottrinali, dovrebbero essere tenuti in grande considerazione. Potrebbero aiutarci a conoscere e capire aspetti della verità non inclusi nella nostra teologia, o meglio, nelle nostre teologie.                                      Cordialmente,  Antonio Emanuele

Sandro Magister        10 agosto 2015                      

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/08/10/matrimonio-e-divorzio-occhio-al-teorema-di-godel

Gödel e san Bonaventura, tra matematica e teologia.

Inizialmente centrata su matrimonio e divorzio, la disputa accesa da padre Innocenzo Gargano con la sua esegesi del Vangelo di Matteo si è ormai estesa a questioni di fondo come il raggiungimento della verità e l’intelligenza della fede.

            Ecco qui di seguito la risposta del professor Antonio Emanuele, docente di fisica all’università di Palermo, all’intervento dell’11 agosto 20015 di Silvio Brachetta, studioso di teologia, pubblicato nel precedente post, e la controreplica dello stesso Brachetta.

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/08/11/ancora-su-matrimonio-e-divorzio-perche-la-chiesa-sa-separare-il-falso-dal-vero/

Gentile Magister,

ringrazio Silvio Brachetta per le sue osservazioni. Sono d’accordo con la maggior parte di esse perché esplicitano bene il piano diverso sul quale era costruito il mio intervento. Non ho, infatti, mai inteso fare teologia nel senso descritto da Brachetta e mi dispiace se sono stato interpretato in questa prospettiva.

Solo alcune note.

  1. I teoremi di Gödel e Tarski dimostrano (e mi perdonino i matematici che leggeranno) che la “adaequatio rei et intellectus” fatta con la logica aristotelica è sempre incompleta (e questo san Tommaso non lo poteva sapere). Se avessero dimostrato la completezza avremmo avuto, sfortunatamente, molte possibili forme di fondamentalismo razionalistico. Nulla hanno affermato circa l’esistenza o la possibilità di ottenere la “adaequatio” in altro modo, cosa che la Chiesa è in grado di fare con la divina rivelazione, come ha spiegato bene Brachetta.
  2. Questi due teoremi hanno smascherato l’illusione positivista di fine Ottocento ma – quando mal compresi scambiando la non esistenza della verità con la sua incompleta dimostrabilità e comunicabilità (limitatamente all’uso della logica aristotelica) – hanno provocato una varietà di reazioni di “disperazione intellettuale” in ambito filosofico ed etico. Di questo occorre tener conto e per questo ringrazio tanto Benedetto XVI per la sua opera di ascolto e di dialogo con la cultura occidentale continuata anche dopo la rinuncia.
  3. In matematica, con le dimostrazioni, si procede dal noto all’ignoto e non viceversa, assumendo come note e vere le ipotesi di partenza.

Cordialmente,                        Antonio Emanuele

 

Caro Magister,

ringrazio il professore Antonio Emanuele per la replica, che mi da l’opportunità di sviluppare brevemente il fecondissimo discorso che si è venuto a creare.

            Dice bene Emanuele: l’“adaequatio rei et intellectus” – dopo Gödel e Tarski – è incompleta, se il tutto avviene nella logica aristotelica. Ma – questo è il nocciolo della questione – l’“adaequatio rei et intellectus” non avviene mai solo per mezzo della logica aristotelica. L’intelletto umano, specialmente secondo san Bonaventura da Bagnoregio, non si ferma mai alla pura logica. L’intelletto, cioè, non è solo “ratio”, ma “mens”, ovvero un “supremum animae” capace di cogliere addirittura l’esperienza mistica “saporitiva”, per cui la scienza diviene “sapida scientia” (scienza saporosa, sapienza). Su questo ha insistito, in particolare, Teodorico Moretti-Costanzi ne “L’attualità della filosofia mistica di San Bonaventura”.

            L’intelletto, allora, restando proprio nel terreno di Gödel, ha una capacità – direi – gödeliana di cercare le proprie dimostrazioni al di fuori del sistema logico nel quale è, per natura, immersa.

            Ancora più chiaramente: come Gödel, in matematica, dovette uscire da un sistema logico coerente per dimostrare almeno una proposizione elaborata in quello stesso sistema logico (teoremi d’incompletezza), così anche l’intelletto umano può, vuole e deve uscire dalla natura per trovare le ragioni ultime che cerca nella soprannatura. E vi esce non solo grazie alla divina rivelazione, ma per una sua capacità trascendente intrinseca e peculiare, forse dovuta alla somiglianza dell’uomo con Dio.

            La teologia funziona – o dovrebbe funzionare – in maniera gödeliana: non può restare immersa nel naturale e nella logica aristotelica, ma si deve necessariamente trasferire nel soprannaturale, se vuole trovare l’autentica intelligibilità delle cose. San Bonaventura ritiene, secondo alcuni autori, che la mente giunge persino al punto di smettere di speculare, quando è alle soglie di un’intuizione sovrarazionale, alle soglie della verità.

Silvio Brachetta diplomato in Scienze religiose nel 2008 presso l’ISR al Seminario di Trieste.

           

Ma c’è anche chi non è soddisfatto di questa disputa che si è andata sviluppando su www.chiesa e Settimo Cielo.

            Ecco infatti che cosa ci scrive Giovanni Napolitano, sicuro che lo stesso Gesù l’avrebbe troncata avendo egli accolto tutti, anche Giuda, “alla sua mensa”.

Pregiato dr. Magister,

            Lei deve essere diabolicamente astuto. È riuscito a scatenare una dialettica inarrestabile tra i sostenitori di due tesi controverse, con la processione di simpatizzanti per l’uno o per l’altro schieramento.

            Questo intercalare perpetuo di argomentazioni e discettazioni più o meno coerenti e convincenti sembra riprodurre le polemiche sperimentate e osteggiate apertamente da Gesù durante la sua predicazione. Egli non si schierò né con gli scribi, né con i farisei. Non si attardò a riformare la prassi di vita o la “dottrina” del “popolo eletto” ma si preoccupò di annunciare il tempo della salvezza, rivoluzionando i rapporti dell’uomo con Dio e anticipando la promessa di Dio attraverso la testimonianza di un Figlio dell’uomo strappato alla morte ed elevato alla destra del trono celeste.

            Non rientrano in questa visione salvifica i tentativi ricorrenti di tanti pastori come papa Giovanni e papa Francesco per riportare una Chiesa anchilosata da riti e costumi “secolari” nella amorevolezza di una casa paterna governata dalla giustizia, dall’Amore e dalla misericordia?

            Se Cristo avesse voluto ripulire e governare il “mondo civile” si sarebbe recato di persona alle corti dei potenti, alle accademie dei saggi, nell’areopago ateniese, negli stadi affollati per dettare le nuove leggi del vivere civile, le migliori regole dell’economia, i più illuminati principi di politica, i più avanzati fondamenti delle scienze.

            In questa fase della storia quando la famiglia umana rischia di compromettere definitivamente la permanenza nella casa comune affidatale dal Creatore la Chiesa avrebbe ben altro da fare che impegnare l’alto clero e i più esimi luminari di teologia per stabilire chi, quando e come si può avvicinare alla mensa del Signore.

            Egli stesso non disdegnò la presenza di Giuda all’ultima cena e non ricusò mai  di fare avvicinare alla sua persona ciechi, lebbrosi, storpi e indemoniati. La Chiesa si guardi bene di non allontanare da Cristo tutti quelli che Dio vuol chiamare alla sua mensa. Nessuno di noi è degno, ma basta una sua parola per essere purificati.

Distinti saluti,  Giovanni Napolitano

Sandro Magister        12 agosto 2015                       http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it

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