NEWS UCIPEM n. 558 – 9 agosto 2015

NEWS UCIPEM n. 558 – 9 agosto 2015

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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Supplemento on line direttore responsabile Maria Chiara Duranti.

direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le “news” gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Le news sono così strutturate:

  • notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
  • link a siti internet per documentazione.

Le notizie, anche con il contenuto non condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.

La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

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Per i numeri precedenti dal n. 527 al n. 552 andare su

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ADOZIONE INTERNAZIONALE  Tornare all’operatività del 2011.

ASSEGNO DI MANTENIMENTO  Il genitore ha l’obbligo di mantenere il figlio, anche se 35nne.

                                   Revoca dell’assegnazione della casa e importo dell’assegno.

Anche se manca l’accordo le spese straordinarie da rimborsare.

CHIESA CATTOLICA                    Né legalismo né scelte arbitrarie. La norma si accordi con l’esperienza.

CONSULTORI FAMILIARI                       Convegno nazionale promosso dall’UCIPEM e dalla CFC.

DALLA NAVATA                            19° domenica del tempo ordinario – anno B – 9 agosto 2015.

FRANCESCO Vescovo di ROMA    Divorziati risposati non sono scomunicati, parte della Chiesa.

IDENTITÀ DI GENERE                  Identità di genere: chirurgia vs autodeterminazione.

PARLAMENTO Senato C. Giustizia. Disciplina delle unioni civili.

SINODO SULLA FAMIGLIA          La domanda chiave: Gesù ammette o no il divorzio?

Ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti? Kasper

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Tornare all’operatività del 2011 all’insegna del coordinamento tra i vari soggetti.  

Rimettere in moto la macchina che si è fermata nel 2011. Solo così si potrà salvare l’adozione internazionale dall’inarrestabile declino a cui oggi pare destinata. Parola di Pietro Ardizzi, portavoce del coordinamento di enti autorizzati “Oltre l’Adozione”. Ci sarà anche il suo intervento tra quelli previsti nel corso del convegno “Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza”, in programma a Gabicce Mare, in provincia di Pesaro e Urbino, il 26 e 27 agosto 2015.

L’incontro, promosso e organizzato da Amici dei Bambini, sarà la giusta occasione per mettere a confronto i punti di vista dei vari attori del sistema: dalle istituzioni ai servizi sociali, dagli enti alle famiglie, rappresentante dalle loro associazioni. “Il convegno di Gabicce sarà un momento costruttivo a cui è necessario partecipare – auspica Ardizzi – e poi rendere concreto ciò che vi si proporrà. Non come in passato quando il potenziale apporto positivo di altre occasioni di incontro si è poi rapidamente perso”.

            Secondo il portavoce di “Oltre l’Adozione”, ciò che è mancato negli ultimi anni è stata proprio la coordinazione tra i vari soggetti del sistema. “Fino al 2011 la macchina dell’adozione internazionale italiana funzionava – spiega Ardizzi –. Poi tutto si è bloccato. E gli effetti si sono visti nella quantità e nella qualità delle adozioni: il numero di minori stranieri accolti è crollato e le famiglie incontrano sempre più difficoltà”.

            Bambini e famiglie: i veri protagonisti del mondo dell’adozione. Gli altri attori – Commissione adozioni internazionali, Enti, Tribunali per i Minorenni, Servizi sociali – “li stabilisce la legge”. Tutti loro sono chiamati a un lavoro difficile, ma “se non fanno rete – avverte Ardizzi – a perderci di più sono proprio i minori e le coppie”. La sensazione, oggi, è che “ci si stia avvicinando al momento in cui il sistema si bloccherà definitivamente”.

            Per evitare che questo accada, e quindi per permettere all’adozione internazionale di uscire dalla peggiore crisi della sua storia, “serve ritornare all’operatività del 2011”. E la parola d’ordine deve essere “collaborazione”. “Se tutti o quasi gli enti denunciano problemi comuni ricorda Ardizzi –, dalla scarsità di risorse ai protocolli che non funzionano, è necessario che essi si coordinino. Solo così potranno superare le falle del sistema. Le forme di coordinamento sono sempre positive: chi fa da solo crede di poter bastare a sé stesso, ma non può andare lontano”.

            Ma il punto nevralgico è la componente istituzionale. “Dal 2011 tutto si è fermato – evidenzia il portavoce di “Oltre l’Adozione” -, dalla CAI ai tavoli di lavoro. E si sono succeduti 4 governi che non hanno dato risposte concrete alla crisi”. “In mancanza di un sistema governato – avverte Ardizzi – famiglie, enti, tribunali e servizi possono fare poco”.

            Insomma è necessario che ognuno torni a fare la propria parte. “Il sistema non è da buttare – conclude Ardizzi -, ma va riavviato basandosi sulla collaborazione tra i vari soggetti”. Il convegno di Gabicce potrebbe essere un importante passo in questa direzione.

                        Ai. Bi.  7 agosto 2015                                    www.aibi.it/ita/category/archivio-news

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Il genitore ha l’obbligo di mantenere il figlio, anche se ha 35 anni ed è ancora all’Università.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile – ordinanza, n. 16296, 3 agosto 2015

            In un procedimento, relativo all’affidamento di figli di genitori non coniugati, il Tribunale per i Minorenni di Bari disponeva l’affidamento condiviso di una minore, con collocamento presso la madre, e poneva a carico del padre contributo di mantenimento della figlia, per l’importo di €. 450,00 mensili. La Corte di Appello di Bari con decreto in data 18/10/2012 confermava il provvedimento, impugnato dal padre in punto assegno.

Per giurisprudenza consolidata, il provvedimento della Corte di Appello, relativo all’affidamento e al mantenimento di figli di genitori non coniugati, è suscettibile di ricorso per cassazione, tanto più dopo la recente riforma della disciplina della filiazione ( L. 219/12 e D. Lgs. 154/13).

In sostanza il ricorrente propone profili e situazioni di fatto, insuscettibili di controllo in questa sede, a fronte di una motivazione adeguata e non illogica del provvedimento impugnato. Correttamente il giudice a quo precisa che il genitore ha l’obbligo di procurarsi i mezzi di mantenimento dei figli, e gli studi universitari (all’età di 35 anni) non possono costituire alibi per sottrarsi a tale obbligo.

La Corte di merito procede – come sicuramente è possibile fare anche in materia familiare – per presunzioni. L’odierno ricorrente è proprietario di un immobile e può usufruire di sensibili aiuti da parte dei familiari dotati di buona posizione economica (del resto non va dimenticato che gli ascendenti sono tenuti, ai sensi degli artt. 148 e – oggi – 316 bis c.c. a fornire provvista al genitore che non abbia redditi sufficienti, per il mantenimento dei nipoti). Il ricorrente potrebbe dunque provvedere, alienando beni o utilizzando gli aiuti dei parenti. (estratto)

Studio Legale Sugamele        5 agosto 2015 www.divorzista.org/sentenza.php?id=10476

            Rapporti tra revoca dell’assegnazione della casa coniugale e importo dell’assegno

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile – ordinanza, n. 16272, 21 luglio 2015

In un procedimento di separazione personale il giudice di appello, in riforma della sentenza di primo grado, dispone un aumento dell’assegno di mantenimento in favore dell’ex moglie, alla quale è stata revocata l’assegnazione della casa coniugale, pari a € 800,00.

            La moglie ricorre in Cassazione, ritenendo tale importo non sufficiente. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, evidenziando che:

  • E’ principio consolidato che anche in sede di separazione l’assegno per il coniuge deve tendere al mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio;
  • Un indice del tenore di vita può essere dato dalla disparità di posizioni economiche tra i coniugi; nel caso di specie la posizione del marito, ex diplomatico, è indubbiamente più vantaggiosa, essendo titolare di pensione e godendo di redditi derivanti da locazioni immobiliari;
  • La casa coniugale, in mancanza di figli minori o di maggiorenni non autosufficienti, non può essere assegnata al coniuge, sia pure economicamente più “debole” e privo di abitazione: in questo caso, però, il giudice, nel quantificare l’assegno di mantenimento, può tener conto dello svantaggio economico conseguente al mancato godimento della casa coniugale.
  • Va sottolineato però che l’ammontare dell’assegno di mantenimento non deve essere sempre e comunque direttamente proporzionale al canone di mercato dell’immobile che il coniuge deve lasciare; esso, infatti, può essere quantificato in relazione ad una diversa sistemazione, in un’abitazione anche eventualmente più modesta, purché decorosa.
  • Alla luce di quanto sopra, per gli Ermellini il giudice di appello ha correttamente applicato tali principi e parametri (compresa la revoca dell’assegnazione della casa coniugale alla moglie), avendo elevato l’importo dell’assegno, rispetto al giudice di primo grado, sia pure in misura inferiore a quella richiesta dall’appellante.

Studio Andreani         4 agosto 2015

http://news.avvocatoandreani.it/articoli/separazione-rapporti-tra-revoca-della-assegnazione-della-casa-coniugale-importo-dell-assegno-102840.html

testo dell’ordinanza

news.avvocatoandreani.it/doc/corte-di-cassazione-sez-vi-civile-ordinanza-15272-del-21-luglio-2015-102839.html

                  Anche se manca l’accordo le spese straordinarie vanno rimborsate.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile – ordinanza, n. 16175, 30 luglio 2015

E’ quanto sancito con una sentenza recentissima dai giudici della Cassazione ovvero che un genitore è tenuto al rimborso delle spese straordinarie anticipate dall’altro genitore e sostenute in favore dei figli.

Con tale sentenza gli ermellini sono entrati in questa annosa questione, stabilendo che le spese straordinarie, intese come importi pagati per motivi urgenti ed indifferibili, non devono essere preventivamente concordate tra i due ex coniugi, allorquando si tratti di una decisione “di maggior interesse” per il figlio, che fa scaturire a carico del genitore non collocatario, un obbligo di rimborso, qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso.

Non è dunque l’accordo preventivo dei genitori a risultare vincolante, ma l’effettiva rispondenza delle spese rispetto all’interesse del minore, nonché che le stesse siano sostenibili in base alle condizioni economiche dei genitori.

            avv. Claudio Sansò       Coordinatore Nazionale AMI        3 agosto 2015

www.ami-avvocati.it/anche-se-manca-laccordo-le-spese-straordinarie-vanno-rimborsate

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CHIESA CATTOLICA

Né legalismo né scelte arbitrarie per la vita buona della sessualità La norma si accordi con l’esperienza.

Intervista a Maurizio Chiodi (1955)

docente di Teologia morale fondamentale dal 1986 presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Bergamo, docente di Teologia morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, alla sede di Milano, dal 1995, dove tiene corsi di specializzazione e insegna Bioetica nel ciclo istituzionale del corso teologico.

            Anche nella morale sessuale la via buona sta nel mezzo, tra legalismo e arbitrio. Compito della coscienza è trovare questo punto d’equilibrio, che ogni coppia deve cercare, armonizzando la norma con il proprio vissuto personale ed ecclesiale. Così don Maurizio Chiodi, teologo moralista, torna a ribadire la sua fiducia nel primato della libertà illuminata dalla coscienza.

Procreazione responsabile e contraccezione artificiale. Perché a suo parere le due scelte non sono in contrasto?

Le scelte possono non essere in contrasto nella misura in cui ambedue diventano una forma concreta per generare in modo responsabile, in “risposta” a Dio. Generare un figlio è un atto in cui si riceve un dono e questo scaturisce dalla relazione di donazione sponsale, sacramentale, che i due coniugi vivono l’uno “con” e “per” l’altro. Questo è irrinunciabile: mantenere l’indissociabile nesso tra sponsalità coniugale e generazione, come l’Humanae vitae ha saggiamente indicato.

Lei sostiene che la norma morale sulla procreazione responsabile non può coincidere con l’osservanza biologica dei metodi naturali. Dov’è il problema?

Il senso del metodo, l’esperienza della buona relazione coniugale, incluso il vissuto del proprio corpo, che è irriducibile ad un oggetto manipolabile, è più del metodo stesso. Perciò la sua osservanza “materiale” non garantisce a priori un’intenzionalità (pratica) buona. In tal senso, paradossalmente, ci può essere un modo egoista di praticare i metodi naturali, così come, ad esempio, ci può essere un modo egoista per fare l’elemosina. Viceversa, ci possono essere situazioni coniugali in cui tale metodo, per molti motivi, non è accessibile o praticabile o possibile e dunque una scelta differente non è a priori da giudicare incompatibile con il nesso tra alleanza sponsale e generazione responsabile. Questo non svaluta l’esperienza legata al metodo, ma è quella che diventa “regolativa” del metodo e non viceversa.

Ma in questo modo non si perde la coerenza con l’insegnamento dei Papi, dall’Humanae vitae di Paolo VI, alla Familiaris consortio di Giovanni Paolo II?

La teologia ha un rapporto ineludibile con il magistero dei pastori, il collegio episcopale con il Papa, che ne è il capo ( cum Petro e sub Petro), e il magistero ha un rapporto costitutivo con la Chiesa, che è popolo di Dio e corpo di Cristo. Il magistero non è né sopra né fuori la Chiesa, ma dentro di essa e ha il compito di giudicare, anche in modo definitivo, l’eventuale incompatibilità di una posizione teologica con la verità della Rivelazione. All’interno della Chiesa, quindi senza prescindere dal magistero dei pastori, il servizio e il compito della teologia (morale) è di pensare le scelte concrete della pratica della fede. La teologia pensa e propone. È compito del magistero discernere, non necessariamente in modo definitivo, ma non perciò non autorevole. Questo è quanto è accaduto con l’Humanae vitae. Da questa enciclica sono scaturite pratiche pastorali virtuose, che vanno apprezzate. Ma va anche riconosciuto che tra la norma da essa ribadita e la pratica di moltissimi credenti c’è un abisso e il silenzio più o meno imbarazzato di molti pastori ne è segno eloquente. Queste difficoltà non possono non sollecitare la teologia morale. Non si tratta di adattarsi alle novità di moda, ma di raccogliere la sfida della prassi dei credenti, per discernerla alla luce della Rivelazione.

Superare, come lei sostiene, l’identificazione tra norma morale ed esecuzione del precetto, non rischia di ingenerare disorientamento?

La norma morale non è fine a se stessa, si riferisce ad altro e in tal senso è sempre simbolica. Essa si riferisce al bene, che ci è donato ed è compiuto in Gesù, e chiede di essere interpretata dalla coscienza che non si limita ad applicarla. Ci sono due estremi da evitare: da una parte il legalismo, dall’altra l’arbitrio insindacabile. Occorre cercare la via buona, che sta “nel mezzo”, non però nel cattivo compromesso. L’espressione “primato della coscienza” non va ridotta ad uno slogan. Non implica la fine della norma, ma la necessità di riferirla all’esperienza e alla pratica della coscienza stessa. È troppo poco identificare la norma con l’oggettività e la coscienza con la soggettività.

Tra i comportamenti che «custodiscono un modo buono di vivere l’esperienza della generazione», lei elenca metodi naturali, contraccezione, ma anche procreazione assistita. Come giustifica questa affermazione che tante persone non potranno che considerare sconvolgente?

Intendo dire che le norme morali custodiscono l’esperienza della vita buona, anche del credente. Questo non può non riguardare anche la morale sessuale e questa trova senza dubbio nel matrimonio tra uomo e donna, la sua figura fondamentale. Ogni situazione, nella sua specificità, chiede di essere compresa a partire da questa relazione, distinguendo e discernendo anche nelle “zone d’ombra”, dove la scelta non è tra bene e male, tra bianco e nero, ma in situazioni oscure o conflittuali.

            Luciano Moia                        Avvenire         agosto 2015

www.finesettimana.org/pmwiki/index.php?n=Stampa.HomePage

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CONSULTORI FAMILIARI

Una storia ricca e una sfida che si rinnova.

Si terrà a Roma nei giorni 2 e 3 ottobre 2015 il convegno nazionale promosso dall’UCIPEM e dalla C.F.C. dal titolo  “I Consultori Familiari: una storia ricca e una sfida che si rinnova. Bilanci e prospettive a 40 anni dalla legge 405/1975” che e si concluderà, invitati da Papa Francesco, con la veglia di preghiera in piazza S. Pietro.

Università Cattolica Sacro Cuore – centro congressi Europa Sala Italia – largo Francesco Vito. Roma

            I cambiamenti che coinvolgono le famiglie nella nostra società in rapida trasformazione hanno prodotto nuovi bisogni che chiedono ai consultori familiari risposte sempre più pertinenti. Alla famiglia è chiesto di prendersi cura dei legami che costituiscono la fitta trama che sostiene la persona nel suo processo di crescita e che incrementano la qualità della vita di una comunità. In altre parole potremmo dire che alla famiglia è affidato il compito di promuovere quello che sempre più spesso è definito capitale sociale.

Già la legge n. 405 del 29 luglio 1975, istitutiva del consultorio familiare, si proponeva di fornire un aiuto concreto alle famiglie attraverso risposte integrate ai bisogni presentati come frammentari e parziali, superando la settorializzazione e la iperspecializzazione. Essa si prefiggeva di rispondere ai bisogni dell’individuo nella sua totalità, ricomponendo le singole parti in un’unità psico-fisica, aiutando la persona a gestire il proprio mondo relazionale. Nell’intento del legislatore il consultorio avrebbe dovuto realizzare tre importanti obiettivi: la prevenzione, l’integrazione socio-sanitaria, la partecipazione. Nella realizzazione concreta, tuttavia, il consultorio è diventato, in molti casi, qualcosa di diverso. L’orientamento rilevato come prevalente è risultato di fatto quello della risposta ambulatoriale.

Il consultorio familiare è stato spesso ridotto ad un servizio materno-infantile con un’organizzazione poliambulatoriale, in cui il sistema familiare della persona e il lavoro d’équipe dei consulenti familiari e degli specialisti non sono stati sufficientemente valorizzati.

Sin dal loro sorgere l’UCIPEM (Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali) e la CFC (Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana), si sono contraddistinti per aver messo in luce gli aspetti educativi e psico-sociali dell’attività consultoriale, mettendo al centro dell’intervento la persona, la coppia e la famiglia con le rispettive dinamiche relazionali. Inoltre è sempre stata presente la consapevolezza della rilevanza di uno sguardo multidisciplinare per un approccio integrale alla persona e ai suoi bisogni e la necessità di incrementare il ruolo preventivo e promozionale del consultorio per lo sviluppo di un’autentica cultura a favore della famiglia.

Oggi l’emergere di nuove fragilità e di nuovi bisogni da parte delle persone, delle coppie e delle famiglie richiede un ampliamento dell’offerta attiva del consultorio, con azioni di sostegno alle relazioni di coppia e di supporto alle funzioni educative genitoriali nelle diverse fasi del ciclo di vita. Si tratta di assumere una logica sussidiaria e di empowerment che, lungi dal declinare i propri interventi in termini sostitutivi, faciliti lo sviluppo delle risorse della famiglia, identificando nuovi spazi per l’attività consultoriale. Ciò richiede lungimiranza, capacità di cogliere i cambiamenti già sul nascere.

Richiede studio e approfondimento comune. Solo così si possono ideare modalità operative professionalmente qualificate in grado di fornire risposte adeguate alle domande delle famiglie e alle sfide educative di oggi.

Il Presidente della C.F.C.                  prof. Domenico Simeone

Il Presidente dell’U.C.I.P.E.M.         dr Francesco Lanatàa’

                                  

2 ottobre 2015 ore 09,30

  • prof. Domenico Simeone – dr Francesco Lanatà Introduzione al Convegno

L’esperienza dell’UCIPEM e della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana

  • on. Beatrice Lorenzin, Ministra della salute (in attesa di conferma)
  • prof. Giovanna Rossi UCSC Milano

Il ruolo dei consultori familiari di ispirazione cristiana nel sistema dei servizi socio-sanitari

  • prof. Mario Mozzanica UCSC Milano

Evoluzione dei sistemi di welfare e nuove sfide per i consultori familiari

2 ottobre 2015 ore 15,00

  • prof. Andrea Bettettini UCSC Milano

Profili giuridici dei consultori familiari. Il rapporto tra legislazione nazionale e legislazione regionale

  • prof. Livia Cadei UCSC Milano

La funzione pedagogico-educativa dei consultori familiari. Bilancio e prospettive

  • prof. Vittorio Cigoli emerito UCSC Milano

Quale psicologia clinica per il consultorio familiare

  • Discussione in aula

Celebrazione Eucaristica presieduta da mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale UCSC.

3 ottobre 2015 ore 09,30

  • mons. Pietro Maria Fragnelli presidente Commissione CEI per la famiglia, i giovani e la vita

I consultori familiari di ispirazione cristiana nella missione della Chiesa in Italia

  • dr Paola Cavatorta direttore consultorio familiare UCSC Roma

Nuove domande e nuove sfide per il consultorio familiare oggi

  • dr Maria Grazia Antonioli direttore consultorio familiare UCIPEM Cremona

La funzione preventiva ed educativa della salute nei consultori familiari

  • dr Gabrio Zacché presidente consultorio familiare UCIPEM Mantova

L’attività sanitaria nei consultori familiari

  • dr Rita Roberto presidente AICCeF

La consulenza coniugale e familiare: l’esperienza italiana

  • p. Alfredo Feretti, direttore consultorio familiare UCIPEM Roma 1 “la famiglia”

Le prospettive dei consultori familiari alla vigilia del Sinodo sulla famiglia

  • don Edoardo Algeri psicologo, consulente ecclesiastico della CFC

Conclusioni del Convegno

Ospitalità in convenzione; Centro don Orione – via della Camilluccia 120 – Roma

Per informazioni ed iscrizioni  contattare       cfcroma@libero.it                             www.cfc-italia.it/

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DALLA NAVATA

                                    19° domenica del tempo ordinario – anno B – 9 agosto 2015.

1 Re                            19, 09  «Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb (Sinai)

Salmo             34,03   «Io mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino e si rallegrino.»

Efesini                        04,30   «Non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione.»

Giovanni        06, 41  «I Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto “Io sono il pane disceso dal cielo”.»

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Divorziati risposati non sono scomunicati, fanno sempre parte della Chiesa.

Le persone battezzate, che hanno stabilito una nuova unione dopo il fallimento del matrimonio sacramentale, non sono scomunicate – come alcuni pensano – ma fanno sempre parte della Chiesa. Lo ha ricordato Papa Francesco che, per la ripresa in Aula Paolo VI delle udienze generali dopo la pausa di luglio, ha scelto di continuare la riflessione sulle famiglie ferite.

            Nessuna scomunica per nuove unioni dopo fallimento matrimonio sacramentale. Nelle nostre comunità è urgente sviluppare “un’accoglienza reale” verso le persone che, in seguito “all’irreversibile fallimento” del loro legame matrimoniale, hanno intrapreso una “nuova unione”. Papa Francesco torna sul tema delle famiglie ferite e parla di un’attenzione particolare verso coloro che sono stati feriti “nel loro amore”: “E’ necessaria una fraterna e attenta accoglienza, nell’amore e nella verità, verso i battezzati che hanno stabilito una nuova convivenza dopo il fallimento del matrimonio sacramentale; in effetti, queste persone non sono affatto scomunicate – non sono scomunicate! – e non vanno assolutamente trattate come tali: esse fanno sempre parte della Chiesa”.

            Attenzione ai figli, ai più piccoli. Il Papa lo ripete anche in spagnolo, ribadendo che non si tratta di scomunicati, “come alcuni pensano”, e invita a guardare “questi nuovi legami” con gli occhi dei figli piccoli, dei bambini:       “Per questo è importante che lo stile della comunità, il suo linguaggio, i suoi atteggiamenti, siano sempre attenti alle persone, a partire dai piccoli. Loro sono quelli che soffrono di più, in queste situazioni”.

            Chiesa madre, disposta ad ascolto e accoglienza. D’altra parte, si domanda il Pontefice, come raccomandare ai genitori di “educare i figli alla vita cristiana, dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata”, se poi li tenessimo a distanza dalla vita della comunità, “come se fossero scomunicati”?: “Si deve fare in modo di non aggiungere altri pesi oltre a quelli che i figli, in queste situazioni, già si trovano a dover portare! Purtroppo, il numero di questi bambini e ragazzi è davvero grande. E’ importante che essi sentano la Chiesa come madre attenta a tutti, sempre disposta all’ascolto e all’incontro”.

            Chiesa né insensibile, né pigra. È sul ruolo della Chiesa che il Papa fa poi un breve excursus, citando sia san Giovanni Paolo II che individuava un “dovere”, invitando a compiere un “discernimento”, a notare la differenza “tra chi ha subito la separazione rispetto a chi l’ha provocata”, sia Benedetto XVI, che ha auspicato un “sapiente accompagnamento pastorale”. La Chiesa, sottolinea Francesco, in questi decenni “non è stata né insensibile né pigra”, sapendo bene che queste realtà contraddicono “il Sacramento cristiano”, ma in essa “è molto cresciuta la consapevolezza” dell’accoglienza, perché il suo sguardo “di maestra attinge sempre da un cuore di madre”, cercando “il bene e la salvezza delle persone”: “Di qui il ripetuto invito dei Pastori a manifestare apertamente e coerentemente la disponibilità della comunità ad accoglierli e a incoraggiarli, perché vivano e sviluppino sempre più la loro appartenenza a Cristo e alla Chiesa con la preghiera, con l’ascolto della Parola di Dio, con la frequenza alla liturgia, con l’educazione cristiana dei figli, con la carità e il servizio ai poveri, con l’impegno per la giustizia e la pace”.

            Chiesa è madre accogliente: niente porte chiuse! L’esortazione del Papa – partendo dall’Evangelii gaudium – è quella di ispirarsi all’icona biblica del Buon Pastore, secondo la missione che Gesù ha ricevuto dal Padre: “quella di dare la vita per le pecore”: “Tale atteggiamento è un modello anche per la Chiesa, che accoglie i suoi figli come una madre che dona la sua vita per loro. ‘La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre’. Niente porte chiuse! Niente porte chiuse! ‘Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità. La Chiesa è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa’”.

            Prendersi cura delle famiglie ferite. La missione affidata alle famiglie cristiane è allora quella di prendersi cura delle famiglie ferite, “accompagnandole nella vita di fede della comunità”: “Ciascuno faccia la sua parte nell’assumere l’atteggiamento del Buon Pastore, il quale conosce ognuna delle sue pecore e nessuna esclude dal suo infinito amore”.

Giada Aquilino, bollettino radiogiornale     5 agosto 2015              http://it.radiovaticana.va/radiogiornale

Testo ufficiale             http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150805_udienza-generale.html

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IDENTITÀ DI GENERE

Identità di genere: chirurgia vs autodeterminazione.

Svincolando la variazione anagrafica di sesso dall’intervento chirurgico, la sentenza depositata il 20 luglio 2015 presso il Tribunale di Piacenza fa valere il principio di autodeterminazione in merito all’identità di genere. È questa un’interpretazione della norma di riferimento (Legge 164/1982) minoritaria rispetto all’indirizzo prevalso finora in Italia (secondo cui l’intervento sarebbe necessario). Per cercare di capire i risvolti sociali e culturali della diversa interpretazione, abbiamo posto tre domande alla sociologa Chiara Saraceno, che si è a lungo occupata di identità di genere e dei correlati mutamenti, in seno alla famiglia e alla società.

newsletter Federazione Ordine dei Medici              05 agosto 2015

Dott.ssa Saraceno, la sentenza si accorda a una recente risoluzione del Consiglio d’Europa che, pur non avendo effetti vincolanti, raccomanda agli Stati membri di favorire il principio di autodeterminazione in rapporto all’identità di genere. Se lo aspettava?

            Non sono una giurista e non conosco né la norma di riferimento né le diverse interpretazioni che ne sono state date a livello giurisprudenziale. Constato solo che la giurisprudenza italiana sembra seguire sempre più quella europea (di entrambe le Corti), forse anche a seguito di passaggi generazionali, con giudici più giovani e meno esclusivamente centrati sul dibattito e la cultura giurisprudenziale interna/nazionale. Anche se proprio il venir meno di una cultura giuridica largamente omogenea può aprire a sentenze contraddittorie l’una rispetto all’altra.

            In ambito medico la disforia di genere rientra nel DSM-5 ma ha un profilo diagnostico complesso su cui il dibattito è aperto e sembra attualmente orientato verso la depatologizzazione – posizione che la sentenza asseconda. Ci aiuta a inquadrare il senso della sentenza dal punto di vista culturale e sociologico?

            Per quanto ne capisco da non giurista, la sentenza condivide la prospettiva di chi sostiene che l’identità di genere, cioè il sentirsi uomini piuttosto che donne, non coincide necessariamente con l’avere un corpo conformato in un modo piuttosto che in un altro per quanto attiene agli organi sessuali primari e secondari. Perciò non richiede di adattare, anche in modo cruento e radicale, il corpo a quella identità. Questa posizione nasce da un lungo dibattito sul rapporto tra sesso, genere, e identità di genere, ove con il primo si intende il corpo sessuato, con il secondo i ruoli e le aspettative sociali (quindi storicamente determinate e spesso asimmetriche, oltre che diverse da un’epoca e da una società all’altra) attribuite a chi è al mondo con corpo sessuato maschile o femminile, e con il terzo il modo in cui ci si identifica, o ci si sente. Quanto più rigidi sono i ruoli di genere, tanto più ci si aspetta una sovrapposizione tra tutte e tre le dimensioni. Personalmente ho sempre trovato crudeli nei confronti delle persone transessuali sia le richieste di trasformazioni radicali del corpo, sia i test psicologici e i periodi di prova in cui si verifica se si comportano davvero “da uomini” piuttosto che “da donne” stereotipiche. Come se ci fosse un modo univoco di essere “uomo” o “donna”. È una visione stereotipica cui spesso le persone transessuali, soprattutto nella fase di passaggio, reagiscono con forme che definirei di iperrealismo. Sono state, per altro, proprio le persone transessuali negli ultimi anni, a livello teorico e pratico, a mettere in discussione la validità e necessità di quella sovrapposizione. Ci si potrebbe chiedere se, in un mondo in cui i ruoli di genere fossero fluidi, le persone che sperimentano una disforia di genere sentirebbero con altrettanta urgenza la necessità di un cambio di stato civile dal punto di vista dell’appartenenza di sesso. Ma al momento è una domanda del tutto astratta.

            In un paese come l’Italia che, in tema di famiglia e identità di genere, ha sempre mostrato resistenze marcate al cambiamento, crede che la giurisprudenza, con sentenze come questa, possa aprire la strada ad adeguamenti normativi?

            Tutti i cambiamenti normativi in Italia (e forse non solo in Italia) in tema di famiglia e di sessualità (si pensi alla contraccezione) sono stati preceduti non solo, come è ovvio, da mutamenti culturali che hanno anche dato luogo a gruppi di pressione e movimenti, ma da mutamenti giurisprudenziali, a loro volta sollecitati da quei mutamenti. La riforma del diritto di famiglia del 1975 fu preceduta da una lunga serie di sentenze innovative che avevano progressivamente smantellato il codice della famiglia di stampo fascista, specie per quanto riguardava l’asimmetria tra marito e moglie. Lo stesso sta avvenendo per il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso. Ed è già avvenuto per quanto riguarda il ricorso alle tecniche di riproduzione assistita. Dove sentenze italiane ed europee hanno progressivamente smantellato la legge 40. Aiuta anche il quadro internazionale in cui volenti o nolenti siamo inseriti, anche a livello normativo. Ciò detto, anche la giurisprudenza non procede sempre in modo lineare, al contrario. In una democrazia, occorre che ad un certo punto intervenga una norma che valga erga omnes, sottraendo il rispetto dei diritti individuali alla discrezionalità delle interpretazioni giurisprudenziali (e alle risorse economiche e conoscitive necessarie per adire in giudizio).

www.fnomceo.it/fnomceo/showArticolo.2puntOT?id=135329

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PARLAMENTO

Senato 2° comm. Giustizia.  Disciplina delle unioni civili

S 14, 197, 239, 314, 909, 1211, 1231, 1316, 1360, 1745, 1763 e petizione n. 665

Disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili  

in sede referente

4 agosto 2015. Prosegue l’esame congiunto sospeso nella seduta del 31 luglio.                   estratti             passim

Il presidente Palma, (…) ricorda che, al testo unificato predisposto per i disegni di legge in titolo e adottato come testo base, sono stati presentati circa 3.600 emendamenti, di questi circa 800 sono stati ritirati, mentre dei rimanenti 2.800 la Presidenza ha dichiarato l’improponibilità o l’inammissibilità di 1461 emendamenti. Successivamente, a seguito della presentazione di alcuni nuovi emendamenti della relatrice, sono stati presentati 279 subemendamenti e di questi 110 sono stati dichiarati improponibili o inammissibili. In sintesi, oltre il 50% degli emendamenti e dei subemendamenti presentati sono stati dichiarati improponibili o inammissibili. Non rammenta in tutta la sua esperienza parlamentare un solo caso in cui un Presidente di maggioranza, a fronte dell’ostruzionismo di Gruppi di opposizione, abbia dichiarato l’improponibilità o l’inammissibilità di emendamenti presentati in una percentuale paragonabile a quella cui ha appena fatto riferimento e dovrebbe essere superfluo ricordare che egli, personalmente, non appartiene a un Gruppo parlamentare di maggioranza.

            Si formulano dichiarazioni di voto sugli emendamenti e si votano subemendamenti.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=937860

5 agosto 2015. Prosegue l’esame congiunto sospeso nella seduta del 4 agosto 2015.          

            Si formulano dichiarazioni di voto sugli emendamenti.

Il presidente Palma preannuncia l’intenzione di convocare la Commissione alla ripresa dei lavori, dopo la pausa estiva, fin dalla prima settimana di settembre, in particolare prevedendo una seduta per l’intera giornata di mercoledì 2 settembre.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=937933

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SINODO DEI VESCOVI SULLA FAMIGLIA

La domanda chiave: Gesù ammette o no il divorzio?

            Innocenzo Gargano, illustre esegeta, spiega che sì, e il cardinale Kasper concorda con lui. Ma il Nuovo Testamento e la tradizione della Chiesa dicono l’opposto, obiettano i critici.

L’esegesi delle parole di Gesù su matrimonio e divorzio, fatta dal monaco camaldolese Guido Innocenzo Gargano, biblista e patrologo di fama, docente alle pontificie università Gregoriana e Urbaniana, è sempre più al centro della discussione pre-sinodale. A suo giudizio, nel regno dei cieli predicato da Gesù c’è posto anche per chi continuasse oggi a usufruire della facoltà di ripudio concessa da Mosè per la “durezza del cuore”.

            Padre Gargano non trae da questa sua esegesi conseguenze esplicite sul terreno dottrinale e pastorale. Ma queste sono più che intuibili. Non è un caso che il cardinale Walter Kasper, capofila dei novatori, abbia citato Gargano a sostegno delle proprie tesi, nel suo recente intervento sulla rivista tedesca “Stimmen der Zeit”, disponibile anche in traduzione italiana: Ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti?

Gargano ha esposto la sua esegesi in due successivi saggi. Il primo lo scorso inverno sul quadrimestrale di teologia “Urbaniana University Journal”, riprodotto integralmente e ampiamente presentato in più lingue.  Per i “duri di cuore” vale sempre la legge di Mosè (16 gennaio 2015)

Padre Gargano mostra come le parole di Gesù sul matrimonio siano mosse principalmente da ciò che Dio dice per la bocca del profeta Osea: “Misericordia io voglio e non sacrificio”.

E di conseguenza sostiene che Gesù, quando afferma che “l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”, non per questo cancella la condiscendenza dello stesso Dio per la “durezza del cuore” del suo popolo, al quale Mosè aveva concesso il divorzio.

La chiave di volta dell’argomentazione di padre Gargano è l’affermazione di Gesù nel discorso della montagna: “Non sono venuto ad abolire la Legge o i Profeti, ma a dare pieno compimento”.

A suo giudizio, il significato di questa affermazione è che le due leggi – quella del “fu detto agli antichi” e quella nuova del “ma io vi dico” – coesistono entrambe nella predicazione di Gesù e si chiariscono reciprocamente.

Tant’è vero che Gesù, sempre nel discorso della montagna, non esclude dal regno dei cieli ma vi fa entrare come “minimo” anche “chi trasgredirà uno solo di questi minimi precetti” e quindi – chiosa padre Gargano – anche chi usufruirà della concessione mosaica del ripudio per la “durezza del cuore”.

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350966

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350967

Il secondo all’inizio di luglio, in forma di lettera al curatore di questo sito, anch’essa riprodotta integralmente e presentata in più lingue Cosa direbbe Gesù se fosse un padre sinodale (3 luglio 2015.)

            Nel suo secondo intervento, padre Gargano riprende e sviluppa gli argomenti esposti nel primo, tenendo conto delle reazioni fin lì ricevute.

            Tra queste reazioni ve n’erano state di favorevoli, ma soprattutto di contrarie, l’ultima delle quali di Luis Sánchez Navarro, professore ordinario di Nuovo Testamento presso l’Università San Dámaso di Madrid. Ma anche dopo il suo secondo intervento padre Gargano ha raccolto critiche. Tra di esse, quella del gesuita Horacio Bojorge, fondatore della rivista teologica di Montevideo “Fe y Razón” e docente di cultura e lingua bibliche alla facoltà di scienze umanistiche della Universidad de la República Oriental del Uruguay: E a tali critiche se ne aggiunge ora una nuova, particolarmente ampia, in procinto di uscire presto in forma di libro. Ne è autore padre Gonzalo Ruiz Freites, dottore in esegesi biblica presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, docente di esegesi del Nuovo Testamento e vicario generale dell’Istituto del Verbo Incarnato. Il libro ha per titolo: “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. E per sottotitolo: “Studio sugli insegnamenti del Nuovo Testamento su divorzio e seconde nozze in risposta al Prof. Guido I. Gargano“.

Sandro Magister        chiesa espressonline   3 agosto 20015

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351104

 

            Ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti?

1. Un problema spinoso e complesso. La questione dell’ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti non è un problema nuovo e non è un problema tedesco. La discussione attorno a tale questione si sviluppa da anni a livello internazionale. Papa Giovanni Paolo II si è pronunciato in proposito nell’esortazione apostolica Familiaris Consortio (FC) (1982) (n. 84) a favore della prassi ecclesiale vigente. Nell’esortazione Reconciliatio et paenitentia (1984) (n. 34) ha ribadito espressamente questa posizione. Essa è entrata nel Catechismo della Chiesa Cattolica (1993) (n. 1650) e nella Lettera della Congregazione per la dottrina della fede del 1994. Papa Benedetto l’ha confermata nella sua esortazione apostolica Sacramentum caritatis (SC) del 2007 (n. 29).

            Papa Giovanni Paolo II ha parlato di una questione difficile e quasi insolubile, papa Benedetto di un problema difficile e spinoso. Non è quindi sorprendente che la discussione sulla questione da allora non si sia placata. Essa non riguarda solo i cristiani che ne sono toccati immediatamente, ma anche molti cristiani praticanti e impegnati che sono sposati da cinquant’anni o più, non hanno mai pensato al divorzio, ma sperimentano ora dolorosamente il problema nei loro figli e nipoti. I loro figli, a loro volta, nella maggior parte dei casi solo con difficoltà riescono a trovare la via che li conduce ai sacramenti, se i loro genitori non possono dare loro l’esempio. Non c’è quasi nessuna famiglia che non sia toccata da questi problemi. È dunque comprensibile che il problema sia avvertito come scottante da molti pastori e confessori, teologi e vescovi.

            Come ci si poteva attendere, la questione si è accesa di nuovo ed è stata oggetto di controversie alla vigilia e nel corso del Sinodo straordinario dei Vescovi del 2014. Il Sinodo ordinario del 2015 deve portare a termine la discussione delle questioni e presentarle al papa perché prenda una decisione. Nelle considerazioni seguenti cerco soltanto di chiarire e di approfondire la problematica, per quanto mi è possibile.

            2. La parola di Gesù – vincolante e sfida sempre nuova. Fondamentale è la parola di Gesù che l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto. Questa parola si trova in tutti e tre i vangeli sinottici (Mt 5,32; 19, 9; Mc 10,9; Lc 16,18) ed è testimoniata anche dall’apostolo Paolo (1Cor 7,10s). Non può esservi dubbio ragionevole che questa parola nella sua sostanza risale a Gesù. Nella sua inaudita radicalità questa parola non fa difficoltà solo oggi. Già i primi discepoli sono stati scioccati e per il mondo ellenistico-romano di allora era assolutamente una provocazione. Allora come oggi non possiamo indebolire la parola di Gesù attraverso l’adattamento alla situazione.

            Con questa parola, che si rifà a Deut 24,1, Gesù ha respinto la casistica giudaica e in tal modo ha rigettato anche qualsiasi altra spiegazione casuistica o eccezione alla volontà originaria di Dio. La parola di Gesù non è quindi una norma giuridica, ma un principio fondamentale che la chiesa, con la potestà che le è affidata di legare e sciogliere (Mt 16,19; 18,18; Gv 20,23), deve far valere nelle situazioni culturali che cambiano.

            La parola di Gesù non deve perciò essere spiegata in modo fondamentalistico. Bisogna cogliere tanto il limite quanto l’ampiezza della parola di Gesù, comprenderla nell’insieme del messaggio di Gesù e rimanere fedeli alla parola di Gesù senza dilatarla oltre misura. Questa spiegazione autorevole la troviamo già in epoca neotestamentaria: nelle ben note clausole sull’adulterio per la comunità giudaica di Matteo (5, 32; 19,9), e poi di nuovo in Paolo che in un contesto etnico-cristiano, decide con autorità apostolica per la libertà cristiana che deve valere nel matrimonio con un non credente, il quale non voglia vivere in maniera conveniente con il coniuge cristiano (1Cor 7,12-16). Su questa base si sono sviluppati più tardi il privilegium paulinum e il privilegium petrinum, così come la possibilità di sciogliere, in virtù della potestà di legare e sciogliere, un matrimonio sacramentale concluso validamente, ma non consumato.

            In questo contesto si può comprendere la prassi pastorale flessibile di alcune chiese locali nella chiesa delle origini. L’interpretazione dei testi relativi è controversa tra gli specialisti. Su nessuna di queste ipotesi è possibile costruire una soluzione ecclesiale oggi. È tuttavia interessante il fatto che ai Padri del Concilio di Trento il problema fosse noto. Essi hanno perciò insegnato contro Lutero che la chiesa non sbaglia quando non riconosce un secondo matrimonio (DS 1807), ma intenzionalmente non hanno condannato la diversa prassi ortodossa. In tal modo essi hanno insegnato l’indissolubilità del matrimonio concluso validamente (DS 1797s.; cfr. 794; 3710s), ma non l’hanno definita formalmente. Essa è però dottrina di fede vincolante, che stimola la riflessione ed è sempre una nuova sfida.

            3. Il matrimonio – un segno frammentario dell’alleanza. Il Vaticano II ha raccolto la sfida. Ha superato la comprensione del matrimonio come contratto, sviluppata in linea con il diritto romano e ha compreso il matrimonio in modo analogo a quanto già aveva fatto Tommaso d’Aquino con la teologia biblica dell’alleanza come intima comunione di vita e di amore, in cui i coniugi si donano e si ricevono reciprocamente (GS 47). Con questa complessiva comprensione personale il matrimonio, richiamandosi a Ef 5,25, viene interpretato come immagine sacramentale della relazione d’alleanza tra Cristo e la chiesa. Di conseguenza la relazione tra l’uomo e la donna deve seguire il modello della relazione tra Cristo e la chiesa. Questa dottrina del matrimonio fondata nell’idea biblica di alleanza è diventata il criterio per l’insegnamento ecclesiale e la teologia recente. Da essa risulta una giustificazione più profonda dell’indissolubilità del matrimonio. Come il patto stabilito da Dio in Gesù Cristo con la chiesa è definitivo e irrevocabile, così è anche il patto coniugale in quanto simbolo reale di questa alleanza.

            È una concezione grandiosa e convincente. Non deve tuttavia portare a un’idealizzazione estranea alla vita. Nella lettera agli Efesini si dice che Cristo ha amato la chiesa, si è donato per lei e l’ha resa pura e santa nell’acqua e mediante la parola, così che essa gli stia di fronte gloriosa, senza macchia né ruga, santa e immacolata (5,24-27). Questa non è la descrizione di una situazione, ma espressione di una promessa escatologica, verso la quale la chiesa è sempre in cammino. Nel suo pellegrinaggio terreno, infatti, la chiesa può realizzare ciò che essa è, cioè la chiesa santa, solo in modo frammentario. Come chiesa santa è anche la chiesa dei peccatori, che talvolta si presenta come prostituta infedele e che sempre deve percorrere la via della conversione, del rinnovamento e della riforma (LG 8; UR 4).

            Questo vale anche per il matrimonio cristiano. Esso è un grande mistero (mysterion) in relazione a Cristo e alla chiesa (Ef 5,32). Ma non può mai realizzare nella vita questo mistero in modo pieno, ma sempre solo in forma frammentaria. In questo senso è sotto molti aspetti un segno frammentario dell’alleanza. I coniugi rimangono in cammino e sono sotto la legge della gradualità (FC 9; 34). Hanno sempre bisogno della conversione e della riconciliazione e sono sempre di nuovo rinviati al Dio ricco di misericordia (Ef 2,4) (FC 38).

            Il dramma può giungere fino al punto che anche i cristiani possono fallire nel loro matrimonio. Questo fallimento è sempre una catastrofe umana, in cui un progetto di vita con tutte le sue speranze va incontro alla delusione e si infrange. Un tale fallimento fa parte anche della teologia biblica dell’alleanza. Nel modo più drammatico questo si vede nel profeta Osea. In primo luogo egli constata: Israele è diventato una prostituta; Dio ha definitivamente rotto il patto (Os 1,9; 2,4-15). Ma la giusta ira di Dio lascia il posto alla misericordia. Egli lascia al suo popolo un nuovo inizio (Os 11,8s; cfr. 2,16-25). Di fronte al messaggio di Gesù il popolo si rifiuta di nuovo nella sua totalità. La critica di Gesù a questa durezza di cuore è chiara. Ma in seguito Gesù fonda, come nostro rappresentante, con la sua croce e la sua risurrezione la nuova alleanza. Egli dona il cuore nuovo promesso dai profeti (Ez 36,6s.; cfr. Ger 31,33; Sal 51,12). La durezza di cuore perdura tuttavia nella peccaminosità dei cristiani. Ma Dio rimane fedele, anche quando noi siamo infedeli. La sua misericordia è senza limiti.

            Una teologia realistica del matrimonio deve considerare questo fallimento così come la possibilità del perdono. Anche nel fallimento umano perdura la promessa della fedeltà e della misericordia di Dio. In questo senso la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio diviene di nuovo attuale. Essa non è un semplice ideale. Il sì di Dio perdura anche quando il sì umano si indebolisce o addirittura si infrange. Esso appartiene in modo permanente alla storia della libertà dei coniugi. Il patto coniugale stabilito da Dio stesso non si infrange anche se l’amore umano si indebolisce o si spegne del tutto. E tuttavia, anche in situazioni di fallimento umano nel matrimonio, la situazione non è mai senza prospettiva e senza speranza. Anche in situazioni nelle quali noi non vediamo alcuna via d’uscita, Dio può aprire una via nuova. La misericordia di Dio è affidabile, se solo noi ci affidiamo ad essa.

            Una tale teologia realistica dell’alleanza, che per così dire resiste alla crisi, pone la chiesa di fronte alla questione: come può essa che si comprende come sacramento della misericordia di Dio, accompagnare su un nuovo cammino e dare nuova speranza a persone che nel loro matrimonio hanno dolorosamente fallito.

            4. La comunione spirituale – una via d’uscita? Riguardo alla situazione di un matrimonio fallito, anche di divorziati risposati, la chiesa non si trova davanti a un nulla pastorale. I documenti ecclesiali recenti chiedono con forza di accostarsi alle persone che si trovano in tali situazioni dolorose e di invitarle alla partecipazione alla vita della chiesa (FC 83s; SC 29). Spesso si cerca di aprire loro un cammino con Cristo, anzi in Cristo, attraverso l’idea di comunione spirituale. Con il concetto della comunione spirituale si recupera un concetto tradizionale che è purtroppo caduto in oblio. Nei documenti del Vaticano II e nel Catechismo della Chiesa Cattolica purtroppo non viene menzionato; solo nei documenti magisteriali più recenti viene ripreso di nuovo e spesso inteso come una via d’uscita che permette di compiere un passo in avanti nella spinosa questione dei divorziati risposati.

            La tradizione della comunione spirituale è fondata già nel grande discorso sul pane di vita del capitolo 6 del Vangelo di Giovanni e poi nella sua interpretazione da parte di Agostino. Qui è il pane della vita che è Gesù Cristo, del quale diventiamo partecipi nella fede. Nel medioevo la dottrina della comunione spirituale si trova soprattutto in Tommaso d’Aquino. Il Concilio di Trento l’ha ripresa nell’insegnamento magisteriale (DS 1648; 1747). Ne risulta un triplice significato: il desiderio della comunione sacramentale (comunione in voto o cum desiderio), la recezione spirituale della comunione sacramentale (manducatio spiritualis) a differenza della recezione indegna o solo esteriore (manducatio mere sacramentalis) e infine il rendere fruttuosa la comunione sacramentale facendola propria mediante atti di pietà personale e in particolare nell’adorazione eucaristica.

            Compresa correttamente la comunione spirituale non è una forma alternativa rispetto alla comunione sacramentale, ma è essenzialmente riferita alla comunione sacramentale. L’applicazione alla situazione dei divorziati risposati appare perciò problematica. Si raccomanda in questo modo una via alternativa alla comunione sacramentale? Affatto. Ciò infatti sarebbe in contraddizione con l’autocomprensione sacramentale della chiesa cattolica come sacramento visibile, cioè come segno e strumento della grazia. A ciò si aggiunge che chi riceve la comunione spirituale e nella fede è unito a Cristo non può trovarsi al tempo stesso nello stato di peccato grave. Perché allora non può partecipare anche alla comunione sacramentale? L’applicazione della comunione spirituale al problema dei divorziati risposati, se si presuppone la comprensione tradizionale, porta in un vicolo cieco.

            Questa via è invece possibile se tacitamente si suppone un altro significato della comunione spirituale. In questo nuovo significato la comunione spirituale non designa il desiderio della comunione sacramentale che nasce dall’essere uniti a Cristo nella fede, ma un desiderio nel quale il cristiano che vive in una situazione irregolare prende coscienza della sua separazione da Cristo e diviene consapevole che il suo desiderio, finché non modifica in modo fondamentale la sua situazione, non può essere soddisfatto. Così compresa la comunione spirituale può diventare un salutare impulso alla metanoia. Una tale nuova comprensione è dunque oggettivamente possibile. Porta tuttavia inevitabilmente con sé equivoci terminologici. La tradizione della chiesa ci può raccomandare una via non esposta al rischio di equivoci.

            5. Per un rinnovamento della via paenitentialis. La chiesa antica ha sperimentato dolorosamente assai presto, già nel tempo della persecuzione, che i cristiani possono fallire. Nel tempo della persecuzione molti cristiani si sono dimostrati deboli e hanno rinnegato il loro battesimo. Ciò ha portato, dopo il tempo della persecuzione, a una vivace discussione circa il modo in cui la chiesa doveva comportarsi di fronte a tale situazione. Padri della chiesa in Oriente e Occidente hanno difeso contro il rigorismo di Novaziano, che proponeva l’ideale della chiesa come vergine pura, l’immagine della chiesa come madre misericordiosa, le cui porte sono sempre aperte al peccatore disposto alla conversione. Essi hanno sviluppato la penitenza canonica, compresa come secondo battesimo non nell’acqua ma nelle lacrime del pentimento e della penitenza. In questo modo la chiesa ha preso sul serio la sua autorità di rimettere i peccati e il suo ministero della riconciliazione (2Cor 5,20). Mediante il sacramento della riconciliazione essa ha concesso dopo il naufragio del peccato non un secondo battesimo, ma per così dire una tavola di salvezza, che salva dall’annegamento e rende possibile la sopravvivenza.

            Alcuni padri hanno applicato un procedimento simile anche a cristiani che avevano rotto il loro legame matrimoniale, vivevano in una seconda unione e mediante la via della penitenza erano riconciliati e ammessi alla comunione. La chiesa orientale ha proseguito su questa via. Nel quadro di una liturgia penitenziale essa ha permesso un secondo e anche un terzo matrimonio che – benché il segno della “incoronazione” sia il medesimo – comprende non come sacramento, ma come benedizione. Inoltre essa ha recepito dal diritto imperiale bizantino ulteriori motivi per il divorzio, che vanno al di là delle clausole sulla fornicazione in Matteo. Determinante per questa prassi è il principio dell’oikonomia, che si ispira al modo misericordioso di agire di Dio nella storia della salvezza. La chiesa occidentale non ha fatto propria questa prassi, ma ha sviluppato un proprio diritto matrimoniale indipendente dal diritto imperiale bizantino.

            Si discute spesso se la chiesa occidentale debba far propria la prassi ortodossa. Certamente essa può imparare dalla comprensione ortodossa dell’oikonomia. E tuttavia un ulteriore sviluppo del suo diritto matrimoniale dovrà avvenire nella linea della propria tradizione giuridica che non conosce una forma liturgica per il secondo matrimonio. L’oikonomia orientale corrisponde invece sotto molti punti di vista nella tradizione occidentale al principio dell’epikeia. Nel significato che le attribuisce Tommaso d’Aquino non è un diritto di eccezione, né una cessazione della vigenza del diritto, ma è la giustizia più alta, che in situazioni complesse, nelle quali un’interpretazione letterale del diritto sarebbe iniqua, fa valere il diritto in modo misericordioso “giustamente ed equamente”.

            L’equità è stata compresa nella canonistica medievale come iustitia dulcore misericordiae temperata, cioè, traducendo liberamente: giustizia che con la dolcezza della misericordia trova concreta applicazione con oculatezza. In questo senso, in situazioni umanamente difficili, la chiesa potrebbe fare uso misericordiosamente della potestà di legare e sciogliere. Si tratta in questo caso non di eccezioni al diritto, ma di un’equa e misericordiosa applicazione del diritto.

            Non si intende una pseudomisericordia a buon mercato. Vale, infatti, secondo quanto si legge in 1Cor 11, 28, il seguente principio: chi ostinatamente, cioè senza volontà di conversione, persevera nel peccato grave non può ricevere l’assoluzione ed essere ammesso alla comunione (CIC can 915). Questo principio è in sé evidente e indiscutibile. La questione concreta di chi si trovi effettivamente in modo ostinato in una tale situazione di perdizione non è però ancora decisa. Per dare risposta a tale questione bisogna distinguere bene le diverse situazioni ed esaminare ogni singola situazione con comprensione, discrezione e tatto (FC 4; 84). Non si può parlare di un’oggettiva situazione di peccato senza considerare anche la situazione del peccatore nella sua singolare dignità personale. Per questa ragione non può esserci alcuna soluzione generale del problema, ma solo soluzioni singolari.

            Ciò risulta dal concetto di peccato grave. Il peccato grave non è costituito solo dalla materia gravis, l’azione contraria al comandamento di Dio in una cosa importante; di esso fa parte anche il giudizio della coscienza personale, l’assenso della volontà, nella quale per Tommaso l’intenzione della volontà è assolutamente decisiva; infine è decisiva la considerazione delle concrete circostanze. Su tutto ciò non si può decidere in termini generali. Perciò la sapienza della chiesa conosce accanto al foro giuridico esterno il foro interno del sacramento della penitenza.

            Ci troviamo dunque di fronte alla via paenitentialis. Non si tratta di una nuova invenzione, ma si colloca, come di recente è stato dimostrato, del tutto in linea con la comprensione del matrimonio di Tommaso d’Aquino e della tradizione che a lui si richiama, in particolare del Concilio di Trento. Con la via paenitentialis non si intende l’imposizione di pesanti pene, ma del processo, doloroso e tuttavia salutare, della chiarificazione e del nuovo orientamento dopo la catastrofe della separazione, che è accompagnata da un esperto confessore mediante un colloquio che ascolta pazientemente e aiuta a fare chiarezza. Questo processo deve condurre l’interessato a un giudizio onesto sulla propria situazione, in cui anche il confessore matura un giudizio spirituale, per poter far uso della potestà di legare e di sciogliere in modo adeguato alla situazione. Come in altre questioni di grande importanza ciò accade, secondo l’antica prassi della chiesa, sotto l’autorità del vescovo (cfr. Instrumentum laboris, n. 123).

            Rimane per me incomprensibile come si sia potuto obiettare a questa proposta che essa significa un perdono senza conversione. Ciò sarebbe effettivamente insensato dal punto di vista teologico. Ovviamente il sacramento della penitenza implica da parte del penitente il pentimento e la volontà di vivere nella nuova situazione con tutte le sue forze secondo il Vangelo. [26]

Nell’assoluzione non è giustificato il peccato, ma il peccatore che vuole convertirsi. La comunione sacramentale, cui l’assoluzione apre di nuovo la strada, deve dare alla persona che si trova in una difficile situazione la forza per perseverare sul nuovo cammino. Proprio i cristiani in situazioni difficili hanno bisogno di questa sorgente di forza che è per loro il pane della vita.

            Un tale rinnovamento della prassi penitenziale della chiesa, al di là dell’ambito dei divorziati risposati, potrebbe avere l’effetto di un segnale per il necessario rinnovamento della prassi penitenziale che nella chiesa di oggi è a terra in modo deplorevole. Sarebbe profondamente farisaico ritenere che questo riguardi solo i cristiani divorziati e risposati. In occasione del ricordo dell’affissione delle tesi di Lutero, che cinquecento anni fa ha rappresentato l’inizio della Riforma, i cristiani cattolici ed evangelici hanno tutte le ragioni per lasciarsi dire dalla prima tesi di Lutero che tutta la vita di un cristiano deve essere una penitenza.

            6. Ermeneutica della continuità ed eterna novità del Vangelo. In conclusione la questione: questo sviluppo della prassi penitenziale della chiesa sarebbe da comprendere come una rottura con la dottrina e la prassi della chiesa oppure non piuttosto nel senso dell’ermeneutica della continuità? Un’ermeneutica della continuità rettamente compresa, nel senso in cui l’ha proposta papa Benedetto nel noto discorso per gli auguri natalizi del 2005, infatti, non esclude, ma implica riforme pratiche e quindi un elemento di discontinuità. Essa è un’ermeneutica della riforma.

La verità della rivelazione non è un sistema rigido scolpito nella pietra e scritto su tavole di pietra, ma è la lettera d’amore del Dio vivente, scritta nei cuori di carne (2 Cor 3, 3). Secondo Tomaso d’Aquino il vangelo in ultima analisi e primariamente è lo Spirito santo infuso nel cuore dei fedeli attraverso la fede di Cristo. Dio con il suo Spirito è sempre in dialogo con la sua chiesa, la sposa del suo Figlio (DV 8), per introdurla sempre di nuovo nella verità tutta intera (Gv 16, 13) e dischiudere il vangelo, che è sempre lo stesso, nella sua eterna novità.

            La misericordia è questa eterna novità. In essa risplende la sovranità di Dio, con cui egli è fedele sempre di nuovo al suo essere, che è amore (1Gv 4, 8), e al suo patto. La misericordia è la rivelazione della fedeltà e dell’identità di Dio con se stesso e così al tempo stesso dimostrazione dell’identità cristiana. Perciò la misericordia non toglie la verità cristiana. Essa stessa è una verità rivelata, che è strettamente legata con le fondamentali verità della fede, l’incarnazione, la morte e risurrezione di Cristo, e senza di esse cadrebbe nel nulla (cfr. Instrumentum laboris, n. 68). D’altra parte, tutte queste verità senza la dolcezza della misericordia si trasformerebbero in un sistema rigido e freddo. La misericordia le fa risplendere sempre di nuovo in modo sorprendente e conferisce sempre di nuovo alla fede forza di irradiazione. Solo così la nuova evangelizzazione può riuscire.

            L’ammonimento a «rimanere nella verità di Cristo» include l’altro a «rimanere nell’amore di Cristo» (Gv 15,9). Si tratta di fare la verità nella carità (Ef 4,15).

Cardinale Walter Kasper in “le voci del tempo” pp. 435-445 luglio 2015

www.stimmen-der-zeit.com/zeitschrift/ausgabe/details?k_beitrag=4505253&cnid=13&k_produkt=4508693

[26] In questo senso papa Giovanni Paolo II in FC 84 ha deciso che divorziati risposati che sono disposti a una vita che non sia più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio, cioè vivono in piena continenza, possano ricevere il sacramento della penitenza e dell’eucaristia. Sicuramente i cristiani che si decidono a percorrere questa via e la mantengono danno un’eloquente testimonianza dell’unità e dell’indissolubilità del matrimonio; la loro generosa testimonianza merita grande rispetto e richiede un attento accompagnamento pastorale. D’altra parte, la regola eccezionale di FC solleva questioni teologiche fondamentali. Secondo Tommaso d’Aquino l’essenza del matrimonio consiste nella comunione spirituale; l’unione sessuale è per lui secondaria (Summa theol. III, 20,2; Suppl. 44,1). Se si segue questa concezione, si pone la questione: è sensato, anzi non è addirittura contraddittorio, tollerare tacitamente, in certo modo come soluzione di emergenza (tavola di salvezza!), l’elemento essenziale del matrimonio che trova espressione pubblica nel matrimonio civile e invece elevare a criterio decisivo per l’ammissione o la non ammissione ai sacramenti l’esclusione dell’elemento secondario che ne deriva? In altri termini: dal punto di vista della teologia del sacramento in contraddizione con il segno sacramentale si trova non l’unione sessuale che appartiene alla sfera intima, ma il matrimonio civile, in quanto comunione di vita pubblicamente professata, che con la regola eccezionale è quanto meno tollerato. Se però il matrimonio civile in quanto tale viene di fatto almeno tollerato, si pone la domanda se la questione relativa alla sfera intima e quindi al forum internum della continenza, senza verifica della concreta situazione, possa diventare criterio decisivo per l’ammissione o la non ammissione alla recezione dei sacramenti? Su questo punto deve iniziare l’ulteriore discussione e chiedersi se la regola eccezionale di FC 84, a partire dalla sua oggettiva logica teologica interna, non richieda una riflessione più avanzata. Finalmente, in questa questione si tratta dell’unicità di ogni persona e della distinzione tra foro esterno e interno, necessaria a motivo della dignità della coscienza. L’attenzione a questa tradizionale distinzione sarebbe un passo importante per giungere a una soluzione pastorale della questione.

Redazione *** esclusiva in italiano del testo pubblicato in Stimmen der Zeit (2015/7), pp. 435-445

29 giugno 2015   testo e 30 note in

www.eancheilpaparema.it/2015/06/cardinale-w-kasper-ammissione-dei-divorziati-risposati-ai-sacramenti

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