Il ruolo terapeutico del padre spirituale

1°. Le dinamiche del processo: verso dove indirizzare il colloquio?

Con quali strumenti?

Introduzione

         Il discernimento può essere definito in prima approssimazione come la qualità dell’animo che consente di riconoscere in ogni circostanza quello che conviene fare e consente prima ancora di scorgere in ogni circostanza che conviene fare qualcosa, che si può e si deve prendere una decisione, che le diverse situazioni in cui ci troviamo, ci ricordano, ci interpellano e ci invitano a prenderne parte e non ci respingono nella situazione fin troppo comoda di coloro che sono sempre e soltanto spettatori. Il discernimento ha a che fare con il normale processo della vita. Davanti alle varie situazioni prendere una strada o un’altra diversamente si rinuncia a vivere e si rimane spettatori.

Giovanni Climaco:discernimento e grado di avanzamento nella vita: il discernimento nei principianti è una conoscenza autentica di sé stessi, in coloro che sono a metà del cammino è un senso spirituale che distingue infallibilmente il bene autentico da quello naturale e dal suo contrario, nei perfetti è una scienza infusa per divina illuminazione che è in grado di illuminare con il proprio lume anche ciò che negli altri rimane coperto dalle tenebre. Forse più in generale si definisce ed è discernimento la comprensione sicura della volontà di Dio in ogni tempo, luogo e circostanza che è presente solo in chi è puro di cuore, di corpo e di parola. Il discernimento è una coscienza senza macchia e una sensibilità pura. Conoscenza di sé, conoscenza del bene e del vero bene, e infine conoscenza di Dio e della sua volontà. Secondo un processo che investe ambiti sempre più ampi dell’esperienza umana, il se, il bene e Dio nella sua volontà.

           L’Anziano è un Padre spirituale. Vuol dire che le relazioni dell’Anziano con colui che egli guida non assumono la forma del maestro con il discepolo, ma quella di un padre con il figlio. Queste relazioni hanno il loro archetipo in quelle del Padre celeste con gli uomini che sono suoi figli per adozione, del “Padre dal quale ogni famiglia in cielo e sulla terra si denomina” (Ef 3, 14-15). Ciò significa che la relazione che unisce il Padre spirituale al figlio spirituale è una relazione d’amore mutuo. Ciò vuol dire, altresì, che la funzione del Padre spirituale non si limita ad essere, come quella di un maestro, una funzione d’insegnamento. Il Padre spirituale, come indica il nome, ha il compito essenziale di generare spiritualmente suo figlio, di farlo “nascere dall’alto”, e di aiutarlo a crescere fino a quando raggiunga la statura di uomo adulto in Cristo, come indica

 l’Apostolo Paolo ai propri figli spirituali: “Figli miei, per i quali soffro di nuovo le doglie del parto, fino a che Cristo non sia formato in voi” (Gal 4, 19). La sua funzione non è dunque speculativa, ma concreta.

Questo ruolo fattivo si manifesta anche nelle cure concrete che egli rivolge al suo figlio che va da lui in stato di malattia in vista di ottenere la guarigione. Infatti, se il Padre spirituale è una guida, non lo sarà nel dare indicazioni astratte. Egli non mostra il buon cammino su una carta: ma fa il cammino in compagnia di suo figlio, portandolo sulle spalle, e lo aiuta concretamente a non allontanarsi dalla via diritta, a discernere e superare gli ostacoli, a percorrere fino alla fine le diverse tappe. Ora i principali ostacoli del progresso spirituale sono costituiti dalle passioni, che sono altrettante malattie spirituali. Ecco perché il ruolo del Padre spirituale, nell’aiutare la persona colpita da tali malattie a liberarsene, assume fondamentalmente un carattere terapeutico. L’esercizio della paternità spirituale è così, molto spesso, assimilato dai Padri a una medicina delle anime analoga alla medicina del corpo. Per questo, frequentemente, nei testi ascetici il Padre spirituale è chiamato “medico spirituale” o semplicemente “medico”, oppure il contesto lo fa esplicitamente apparire come tale. Sant’Atanasio d’Alessandria dice che Sant’Antonio Abate “era veramente stimato come medico in Egitto”. Abba Antonio afferma che: “Gli antichi padri sono andati nel deserto e sono stati guariti; sono divenuti medici e, chinandosi sugli altri, li hanno guariti. San Giovanni Crisostomo osserva che il monaco esperto “arriverà a guarire completamente” colui che va da lui. San Gregorio Nazianzeno parla dei sacerdoti che esercitano l’ufficio di Padri spirituali come di “coloro ai quali è stato affidato l’esercizio della medicina”, e dice inoltre: “Di questa medicina [spirituale] noi siamo [noi sacerdoti] i servi e i collaboratori”.

Curare e guidare spiritualmente altri uomini non è cosa facile. La complessità dell’anima umana, la sua stessa natura, l’altezza del fine da raggiungere, il carattere molto spesso nascosto e impercettibile all’esterno delle realtà spirituali in causa, nonché la natura particolare del combattimento da condurre contro avversari temibili e invisibili, sono altrettante ragioni per le quali la medicina spirituale è un’arte ben più difficile della medicina del corpo, come sottolinea san Gregorio Nazianzeno: “In verità, mi sembra che quest’arte delle arti e scienza delle scienze sia quella di condurre l’essere umano, che è il più diverso e il più complesso degli esseri. Si può comprendere facilmente se si stabilisce un parallelo tra la medicina delle anime e la terapia dei corpi. Più ci si rende conto di quanto vi sia di laborioso in quest’ultima, più il raffronto fa apparire quanto la medicina che noi pratichiamo richieda molto lavoro, e quanto più questa sia preziosa, a motivo della natura dell’oggetto cui fa riferimento, delle risorse della scienza che implica e del fine verso cui mira l’energia impiegata. Nel primo caso, ci si preoccupa del corpo, cioè di una materia deperibile il cui flusso corre via, materia chiamata in ogni modo a disfarsi e a subire la sua condizione.

La difficoltà del compito fa sì che siano molto rari coloro che sono in grado di esercitarla, anche se molti se ne credono capaci, tanto grandi sono i rischi di illusione al riguardo anche molto tempo dopo che si è raggiunta l’impassibilità. E’ per questo che necessariamente si riscontrano in quest’ambito “molti ingannatori e falsi maestri”.

Per essere guide e terapeuti spirituali autentici, è indispensabile avere la conoscenza di “sane dottrine”, cioè essere perfettamente ortodossi, ed essere fedeli, nella pratica terapeutica, all’insegnamento degli antichi Padri.

Questo, tuttavia, non può bastare. E’ importante, inoltre, che il Padre spirituale non solo conduca una vita conforme ai suoi insegnamenti, ma che egli abbia anche esperienza. E’ per questo motivo che san Simeone il Nuovo Teologo avverte: “Non affidarti a un maestro inesperto”.

Occorre che il Padre spirituale abbia percorso tutto il cammino che egli ha il compito di aiutare i suoi figli spirituali a percorrere. Occorre che egli stesso abbia eluso le trappole e superato gli ostacoli che si presenteranno sul loro cammino, occorre che egli abbia subìto vittoriosamente tutte le prove attraverso le quali essi dovranno passare, perché, ad immagine del Cristo, “per il fatto che ha sofferto e che è stato provato” il Padre spirituale “è capace di soccorrere quelli che sono tentati” (cfr. Eb 2, 18).

 Bisogna che egli abbia messo ordine nella propria casa prima di pretendere di riordinare quella degli altri, come suggerisce l’Apostolo: “Se uno non sa governare la propria famiglia come potrà aver cura della Chiesa di Dio” (1Tm 3, 5). E’ necessario che abbia acquistato egli stesso tutte le virtù e le qualità che i suoi figli spirituali devono acquistare. In altri termini, occorre che il medico spirituale sia stato egli stesso guarito e sia in buona salute affinché la sua terapia sia efficace. Ciò è in linea con l’insegnamento stesso del Cristo che avverte: “Se un cieco fa da guida a un cieco, tutti e due cadranno nella fossa (Mt 15, 14; cfr. Lc 6, 39), e che fa notare: “Come puoi dire al tuo fratello: “Lascia che tolga dal tuo occhio la pagliuzza”, mentre la trave è là nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Mt 7, 4-5; Lc 6, 42).

                                                                            Mons. Egidio Faglioni

Foto gratuita uomo seduto su dune di sabbia circondate da tracce in un deserto
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