A difesa della vita

Anche la Lombardia si appresta a prendere decisioni riguardanti il fine vita suscitando un vivace dibattito che tocca le coscienze prima degli schieramenti politici, anche se sovente si antepongono questi a quelle. La vita è una forza che ci sorprende anche quando sembra inutile ed insignificante. Infatti, la nascita di ogni bambino è simbolo di speranza, di apertura al futuro, di una progettualità che non è mai lecito spezzare.  Essere aperti alla vita senza pregiudizi rappresenta infatti la vera rivoluzione in un’epoca contrassegnata dalla paura e dall’egoismo. La vita nei suoi tre momenti – nascita, durata e compimento – non va vista come una somma di questi tre momenti, come vuole il neo-utilitarismo, per il quale occorre considerare per ogni stadio il rapporto costi-benefici, sicché quando vivere costa più in termini economici e per la qualità di vita rispetto ai benefici, è preferibile morire o sopprimere la vita, bensì come un moltiplicatore di questi tre momenti. In quest’ultimo caso, moltiplicare significa non abolire nessuno dei vari momenti altrimenti la somma finale cambia. Ben diversamente avviene nell’addizione, in quanto un singolo momento può essere dannoso o superfluo ai fini del rapporto costì-benefici.

In un mondo dove tutto ha prezzo – si discute sovente del prezzo giusto ed equo di ogni cosa – vi sono valori come la vita che vale in e per se stessa, pertanto non ha prezzo, né è negoziabile. Dignità e non prezzo, perché la vita umana è degna di rispetto e l’uomo va considerato sempre come fine e mai semplicemente come un mezzo. Ciò rappresenta una svolta radicale rispetto a quanti – con sottili argomentazioni – difendono il così detto ‘punto di vista totale’ oppure, all’opposto, quello della ‘priorità dell’esistenza’ per concludere che infine si equivalgono sicché la scelta in favore della vita è sempre condizionata da interessi e preferenze.

Senza la centralità della vita, nessun sviluppo è possibile. Ma la vita non è nostra, bensì noi siamo della vita. Certamente nel dramma dell’aborto si possono invocare, a buon diritto, tante cause e circostanze, ma è giunto il momento di rilevare che la donna non è totalmente libera quando abortisce, ma abortisce perché non è completamente libera. Occorre pertanto liberare la donna dai condizionamenti, non solo economici ed ambientali;

a tal fine è necessario ed urgente un cambiamento di mentalità che non può prescindere dalla dimensione culturale e soprattutto educativa e solidaristica.

Per quanto riguarda il fine vita, occorre rilevare che la vita ha una sua dignità inalienabile. Bisogna ricordare che non è la libertà che costituisce la dignità dei nostri comportamenti, anche se oggi, nella nostra cultura sembrerebbe che sia così: l’agire liberamente viene identificato con l’agire con dignità. Non è però la libertà che dà dignità al comportamento umano. E’ vero tuttavia che l’atto può essere degno della persona solo se è un atto umano, cioè libero. Ma non sempre è degno ciò che è libero; vi sono tanti comportamenti che sono liberi e non sono degni della persona, – né della persona su cui si agisce, né della persona che agisce. Esistono azioni libere indegnedella persona umana. Occorre discriminare tra vite degne e non degne di essere vissute? Bisogna evitare di cadere in un’antropologia dualista, spesso presente in coloro che difendono l’eutanasia. Tipica è infatti l’espressione: “Ormai è solamente una vita biologica, non c’è più vita personale, è un vegetale”. E’ anche frequente la distinzione radicale tra “vita biologica” e “vita biografica”, considerando la seconda come l’unica che dia senso alla esistenza della persona, e la prima come qualcosa di sub-umano. In realtà anche una persona che si trova in ‘in stato vegetativo persistente’ è persona degna di rispetto; altrimenti non vi sarebbe la necessità di chiedersi se si deve o meno procurare la sua morte degna. La persona è un’unità: non c’è mai un corpo umano che sia solo una specie di vegetale, un fenomeno biologico vivente, senza che sia il corpo di un io, di una persona, altrimenti si cade in una visione dualistica. In questo senso bisogna affermare che la vita biologica di un individuo umano è sempre vita umana, e forma parte sempre della sua vita biografica. Ecco perché è necessario sostenere l’identità biologica, ontologica, morale e giuridica della persona.

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