Il primo ovocita umano cresciuto in laboratorio. Gravi interrogativi etici

Il primo ovocita umano cresciuto in laboratorio.

Gravi interrogativi etici

 

 

Autore: Armando Savignano

Per la prima volta una cellula riproduttiva è stata prelevata da tessuto ovarico e fatta sviluppare in provetta fino ad arrivare allo stadio in cui può essere fertilizzata. Si tratta indubbiamente di un risultato straordinario, anche se costituisce solo un primo passo e soprattutto non è esente da gravi interrogativi etici. Infatti, finora non si era riusciti ad ottenere ovociti maturi in laboratorio da un essere umano, ma solo dai topi e persino dalle pecore.

In tal modo viene compiuto un primo passo verso una possibile gravidanza anche alle donne che si ammalano – e poi guariscono – da un tumore. Evelyn Telfer e il suo gruppo di ricerca, come emerge dai risultati pubblicati in «Molecular Human Reproduction» (9 febbraio 2018) sono infatti riusciti a isolare degli ovociti dal tessuto ovarico fresco e a farli poi crescere in laboratorio in diversi substrati fino ad arrivare al grado di maturazione giusto per poter essere fecondati.

Tale scoperta è un ulteriore tassello finalizzato a preservare la fertilità per tutte quelle donne che si ammalano di tumore e devono affrontare la chemioterapia, che danneggia le ovaie. Per chi desiderasse in futuro avere un figlio, attualmente – prima di cominciare le terapie oncologiche – vengono prelevati e congelati gli ovociti, che saranno poi utilizzati successivamente con le tecniche di procreazione medicalmente assistita (Pma).

Oppure, soprattutto nelle pazienti più giovani o quando non c’è il tempo di stimolare le donne per produrre più ovociti, si preleva un pezzetto di tessuto ovarico che viene poi congelato e reimpiantato dopo le terapie, a seguito della guarigione della paziente. Ciò non è esente da problemi e soprattutto da svantaggi per la futura madre. Infatti, per poter essere reimpiantato serve un altro intervento chirurgico; inoltre non sempre l’ovaio riprende a funzionare e soprattutto non viene eliminato del tutto il rischio che il tessuto reimpiantato possa reintrodurre il cancro nella paziente, perché nel tessuto potrebbero annidarsi cellule cancerogene. Ecco perché la crescita del primo ovocita umano in laboratorio rappresenta un importante traguardo anche se rappresenta solo un primo passo non esente, come dicevamo, da interrogativi etici e scientifici. Anzitutto è stato utilizzato tessuto ovarico fresco. Di qui l’interrogativo su che cosa succede se invece si congela; il che costituisce la prassi usuale. Inoltre, la percentuale di ovociti che arriva allo stadio di una possibile fecondazione è molto bassa e vi sono molte anomalie.

Come osservano gli stessi autori dello studio, in alcuni ovociti cresciuti in laboratorio è stato notato un globulo polare enormemente grande; tali ovociti nella Pma generalmente sono scartati, perché possono trasmettere anomalie ad un eventuale embrione o anche impedire la fecondazione. Siamo, pertanto, ancora ad uno studio sperimentale e per addetti ai lavori, ragion per cui non bisogna dare false speranze, anche se una nuova frontiera sembra si stata superata.

Ma è eticamente condannabile e scientificamente pericolosa la scoperta se finalizzata alla procreazione umana, secondo il presidente vicario del Comitato Nazionale di bioetica, Lorenzo D’Avack, che invece ritiene accettabile un utilizzo di ovociti sviluppati in laboratorio per curare malattie. Non si può non concordare con queste valutazioni su questioni così delicate come la procreazione; occorreranno ancora ulteriori ricerche per pervenire a risultati più sicuri senza generare illusioni.

Armando Savignano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Evelyn Telfer, Edimburgh University

 

 

 

 

 

 

 

 

Ovocita in coltura.

 

 

 

 

 

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