L’assistenza spirituale agli ammalati

L’assistenza spirituale agli ammalati   

 

 

 

Autore: Marco Flisi

Cosa intendiamo per assistenza spirituale?

Assistenza” è aiutare, confortare con la propria presenza e partecipazione. Associare la propria all’altrui presenza in segno di amicizia, cortesia, rispetto, per offrire protezione o comodità.

Definito cosa significa assistenza, passiamo alla parola “spirituale”, cosa intendiamo per spiritualità? Nel 2006 la conferenza degli assistenti spirituali della Società Tedesca di Cure Palliative ha scritto: “col termine ‘spiritualità’ si può intendere l’atteggiamento interiore, lo spirito interiore e la ricerca personale di senso, attraverso cui l’essere umano cerca di affrontare le esperienze della vita, specialmente in circostanze che minacciano la sua esistenza. La spiritualità è un fatto molto personale, che ha a che vedere con il senso della vita e che nelle situazioni più difficili può rappresentare una risorsa per l’individuo (persona)”.

La spiritualità è il principio vitale che permea l’intero essere di una persona e che integra e trascende la dimensione biologica e psico-sociale costituendone l’aspetto FONDAMENTALE. Questa categoria antropologica che riguarda l’uomo nella sua interezza, fa diventare l’uomo “più vero” nel momento della malattia; se è importante come ambito creatore di senso in tutto il corso della vita, lo è in particolar modo nel fine vita.

Per l’assistenza spirituale è fondamentale sviluppare l’EMPATIA: quando si vuol riuscire ad aiutare qualcuno, bisogna anzitutto ‘raggiungerlo’ così com’è e dov’è. Inoltre occorre capire non solo la sua condizione, ma soprattutto quel che egli desidera capire. Empatia è l’attitudine a offrire la propria attenzione per un’altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali per accogliere e condividere quelli dell’altro. La qualità della relazione si basa sull’ascolto non valutativo e si concentra sulla comprensione dei sentimenti e bisogni fondamentali dell’altro. Empatia è la capacità di ‘mettersi nei panni dell’altro’, nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona.

 

Assistenza spirituale, come si procede ?

Perché un procedimento? Perché non si può pensare di assistere gli altri “da soli”. In particolare per il cristiano, si assiste perché si è consapevoli sia di essere assistiti da Dio per mezzo dello Spirito Santo, sia di assistere Cristo stesso che sta soffrendo nell’ammalato e con l’ammalato. Ecco allora che è dimensione fondante la preghiera di affidamento a Dio degli ammalati e di se stessi, perché Egli ed Egli solo è il Grande Medico di ogni uomo.

Detto ciò:

  • 1.Preghiera di affidamento a Dio di se stessi e degli ammalati.

  • 2.Consapevolezza che il nostro è un incontro umano e pastorale (azione multiforme della comunità ecclesiale che, animata dalla Spirito Santo, ha il compito di trasmettere l’amore misericordioso di Dio ad ogni uomo nella sua storia e nelle concrete situazioni della sua vita).

  • 3.Impegno a conoscere il paziente: (nome, età, provenienza, religione, patologia, consapevolezza della malattia, desiderio di assistenza spirituale). Il paziente è prima di tutto una persona che – lo sappia o no – sta condividendo la croce di Cristo e dunque deve essere amata con sensibilità, rispetto e dedizione.

  • 4.Osservazione del luogo del paziente: la stanza è la sua casa. Guardare se ci sono immagini o oggetti sacri, fotografie, segni che rivelino la presenza o l’assenza di persone che si prendano cura di lui.

  • 5.Dialogo: partire dal generico per poi procedere con gradualità verso il personale seguendo la disponibilità e le propensioni dell’interlocutore: luoghi, tempi, persone, significato della malattia. La meta è la pacificazione: la malattia è una misteriosa occasione di Grazia.

  • 6.Ascolto: non basta sentire. Evitare di proiettare la propria idea, il proprio pregiudizio o giudizio, le proprie attese su quanto sta dicendo chi ci accoglie.

  • 7.Attenzione ai messaggi non verbali (chiusura degli occhi, sguardo nel vuoto, agitazione, ecc.).

  • 8.Annotazione degli aspetti rilevanti di ciascun incontro perché possano essere esaminati in sede di equipe pastorale.

  • 9.Offerta umile a Dio di tutte le gioie, le paure, le sofferenze e anche degli involontari errori ed omissioni esperiti negli incontri con i pazienti e preghiera allo Spirito Santo, il Consolatore, perché soccorra gli ammalati (e anche noi) con i Suoi santi doni.

Naturalmente sono punti che non possono essere seguiti in modo sistematico: bisogna lasciarsi guidare dallo Spirito ed ascoltare quanto ci suggerisce volta per volta e caso per caso, perché nessun incontro è mai uguale a un altro. Occorre prestare attenzione ai bisogni materiali e a quelli spirituali, perché la vita naturale, con i suoi aspetti puramente materiali non basta all’uomo. C’è il bisogno di relazioni amorevoli, c’è sete di conoscenza, desiderio di senso, ricerca sui grandi «perché». Perché la vita? Perché la morte? Perché il dolore, il male, la malattia? Perché l’amore, la gioia?

 

Testimonianza

Mi è stato chiesto di scrivere un articolo per descrivere il servizio da me svolto come seminarista di Mantova nei reparti di Cure Palliative, Ortopedia, Ostetricia, Ginecologia, Riabilitazione Specialistica Cardio-Respiratoria, Testa e Collo, Dermatologia presso l’Ospedale locale. Gran parte del servizio di assistente spirituale l’ho realizzato nel reparto di Cure Palliative, dove ho incontrato tante persone con diversi ruoli: medici, operatori, pazienti, parenti, amici e anche volontari.

Prima di accedere ai reparti, ed in particolare a quello di Cure Palliative, ho incontrato in diverse occasioni mons. Paolo Gibelli, medico e Vicario Episcopale ai rapporti con il territorio, suor Brunella Bonfadini, Ancella della Carità e don Franco Bettoni, Cappellano del Presidio Ospedaliero dell’Azienda Ospedaliera “Carlo Poma”.

In questi incontri abbiamo affrontato i temi dell’empatia, dell’incontro coi malati, dell’assistenza spirituale ed inevitabilmente sono stato indirizzato versi alcuni testi “preparatori”. Non è mai mancata da parte di mons. Paolo, di suor Brunella e di don Franco la disponibilità ad affrontare ed approfondire i diversi temi legati all’approccio con i pazienti e con le malattie.

In reparto non ho iniziato da solo ma a fianco di suor Brunella perché nella pratica, nel contatto con le persone potessi vedere applicate le indicazioni relative agli aspetti fondamentali dell’assistenza spirituale. Sono stati mesi di attenzione rivolta sia chi mi spiegava, sia alle persone ricoverate, mesi in cui dovevo apprendere un modo di relazionarmi con gli ammalati, per evitare di essere scontato o di non accorgermi di aspetti importanti, quali ad esempio segnali di malessere o di affaticamento.

Nell’accostarsi al paziente spesso si vengono a conoscere le ferite ancora aperte del suo vissuto, ferite che aggiungono sofferenza spirituale al dolore fisico. È allora importante cercare di dare un “senso” a quanto è accaduto, migliorando per quanto possibile lo stato d’animo della persona ricoverata.

A fianco alle persone ricoverate ci sono mariti, mogli, figli, genitori, nipoti, in una parola famiglie: persone che vanno anch’esse ascoltate perché sono loro quelle che soffriranno il “distacco”. Non nego di aver provato non poca emozione quando sentivo la persona allettata rincuorare il proprio famigliare, quasi a dire: «non piangermi prima del tempo» o anche: «io sono pronto ad andare».

Il comun denominatore delle storie che ho incontrato sono i gesti d’amore. Il marito che ha assistito ed ascoltato la moglie fino alla fine, dichiarandole di voler rivivere la propria esistenza sempre e solo con lei; il figlio quarantenne che baciava la madre allettata senza voce e rincuorava il padre ritto in piedi dicendo: «papà hai sposato la donna più bella del mondo!»; la figlia che abbracciava la madre dopo anni e diceva: «mamma perché non l’abbiamo fatto prima?».

I gesti d’amore sono trasversali ad ogni credo, perché in ospedale non ho incontrato solo persone cristiane ma anche musulmane, sikh, ebree e di altre fedi, e queste persone con modi analoghi hanno creduto e sperato nell’amore di Dio, un amore che era supportato da un grande coraggio perché in fondo, come scrisse Karl Rahner: «nella sua radicalità, lo slancio del coraggio che spera è già fede».

Il servizio s’è concentrato sull’ascolto non solo delle parole, ma anche degli sguardi e dei gesti, senza cercare di dar loro il mio senso, ma impegnandomi a capire che cosa significassero per chi mi stava parlando.

Ringrazio tutto il reparto di Cure Palliative dell’Azienda Ospedaliera “Carlo Poma” di Mantova e i miei educatori per avermi permesso di intraprendere questo percorso fatto insieme.

Marco Flisi, seminarista

 

 

 

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