newsUCIPEM n. 936– 13 novembre 2022

newsUCIPEM n. 936 – 13 novembre 2022

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

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Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L                        ’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

CONTRIBUTI PER ESSERE IN SINTONIA CON LA VISIONE EVANGELICA

02 ABUSI                                              Abusi sui minori: Roma accanto alle vittime

03                                                          In Francia undici vescovi sotto inchiesta per abusi, «Nessuna impunità, noi sotto choc»

04                                                          Confessione abusi :“è stata accolta ieri da noi vescovi come uno choc”

04 ACCOGLIENZA                                Rifugiati: “Fra Noi”, per l’inclusione lavorativa servono

05 AICCeF                                             Assemblea annuale dei soci. 02 dicembre 2022

05 BETTAZZI mons. LUIGI                 Fuori tema (o drammaticamente “dentro”?)

06 CENTRO GIOVANI COPPIE           “Grammatica dell’inaspettato”

07 CENTRO INT. STUDI FAMIGLIA  Newsletter CISF – n. 9 novembre 2022

09 CHIESA DI TUTTI                            l Papa: stiamo tirando fuori i casi di abusi, altre istituzioni li coprono

10                                                          Il cardinale pedofilo

11 CITTÀ DEL VATICANO                   «Così i cardinali rubano i soldi del Vaticano», ecco le accuse dell’ex revisore dei conti

12 CONCILIO VATICANO II                Il giorno in cui si aprì il Concilio VII: le parole di Giovanni XXIII e gli sguardi a Ottaviani

13 CONSULTORI UCIPEM                  Milano 1 Istituto La casa. Un figlio DSA       on line

14                                                          Sempre più coppie senza figli: come invertire la rotta?

15DALLA NAVATA                              33° Domenica del tempo ordinario – Anno C

15                                                          Commento            Attenti ai segni dei tempi–

17 DIALOGHI                                       Tra i tanti validi modelli di dialogo, questo è il tempo della diakonia

18 DIAVOLO                                        Il diavolo (devoto) veste Prada: lo (ri)conoscete?

20 DONNE NELLA (per la ) CHIESA Voci di donne da tutto il mondo

25 ECUMENISMO                                L’impegno: cattolici ed ebrei insieme per gesti concreti di pace e solidarietà

26 ETICA                                               Un’etica che ci cura dall’Io

28 FEMMINISTE                                   Le femministe cattoliche di inizio ‘900

29 FRANCESCO VESCOVO ROMA    Conferenza stampa del santo padre durante il volo di ritorno dal Bahrein

31                                                          Per la prima volta dall’inizio della guerra, Shevchuk a Roma per parlare con il Papa

32                                                          Dalla verità che raccontate, dipendono vite umane. La menzogna uccide. La verità salva

33 GOVERNO                                       Assegno unico e quoziente familiare. Più libertà, meno assistenza: qui si gioca il rilancio

35 LITURGIA                                        Proposta di una liturgia di benedizione per coppie omosessuali dei vescovi fiamminghi

36 MIGRAZIONI                                  Migrazioni, incroci complessi

37                                                          In Italia il primo corridoio umanitario per minori migranti soli

38                                                          Rapporto Migrantes, se ne vanno più italiani di quanti stranieri arrivano

40                                                          La bugia dell’Italia: sono Germania, Francia e Spagna i Paesi che accolgono molto di più

41 NULLITÀ DEL MATRIMONIO       Coscienza e nullità matrimoniale

43                                                          Rito tridentino e nullità matrimoniale: le inattese analogie

45 PACE                                                La rete del Vaticano per i negoziati “Pronti a mediare tra Russia e Ucraina”

46                                                          La pace in Ucraina è possibile: ecco il piano per una tregua elaborato dal Vaticano

49 PREVIDENZA SOCIALE                  Congedi parentali e maternità: cosa cambia

50 PROCREAZIONE RESPONSABILE  Come può la Chiesa sviluppare il suo insegnamento sulla contraccezione artificiale?

51 RIFLESSIONI                                   Perché ascoltare i giovani

52 SACERDOZIO                                   Preti sposati. La carica dei 5mila «Siamo l’antidoto alla fuga dei fedeli»

53                                                          L’ombra della madre sul prete

55 SESSUOLOGIA                                «Contro la pornografia, educhiamo a sessualità e affettività»

56 SINODALITÀ                                   Se il celebrante scendesse dal presbiterio

57                                                          La diaconia e le diaconie

58 SINODO CONTINENTALE             Restituzione dei Documenti nazionali

58                                                          Sinodo 2021-2024: la parola ai continenti

60                                                          Conferenza Stampa di presentazione del Documento per la Tappa Continentale

60                                                          FAQ Frequently Asked Questions

61 SINODO NEL MONDO                  La Chiesa teme lo scisma della Germania ma non vede quelli già in corso

ABUSI

Abusi sui minori: Roma accanto alle vittime

Il 19 novembre, Giornata nazionale di preghiera, il primo convegno della diocesi. Intervengono il vicario De Donatis, il vescovo Reina e don Di Noto (associazione Meter). Spazio a due testimonianze. Le relazioni di Lugli (Servizio diocesano tutela minori) e del vescovo Ghizzoni (Cei)

Marta – il nome è di fantasia – è oggi donna di circa cinquant’anni, con una vita apparentemente serena. Ma quando era bambina, per lungo tempo, ha subito abusi da un parente stretto. Racconterà la sua dolorosa esperienza e il suo percorso di guarigione il prossimo 19 novembre, nel convegno organizzato dalla diocesi di Roma in occasione della II Giornata nazionale di preghiera della Chiesa italiana per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, che ricorre il 18 novembre. L’iniziativa, istituita in corrispondenza della Giornata europea per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, «coinvolge tutta la comunità cristiana nella preghiera, nella richiesta di perdono per i peccati commessi e nella sensibilizzazione riguardo a questa dolorosa realtà», come spiegano dalla Cei. E il convegno della diocesi è una delle tante iniziative che saranno organizzate in tutta la penisola. “Dalla parte delle vittime” è il titolo dell’appuntamento; il sottotitolo è il versetto del salmo 174 che dà il tema alla Giornata: “Il Signore risana i cuori affranti e fascia le loro ferite. Dal dolore alla consolazione”.

                Vittime che sono sempre più numerose, come racconta il report dell’ottobre 2021 elaborato dal Servizio analisi criminale del Dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell’Interno: tra i reati che maggiormente colpiscono i minori, oltre all’abuso dei mezzi di correzione, ci sono l’adescamento e la violenza sessuale in tutte le sue forme; più colpite le bambine rispetto ai bambini, soprattutto nella fascia di età tra 0 e 14 anni. La confermano i dati dell’associazione Meter sulla pedopornografia on line: nel 2021 il numero dei link a siti pedopornografici è salito da 14.521 a 14.679; i casi seguiti dal Centro ascolto sono passati da 111 a 167 mentre le richieste telefoniche sono quasi raddoppiate, passando da 284 a 406. Don Fortunato Di Noto, fondatore dell’associazione Meter nonché referente della diocesi di Noto, Ufficio Fragilità Servizio tutela minori e responsabile dei Centri di ascolto regionale della Conferenza episcopale siciliana, sarà tra i protagonisti del convegno di sabato 19, ospitato dalla Pontificia Università Lateranense. Alle 9 è previsto il saluto del cardinale vicario Angelo De Donatis, a cui seguirà l’introduzione del vescovo Baldassare Reina, incaricato del Servizio regionale per la tutela dei minori. Quindi l’intervento di don Di Noto e poi le due testimonianze: quella di Marta e quella di Rebecca, studentessa universitaria, che ha subito abusi dalla sua allenatrice di calcio, e che ha scelto di inviare un testo scritto. Seguirà la relazione di Vittoria Lugli, referente del Servizio diocesano per la tutela dei minori, e quella del vescovo Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio nazionale per la tutela dei minori, che presenterà i dati del Report sulle attività di prevenzione e formazione svolte dal Servizio della Cei. La partecipazione al convegno è libera previa prenotazione all’indirizzo tutelaminori@diocesidiroma.it, in quanto i posti sono limitati.

                «Abbiamo voluto far parlare le vittime, perché è a loro che dobbiamo pensare innanzitutto – spiega Lugli -. La tutela dei minori deve avvenire a tutto tondo, per questo è importante sensibilizzare gli educatori, i sacerdoti, gli insegnanti». Spiegano infatti dal Servizio nazionale: «Non si può distogliere lo sguardo davanti alle ferite provocate da ogni forma di abuso. Ecco, allora, che la consolazione diventa prossimità, accompagnamento, custodia, cura, prevenzione e formazione». Le parrocchie e le comunità sono invitate a organizzare momenti di preghiera o veglie sul tema; il Servizio della Cei mette a disposizioni un sussidio e materiali scaricabili per l’animazione.

Giulia Rocchi     Romasette         9 novembre 2022

www.romasette.it/abusi-sui-minori-roma-accanto-alle-vittime

per abusi. «Nessuna impunità, noi sotto choc»

Sono ore di profondo stupore e dolore, nella Chiesa francese. Ieri, si è appreso che sono stati 11 i Vescovi, in carica o non più in esercizio, «chiamati in causa» negli ultimi anni a livello giudiziario, in ambito civile o canonico. In 8 situazioni, le accuse hanno riguardato il tragico fronte degli abusi e proprio fra questi casi, c’è pure quello,

ivelato ieri con immediato clamore, di un porporato che ha partecipato all’ultimo Conclave.

Nel pomeriggio, nell’ambito della plenaria d’autunno dei vescovi a Lourdes, monsignor Éric de Moulins- Beaufort, presidente della Conferenza episcopale e arcivescovo di Reims, ha chiesto a sorpresa un incontro con la stampa non programmato, rivelando una breve lettera d’autodenuncia trasmessa da una delle personalità più note della Chiesa transalpina: il cardinale Jean-Pierre Ricard, 78 anni, arcivescovo emerito di Bordeaux e già alla guida, fra il 2001 e il 2007, della stessa Conferenza episcopale. «Oggi, allorché la Chiesa ha voluto ascoltare le persone vittime e agire in verità, ho deciso di non tacere più la mia situazione e di mettermi a disposizione della giustizia tanto sul piano della società, che su quello della Chiesa», scrive il cardinale, spiegando: «Quand’ero parroco, 35 anni fa, ho agito in modo riprovevole con una ragazza di 14 anni. Il mio comportamento ha necessariamente causato in questa persona delle conseguenze gravi e durature. Ho trattato di questo con lei e ho chiesto il Suo perdono, qui ora rinnovo la mia domanda di perdono, così come a tutta la sua famiglia. È in ragione di questi atti che ho deciso di prendere un periodo di ritiro e di preghiera. Chiedo infine perdono a quelli e quelle che ho ferito e che vivranno questa notizia come un’autentica prova». I fatti avvennero nella parrocchia Sainte-Marguerite, a Marsiglia.

Si tratta di un nuovo scossone particolarmente violento, nel clima già fosco segnato dalle recenti conclusioni della commissione indipendente d’inchiesta Ciase, presieduta dall’alto funzionario Jean-Marc Sauvé, vicepresidente onorario del Consiglio di Stato. Un organismo voluto dagli stessi Vescovi per cercare di neutralizzare la spirale dei silenzi che ha a lungo favorito il propagarsi del flagello degli abusi. Solo un mese fa, il precedente caso al centro dell’incomprensione dei fedeli aveva riguardato il vescovo uscente di Créteil, Michel Santier. L’anno scorso, era stato sanzionato dal Vaticano per «abusi spirituali con dei fini sessuali» verso due uomini maggiorenni. Fatti risalenti Agli anni Novanta, commessi nel quadro della confessione, quand’era sacerdote in Normandia e direttore di una scuola di formazione alla preghiera. Il fatto che la rivelazione del caso non sia giunta subito, ma circa un anno dopo le sanzioni, ha contribuito ad alimentare forti polemiche, condizionando pure l’ordine del giorno della stessa plenaria d’autunno dei vescovi.

Accanto a questi due casi, monsignor Moulins-Beaufort ha evocato «6 casi di vescovi che sono stati messi in causa davanti alla giustizia del nostro Paese o davanti alla giustizia canonica».

Per 2 ex vescovi, invece, sono state disposte inchieste a seguito «di segnalazioni fatte da un vescovo». Un ultimo caso è stato segnalato al procuratore della Repubblica, senza che finora ci siano stati seguiti giudiziari. Ma le autorità vaticane hanno comunque ordinato «misure di restrizione del ministero».

Oggi, per la chiusura della plenaria, i vescovi hanno pubblicato un messaggio in cui dicono che “non c’è, e non può esserci, impunità per i vescovi“. I vescovi francesi si rivolgono alla Nazione e ai cattolici di Francia. “Siamo consapevoli – si legge nel testo – che queste rivelazioni colpiscono dolorosamente le vittime, in particolare coloro che avevano scelto di fidarsi di noi. Vediamo lo choc di tanti fedeli, sacerdoti, diaconi, persone consacrate. Questi sentimenti sono anche i nostri. Membri dello stesso corpo ecclesiale, anche noi siamo feriti, colpiti in profondità“.

Nel caso di mons. Michel Santier, i vescovi ammettono “le responsabilità” e assicurano di aver lavorato durante l’Assemblea per “identificare le disfunzioni e gli errori che hanno portato a una situazione sconvolgente per tutti”.

“Qualcuno si sarà chiesto – scrivono i vescovi – se il diritto della Chiesa non abbia organizzato una forma di impunità o un trattamento speciale per i vescovi”. Al contrario, ribadiscono, “la responsabilità episcopale rafforza in coloro che la esercitano, il dovere di rettitudine“. I vescovi sottolineano che “per la natura stessa del loro ufficio apostolico, i vescovi dipendono direttamente dalla Santa Sede“. Per questo, “le procedure che li riguardano, sono più complesse e richiedono più tempo“. Da qui l’impegno a “collaborare con la Santa Sede sui necessari chiarimenti e semplificazioni” e la decisione di “istituire un Consiglio di Sorveglianza che ci permetterà di affrontare queste situazioni non più da soli e tra di noi”.

Anche i vescovi si chiedono che “merito” hanno oggi, alla luce delle “circostanze attuali” gli impegni presi un anno fa a seguito della pubblicazione della relazione della Commissione sugli abusi sessuali nella Chiesa (Ciase), secondo la quale in Francia sono 216.000 le vittime di violenze o aggressioni da parte di preti o religiosi cattolici in Francia fra il 1950 e il 2020. “Possiamo assicurarvi – scrivono oggi i vescovi nel messaggio – che è in atto una trasformazione delle pratiche, con l’aiuto di molti fedeli laici particolarmente qualificati, comprese le vittime. Le decisioni sono già state prese e attuate. Le diocesi e i movimenti ecclesiali sono più attivamente coinvolti nella protezione dei minori. I gruppi di lavoro decisi un anno fa consegneranno le loro conclusioni nel marzo 2023. Abbiamo appena esaminato i progressi con loro durante questa Assemblea. Questo lavoro sostanziale sta cominciando a dare i suoi frutti. Continueremo su questa strada“.

“Fratelli e sorelle, con umiltà ma con tutto il cuore, continuiamo il lavoro intrapreso per rendere la Chiesa una casa più sicura”, conclude il messaggio. “Le vittime restano più che mai al centro della nostra attenzione. Le vostre aspettative e richieste sono legittime e verranno ascoltate“.

Daniele Zappalà               “Avvenire” 8 novembre 2022

www.avvenire.it/chiesa/pagine/in-francia-undici-vescovisotto-inchiesta-per-abusi

Confessione abusi: “è stata accolta ieri da noi vescovi come uno choc”

Questa ammissione del cardinale Jean-Pierre Ricard è stata accolta ieri da noi vescovi come uno choc”. Così, mons. Eric de Moulins-Beaufort, arcivescovo di Reims e presidente della Conferenza episcopale di Francia, ha commentato il nuovo caso di abuso su minori che dopo “l’affaire Santier” coinvolge un altro membro dell’episcopato francese. “Potete immaginare la stima che avevamo per il cardinale tanto da eleggerlo per due volte nostro presidente”, dice mons. Moulins-Beaufort in una conferenza stampa convocata oggi a Lourdes, ricordando anche che il card. Ricard è stato vescovo a Grenoble, Montpellier e Bordeaux.Possiamo immaginare lo stupore delle diocesi e di tutti i cattolici di Francia. Devo precisare che il fatto di cui si parla, anche se accaduto molti anni fa, è stato oggetto di una denuncia al pm, poiché la giovane era minorenne all’epoca dei fatti, e di una denuncia al Dicastero per la Dottrina della fede”. Il presidente dei vescovi francesi fa quindi sapere che ad oggi in Francia sono sei i casi di vescovi che sono stati coinvolti davanti alla giustizia ordinaria o davanti alla giustizia canonica, ai quali ora si aggiungono i casi di mons. Santier e mons. Ricard. Altri due vescovi, non più in carica, sono oggi oggetto di indagine da parte della giustizia dopo le segnalazioni di un vescovo e una procedura canonica; un terzo è oggetto di una segnalazione alla Procura alla quale finora non è stata data risposta e ha ricevuto dalla Santa Sede misure restrittive nel suo ministero. In occasione di questa Assemblea, la Presidenza e il Consiglio permanente hanno potuto verificare con i funzionari interessati lo stato delle procedure e la situazione concreta di ciascuno di questi vescovi.

“Non spetta a me dire di più”, conclude mons. Moulins-Beaufort. “Non so molto di più sul cardinale Ricard rispetto a quello che lui stesso ha scelto di dire e rendere pubblico”. E aggiunge: “Se la Chiesa è composta da peccatori, deve fare in modo che questi peccatori non utilizzino il loro status ecclesiale per fare del male e in particolare per colpire persone fragili o vulnerabili o rese vulnerabili”.

(M.C.B.)               AgenziaSIR

www.agensir.it/quotidiano/2022/11/7/francia-confessione-abusi-card-ricard-mons-de-moulins-beaufort-e-stata-accolta-ieri-da-noi-vescovi-come-uno-choc

ACCOGLIENZA

: “Fra Noi”, per l’inclusione lavorativa servono

“facilitazioni alla mobilità, corsi di lingua, supporto alla genitorialità e garanzie per la casa”

Facilitazione dei percorsi per imparare la lingua italiana, incentivi e strumenti di mobilità leggera e condivisa per raggiungere il posto di lavoro, la possibilità di lasciare momentaneamente il centro di accoglienza per motivi di formazione o lavoro occasionale in un’altra regione, voucher di baby-sitting o attivazione di legami di vicinato per supportare i genitori soli, affiancamento nella ricerca di una casa in affitto, come la possibilità per le aziende di farsi garanti per il proprio lavoratore.

Sono alcune delle tante azioni individuate dal mondo non-profit, dalle imprese profit e dalle pubbliche amministrazioni che hanno lavorato fianco a fianco nel progetto “Fra Noi”, finalizzato all’inclusione economica e sociale dei rifugiati politici e titolari di protezione internazionale. Un progetto realizzato da Consorzio Communitas alla guida di 25 enti e cooperative sociali in tutta Italia, finanziato da Ue e Ministero dell’Interno con il Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (Fami).

È una sorta di manifesto quello che emerge dal convegno di questo pomeriggio, lunedì 7 novembre 2022, organizzato dal Consorzio Farsi Prossimo e Consorzio Communitas nella sede dello studio legale Studio Baker McKenzie (uno dei partner del progetto), in piazza Meda 3 a Milano, in cui mondo profit e Terzo settore affidano le proprie proposte al Ministero dell’Interno per favorire percorsi di incontro più efficaci tra candidati rifugiati e le aziende italiane.

Il progetto “Fra Noi” ha permesso in due anni di attivare percorsi professionali per 180 rifugiati e titolari di protezione internazionale proprio grazie alla collaborazione proficua tra i soggetti del terzo settore e le aziende profit, che ha prodotto risultati importanti: percorsi di formazione, tirocini lavorativi e contratti di assunzione in diverse imprese del territorio italiano. Proprio forti di questa esperienza maturata insieme, mettendo insieme esigenze delle persone titolari di protezione internazionale e aziende profit, oggi a conclusione di questo percorso vengono presentate le proposte congiunte.

A margine del convegno, in cui sono state presentate diverse esperienze positive di inserimento in azienda realizzate grazie al progetto Fra Noi, sono stati presentati anche alcuni video realizzati per la piattaforma TikTok con una serie di “consigli smart per entrare nel mondo del lavoro in Italia”.

(G.A.)                   Agenzia Sir                         7 novembre 2022

www.agensir.it/quotidiano/2022/11/7/rifugiati-fra-noi-per-linclusione-lavorativa-servono-facilitazioni-alla-mobilita-corsi-di-lingua-supporto-alla-genitorialita-e-garanzie-per-la-casa

AICCeF- Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari

In base all’art.9 dello Statuto è mio dovere e personale privilegio convocare l’Assemblea Ordinaria dei Soci dell’AICCeF, che si svolgerà in prima convocazione il giorno 1° dicembre 2022 alle ore 8,00 e, in seconda convocazione il giorno 2 dicembre 2022, alle ore 17.00.

L’Assemblea annuale si terrà in modalità a distanza, sulla piattaforma Zoom dell’Associazione-

L’Ordine del Giorno dell’Assemblea è il seguente:

1. Relazione del Presidente sulle attività sociali, dell’ anno in corso e del successivo.

2. Relazione del Segretario e del Redattore.

3. Approvazione dei Bilanci: consuntivo 2021 e preventivo 2022.

4. Proposta del Consiglio Direttivo di aumento delle quote sociali del 2023.

5. Varie ed eventuali.

            L’Assemblea dei Soci è un significativo momento di condivisione e di scambio di idee, essa determina l’orientamento generale dell’attività sociale e decide su tutte le questioni proposte dal Consiglio Direttivo.

            La Segreteria Vi invierà, in concomitanza dell’evento, il link per l’accesso, e le modalità di partecipazione alla riunione e alle votazioni.

Essendo l’Assemblea ordinaria una attività Istituzionale, non sono previsti crediti formativi

La Presidente             Stefania Sinigaglia

www.aiccef.it/it/news/assemblea-annuale-dei-1.html#cookieOk

BETTAZZI mons. LUIGI

Fuori tema (o drammaticamente “dentro”?)

Della presentazione dell’ultimo libro di Luigi Bettazzi e di una piega inaspettata. Metti una domenica pomeriggio piovosa nell’ex città dell’informatica in uno dei suoi luoghi storici, il Salone 2000 delle Officine Ico in via Jervis. È un dejà vu sempre difficile per chi in quel salone ha partecipato a centinaia di assemblee sindacali sotto lo sguardo bonario di Camillo Olivetti. A salvarti dalla tentazione di lasciarti andare ai ricordi  per sprofondare in una delle comode poltrone azzurre, la certezza che di lì a poco ti godrai la compagnia amabilissima di un uomo sagace, intelligente, ironico. E, forse, immortale, a giudicare dalla voce tonante e la lucidità perfetta dei suoi 99 anni.

Luigi Bettazzi (sua Eccellenza Reverendissima Vescovo di Ivrea, perché nel suo caso “ex” è un ossimoro) sale sul palco allestito in occasione della presentazione del suo ultimo libro, dal titolo meraviglioso “Sognare eresie”                                             Vedi newsUCIPEM n. 934, 30 ottobre 2022, pag.4

Raggiunge la postazione tra applausi affatto contenuti e accompagnato da Davide Gamba, della Libreria Mondadori e Rodolfo Buat, che all’ultimo momento sostituisce don Piero Agrano, assente per malattia.

Chi si aspetta una presentazione “canonica” (è il caso di dirlo) rimarrà però deluso; è Gamba stesso a chiarire l’impostazione di Bettazzi (“niente domande, che se no finisce come in televisione dove chi intervista rivolge domande a se stesso e a se stesso risponde. Il libro lo presento io”. E così, con la voce che dopo tanti anni non ha perso quella deliziosa inflessione bolognese sua Eccellenza incanta per oltre mezz’ora, come il pifferaio della favola la platea, alternando battute sagaci a citazioni perfette di questo o quel passo della Bibbia. Insomma, uno splendido giullare.

È chiaro che, alla fine del racconto sul suo ultimo libro, al divertito e affascinato Davide Gamba non resta che saltare a piè pari dall’oggetto della presentazione a qualcosa di più appetitoso. E così voilà la richiesta della reverendissima opinione sul neonato governo targato “Dio, Patria e Famiglia”, (opinione filosofica, ben inteso, non politica, ride sotto i baffi il libraio). Un assist che lo splendido leone raccoglie saltellando leggiadro tra parole (operai, privilegi, migranti) che gli appartengono da sempre. E lo stesso non si scompone neppure quando Buat (tocca a lui “provocare” Bettazzi) nomina nientemeno che l’aborto.

E qui l’ex Presidente di Pax Christi, nonché ultimo padre Conciliare ancora vivente, riprende una sua lucida riflessione di qualche mese fa e veste i panni del filosofo arguto, tirando in ballo la duplice dimensione della nostra mente: ragione e intelligenza (o intuizione). E prendendo a prestito il passo della Genesi secondo cui è il soffio divino dell’alito di vita a distinguere la polvere dall’essere vivente. si chiede, e ci chiede, quale alito di vita renda ciò che è ancora preliminare una persona umana. Quando diventa in grado, se pur ancora nel grembo materno, di poter vivere da essere umano e respirare autonomamente? E fino ad allora, invece? Se così fosse, continua Bettazzi, “questo sovvertirebbe la concezione dell’aborto da parte della Chiesa nel suo tradizionale orientamento” e quindi, conclude  “è doverosa una seria riflessione”.

L’applauso è dovuto, quando l’intelligenza fa il paio con il desiderio di comprendere e rende onore al dubbio. Il pomeriggio volge al termine, ma c’è chi sente il bisogno di prendere le distanze, di chiamare le cose con il loro vero (o presunto) nome, di riportarci alla realtà. È il Presidente del Centro Aiuto per la Vita/Movimento per la Vita di Ivrea, che prende la parola e “ridisegna” i termini della questione dell’interruzione di gravidanza; e le sue parole rifiutano in toto anche soltanto la possibilità di una decisione in piena libertà e coscienza da parte di una donna.

Ecco invece donne che rinunciano alla maternità, ma in fondo la desiderano e altre che “hanno bisogno soltanto” di qualcuno che spieghi loro “per bene” che qualsiasi sia la causa di tale scelta è possibile superarla se si offre loro un “aiuto vero”. Perché? Ma per il semplice motivo che la donna che sostiene di voler abortire “in realtà” non lo vuole sul serio. È costretta a farlo perché indigente, o abbandonata, o ripudiata, o single o chissà; diversamente NON farebbe questa scelta, senza ombra di dubbio.

Sua Eccellenza non raccoglierà l’assist, ahi lui (il Presidente). E dall’altra parte del palco nessuna donna si alza, nessuna ribatte, nessuna lascia la sala. Siamo, alcune di noi (ce lo diremo in seguito e qualcuna farà fatica a prendere sonno) ferite dalla scarsa o nulla considerazione dell’altra, della prossima loro, che accompagna queste parole. Ma più ancora, ci diremo dopo, ci ha scosse il dubbio di esserci assuefatte allo stato di cose presente, alla disabitudine al conflitto, all’indignazione che fa alzare di scatto dalla sedia e chieder conto.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, recita una poesia di Pablo Neruda. Ecco, forse a farci perdere il sonno stanotte è stata solo la banale paura di morire.

                               Simonetta Valenti (continua, forse… )   varie ventuali   Rosse Torri  24 ottobre 2022

www.rossetorri.it/fuori-tema-o-drammaticamente-dentro

CENTRO GIOVANI COPPIE

“Grammatica dell’inaspettato”

Secondo incontro del ciclo 2022-2023 del Centro Giovani Coppie San Fedele

Giovedì 17 novembre2022 incontro con Beatrice Corsale, psicoterapeuta sul tema:

“Calma e gesso. Se il figlio non arriva”

Di persona alle ore 21,00, nella Sala Ricci in piazza San Fedele 4, a Milano. Non è necessario prenotarsi.

                Chi proprio non riuscirà ad esserci potrà comunque vedere e ascoltare la conferenza sul canale YouTube del Centro.                                                                                   www.youtube.com/channel/UCYmTqw5sH7Qr2kxo-7F89kw

Negli ultimi decenni l’età in cui una coppia cerca un figlio si è spostata in avanti e, complice l’età non giovanissima, il figlio può tardare ad arrivare.

                L’incontro con la dottoressa Beatrice Corsale, psicologa e psicoterapeuta, autrice del libro “Invidia del pancione” (ed. Erickson) ha l’intento di far luce sulle tante reazioni emotive che la coppia ha di fronte il desiderio di un figlio che tarda ad arrivare.

emozioni in campo sono tante: si va dall’impazienza, alla tristezza, alla preoccupazione, fino all’invidia. Occorre che lei e lui ricordino i motivi che hanno spinto la coppia a maturare quel desiderio. Si può riflettere sul fatto che la strada della genitorialità è solo una delle tante possibili per avere una vita ricca di significato.

Beatrice Corsale, Psicologa e Psicoterapeuta, è Docente nelle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia dell’AIAMC, svolge attività clinica in qualità di psicologa e psicoterapeuta ed è titolare del sito www.psicologoansia.com È socio fondatore della Società Italiana di Psicologia Positiva ed è Consigliere dell’OTTO Medica del CAI Lombardia. È inoltre autrice di capitoli e di articoli scientifici. È vincitrice del Concorso Letterario per Psicologi (edizione 2019) con il racconto “La favola del fallimento” ed ha pubblicato con le Edizioni Erickson il volume “Invidia del Pancione. Una guida per riconoscere le proprie e mozioni e affrontare la ricerca di un figlio”.

Le conferenze del Centro Giovani Coppie sono aperte a tutti, senza distinzioni di età, fede religiosa, tipo di rapporto di coppia

https://centrogiovanicoppiesanfedele.it/wp-content/uploads/2022/08/Programma_incontri_2022-23.pdf

CISF – CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – n 41- 09 novembre 2022

  • imane nelle sale il nuovo film (diretto e interpretato) da Kim Rossi Stuart, “Brado”, la storia di un padre e di un figlio che si ritrovano                                                                                                        www.youtube.com/watch?v=WSJrbxEvKmc

 Sulla trama e sui contenuti che evoca è stata da poco fatta una conferenza, dedicata alla paternità, in un dialogo tra don Fabio Rosini e Gigi De Palo                                                www.youtube.com/watch?v=P7_EKiWubS0

  • È una delle domande che stanno alla base del nuovo rapporto annuale del Centro Internazionale Studi Famiglia, “Famiglia&Digitale. Costi e opportunità” (Edizioni San Paolo), in libreria il prossimo 30 novembre. Per avvicinarci all’uscita del volume, che fonda la sua analisi su una ricerca su oltre 2mila famiglie con figli, Federico Perali, economista dell’Università degli Studi di Verona, illustra il suo capitolo, elaborato insieme alla collega Martina Menon. Gli “acquisti digitali” caratterizzano (con un diverso impatto) tutte le fasce di reddito, e device e abbonamenti sono diventati per le famiglie “beni primari”.

L’intervista sulla pagina YouTube del Cisf [6 min 42 sec].                                  www.youtube.com/watch?v=FCH8ccLE3jw

  • Mentre il discorso programmatico di Giorgia Meloni ha toccato i vari “nodi” che interessano le famiglie – da un aumento dell’assegno universale all’impegno per una riforma fiscale a misura di famiglia, sul modello del quoziente familiare francese – sarà necessario monitorare, nei prossimi mesi, quanto tempo e quante risorse (dal Pnrr, ad esempio) verranno effettivamente investite per questi obiettivi. Dalle pagine del Sussidiario Francesco Belletti, direttore Cisf, esamina i primi passi del nuovo governo, compresa la nomina del neo-ministro per la Famiglia, la Natalità e Pari Opportunità, Eugenia Roccella. “Le politiche per la famiglia oggi potrebbero beneficiare di un duplice movimento di continuità e discontinuità”, scrive Belletti,” a partire dalle azioni di un nuovo governo che, oggettivamente molto diverso culturalmente dai progetti politici dei governi precedenti, può sicuramente introdurre alcuni elementi di innovazione rispetto al sostegno alla famiglia, ma potrebbe anche avvantaggiarsi di alcune soluzioni di continuità, attorno alle quali il consenso trasversale tra i  diversi partiti potrebbe rimanere elevato”.  
  • “La pandemia non è ancora finita e avrà effetti duraturi. L’isolamento sociale ha messo a dura prova la salute fisica e mentale degli anziani, che hanno dovuto rinunciare all’esercizio e alla socializzazione fuori casa“. Nelle conclusioni della ricercaAdvancing housing and health equity for older adults
https://unicalmondo.musvc2.net/e/t?q=0%3d1WHf5W%26y%3dZ%26n%3dUMc%26o%3dUEZ0W%268%3dEtM3P_rtfw_34_5xSs_EC_rtfw_290Tw.CpEs.AnOv45A.e78_OQvc_YfLvQeL_5xSs_ECd8s8uE7_OQvc_Yf9vIeL_5xSs_ECr83LrM6_OQvc_Yf9vIeL_5xSs_ECH45SaKq_qCkf_oaL7Fn06_hdOnKcB1D_HH8PiGt_oe4yQh_h4RiMB_CoK_bId85_8a4nhdNyQs_UMY2.IqC%26d%3dF8Pv6E.KeM%26vP%3d6T

 i ricercatori del Joint Center for Housing Studies dell’Università di Harvard sottolineano che le difficoltà della pandemia hanno rappresentato uno “stress test” rispetto alle soluzioni abitative e ai servizi per gli anziani, da cui si possono trarre alcune importanti lezioni: è necessario, ad esempio, “riconoscere come l’alloggio supporti la salute e il benessere indipendentemente dal fatto che un adulto più anziano sia “sano” o meno, e immaginare l’alloggio e la comunità come parte integrante di una buona vita in tarda età“.

  • Con una circolare, il 27 ottobre scorso, l’Inps ha fornito indicazioni operative sul decreto legislativo n.105/2022, che ha esteso il periodo durante il quale può essere fruito il congedo di paternità: allo stato attuale, il lavoratore padre dipendente ha diritto di astenersi dal lavoro per un periodo di 10 giorni lavorativi (che diventano 20 in caso di parto plurimo). A questo link su Bollettino Adapt un’approfondita analisi su tutte le novità e le tipologie di lavoratori coinvolti.

www.bollettinoadapt.it/la-disciplina-degli-strumenti-a-sostegno-della-genitorialita-alla-luce-delle-indicazioni-operative-fornite-dalla-circolare-inps-n-122-2022-tra-conferme-e-ulteriori-rinvii

  • Nel corso dell’assemblea nazionale dell’Associazione Famiglie Numerose, lo scorso 30 ottobre, è stato assegnato il premio alla migliore tesi di laurea su temi rilevanti per la famiglia. Hanno vinto, a pari merito, due tesi: «Curare fino alla fine» di Giacomo Salza (Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e la Famiglia, Pontificia Università̀ Lateranense) e «Padri dietro le sbarre: la genitorialità in carcere come occasione rieducativa» di Grazia Stefanuto (Iusve – Istituto Universitario Salesiano Venezia – Aggregato alla Facoltà̀ di Scienze dell’Educazione – Università̀ Pontificia Salesiana).

www.famiglienumerose.org/premio-tesi-di-laureala-famiglia-e-viva-terza-edizione-anno-2022

  • Abitare in una canonica, in un oratorio o in una struttura sussidiaria della parrocchia, per un’esperienza di fraternità, di accoglienza, di corresponsabilità pastorale: sono le “famiglie missionarie a km zero”, famiglie che hanno fatto una precisa scelta di vita alimentata dalla fede e che si raccontano online in vivaci pagine di testimonianza
  • www.famigliemissionarieakm0.it
  • https://famigliemissionariekm0.wordpress.com

Davide Perillo, Fuochi accesi. I ragazzi di Portofranco, un’esperienza di educazione e integrazione, San Paolo, Cinisello B. (MI), 2022, pp. 142, €. 14,00

“I ragazzi non sono vasi da riempire, ma fuochi da accendere” (Plutarco). Non si può non partire da questa frase per descrivere questo breve ma intenso volume, che racconta la storia di un’iniziativa di educazione extra-scolastica nata qualche anno fa a Milano, e oggi diffusa in molte altri parti d’Italia […]  Il progetto di Portofranco nasce quindi prima di tutto come servizio di sostegno scolastico- doposcuola, ma con alcuni elementi di novità che ne fanno un’esperienza tuttora originale e preziosa […] un libro semplice, diretto, attraverso cui si percepisce la potenza esistenziale di questi piccoli spazi liberati, in cui la difficoltà scolastica non è solo un voto e un giudizio di inadeguatezza, ma diventa la circostanza attraverso cui diventare più se stessi, pur nella fatica, grazie all’aiuto di compagni di viaggio […] [recensione completa] (F. Belletti)

https://unicalmondo.musvc2.net/e/t?q=7%3dMTBcQT%26s%3dW%260%3dRGZ%26A%3dR9WVT%262%3dBFJwM_DqZt_O1_yuop_90_DqZt_N64QI.6hG57sCw3yCEJp501.pN_DqZt_N6t9z9h_LmsW_V2Fk0_DqZt_N6jCE5w1h6_yuop_90NRjCE6u9IIAU.B4m%268%3d9KzPyR.u9F%269z%3dZMSA
  • (EU) – 15 novembre 2022 (13-14 CET). “How far have we come, and where are we headed? Reaching 8 billion humans on the planet”, a cura di Population Europe
https://population-europe.eu/events/how-far-have-we-come-and-where-are-we-headed-reaching-8-billion-humans-planet
https://openagenda.com/afc-france/events/culture-woke-lanti-culture
  • (IT) – 19 novembre 2022 (inizio ore 18.30). “La vita ibrida tra fragilità umana e performance tecnologica“, Miguel Benasayag, filosofo e psicanalista, dialoga con Ivana Pais e Giuseppe Riva, nell’ambito di Bookcity Milano, a cura di Vita&Pensiero
  • (MILANO) – 20 novembre 2022 (15-16.30). “Dialoghi tra clinica, psicologia e pastorale”, presentazione del volumeLa spiritualità nella cura” di C. A. Clerici e T. Proserpio, nell’ambito di Bookcity Milano, presso l’Università degli Studi di Milano [qui per info]
  • (IT) – 21 novembre 2022 (15-17). “La violenza di genere: la commissione parlamentare d’inchiesta e la CEDU dall’Italia all’Europa“, organizzato da Aiaf Veneto
https://unicalmondo.musvc2.net/e/t?q=3%3dOXHYSX%26y%3dS%26B%3dVMV%26C%3dVESXX%268%3d8HN3I_Fufp_Q5_5qqt_E6_Fufp_P0n9y0-95B97E.7N_5qqt_E6KJ-pEBNrDH_Ldsn_VsKDF212M_5qqt_E6PdER1y5n_Fufp_P0DZ_Fufp_P0YE15147Hn-RO-H2L3GoH3-VMRP-hRfgrVtgzN.F20%26q%3dCIM93P.HrJ%267M%3dIQQX

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CHIESA DI TUTTI

l Papa: stiamo tirando fuori i casi di abusi, altre istituzioni li coprono

Francesco di ritorno dal Bahrein ha evidenziato i passi in avanti della Chiesa nella lotta agli abusi e ha citato il caso di Boston. La Chiesa deve «vergognarsi delle cose brutte, così come (dire) grazie a Dio per le cose buone che fa», e gli abusi sessuali sono una cosa molto brutta di cui vergognarsi, ha sentenziato il Papa nel volo di ritorno dal Bahrein, sollecitato dalla domanda del giornalista Hugues Lefevre dell’agenzia I. Media.

Abusi sessuali in famiglia. Il problema degli abusi, ha detto il Papa, «sempre c’è stato, non solo nella Chiesa ma dappertutto. Voi sapete che il 42-46 % degli abusi sessuali si fa in famiglia o nel quartiere; questo è gravissimo, ma sempre l’abitudine è stata quella di coprire, in famiglia ancora oggi si copre tutto, e anche nel quartiere si copre tutto o almeno la maggioranza dei casi».

La prima volta della Chiesa. «Un’abitudine brutta – l’ha definita Papa Francesco che nella Chiesa è cominciata a cambiare quando c’è stato lo scandalo di Boston ai tempi del cardinale Law (2001) che, a causa dello scandalo, ha dato le dimissioni; fu la prima volta che (un caso di abusi) uscì come scandalo.

Da allora la Chiesa, ha proseguito il Papa, ha preso conoscenza di questo e ha cominciato a lavorare sul tema degli abusi, «mentre nella società e in altre istituzioni normalmente si copre. Quando c’è stato l’incontro dei presidenti delle conferenze episcopali (su questo tema) ho chiesto all’Unicef, all’Onu, le statistiche di questo (fenomeno), i dati percentuali: nelle famiglie, nei quartieri, nelle scuole, nello sport ed è stato fatto uno studio accurato che ricomprendeva anche la Chiesa».

“Una piccola minoranza” «E qualcuno – ha osservato il pontefice – dice che noi siamo una piccola minoranza, ma (io dico) se fosse anche un solo caso sarebbe comunque tragico, perché tu sacerdote hai la vocazione di far crescere la gente e comportandoti così invece la distruggi. Per un sacerdote l’abuso è come andare contro la propria natura sacerdotale e contro la propria natura sociale, per questo è una cosa tragica e non dobbiamo fermarci, non dobbiamo fermarci».

Il Papa ha citato lo scandalo sugli abusi nella diocesi di Boston: «In questo svegliarsi, fare delle indagini e muovere le accuse, non sempre (e dovunque) è stato tutto uguale, alcune cose sono state nascoste, prima dello scandalo di Boston si cambiava la gente (si spostavano i sacerdoti), adesso è tutto chiaro e stiamo andando avanti su questo punto, per questo non dobbiamo stupirci che vengano fuori casi come questo, ora mi viene in mente un altro caso di un altro vescovo, ce ne sono sai? E (ora) non è facile dire “noi non lo sapevamo” o “era la cultura dell’epoca e continua ad essere la cultura sociale quella di nascondere”».

          “L’eroicità del cardinale O’Malley. La Chiesa, ha continuato Papa Francesco, «su questo è decisa e voglio ringraziare pubblicamente qui l’eroicità del cardinale O’Malley, un bravo frate cappuccino, che ha intuito il bisogno di istituzionalizzare questo con la Commissione della Tutela dei minori che sta portando avanti e questo ci fa bene a tutti quanti e ci dà coraggio. Stiamo lavorando con tutto quello che possiamo ma sappi che ci sono persone dentro la Chiesa che ancora non vedono chiaro, non condividono… è un processo quello che stiamo facendo e lo stiamo portando avanti con coraggio e non tutti abbiamo coraggio; delle volte c’è la tentazione dei compromessi, e siamo anche tutti schiavi dei nostri peccati ma la volontà della Chiesa è di chiarire tutto». 

“La vergogna è una grazia” Il Papa ha rivelato di aver ricevuto «negli ultimi mesi due lamentele per casi di abuso che erano stati coperti e non giudicati bene dalla Chiesa: subito ho chiesto di studiare di nuovo (i due casi) e ora si sta facendo un nuovo giudizio; c’è anche questo quindi, la revisione di giudizi vecchi, non ben fatti. Facciamo quello che possiamo, siamo tutti peccatori, sai? E la prima cosa che dobbiamo sentire è la vergogna, la profonda vergogna di questo. Credo che la vergogna è una grazia».

La lezione di Sant’Ignazio. «Noi possiamo lottare contro tutti i mali del mondo ma senza vergogna… (è inutile), per questo – ha concluso il Papa – mi ha stupito che sant’Ignazio.

www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-11/papa-francesco-viaggio-apostolico-bahrein-intervista-aereo.html

Gelsomino Del Guercio – Alateia plus                    08 novembre 2022

https://it.aleteia.org/2022/11/08/il-papa-stiamo-tirando-fuori-i-casi-di-abusi-altre-istituzioni-li-coprono/?utm_campaign=EM-IT-Newsletter-Daily-&utm_content=Newsletter&utm_medium=email&utm_source=sendinblue&utm_term=20221108

Il cardinale pedofilo

Jean-Pierre Ricard, cardinale e vescovo emerito di Bordeaux, ha confessato di aver violentato una ragazzina di 14 anni. Il fattaccio è scoppiato ieri, 7 novembre, in piena assemblea dei vescovi francesi, a Lourdes. È stata data la notizia che undici vescovi francesi sono o segnalati o sotto inchiesta in rapporto a possibili crimini di pedofilia. Ma il capitolo più impressionante della notizia è che tra questi undici si trova anche Jean-Pierre Ricard, cardinale e vescovo emerito di Bordeaux.

 Questi si è autoaccusato di aver fatto violenza a una ragazzina di 14 anni, quando era parroco nella parrocchia di Santa Margherita, a Marsiglia. Il fatto risale a trentacinque anni fa, esattamente al 1987. “Mi sono comportato in maniera colpevole con una ragazza di 14 anni. Il mio comportamento, per forza di cose, ha causato in questa persona conseguenze gravi e durature”. Il cardinale riferisce di aver chiesto perdono alla persona offesa e dice di rinnovare la sua richiesta di perdono a lei e alla sua famiglia.

Vescovo, cardinale, presidente dei vescovi francesi. E pedofilo Jean-Pierre Ricard non è una persona qualsiasi. È stato nominato vescovo ausiliare di Grenoble da Papa Woytjla nel 1993. È stato presidente della conferenza episcopale francese dal 2001 al 2007. Nel 2002 diventa membro della congregazione della dottrina della fede, che ha, tra i suoi compiti, quello di giudicare di casi di pedocriminalità. Nel 2006 viene creato cardinale da Papa Ratzinger. Nel 2014 papa Francesco lo nomina membro del consiglio per l’economia. Si dimette dalla carica di vescovo di Bordeaux nel 2019, per raggiunti limiti di età.

                La Croix, il giornale cattolico francese, dedica la prima pagina del numero che porta la data di oggi, 8 novembre, al fatto e titola “Dolorosa verità” con un articolo di fondo che ha il titolo di “Sidération”: sbalordimento. Inizia così: “Come qualificare la crisi senza fine attraversata dalla Chiesa di Francia? Terremoto? Sfaldamento? Catastrofe? Una parola sembra la più adatta: Apocalisse, nel senso etimologico di ‘svelamento’”. Il quotidiano dedica poi due intere pagine, la 2 e la 3, al fatto: “La Chiesa di Francia di nuovo nella tormenta”.

Domande e inquietudini varie. Intanto, prima reazione: “chapeau” al giornale francese, giornale dei cattolici che parla senza reticenze di un fatto di tale gravità che interessa un vescovo, un cardinale e un vescovo e un cardinale come Jean-Pierre Ricard. L’insegnamento che “La Croix” ci trasmette è semplice: si è liberi non perché si dice quello che si vuole, ma perché si dice quello che si deve. E lo si dice non mascherandolo in qualche trafiletto di qualche pagina interna, ma in prima pagina e senza nascondere sorpresa dolorosa e smarrimento.

Poi ci si può consolare. In fondo anche nei dodici amici stretti di Gesù non erano tutti santi. Anzi, all’inizio non lo era nessuno. Lo sono diventati, faticosamente, dopo. Ma non tutti. Accanto a Pietro, Giacomo e Giovanni c’era anche Giuda.

Oggi si ha la sensazione che i Giuda sono un po’ troppi e i Pietro un po’ pochi. Resta da ricordare che sulla barca in tempesta c’è sempre Lui, Gesù di Nazaret. Ma avviene, di tanto in tanto, che lui dorma e i viaggiatori che sono con lui hanno la sensazione che la barca stia andando a fondo.

Alberto Carrara                        “la barca e il mare                          18 novembre 2022

CITTÀ DEL VATICANO

«Così i cardinali rubano i soldi del Vaticano», ecco le accuse dell’ex revisore dei conti Milone

L’ex revisore generale vaticano, Libero Milone, da anni in tensione con i vertici della segreteria di Stato per le opache circostanze intorno alle sue dimissioni nel 2017, ha deciso di passare alla guerra giudiziaria. E lo fa spargendo accuse pesantissime contro cardinali, alti prelati, giornalisti Rai e funzionari della Santa sede che, secondo le sue indagini nel ruolo di revisore dal 2015 al 2017, avrebbero disposto irregolarmente o direttamente intascato fondi vaticani. Assieme al suo collaboratore Ferruccio Panicco, Milone ha depositato al tribunale vaticano una citazione contro il segretario di Stato, Pietro Parolin, e contro l’ufficio del revisore generale, guidato da Alessandro Cassinis, chiedendo un risarcimento di poco meno di 10 milioni di euro complessivi per una combinazione di danni reputazionali, morali e per mancati guadagni successivi alle dimissioni.

Milone, che ha avuto una carriera di consulente di alto profilo – e proprio per questo era stato selezionato per controllare in modo indipendente i conti vaticani, seguendo i predicati desideri di trasparenza finanziaria di papa Francesco – sostiene che la sua credibilità professionale sia stata distrutta proprio perché si è trovato a duellare, anche pubblicamente, con figure vaticane, soprattutto con il cardinale Angelo Becciu, l’ex sostituto della segreteria di Stato improvvisamente cacciato e poi altrettanto improvvisamente perdonato da Francesco, e l’ex capo della gendarmeria vaticana, Domenico Giani, oggi presidente di Eni Foundation.

Nomi che già Milone aveva indicato in passato come suoi carnefici in alcune interviste e conferenze stampa. Nella citazione inviata in Vaticano, stavolta, Milone attacca ad alzo zero anche il segretario di stato Pietro Parolin, Cassinis (al tempo suo vice revisore, poi promosso «nonostante avesse partecipato a tutte le attività del dottor Milone», si legge nell’esposto che evidenzia che «Righini assistette in silenzio all’interrogatorio del dottor Milone e poi alle dimissioni estorte con la minaccia dell’arresto») e i promotori di giustizia, cioè i magistrati del papa già criticati per la  gestione del processo contro Becciu e sulla presunta truffa sulla vendita del palazzo di Sloane Avenue a Londra.

La rimozione. La complicata mediazione intavolata da Milone con la segreteria di Stato negli scorsi anni – condita da un segreto di stato apposto al suo fascicolo e poi improvvisamente rimosso nella primavera del 2022, cosa che ha generato una nuova indagine dei promotori di giustizia vaticani che ora lo indagano ufficialmente per peculato per distrazione – è dunque naufragata, e così l’ex revisore ha dato mandato di denuncia allo studio dell’avvocato Romano Vaccarella, ex giudice costituzionale e già difensore, fra i tanti altri, di Silvio Berlusconi in diverse cause civili. L’aggravante non trascurabile dell’azione legale è che Panicco, malato di tumore, sostiene che la Santa sede si è rifiutata di restituirgli i documenti medici personali che conservava nel suo ufficio quando è stato perquisito, nel giugno 2017, cosa che avrebbe ritardato di almeno 12 mesi l’approfondimento delle indagini sulla sua condizione medica, che si stava aggravando.

In un incontro con alcuni giornalisti di testate italiane e internazionali a cui “Domani” ha partecipato, Panicco ha detto che il ritardo nella diagnosi gli ha fatto perdere fra i 15 e i 20 anni di aspettativa di vita. Accusa grave che dal Vaticano – sentito da chi vi scrive – negano seccamente, spiegando che «tutto è stato restituito a tempo debito», e cheavrebbe potuto senza alcun impedimento «chiedere al medico copia del cd-rom dei dati sanitari. L’istanza è perciò del tutto pretestuosa». Ma la denuncia è molto più di una richiesta di risarcimento da parte di professionisti danneggiati. Non solo la fine dell’incarico di Milone, che la Santa sede descrive come libere dimissioni mentre lui come una cacciata appositamente costruita con ragioni pretestuose, è stata accompagnata da accuse pesantissime come spionaggio e peculato. Ma Milone suggerisce che la cacciata sia legata alla sua attività d’indagine, che svela – pur senza fare nomi – per la prima volta.

Andiamo con ordine. Al tempo dei fatti, Becciu ha dichiarato che «Milone è andato contro tutte le regole e stava spiando le vite private dei suoi superiori e dello staff, incluso me. Se non avesse accettato di dimettersi, lo avremmo perseguito in sede penale» e la sala stampa vaticana, rispondendo alle controaccuse mosse da Milone in varie interviste, ha scritto che «l’Ufficio diretto dal dott. Milone, esulando dalle sue competenze, ha incaricato illegalmente una società esterna per svolgere attività investigative sulla vita privata di esponenti della Santa Sede».

Giani aveva detto che «a carico di Milone ci sono prove evidenti, inconfutabili», che però l’accusato dice di non avere mai visto. Traduzione della faccenda dal burocratese celestiale: Milone stava facendo un’attività di dossieraggio e deve ritenersi fortunato se la Santa sede, apponendo il segreto, ha congelato un’indagine penale a suo carico. Cosa fa Milone oggi per difendersi? Consegna alla giustizia vaticana quella che nella citazione definisce una «sommarissima e parzialissima elencazione della miriade di (eufemisticamente) “irregolarità” rilevate dal revisore generale man mano che, superando ostruzionismi e resistenze di ogni tipo, acquisiva la documentazione di una gestione quanto mai opaca ed allegra del patrimonio della Santa sede». Questo elenco contiene una serie di accuse pesantissime sulle gestioni irregolari di fondi che Milone era stato assunto per controllare.

Bambin Gesù e immobili. Fra queste c’è la «sparizione di 2,5 milioni donati dalla fondazione Bajola Parisani per la realizzazione di un nuovo reparto» all’ospedale Bambino Gesù; il reparto non è mai stato realizzato, scrivono i legali di Milone, e l’opera è stata «“sostituita” dall’apposizione di una targa di ringraziamento all’ingresso di un vecchio reparto!». L’accusatore segnala un bonifico da 500mila euro dall’ospedale Bambino Gesù alla Fondazione dello stesso istituto «asseritamente per una campagna di marketing, in realtà destinati al finanziamento illecito di partiti politici italiani in occasione delle elezioni politiche del 2013». Si parla dell’acquisto di un «immobile prestigioso e importante a Londra (presumibilmente diverso da quello noto di Sloane avenue, ndr) attraverso un trust di Jersey».

Milone nell’atto depositato questa mattina scrive che la compravendita non era conforme «alla normativa vigente nello Stato della Città del Vaticano», e aggiunge: «Un cardinale, provvedendo all’acquisto nella duplice qualità di Presidente dell’Apsa – per il 50% – e del Fondo Pensioni Vaticano – per il 50% – non solo aveva violato gli art. 15 e 16 della Legge antiriciclaggio XVIII dell’8 ottobre del 2013, ma aveva illegalmente ignorato l’esplicita contrarietà all’acquisto espressa dal prefetto della Segreteria per l’Economia, al quale spettava la decisione finale». Al tempo presidente dell’Apsa era Domenico Calcagno.

Bonifici “per errore” Un altro cardinale viene citato dopo avere restituito «500mila euro di spettanza dell’ente da lui amministrato» che erano «finiti sui suoi conti personali per “errore” (…) e cioè in parte per aver fornito il proprio Iban in luogo di quello dell’ente creditore». Lo stesso cardinale ha «sbadatamente “conservato” una grossa somma in contanti nella propria abitazione». Emerge nella denuncia un «illegale finanziamento da parte dell’Opbg (l’ospedale Bambino Gesù) alla Fondazione Monti di 50 milioni in evidente conflitto di interesse, con coinvolgimento della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione», si citano «indebiti prelievi» fatti da un anonimo «monsignore» nel 2015 per le attività del pontificio consiglio per la Famiglia. Si cita poi direttamente Giani, che nella versione dei legali di Milone ha un ruolo centrale in tutta la vicenda. Si parla di «illecito utilizzo di fondi della gendarmeria per coprire la quota delle spese di ristrutturazione (170mila euro) a carico del comandante Giani». In pratica, Giani secondo l’accusa non avrebbe pagato di tasca sua la parte dei lavori della casa in cui abitava, come suggerirebbero i regolamenti vaticani ai loro inquilini. «La casa non è di Giani, ma del Vaticano», spiegano fonti vicine all’ex comandante. «Ora ci vive il nuovo comandante, non c’è alcun reato».

Fra addebiti mai giustificati, movimentazioni sospette su conti dello Ior, contractor assunti dal Vaticano per bonificare computer, microspie che controllano e poteri che si battono per contrastare la disciplina di trasparenza che il papa aveva ordinato, e che Milone stava mettendo in pratica, spunta perfino un «notissimo giornalista Rai» che ha «rapporti contrattuali decisamente anomali» con Propaganda Fide. Si cita come esempio la «locazione (…) di un sontuoso appartamento in pieno centro di Roma».

La rottura. Nell’atto di citazione Milone allega i documenti a sostegno della sua tesi, che poi sono le relazioni su ogni singolo caso anomalo che con cadenza mensile ha consegnato direttamente al papa (e in copia a Parolin). Gli incontri abituali fra Milone e il papa cessano però «in maniera improvvisa e inaspettata» a partire dal 1° aprile 2016, data che l’accusatore mette in connessione (parla di «strana coincidenza») con un dialogo in cui ha esposto a Becciu la sua visione di come sarebbe dovuta avvenire la revisione contabile, cioè in modo indipendente e secondo gli standard di revisione internazionali. Secondo Milone, il porporato aveva un’idea molto diversa di come avrebbe dovuto agire il revisore generale, muovendosi cioè in uno spazio più limitato e senza il potere di pretendere la documentazione necessaria dai dicasteri. È da questo conflitto che ha inizio una vicenda molto più profonda e articolata della rimozione di un professionista assunto per la revisione contabile del Vaticano.

Mattia Ferraresi e Emiliano Fittipaldi     “Domani”          11 novembre 2022

www.editorialedomani.it/fatti/cosi-i-cardinali-rubano-i-soldi-del-vaticano-ecco-le-accuse-dellex-revisore-dei-conti-milone-gdvrl3go

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221111ferraresifittipaldi.pdf

Mazzette in Vaticano

Gianluigi Nuzzi  “La Stampa”     11 novembre 2022

www.lastampa.it/vatican-insider/2022/11/11/news/mazzette_in_vaticano_lex_revisore_cacciato_nel_2017_fa_causa_alla_santa_sede_buste_con_contanti_e_soldi_ai_partiti-12232229

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221111nuzzi.pdf

CONCILIO VATICANO II

Il giorno in cui si aprì il Concilio Vaticano II: le parole di Giovanni XXIII e gli sguardi a Ottaviani

La grande cerimonia per l’apertura del Concilio Vaticano II si è conclusa da poco e papa Giovanni XXIII sta facendo ritorno nel suo appartamento nel Palazzo Apostolico. Prende l’ascensore interno del Palazzo Apostolico assieme al suo segretario particolare monsignor Loris Capovilla. «Il Papa non fa confidenze, ma ammette in poche sillabe che durante la Gaudet (il discorso inaugurale pronunciato davanti a 2.500 vescovi, patriarchi e cardinali di tutto il mondo, ndr) ha buttato sovente l’occhio “sul suo vicino di destra”, il cardinale Alfredo Ottaviani: collocato in quella posizione dal cerimoniale pontificio, il segretario del Sant’Uffizio era chiaramente a destra anche del discorso; e Roncalli ne monitora le reazioni».

È uno dei curiosi aneddoti che Alberto Melloni, scrittore e storico della Chiesa, racconta nel suo libro “Persino la luna. 11 ottobre 1962: come papa Giovanni XXIII aprì il Concilio” (pubblicato da Utet, pagine 160). Certo il focus del libro è quella storica giornata dell’11 ottobre 1962 quando papa Giovanni XXIII aprì il Concilio Vaticano II, ma il lettore è accompagnato dall’autore anche alle radici di quell’evento, cioè quando lo stesso papa Roncalli, eletto da pochi mesi (la fumata bianca arrivò la sera del 28 ottobre 1958), annunciò a San Paolo fuori le Mura la sua intenzione di indire il Concilio ecumenico, il Sinodo della Chiesa di Roma e l’aggiornamento del Codice di diritto canonico. Era il 25 gennaio 1959 e anche in quella occasione Giovanni XXIII guardò le espressioni sorprese dei cardinali e dei presenti che ne ascoltarono l’annuncio. Ma quel giorno, spiega Melloni, non fu soltanto “un’ispirazione dello Spirito” come ebbe a dire lo stesso papa Roncalli, ma anche un processo che in modo carsico aveva segnato la storia della Chiesa cattolica dal 1870, quando la breccia di Porta Pia da parte dell’esercito italiano con la conseguente presa di Roma e la fine dello Stato pontificio, portò all’interruzione del Concilio Vaticano I, voluto da Pio IX. L’autore ricorda come l’idea di un nuovo Concilio sfiorò anche altri Pontefici, tra cui anche Pio XII immediato predecessore di Giovanni XXIII, ma alla fine non si passò a fatti concreti. Ma il Concilio che papa Giovanni XXIII ha in mente sembra essere profondamente differente dai precedenti, caratterizzati da condanne di idee e pensieri. Quello che si aprì sotto lo sguardo attento di Giovanni XXIII quella mattina di ottobre di 60 anni fa, voleva recuperare un volto misericordioso e capace di parlare all’uomo d’oggi.

Nel suo libro lo storico Melloni racconta come la fase preparatoria durata tre anni non fu esente da tentativi di addomesticare questo appuntamento soprattutto da parte dell’allora Curia Romana. Tentativo fallito anche per le osservazioni che gran parte di padri conciliari fece durante la prima sessione del Concilio. E qualcuno sperò probabilmente che persino il corso naturale della vita (papa Roncalli aveva 77 anni) aiutasse ad evitare l’evento. Non sarà così e si arriverà a quell’11 ottobre 1962 che ha segnato una svolta nella vita della Chiesa universale. E il racconto di quella giornata, che lo stesso Roncalli disse che sarebbe rimasto “nella mia memoria come nella vostra”, non poteva non terminare con “il discorso alla luna”, cioè il breve saluto che papa Giovanni XXIII fece dalla finestra del suo studio del Palazzo Apostolico alle decine di migliaia di fedeli che la sera di quel giorno si radunarono in piazza San Pietro per dare vita a una fiaccolata. Un discorso non previsto, ma monsignor Capovilla riuscì a stuzzicare la curiosità del Papa, parlandogli delle decine di migliaia di persone in piazza. «Va bene. Darò una benedizione» disse il Papa. Andrà diversamente. Parole pronunciate a braccio, non preparate, ma che è ancora riecheggiano nel mondo, legandosi per sempre all’avvio del Concilio Vaticano II.

Enrico Lenzi       “Avvenire”         8 novembre 2022

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221108lenzi.pdf

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Iniziativa on line

COPPIE

Sempre più coppie senza figli: come invertire la rotta?

Il trend demografico non è certo positivo per l’Italia. Bisognerebbe invertire la rotta: un compito che deve riguardare non solo un Ministero. Quali potrebbero essere gli obiettivi del lavoro del Signor Ministro (o meglio Signora Ministra, come ha indicato nel 2013 l’Accademia della Crusca) per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità? Può essere utile in proposito il pensiero apparso su un libro pubblicato di recente (Mariolina Venezia, Il mondo secondo Imma Tataranni, Mondadori). “Considerato il buco dell’ozono, lo scioglimento dei ghiacci al Polo Sud e al Polo Nord, l’arretrare della foresta amazzonica, l’aumento delle neoplasie, il terrorismo internazionale, l’inflazione e la recessione, le pandemie le guerre i disastri nucleari l’incomunicabilità fra le nazioni e il prezzo esorbitante dei pannolini, fra tutti gli esseri umani quelli che decidono di mettere al mondo dei figli sono i più scriteriati. A voler essere gentili”.

Questo pensiero formulato, da un personaggio televisivo che in questo periodo ha raccolto molta audience con la sua fiction, a proposito di uno degli argomenti che stanno nel titolo del Ministero, al di là di ciò che ciascuno pensi a proposito dei singoli eventi nominati (ad esempio, il costo ritenuto esorbitante dei pannolini), attraverso un’immagine che mette in fila argomenti che rappresentano sicure problematicità dei tempi che stiamo vivendo dà conto delle difficoltà che ci si possono aspettare per il raggiungimento degli obiettivi (in questo caso sulla natalità) che dovrebbero caratterizzare il Ministero. Con le poche righe che seguono non si vuole, come spesso succede all’inizio di un nuovo impegno, tirare la giacchetta al Ministro per indicare necessità, esigenze, problemi o addirittura per suggerire cosa sarebbe meglio fare, però si ritiene utile mettere in fila qualche dato, qualche numero che faccia capire, almeno per alcune delle tematiche che si suppone dovrà affrontare il Ministero, sia le difficoltà del contesto attuale che le eventuali opportunità che ne possono nascere.

                Lo spunto viene dal più recente Rapporto Istat sulle previsioni relative al futuro demografico del nostro Paese (Istat, Report: Previsioni della popolazione residente e delle famiglie, 22 settembre 2022),

www.istat.it/it/archivio/274898

REPORT-PREVISIONI-DEMOGRAFICHE-2021.pdf

 previsioni (con le tipiche problematicità che un esercizio del genere si porta sempre dietro) che Istat ha predisposto a partire dai dati noti all’Istituto di Statistica al 1.1.2021 e che già nel titolo forniscono tre chiare indicazioni: la popolazione residente è in decrescita, ci saranno più anziani e le famiglie saranno più piccole.

www.ilsussidiario.net/news/allarme-demografico-senza-politiche-per-famiglie-e-giovani-litalia-restera-anziana/2418381

Ma vediamo i dettagli. Nei 10 anni che vanno dal 2021 al 2030 è attesa una decrescita della popolazione residente: da 59,2 milioni si passerà a 57,9 milioni, con una decrescita ancora maggiore nei decenni successivi. La diminuzione di popolazione interesserà tutto il territorio, pur con differenze che indicano una decrescita minore al Nord e una molto maggiore al Sud. Inoltre, sempre alla luce delle ipotesi utilizzate da Istat, non sembra che il segno negativo della dinamica naturale della popolazione possa essere controbilanciato dai flussi migratori.

Guardando alla struttura per età della popolazione è evidente che il Paese è dentro una fase accentuata e prolungata di invecchiamento e ci si aspetta nei prossimi anni un’amplificazione di questo processo (soprattutto per l’arrivo delle folte generazioni degli anni del baby boom: nati negli anni ’60 e ’70), il che implica da una parte che l’impatto sulle politiche di protezione sociale sarà importante dovendo fronteggiare i fabbisogni di una quota crescente di anziani, e dall’altra, diminuendo il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più), ci si attendono potenziali effetti significativi sul mercato del lavoro. Un maggior numero di anziani può però generare anche risvolti positivi nel momento in cui queste persone possono svolgere un ruolo attivo nella società (supporto alle famiglie nella cura dei nipoti, sostegno economico, attività di volontariato…).

                Nei prossimi anni.

www.ilsussidiario.net/news/nascite-lavoro-blangiardo-le-illusioni-da-evitare-sullimmigrazione/2394293

 Sulla base dei livelli di fecondità riscontrati negli ultimi anni ci saranno meno coppie con figli e più coppie senza: entro il 2040 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli (oggi una su tre), più di una su cinque non ne avrà, e si sta andando verso un Paese dove le coppie senza figli potrebbero numericamente sorpassare quelle con figli. La dinamica demografica in atto, che chi scrive valuta negativamente, sta determinando una riduzione delle nuove generazioni e non ci sono al momento fattori che possano far pensare a inversioni di rotta: questo sia a causa del numero decrescente di donne in età fertile che della prolungata tendenza a posticipare la genitorialità. Tutti questi elementi di demografia presentano peraltro specifiche variazioni nelle diverse zone del Paese, e partecipano a marcare ancora di più le differenze tra Nord e Mezzogiorno.

                Certo, sono scenari di previsione, frutto quindi di ipotesi sempre discutibili sull’evoluzione dei fenomeni demografici e sociali di maggiore rilevanza e senza tenere conto che si possano verificare eventi imprevisti (un’altra pandemia? una guerra?), ma sono proprio i numeri che servono per la programmazione di cui si deve occupare un ministro. Volendo essere sinceri si deve dire che la demografia non aiuta di sicuro il compito, anche perché gli eventi demografici sono facilmente descritti dai numeri, ma i numeri rappresentano visioni, preoccupazioni, aspettative, speranze, modalità di intendere la vita, comportamenti sociali, e non si può pretendere che con il solo lavoro del Ministro (e del Ministero) si possa influire significativamente su una mentalità che caratterizza da tempo larghe fasce di popolazione, in particolare giovanile. E forse non è nemmeno il compito che si può prefiggere un ministro. Vero è, però, che al Ministro si può chiedere di individuare un percorso di azioni positive, dirette ovvero di contesto, di iniziative, di stimoli, di incentivi (non solo ma anche, perché no, economici)

www.ilsussidiario.net/news/56-mln-di-poveri-ecco-le-mosse-per-aiutare-le-famiglie-e-intervenire-sui-poveri/2424864

che aiutino gli eventi demografici a indirizzarsi, almeno un po’, diversamente dalle previsioni (negative) a oggi ragionevolmente formulate dall’Istituto di Statistica. Per ottenere questo risultato occorre coinvolgere tutti i Ministri e Ministeri che possono dare una mano, facendosi anche aiutare dalla società civile che per su questi argomenti è particolarmente ricca di esperienze significative.

Carlo Zocchetti                 Il sussidiario                     11 novembre 2022

www.ilsussidiario.net/editoriale/2022/11/11/sempre-piu-coppie-senza-figli-come-invertire-la-rotta/2438361

DALLA NAVATA

33° Domenica del tempo ordinario – Anno C

Malachia                      03, 20. Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia.

Salmo                          97, rit. Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine.

Paolo 2Tessalonicesi     03, 12. Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità.

Commento         Attenti ai segni dei tempi

Luca                            21, 05. In quel tempo mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: «Sono io», e: «Il tempo è vicino». Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». ¹Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, ¹¹e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. ¹²Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. ¹³Avrete allora occasione di dare testimonianza. ¹Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; ¹io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. ¹Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; ¹sarete odiati da tutti a causa del mio nome. ¹Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. ¹Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Commento

L’anno liturgico volge al suo termine e il nostro cammino riprenderà con il tempo di Avvento, inizio di un nuovo anno. Eccoci dunque in contemplazione delle realtà ultime, alle quali tende la nostra attesa: il Signore Gesù apparirà nella gloria come il Veniente. È Gesù stesso che sul finire dei suoi giorni terreni prima della sua passione e morte, mentre si trova a Gerusalemme per la celebrazione della Pasqua, di fronte al tempio, stimolato da una domanda dei suoi discepoli delinea “il giorno del Signore” (jom ’Adonaj) quale giorno della sua venuta.

Il tempio di Gerusalemme, la cui ricostruzione da parte di Erode era iniziata circa cinquant’anni prima, appariva come una costruzione sontuosa, che impressionava chi giungeva a Gerusalemme. Essa non era come le altre città capitali: era “la città del gran Re” (Sal 48,3; Mt 5,35), il Signore stesso, meta dei giudei residenti in Palestina o provenienti dalla diaspora (da Babilonia a Roma), la città sede (luogo, maqom) della Shekinah, della Presenza di Dio. Il tempio nel suo splendore ne era il segno per eccellenza, tanto che si diceva: “Chi non ha visto Gerusalemme, la splendente, non ha visto la bellezza. Chi non ha visto la dimora (il Santo), non ha visto la magnificenza”.

Anche i discepoli di Gesù nella valle del Cedron, di fronte a Gerusalemme, o sul monte degli Ulivi erano spinti all’ammirazione. Ma Gesù risponde: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”, parole che per i giudei suonavano come una bestemmia, al punto che saranno uno dei capi di accusa contro Gesù nel processo davanti al sinedrio (cf. Mc 14,58; Mt 26,61). Gesù non vuole negare la bellezza del tempio, né decretarne la distruzione, ma vuole avvertire i discepoli: il tempio, sebbene sia casa di Dio, sebbene sia una costruzione imponente, non deve essere oggetto di fede né inteso come una garanzia, una sicurezza. Purtroppo, infatti, il tempio di Gerusalemme era diventato destinatario della fede da parte di molti contemporanei di Gesù: non al Dio vivente ma al tempio andava il loro servizio, e la loro fede-fiducia non era più indirizzata al Signore, ma alla sua casa, là dove risiedeva la sua Presenza.

Gesù, del resto, non fa altro che ammonire il popolo dei credenti, come aveva fatto secoli prima il profeta Geremia: “Non basta ripetere: ‘Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore!’, e pensare che esso possa salvare, ma occorre vivere secondo la volontà di Dio, praticare la giustizia”(cf. Ger 7,1-15). Più in generale, le parole di Gesù erano fedeli all’annuncio dei profeti, che più volte avevano ammonito i credenti, mettendoli in guardia dal rischio di trasformare uno strumento per la comunione con Dio in un inciampo, un luogo idolatrico, una falsa garanzia di salvezza. E Gesù con il suo sguardo profetico vede che il tempio andrà in rovina, sarà distrutto, non sarà capace di dare salvezza a Israele.

Di fronte a questo annuncio del loro Maestro, i discepoli hanno una reazione di curiosità: “Quando accadrà questo? Ci sarà un segno premonitore?”. A questi interrogativi Gesù non risponde puntualmente, non formula predizioni, ma piuttosto avverte i discepoli su come è necessario prepararsi per “quel giorno” che viene. Nessuna data, nessuna risposta precisa alle febbri apocalittiche sempre presenti nella storia, tra i credenti, nessuna immagine terroristica come segno, ma delle indicazioni affinché i credenti vadano in profondità, leggano i segni dei tempi e vivano con vigilanza il proprio oggi, mai dimenticando, ma al contrario conservando la memoria della promessa del Signore e attendendo che tutto si compia. Gli ultimi tempi sono i tempi dell’allenamento al discernimento, a quell’esercizio attraverso il quale si può giungere a “vedere con chiarezza”, a distinguere ciò che è bene e ciò che è male e si possono trovare le ragioni per la decisione, per la scelta della vita e il rigetto della morte.

Il primo avvertimento di Gesù è una messa in guardia di fronte a quelli che si presentano come detentori del Nome di Dio: “Egó eimi, Io sono”. Tale pretesa coincide con l’arrogarsi una centralità, un primato e un’autorità che appartengono solo al Signore. Mai il credente discepolo di Gesù può affermare: “Io sono”, ma piuttosto deve sempre proclamare: “Io non sono” (cf. Gv 1,20-21) e fare segno, indicare il Cristo Signore (cf. Gv 1,23-36). Purtroppo gli umani cercano sempre un idolo in cui mettere fede, una sorta di tempio che li garantisca e – come insegna tristemente la storia – finiscono per trovarlo o in persone che vengono nel nome di Gesù ma in realtà sono contro di lui, o in istituzioni umane: istituzioni liturgiche, teologiche, giuridiche, politiche, che magari si proclamano volute da Cristo stesso, mentre in realtà sono scandalo e contraddizione alla fede autentica! Gesù avverte: “Non andate dietro (opíso) a loro”, perché l’unica sequela è quella indicata da Gesù stesso e testimoniata dal Vangelo, la sequela dietro a lui, l’unico maestro, l’unica guida (cf. Mt 23,8.10). Senza dimenticare che quando Luca, verso l’80 d.C., mette per iscritto queste parole di Gesù, conosce quante volte falsi profeti e impostori si sono presentati al popolo (cf. At 5,36-37; 21,38).

I cristiani, inoltre, devono saper distinguere la parousía, la venuta finale, accompagnata da eventi che mettono fine a questo mondo, da avvenimenti sempre presenti nella storia: guerre, rivoluzioni, terremoti, carestie, cadute di città, tra cui la stessa Gerusalemme… Oltre a ciò, vanno messe in conto le violente persecuzioni che i discepoli di Gesù conosceranno fin dai primi giorni della vita della chiesa (cf. At 4,1-31). Come Gesù è stato perseguitato fino alla morte, così pure avverrà per i suoi discepoli e le sue discepole, perché le autorità religiose non possono accogliere la buona notizia del Vangelo, la fine dell’economia del tempio, la fine del primato della Legge e del vincolo della discendenza giudaica; e le autorità politiche non possono sopportare la giustizia vissuta e predicata da Gesù! Ma cosa sono le persecuzioni se non un’occasione di rendere testimonianza a Cristo? Il discepolo lo sa: guai se tutti dicono bene di lui (cf. Lc 6,26), ma beato quando lo si insulterà, lo si accuserà e lo si calunnierà dicendo ogni male di lui, solo perché egli rende eloquente nella sua vita il Nome di Cristo (cf. Lc 6,22; Mt 5,11).

E questo non accadrà solo nell’ordinarietà dei giorni, ma ci saranno anche dei tempi e dei luoghi in cui i cristiani saranno arrestati e condotti a giudizio davanti alle autorità religiose, gettati in prigione e trascinati davanti ai governanti e ai potenti di questo mondo, quelli che esercitano il potere e opprimono i popoli, ma si fanno chiamare benefattori (cf. Lc 22,25). L’ora della fine certamente ha il potere di incutere paura, ma questa non deve diventare inibizione per il cristiano, non deve diventare terrore o confusione, bensì occasione per ritemprare la fiducia in Dio e la speranza nel suo Regno: la nostra sola paura dovrebbe essere quella di perdere la fede!

Ma il discepolo sa che nulla potrà separarlo dall’amore di Cristo, né la persecuzione, né la prigione, né la morte (cf. Rm 8,35). Anzi, Gesù gli assicura che nell’ora del processo gli saranno date parola e sapienza per resistere ai persecutori, che non potranno contraddirlo. In ogni avversità, anche da parte di parenti, familiari e amici, il cristiano non deve temere nulla. Deve solo continuare a confidare nel Signore Gesù, accogliendo la sua promessa: “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. Ecco la virtù cristiana per eccellenza, l’hypomoné, la perseveranza-pazienza: è la capacità di non disperare, di non lasciarsi abbattere nelle tribolazioni e nelle difficoltà, di rimanere e durare nel tempo, che diviene anche capacità di supportare gli altri, di sopportarli e di sostenerli. La vita cristiana, infatti, non è l’esperienza di un momento o di una stagione della vita, ma abbraccia l’intera esistenza, è “perseveranza fino alla fine” (cf. Mt 10,22; 24,13), continuando a vivere nell’amore “fino alla fine”, sull’esempio di Gesù (Gv 13,1). Ecco perché questa pagina evangelica non parla della fine del mondo, ma del nostro qui e ora, del tempo che precede la fine: la nostra vita quotidiana è il tempo della difficile eppure beata (cf. Gc 5,11) e salvifica perseveranza.

Enzo Bianchi, monaco

www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/172911/attenti-ai-segni-dei-tempi

DIALOGO

Tra i tanti validi modelli di dialogo, questo è il tempo della diakonia

Dialogo è una di quelle parole comuni che pronunciamo senza particolari problemi, e non facendoci carico della complessità che vi sta dietro. Molto spesso, senza distinguerla da altre altrettanto comuni e all’apparenza innoque, come ad esempio tolleranza: anche se è evidente che si dia una certa differenza tra il tollerare qualcuno, accettando illuministicamente che egli esista e dica la sua, e il decidere di dialogare con lui, accettando di mettere in discussione le nostre (presunte) certezze. Sta di fatto che, dopo anni di pressoché sostanziale impronunciabilità, il termine dialogo riprende a comparire con frequenza anche nel linguaggio ecclesiale. Messa la sordina al mantra dei pericoli del relativismo, papa Francesco sta fornendo un contributo essenziale a tale svolta, con una serie di gesti e discorsi che lasciano presagire l’avvio di una nuova stagione.

Ad esempio, nel discorso per i cinquant’anni del Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamici (PISAI), che ha formato molti presbiteri, laici e missionari al confronto col mondo islamico, il 24 gennaio 2015. In quel frangente Bergoglio utilizzò un’immagine simbolicamente eloquente: «Al principio del dialogo c’è l’incontro e ci si avvicina all’altro in punta di piedi senza alzare la polvere che annebbia la vista». Ecco, allora: non va mai dimenticato che non sono i massimi sistemi, le filosofie, le metafisiche, le religioni in quanto tali a entrare in dialogo, ma sono le persone, le donne e gli uomini, se messe nelle condizioni di poter dialogare.

Grandi eventi e verità. A partire dal Vaticano II, in riferimento al dialogo interreligioso, parecchia strada è stata percorsa. Proviamo a tratteggiarla, per scenari. Cominciando con il dialogo della spettacolarizzazione, quello – che ha ricoperto una notevole funzione simbolica – dei grandi eventi interreligiosi organizzati per mostrare che un pastore e un rabbino, un imam e un vescovo possono incontrarsi senza problemi e stringersi la mano. Gesti minimi, ma utili a invertire il corso di una storia secolare che ha favorito barriere e tensioni, scomuniche e conflitti, censure e anatemi. Il limite di tale tipo di appuntamenti è, peraltro, la loro ripetitività, il fatto che si celebrino sempre uguali a se stessi, faticando ad andare oltre la logica dell’incontro paludato e prevedibile, nel suo andamento e nel suo esito.

Un altro modello di dialogo sperimentato è quello del confronto sulle verità: tema decisivo e ostico, tuttavia essenziale. La strada dell’incontro basato esclusivamente su ciò che unisce, evitando di misurarsi su quanto divide, però, non porta lontano, spingendo ogni partner a nascondere per bene negli armadi i propri scheletri. Dire che il valore della pace è al centro di tutte le tradizioni di fede, ad esempio, è un’ovvietà ma anche una mistificazione: basta prendere i testi sacri per verificare che il sangue vi scorre in abbondanza; si ripassi la storia europea, con le stragi e non poche persecuzioni compiute nel nome di Dio; si analizzi l’atlante geopolitico per verificare che un terzo dei conflitti in corso – ivi compresa la guerra in Ucraina – possiedono una valenza anche religiosa. Pena la perdita della sua efficacia, il dialogo sulle verità non può prescindere da tali dati che, attraversando tutte le religioni, le mettono tutte sul banco degli imputati. Certo, quello della pace e della guerra non è l’unico tema di un dialogo centrato sulle verità delle varie tradizioni. Eppure, è questione centrale da cui derivano a cascata altre domande: chi è per noi l’altro? Come lo trattiamo, nel concreto? Su questo le principali tradizioni religiose hanno in genere evitato di misurarsi.

Vita e spiritualità. Per reagire all’astrazione del dialogo delle verità, si è poi optato per quello della vita, centrato sulle relazioni quotidiane: sicuro esercizio di ascolto e di condivisione, che ha permesso di scoprire i tesori dell’altro a partire dalla semplicità del suo racconto e della sua testimonianza personale. Il dialogo della vita è stato e resta opzione feconda, che però, per crescere, ha bisogno di un quadro più generale. Imparare da Ismail come prega e vive il Ramadan, e spiegargli chi sono per noi Agostino o Francesco d’Assisi, è una bella avventura di mediazione interculturale, in cui sono nate amicizie profonde che resistono nel tempo. Peraltro, il limite di tale modalità è quello di ogni esperienza di base: importante e rassicurante sul piano delle relazioni tra le persone, fatica a incidere sul contesto generale dove, sempre più spesso, crescono invece pregiudizi e sentimenti identitari e islamofobici.

Di moda, negli ultimi anni, il dialogo delle spiritualità. Intenso, rassicurante, persino gratificante. L’assunto è che siamo entrati in una fase nuova, nella post-secolarizzazione, che ha riportato in auge i temi dell’Assoluto e della trascendenza, di Dio e della fede. Ovviamente, non si tratta di un ritorno al passato, semmai a un futuro post-moderno. Oggi sono in tanti a percorrere sentieri spirituali diversi, a pellegrinare verso Santiago di Compostela o a seguire le lezioni di saggezza di un guru, disponibili a riconoscere il miracolo di una guarigione e aperti al confronto con la mistica ebraica o inebriati dal fascino delle danze sufi. Tutto discutibile e tacciabile di sincretismo, forse, ma questa sembra la merce oggi più appetibile nel supermarket delle religioni. Nel tempo della fusione olistica tra corpo, mente e anima, i temi della spiritualità irrompono con forza inattesa anche sul piano del dialogo interreligioso, almeno per chi è cresciuto nell’età della secolarizzazione e oggi, un po’ spaesato, si ritrova in territori sconosciuti su cui è faticoso camminare. Ma anche questo da solo non può bastare. Occorre andare oltre.

 Verso i poveri e i bisognosi. Diakonia è il lemma che nel Nuovo Testamento indica il servizio fraterno e ospitale che i credenti in Cristo praticavano verso i più poveri e bisognosi. È un campo che, attualmente, il dialogo tra le comunità di fede non sta ancora arando appieno, eppure il terreno è fertile e, con lavoro e fiducia reciproca, è plausibile immaginare poterne ricavare frutti abbondanti. Qualche seme gettato ha già dato i primi esiti: penso, ad esempio, all’azione ecumenica a sostegno degli immigrati, a partire dai Corridoi umanitari voluti da Sant’Egidio, dalla Federazione della Chiese Evangeliche in Italia e dalla Tavola Valdese; alle iniziative interreligiose di preghiera in cui ogni anno si ricordano i profughi morti nel Mediterraneo, il 3 ottobre, la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza; alla disponibilità con cui tante persone di diverse fedi si impegnano in scuole di alfabetizzazione o centri di accoglienza per migranti. Manca però, a tutt’oggi, un quadro teologico in cui collocare tali esperienze che, se scollegate, perdono molta della loro potenziale efficacia. Non si tratta di rinunciare agli altri segmenti, ciascuno dei quali ha un suo senso e una sua funzione, dal dialogo della vita a quello della spiritualità: ma, qoheleticamente, ogni cosa ha il suo momento, e questo è in primo luogo il momento del servizio e della diakonia reciproci. Perché il dialogo è fatto di carne e di gambe, e solo camminando insieme si può aprire il cammino.

Brunetto Salvarani, teologo, saggista, intellettuale poliedrico    Messaggero Cappuccino  06 novembre 2022

www.messaggerocappuccino.it/parola/17-e-sandali/e-sandali/1688-2022mc07-str-2

DIAVOLO

Il diavolo (devoto) veste Prada: lo (ri)conoscete?

Conoscete il diavolo devoto? Tentatore duro e puro che incoraggia quanti cercano il Cielo spingendoli in un’illusoria ricerca della perfezione. La sapienza non sta nell’indignarsi, ma nel dare battaglia al peccato nell’incessante conversione dei piccoli passi. «L’eternità entra nella nostra esistenza il giorno in cui facciamo rotta su Dio», ha scritto Teilhard de Chardin in genesi di un pensiero. L’arte di vivere da cristiani, vale a dire la ricerca della santità, non consiste nel diventare uno spirito fantasmatico, né nel disincarnassi, né nel lasciare la terra per meglio innalzarsi al Cielo: la santità consiste nel lasciare che lo Spirito Santo faccia in noi la Sua dimora, mendicando ogni giorno l’umiltà del cuore, lasciando che Cristo ci influenzi mediante la sua Parola e vivendo la lotta quotidiana della preghiera, l’incessante conversione dei piccoli passi, il coraggio necessario per evitare le occasioni di caduta e per evitare di discutere col tentatore.

                Uno fa sogni in grande, poi col tempo ci si accorge che la vita si vive nelle cose piccole, come un pezzo di pane posato sul tavolo della cucina, e che bisogna scegliere l’amore del Signore in ogni cosa ordinaria. La grandezza della nostra esistenza non avrà mai la dismisura dei nostri sogni, ma la profondità del nostro amore vissuto. Più cerchiamo la vita interiore, più diventiamo noi stessi. Più riceviamo lo Spirito di Dio, più abitiamo il nostro corpo come un tempio elevato sulla terra degli uomini.

In che senso “veste Prada”? Ho visto talvolta in certi religiosi, magari ancora novizi, la sottile tentazione di spiritualizzare ogni cosa in un’esistenza eterea che sembra non aggrapparsi più a nulla di tangibile e disprezza la pesantezza del mondo: «Bùttati giù!–dice il diavolo a Cristo nel deserto–gli angeli ti porteranno!» (cf. Mt 4,6) Il diavolo peggiore è quello devoto. Ha da parte delle frecce avvelenate apposta per quelli che cercano il Cielo, non le spreca per chi si involtola nel materialismo e nei piaceri effimeri.

Se la prende dunque coi migliori, con quelli che hanno il desiderio di Dio e che cercano sinceramente il Regno. Gli altri gli appartengono già e lui si guarda bene dal disturbarli come che sia: li coccola, li custodisce al sicuro dietro una cortina di ripari da ogni rischio. Li accarezza dolcemente come dei teneri peluche, se li culla come dei neonati. Eppure è pericoloso – pericolosissimo! –, il demonio devoto! Sembra un asceta… e invece è solo magro. Volentieri si agghinda di un abito penitenziale e affetta una “distinta urbanità” (come scrisse Agostino a proposito del giovane e brillante retore che egli stesso era stato prima della conversione): è questo il diavolo che veste Prada. Non ha mai bevuto un bicchiere di troppo, né si è mai girato a guardare di dietro il passaggio di una bella ragazza. Non fa mai il bis di lasagna, né di salsicce e patate, né di genziana o di ratafià: anzi veleggia tra il vegano e la cucina macrobiotica, mentre spilucca con aria costipata pochi granelli di quinoa equa e solidale al mezzo di un piatto enorme ma ben presentato. Di fianco a lui, i demonî della carne sono dei simpatici diavoletti: lui è tutto pieno della sua superbia – disprezza il corpo accusandolo di essere la fonte di ogni concupiscenza. Non dorme, non mangia, non beve, anzi vede in Cristo un «mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori» (Lc 7,34) e se ne va come un principe, accusatore duro e puro.

Anzitutto, convertirsi

                Come lo si combatte? Basta tornare alla terra sulla quale il Verbo ha posto la propria tenda. «Datele un bel pezzo di carne di pollo», diceva santa Teresa d’Avila quando sentiva parlare di religiose incline ad apparizioni ed estasi: «Il Buon Dio sta sul fondo delle marmitte». Eppure la grande Carmelitana aveva conosciuto fenomeni mistici, ma era una donna radicalmente carnale – e questo la salvava. La carne ci perde, talvolta; fondamentalmente, però, ci salva. Essa ci ricorda che non siamo degli angeli. Dio ci riacciuffa per la nostra collottola di carne quando siamo sull’orlo del precipizio. «È per il basso ventre che l’uomo fatica a prendersi per un dio», scriveva Nietzsche. Quanto buonsenso, questo Nietzsche! La grande Teresa aveva imparato poco a poco, tra le cadute e le lacrime, nella contemplazione della santa umanità di Cristo, a orientare verso il Padre la propria immensa seduzione, la propria sete disordinata di essere amata e ammirata. Aveva appreso ad amare quella carne tanto pesante che Dio aveva voluto indossare.

                Non l’ho mai visto negli anziani, il diavolo devoto, né presso i vecchi monaci, né presso le madri di famiglia o presso gli sposi fedeli… Hanno vissuto la prova, il sanguinolento dell’anima, la lotta contro le passioni, la pazienza dell’amore vissuto nel corso del quotidiano. Sono tornati indietro dalle loro illusioni sulla Chiesa e la amano di un amore più grande, perché più vero, come può amare la propria casa una solida massaia che non si spaventa più della polvere e che ha smesso di esasperarsi quando vede una macchia sulla tovaglia inamidata.

E basta: finiamola di indignarci! Chi si indigna è generalmente insopportabile e sempre sfiancante! Si rischia l’acufene. A forza di elevare alti lai, ci fanno venire sete!, e di sicuro la loro agitazione frenetica concorre al riscaldamento climatico. Le loro urla contribuiscono largamente alla vanità del mondo. L’indignazione non è sintomo infallibile di conversione. Cominciamo col convertirci, e tutto andrà meglio: le strutture non si riformano che mediante la conversione degli uomini.

Calma e gesso. Onore ai grandi dei tempi antichi! Hanno ottenuto questa sapienza! Hanno frantumato l’idolatrico carapace delle loro illusioni di santità, di impeccabilità e di angelica purezza. «Una parrocchia è un affare sporco – scrisse Bernanos –, e ancora di più lo è la cristianità». Si può lottare contro la sporcizia, ma sarebbe vano pretendere di sradicarla. È inevitabile che avvengano degli scandali – dice il Signore –, e i poveri li avremo sempre con noi. Cristo non è venuto ad annientare i peccatori, né per impedire gli scandali, né per sradicare la povertà, ma per orientare i nostri cuori verso il Padre. Egli solo renderà nuove tutte le cose. Nell’attesa, camminiamo come dei viandanti, tra consolazioni e desolazioni, tra cadute e riprese, ed è semplice sapienza acconsentire all’imperfezione, pur continuando a dare battaglia alla schiavitù del peccato. Una battaglia calma, però, e determinata – senza eccitazione. I migliori legionari sono calmi, durante la lotta: si affrettano lentamente. Festina lente. «L’uomo imbriglia il cavallo, ma solo a Dio appartiene la vittoria», dice il libro dei Proverbi (Pr 21). E allora, come dicono i giocatori di biliardo: calma e gesso.

Luc de Bellescize – [traduzione dal francese  di Giovanni Marcotullio]    05 novembre 2022

. https://it.aleteia.org/2022/11/05/diavolo-devoto-veste-prada-luc-de-bellescize/?utm_campaign=EM-IT-Newsletter-Daily-&utm_content=Newsletter&utm_medium=email&utm_source=sendinblue&utm_term=20221107

DONNE NELLA (per la ) CHIESA

Voci di donne da tutto il mondo

È online la versione italiana del report prodotto dal Catholic Women’s Council dopo un anno di consultazione sinodale con le donne

Ecco i punti del Report:

    Situazione delle donne nella Chiesa: guidata da donne dell’America Latina, della Spagna e dei Caraibi.

    Potere e partecipazione: preparato da donne europee e coordinato da leader tedesche e svizzere.

    Strutture, trasparenza e responsabilità: preparato da donne dell’Asia e coordinato da leader dell’India.

    Vita sacramentale: guidata da donne dell’Australia e della Nuova Zelanda.

    Resistenza e speranza: condotto da donne del Nord America.

www.catholicwomenscouncil.org/wp-content/uploads/2022/10/CWC-report_Italian_IN-ASCOLTO-Voci-di-Donne-da-tutto-il-Mondo.pdf

Estratto               passim

Pag. 6                   la situazione delle donne nella chiesa

2.286 donne hanno risposto a un’indagine virtuale condotta nel periodo dicembre 2021-gennaio 2022, mentre altre hanno partecipato a circa 60 workshop organizzati da alcune comunità e/o gruppi di donne.

La maggior parte di esse considera la propria partecipazione alla Chiesa ambigua, in quanto non hanno potere decisionale e sono essenzialmente volontarie, non ricevendo alcun compenso.

Tra le donne intervistate, la partecipazione alla Chiesa comprende:

Una piccola percentuale (3,8%) ricopre altri incarichi come ministro dell’Eucaristia, membro del coro, membro del consiglio parrocchiale o dei gruppi Caritas locali.

Solo il 4,4% si sente “pienamente coinvolta”.

È sorprendente che la maggior parte delle donne intervistate abbia subito violenze e, cosa meno sorprendente, viva un senso di invisibilità. Il 2,4% ha lasciato la Chiesa cattolica, mentre altre cercano attivamente spazi alternativi per vivere la propria fede e spiritualità.

Pag. 7   AFRICA

Il cattolicesimo è la più grande confessione cristiana. Le nostre sorelle keniote parlano di una società che poggia su uno sgabello a tre gambe: la costituzione, la cultura e il cristianesimo. Mentre la Costituzione parla di pari diritti per le donne, culturalmente le donne non possono ereditare proprietà. Il patriarcato, la gerarchia e la “supremazia maschile” all’interno del cattolicesimo aggravano questa disuguaglianza. Le donne sono spesso vittime di violenza di genere e femminicidio. C’è un alto tasso di disoccupazione, bassi tassi di matrimonio e la maggior parte dei bambini nasce da madri non sposate.

La casa, e spesso la Chiesa, sono luoghi pericolosi per donne e bambini.

Le donne hanno dichiarato di sentirsi usate dalla Chiesa ed escluse da una teologia romantica di Maria. La loro capacità di essere agenti della propria spiritualità e creatrici di gruppi spiritualmente nutrienti è limitata da un patriarcato e da un’oppressione interiorizzati. Tuttavia, grazie a un maggiore accesso all’istruzione, le donne stanno sfidando il patriarcato, rifiutando di conformarsi ai requisiti culturali e promuovendo l’uguaglianza con più voce, anche se il risultato può essere l’ostracizzazione.

                ASIA

I cristiani sono la minoranza della popolazione nella maggior parte dei Paesi asiatici (ad eccezione delle Filippine e di Timor Est). Il patriarcato è diffuso nelle chiese. Le donne subiscono violenze verbali, spirituali, sessuali e psicologiche, intensificate dal clericalismo e dall’abuso di potere dei chierici della Chiesa.

Comunità indipendenti dal controllo clericale si stanno sviluppando per fornire alle donne spazi alternativi per sperimentare, esprimere e sviluppare la propria spiritualità, per promuovere lo studio della teologia, per assistere le vittime della Chiesa e della violenza domestica. Essendo una minoranza, le donne lavorano con donne di tutte le fedi su questioni di giustizia sociale.

                               EUROPA

Le donne sono trattate e viste come assistenti, che si limitano a sostenere il lavoro del parroco. Allo stesso modo, i loro studi teologici e i loro contributi sono meno apprezzati.

Molte si allontanano dalla Chiesa e formano gruppi (virtuali e fisici) che offrono spazi sacri di condivisione e preghiera.

NORD AMERICA

Il razzismo, sotto forma di discriminazione, segregazione e atteggiamenti stereotipati, è vissuto nella Chiesa americana dalle donne nere e ispaniche cattoliche. Esse sono oppresse a livello istituzionale ed emarginate a causa del genere, della lingua, della razza, della cultura e dello status di immigrato. La violenza di genere è un problema serio. Molte donne hanno lasciato la Chiesa a causa del mancato riconoscimento dell’uguaglianza, della mancanza di fiducia e di sostegno e di una disconnessione con la predicazione che spesso è insidiosamente dannosa per le donne.

Pag. 8                   Potere, partecipazione, rappresentanza

Quando le donne di tutto il mondo parlano della loro esperienza nella Chiesa, il termine più comunemente usato è frustrazione. Le donne sono frustrate dall’abuso di potere, dal clericalismo, dalla discriminazione, dal sessismo e dalla paura che sperimentano negli ambienti ecclesiali. In tutto il mondo, l’assenza delle donne ai livelli decisionali e la loro esclusione dai ministeri ordinati sono viste come le maggiori forme di discriminazione e ingiustizia.

Il potere, così come viene esercitato dalla Chiesa, emargina le donne. Sin dai tempi dell’imperatore Costantino, all’inizio del IV secolo, il potere civile e la Chiesa hanno formato nel corso dei secoli una simbiosi sulla quale la Chiesa ha costruito il suo status e il suo dominio. La gente non ha obiettato quando il potere è stato erroneamente chiamato servizio, ma in realtà si tratta di un abuso di autorità e di posizione.

Le posizioni di comando sono riservate agli uomini ordinati. I laici hanno bisogno del permesso o dell’incarico di un chierico per poter agire in nome della Chiesa. La struttura attuale si basa sul modello di una monarchia assoluta di un’epoca passata, con il Papa a capo. Il diritto canonico protegge l’istituzione, non gli individui. Le immagini patriarcali di Dio come maschio, re e signore rafforzano lo status quo.

In tutto il mondo, le donne e il potere sono ancora visti come un’antitesi, in contraddizione con l'”ordine naturale”. Il colonialismo e l’attuazione di strutture patriarcali vanno spesso di pari passo – a svantaggio e a danno delle donne, delle popolazioni indigene e delle persone di altre fedi. Questo ha causato uno squilibrio nella parità di diritti e dignità fino ai giorni nostri.

Manca la partecipazione dei laici, soprattutto delle donne. Le donne si sentono invisibili perché non hanno potere decisionale. Se vengono assegnate loro posizioni nella Chiesa, il più delle volte non sono considerate posizioni di leadership paritarie, in quanto sono ancora gli uomini ordinati a comandare. A livello locale, le donne sono viste come un sostegno al lavoro del parroco e del vescovo, che determinano cosa succede e chi può svolgere il ministero. Alle donne è proibito predicare o amministrare i sacramenti, la Chiesa nega i loro doni.

Tuttavia, c’è un’incoerenza nella pratica in tutto il mondo. In molte zone le donne non possono leggere durante la liturgia o sono considerate indegne di distribuire la comunione, mentre in altre regioni le donne guidano le Chiese, confortano i credenti, battezzano i bambini e celebrano le funzioni.

Molte donne hanno lasciato la Chiesa a causa del mancato riconoscimento dell’uguaglianza, della mancanza di fiducia e di sostegno e della disconnessione con la predicazione, particolarmente dannosa per le donne.

Pag. 10                 Strutture, Responsabilità, rappresentanza

La Chiesa è caratterizzata da una leadership gerarchica, feudale e piramidale, in cui il processo decisionale è nelle mani di un clero interamente maschile. Questo ha portato la Chiesa a sperimentare una forte divisione tra clero e laici e tra i sessi. A causa della nozione  parrocchie, con la presenza delle vittime di abusi, chiedono perdono a Dio. In questo modo vescovi e sacerdoti si sottraggono al riconoscimento della loro colpa e all’affrontare le conseguenze dell’abuso. I sopravvissuti agli abusi sessuali del clero che osano parlare e chiedono giustizia sono profeti coraggiosi nella Chiesa di oggi.

Le reti cattoliche prettamente maschili e le connessioni tra Chiesa, politica e società determinano ancora il discorso, soprattutto quando si tratta di abusi, sfruttamento e posizione delle donne nella Chiesa. In alcuni Paesi, le reti tv censurano i reportage e i documentari che mettono in luce tali trattamenti. In questo modo si impedisce di nominare i colpevoli nella Chiesa e nella politica, e quindi di far rispettare i diritti delle donne e delle persone vulnerabili. I sopravvissuti agli abusi chiedono commissioni indipendenti per la verità, come è stato fatto in Australia con la Royal Commission into Institutional Responses to Child Sexual Abuse.

Le persone in tutto il mondo stanno avviando nuovi modi di essere Chiesa, creando comunità inclusive, aperte e che affermano la vita. Queste comunità incarnano ciò che significa essere una Chiesa radicata nella vita delle persone e diventano spazi che portano guarigione e crescita. Il potere è condiviso e la leadership emerge dalla base, dove le persone impregnate della sapienza dello Spirito possono dare il loro contributo all’organizzazione della vita e della missione della comunità.

Esistono alcuni esempi positivi di strutture ecclesiali che promuovono la responsabilità, la trasparenza e l’inclusione a livello parrocchiale e diocesano in Australia, Germania e altri Paesi. In alcune parrocchie e diocesi esistono nuove strutture di collaborazione decisionale con una maggiore rappresentanza di persone di tutti i generi senza distinzione di classe, età o razza. Tuttavia, per il capriccio di un nuovo parroco o vescovo, queste vengono soppresse.

Il criterio per le posizioni di leadership non dovrebbe essere l’ordinazione. I leader devono essere persone permeate dallo Spirito e qualificate dal punto di vista educativo, secondo il discernimento della comunità. Per percorrere il cammino sinodale, la Chiesa deve liberarsi del suo pensiero feudale, dei dettami patriarcali e degli atteggiamenti paternalistici.

                Pag. 12                 Vita sacramentale

Le persone incontrano la stravagante generosità della presenza e della grazia di Dio ben oltre le espressioni

clericali, gerarchiche e “maschili” che mancano di presenza e spiritualità femminile. Le donne hanno articolato un’ampia comprensione del sacramento come esperienza che apre all’incontro con la sacra Presenza di Dio. Tuttavia, la ristretta focalizzazione dell’istituzione sui sette sacramenti definiti dal Concilio di Trento impoverisce la vita sacramentale della Chiesa.

In alcuni contesti, i sacerdoti esercitano il loro potere “tenendo sotto controllo” la ricezione dei sacramenti, piuttosto che invitare la comunità a condividere la loro celebrazione.

L’Eucarestia

Non più la tavola inclusiva dell’amicizia che veniva celebrata nelle prime comunità cristiane, l’Eucaristia è diventata un simbolo di esclusione. Anche la Messa, il contesto in cui di solito si riceve la comunione, è percepita come un rito “esclusivo”, con una predicazione mediocre e un linguaggio e una musica liturgici spesso razzisti, colonialisti o sessisti,

l linguaggio nega, esclude o sminuisce simbolicamente la metafora del volto femminile di Dio. Troppo spesso il rito ha la precedenza sul sacramento: si dedica più tempo ad amministrare i sacramenti che a promuovere esperienze spirituali che aprono e approfondiscono l’incontro con Dio.

                                Battesimo e Prima Comunione

Le donne desiderano che si realizzi la promessa battesimale dell’uguaglianza.

Oggi molti genitori considerano queste esperienze come “atti culturali”, rifiutando la dottrina del peccato originale, il mito di Adamo ed Eva e una nozione feudale di Dio.

                                Penitenza

Le donne hanno parlato delle loro esperienze di atteggiamenti paternalistici e discriminatori o di comportamenti inappropriati durante la confessione come motivo per cui non cercano più la riconciliazione attraverso la Chiesa. Altre ritengono che Dio non abbia bisogno dell’intermediazione di un sacerdote maschio per perdonare i peccati.

Guarigione (unzione degli infermi)

L’opera principale di Gesù, oltre all’insegnamento, era la guarigione. Il fatto che solo un sacerdote possa amministrare questo sacramento frustra i cappellani non ecclesiastici che svolgono il lavoro di base. I non chierici si sentono chiamati quando le persone chiedono loro di accompagnarle nel dolore, nella separazione, nella felicità o alle soglie della morte, ma è loro vietato amministrare i sacramenti. La cura pastorale è quindi separata dalle celebrazioni sacramentali, invece di essere un insieme organico.

La Chiesa istituzionale sta ignorando i luoghi in cui la guarigione è più necessaria. come coloro che sono stati abusati dai suoi membri e la guarigione del nostro pianeta Terra. Molti sacerdoti ignorano volontariamente la presenza di Dio nella sofferenza delle persone e del pianeta Terra.

                                Matrimonio

I cattolici LGBTQ+ e i loro alleati soffrono molto per il fatto che sono esclusi dal riconoscimento, dalla benedizione e dalla celebrazione delle loro unioni e dei loro matrimoni da parte della Chiesa. Il rifiuto della Chiesa di abbracciare pienamente la comunità LGBTQ+ comporta una perdita incalcolabile.

All’interno del matrimonio, le disuguaglianze della Chiesa vengono riprodotte e le pratiche patriarcali e oppressive lasciano il matrimonio aperto agli abusi domestici. Molte donne hanno espresso paura o vergogna nell’abbandonare un matrimonio violento e spesso il parroco ha detto loro di rimanere in una famiglia violenta.

                                Ordini sacri

Allo stesso modo, l’esclusione delle donne dall’ordinazione, radicata in teologie patriarcali e misogine, è una perdita incalcolabile per la Chiesa.

Le donne sanno di poter rappresentare Gesù Cristo – non è necessario essere uomini – eppure viene loro negata la possibilità di ricevere un ministero ordinato. Le persone desiderano essere servite dalle donne, sentirle predicare e condividere i loro doni. Eppure molti, compresi i sacerdoti maschi, sono combattuti: vogliono vivere celebrazioni eucaristiche inclusive e guidate da donne, ma temono ripercussioni episcopali.

Non è esagerato dire che la maggior parte delle donne è profondamente frustrata perché la propria vocazione è sottovalutata o ignorata. Molte cercano nuove fonti di nutrimento spirituale.

Pag. 14                 Resistenza e speranza

Rivendicare la nostra fede cattolica come donne – nella nostra interezza – è spesso un atto di resistenza. Date le difficoltà causate soprattutto dalle gerarchie ecclesiastiche, è fondamentale non perdere la chiamata dello Spirito, alzare le nostre voci e porre le nostre domande per rendere il regno di Dio una realtà. Diversi movimenti di donne in tutto il mondo stanno riconoscendo i segni del tempo: un invito ineludibile a unirsi e a creare reti di comunità per lavorare per l’uguaglianza. Le donne possono svolgere un ruolo cruciale nel contribuire a ripristinare la fiducia e la credibilità nella Chiesa istituzionale e a realizzare veramente l’amore di Dio. Continuiamo a essere coinvolte e a non temere di rivendicare la nostra fede di donne cattoliche.

Per recuperare una Chiesa che rifletta veramente il Vangelo di Gesù, le donne hanno resistito e si sono impegnate in molti modi, come ad esempio: facendo campagne per la piena uguaglianza e dignità di tutte le persone; impegnandosi in dimostrazioni o azioni di preghiera; rifiutandosi di partecipare ai servizi della Chiesa; scrivendo alle autorità ecclesiastiche; avendo il controllo sulle voci teologiche che vogliono ascoltare utilizzando luoghi non cattolici; creando reti; creando spazi di preghiera, educativi e di incontro per le donne; avendo il coraggio di alzare la propria voce. Persone di tutti i generi cercano donne come guide spirituali ed esplorano la loro forma di spiritualità femminile e inclusiva. Stanno creando i propri percorsi al di fuori delle culture preconcette e verticistiche delle comunità e delle assemblee. Molte di loro usano i social network per farsi sentire. Mentre alcune scelgono di lavorare per il rinnovamento attraverso il coinvolgimento nelle loro parrocchie, altre donne si impegnano in comunità eucaristiche inclusive che stanno rivedendo che cosa significa essere Chiesa. Per molte è diventato impossibile partecipare a un’istituzione che non è trasparente, si aggrappa a strutture ingiuste e promuove una teologia e dei dogmi che non stanno al passo con le scoperte scientifiche sull’universo e sulla persona umana.

Attraverso l’affermazione che le donne sono la Chiesa, gli indigeni sono la Chiesa, i poveri sono la Chiesa, i migranti e i rifugiati sono la Chiesa; i divorziati e i risposati sono la Chiesa, le persone LGBTQ+ sono la Chiesa, queste comunità diventano spazi liminari ai confini, sulla soglia, rendendoli il giusto “ambiente per una transizione che cambia la vita”. La vera libertà cristica non significa rimanere attaccati a tradizioni e strutture culturali create dall’uomo che appartengono a un’epoca passata, ma essere liberi di vivere una vita autodeterminata con Gesù e tutti i nostri fratelli.

Pag. 15                 Raccomandazioni

Smascherare le ideologie e le teologie che giustificano erroneamente il sessismo, il razzismo, il classismo e tutte le forme di oppressione o di dominio. Riconoscendo i legami tra il colonialismo, il patriarcato e le strutture della Chiesa di oggi e lavorando per smantellarli, in modo che tutte e tutti possano partecipare ugualmente

e con gioia alla vita della Chiesa.

Pag. 17        Conclusioni

La vera libertà cristica, basata sulla verità, Non significa rimanere attaccati a tradizioni, strutture culturali e dottrine create dall’uomo e appartenenti a epoche passate. Significa essere liberi di vivere una vita autodeterminata in compagnia di Gesù e di tutti I nostri fratelli e sorelle.

Cerchiamo un risveglio spirituale nella Chiesa – un passaggio dal ritualismo gerarchicamente centrato a una celebrazione della vita attorno alla tavola cosmica che coinvolga gli emarginati, gli esclusi e tutti gli elementi della terra in una comunione aperta.

Cerchiamo una Chiesa che respiri e co-crei con l’energia dello Spirito di Sapienza, che sia al Di là dei binari del sacro e del secolare, del corpo e dello spirito, del maschile e del femminile, e che faccia nascere la Chiesa di nuovo.

Cerchiamo ispirazione da teologi e studiosi e da tante donne ispiratrici che ci hanno preceduto.

Camminiamo con Gesù di Nazareth, con lo Spirito di Sapienza e con le tante compagne che condividono le nostre speranze lungo il cammino.

Affermiamo che questa Chiesa rinnovata è possibile! Come Maria Maddalena e le sue compagne camminarono verso il sepolcro nell’oscurità, anche noi camminiamo con Speranza verso il sepolcro dove oggi è sepolto il Corpo di Cristo e, incontrando il Risorto, sentiamo il mandato di annunciare la risurrezione ai “fratelli” gerarchicamente posizionati, che un’altra Chiesa è possibile!

     Il Consiglio Cattolico delle Donne (CWC) è un gruppo globale di reti cattoliche che lavorano per il pieno riconoscimento della dignità e dell’uguaglianza nella Chiesa.

www.catholicwomenscouncil.org/wp-content/uploads/2022/10/CWC-report_Italian_IN-ASCOLTO-Voci-di-Donne-da-tutto-il-Mondo.pdf

ECUMENISMO

L’impegno: cattolici ed ebrei insieme per gesti concreti di pace e solidarietà

Commissione episcopale Cei per l’ecumenismo e il dialogo

Messaggio per la 34ª Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei.

La Giornata sarà celebrata il 17 gennaio 2023.

Titolo del Messaggio, tratto da Isaia è “Uno sguardo nuovo” (Is, 40, 1-11).

     Nella Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei desideriamo confermare l’importanza di questo rapporto per le nostre comunità cristiane. Infatti, come afferma Papa Francesco in Evangelii gaudium, «la Chiesa, che condivide con l’Ebraismo una parte importante delle Sacre Scritture, considera il popolo dell’Alleanza e la sua fede come una radice sacra della propria identità cristiana (cfr Rm 11,16-18)» ( Eg, n. 247). Anche il documento “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche, pubblicato dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo (Crre) il 10 dicembre 2015, sottolinea che «il dialogo con l’ebraismo è qualcosa di assolutamente speciale per i cristiani, poiché il cristianesimo ha radici ebraiche che determinano l’unicità delle relazioni tra le due tradizioni» (n. 14).

     Dio ci supera. La stagione che stiamo vivendo, segnata dall’auspicata uscita dalla pandemia che per lungo tempo ha fiaccato la vita del Paese, comprese le comunità di fede, ci spinge a interrogarci a fondo sulla nostra presenza nella società come uomini e donne credenti nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.

     Il passo del profeta Isaia, scelto quest’anno come nucleo ispiratore per la Giornata del 17 gennaio (Is 40,111), è un annuncio di consolazione per il popolo, chiamato a stare saldo nella fiducia che il suo Signore non lo abbandonerà: “ Nahamù nahamù ‘ammì”,“ Consolate, consolate il mio popolo” ( Is 40,1). Possiamo avere fiducia nel futuro perché la Parola di Dio ci garantisce che egli è fedele. Fondati in lui, troviamo la forza per dar credito alla vita ed essere fiduciosi, perché ci sentiamo preceduti e “superati” dalla sua azione. Dio, infatti, opera oltre le nostre stesse attese. Nonostante le nostre fragilità Il testo di Isaia non tace il rischio della rassegnazione e della perplessità. Di fronte all’annuncio dell’iniziativa inattesa di Dio e all’invito a gridare, risuona l’interrogativo: «Che cosa dovrò gridare? » ( Is 40,6). La domanda nasce dalla constatazione delle nostre fragilità, oltre che del nostro peccato: «Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo» (Is 40,6). Certo, se guardiamo alle nostre forze, «veramente il popolo è come l’erba» (Is 40,7)! Questi anni di pandemia, il dramma della guerra, la crisi energetica ecologica ed economica, hanno messo a nudo le crepe delle organizzazioni sociali, economiche e anche religiose, aprendo a potenziali inquietanti scenari di complessa interpretazione. Ci hanno fatto toccare con mano la nostra debolezza e ci hanno messo di fronte all’incostanza nel rispondere alla Parola di speranza che Dio rivolge alla vita.

     Dio è tenace. Ma Isaia ci invita a guardare oltre, per scorgere la saldezza di qualcosa di incrollabile: la sua Promessa. Se noi siamo come l’erba e come il fiore del campo, c’è una realtà che non viene mai meno: la Parola di Dio che rimane rivolta in eterno. Il profeta ammette che certamente l’uomo è come l’erba, «ma la parola del nostro Dio dura per sempre» ( Is 40,8). Il Signore è sempre in attesa del nostro ritorno a Lui, per questo siamo chiamati a essere annunciatori di speranza. Consapevoli che Dio è tenace nel suo amore, possiamo annunciarlo con gioia agli uomini e alle donne del nostro tempo. Egli costantemente ci ripete: «Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo» ( Is 43,4).

     Apriamo gli occhi! Dio agisce oltre noi, oltre le nostre comunità. Come operò nel sovrano pagano Ciro ( Is 45,1), che divenne strumento di liberazione nelle mani del Signore. Dio è all’opera nell’estraneo e nello straniero. Dobbiamo quindi impegnarci insieme in un lavoro di ascolto e di discernimento per trovare il Signore là dove sta operando, al di là delle nostre attese e dei nostri progetti. Usciamo per incontrare il Signore, che si muove oltre i nostri ristretti confini! In questo modo potremo diventare gioiosi testimoni di speranza per tutti. Nello spazio pubblico siamo chiamati a farci fiduciosi annunciatori di possibilità, “rabdomanti” alla ricerca di nuovi sentieri, di nuove opportunità per gli uomini e le donne del nostro tempo. Siamo desiderosi di collaborare con le comunità ebraiche per generare gesti concreti di pace e di solidarietà. Esploratori alla ricerca di strade inedite, con lo sguardo attento a discernere il nuovo che emerge.

      Cambiamo sguardo! Ai fratelli e alle sorelle delle Comunità ebraiche in Italia esprimiamo una viva gratitudine per il cammino compiuto «sotto lo stesso giogo» ( Sof 3,9) e rinnoviamo l’impegno a progredire nel dialogo, nella conoscenza e nella collaborazione. Fondati sull’amore incrollabile dell’Eterno, siamo in grado di guardare con fiducia al tempo che ci sta davanti, indagando nuovi percorsi, creando sentieri per costruire insieme un futuro di speranza, portando il nostro servizio nella società e nelle città. In questo modo ci impegniamo a curare il nostro sguardo: da uno sguardo pauroso, sospettoso e stanco, a uno sguardo coraggioso, fiducioso, vitale, capace di vedere che Dio «non si affatica e non si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato » ( Is 40,28-29). Auspichiamo momenti di incontro, di studio, di preghiera e di comune testimonianza all’unico Dio.

La commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo          09 novembre 2022

www.chiesacattolica.it/il-messaggio-per-la-34a-giornata-del-dialogo-tra-cattolici-ed-ebrei

ETICA

Un’etica che ci cura dall’Io

     Sono alla ricerca di un’etica per questi giorni difficili che stiamo vivendo, o forse meglio patendo. Sento che ne abbiamo un bisogno estremo, direi disperato, vista la disperazione che pervade le menti e arriva talora a stringerci le viscere. Più dell’energia del gas russo o di quella del sole e del vento; più dell’ennesimo vaccino; più di una legge elettorale che finalmente funzioni generando governi stabili; più di ogni altra urgenza economica, sociale e politica, io penso che noi abbiamo bisogno di etica.

     Credo sia solo l’acqua a essere più urgente, quell’acqua fonte della vita di cui Francesco d’Assisi diceva «e molto utile et humile et pretiosa et casta». L’etica è l’acqua della nostra anima, senza la quale essa inaridisce e alla fine muore. Quante sono le anime morte in corpi ancora vivi che si aggirano per le nostre città? Qualche volta per questa mia esigenza mi sento come una voce che grida nel deserto, «vox clamantis in deserto» come dice il Vangelo; oppure come l’uomo folle di Nietzsche che accese una lanterna in pieno giorno e si mise a cercare Dio nella piazza del mercato suscitando le più divertite risate: «Si è perduto come un bambino?».

      Non so infatti quanto sia attuale e condivisa questa mia ricerca di etica: a volte ho l’impressione che interessi a pochi, a volte, invece, a molti. Quando non mi sbaglio? Quando penso che il bisogno di etica sia ignorato dai più? Oppure quando avverto che siamo in molti ad avere questo bisogno per non sentirci più tra noi «stranieri morali»? In genere propendo a pensare che non siamo in pochi a essere «alla ricerca della morale perduta», come scrisse Eugenio Scalfari.

     Penso che siamo in molti a voler sottoscrivere il manifesto in forma di battuta di Alessandro Bergonzoni: «Io sono per la chirurgia etica: bisogna rifarsi il senno». Sì, chirurgia etica! Ma come ci si rifà il senno? Da quale chirurgo andare? È nota la risposta con cui l’uomo folle di Nietzsche ammutolì coloro che lo deridevano: «Dove se n’è andato Dio? Ve lo voglio dire! Siamo stati noi a ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini!». Spiegando poi così le conseguenze: «Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte?».

      Poco più di mezzo secolo dopo, Heidegger commentava: «Il mondo sovrasensibile dei fini e delle norme non suscita e non regge più la vita. Quel mondo ha perso da sé solo la vita: è morto. Questo è il senso metafisico dell’affermazione “Dio e morto”». La morte di Dio, quindi, equivale alla morte del Bene, alla morte dell’etica intesa come il valore più alto per cui vivere.

      Sento già l’obiezione: «Ma ci sono moltissimi atei che sono persone eticamente esemplari!» Verissimo, rispondo. Sono da sempre convinto che non occorra la fede in un Dio trascendente per essere buoni, veri, giusti, come pure da sempre constato che ci sono persone che dicono di avere fede in Dio e dell’etica fanno regolarmente scempio. Ma il punto non è la fede nell’esistenza di un ente personale e trascendente detto Dio; il punto è, per riprendere Heidegger, «il mondo sovrasensibile dei fini e delle norme».

     Provo a tradurre esistenzialmente la questione rivolgendomi a chi legge: tu ritieni che per te ci sia qualcosa più importante di te? Più importante, dico, del tuo successo e del tuo piacere? Conosci qualcosa di fronte a cui senti che ti devi fermare e conformare l’agire? Esiste per te qualcosa di indisponibile, rispetto a cui sei piuttosto tu che ti metti a disposizione? Sì, no? Se sì, chiamalo come vuoi questo qualcosa più importante, magari utopia, legge morale, bellezza, verità, scienza, giustizia, ideale politico, forse ancora Dio; il punto essenziale però è che tu vivi per un valore che supera l’orizzonte del tuo semplice io, e i tuoi fini e le tue norme ti derivano da altrove. Se è così, tu conosci qualcosa più forte e più meritevole di te in base a cui decidi cosa tu debba fare e cosa no, per cui non sei un sistema chiuso su di te, ma aperto. E fu per denominare questa apertura della loro vita che gli esseri umani di tutte le civiltà giunsero a parlare del divino, in qualunque modo poi lo concepissero, se politeista o monoteista, maschile o femminile, personale o impersonale.

     Occorre perciò che ognuno risponda alla domanda sulla propria coscienza chiedendosi se riconosce un valore più importante di sé oppure no. La vera differenza non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi supera se stesso per servire valori più alti e chi invece riporta tutto a sé.

       Un dio immanente. L’etica nasce qui: sulla base del sentimento di un valore più alto dell’io. Per questo essa si presenta strutturalmente all’imperativo e senza imperativo semplicemente non c’è, ma nel migliore dei casi lascia il posto ad atteggiamenti quali calcolo, utilità, interesse, compromesso, adeguazione, gentilezza, e nel peggiore dei casi solo alle voglie e ai capricci dell’io. Perché vi sia etica in senso proprio vi deve essere la percezione di trovarsi al cospetto di qualcosa di più importante del proprio personale interesse e il desiderio di obbedirvi: come la voce del daimonion che Socrate sentiva dentro di sé e che gli ordinava cosa non fare («è come una voce che mi dissuade, allorché si manifesta, dal fare quello che sono sul punto di fare»); come la voce divina che Mosè sul Sinai sentì dentro di sé e che lo portò a scrivere le due tavole della legge con i dieci comandamenti; come l’imperativo categorico di Kant; come il principio responsabilità di Jonas.

     Questo peculiare statuto dell’etica venne riconosciuto con acutezza anche da Nietzsche, il più grande avversario dell’etica e del suo primato con il quale combatto da anni la mia personale battaglia: «Ingenuità, quasi restasse ancora una morale quando manca un Dio che la sancisca! L'”aldilà” è assolutamente necessario, se si conserva la fede nella morale». L’aldilà: come ho già osservato, tale concetto non è da intendersi necessariamente in senso fisico o metafisico, l’essenziale è che lo si avverta in senso esistenziale concependolo come superiore orizzonte di valore rispetto all’immediato interesse personale. Si può non credere nell’aldilà come dimora di un Dio trascendente, e tuttavia avvertire l’esperienza di un aldilà valoriale che conduce al superamento di sé: ed è precisamente in questo auto superamento che consiste la condizione imprescindibile, sine qua non, dell’etica. Essa nasce dalla percezione di trovarsi al cospetto di un valore più importante del proprio interesse immediato, per esempio in ambito politico quando si privilegia la tutela del bene comune rispetto al populistico aumento dei consensi. Perché vi sia etica, si può fare a meno

                                                                               Vito Mancuso    “La Stampa”     8 novembre 2022

www.lastampa.it/cultura/2022/11/08/news/unetica_che_ci_cura_dallio-12226041

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221108mancuso.pdf

FEMMINISTE

Le femministe cattoliche di inizio ‘900

      È possibile essere femministe e cattoliche al tempo stesso? Ovviamente, tutto dipende dal modo in cui si intende il femminismo; in Italia, per esempio, esistette per davvero un movimento che fu dichiaratamente femminista e cristiano. A gettarne le basi, nel 1901, fu niente meno che un frate francescano.

      È possibile essere femministe e cattoliche al tempo stesso?, si domanda Michela Murgia nel suo ultimo libro di recente pubblicazione. Dato il contesto e il background dell’autrice, era certamente prevedibile che l’interrogativo avrebbe provocato tra le donne cattoliche più d’un sorriso (e qualche polemica); è pur vero però che, in termini astratti, la domanda sarebbe anche degna d’attenzione: all’atto pratico, è possibile coniugare ideali femministi a una retta pratica cristiana? Beninteso, la risposta è così ovvia da sembrar banale: il termine “femminismo” racchiude in sé una vasta gamma di movimenti, che si fanno portavoce di ideologie anche molto diverse tra di loro. E se alcune di queste sono ben difficilmente conciliabili con quanto afferma il catechismo, è certamente vero che, in senso assoluto, la difesa dei diritti femminili non è contraria alla fede (e come potrebbe?).

     In passato, vi furono anzi dei momenti in cui le giuste battaglie delle donne furono incoraggiate e supportate da uomini di Chiesa, che entusiasticamente condividevano la causa. E, in tal senso, è parso interessante analizzare i modi in cui fu declinato l’attivismo delle prime femministe cattoliche della Storia italiana: quelle che vissero a inizio Novecento, in un’epoca in cui le battaglie da combattere erano quelle per ottenere il diritto di voto e una maggiore rappresentanza nella vita pubblica. Ma non solo, come vedremo.

       Il femminismo di frate Antonio da Trobaso. In Italia, il primo “Congresso Femminista Cristiano” (si chiamava proprio così) si tenne a Milano presso la chiesa di Sant’Angelo in via della Moscova, dal 23 al 26 aprile 1901. A organizzarlo fu frate Antonio da Trobaso, che aveva sviluppato una certa esperienza riguardo la questione femminile grazie alla catechesi che, ormai da anni, organizzava a vantaggio delle terziarie francescane. Venire quotidianamente a contatto con queste donne, e sperimentare ciò di cui erano capaci nella vita di ogni giorno, aveva profondamente colpito il francescano, che nelle “sue” terziarie aveva scoperto campionesse di abnegazione, fermezza e spirito di sacrificio (altro che sesso debole!, si trovò più volte a commentare). Agli occhi di fra’ Antonio, la solerzia e la laboriosità instancabile che le donne riservavano alla cura della famiglia erano virtù preziose, che avrebbero ben potuto essere indirizzate anche al di fuori della sfera domestica. E anzi: mettere a frutto quei talenti, dedicandosi a una buona causa sarebbe stato utile e anzi meritorio soprattutto per quelle donne che avevano molto tempo libero, essendo ancora nubili oppure madri di figli ormai già grandi.

      Ma, affinché le donne che lo desideravano potessero impegnarsi in questo senso, occorreva innanzi tutto spezzare il preconcetto per cui molti uomini davano per scontato che le loro mogli e le loro figlie avrebbero passato la loro vita chiuse in casa, «a guardare le pareti, i mobili, la lingeria e gli abiti, a tenere i libri d’entrata e d’uscita, a presiedere alla cucina, ad allevare il pollame e a rimediare gli indumenti che vanno logorandosi», per citare le parole del religioso. Nei confronti dei mariti che negavano alle proprie mogli la minima libertà d’azione, fra’ Antonio ebbe parole ferme e dure, dichiarando di aver personalmente conosciuto molte spose che avevano finito col vivere il matrimonio come una gabbia, a causa del comportamento insensatamente ottuso del proprio coniuge. Un atteggiamento che occorreva spezzare a tutti i costi: anche perché, costringendo in casa quelle spose e quelle figlie che avrebbero invece voluto realizzarsi anche al di fuori delle mura domestiche, la società nel complesso finiva col «trascurare un cumulo di energie preziose per la causa di Dio e del popolo». Non a caso, frate Antonio da Trobaso accolse con vivo entusiasmo e con abbondanti benedizioni la nascita de L’Azione Muliebre, una pubblicazione periodica nata in quello stesso 1901, a pochi mesi di distanza dal Congresso Femminista Cristiano, per iniziativa di un gruppo di terziarie francescane che avevano deciso di impugnare la penna per far sentire la loro voce. La rivista, che fin dal primo numero si dichiarò al tempo stesso femminile e femminista, immediatamente volle operare una netta presa di distanza dal femminismo liberale che si stava diffondendo in quegli anni. Suo principale teorico era il filosofo britannico John Stuart Mill, che nel suo The subjection of women (1869) aveva criticato in maniera feroce l’istituto giuridico del matrimonio: provocatoriamente, l’autore l’aveva definito come l’ultima forza di schiavitù legalizzata ancora esistente, dopo l’abolizione della tratta dei neri negli Stati Uniti.

      Posizioni estreme, che parvero del tutto irricevibili alle femministe cattoliche italiane: le quali, fin dal primo numero della loro rivista, vollero chiarire la loro distanza da queste posizioni. Non a caso, la prima lotta politica di queste attiviste fu una mobilitazione nazionale contro la proposta di legge Berenini-Borciani che nel 1902 aveva tentato di introdurre il divorzio. Da nord a sud, spronate dalle fermissime parole de L’Azione muliebre, migliaia di donne italiane scesero in campo contro questa riforma: fu una campagna che ebbe una vastissima eco nazionale e che, significativamente, fu interamente gestita e portata avanti da attiviste di sesso femminile. Una scelta simbolica e voluta: con garbata fermezza, le militanti rifiutarono di introdurre “quote azzurre” nei comitati locali. Le militanti ritenevano infatti che il divorzio fosse una problematica che riguardava le donne in maniera particolarissima, andando a toccare questioni vitali come la stabilità economica delle spose e il diritto a crescere i propri figli: era dunque opportuno che fossero proprio le madri di famiglia a portare avanti la battaglia politica contro questa legge. Ovviamente, Storia insegna che la battaglia fu vinta; il disegno di legge cadde con 400 voti contrari contro 13 a favore: una totale débâcle per i proponenti e una vittoria a tutto campo per le donne che, con tanto fervore, si erano mobilitate.

     I modelli cui ispirarsi: le modernissime sante dei primi secoli. Strane donne, queste femministe cattoliche che prendono le distanze dal femminismo liberale e si gettano anima e corpo nella lotta a una proposta di legge che, almeno sulla carta, dichiarava di voler tutelare il gentil sesso. Ma chiarito quali erano le ideologie che queste donne non volevano abbracciare, quali erano dunque gli ideali di riferimento su cui esse modellavano il proprio attivismo?

Non sorprendentemente, erano le sante a esser considerate l’esempio perfetto di donne libere e forti. In una serie di articoli pubblicati su L’azione muliebre, Elena da Persico tratteggiò vividi ritratti delle figure aureolate che erano state per lei la maggior fonte di ispirazione: a partire da Tabita, citata negli Atti degli Apostoli e descritta come uno dei pilastri della nascente comunità cristiana di Ioppe.

     Melania Giuniore, figlia di un senatore romano che, al fianco del marito, spese le sue ricchezze in attività caritative, fu considerata l’esempio luminoso di una donna che aveva saputo coniugare alla sensibilità e alla dolcezza virtù come determinazione e forza d’animo: doti che, a giudizio di Elena da Persico venivano popolarmente considerate d’appannaggio quasi esclusivamente maschile.

     E la storia di santa Paola e delle sue tre figlie fu considerata emblematica per il modo in cui mostrava la varietà di vocazioni con cui una donna, se lasciata libera di scegliere, può legittimamente decidere di realizzarsi. Paola, monacatasi dopo essere rimasta vedova, fu così intraprendente da partire per la Terra Santa accompagnata dalla figlia Giulia Eustochio, che le rimase al fianco in questa sfida fondando assieme a lei numerosi monasteri. Paolina, la seconda figlia, si era realizzata in una quieta e felice vita matrimoniale; quanto a Blessilla, l’ultima delle tre sorelle, aveva deciso di mettere la sua intelligenza al servizio della Chiesa e aveva cominciato a studiare le Sacre Scritture, finendo col padroneggiare con disinvoltura gli scritti di Gerolamo, di Origene e degli altri padri della Chiesa. Pie e devote, ma non per questo mammolette; rispettose dei ruoli, ma non schiave delle convenzioni; dedite alle cure domestiche, ma al tempo stesso acculturate, queste sante dei primi secoli parvero davvero modelli perfetti per la donna moderna di inizio Novecento. Tantopiù che – come scrisse Elena da Persico – anche queste sante erano state chiamate a vivere in tempi a dir poco difficili: «come il IV, così il nostro è secolo di decadenza morale, secolo di sfibramento di caratteri; nel nostro secolo come nel IV, il dilagare dell’immoralità è così spaventoso da far raccapricciare e così sfacciato da far tremare».

     Insomma: agli occhi delle femministe cattoliche di inizio Novecento, erano sfide simili quelle che, a distanza di secoli, le sante e attiviste si trovavano a vivere. Cambiava il contesto, ma non l’idea di fondo: la convinzione di poterle vincere, attraverso una lotta da vivere (naturalmente!) alla luce del Vangelo.

Luca Graziano  alateia  5 novembre 2022

https://it.aleteia.org/2022/11/05/le-femministe-cattoliche-di-inizio-900

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno dal Bahrein

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     Hugues Lefèvre (I. Media). Grazie, Santo Padre. Questa mattina nel suo discorso al clero del Bahrein, Lei ha parlato dell’importanza della gioia cristiana, ma nei giorni scorsi molti fedeli francesi hanno perso questa gioia quando hanno scoperto sulla stampa che la Chiesa aveva tenuto segreta la condanna nel 2021 di un Vescovo, ora in pensione, che aveva commesso abusi sessuali negli anni ‘90 mentre era sacerdote; quando questa storia è uscita sulla stampa, cinque nuove vittime si sono presentate. Oggi molti cattolici desiderano sapere se la cultura della segretezza della giustizia canonica debba cambiare e diventare trasparente, e vorrei sapere se Lei pensa che le sanzioni canoniche debbano essere rese pubbliche. Grazie.

     Papa Francesco. Grazie a te per la domanda, grazie. Vorrei cominciare con un po’ di storia su questo. Il problema degli abusi c’è sempre stato, sempre, non solo nella Chiesa. Dappertutto. Voi sapete che il 42-46% degli abusi sessuali si fa in famiglia o nel quartiere: questo è gravissimo. Ma sempre l’abitudine è stata quella di coprire. In famiglia ancora oggi si copre tutto, e anche nel quartiere si copre tutto o almeno la maggior parte. È  un’abitudine brutta che nella Chiesa è cominciata a cambiare quando c’è stato lo scandalo di Boston, del Cardinale Law, che era Cardinale lì e ora è morto. Per quello scandalo il cardinale Law ha dato le dimissioni: è la prima volta che è uscito così, come scandalo. [accusato di aver coperto molti casi di pedofilia avvenuti in diverse parrocchie] E da lì la Chiesa ha preso conoscenza di questo e ha cominciato a lavorare, mentre nella società normalmente si copre, normalmente, in altre istituzioni. Quando c’è stato l’incontro dei presidenti delle Conferenze episcopali, ho chiesto all’Unicef, alle Nazioni Unite, le statistiche e ho dato loro le percentuali: quale percentuale nelle famiglie, quale nei quartieri – la maggioranza –, quanto nelle scuole, nell’attività dello sport… È una cosa che hanno studiato bene, e anche nella Chiesa. Viene qualcuno a dire: “Siamo una minoranza”. Ma se fosse uno solo è tragico, è tragico, perché tu sacerdote hai la vocazione di far crescere la gente e con questo tu la distruggi. Per un sacerdote è come andare contro la propria natura sacerdotale, anche contro la propria natura sociale. Per questo è una cosa tragica e non dobbiamo fermarci, non dobbiamo fermarci. In questo svegliarsi per fare le indagini e le accuse, non sempre la cosa è stata uguale: alcune cose sono state nascoste. Prima dello scandalo Law di Boston si cambiavano le persone… Adesso è tutto chiaro e stiamo andando avanti su questo punto. Per questo non dobbiamo stupirci che vengano fuori casi come questo. O un altro vescovo mi viene in mente… Ce ne sono, sai? E non è facile dire “noi non lo sapevamo” o “era la cultura dell’epoca e continua ad essere la cultura sociale di tanti, nascondere”. Ti dico questo: la Chiesa su questo è decisa, e voglio ringraziare pubblicamente qui l’eroicità del Cardinale O’Malley: è un bravo Cappuccino, che ha visto il bisogno di istituzionalizzare questo lavoro con la Commissione per la tutela dei minori; lo sta portando avanti bene, e fa bene a tutti noi e ci dà coraggio. Stiamo lavorando con tutto quello che possiamo, ma sappi che ci sono persone dentro la Chiesa che ancora non la vedono chiara, non condividono così: “Aspettiamo un po’, vediamo…”. È un processo che stiamo facendo con coraggio e non tutti abbiamo coraggio. A volte, la tentazione dei compromessi ti viene, e siamo tutti schiavi dei nostri peccati. Ma la volontà della Chiesa è di chiarire tutto.

     Per esempio: ho ricevuto negli ultimi mesi due lamentele di abusi che erano stati coperti e non giudicati bene dalla Chiesa. Subito ho detto: si studi di nuovo, e si sta facendo un nuovo giudizi. Anche questo: revisione di giudizi vecchi, non ben fatti. Facciamo quello che possiamo, siamo peccatori. E la prima cosa che dobbiamo sentire è la vergogna, la profonda vergogna di questo. Credo che la vergogna è una grazia, sai? Possiamo lottare contro tutti i mali del mondo, ma senza vergogna non potremo. Per questo mi ha stupito quando Sant’Ignazio, negli Esercizi, ti fa chiedere perdono dei peccati che hai fatto, ti fa arrivare fino alla vergogna, e se tu non hai la grazia della vergogna non puoi andare avanti. Uno degli insulti che abbiamo nella mia terra è “tu sei uno senza vergogna”, e credo che la Chiesa non può essere “senza vergogna”, che debba vergognarsi delle cose brutte, come certo dare grazie a Dio per le cose buone che fa. Questo ti devo dire: tutta la buona volontà e andare avanti, anche con l’aiuto vostro.

     Vania De Luca (Rai-Tg3). Santità, i migranti: ne ha parlato Lei anche in questi giorni. Quattro navi al largo della Sicilia, con centinaia di donne, uomini, bambini in difficoltà, ma non tutti possono sbarcare. Lei teme che in Italia sia tornata una politica dei “porti chiusi” dal centrodestra? E come valuta su questo la posizione anche di alcuni Paesi del Nord Europa? E poi, Le volevo domandare anche in generale: che impressione, che giudizio ha sul nuovo Governo italiano, che per la prima volta è guidato da una donna?

      Papa Francesco. È una sfida, è una sfida sui migranti. Il principio per i migranti: i migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati. Se non si possono fare questi quattro passi, il lavoro con i migranti non riesce ad essere buono. Accolti, accompagnati, promossi e integrati: arrivare fino all’integrazione. E la seconda cosa che dico: ogni Governo dell’Unione Europea deve mettersi d’accordo su quanti migranti può ricevere. Perché al contrario sono quattro i Paesi quelli che ricevono i migranti: Cipro, la Grecia, l’Italia e la Spagna, perché sono quelli del Mediterraneo più vicini. Nell’entroterra ce ne sono alcuni, come la Polonia, la Bielorussia… Ma la maggior parte dei migranti viene dal mare. La vita va salvata! Oggi, tu lo sai, il Mediterraneo è un cimitero, forse il cimitero più grande del mondo.

     Credo che l’ultima volta vi ho detto che ho letto un libro in spagnolo che si chiama Hermanito, è piccolino, si legge rapidamente, credo sia stato sicuramente tradotto in francese, in italiano pure. Si legge subito, in due ore. È la storia di un ragazzo dell’Africa, non so, della Tanzania o di dov’era, che seguendo le tracce di suo fratello è arrivato in Spagna. Cinque schiavitù ha subito, prima d’imbarcarsi! E molte persone, lui lo racconta, le portano di notte a quelle barche – non alle navi grandi che hanno un altro ruolo – e se non vogliono salire: pum, pum!, e li lasciano sulla spiaggia. È davvero una dittatura, le schiavitù, ciò che fa quella gente [i trafficanti]. E poi, il rischio di morire in mare. Se hai tempo leggi questo, è importante.

      La politica dei migranti va concordata fra tutti i Paesi: non si può fare una politica senza consenso, e l’Unione Europea su questo deve prendere in mano una politica di collaborazione e di aiuto, non può lasciare a Cipro, alla Grecia, all’Italia, alla Spagna la responsabilità di tutti i migranti che arrivano alle spiagge. La politica dei Governi fino a questo momento è stata di salvare le vite, questo è vero. Fino a un certo punto si è fatto così; e credo che questo Governo [italiano] abbia la stessa politica, non è inumano… I dettagli non li conosco, ma non penso che voglia che vadano via. Credo che ha fatto sbarcare già i bambini, le mamme, i malati, credo che li abbia fatti sbarcare – credo, per quello che ho sentito. Almeno l’intenzione c’era. L’Italia, pensiamo qui, questo Governo, o pensiamo una sinistra, non può fare nulla senza l’accordo con l’Europa, la responsabilità è europea.

     E poi, vorrei citare una cosa, un’altra responsabilità europea: l’Africa. Credo che questo l’ha detto una delle grandi donne statiste che abbiamo avuto e abbiamo, la Merkel: ha detto che il problema dei migranti va risolto in Africa. Ma se pensiamo all’Africa con il motto “l’Africa va sfruttata”, è logico che i migranti, la gente scappi da quello sfruttamento. Dobbiamo, l’Europa deve cercare di fare dei piani di sviluppo per l’Africa. Pensare che alcuni Paesi in Africa non sono padroni del proprio sottosuolo, che ancora dipende dalle potenze colonialiste! È un’ipocrisia risolvere il problema dei migranti in Europa, no, andiamo a risolverli anche a casa loro. Lo sfruttamento della gente in Africa è terribile a causa di questa concezione. Il primo novembre, il giorno dei Santi, ho avuto un incontro con studenti universitari dell’Africa, lo stesso che ho avuto con gli studenti della Loyola University degli Stati Uniti. Quegli studenti hanno una capacità, un’intelligenza, una criticità, una voglia di portare avanti! Ma a volte non possono per la forza colonialista che ha l’Europa verso i loro Governi. Se vogliamo risolvere il problema dei migranti definitivamente, risolviamo l’Africa. I migranti che vengono da altre parti sono di meno; andiamo all’Africa, aiutiamo l’Africa, andiamo avanti.

     Il nuovo Governo incomincia adesso, e io sono qui ad augurargli il meglio. Sempre auguro il meglio a un governo perché il governo è per tutti. E gli auguro il meglio perché possa portare l’Italia avanti; e agli altri, che sono contrari al partito vincitore, che collaborino con la critica, con l’aiuto, ma un governo di collaborazione, non un governo dove ti voltano la faccia, ti fanno cadere se non ti piace una cosa o l’altra. Per favore, su questo chiamo alla responsabilità. Dimmi: è giusto che dall’inizio del secolo fino ad ora l’Italia abbia avuto venti governi? Finiamola con questi scherzi!

     Ludwig Ring-Eifel, dall’Agenzia di stampa cattolica tedesca. Anch’io voglio prima di tutto dire qualcosa di personale, perché mi sento molto emozionato, perché dopo una pausa di otto anni sono di nuovo sul volo papale. Sono molto grato di essere qui di nuovo.       Noi nel gruppo tedesco siamo pochi, solo tre in questo volo, abbiamo pensato: come si può fare una connessione tra quello che abbiamo visto nel Bahrein e la situazione in Germania? Perché in Bahrein abbiamo visto una Chiesa piccola, un piccolo gregge, una Chiesa povera, con tante tante restrizioni eccetera, però una Chiesa vivace, piena di speranza, che cresce. In Germania, invece, abbiamo una Chiesa grande, con grandi tradizioni, ricca, con teologia, soldi e tutto quanto, che però perde ogni anno trecentomila credenti che se ne vanno, che sta in crisi profonda. C’è qualcosa da imparare da questo piccolo gregge che abbiamo visto in Bahrein per la grande Germania?

     Papa Francesco. La Germania ha una vecchia storia religiosa. Citando Hölderlin direi: “Vieles haben sie verlernt, vieles” (Molto hanno disimparato, molto). La vostra storia religiosa è grande e complicata, di lotte. Ai cattolici tedeschi dico: la Germania ha una grande e bella Chiesa Evangelica; io non ne vorrei un’altra, che non sarà tanto buona come quella; ma la voglio Cattolica, alla cattolica, in fratellanza con quella Evangelica. A volte si perde il senso religioso del popolo, del santo popolo fedele di Dio, e cadiamo nelle discussioni eticiste, nelle discussioni di congiuntura, nelle discussioni politiche ecclesiastiche, nelle discussioni che sono conseguenze teologiche, ma non sono il nocciolo della teologia. Cosa pensa il santo popolo fedele di Dio? Come sente il santo popolo di Dio? Andare lì a cercare cosa pensa, come sente, quella religiosità semplice, che trovi nei nonni. Non dico di tornare indietro, no, ma alla fonte di ispirazione, alle radici. Tutti noi abbiamo una storia di radici della fede, anche i popoli l’hanno: bisogna ritrovarla! Mi viene in mente quella frase di Hölderlin per la nostra età: “Dass dir halte der Mann, was er als Knabe gelobt” (Il vecchio mantenga quello che ha promesso da fanciullo”. Nella nostra fanciullezza, nella nostra speranza noi abbiamo promesso tante cose, tante cose. Adesso ci mettiamo in discussioni etiche, in discussioni congiunturalistiche… Ma la radice della religione è lo “schiaffo” che ti dà il Vangelo, l’incontro con Gesù Cristo vivo: e da lì le conseguenze, tutte; da lì il coraggio apostolico, da lì l’andare alle periferie, anche alle periferie morali della gente, per aiutarla; ma sempre dall’incontro con Gesù Cristo. Se non c’è l’incontro con Gesù Cristo ci sarà un eticismo travestito da cristianesimo. Questo volevo dire, dal cuore. Grazie.

Vi auguro un buon pranzo e un buon arrivo a Roma. E vi chiedo di pregare per me. Io lo farò per voi. Grazie per la vostra collaborazione.                                                passim da

www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/november/documents/20221106-voloritorno-bahrain.html

Per la prima volta dall’inizio della guerra, Shevchuk a Roma per parlare con il Papa

     Ha cominciato il suo soggiorno romano con una Messa nella cattedrale dei greco cattolici ucraini a Roma. Sarà una settimana nella capitale, incontrando i vari dicasteri. Incontrando Papa Francesco dopo otto mesi passati a fianco della popolazione sotto attacco, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ha portato un dono simbolico e sostanziale: il frammento di una mina russa che ha distrutto la facciata dell’edificio della chiesa greco cattolica nella città di Irpin’, vicino Kyiv, nel mese di marzo. Irpin’ è infatti una delle prime “città martiri” colpite dall’aggressione russa all’Ucraina, ma il punto è che simili pezzi di mina si estraggono dai corpi di militari, civili e bambini ucraini, segno visibile della distruzione e della morte che ogni giorno porta la guerra”. Un dono che certamente Papa Francesco avrà apprezzato, dato che proprio ieri, tornando dal viaggio in Bahrein, in conferenza stampa ha spiegato che parla di Ucraina “martoriata” perché colpito dalle violenze.

 L’arcivescovo maggiore ha spiegato al Papa – riporta un comunicato – “che la guerra in Ucraina è una guerra coloniale e le proposte di pace che vengono dalla Russia sono proposte di pacificazione coloniale. Queste proposte implicano la negazione dell’esistenza del popolo ucraino, della sua storia, cultura e anche la Chiesa. È la negazione dello stesso diritto all’esistenza dello Stato ucraino, riconosciuto dalla comunità internazionale con la sua sovranità e integrità territoriale. Su queste premesse, le proposte della Russia mancano di un soggetto di dialogo”.

     Ricevendo Sua Beatitudine, il Papa ha rinnovato la sua vicinanza a quello che chiama “il martoriato popolo ucraino”, e ha assicurato che sta al fianco del popolo ucraino in preghiera e azione. Papa Francesco, inoltre, ha incoraggiato l’Arcivescovo maggiore e i suoi pastori ad un “servizio evangelico di prossimità al popolo sofferente, oppresso dalla paura e dalla violenza bellica”.

     Papa Francesco ha anche ribadito l’impegno della Santa Sede per la fine dell’aggressione e l’arrivo di una giusta pace. L’impegno della Santa Sede, ha detto il Papa, è anche quello di promuovere la solidarietà per il popolo ucraino, oltre a dare sostegno negli sforzi di pace.

     Shevchuk ha anche raccontato al Papa “del servizio dei nostri vescovi, sacerdoti, monaci e monache nei territori attualmente occupati. Ho sottolineato che tutti i nostri pastori sono rimasti accanto al popolo sofferente. Ho spiegato che ogni nostra cattedrale, chiesa e monastero sono diventati centri di rifugio, accoglienza e servizio umanitario”, ha detto Sua Beatitudine. Al Papa è stato presentato anche il piano pastorale 2023 della Chiesa greco-cattolica ucraina, al centro del quale c’è il servizio ai più deboli, accoglienza e accompagnamento degli sfollati, la cura delle ferite, causate dalla guerra. Sua Beatitudine ha anche ringraziato il Papa per tutto ciò che è stato fatto per fermare la guerra e mediare la pace, liberare gli ostaggi e prigionieri, organizzare la solidarietà universale della Chiesa cattolica a favore del popolo ucraino sofferente.

     Sua Beatitudine ha cominciato la sua visita a Roma domenica 6 novembre, celebrando la Divina Liturgia nella Cattedrale dei Santi Sergio e Bacco degli Ucraini. La segreteria dell’arcivescovado maggiore a Roma ha reso noto il programma di Sua Beatitudine, cominciato con l’incontro con il Papa oggi. Shevchuk è sempre rimasto a Kyiv, trasformando i sotterranei della sua cattedrale in un rifugio, ma è stato in questi mesi a Leopoli a marzo per incontrare l’inviato di Papa Francesco, il Cardinale Konrad Krajewski, e anche in altri territori per delle brevi visite, secondo le condizioni di sicurezza. Durante la settimana, Sua Beatitudine avrà incontri con vari capi dicastero della Curia Romana, che culmineranno il 12 novembre con un incontro con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Il 14 novembre, il capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina riporterà della situazione della guerra ad un gruppo selezionato di ambasciatori accreditati presso la Santa Sede.

     Ogni giorno da quando è scoppiata la guerra il 24 febbraio scorso, Sua Beatitudine ha inviato un videomessaggio al popolo ucraino, diffuso in varie lingue e in tutto il mondo. “Con la sua presenza a Roma – scrive l’arcivescovado maggiore – Sua Beatitudine vuole portare il grido del popolo ucraino al cuore della cristianità, con la speranza di una pace giusta che renda giustizia al popolo ucraino aggredito”.

Andrea Gagliarducci                                     ACI stampa        07 novembre, 2022

https://www.acistampa.com/story/per-la-prima-volta-dallinizio-della-guerra-shevchuk-a-roma-per-parlare-con-il-papa-21062?utm_campaign=ACI%20Stampa&utm_medium=email&_hsmi=232838666&_hsenc=p2ANqtz-96FT1I4tyHUDR5CLpUcg5h7HlGgQWLD7EftSxG4G2Yk7Tn4tEWKL7UgvhZ6BwOfrujxxi1JW1yBBBPzOr4XzMG9VzXWg&utm_content=232838666&utm_source=hs_email

S.B. Shevchuk: “Dalla verità che state raccontando, dipendono vite umane. La menzogna uccide. La verità salva”

     Incontro questa mattina con la redazione del Sir a Roma di Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina. Un colloquio a tutto campo, dal primo attacco russo sulla città di Kiev, ai cadaveri nelle fosse comuni, ai negoziati di pace, al ruolo dell’Europa. Poi un appello ai giornalisti: “La prima vittima della guerra è la verità. Una grande guerra è sempre purtroppo legata ad una grande bugia”. “Dalla verità che state raccontando, dipendono vite umane. La menzogna uccide. La verità salva”. “Non cedete alle manipolazioni ideologiche”. Questo, lo posso testimoniare”. L’arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina ha voluto ringraziare i giornalisti per la “serietà e oggettività”. Poi ha lanciato un’esortazione: “non cedete alle manipolazioni ideologiche. C’è tanta ideologia attorno a quello che stiamo vivendo in Ucraina. Una de-informazione pagata e ben attrezzata. Non tutti riescono a prendere sul serio quello che sta succedendo con un’analisi seria. Il giornalismo di oggi è un giornalismo superficiale che non si preoccupa di entrare nella profondità della realtà e delle situazioni. Si ripetono le frasi per sentito dire o per rispondere al sentimento comune. Scendete in profondità. Sono pochi coloro che sono capaci di farlo. Con lacrime agli occhi vi ringrazio”.

     Sua Beatitudine ha quindi ripercorso questi lunghi mesi di aggressione russa su vasta scala cominciata il 24 febbraio scorso. “Il fronte si è fermato a 20 chilometri dalla mia casa”, ha raccontato. “Vedere le bombe e i missili cadere e gli elicotteri volare sul nostro cielo era quasi come Geremia che vedeva la distruzione di Gerusalemme e piangeva. Ero nella lista di quelli che dovevano essere fucilati. Sono vivo per un miracolo”.

     Quando poi i russi hanno cominciato a ritirarsi da Kiev, la città e soprattutto le periferie erano piene di cadaveri e distruzione. “Quando sono andato a visitare una delle fosse comuni ritrovate – ricorda l’arcivescovo – mi sono avvicinato alla sua soglia e ho visto i volti di quelle persone, le mani legate, i segni delle torture. Ho cominciato a pregare. Ad un certo momento sento che la terra sotto di me non è stabile. Allora capisco che anche sotto i miei piedi erano sepolti altri cadaveri. Dentro una domanda: Signore, perché io sono vivo e loro sono morti? Incontrando in questi giorni il Santo Padre e i responsabili di vari uffici della curia romana, dico sempre: meglio un cane vivo, che un leone morto. Evidentemente abbiamo ancora una missione da fare in questa vita”. Dal primo giorno dell’attacco russo ad oggi, Shevchuk ha registrato un video-messaggio che diffonde anche in diverse lingue. “Ho capito che dovevo parlare al cuore di questo popolo”, spiega. “Ho quindi tirato fuori tutti i miei studi teologici. Non odiate. Non lasciatevi prendere da questi sentimenti. Ho invitato a trasformare l’ira in virtù, in coraggio e forza costruttiva. Tutto il Vangelo per noi suona diversamente”.

     L’impegno delle chiese è stato chiaro fin dall’inizio: “salvare le vite umane”. “Abbiamo deciso di rimanere tutti sul posto. Nessuno si è allontanato, né i vescovi, né i sacerdoti, né i monaci. E lo faremo finché ci sarà possibile”, assicura l’arcivescovo maggiore dei greco-cattolici ucraini. “Siamo rimasti anche nelle zone occupate. A Kherson c’è un monastero dei padri basiliani che è diventato un rifugio per le persone”. E interrogato sulle reali prospettive possibili di dialogo e pace tra la Russia e l’Ucraina, Sua Beatitudine esordisce : “Ogni guerra finisce con un accordo. “Se non si arriva a nessun accordo, allora la guerra è destinata a durare per sempre”. “Fino ad oggi – argomenta – la maggioranza di queste proposte di pace che vengono da loro, sono proposte di pacificazione coloniale. Non è riconosciuto alcun diritto di esistenza allo Stato ucraino e se non c’è il riconoscimento di una soggettività con la quale trattare, allora tutto svanisce”. L’analisi non è ottimista. “Non c’è nessun segnale di una autentica apertura alla pace. Sono dichiarazioni. Il Santo Padre è stato molto saggio a fare questo appello a Putin perché si fermi e a Zelensky perché si apra a ogni proposta seria di pace. Noi cerchiamo questa serietà con grande attenzione”.

       Shevchuk parla anche di Europa. “Si taglia un po’ il flusso di gas e tutti sono impauriti. Ci si chiede come passerà l’inverno e ci si preoccupa per il rincaro della benzina. Si guarda al rialzo del costo della elettricità. Per noi in Ucraina, ascoltare tutto questo ci fa male perché mentre in Europa si discute se potete o meno abbassare le temperature di due gradi, noi stiamo pagando con il nostro sangue tutto questo”. La guerra ha smascherato un fatto: “il benessere europeo è causato dal gas e petrolio a basso costo della Russia. Il mutuo guadagno è stato fino ad oggi il fondamento della pace. Ma tutto questo oggi è fallito”. Sua beatitudine ha quindi messo in guardia l’Europa da un pericolo: “se il progetto europeo si riduce solo a un progetto economico, fallisce”. E aggiunge: “Non posso dare ricette. Chiedo solo: se la vita umana vale meno del prezzo del gas e del petrolio, che Europa siamo?”.

M. Chiara Biagioni   Agenzia Sir                10 novembre 2022

www.agensir.it/europa/2022/11/10/dalla-verita-che-state-raccontando-dipendono-vite-umane-la-menzogna-uccide-la-verita-salva

GOVERNO

Il governo Meloni intende prendere impegni concreti per sostenere la famiglia, compreso il quoziente familiare. Ma la vera sfida è prima culturale che economica

Eugenia Roccella, ministro della Famiglia, della Natalità e della Pari Opportunità

È oggettivamente ancora presto per capire davvero quale sarà il posto della famiglia nell’agenda del governo Meloni; eppure la domanda va affrontata da subito, provando ad interpretare i segnali espliciti finora inviati da premier, governo e maggioranza– pochi, ma non insignificanti.

                In primo luogo non si può non fare riferimento al discorso programmatico in Parlamento di Giorgia Meloni, con alcuni impegni concreti che sarà semplice verificare nell’immediato: ha parlato di aumentare gli importi dell’assegno unico universale, di sostegni alle giovani coppie per i mutui per l’acquisto della prima casa, oltre ad aver ribadito un impegno per una riforma fiscale a misura di famiglia, parlando di “quoziente familiare”, indicativamente sul modello francese, per quanto si possa capire oggi. Ha poi richiamato la necessità di favorire la conciliazione famiglia-lavoro, sostenendo al contempo l’occupazione femminile, e impegnandosi a favorire i Comuni per gli asili nido (gratuiti, parrebbe) e con orari di apertura più compatibili con gli orari di uffici, aziende e negozi.

Fin qui tutte buone notizie, verrebbe da dire: azioni concrete, mirate, specifiche, misurabili nei tempi e nelle quantità. In effetti, la vera sfida non è enunciare queste priorità, quanto piuttosto verificarne tempi e modi di attuazione, e soprattutto le reali dimensioni economiche dei vari impegni. Tanto più che queste azioni sono in sostanza ormai condivise in modo abbastanza trasversale, tra quasi tutti i partiti e le culture politiche oggi attive in Parlamento, e potrebbero porsi anche in una certa continuità con alcune azioni del governo precedente – che, non dimentichiamolo, oltre ad aver introdotto l’assegno unico, ha appena approvato un Piano nazionale famiglia, con priorità non troppo lontane da questa lista.

In concreto, piuttosto, vedremo quante di queste misure sapranno intercettare i fondi del Pnrr, che è il vero serbatoio di risorse economiche per tutte le politiche pubbliche, la vera “miniera” da cui estrarre risorse in questi anni, in cui però ci saranno “tanti minatori”, per tante diverse attività, e in cui non è affatto scontato che sapremo scavare nei posti giusti, con rapidità ed efficienza. Fuor di metafora, le risorse ci sono, ma saprà questo governo indirizzarle rapidamente, in quantità adeguate e in modo efficace, a favore di politiche familiari adeguate?

                Un secondo elemento di concretezza riguarda la scelta del modello organizzativo del governo e delle persone al suo interno. In particolare rimane confermato un ministero con delega alla famiglia, in continuità con il precedente assetto, ma con la doppia novità del tema “natalità”, fin dal nome stesso del ministero (e quindi della delega connessa), e della scelta di Eugenia Roccella in questa casella. Due scelte dal forte indirizzo politico, che hanno infatti innescato un forte contenzioso ideologico – e qui sì che si è innestata una certa “discontinuità”.

In questo caso i segnali di novità sono forti – e complessivamente condivisibili. Rispetto al tema “natalità”, stupisce un po’ chi ha criticato questa esplicita sottolineatura. Ormai da qualche anno è assolutamente bipartisan e trasversale la consapevolezza che la questione demografica è una delle priorità e criticità più esplosive per lo sviluppo complessivo del sistema Paese (a partire dallo stesso presidente Mattarella – 12 maggio 2022, messaggio agli Stati generali della natalità). Averlo messo in chiaro fin dalla definizione del ministero appare quindi “solo” un prezioso e virtuoso elemento di chiarezza.

                Anche la scelta di Eugenia Roccella appare elemento di coraggiosa chiarezza, considerata la sua biografia personale e politica, di specchiata onestà e coerenza. Già (e tuttora) femminista, portavoce del primo Family Day, nel 2007, insieme a Savino Pezzotta, coerente nel condannare alcune derive antropologiche – come l’utilizzo del corpo di una donna nella maternità surrogata, troppo spesso ridotta a merce da acquistare, lei e il figlio in grembo. Una scelta chiara, che ha subìto un immediato, ingeneroso e ideologico fuoco di sbarramento “preventivo” (sarebbe più preciso dire “pregiudiziale”), a conferma che sugli aspetti antropologici in gioco attorno alla questione “famiglia” non bisogna dare niente per scontato.

                Al di là delle feroci e pregiudiziali discussioni sulla legge 194\1978 (altro nodo controverso nella storia di questo Paese, troppo spesso ostaggio del gioco al massacro dei partiti), anche per Eugenia Roccella il criterio più serio di valutazione saranno le scelte, le priorità operative, la capacità di agire con efficacia. Ovviamente molte altre caselle saranno importanti, rispetto alle esigenze delle famiglie, come le scelte in tema di lavoro, scuola, salute, e anche la presenza di un ministero per la Disabilità è un segnale per niente banale. Peraltro non si può non ricordare che le politiche familiari più importanti passano comunque per il ministero dell’Economia.

                In sostanza, quindi, le politiche per la famiglia oggi potrebbero beneficiare di un duplice movimento di continuità e discontinuità, a partire dalle azioni di un nuovo governo che, oggettivamente molto diverso culturalmente dai progetti politici dei governi precedenti, può sicuramente introdurre alcuni elementi di innovazione rispetto al sostegno alla famiglia, ma potrebbe anche avvantaggiarsi di alcune soluzioni di continuità, attorno alle quali il consenso trasversale tra i diversi partiti potrebbe rimanere elevato, come il rafforzamento dell’assegno unico,

www.ilsussidiario.net/news/assegno-unico-i-numeri-che-mostrano-i-miglioramenti-necessari/2378189

o le politiche di conciliazione, o l’ampliamento dell’offerta di asili nido, soprattutto nelle aree del Paese meno coperte da questo servizio. Del resto “la famiglia non è né di destra né di sinistra”, ma è una infrastruttura relazionale diffusa che rimane insostituibile per la coesione sociale.

                Rimane comunque, da ultimo, un certo disagio, una sottile inquietudine, un campanello d’allarme, ascoltando gli allarmati messaggi su calo demografico, invecchiamento della popolazione, crisi del sistema pensionistico, spesso insieme a convinti ed enfatici “attestati di stima” verso le famiglie italiane e verso la loro capacità di adattamento e resistenza – la ormai mitica e già un po’ usurata “resilienza” – che sempre più frequentemente echeggiano sulla stampa, in televisione, nelle aule parlamentari. Oggi finalmente della famiglia si parla spesso, ma non sempre per il suo valore in sé, come spazio di umanizzazione, ma più spesso come un puro strumento, da asservire ad un “bene pubblico” definito da altri.

                Al di là delle scelte di Governo, in che stagione culturale stiamo per entrare quindi, oggi? In quella in cui viene riconosciuta la vera oggettività sociale della famiglia, in cui la società ha come obiettivo il sostegno alla libertà delle famiglie e dei loro progetti, oppure nella stagione della “strumentalizzazione della famiglia”, in cui ci si accorge che la famiglia è importante solo perché (e finché) serve alla società, solo perché diventiamo sempre più vecchi, solo perché non si fanno più figli, o peggio, solo perché si consumano meno prodotti?

                Forse oggi il vero banco di prova per una sostanziale discontinuità è proprio culturale, e riguarda il grande nodo della sussidiarietà, vale a dire la capacità di pensare – e attuare – politiche familiari che non considerino le famiglie come puro “luogo di produzione e riproduzione delle nuove generazioni”, come “strumento per la società”, ma piuttosto le valorizzino come un vero e irrinunciabile ambito di senso, libertà e significato di vita, luogo privilegiato per proteggere la dignità e l’integrità di ogni vita, spazio educativo, generativo e rigenerativo della società, da promuovere e rispettare nella sua intima essenza, fatta di libertà e legami, di dono reciproco, di affetto, cura e corresponsabilità.

                Servono quindi politiche familiari diverse, per “ripartire dalla famiglia”, con un modello di empowerment (restituire potere alle famiglie), anziché con il modello del deficit, che vede la famiglia come luogo bisognoso e incapace, che la società e lo Stato devono e possono “assistere”. Spetterà poi alle famiglie stesse, alle associazioni familiari e alla società civile chiedere politiche familiari promozionali e non assistenziali, e vigilare su questo rischio, per non svendere “per un piatto di lenticchie” la soggettività e la libertà di ogni famiglia.

Francesco Belletti           Il sussidiario      8 novembre 2022

www.ilsussidiario.net/news/assegno-unico-e-quoziente-famigliare-piu-liberta-meno-assistenza-qui-si-gioca-il-rilancio/2434679

LITURGIA

La proposta di una liturgia di benedizione per coppie omosessuali dei vescovi fiamminghi

    Il 20 settembre 2022 i vescovi delle Fiandre hanno pubblicato un testo pastorale dal titolo: Essere pastoralmente vicini alle persone omosessuali. Per una Chiesa accogliente che non escluda nessuno                       (bit.ly/3yQAIvJ)

I vescovi ricordano i loro anni di sforzi e preoccupazioni, durante i quali hanno lavorato insieme ad altri attori della società per creare un clima di rispetto, riconoscimento e inclusione nei confronti delle persone omosessuali. Incoraggiano esplicitamente tutti gli operatori ecclesiastici a continuare su questa strada e a non allentarla.

Un accompagnamento pastorale strutturato. Si sentono esplicitamente incoraggiati da papa Francesco, che nell’Amoris lætitia, dichiara che ogni persona, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, deve essere rispettata nella sua dignità e trattata con rispetto (cf. n. 250). In questo modo sottolineano che lo sforzo della Chiesa per rispettare, riconoscere e integrare le persone omosessuali significa anche rispettare la loro scelta di vivere celibi o in coppia. Anche se tale unione non è un matrimonio ecclesiale, può essere una fonte di pace e di felicità condivisa. I vescovi ritengono che ormai i tempi siano maturi per dare all’accompagnamento pastorale delle persone omosessuali un carattere strutturale. L’ancoraggio strutturale della pastorale per le persone e le coppie omosessuali avviene assegnandola come compito ufficiale all’équipe strategica del Servizio interdiocesano per la pastorale della famiglia (IDGP) e incaricando una persona a parte, il laico Willy Bombeek, di coordinare la pastorale. In questo approccio pastorale l’accento è posto soprattutto sull’incontro e sulla conversazione. In particolare devono essere messe in evidenza le storie personali delle persone omosessuali, le loro esperienze e insicurezze, il loro confronto spesso doloroso con le posizioni della Chiesa e le loro sofferenze dovute alla discriminazione sociale.

                Una chiara differenza rispetto al matrimonio. Poiché l’esperienza dimostra che non poche coppie omosessuali credenti chiedono una preghiera e una benedizione durante i colloqui pastorali, i vescovi incoraggiano a chiedere che Dio benedica e sostenga il loro impegno all’amore e alla fedeltà. Questa preghiera dovrebbe avvenire in tutta semplicità e con chiara differenza con ciò che la Chiesa intende per matrimonio sacramentale. Il documento, tuttavia, contiene una proposta concreta di preghiere corrispondenti e di una celebrazione di benedizione. Le parole e la preghiera di apertura sono seguite da una lettura delle Scritture, poi da una preghiera dei partner e infine dalla preghiera della comunità per i due. Seguono le intercessioni, il Padre nostro, la preghiera conclusiva e la benedizione finale.

                Subito dopo la pubblicazione del documento, sono piovute critiche sul fatto che questa proposta di una celebrazione di benedizione contraddice la direttiva vaticana del marzo 2021, secondo la quale la Chiesa non si ritiene autorizzata a benedire le coppie omosessuali. Un portavoce della Conferenza episcopale ha sottolineato che le proposte di preghiera non si riferiscono esclusivamente alle persone omosessuali e possono essere recitate anche individualmente o privatamente. I vescovi fiamminghi non avrebbero voluto introdurre una nuova liturgia.

                Se c’è un progetto condiviso. Il liturgista Ewald Volgger invece, che studia da tempo la questione da un punto di vista liturgico, ha sottolineato che la proposta di benedizione è un atto liturgico della Chiesa, anche se bisogna distinguere tra una liturgia ufficiale e approvata, che avrebbe bisogno della conferma di Roma, e una proposta pratica. Per Volgger è decisivo che due partner omosessuali abbiano un progetto comune per la loro vita, affidandosi a Dio, che invocano come ragione della loro relazione e come loro compagno. La comunità riunita si dispone a favore dei due nella preghiera davanti a Dio, affinché rafforzi ciò che nei due è riconosciuto come un suo dono e vuole diventare una benedizione per gli altri. Secondo Volgger esistono già molte proposte liturgiche per la benedizione di coppie dello stesso sesso. La particolarità del passo dei vescovi fiamminghi, tuttavia, è che ne traggono le conseguenze pastorali, riconoscendo così ufficialmente ciò che è già praticato in molte diocesi e approvato da sacerdoti e vescovi. Il vescovo di Anversa, Johan Bonny, ha riferito di aver discusso la mossa dei vescovi delle Fiandre con papa Francesco. Senza fornire dettagli sulla conversazione, ha sottolineato che le linee guida per la benedizione delle coppie omosessuali siano in linea con papa Francesco. È un’iniziativa da accogliere con favore che una conferenza episcopale abbia osato fare questo passo. Ora dobbiamo aspettare e vedere quali esperienze farà la Chiesa fiamminga e come queste esperienze potranno essere fruttuose anche per altre diocesi e conferenze episcopali. Un passo successivo è certamente quello di rivalutare moralmente le unioni omosessuali, superando il giudizio esclusivo di peccaminosità delle stesse.

Martin Lintner, OSM      Il Regno moralia              10 ottobre 2022

ilregno.it/moralia/blog/la-proposta-di-una-liturgia-di-benedizione-per-coppie-omosessuali-dei-vescovi-fiamminghi-martin-lintner?utm_source=newsletter-mensile&utm_medium=email&utm_campaign=2022/18

 vedi pure             Andrea Grillo                    blog: Come se non          26 giugno 2022

Benedizione di coppie omosessuali e bene comune: le ragioni di una antica sapienza

www.cittadellaeditrice.com/munera/benedizione-di-coppie-omosessuali-e-bene-comune-le-ragioni-di-una-antica-sapienza

news UCIPEM n. 917- 3 luglio 2022 pag.29

MIGRAZIONI

Migrazioni, incroci complessi

Risale a più di una settimana fa la direttiva del ministero dell’Interno che intima alle navi umanitarie di non avvicinarsi alle acque territoriali italiane. La Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) sin dal 2014 presiede un “Osservatorio sulle migrazioni” a Lampedusa. Chiediamo dunque a Marta Bernardini, coordinatrice del programma rifugiati e migranti “Mediterranean Hope”: qual è la situazione attuale degli approdi?

«Ciò che vediamo come chiese protestanti a Lampedusa è un dato certo: le persone continuano ad arrivare via mare e principalmente dalla rotta libica e da quella tunisina. Dall’inizio del 2022 sono approdate a Lampedusa circa 35.000 persone, cifra in linea con gli anni precedenti. Ciò che maggiormente colpisce sono le condizioni con le quali le persone raggiungono l’isola. Chi arriva dalla Libia presenta uno stato fisico-psicologico grave, con visibili segni di violenze. Siamo consapevoli di quanto accade in Libia, una situazione indecente e raccapricciante, dove i diritti umani vengono quotidianamente calpestati. Situazione analoga per chi giunge dalla Tunisia, che raccoglie persone in fuga da altre aree di crisi. In questi ultimi giorni, poi, il maltempo ha messo ancora più in difficoltà le persone soccorse dalle navi delle Ong, e il governo italiano ha permesso lo sbarco solo di alcuni, come se non fossero tutti vulnerabili».

Parliamo di donne, bambini e malati gravi. E tutti gli altri?

«Ci auguriamo, mentre parliamo, che la situazione possa cambiare e che l’approdo verso porti sicuri possa essere concesso a tutti. Purtroppo, per capire la gravità della situazione dobbiamo segnalare che tra gli arrivi a Lampedusa di questi ultimi giorni c’erano anche i piccoli corpi di quattro bambini morti durante la traversata. Continuiamo a vedere troppi morti. Una situazione che produce indignazione e tanta rabbia. È immorale dover veder morire ancora così tante persone nel Mediterraneo».

Lo scorso 2 novembre (come previsto dall’art. 8) il Memorandum Italia-Libia si è rinnovato automaticamente per altri tre anni. In passato la Fcei aveva aderito a un appello lanciato da diverse organizzazioni e associazioni per chiederne la sospensione.

«Sì, è vero. Anche quest’anno la Fcei ha aderito all’appello per chiedere la sospensione del rinnovo del Memorandum Italia-Libia. E solo qualche giorno fa eravamo in piazza con molte associazioni – Emergency, Medici senza Frontiere, Amnesty International… – e tante persone sensibili al tema per ribadire il nostro impegno contro quest’accordo. Sappiamo bene che cosa accade in Libia, un uso sistematico della violenza, è la corruzione a dettare le regole. Riteniamo inaccettabile che l’Italia continui a finanziare la cosiddetta “guardia costiera libica” e a stipulare accordi con un paese considerato non sicuro. La posizione delle chiese protestanti è molto chiara: il Memorandum del 2017 viola i diritti umani: si sono succeduti diversi governi ma mai nessuno ha deciso di modificare quest’intesa».

La Fcei, insieme alla Comunità di sant’Egidio e alla Tavola valdese, è stata promotrice dei primi “Corridoi umanitari”: può fare un bilancio dell’iniziativa?

«I Corridoi umanitari sono una pratica sicura e legale nata per far arrivare [attraverso voli di linea e visti umanitari, ndr] le persone in Italia. Dal primo protocollo, firmato nel 2015, sono giunte nel nostro Paese quasi tremila persone; molte di più se consideriamo i protocolli sottoscritti da altre organizzazioni con il governo italiano. Questo è un “modello” nato per far partire le persone in stato di vulnerabilità in sicurezza e grazie a tre protocolli con partenze diverse: dal Libano, dalla Libia e l’ultimo per le donne afghane e per uomini e bambini afghani grazie al passaggio dall’Iran e dal Pakistan. Oggi possiamo dire che è possibile accogliere persone nella legalità e farlo in tutta sicurezza. I Corridoi umanitari sono vie legali e sicure d’accesso in Italia, una realtà piccola ma importante. Le chiese sono state capaci di mostrare una strada percorribile e auspichiamo che anche i governi possano replicare l’esperienza dei Corridoi umanitari. Il Governo italiano e l’Unione europea dovrebbero immaginare nuove vie legali di accesso».

Le recenti crisi come la pandemia, le guerre, l’invasione dell’Ucraina, hanno in qualche modo rallentato il vostro impegno?

«Sin dall’inizio dell’invasione in Ucraina abbiamo detto che per noi non devono esserci rifugiati e profughi di serie A o B. Siamo convinti che tutte le persone in difficoltà abbiano il diritto di essere accolte, di godere pari dignità, soprattutto se fuggono da guerre e da persecuzioni. In questi ultimi anni siamo riusciti a portare avanti diversi progetti d’accoglienza per i profughi. Non possiamo nasconderci che le sfide sono oggi molteplici».

Oggi Mediterranean Hope (Mh) opera su vari fronti. Ci sono novità da segnalare?

«La forza del progetto Mh è proprio quella di saper leggere i segni dei tempi, di saper guardare con attenzione la realtà e i cambiamenti alle frontiere; questo ci permette di poter essere in tanti luoghi di confine, come la rotta balcanica a Bihac, al confine con la Croazia, dove tante persone cercano di varcare la frontiera per raggiungere l’Europa, ma anche in Italia, in Calabria, dove nelle campagne ci sono tantissimi lavoratori braccianti sfruttati».

Oggi la crisi globale è il preludio di un ulteriore e sensibile aumento di migrazioni. Quali sono le previsioni e quali le soluzioni possibili a un fenomeno non “emergenziale”, bensì sostanziale?

«Il fenomeno migratorio è in costante aumento per le tante crisi legate tra di loro; devono essere legati anche gli sforzi per leggere quello che accade. L’approccio al tema dev’essere dunque “intersezionale”, ossia, unire molte lotte: la crisi climatica, la violazione dei diritti, la violenza sul corpo delle donne, la crisi economica e del sistema lavorativo, quella dello sfruttamento; servono nuove prospettive, nuove pratiche condivise. A situazioni complesse non è possibile dare risposte semplicistiche, è necessario proporre ragionamenti articolati e sul lungo periodo. Come credenti e in quanto persone che vivono in una posizione di privilegio, dobbiamo sempre ricordarci che ogni individuo ha il diritto di spostarsi, di autodeterminarsi e di poter scegliere il proprio futuro».

intervista a Marta Bernardini     di Gian Mario Gillio       Riforma               11 novembre 2022

“Riforma” – settimanale delle chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221108bernardinigillio.pdf

In Italia il primo corridoio umanitario per minori migranti soli

Finora sono arrivati in Italia, dai campi per rifugiati in Niger, 9 ragazzi sudanesi in fuga dalla guerra in Darfur. In tutto si prevede di accoglierne 35. Il progetto si intitola “Pagella in tasca” ed è realizzato dall’organizzazione umanitaria Intersos in collaborazione con Unhcr. È stato finanziato dalla Conferenza episcopale italiana con 400.000 euro, tramite la Campagna “Liberi di partire, liberi di restare”. Tra gli altri partner, la Fondazione Migrantes della Cei.

È il primo corridoio umanitario per minori migranti soli, una esperienza unica in Italia, in Europa e forse nel mondo. Serve a dare la possibilità di studiare e realizzare il loro sogno di vita a bambini e ragazzi fuggiti da conflitti e povertà da soli, senza familiari ad accompagnarli. Il progetto, promosso da Intersos insieme ad Unhcr, Onu per i rifugiati, si intitola “Pagella in tasca. Canali di studio per minori rifugiati” ed è realizzato grazie a un protocollo d’intesa con i ministeri degli Affari esteri e della cooperazione italiana, dell’Interno e del Lavoro. L’idea nasce con l’appoggio della diocesi di Torino. È stato finanziato dalla Conferenza episcopale italiana con 400.000 euro, tramite la Campagna “Liberi di partire, liberi di restare”. Tra gli altri partner, la Fondazione Migrantes della Cei e il Comune di Torino. Nell’ottobre 2021 è arrivato un primo gruppo di cinque ragazzi, il 12 ottobre 2022 sono sbarcati all’aeroporto di Torino altri quattro. Ora stanno preparando le carte per far partire altri cinque ragazzi. Sono tutti sudanesi, provenienti dai campi per rifugiati in Niger. L’obiettivo è inserirli in famiglia tramite l’affido familiare, con una borsa di studio di 12 mesi che permette loro di iniziare o proseguire gli studi. In totale il progetto prevede l’arrivo in Italia di 35 ragazzi, tra i 16 e i 17 anni. Hanno tutti situazioni drammatiche alle spalle.

“Una forte motivazione allo studio è stato il criterio principale di selezione” spiega al Sir Elena Rozzi, coordinatrice del progetto “Pagella in tasca” di Intersos. “Il paradosso è che i minori stranieri non accompagnati, che sono tra i più vulnerabili, non possono accedere ai corridoi umanitari tradizionali. Le procedure che dovrebbero tutelarli, nei fatti li escludono”, precisa. I motivi sono complicazioni di carattere burocratico, anche perché è necessario il consenso dei genitori (spesso non rintracciabili). Inoltre devono essere accolti in strutture apposite per minori. Gli operatori di Intersos hanno però scoperto che in Italia “esiste un permesso di soggiorno per studio per i ragazzi tra i 15 e i 17 anni che non viene mai utilizzato. Così lo abbiamo sfruttato. Poi una volta inseriti in famiglia e nei percorsi scolastici possono fare richiesta d’asilo con le normali procedure. Non è stato facile: le procedure per i minori sono più complicate e i tempi si sono allungati più del previsto ma ci siamo riusciti. I ragazzi si sono inseriti molto bene in famiglia. Le cose stanno andando oltre le nostre aspettative”.

                Intersos accompagna le famiglie affidatarie con la mediazione culturale, il supporto educativo, il sostegno nelle pratiche per la richiesta d’asilo. I servizi sociali dei Comuni coinvolti si occupano di seguire le famiglie, che rientrano nei tradizionali percorsi di affidamento familiare. La maggior parte sono a Torino, un paio di ragazzi sono ad Alba e a Genova ma l’intenzione sarebbe di estendere la rete. La coordinatrice del progetto lancia a questo proposito un appello: “Ci piacerebbe che altri Comuni e realtà della società civile partecipassero”.

                A Torino, tra famiglia e studio. Alcuni ragazzi stanno frequentando le 150 ore delle scuole speciali per l’alfabetizzazione degli adulti. Uno di ha imparato a leggere e a scrivere in italiano a 17 anni. Altri sono inseriti alle scuole medie, uno al terzo anno di liceo linguistico: “Hanno una volontà e una forza eccezionale, che ha consentito loro di sopravvivere alla guerra in Darfur, alla Libia e ai campi profughi. Dedicano moltissimo tempo allo studio”. Nel frattempo alcuni ragazzi hanno compiuto la maggiore età. Alcune famiglie del primo gruppo hanno già chiesto al Tribunale per i minorenni di Torino il proseguimento amministrativo dell’affido fino ai 21 anni. “Nonostante tutte le difficoltà stanno facendo progressi immensi – conclude l’operatrice -. Speriamo riescano ad ottenere una qualifica e poi a trovare un lavoro. Con questo progetto vogliamo dimostrare di poter aprire una via in un campo finora inesplorato. Ci auguriamo che queste procedure diventino un modello replicabile. È una modalità importante per sottrarre i bambini e ragazzi che viaggiano soli al rischio tratta e sfruttamento nei viaggi illegali”.

Tra i ragazzi arrivati in Italia c’è Omar (è un nome di fantasia), 17 anni, sudanese. Il suo sogno è fare il medico. Aveva solo 13 anni quando le milizie janjaweed, il terrore della gente che vive in Darfur (Sudan), hanno attaccato il campo profughi in cui viveva, torturando e uccidendo alcuni membri della sua famiglia. Omar ha vissuto la terribile esperienza dei campi di detenzione in Libia e poi nel 2020 è riuscito a fuggire in Niger, e ha chiesto asilo in un campo per rifugiati ad Agadez. Grazie all’incontro con gli operatori di Intersos è riuscito ad arrivare a Torino, dove è stato accolto da una famiglia affidataria. Ha già imparato l’italiano, si trova benissimo in famiglia e si impegna strenuamente nello studio.

 Patrizia Caiffa  Agenzia SIR        10 novembre 2022

www.agensir.it/italia/2022/11/10/in-italia-il-primo-corridoio-umanitario-per-minori-migranti-soli

Rapporto Migrantes, se ne vanno più italiani di quanti stranieri arrivano

Gli italiani all’estero sono più degli stranieri in Italia, al di là di slogan elettorali. Il presidente Mattarella: «Serve profonda riflessione sulle cause di questo fenomeno» – «Si era soliti affermare che l’Italia da paese di emigrazione si è trasformato negli anni in paese di immigrazione: questa frase non è mai stata vera e, a maggior ragione, non lo è adesso perché smentita dai dati e dai fatti».  Si apre così il comunicato di Fondazione Migrantes che accompagna il rapporto sugli italiani nel mondo, presentato ieri a Roma. La Fondazione Migrantes è un organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana istituito il 16 ottobre 1987. Un precedente organismo, creato nel 1965 con finalità analoghe, era denominato Ufficio Centrale per l’Emigrazione Italiana (U.C.E.I.).

                Dall’Italia non si è mai smesso di partire e negli ultimi difficili anni di limitazione negli spostamenti a causa della pandemia, di recessione economica e sociale, di permanenza di una legge nazionale per l’immigrazione sorda alle necessità del tessuto lavorativo e sociodemografico italiano, la comunità dei cittadini italiani ufficialmente iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) ha superato la popolazione di stranieri regolarmente residenti sul territorio nazionale. Una Italia interculturale in cui l’8,8% dei cittadini regolarmente residenti sono stranieri (in valore assoluto quasi 5,2 milioni), mentre il 9,8% dei cittadini italiani risiedono all’estero (oltre 5,8 milioni) afferma il Rapporto.

                In generale, la popolazione straniera in Italia è più giovane di quella italiana. I ragazzi nati in Italia da genitori stranieri (“seconde generazioni” in senso stretto) sono oltre 1 milione: di questi, il 22,7% (oltre 228 mila) ha acquisito la cittadinanza italiana. Se ad essi si aggiungono i nati all’estero (245 mila circa) e i naturalizzati (quasi 62 mila), la compagine dei ragazzi con background migratorio supera 1,3 milioni e rappresenta il 13,0% del totale della popolazione residente in Italia con meno di 18 anni. Una popolazione “preziosa” vista la situazione demografica ogni anno più critica vissuta dall’Italia, caratterizzata da inesorabile denatalità̀ e accanito invecchiamento.

La storia nazionale, però, insegna che la mobilità è qualcosa di strutturale per l’Italia e il passato più recente ha visto e vede proprio le nuove generazioni sempre più protagoniste delle ultime partenze. D’altronde non potrebbe essere altrimenti considerando quanto la mobilità sia entrata a far parte pienamente dello stile di vita, tanto nel contesto formativo e lavorativo quanto in quello esperienziale e identitario.

                L’Italia sempre più transnazionale.L’attuale comunità italiana all’estero è costituita da oltre 841 mila minori (il 14,5% dei connazionali complessivamente iscritti all’AIRE) moltissimi di questi nati all’estero, ma tanti altri partiti al seguito delle proprie famiglie in questi ultimi anni. Ai minori occorre aggiungere gli oltre 1,2 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni (il 21,8% della popolazione complessiva AIRE, che arriva a incidere per il 42% circa sul totale delle partenze annuali per solo espatrio). Non bisogna dimenticare, infine, tutti quelli che partono per progetti di mobilità di studio e formazione – che non hanno obbligo di registrazione all’AIRE e chi è in situazione di irregolarità̀ perché́ non ha ottemperato all’obbligo di legge di iscriversi in questo Anagrafe. Una popolazione giovane, dunque, che parte e non ritorna, spinta da un tasso di occupazione dei giovani in Italia tra i 15 e i 29 anni pari, nel 2020, al 29,8% e quindi molto lontano dai livelli degli altri paesi europei (46,1% nel 2020 per l’UE-27) e con un divario, rispetto agli adulti di 45-54 anni, di 43 punti percentuali. I giovani occupati al Nord, peraltro, sono il 37,8% rispetto al 30,6% del Centro e al 20,1% del Mezzogiorno. Al divario territoriale si aggiunge quello di genere: se i ragazzi residenti al Nord risultano i più occupati con il 42,2%, le ragazze della stessa fascia di età̀ ma residenti nel Mezzogiorno non superano il 14,7%. Il triplice rifiuto percepito dai giovani italiani – anagrafico, territoriale e di genere – incentiva il desiderio di estero e soprattutto lo fa mettere in pratica. Dal 2006 al 2022 la mobilità italiana è cresciuta dell’87% in generale, del 94,8% quella femminile, del 75,4% quella dei minori e del 44,6% quella per la sola motivazione “espatrio”. «Una mobilità giovanile che cresce sempre più perché́ l’Italia ristagna nelle sue fragilità̀ – prosegue il Rapporto- ; ha definitivamente messo da parte la possibilità per un individuo di migliorare il proprio status durante il corso della propria vita accedendo a un lavoro certo, qualificato e abilitante (ascensore sociale); continua a mantenere i giovani confinati per anni in “riserve di qualità̀ e competenza” a cui poter attingere, ma il momento non arriva mai. Il tempo scorre, le nuove generazioni diventano mature e vengono sostituite da nuove e poi nuovissime altre generazioni, in un circolo vizioso che dura da ormai troppo tempo».

                In questa situazione, già fortemente compromessa, la pandemia di Covid-19 si è abbattuta con tutta la sua gravità rendendo i giovani italiani una delle categorie più colpite dalle ricadute sociali ed economiche. La presa di coscienza di quanto forte sia stato il contraccolpo subito dai giovani e dai giovanissimi, già in condizioni di precarietà̀ e fragilità̀, in seguito all’esplosione dell’epidemia mondiale, è stata al centro della creazione e formalizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e di diverse politiche adottate a livello europeo. Le azioni del PNRR sono volte a recuperare il potenziale delle nuove generazioni e a costruire un ambiente istituzionale e di impresa in grado di favorire il loro sviluppo e il loro protagonismo all’interno della società̀. Il PNRR è, detto in altri termini, un punto da cui ricominciare per pensare e programmare un futuro diverso, che risponda e valorizzi i giovani, le loro capacità e le loro competenze rispondendo anche ai loro desideri e alle loro attese.

                L’Italia fuori dall’Italia. «È da tempo che i giovani italiani non si sentono ben voluti dal proprio Paese e dai propri territori di origine, sempre più spinti a cercar fortuna altrove. La via per l’estero si presenta loro quale unica scelta da adottare per la risoluzione di tutti i problemi esistenziali (autonomia, serenità̀, lavoro, genitorialità̀, ecc.). E così ci si trova di fronte a una Italia demograficamente in caduta libera se risiede e opera all’interno dei confini nazionali e un’altra Italia, sempre più attiva e dinamica, che però guarda quegli stessi confini da lontano» si legge ancora. Mentre l’Italia ha perso in un anno lo 0,5% di popolazione residente (-1,1% dal 2020), all’estero è cresciuta negli ultimi 12 mesi del 2,7% che diventa il 5,8% dal 2020. Non c’è nessuna eccezione: tutte le regioni italiane perdono residenti aumentando, però, la loro presenza all’estero. La crescita, in generale, dell’Italia residente nel mondo è stata, nell’ultimo anno, più contenuta, sia in valore assoluto che in termini percentuali, rispetto agli anni precedenti. Gli italiani nati all’estero sono aumentati dal 2006 del 167,0% (in valore assoluto sono, oggi, 2.321.402; erano 869 mila nel 2006). Si tratta di italiani che restituiscono un volto ancora più composito del nostro Paese rendendolo interculturale e sempre più transnazionale, composto cioè̀ da italiani che hanno origini diverse (nati e/o cresciuti in paesi lontani dall’Italia o nati in Italia in famiglie arrivate da luoghi lontani) e che si muovono con agilità̀ tra (almeno) due paesi, parlando più lingue, abitando più culture.

                Gli italiani sono presenti in tutti i paesi del mondo. Le comunità più numerose sono, ad oggi, quella argentina (903.081), la tedesca (813.650), la svizzera (648.320), la brasiliana (527.901) e la francese (457.138).

«Il Rapporto fornisce anche quest’anno una fotografia di grande interesse dei flussi migratori che interessano i nostri connazionali», ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato al presidente della Fondazione Migrantes, monsignor Gian Carlo Perego.

                «A partire sono principalmente i giovani – e tra essi giovani con alto livello di formazione – per motivi di studio e di lavoro. Spesso non fanno ritorno, con conseguenze rilevanti sulla composizione sociale e culturale della nostra popolazione. Partono anche pensionati e intere famiglie», osserva il Capo dello Stato. «Il fenomeno di questa nuova fase dell’emigrazione italiana non può essere compreso interamente all’interno della dinamica virtuosa dei processi di interconnessione mondiale, che richiedono una sempre maggiore circolazione di persone, idee e competenze. Anzitutto perché il saldo tra chi entra e chi esce rimane negativo, con conseguenze evidenti sul calo demografico e con ricadute sulla nostra vita sociale. Ma anche perché in molti casi chi lascia il nostro Paese lo fa per necessità e non per libera scelta, non trovando in Italia una occupazione adeguata al proprio percorso di formazione e di studio».

                E conclude il capo dello Stato: «Il nostro Paese, che ha una lunga storia di emigrazione, deve aprire una adeguata riflessione sulle cause di questo fenomeno e sulle possibili opportunità che la Repubblica ha il compito di offrire ai cittadini che intendono rimanere a vivere o desiderano tornare in Italia».

Redazione “Riforma”                    10 novembre 2022

“Riforma” – settimanale delle chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi

https://riforma.it/it/articolo/2022/11/10/rapporto-migrantes-se-ne-vanno-piu-italiani-di-quanti-stranieri-arrivano?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Migranti, la bugia dell’Italia: sono Germania, Francia e Spagna i Paesi che accolgono molto di più

Fact-checking sui dati dei flussi migratori. Il nostro Paese primo solo per gli sbarchi ma poi chi riesce scappa al nord. Richieste di asilo, rapporto tra immigrati e popolazione residente, strutture di accoglienza vedono lo Stato italiano sempre dietro altre nazioni europee

Il governo Meloni agita quell’unico numero, 90.000, perché quella degli arrivi dei migranti via mare è l’unica classifica sui flussi migratori in cui l’Italia è decisamente prima: per l’esattezza, alla data dell’11 novembre, 90.297 sbarcati dall’inizio del 2022, a fronte, per intenderci, dei 26.341 della Spagna, dei 7.684 della Grecia e dei 13.474 della piccola Cipro, secondo i dati più aggiornati dell’Oim.

                Ma se poi andiamo a guardare quanti dei migranti sbarcati in Italia decidono di restare, il numero delle richieste di asilo e ancor di più il numero di stranieri residenti in rapporto alla popolazione vedono l’Italia sempre dietro molti altri Paesi che non sono di primo approdo, segno che chi arriva in Italia cerca di proseguire per il nord Europa. E soprattutto che Germania e Francia, i due Paesi ai quali l’Italia chiede di condividere il peso degli sbarchi sono quelli che in Europa accolgono più di tutti. I numeri, dunque, non supportano affatto l’immagine dell’Italia che prova a dare il governo Meloni, come quello del Paese europeo che sopporta il peso più grande dei flussi migratori.

                Le richieste di asilo, innanzitutto. Secondo i dati consolidati Eurostat del 2021, l’Italia è solo quarta tra i Paesi destinatari di richieste d’asilo con 45.200 domande, meno della metà della Francia che ne ha ricevuto 103.800 ed è seconda solo alla Germania con 148.000. Anche la Spagna, con 65.295 domande, accoglie più dell’Italia. Dati che, aggiornati ai primi cinque mesi del 2022, confermano il trend in aumento (300.000 richieste, +85 %) e aumentano il divario tra Italia (53.640 domande) e Francia (120.685), mentre la Germania ha già ricevuto 190.545 richieste di asilo e la Spagna oltre 65.000.

Accoglienza, Italia solo quindicesima in rapporto alla popolazione. Se poi guardiamo alle richieste d’asilo in rapporto alla popolazione residente, l’Italia scivola addirittura al quindicesimo posto in Europa con un richiedente asilo ogni 1.308 abitanti, mentre la Germania ne conta uno ogni 561 abitanti, la Francia uno ogni 652. Di più: proprio dall’analisi del rapporto tra richieste di asilo e popolazione degli Stati viene fuori la totale infondatezza dell’Italia “invasa” dai migranti: piuttosto a chiedere a buon diritto la redistribuzione per essere sollevate dal peso dell’accoglienza dovrebbero essere Cipro, prima in classifica, con un richiedente asilo ogni 68 abitanti, e persino Malta (che notoriamente spicca per l’assenza nei soccorsi nella sua zona Sar), che comunque conta più immigrati di quanti ne ha l’Italia, uno ogni 432 cittadini.

I profughi ucraini. Nella valutazione dei pesi dell’accoglienza dei profughi tra i Paesi europei entra naturalmente anche quella relativa agli oltre 5 milioni di ucraini in fuga per cui l’Europa ha attivato la protezione internazionale automatica. La maggior parte, 1,5 milioni, ha trovato rifugio in Polonia, ma anche in questo caso è la Germania ad aprire le porte più di tutti gli altri Stati con oltre un milione di rifugiati ucraini, 455.000 sono rimasti in Repubblica Ceca, mentre l’Italia ne accoglie 171.000 e la Francia 118.000.

Rifugiati in Italia al di sotto della media. Un altro dato interessante che dimostra come l’Italia, nel saldo finale, sia più in debito che in credito, è quello sul numero dei rifugiati residenti in Italia. Dai dati consolidati dell’Unhcr, in Italia abitano 3 rifugiati ogni 1.000 abitanti, ben al di sotto della media. Complessivamente il numero degli stranieri residenti in Italia, come risulta dall’ultimo dossier Idos sull’immigrazione, è di 5,2 milioni, pari al 9% della popolazione. Ma – a dispetto della percezione dei cittadini –  quasi la metà sono europei, il 22% asiatici, il 7,5% americani e solo il 22% africani. Le nazionalità più rappresentate sono infatti la Romania, seguita da Albania, Marocco, Cina e Ucraina, dunque nulla a che vedere con quelle delle persone che – nella maggior parte dei casi – scendono dalle navi umanitarie o dai barconi.

                L’immigrazione lontana dalle preoccupazioni degli italiani, il sondaggio Ipsos: “Per il 56 % dei cittadini le scelte del governo inutile propaganda”.

Il sistema di accoglienza italiano. Nei centri di accoglienza italiani, tra Cas e Sai (il sistema di accoglienza diffuso) ci sono 103.161 migranti, un numero che torna a superare le 100.000 unità dopo quattro anni di discesa dovuta anche ai tagli al sistema imposti da Salvini durante la sua gestione del Viminale. Cifre comunque assolutamente gestibili per un sistema che nel 2017 è arrivato ad accogliere più di 190.000 persone.

Alessandra Ziniti              La Repubblica   12           novembre 2022

www.repubblica.it/cronaca/2022/11/12/news/migranti_europa_italia_fact_checking-374105517/?ref=RHLF-BG-I374212492-P2-S2-T1

NULLITÀ MATRIMONIALE

Coscienza e nullità matrimoniale

Capita ormai non di rado di trovarci davanti a fedeli che ritengono “in coscienza” il loro matrimonio nullo. Cosa comporta questo loro convincimento in coscienza in relazione alla nullità matrimoniale? Può esserci un conflitto?

                Come si può comprendere la questione della coscienza in riferimento alla nullità matrimoniale è un argomento che merita una seppur breve e non esaustiva puntualizzazione, anche in vista di un corretto itinerario di discernimento e integrazione o di un concreto iter processuale, il quale ha come finalità aiutare a conoscere la verità sul matrimonio.

Discernimento della coscienza. Tale questione, tuttavia, non è nuova ma già san Giovanni Paolo II ne aveva parlato nell’Esortazione postsinodale Familiaris consortio al n. 84 affrontando il tema della situazione canonica dei fedeli divorziati risposati che «sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido».

www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_19811122_familiaris-consortio.html

Queste parole sono state riprese da Papa Francesco in Amoris lætitia (=AL) 298.

www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

Precedentemente ad AL il Papa affronta questo argomento nel m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus (=MIDI) con il quale riforma alcuni aspetti della dichiarazione di nullità del matrimonio di quei «fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo» (MIDI, Regole Procedurali [=RP] art. 2).

www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20150815_mitis-iudex-dominus-iesus.html

Da quest’ultimo testo, si suppone che esistono questi fedeli e che la loro “convinzione soggettiva della nullità” potrebbe essere il fondamento per dare inizio a un’eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale”. Si comprende, al tempo stesso, l’attenzione e la preoccupazione di Papa Francesco per coloro che hanno avuto un matrimonio finito male e vivono in una situazione che la Chiesa considera “irregolare”, in quanto un matrimonio non può essere sciolto con il divorzio. Per questo nel cercare di rendere più accessibile e snello lo strumento della nullità del matrimonio il Pontefice ha esortato anche ad avere un’attenzione pastorale verso queste situazioni di “irregolarità” (cfr. AL 244) e convincimento che hanno alcuni fedeli circa la nullità del matrimonio. Questo non significa che si sia voluto stravolgere il giudizio di nullità e renderlo una sorta di “divorzio della Chiesa”. La Chiesa, infatti, resta ferma sul principio dell’indissolubilità [MIDI art. 6, 8)], ma può agire sulle modalità con cui viene accertata la nullità del matrimonio.

                Nei documenti del Papa, dunque, non vi è fondamento che il fedele stesso, con o senza avvalersi di un consulente, consideri valido o “putativo” il suo secondo matrimonio civile, né tantomeno che possa ricevere i sacramenti. Ma quando la convivenza è totalmente rotta e non può essere ripristinata, deve essere spiegata la differenza tra un fallimento, a causa dei loro comportamenti, e la nullità matrimoniale. A riguardo, Papa Benedetto XVI precisò che «là dove sorgono legittimamente dei dubbi circa la validità del Matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza» (Sacramentum Caritatis, 29).

www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/apost_exhortations/documents/hf_ben-xvi_exh_20070222_sacramentum-caritatis.html

La fondatezza in merito si deve verificare mediante due momenti: si inizia di fronte all’operatore pastorale (parroco], consultori familiari, struttura stabile diocesana di carattere giuridico-pastorale per le situazioni di fragilità matrimoniale, esperti in diritto canonico) per poi continuare l’intervento pastorale del giudice, chiamato attraverso il processo matrimoniale a compiere un discernimento atto a verificare la validità o meno del vincolo coniugale. Tuttavia, nel verificare la fondatezza di dubbi circa la validità del matrimonio, se dovesse presentarsi il caso (rarissimo) di un fedele che, con ragioni obiettive, abbia la fondata convinzione in coscienza della nullità del suo matrimonio, ma non si possa dimostrarlo davanti al tribunale ecclesiastico andrà valutato e compreso sempre secondo la giurisprudenza canonica. A tal proposito saggiamente è stato evidenziato che «non si deve dimenticare che per arrivare a un pronunciamento a favore della nullità del matrimonio è necessario che non vi si opponga nessun ragionevole dubbio».

                Se, tuttavia, la certezza della nullità, nella coscienza del fedele, fosse davvero obiettiva e non si potesse in alcun modo provarla, quel matrimonio in quanto nullo, non costituirebbe un impedimento di legame per un nuovo matrimonio, la cui celebrazione, però, resterebbe illecita per il diritto positivo della chiesa che vieta anche in questi casi la celebrazione del matrimonio e considera i fedeli che facessero una simile scelta come persone che incorrono in situazione matrimoniale oggettivamente irregolare [a tal riguardo il can. 1085 § 2 dice: “Quantunque il matrimonio precedente sia, per qualunque causa, nullo o sciolto, non per questo è lecito contrarne un altro prima che sia constatata legittimamente e con certezza la nullità o lo scioglimento del precedente]»[7].

Prassi ecclesiale e nullità di coscienza. In sintonia con Benedetto XVI, Francesco richiede che venga condotta una IPP [Indagine Pregiudiziale o Pastorale] che «accoglie i fedeli separati o divorziati che dubitano della validità del proprio matrimonio o sono convinti della nullità del medesimo» (MIDI, art. 2 RP). Nel considerare le due possibilità (quelli che sono convinti della nullità o che dubitano della validità), sembra propendere verso una pianificazione più aperta possibile in questi casi.

                In AL Francesco propone di sviluppare una pastorale dell’accoglienza di questi fedeli divorziati verso cui va compiuto un discernimento personale nelle diverse situazioni, tenendo conto della convinzione soggettiva della nullità quando esiste, alla luce degli insegnamenti della Chiesa e della dottrina canonica-processuale sul sacramento del matrimonio in quanto fatto pubblico. Per cui, come è stato ribadito in dottrina «secondo la migliore tradizione cattolica, la coscienza ha indubbiamente una dignità unica e un ruolo indispensabile nel formulare l’esigenza pratica, ora e qui, della legge. Per dirla con le parole del Beato John Henry Newman, “la coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo”.

                Nel caso delle situazioni irregolari vi è però da tenere presente che la norma dell’indissolubilità è di “diritto divino” e che questi casi hanno un carattere pubblico-ecclesiale. Ciò significa che la coscienza è vincolata alla legge divina senza eccezioni e qualora vi fosse la convinzione soggettiva che il precedente matrimonio era nullo, l’unica via per dimostrarlo deve essere quella del foro esterno, ossia del tribunale ecclesiastico». Alla luce di ciò si comprende che davanti a situazioni di fedeli convinti in coscienza della loro nullità matrimoniale, presbiteri, operatori della pastorale familiare e della giustizia devono porre molta attenzione e compiere un accurato accompagnamento e discernimento per comprovare la coincidenza di quella convinzione con la realtà e, nella situazione concreta, darle rilevanza ecclesiale al fine di un’autentica e possibile integrazione di questi fedeli, evitando una deriva incline a un relativismo o a «sbrigative conclusioni».

                Inoltre, in una fase previa al giudizio, i soggetti che operano a servizio di questi fedeli sono chiamati sempre a tutelare la verità del sacramento attraverso la raccolta dei dati sulla storia personale e matrimoniale, integrando l’itinerario personale del singolo fedele e conoscendone la propria condizione di fragilità matrimoniale sino a raccogliere eventuali elementi utili, che potranno essere di aiuto agli operatori della giustizia nell’iter processuale per raggiungere, nella soluzione dei casi, l’effettiva verità, «la quale deve essere sempre fondamento, madre e legge della giustizia» così come deve essere di ogni percorso pastorale di accompagnamento.

                Dunque, ogni operatore come «la guida spirituale che accompagna il discernimento del fedele, dovrà proporre una verifica circa la possibilità di procedere per la via della nullità: l’accoglienza di tale suggerimento, anche nel caso poi non vi siano elementi sufficienti per avviare un processo, sarà comunque un elemento importante che attesta la buona volontà e il cammino di conversione in atto.

                Il processo di nullità poi, anche in caso di esito negativo, fornirà elementi molto significativi per il discernimento: tramite il processo infatti possono venire alla luce fatti e circostanze che i coniugi stessi non conoscevano o di cui non erano pienamente consapevoli. Ciò può costituire l’occasione e lo stimolo per quell’assunzione di responsabilità e quella pacificazione della coscienza che costituisce una tappa fondamentale del discernimento stesso». Questo è particolarmente necessario in questi tempi in cui spesso i battezzati sono influenzati da una mentalità laica e dell’effimero, o da una indifferenza religiosa che li induce ad avere un approccio soggettivo e deformato del matrimonio sino a volerlo disporre in modo autonomo.

Sinergia tra azione pastorale e dimensione giuridica. In conclusione, il cosiddetto convincimento di nullità di coscienza chiede di essere sottoposto al vaglio, alla verifica da parte del giudice, e sottratto al servizio di interessi individuali e di forme pastorali, sincere forse, ma non basate sulla verità, che invece andrà ricercata e orientata verso la salus animarum.

                Ulteriormente, come è stato evidenziato in dottrina: «quando si tratta di affrontare problematiche assillanti e delicate (come ad esempio quelle dei divorziati risposati), la via da intraprendere non sembra individuabile nel propugnare in ambito processuale improponibili “nullità di coscienza”, quanto, piuttosto, quella di impegnarsi con tutti gli strumenti giudiziari a disposizione perché si vada formando una prova di (tale rilevanza ed efficacia da asseverare non solo la coscienza del giudice [can. 1602 § 3 CIC], con il conseguimento della sua morale certezza, ma anche e soprattutto la) coscienza della parte che s’è messa in gioco nel processo: una prova di coscienza, dunque, anzi che una “nullità di coscienza”». Questo è importante anche in vista di una possibile integrazione di queste situazioni di fragilità matrimoniali all’interno della comunità cristiana e rifuggire atteggiamenti lassisti (ad es. in merito all’accostarsi all’eucarestia) prevedendo itinerari e soluzioni verso il bene possibile dei fedeli interessati, senza tradire la giustizia e la verità. Per cui, «solo sulla base del riconoscimento della verità della propria situazione esistenziale (non sulla base di un infingimento o di prospettazione ambigue in merito) può essere costruito [anche] un sensato cammino pastorale e spirituale».

                Quest’ultimo sarà, poi, teso ad integrare ogni fedele ferito all’interno della comunità ecclesiale, ed «in certi casi» (cfr. nota 351 di AL 305) – ove sia impossibile o inopportuno l’avviare un iter processuale – accompagnarlo verso un «preciso processo di discernimento, teso al formarsi della certezza della coscienza fino a poter accedere al sacramento». Questo modus agendi deve permeare presbiteri, operatori della pastorale e della giustizia, i quali nei confronti di quanti richiedono un chiarimento sulla propria situazione matrimoniale devono rendersi consapevoli di essere sempre al servizio della verità e rifuggire, come esortava San Giovanni Paolo II, un finto “pastoralismo” .

                Ciò precisato, si comprende quanto risulti importante nella vita della Chiesa, per il bene delle anime, un sano e rispettoso incontro/convergenza tra la realtà pastorale e quella del diritto, nel rispetto dei loro metodi

Emanuele Tupputi   Settimana news     8 novembre 2022

16 note       …….—www.settimananews.it/sacramenti/coscienza-nullita-matrimoniale

Rito tridentino e nullità matrimoniale: le inattese analogie

Non vorrei che le discussioni e le necessarie polemiche intorno al “rito tridentino” fossero solo un diversivo, per concentrare l’attenzione su un solo punto critico della vita ecclesiale e distrarre così da aspetti altrettanto urgenti di “riforma” della pratica e della dottrina della Chiesa. I recenti interventi su SettimanaNews di don Emanuele Tupputi, che è tra i più attivi nel recepire gli stimoli provenienti da “Amoris Lætitia”, mi ha convinto ad intervenire in modo chiaro su una distorsione interna alla tradizione, tanto grave quanto la nostalgia per i riti “di prima”. In particolare è l’ultimo articolo che l’autore ha pubblicato sulla rivista on-line a mostrare i limiti delle categorie impiegate per risolvere la questione della “coscienza” degli sposi in relazione alla loro storia di relazione matrimoniale. Per arrivare a discutere la impostazione, desidero partire da alcune premesse, con cui illustro la “strana” analogia tra nostalgia per il rito tridentino e discussioni in materia di “nullità matrimoniale”.

a) Il Concilio Vaticano II e la traduzione della tradizione. Il fatto che oggi una piccola parte della comunità cattolica voglia riferirsi al “vetus ordo” per celebrare la fede, non è anzitutto una questione di liturgia, ma di identità ecclesiale, di autorappresentazione dei soggetti e di comprensione della tradizione. La riforma liturgica ha modificato profondamente la comprensione della Chiesa che celebra, dei soggetti in essa implicati e della tradizione a cui essi riconoscono di appartenere. Lo spazio di una “actuosa participatio”, che il rito preconciliare aveva profondamente dimenticato, riappare al centro della esperienza e pretende nuovi soggetti, nuove azioni, nuovi spazi e nuovi tempi. Restare (o tornare) a Pio V significa non aver compreso questo profondo mutamento e/o volerlo esplicitamente contraddire. Come dice bene papa Francesco, in Traditionis Custodes 31:

www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/20210716-motu-proprio-traditionis-custodes.html

“Sarebbe banale leggere le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come una semplice divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma rituale. La problematica è anzitutto ecclesiologica. Non vedo come si possa dire di riconoscere la validità del Concilio – anche se un po’ mi stupisce che un cattolico possa presumere di non farlo – e non accogliere la riforma liturgica nata dalla Sacrosanctum Concilium che esprime la realtà della Liturgia in intima connessione con la visione di Chiesa mirabilmente descritta dalla Lumen gentium.”

www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html

www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html

Questo, però, non vale solo per la liturgia. Vale anche per la comprensione delle fondamentali dinamiche di intelligenza della vita dei cristiani, tra cui vi è la dinamica matrimoniale, su cui non è possibile continuare a pensare e ad agire come si faceva 600, 400 o 200 anni fa. Per questo non vorrei che, impegnati giustamente a difendere la riforma liturgica dalle folate nostalgiche che la minacciano, finissimo per non accorgerci delle forme superate e inadeguate di comprensione della realtà e di soluzione delle questioni. Vediamo meglio in che senso la nostra comprensione della “nullità matrimoniale” è la eredità di una soluzione tridentina che oggi non regge più.

                b) La soluzione tridentina della nullità. La riflessione intorno alla “nullità del vincolo”, che inizia con il pensiero giuridico e scolastico medievale e che subisce una inevitabile accelerazione dopo il Decreto Tametsi, si basa su alcuni presupposti di un mondo che non c’è più. Vediamo di elencare quelli fondamentali:

www.docsity.com/it/il-decreto-tametsi-spiegazione-e-sua-rilevanza-storica/2653887

Ciò che qui ho cercato di riassumere è il progressivo imbarazzo della tradizione cattolica di fronte al mutare della storia dei soggetti, del vincolo e delle famiglie. Ostinarsi a ricondurre tutto alle logiche del “nullità contrattuale” mi pare una forma di resistenza non più giustificabile, se non in un sistema autoreferenziale, che si immunizza dalla realtà e pensa di risolvere le questioni mettendo ordine sulla scrivania del canonista.

c) Amoris Lætitia e il nuovo orizzonte di soluzioni. Il grande merito di Amoris Lætitia è di aver preso coscienza, in modo limpido, della presenza, nel corpo ecclesiale, di coppie la cui storia matrimoniale è fallita e non può essere ricostruita mediante il ricorso alla “nullità originaria” del vincolo.

www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

 L’autore del testo da cui ho preso le mosse, ossia E. Tupputi, non a caso muove la sua indagine dal n. 84 di Familiaris Consortio, in cui Giovanni Paolo II parla della situazione canonica dei fedeli divorziati risposati che «sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido».     www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_19811122_familiaris-consortio.html

Questa rappresentazione, che di per sé resta sempre possibile, diventa una sorta di “strettoia” o di “imbuto” se pretende di assicurare, come via principale, una possibile soluzione ad ogni crisi matrimoniale. L’idea che il matrimonio “mai sia stato valido” è la pretesa estrema e spesso la forzatura procedurale che orienta la ricostruzione della storia dei soggetti ad una logica distorta. Questo deve essere apertamente dichiarato: qui o si cambiano le categorie di interpretazione della storia dei soggetti o si resta vittime del sistema di cui si è perso il controllo. Onorare le storia dei soggetti significa predisporre categorie nuove e procedure diverse da quella della “riconoscibile nullità”.

d) La prospettiva non più tridentina. Il punto-chiave della novità sta nel superamento della “autosufficienza” dell’ordinamento giuridico ecclesiale. Inaugurato all’alba delle modernità da Tametsi e poi consolidato, in tutt’altro mondo, dal Codice del 1917, questa opzione, storicamente contingente, non è stata veramente superata dalla versione “post-conciliare” del Codice (1983), ma solo dalle parole chiare con cui AL apre uno spazio ulteriore alla pastorale matrimoniale rispetto allo spazio giuridico. Questo è il punto su cui gli sviluppi successivi ad AL devono necessariamente lavorare. Ossia superata la “meschina” pretesa (AL 304) di identificare la volontà di Dio con la legge oggettiva, sorge per la Chiesa il dovere e il potere di  operare in un contesto in cui giuridicamente si riconoscano “altri ordinamenti” (naturali e civili) diversi la quelli ecclesiali e nei quali si realizza, parzialmente ma efficacemente, la vita cristiana. Solo questo permetterà di riconoscere che ci siano “fallimenti matrimoniali”, frutto di storie e di coscienze, e non semplicemente di “nullità originarie non ancora riconosciute”.

È ovvio che uscire dalla soluzione tridentina non è affatto facile, né sul piano liturgico né sul piano pastorale. Ma il Concilio Vaticano II ci ha indicato con chiarezza una via sulla quale procedere, con pazienza ma anche con audacia. Riconoscere che oggi ci sono famiglie, la cui logica giuridica non è controllata dalla Chiesa, ma che realizzano forme del bene di carattere primario, impone l’abbandono di “regolamenti autoreferenziali” e le elaborazioni di forme nuove (procedurali e sostanziali) di riconoscimento del bene relazionale. Questo passa necessariamente non attraverso la messa tra parentesi dell’aspetto giuridico, ma mediante l’esercizio di una profezia anche da parte del diritto canonico nel configurare una presenza ecclesiale non più compresa come un ordinamento giuridico autosufficiente. Questa sfida è sicuramente molto più profonda e importante del conflitto con i nostalgici della liturgia di Pio V. E la nostalgia del Tametsi – di una competenza totalizzante della Chiesa, che non sa più distinguere tra logiche naturali, logiche civili e logiche ecclesiali – appare molto più insidiosa e paralizzante dell’attaccamento  a liturgie che il Concilio Vaticano II ha voluto esplicitamente superare.

Andrea Grillo                    Come se non                     8 novembre 2022

www.cittadellaeditrice.com/munera/rito-tridentino-e-nullita-matrimoniale-le-inattese-analogie

PACE

La rete del Vaticano per i negoziati “Pronti a mediare tra Russia e Ucraina”

La Santa Sede accelera il lavoro diplomatico per cercare di risolvere il conflitto in Ucraina, e avrebbe rinnovato una duplice disponibilità:

Emerge dalle Sacre Stanze – insieme a vari dubbi e alla prudenza massima su reale possibilità di riuscita ed eventuali tempistiche – dopo il vertice tra papa Francesco e il presidente francese Emmanuel Macron del 24 ottobre scorso. E dopo le parole del Pontefice sul volo di ritorno dal Bahrein, l’altro ieri: «La Segreteria di Stato lavora e lavora bene. Si fa un’opera di avvicinamento, per cercare delle soluzioni. La Santa Sede fa quello che deve fare anche» per liberare «prigionieri», e in questo ambito «ha tenuto tanti incontri riservati, con buon esito».

E pure dalla galassia russa giungono voci che confermerebbero il tentativo vaticano di spingere verso una svolta positiva; in particolare ne ha parlato alcuni giorni fa all’agenzia di stampa Tass Leonid Mihailovich Sevastianov, presidente dell’Unione dei «Vecchi credenti» russi, che sarebbe in contatto con Bergoglio.

Ma dalla Segreteria di Stato si predica estrema cautela sulle reali intenzioni di apertura a negoziati del Cremlino, e si ricordano le parole di pochi giorni fa del cardinale Pietro Parolin a proposito dell’incontro di un mese fa con il ministro degli Esteri russo: Sergej Lavrov «ha ripetuto la versione russa» del conflitto; «io gli ho fatto presente la preoccupazione del Santo Padre». Ognuno è rimasto sulle proprie posizioni, in pratica.

Intanto ieri il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk, è stato ricevuto dal Papa. L’arcivescovo maggiore di Kiev ha dichiarato che «la guerra in Ucraina è coloniale e le proposte di pace che vengono dalla Russia sono di pacificazione coloniale». Implicano «la negazione dell’esistenza del popolo ucraino, della sua storia, cultura e anche la Chiesa. È la negazione dello stesso diritto all’esistenza dello Stato ucraino, riconosciuto dalla comunità internazionale con la sua sovranità e integrità territoriale. Su queste premesse, le proposte della Russia mancano di un soggetto di dialogo». Shevchuk ha donato a Francesco il frammento di una mina russa che ha distrutto la facciata della chiesa di Irpin, vicino a Kiev. Un regalo simbolico «perché simili pezzi di mina si estraggono dai corpi di militari, civili e bambini ucraini, segno visibile della distruzione e della morte che ogni giorno porta la guerra».

Nel frattempo un prete russo, Mikhail Vasilyev, 51 anni, che aveva incoraggiato le donne ad avere più figli così da soffrire meno per la loro partenza per il fronte, è rimasto ucciso sul campo di battaglia in Ucraina, secondo quanto annunciato dalla Chiesa ortodossa russa.

Domenico Agasso                  “La Stampa” 8 novembre 2022

www.lastampa.it/vatican-insider/2022/11/08/news/la_rete_del_vaticano_per_i_negoziati_pronti_a_mediare_tra_russia_e_ucraina-12225726

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221108agasso.pdf

La pace in Ucraina è possibile: ecco il piano per una tregua elaborato dal Vaticano

«È il momento di vincere le timidezze. Non basta essere pacifisti di testimonianza. La pace va costruita attivamente. È quello che pensano la Segreteria di Stato e il Papa stesso. Si vis pacem, para bellum, dicevano i Romani. Invece no. Se vuoi la pace, non devi attrezzarti per la guerra: devi costruire la civilizzazione».

Stefano Zamagni, presidente dell’Accademia pontificia delle Scienze Sociali, ha pubblicato questo settembre un memorandum con un Piano di pace per l’Ucraina. Economista specializzatosi a Oxford, docente alla Bocconi, alla John Hopkins University di Bologna, collegato con molteplici centri di ricerca internazionali, Zamagni ha per professione uno sguardo geopolitico. Non bisogna avere paura della negoziazione – ha scritto – come appare dallo stato d’animo di alcuni settori degli Stati Uniti. Ci sono (ovunque) «politici e capi di governo che temono di essere percepiti dal proprio elettorato o come pacifisti ingenui oppure come opportunisti con secondi fini». Invece la mobilitazione della società civile per un’Alleanza per la Pace «è oggi una iniziativa urgente».

Professor Zamagni, dunque una mattina d’autunno lei scrive un “Piano per una pace giusta e duratura in Ucraina”. Così recita il titolo.

                «Non scherziamo. L’iniziativa nasce nei primi mesi dell’anno in un gruppo di lavoro sulla pace dell’Accademia pontificia delle Scienze, guidato dall’economista statunitense Jeffrey Sachs. Nel corso delle riunioni è stato deciso a settembre di avanzare una proposta credibile di pace negoziata».

Papa Francesco nelle sue prese di posizione sottolinea sempre quanto la vicenda sia complessa e non possa essere ridotta ad un duello fra buoni e cattivi.

«In effetti emerge l’intreccio di due componenti. Una, ideologico-identitaria rappresentata dalle dichiarazioni del patriarca Kirill, incentrate sul contrasto con un Occidente privo di valori e dunque sul fatto che questa è una guerra santa, metafisica. Una dimensione più forte di quanto possiamo immaginare in Occidente, se già nell’Ottocento Fedor Dostoevskij – e altri intellettuali dopo di lui – sosteneva che un solo Paese al mondo sarà in grado di conservare l’eredità del cristianesimo: la Russia».

L’altra componente?

«È quella degli interessi espressa da Putin. La Russia è dal punto di vista economico strutturalmente povera. Non ha praticamente un’industria manifatturiera competitiva. Per le alte tecnologie dipende dall’estero. È forte nelle risorse naturali: gas, petrolio, uranio. Ma per quanto riguarda il gas, ad esempio, non sono stati scoperti nuovi giacimenti e dunque è stato calcolato che il Paese abbia un’autonomia di produzione di soli 60 anni. Il Donbass conteso, va ricordato, è una zona industriale importante con notevoli risorse minerarie. Quindi, nel momento in cui la componente ideologica e quella degli interessi convergono, è chiaro che la tentazione di usare lo strumento della guerra – e quindi l’invasione dell’Ucraina – è diventata forte. Anche con l’intento di costringere l’Occidente e specialmente gli Stati Uniti a tenere maggiormente in considerazione la Russia».

In realtà Putin ha sbagliato completamente i calcoli.

«Sperava di risolvere tutto in tre settimane e non è andata così. Non ha nemmeno tenuto conto che l’Ucraina si sarebbe sempre più legata all’Occidente e dunque per lui sarebbe diventata – come si dice – una minaccia alle porte della Russia».

Come se ne esce?

«Si tratta di distinguere tra razionalità e ragionevolezza».

Proviamo a farlo.

                «La razionalità tende alla scoperta del Vero. Pensiamo alla razionalità della ricerca scientifica. La ragionevolezza invece mira alla ricerca e alla realizzazione del Bene, Perciò bisogna scegliere. Platone è il filosofo del primato del Vero sul Bene. Aristotele privilegia la ragionevolezza, cioè il primato del Bene rispetto al Vero. È una decisione strategica. Vuoi il trionfo della Verità? E allora l’obiettivo è di punire la Russia, sconfiggerla, fare fuori Putin…. Oppure preferisci la pace, che è il sommo dei beni in questo contesto, pur accettando piccoli compromessi come in ogni negoziato? La prima via è quella riassunta dal motto Fiat justitia pereat mundus, (‘Si faccia giustizia e sprofondi il mondo’), cioè non importano le distruzioni, non importa se scompaiono vite umane. Io sto con Aristotele e Tommaso d’Aquino. Dalla parte della ragionevolezza: la tutela del bene delle persone e delle comunità. Il che non vuol dire rinnegare la verità dei fatti, perché sulla condanna dell’aggressione di Putin sono tutti concordi. Il problema è come uscire dalla situazione in cui ci troviamo».

In concreto quali sono le proposte di pace, nate in quello che potremmo definire il laboratorio vaticano?

«Sono sette punti.

Questa è la parte generale. Ma la Crimea?

«Si congela la situazione. La Russia ne conserva il controllo de facto per un certo numero di anni, poi le due parti negozieranno una soluzione permanente».

Rimane la questione del Donbass, la cui popolazione si chiama generalmente russofona ma in realtà sono russi e basta.

«Il modo intelligente con cui si risolvono questi nodi ce lo ha mostrato Alcide De Gasperi con la sistemazione dell’Alto Adige. L’accordo De Gasperi-Gruber è la quintessenza di ciò che abbiamo definito la “ragionevolezza”. È un accordo che ha funzionato bene! Bolzano è sempre in cima alla classifica delle città che si distinguono per qualità della vita. Perciò le regioni di Lugansk e di Donetsk continueranno a fare parte integrante dell’Ucraina, ma a loro sarà garantita autonomia economica, politica e culturale. Contemporaneamente andrà assicurato sia all’Ucraina che alla Russia l’accesso ai porti del Mar Nero per le loro attività commerciali».

Il Piano affronta anche la questione delle sanzioni occidentali alla Russia?

«Andranno rimosse gradualmente, in parallelo al ritiro delle truppe e degli armamenti russi dall’Ucraina. Ma soprattutto…»

Soprattutto?

«Si propone la creazione di un Fondo Multilaterale per la Ricostruzione e lo Sviluppo delle aree distrutte e danneggiate dell’Ucraina. Una specie di Piano Marshall. E naturalmente la Russia è chiamata a concorre a questo Fondo».

Papa Francesco ha visionato questo Piano?

«Tutti i risultati e le proposte dell’Accademia pontificia delle Scienze e dell’Accademia delle Scienze Sociali vanno direttamente alla Segreteria di Stato e quindi all’attenzione del pontefice. Di più non posso sapere. Ma per fare un esempio concreto, tanta parte dell’enciclica Laudato si’ si è basata proprio sulla produzione dell’Accademia delle Scienze».

L’elemento nuovo del conflitto russo-ucraino, che ormai è diventato russo-americano come riconoscono gli analisti più concreti, consiste nel suo carattere globale. Papa Bergoglio non a caso lo ha definito una «guerra totale».

                «Questa è la prima guerra globale della storia dell’umanità. Perché le guerre che chiamiamo “mondiali” riversavano le conseguenze perverse soltanto sui Paesi belligeranti, pochi o molti che fossero. In questa guerra globale, invece, le conseguenze negative ricadono su Paesi terzi, su popolazioni – diciamo così –innocenti. Se manca il grano, muore di fame anche chi non c’entra niente con il conflitto. È questo che i fautori della “razionalità” non capiscono. Ecco perché deve prevalere la “ragionevolezza” al fine di tutelare il bene comune».

In altre parole non si può più dire: se la vedano quelli che si fanno la guerra!

«Perché il danno è globale, danneggia i Paesi in via di sviluppo, produce mancanza di cibo e di conseguenza produrrà ulteriori migrazioni. Naturalmente Putin lo fa apposta. Pensa: li affamo e così loro scappano e vanno verso Italia, Grecia, Francia, Spagna… Ciò detto, la distinzione tra i due tipi di guerra rimane importante. Perché ogni mese in più di questa guerra, produrrà disastri tali che ci vorranno anni per riassorbirli. Per non parlare delle armi impegnate che richiedono risorse, che potrebbero essere impiegate diversamente. Rispetto a questi disastri ecco il valore del negoziato, in cui ciascuno rinuncia a qualcosa per ottenere un bene superiore. Non a caso la nostra proposta di pace indica una sorta di Piano Marshall».

Il memorandum, frutto del lavoro dell’Accademia, affronta anche la questione della lobby delle armi?

«Certamente. Vi sono lobby belligeranti che non vogliono che i conflitti abbiano termine. Spingono per bloccare ogni proposta di negoziato tra Russia e Ucraina. Troppo alti sono i profitti dell’industria bellica. Guardi qua cosa dichiarò Giovanni Paolo II all’Angelus del 1. Gennaio 2002…». Da tre mesi gli Stati Uniti avevano attaccato l’Afghanistan in risposta all’attentato delle Torri Gemelle, perpetrato da Al Qaeda. «Diceva papa Wojtyla: “Forze negative, guidate da interessi perversi, mirano a fare del mondo un teatro di guerra”. Parole non solo profetiche ma un atto di accusa politica. Aggiungiamo anche un’altra cosa: le armi come le medicine vanno in scadenza. Perciò devono essere usate! Sono in ballo interessi fortissimi».

Molto presto Francesco ha sottolineato che l’attuale conflitto non può essere affrontato meramente come una partita tra due blocchi politico-militari, ma deve sfociare in nuove regole di governance mondiale.

«Anzitutto va eliminato il diritto di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Chi detiene il veto, ha un potere di monopolio che limita la libertà degli altri. È un elemento di pressione e corruzione. Inoltre andrebbe aperta la strada alla partecipazione della società civile, dell’associazionismo, del volontariato. Naturalmente con regole e standard precisi. Ma perché presenze internazionali come la Comunità di Sant’Egidio o Medici senza frontiere non devono potersi esprimere alle Nazioni Unite? Inoltre vanno riformate istituzioni come il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione mondiale della sanità, la Banca mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio. Sono nate a Bretton Woods nel 1944 con statuti in funzione degli interessi occidentali, in un’epoca in cui esistevano ancora le colonie».

Un programma corposo.

                «Se si parla di una nuova Helsinki, bisogna affrontare la questione di un nuovo ordine economico internazionale. Servono nuovi organismi a livello Onu: per la gestione degli aiuti, per affrontare il flusso delle migrazioni, per dedicarsi alla questione dell’ambiente. E ancora, vanno eliminati i paradisi fiscali che alimentano la speculazione finanziaria. (Esistono anche nella Ue: Malta, Irlanda, Olanda, Lussemburgo). Infine va proibito l’accaparramento delle terre coltivabili e delle risorse di acqua».

Insomma, lei insiste nel dire che la pace è il risultato di uno sforzo complessivo, in molteplici dimensioni.

                «Lo affermava già Paolo VI nella sua enciclica Populorum progressio del 1967. Lo sviluppo è il nuovo nome della pace. Si badi bene, lo “sviluppo” non la “crescita” in quanto tale».

Tra poche ore si terrà a Roma la prima grande manifestazione nazionale per la pace. Sono già scoppiate le polemiche sul pacifismo. I “razionalisti”, come li chiama lei, non vogliono saperne oppure proclamano che “tutti vogliamo la pace”. E quindi nulla deve muoversi.

                «Non a caso io parlo di “costruttori di pace” come dice il Vangelo di Matteo. Io rispetto pienamente il pacifismo di testimonianza, che serve a mobilitare le coscienze. Ma non basta. Esiste nella storia anche il diritto all’autodifesa. Il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, sostenitore del pacifismo etico, è poi passato all’impegno attivo nella resistenza a Hitler. Perciò la pace va costruita, mattone su mattone, eliminando anche le cause della guerra. Le proposte, che abbiamo appena discusso, sono l’esempio di come si mette pietra su pietra. Vorrei anche aggiungere che dobbiamo ricordare che la Russia appartiene all’Europa, ovviamente con le sue caratteristiche. O vogliamo rischiare di gettarla in braccia alla Cina? Teniamo conto che personalità come Obama e Kissinger in questi giorni si spendono per ricordare che ci sono cose che si possono fare e altre che è meglio non fare».                       Un nodo politico è anche la posizione di Zelensky, che ha firmato un decreto per vietare di trattare con Putin. Un recente editoriale dell’Avvenire rimarca la necessità di far capire a Zelensky che l’aiuto occidentale non significa avallare atteggiamenti di intransigenza e il rifiuto di chiudere la guerra.

                «Sono d’accordissimo. Un conto è rilevare che la colpa del conflitto è della Russia. Sua è la responsabilità di avere infranto le regole. Ma questo non deve impedire la ragionevolezza. Non deve sfociare nel rifiuto del negoziato».

La manifestazione del 5 novembre si propone di premere per un cessate-il-fuoco. Lo stesso obiettivo indicato ai primi di ottobre da papa Bergoglio. Concretamente, c’è una soluzione?

                «È il momento di affidare ad un mediatore super partes, dotato di caratteristiche di ragionevolezza e rispettabilità da tutti riconosciute, il compito di avanzare una proposta di negoziato (che può anche essere diversa da quella che ho illustrato). Se questa personalità, sostenuta dalla stima di tutti, si rivolgesse a Putin e Zelensky e allo stesso tempo a Biden e Xi Jinping, dicendo “Vi chiedo di discutere questa proposta”, a quel punto nessuno potrebbe tirarsi indietro. E si potrebbe avviare un processo di pace».

Il nome?

«In questo momento di personalità con questo tipo di qualità ce n’è solo una. Una personalità che non ha interessi in gioco e quindi è super partes, che ha un capitale reputazionale universalmente attestato e infine la necessaria saggezza. Papa Francesco».

Marco Politi                      The Post Internazionale                                              4 novembre 2022

www.tpi.it/cronaca/la-pace-in-ucraina-e-possibile-il-piano-per-una-tregua-del-vaticano-20221104946554

PREVIDENZA SOCIALE

Congedi parentali e maternità: cosa cambia

L’attuazione delle direttive 2019/1152 e 2019/1158 assicura condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili ed equilibrio tra attività professionale e vita familiare, per i dettagli sui congedi parentali la circolare INPS del 27 ottobre 2022.

Il 22 giugno 2022 sono stati approvati dal Consiglio dei Ministri due schemi di Decreti legislativi:

Entrambi i decreti definitivi sono stati pubblicati sulla GU:

  1. (sotto allegato) ha attuato la Direttiva 2019/1158.

In relazione a quest’ultimo decreto in particolare con il messaggio 3066 del 4 agosto 2022 (sotto allegato) l’INPS ha fornito le prime indicazioni di rilievo ai fini del riconoscimento delle indennità previste in favore dei genitori lavoratori, che saranno in vigore a partire dal 13 agosto 2022.

                Con la circolare INPS n. 122 del 27 ottobre 2022 (sotto allegata) sono state invece fornite le istruzioni amministrative relative alle modifiche che il decreto n. 105 ha apportato al Dlgs n. 151/2001 come il congedo di paternità obbligatorio previsto per i lavoratori dipendenti, la possibilità di indennizzare in caso di gravidanza a rischio i periodi che precedono di due mesi il parto delle lavoratrici autonome, il congedo parentale dei lavoratori autonomi e per coloro che sono iscritti alla gestione separata INPS.

  • Il decreto legislativo n. 104/2022 che attua la direttiva dell’unione europea 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione Europea disciplina il diritto all’informazione sugli elementi essenziali del rapporto di lavoro, sulle condizioni di lavoro e sulla relativa tutela. Trattasi in realtà di un obbligo già previsto dal decreto legislativo n. 152/1997 che ora però, grazie al nuovo decreto legislativo, viene aggiornato e adeguato alla normativa europea. Passando al contenuto del decreto, lo stesso introduce tutele minime ulteriori rispetto a quelle già esistenti. L’obiettivo è di garantire anche ai lavoratori, con contratti non standard, di poter avere formule contrattuali più prevedibili e informazioni più trasparenti sulle condizioni. Il datore di lavoro infatti avrà obblighi informativi anche in relazione a quei lavoratori assunti con i seguenti contratti atipici:

Sono esclusi dall’applicazione delle regole del presente decreto i seguenti rapporti di lavoro:

Il decreto fissa criteri di trasparenza per garantire ai lavoratori informazioni più complete sugli aspetti essenziali del rapporto di lavoro. Essi hanno il diritto di avere in forma scritta tutte le informazioni relative al rapporto di lavoro da parte del datore e questo deve accadere fin dall’inizio del rapporto. Il lavoratore ha altresì diritto di ricevere informazioni sulle modalità di esecuzione della prestazione, anche quando organizzate con sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati. Al lavoratore deve essere inoltre garantito un periodo di prova.

                Per quanto riguarda infine la tutela dei lavoratori in caso di violazione dei diritti, gli stessi devono poter accedere a sistemi di risoluzione delle controversie efficaci e imparziali.

  • Il secondo decreto legislativo, attua la direttiva Unione europea 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza. Modificata a tal fine soprattutto la disciplina dei congedi.
  • è previsto in favore del padre lavoratore dipendente si astiene dal lavoro per un periodo di 10 giorni lavorativi (non frazionabili a ore e fruibili anche in via non continuativa), nel periodo compreso tra i 2 mesi precedenti la data presunta del parto e i 5 mesi successivi alla nascita (entro lo stesso arco temporale, il congedo è fruibile anche in caso di morte perinatale del figlio). In caso di parto plurimo il congedo dura 20 giorni.

Numerose e di rilievo le modifiche al regime dei congedi parentali, tra le quali figurano le seguenti:

I lavoratori iscritti alla gestione separata hanno diritto a 3 mesi di congedo parentale indennizzato, non trasferibile all’altro genitore. I genitori hanno, inoltre, diritto a ulteriori 3 mesi indennizzati in alternativa tra loro, per un periodo massimo complessivo indennizzabile tra i genitori di 9 mesi (e non più 6 mesi).

  • www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2022;105
https://servizi2.inps.it/Servizi/CircMessStd/VisualizzaDoc.aspx?sVirtualUrl=/messaggi/Messaggio%20numero%203066%20del%2004-08-2022.htm

www.lavorosi.it/rapporti-di-lavoro/sospensione-del-rapporto-di-lavoro/inps-circ-n-122-del-27102022-nuove-disposizioni-in-materia-di-congedi-paternita-e-materni/#:~:text=Con%20la%20circ.%20n.%20122%20del%2027.10.2022%2C%20fornisce,due%20mesi%20prima%20del%20parto%20delle%20lavoratrici%20autonome.

Annamaria Villafrate  Studio Cataldi      05 nov 2022

www.studiocataldi.it/articoli/44254-congedi-parentali-e-maternita-cosa-cambia.asp

PROCREAZIONE RESPONSABILE

Come può la Chiesa cattolica sviluppare il suo insegnamento sulla contraccezione artificiale?

Mentre aumentano le voci sul fatto che Papa Francesco stia prendendo in considerazione un nuovo documento che ammorbidirebbe il divieto ecclesiale alla contraccezione artificiale – segnando una rottura potenziale con l’enciclica Humanæ Vitæ di Paolo VI, Pontefice che Francesco ha beatificato e canonizzato –, il corrispondente di The Tablet a Roma ha incontrato il principale consulente del Papa in materia, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Co-fondatore della Comunità di Sant’Egidio, il presule ha spiegato che essere “pro-vita” non riguarda solo il fatto di ribadire la tradizionale opposizione della Chiesa ad aborto e contraccezione, ma anche la promozione di una visione più ampia e ricca di ciò che significa custodire la vita. “Oggi quello che è importante per noi è essere davvero pro-vita in modo efficace e assolutamente non ideologico”, ha confidato l’arcivescovo 77enne.

Il presule crede che le minacce alla vita includano guerra, fame, povertà, tassi di natalità che crollano, adolescenti che si suicidano e anziani che vengono esclusi e dimenticati. Anche l’economia è una questione che riguarda la vita, perché la povertà uccide. “Ogni anno, due milioni di bambini muoiono di malnutrizione”, ha affermato l’arcivescovo. È per questo che l’economista Mariana Mazzucato è stata nominata all’Accademia, considerando la sua esperienza nel suo campo di ricerca, anche se le sue posizioni pro-choice sulla questione dell’aborto contraddicono gli insegnamenti della Chiesa, ha spiegato Paglia. Nel suo pontificato, Papa Francesco ha insistito sul fatto che abolire la pena di morte, proteggere i migranti e l’ambiente e combattere le ingiustizie sociali fanno parte di un pacchetto di preoccupazioni collegate alla vita, e che la Chiesa non può quindi concentrarsi esclusivamente sull’aborto. Quanto alla Humanæ Vitæ, Paolo VI aveva messo in guardia sul fatto che l’uso massiccio di anticoncezionali avrebbe portato a un declino delle norme morali e del rispetto per le donne.

 L’arcivescovo Paglia ritiene necessario sottolineare l’elemento profetico di quell’enciclica, che può essere visto negli attuali tassi di natalità in declino in Occidente, ma sottolinea che il rifiuto della contraccezione non può essere l’unica dottrina: ad esempio, la promozione della “genitorialità responsabile” è un argomento esplorato in modo insufficiente. Ad ogni modo, deve andare avanti il dialogo teologico per sviluppare un pensiero cattolico che sia comprensibile in un mondo che affronta molti cambiamenti radicali. “Potrebbe emergere un intero nuovo capito dell’etica della vita”, scrive il corrispondente del quotidiano britannico.

Alateia plus                       11 novembre 2022

https://it.aleteia.org/2022/11/11/rassegna-stampa-chiesa-cattolica-e-la-contraccezione-artificiale

RIFLESSIONI

Perché ascoltare i giovani

Sono sempre più sotto osservazione da parte della società e si rinchiudono nella solitudine dei social network. I Maneskin sono il loro vero urlo. I giovani, che dovremmo sempre percepire come l’ultima generazione che si affaccia alla vita nel mondo, ultimamente sono sempre più sotto osservazione, indagati da parte della società che cerca di “capirli”, e ormai addirittura oggetto di un’ossessiva ricerca nell’ambito della pastorale, perché sono la parte mancante della chiesa, sono gli assenti per eccellenza dagli atti di culto e dalle occasioni di ritrovo. Lo sappiamo tutti e lo ripetiamo: sono una generazione di rupture de mémoire perché per loro non c’è stata trasmissione della fede, non hanno ricevuto quell’eredità così ricca e accumulata dai padri che era abilitazione alla fiducia, esercizio di speranza ed esperienza di legami e di comunione. Umberto Galimberti, che con i giovani sa dialogare e lo fa quotidianamente, ha denunciato l’ospite inquietante del nichilismo che ha trovato casa nel cuore dei giovani. Nichilismo che appare quando dicono senza particolare pathos che non c’è scopo, non c’è risposta al perché dovrebbero stare al mondo in un certo modo.

Tra loro vi è però chi cerca la propria strada innanzitutto seguendo, anche senza saperlo, il monito dell’oracolo di Delfi: “Conosci te stesso!”, perché comunque comprende che solo chi si lascia ispirare dal suo io interiore può realizzarsi e fare della propria vita un’opera piena di senso. Ma resta vero che in questa situazione in cui manca l’arte dell’ascolto del proprio daímon, della propria voce interiore, la maggior parte approda all’identità illusoria dell’autosufficienza, che deve ricorrere all’esibizione e alla pubblicità. Purtroppo i social media diventano lo strumento che si presta a tale inclinazione, anche se conservano valenze positive che impediscono di demonizzarli. Per questo anche il radunarsi dei giovani sovente manca di collegamento all’interiorità e mette solo in mostra individui isolati, che consumano il momento della convergenza restando prigionieri della propria solitudine.

Comprendiamo così perché anche la protesta giovanile negli ultimi anni abbia un andamento “a singhiozzo”, e non sappia generare nessun movimento, nessun cammino partecipato e comune. Diventa facile per i giovani la fuga da se stessi, come denuncia David Le Breton, e l’apparire in molti di loro della sindrome del “biancore” (blancheur): una debolezza, un pallore, un blocco del desiderio. La vita non è più un contenitore di esperienze e di possibilità, ma viene vissuta con un’attitudine rinunciataria.

Siamo fuori di testa ma diversi da loro”, recita il verso-manifesto della canzone “Zitti e buoni” dei Maneskin, vero urlo dell’attuale generazione. Ecco il perché di “biancore” e tiepidezza, che sono due impedimenti a quel desiderio di energia capace di dare forma al mondo. Soprattutto lo spegnimento del desiderio che come un contagio si è diffuso tra i giovani impedisce l’accendersi delle passioni e genera incertezze che hanno modalità e frequenze sinora sconosciute. I giovani fanno fatica a desiderare e noi facciamo fatica ad ascoltare, ma non dobbiamo nutrire paure: il futuro è loro non solo per ragioni biologiche e noi dobbiamo cercare di non impedire almeno la buona riuscita, l’eu-daimonía, la felicità di chi realizza il proprio daímon.

Enzo Bianchi      La Repubblica – 07 novembre 2022

www.repubblica.it/rubriche/2022/11/07/news/altrimenti_perche_ascoltare_i_giovani-373266627

SACERDOZI0

Preti sposati. La carica dei 5mila «Siamo l’antidoto alla fuga dei fedeli»

Preti fino all’ultimo respiro. Anche senza più una parrocchia da guidare, una messa da officiare, bambini o anziani da confessare. Presbiteri comunque, perché è la dottrina a ricordare che iI sacramento dell’ordine sacro non si cancella. Neanche quando si mette su famiglia. Hanno in media 60 anni e si stima siano circa cinquemila in Italia i preti uxorati – in pratica il 12,8% del totale degli ordinati al presbiterato, comprendendo i 33.941 ‘regolari’ -, come tali estromessi dal ministero attivo da una Chiesa che, a dispetto dei cristiani protestanti in senso lato o ortodossi, non ammette presbiteri sposati. Ovviamente, fatto salvo alcune eccezioni: iI clero di rito orientale e gli ex pastori anglicani tornati in comunione con Roma per volere nel 2009 di Benedetto XVI.

Per la verità non è sempre stato così. Pietro, vescovo di Roma per eccellenza, era coniugato, anche il primo vescovo di Chiusi come altri del suo tempo. Lucio Petronio Destro (IV secolo), aveva una moglie. E cinque figli. In effetti è solo dal II Concilio Lateranense (1139) che ai candidati al sacerdozio è stato posto definitivamente l’aut aut del celibato obbligatorio: ministero o matrimonio, binomio è escluso. Per sempre?

[Il concilio, convocato nella basilica di San Giovanni in Laterano, si occupa dapprima di riparare i danni provocati dallo scisma: Innocenzo II apre la riunione deplorando l’opera di Anacleto II e depone i vescovi scismatici che avevano appoggiato lo scisma. In seguito, il papa vuole continuare l’opera di riforma del primo concilio Lateranense. Vengono emanati 30 canoni di riforma:

Difficile che ai preti venga data la possibilità di sposarsi, come cantava Lucio Dalla nella sua immensa L’anno che verrà: più probabile che chi voglia farsi sacerdote possa convolare a nozze prima di ricevere l’ordine sacro dalle mani del vescovo, sulla falsariga di quanto già accade nel cristianesimo ortodosso. Anche sul clero uxorato con papa Francesco il clima è cambiato. Non solo, perché il 14 novembre 2016 ha incontrato sette preti sposati e le loro famiglie, ma anche e soprattutto in quanto il nodo del celibato, complice la volontà bergogliana d’interpellare la base, è diventato argomento chiave di ogni Sinodo dei vescovi. Anche a costo di cocenti delusioni, vedesi quella successiva all’assise sull’Amazzonia del 2018. In quell’occasione l’assemblea si dichiarò a favore dei viri probati – anziani di provata fede, anche sposati -, ma nelle conclusioni del vertice Francesco preferì sorvolare.

«Il Papa ha tanti, troppi nemici all’interno della Chiesa, spiega don Natale Mele, 77 anni, tra i responsabili di Vocatio, l’associazione che dal 1981 raggruppa i preti sposati in Italia. Presbiteri che hanno ottenuto dalla Santa Sede la dispensa dagli obblighi sacerdotali (celibato compreso) – potendo così sposarsi in chiesa – oppure non l’hanno mai chiesta o ricevuta. «Non tutti gli iscritti vogliono tornare a dire messa – racconta don Mele -. Si chiede piuttosto di essere parte attiva nell’evangelizzazione così come siamo, con le nostre famiglie e sensibilità. Chi nella catechesi, chi nell’animazione famigliare. Con la fuga dalla Chiesa crediamo che la nostra testimonianza possa contribuire ad affrontare l’abbandono diffuso dei sacramenti. Anche tanti di noi hanno vissuto una crisi della fede o un conflitto con l’istituzione».

Tra gli anni ‘70 e la metà degli ’80 l’emorragia di preti è stata significativa sull’onda dello spirito del Vaticano II che vide Paolo VI avocare a sé il tema del celibato obbligatorio del clero per paura che i vescovi in assise cambiassero la norma in senso progressista. Oggi chi lascia per ragioni di cuore lo fa in modo più sommesso dopo circa un decennio di ministero. Rispetto a 20 anni fa non è più confinato nel dimenticatoio. come quei preti sposati del romanzo cinque figli del vescovo, scritto da Lino Tonti.

Certo i nomi dei presbiteri uxorati spariscono ancora (come per magia) dagli annuari diocesani, ma l’inclusione è realtà in varie diocesi. A partire da Napoli dove l’arcivescovo Domenico Battaglia ha nominato don Mele e la moglie commissari del Sinodo diocesano. Metaforicamente, un segno di riavvicinamento all’altare, per i preti sposati. E non più da soli: d’altronde anche le mogli e i figli dei preti a messa saprebbero cosa dire.

Giovanni Panettiere                      “Qn” 7 novembre 2022

www.quotidiano.net/cronaca/preti-sposati-la-carica-dei-5mila-siamo-lantidoto-alla-fuga-dei-fedeli-1.8258697

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221107panettiere.pdf

L’ombra della madre sul prete

Il recente testo del sociologo Marco Marzano La casta dei casti. I preti, il sesso e l’amore (Bompiani 2021) presenta in uno dei suoi capitoli un’interessante analisi sulla relazione tra la figura materna e il prete.

Video intervista                                        https://youtu.be/YZVFC07JvkY

Analizzando i contesti socio-familiari dai quali i seminaristi provengono, Marzano ritiene – assieme ad altri studiosi (l’autore segnala la ricerca sul clero apparsa nel 1984 e commissionata dalla National Conference of Catholic Bishops) – di rilevare alcune caratteristiche comuni, tra le quali la presenza di una madre dominante. Scrive Marzano: «Anche dalle mie interviste è emersa la presenza frequente di un rapporto ‘speciale’ degli aspiranti al sacerdozio con le loro madri… madri molto presenti, talvolta morbosamente legate ai loro figli ed entusiaste del loro ingresso nei ranghi del clero» (p. 92). Queste madri, invadenti e possessive, talvolta mogli di mariti anaffettivi o particolarmente assenti, da una parte esperiscono un rapporto faticoso col mondo «maschile», dall’altra costruiscono un rapporto particolarmente privilegiato col proprio figlio, idealizzando e sostenendo entusiasticamente l’idea di un suo cammino sacerdotale casto, così da mantenerne in qualche modo l’esclusiva affettiva.

La promessa di celibato, infatti, permetterebbe alle madri un controllo della vita del figlio prete e farebbe di queste madri le più vigorose sostenitrici del percorso celibatario del figlio. La struttura e il linguaggio teologico androcentrico ecclesiale, poi, consolidano nel seminarista un legame privilegiato e adorante alla «Grande Madre» Maria: l’unico corpo (ma ovviamente evanescente e idealizzato) col quale il prete possa nutrire una relazione (virtuale), in alternativa a quella con tutte le altre donne concrete, simboleggiate da Eva, dal cui pericolo egli deve guardarsi.

L’idealizzazione di Maria è una forma di misoginia. Troppo poco si è insistito sul fatto che l’estrema idealizzazione – tutta cattolica – di Maria, lungi dall’essere una valorizzazione delle donne, costituisce una forma di potente misoginia. Infatti la tipologia Eva-Maria, iniziata da Padri come Giustino e Ireneo di Lione, luogo comune dell’omiletica cattolica, relega in realtà tutte le donne concrete, tutte coloro cioè che non possono essere madri e vergini allo stesso tempo, nel simbolico della peccatrice costituito da Eva, stagliando la figura di Maria lontano dalle donne, anzi costituendola come un modello schiacciante per esse. Con lei infatti nessuna donna potrebbe mai competere: ella sola è madre di Cristo – con cui il prete deve identificarsi – ella sola è impenetrata e impenetrabile (tranne che dall’omiletica cattolica), solo lei è senza peccato.

Il binomio Chiesa-Madre/Maria, poi, allarga il simbolico femminile alla struttura totalizzante e possessiva dell’Istituzione. In effetti il linguaggio ecclesiale fa largo uso della terminologia affettiva e famigliare e forse viene dato troppo poco rilievo al fatto che termini come padre, madre, fratelli e sorelle, non sono senza impatto profondo sulla nostra psiche e non possono non richiamare vissuti originari – spesso feriti o addirittura malati – dell’esperienza erotica primaria dei credenti.

Madri «innamorate dei loro figli» appaiono molto felici che questi siano consacrati a una via dove non avranno altra donna all’infuori di loro. Ovviamente questo rapporto, e la sua sublimazione nella devozione a Maria o nella appartenenza alla Madre-Chiesa, diventa un deterrente primario per un’eventuale autentica e sincera resa dei conti di «una vita spesso infelice e vissuta all’insegna dell’ipocrisia e della menzogna» (p. 93) del prete. L’idea di «spezzare il cuore alla mamma», di infliggerle una sofferenza immane, frena ogni tentativo di uscita allo scoperto, che si tratti di relazioni con altre donne o – non sia mai! – con uomini. In realtà, un rapporto di questo tipo con la propria madre nasconde una profonda ambivalenza. Il doppio legame di amore-odio che si instaura con lei, se da una parte comporta una forte dipendenza affettiva, dall’altra si nutre di forti spinte alla ribellione. Ecco perché si accetta allo stesso tempo e in modo schizofrenico un controllo anche morboso ed ossessivo dei minimi dettagli e movimenti della propria vita, sia da parte della propria madre, sia della Chiesa-Istituzione, ma dall’altra ci si crea una breccia di fughe varie, mascherate inizialmente da piccole menzogne e poi destinate a diventare un grande palcoscenico della vita dove dietro le quinte avvengono le cose più inimmaginabili mentre davanti alle quali The Show must go on. per una critica al patriarcato della chiesa cattolica. Questo rapporto ambivalente con la propria madre può arrivare a diventare drammatico e lacerante, una volta intrapresa la carriera sacerdotale.

Come si nota, occorre una seria e profonda critica al patriarcato della Chiesa cattolica non solo perché presenta una versione del maschile tossico, ma anche perché giustifica una versione del femminile materno opprimente e arcigno. D’altra parte Marzano ricorda come sia stato ampiamente confermato dalla letteratura scientifica internazionale che se le madri dei candidati al sacerdozio sono figure dominanti, i padri sono figure negative o perché assenti e deboli oppure perché dispotiche, autoritarie, violente. Tra i padri dei preti vi sono molti alcolisti, o morti giovani, o che hanno abbandonato la famiglia. «Il diventare preti – scrive Frawley-O’Dea (2007, p. 1425) – può essere visto per questi ragazzi come un tentativo inconscio di diventare l’uomo che la mamma ama davvero» (p. 100).

Si dà il caso infatti che l’ideale di un’autorità paterna comprensiva e incoraggiante, viene individuata da questi ragazzi proprio in quella paternità-materna di Dio Padre (si pensi a Lc 15) che viene testimoniata spesso dai loro parroci, padri spirituali o figure di preti che diventano modelli da imitare. Tuttavia anche il tipo di relazioni paternalistiche messe in atto da questi padri-paternalistici, soprattutto nei seminari, possono nascondere – e Marzano analizza come – i peggiori soprusi e abusi. Ecco perché occorre uscire tutti insieme da questa struttura ammalata e che ammala. Il femminismo ha più volte fatto una analisi critica sulla connivenza delle donne alla costruzione del sistema patriarcale (si pensi al lavoro del gruppo delle filosofe di Diotima sull’Ombra della Madre, Liguori 2007). Si tratta di un dato importante: quando si affrontano queste tematiche non si deve pensare che in una mentalità femminista vi siano le donne come agenti e gli uomini come soggetti passivi, viceversa in una mentalità patriarcale vi siano gli uomini come agenti e le donne come spettatrici. Questi mondi vengono costruiti assieme e dunque si tratta di essere «insieme» costruttori di nuovi schemi di relazione più sani, più liberanti per uomini e donne.

Un sistema da cui uscire insieme maschi e femmine. Il lucido capitolo di Marzano che abbiamo voluto sottoporre all’attenzione dei lettori mostra molto bene come vi sia un materno tossico, coltivato dalla spiritualità cattolica, che cresce, educa e perpetua modelli di maschi patriarcali, i quali sono destinati a perpetrare un sistema di soprusi e violenze, e forse più tramite ciò che saranno educati a subire, piuttosto che tramite ciò che si troveranno effettivamente ad agire. Questo non perché la natura maschile emerga dalla biologia in questo modo, ma perché certi maschi sono educati a questo anzitutto dalle loro madri.

Chi scrive non ha difficoltà a riconoscere nel profilo del candidato al sacerdozio, tracciato da alcuni psicologi intervistati da Marzano, molte persone alle quali è (stata) legata per amicizia sincera, per lavoro, collaborazione ma soprattutto per osservazione da quel punto di vista privilegiato che è la docenza come donna negli Istituti Teologici. «Gli aspiranti preti sono molto spesso ragazzi convinti più o meno consapevolmente di non potercela fare, di non avere mezzi per riuscire ad avere una vita personale e sociale decente. La veste è per loro un rimedio a quella debolezza. Credono che l’abito darà loro quell’identità e quel ruolo sociale che loro non saprebbero da soli in grado di ottenere…i meccanismi di reclutamento del clero non premiano l’autenticità della fede dei candidati…ma piuttosto la loro disposizione all’obbedienza e la conformistica adesione alla dottrina. Vengono presi se si dimostrano dei soldatini obbedienti ed efficienti…facilmente trasformabili in agenti dell’istituzione, in burocrati conformisti, disposti a negare la verità pur di mostrarsi leali verso l’organizzazione ». Funzionari di Dio, li aveva chiamati tanti anni fa, con occhi lucidi, Eugen Drewermann.

La lettura fondamentalmente sessuofobica del sistema clericale fatta da Marzano appare a tratti forse perfino un po’ ingenua, perché sembra dimenticare che il problema del sesso non è il sesso ma il potere. «Everything in the world is about sex, except sex. Sex is about power». [Tutto riguarda il sesso tranne il sesso. Il sesso riguarda il potere (Oscar Wilde).

Tuttavia non riusciamo in ultimo a dargli torto quando scrive: «…la Chiesa è un fenomenale ascensore sociale per persone mediocri, una delle poche istituzioni in cui i ragazzi che valgono poco possono avere un ruolo di potere. Ed è proprio del potere che si esercita sulle coscienze che deriva, nell’animo dei sacerdoti, quell’ebrezza che in molti casi si trasforma in perversione, in delirio di onnipotenza » (p. 103). Non c’è nemmeno bisogno di scomodare i numeri dei casi di abusi emersi negli ultimi anni per dargli ragione.

L’autore potrebbe prendere più seriamente quest’ultimo punto come criterio di lettura per il suo prossimo libro, magari sul monachesimo femminile, dove l’ombra delle Grandi Madri (Abbadesse) continua a mietere vittime stavolta però tra le «figlie».

Le poche riflessioni abbozzate avrebbero la pretesa di spiegare anche perché da questo sistema occorre uscirne insieme, uomini e donne. Un’ideologia del genere, in fatti, non fa bene alla chiesa.

Selene Zorzi, teologa     “Rocca” n. 3                      1° febbraio 2022

www.rocca.cittadella.org/rocca/allegati/859/zorzi.pdf

SESSUOLOGIA

«Contro la pornografia, educhiamo a sessualità e affettività»

La formazione alla sessualità e all’affettività a cui, anche per i giovani i seminaristi, non possiamo rinunciare in contesto culturale sempre più complesso. Lo spiega Cristina Simonelli, fino allo scorso anno presidente del Coordinamento delle teologhe italiane, docente di patristica alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, esperta di teologia di genere, tema su cui ha scritto saggi di grande coraggio e profondità (Dio, patrie, famiglie. Le traiettorie plurali dell’amore, Piemme, 2016).

Parlando ai seminaristi l’altro ieri, papa Francesco è tornato a mettere in guardia dal rischio della pornografia, in questo caso quella di gitale.

www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/october/documents/20221024-seminaristi-sacerdoti.html

Possibile che giovani preti, religiosi e religiose sarebbero vittime della pornografia a causa un’insufficiente educazione all’affettività e alla sessualità? Sì, la formazione sull’argomento in troppi casi è davvero insufficiente, tranne in alcuni seminari dove sono state prese decisioni coraggiose con approfondimenti anche sulle frontiere più complesse, come l’omo-affettività. Ma in generale il tema è poco presente e poco trattato. Eppure per chi decide di avviarsi al sacerdozio e alla vita consacrata, fare i conti con la propria sessualità è un passaggio che non dovrebbe mai essere trascurato. Anche perché, se i candidati al sacerdozio vivono una sessualità irrisolta, poi le conseguenze possono essere gravi per se stessi e per loro comunità. Certo, anche se non sono del tutto d’accordo con il parallelo celibato-immaturità sessuale-pedofilia, ma è certo che nella formazione c’è una casella importantissima da riempire al più presto, quella dell’educazione alla sessualità.

                Papa Francesco invita i seminaristi a mantenere “un cuore puro”. Come spiegare oggi ai giovani il concetto di “purezza” senza rischiare di sembrare inattuali? Dobbiamo accostare il concetto di purezza a quello di rispetto per se stessi e per l’altro. Questo è facilmente comprensibile anche per un giovane dei nostri giorni. Non si tratta di buttare vie le parole della tradizione ma di attualizzarle. Il concetto di rispetto nel web è un problema centrale, pensiamo ai tanti discorsi di odio, prevaricazione, violenza. Ecco, esercitarci a questa attenzione nel rispetto degli altri vuol dire comprendere il concetto di purezza.

                Il Papa dice ancora che la pornografia “indebolisce l’anima. Il diavolo entra di lì: indebolisce il cuore sacerdotale”. Quanto dice a un giovane l’accostamento tra sessualità proibita e fumo di Satana? Il Papa come al solito è spiazzante. Ricorre a queste immagini della tradizione ma poi corregge i giovani che parlano di direzione spirituale e li invita a usare accompagnato spirituale. Non solo, dice che anche suore e laiche possono accompagnare in questo cammino spirituale . E poi sollecita a usare il termine squilibrio invece che equilibrio. Perché la vita – dice – è uno squilibrio continuo. In questa capacità di innovare il linguaggio, ci può stare anche un’immagine tradizionale come quella del diavolo, il divisore che entra nel “cuore sacerdotale”, che poi dovrebbe essere il cuore di ogni cristiano che guarda il mondo con lo sguardo di Cristo. Un cuore “diviso” dall’abitudine alla pornografia lo rende quindi meno disponibile all’ascolto, alla preghiera, all’incontro. È così?

Sì, il Papa manifesta il desiderio di innovare il cammino spirituale dei giovani seminaristi spiegando loro che non solo la pornografia “estrema” è un grave male ma anche quella che purtroppo sempre più persone considerano “normale”. Si dice spesso “tanto non è niente”, ma ci si dimentica che chi è fedele nel poco è fedele nel molto. Se guardo una volta un video pornografico dicendo ”tanto non è niente”, a livello antropologico vuol dire che quelle cose solo apparentemente “piccole” alla fine ti costruiscono o ti demoliscono dentro.

                Che rapporto c’è tra il fascino potente della pornografia e l’immaturità diffusa nei confronti della sessualità? Nella pornografa digitale c’è un tratto di irrealizzato, che talvolta può nascondere una forma di sessuofobia che teme il rapporto affettivo, anche nella doverosa interpretazione compatibile con una scelta celibataria. E qui certamente torniamo al tema della qualità della formazione su cui non insisteremo mai abbastanza.

                Luciano Moia                    Avvenire             29 ottobre 2022

www.msn.com/it-it/notizie/other/la-teologa-contro-la-pornografia-educhiamo-a-sessualit%C3%A0-e-affettivit%C3%A0/ar-AA13vRo7

SINODALITÀ

Se il celebrante scendesse dal presbiterio

Ma come fa un prete a stare costantemente rivolto verso l’assemblea? So che è una discussione che ha lacerato gli esperti, ma penso che in certi momenti della celebrazione eucaristica — soprattutto durante la liturgia della parola — il prete debba presiedere dando le spalle agli altri. Lo dico per il suo bene! Non so se chi legge questa pagina ha mai fatto il ministrante, se cioè si è mai seduto in un presbiterio che, normalmente, permette una visuale abbastanza completa e dettagliata dell’assemblea. Se lo ha fatto, sa che da lì, per il prete (e per i ministranti) è di fatto impossibile prestare ascolto alle letture che precedono il Vangelo. Finisce la preghiera colletta, «per Cristo nostro Signore, amen», tutti sì siedono, anche il celebrante — chissà poi perché si chiama così solo lui, come se l’assemblea facesse qualcosa di diverso — raggiunge il suo scranno, si sistema decorosamente i paramenti e la scena che gli si para davanti rende impossibile godersi una profezia, un’avventura patriarcale, un inno paolino o uno scenario apocalittico.

Come può uno abbandonarsi all’ascolto o partecipare al canto responsoriale se proprio davanti a lui, impossibili da non vedere, stanno i bambini del catechismo che a fatica sono contenuti nel loro chiacchiericcio o nel loro evidente disinteresse (tranne quei due là che, però, dal modo con cui si guardano le mani sono forse più preoccupanti di tutti gli altri)? Se poi alzasse lo sguardo oltre le prime file le cose non migliorerebbero (gli esempi saranno tutti convenzionalmente riportati al maschile per evitare stereotipi di genere): c’è quello con gli occhi chiusi che forse dorme o forse medita (non lo sapremo mai, a meno che non russi), quello che sbircia il telefonino ma potrebbe essere qualcosa di grave (speriamo di no, certo che però…), quello che legge dal foglietto scrutandolo come fosse un’enciclopedia, quello che non si dà requie e passa da un banco all’altro o da una postura all’altra, quello vestito in modo quanto meno bizzarro per essere a una Messa, quello che fissa il prete in modo inquietante (oddio, ho forse il camice macchiato?), quello che fissa il pavimento davanti a sé e quello che fissa il cielo.

Ma non è finita: lo sguardo preoccupato di uno gli ricorderà una situazione famigliare complicata, la testa china di un altro gli farà temere che il risultato dell’esame sia andato male, la presenza di un’intera famiglia sconosciuta gli farà dubitare della memoria, mentre gli occhiali spessi del professore del liceo lo muoveranno a imbarazzo ripensando alle riflessioni che si era preparato per l’omelia e poi ecco che è arrivato il solito ritardatario… ma è già «alleluia, alleluia».

Non sarebbe meglio per i nostri preti, poco prima della proclamazione delle letture, scendere dal presbiterio, sedersi nei banchi delle prime file (tanto non sono mai completamente occupati) e godersi l’ascolto della Parola come se fossero soprattutto dei battezzati? A loro farebbe molto bene e a noi, forse, ricorderebbe che di fronte alla Parola di Dio siamo tutti sullo stesso piano, tutti uditori più o meno distratti e partecipi, convenuti con la vita che abbiamo — non un’altra — per ascoltare quanto possiamo e per ricevere più di quanto meritiamo.

Marco Ronconi “Jesus”                novembre 2022

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221107ronconi.pdf

La diaconia e le diaconie

l diacono e la sua vocazione, richiamo alla comunità che deve sempre servire e non servirsi.

La diaconia cristiana non è un impegno umanitario o professionale, non è una assistenza sociale e filantropica (pur essendo attività di spiccata umanità). La diaconia fu fin dall’inizio della Chiesa un servizio caratterizzato dall’aiuto per il culto, per l’assistenza ai poveri e per la guida della comunità. Non era un ‘martilismo’ (così come lo chiama Papa Francesco). La diaconia, il servizio, deve innanzitutto nascere dall’ascolto e deve innestarsi nell’ascolto, perché ‘un servizio che non parte dall’ascolto crea disperazione, preoccupazione e agitazione: è una rincorsa che rischia di lasciare sul terreno la gioia’.

    (Vademecum Sinodo, Chiese in Italia, Continuiamo a camminare insieme, pag. 11)

L’unità delle due agàpi (quella di Dio e quella del servizio ai poveri, ai bambini, ai lontani, ai nemici): diaconia e liturgia, sono inseparabili, non si oppongono né si distanziano; difatti, però, è successo questa ingiustificata separazione, depauperando la profondità di questa unità nelle nostre comunità ecclesiali.

Più il pensare e agire in maniera filantropica e assistenzialista che diaconale.

                Il diacono, chi è veramente? Ascolta Gesù e non se stesso. È una vocazione che ricorda a tutti che il cristianesimo è servizio. Il diacono è colui che serve a mensa, il servitore, all’inizio non era, come oggi lo intendiamo (giustamente!), un ministero ordinato: Cristo è chiamato diacono (Rm 15,8 e Gal 2,17). In san Paolo, equivale a servo di Dio o della comunità. Infine, si chiama diacono colui che esercita un determinato ministero nella comunità (Fil 1,1; 1 Tm 3,8), cioè, chi svolge un servizio per i fratelli e gli uomini ‘servendo i fratelli e non servendosi dei fratelli’.

                Il servizio (la diaconia) si deve radicare nell’ascolto della parola del Maestro, solo così si potranno intuire le vere attese, le speranze e i bisogni; imparare dall’ascolto degli altri comporta l’umiltà di fermarsi e obbedire alle parole di Gesù.

I diaconi: i sorveglianti dei bambini. Solo nel IV secolo? Nella Chiesa di Antiochia, nel IV secolo, i diaconi erano identificati come ‘i sorveglianti dei bambini’ e li aiutavano a vivere le preghiere e sentirsi partecipi nella vita liturgica e pastorale della comunità. Infatti “i bambini hanno una funzione particolare nella preghiera dei fedeli; la semplicità, l’umiltà e la sincerità fanno vedere con quale mentalità occorre pregare e operare nella carità e nella catechesi”.

Una nuova intelligenza del diaconato. Un percorso per uscire fuori dall’ambiguità. È necessaria una “nuova intelligenza del diaconato” per restituire a questo ministero il suo vero orizzonte, “che è quello del servizio”, che è quello di essere ‘sentinella’ e segno che richiamo la diaconia di tutta la comunità credente e sinodale.

Basta alla formazione clericale. Occorre partire dalla formazione, ancora impostata in modo troppo “clericale” e sbilanciato sul versante teorico-teologico, mentre sarebbe opportuna una preparazione più specifica sui temi della povertà, della carità e delle dinamiche sociali; in sostanza “più orientata alla missione alla quale il vescovo intende destinare questo ministro ordinato”.

Per restituire al ministero diaconale il suo vero volto occorre anzitutto, “ripristinare le diaconie – e vi ha accennato anche il Papa :     “….scelta di dare vita alle diaconie. Nella grande metropoli imperiale si organizzarono sette luoghi, distinti dalle parrocchie e distribuiti nei municipi della città, in cui i diaconi svolgevano un lavoro capillare a favore dell’intera comunità cristiana, in particolare degli “ultimi”, perché, come dicono gli Atti degli Apostoli, nessuno tra di loro fosse bisognoso (cfr 4,34).”

Le diaconie distinte dalle parrocchie e dare ai diaconi la responsabilità del servizio agli ultimi. Nessuna pretesa nel concentrare ‘potere’ ma nella chiave della fraternità spirituale, sentirsi a servizio e non ‘servirsi degli ultimi, dei poveri, dei deboli, dei vulnerabili e dei piccoli’. Ecco la bellezza e la maturità della vocazione che diventa segno per tutta la diaconia della comunità . Ecco un primo obiettivo: riconnettere la diaconia con la radice spirituale, per vivere la “fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano” (Evangelii gaudium, 92).

Don Fortunato Di Noto –              Alateia                 07 novembre 2022

https://it.aleteia.org/2022/11/07/parole-per-il-sinodo-la-diaconia-e-le-diaconie

SINODO CONTINENTALE

Restituzione del Documenti nazionali

Carissimi amici,

la settimana appena trascorsa è stata segnata dalla pubblicazione del Documento di lavoro per la Tappa Continentale. Perché “questa tappa sia organica al processo sinodale, bisogna” come ha sottolineato il Cardinale Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo, in occasione della conferenza stampa di presentazione (27 ottobre 2022) “che anche le Assemblee continentali siano vincolate alla dinamica circolare di profezia-discernimento. Questo può avvenire solo restituendo il Documento al soggetto della profezia, cioè al Popolo di Dio che vive nelle Chiese particolari.” Ora tocca a ognuno di noi ad allargare lo spazio della Tenda, ossia proseguire l’opera di ascolto, dialogo e discernimento in questa Tappa Continentale.

                Il documento, disponibile sul nostro sito in varie lingue, è stato spedito a tutti i vescovi del mondo perché potessero organizzare momenti sinodali di lettura e confronto a partire dal Documento. “La scelta non risponde a un criterio organizzativo, ma a un principio sinodale: inviando il Documento ai Vescovi nelle Chiese particolari si restituisce al Popolo di Dio i frutti del processo iniziato dalla consultazione nelle Chiese particolari”, ha detto il Segretario Generale del Sinodo. “Se, infatti, possiamo riconoscere ciò che lo Spirito dice alla Chiesa ascoltando il Popolo di Dio, a quel Popolo che vive nelle Chiese dobbiamo restituire questo Documento. Ai Vescovi verrà chiesto di ascoltare “almeno” le commissioni sinodali e gli organismi di partecipazione. Ma sarebbe bello che ogni Chiesa facesse lettura del Documento con un coinvolgimento ampio del Popolo di Dio”.

                Spetta anche a voi prendere l’iniziativa, sempre comunitariamente e sempre informando l’ordinario diocesano, ad esempio cercando verificare se e quanto il discernimento precedentemente eseguito si riconosce nel Documento. Secondo le indicazioni fornite dal cardinale Grechle possibili osservazioni al Documento potranno essere inviate dalle singole Chiese alle Conferenze episcopali, le quali potranno a loro volte produrre per la tappa continentale una sintesi più organica, che contribuirà al discernimento della Assemblea continentale”. È importante pertanto che quanti intendano contribuire alla conversione sinodale della Chiesa, lo facciano attraverso il proprio vescovo, in quanto «principio e fondamento di unità nelle loro Chiese» (LG 23).

 Thierry Bonaventura Communication Manager

https://mailchi.mp/synod/newsletter202022_it?e=c16ed2b960

Sinodo 2021-2024: la parola ai continenti

Il 27 ottobre 2022 è stato presentato il Documento per la tappa continentale del Sinodo 2021-2024 sulla sinodalità. Conta circa 15mila parole ma l’abbiamo già letto da cima a fondo e ora proviamo a darvi una prima impressione, centrata su alcune proposte e alcune sfide che contiene. Appuntamento a fine marzo 2023.

                www.synod.va/en/highlights/working-document-for-the-continental-stage.html

Istruzioni per l’uso

Partiamo dalla fine. «Ogni assemblea continentale è chiamata a mettere in atto un processo di discernimento sul Documento per la tappa continentale  (DTC) (…) e redigere un documento finale che ne dia conto» entro il 31 marzo 2023. «I documenti finali delle 7 assemblee continentali saranno utilizzati come base per la stesura dell’Instrumentum laboris, che sarà ultimato entro giugno 2023».

Inoltre «la grande maggioranza delle conferenze episcopali (…) desidera che nella tappa continentale siano coinvolti i rappresentanti di tutto il popolo di Dio. Per questo si chiede che tutte le assemblee siano ecclesiali e non solo episcopali, assicurando che la loro composizione rappresenti in modo adeguato la varietà del popolo di Dio».

                Infine, si chiede «ai vescovi d’incontrarsi tra di loro al termine delle assemblee continentali, per rileggere collegialmente l’esperienza sinodale vissuta a partire dal loro specifico carisma e ruolo. In particolare, i vescovi sono invitati a individuare modalità appropriate per svolgere il loro compito di convalida e approvazione del documento finale».

Assemblee ecclesiali, non solo episcopali. Quello che è stato presentato venerdì scorso è quindi un documento d’ascolto, si potrebbe dire, intermedio, che «raccoglie e restituisce alle Chiese locali» una sintesi complessiva del primo anno di lavoro. Ora è affidato nuovamente ai vescovi, che riapriranno il processo d’ascolto a livello diocesano sulla base di quanto emerso anche nelle altre Chiese; ne dovranno fare una nuova sintesi nazionale che infine confluirà in un’Assemblea continentale la quale produrrà il documento finale.

                Non è banale l’annotazione su chi parteciperà all’assemblea ecclesiale: perché la domanda su come si concretizza la sinodalità negli organismi ecclesiali ritorna più volte nel testo e, anzi, c’è chi ipotizza la presenza a livello di conferenze episcopali di laici, religiosi e religiose (cf. n. 75, con tanto di citazione del contributo della Segreteria di stato).

                Il testo è frutto del lavoro che un gruppo di esperti proveniente da tutto il mondo ha messo a punto con una modalità molto precisa: prima di andare a Frascati, ciascun partecipante aveva il compito di leggere 3 sintesi e ogni sintesi è stata letta e annotata da 3 persone diverse. Praticamente impossibile quindi ignorare i temi emersi.

Il popolo di Dio chiede un profondo rinnovamento. Ma, come ha dichiarato nella conferenza stampa del 27 ottobre il card. Mario Grech, si è avuta la «sorpresa» d’«ascoltare come, pur nella differenza di sensibilità, il popolo santo di Dio converga nel chiedere un profondo rinnovamento della Chiesa».

                Ovviamente vi sono divergenze sul come realizzare tale «riforma» (cf. nn. 101s), ma c’è convergenza sul fatto che vi siano delle priorità, individuate in 5 tematiche: l’«inclusione radicale» nella comunione tra figli del medesimo Padre – sottolineata dall’icona biblica dell’allargamento della propria tenda (cf. Is 54); una Chiesa «in missione»; uno stile improntato alla corresponsabilità «derivante dalla comune dignità battesimale»; il coniugare partecipazione e «spiritualità»; la «liturgia», in particolare quella eucaristica, «fonte e culmine della vita cristiana».

                Per quanto riguarda l’aspetto della missione, c’è chi rileva che spesso le comunità sono ripiegate al loro interno e bloccate in meccanismi che da un lato vedono «resistenze» da parte del clero e dall’altro «passività» da parte del laicato; o che «la separazione tra presbiteri e il resto del popolo di Dio» scava un solco non facilmente colmabile.

C’è chi è poco ascoltato. Un altro fattore che blocca il cammino di una Chiesa «in uscita» «è rappresentato dallo scandalo degli abusi compiuti da membri del clero o da persone con un incarico ecclesiale», anche se dal testo non emerge che questo sia considerato il perno su cui svolgere la riflessione, come ad esempio ha fatto il Cammino sinodale tedesco.

                Interessante che il n. 21 rilevi la necessità che il processo sinodale tocchi anche i cristiani che vivono le guerre o situazioni permanenti di conflitto: e una Chiesa realmente universale non può non sottolineare che sono davvero molto numerose.

                Sotto il tema della «comune dignità battesimale» vanno poi i numeri dedicati ad alcune categorie la cui voce è poco ascoltata nella Chiesa: dai più poveri ed emarginati, ai giovani, ai disabili, ai «divorziati risposati, i genitori single, le persone che vivono in un matrimonio poligamico, le persone LGBTQ» (n. 39; cf. 51), anche se poi vi è molta incertezza su come sia possibile l’inclusione, specialmente di quest’ultimo gruppo.

I laici, ovvero le donne. Sicuramente la categoria che fa la parte del leone tra gli esclusi è quella delle donne, a cui sono dedicati i nn. 60-65: un tema sentito a ogni latitudine, anche se declinato in maniera diversa: non è la stessa cosa chiedere il sacerdozio per le donne (cf. n. 51) e un ruolo di pari dignità per le religiose spesso considerate «manodopera a basso costo» (n. 63). Inoltre le donne sono la quota più consistente del laicato e di quello impegnato nella vita quotidiana delle Chiese. Qui la domanda più generale è ancora una volta il riconoscimento e la promozione della cosiddetta «Chiesa tutta ministeriale» che dà tanto si predica e da altrettanto fatica a realizzarsi…

                Interessante poi il paragrafo 3.4 dedicato a «La sinodalità prende forma», cioè a quegli interrogativi o proposte di cui si diceva in apertura: come consolidare nelle strutture ecclesiali, in diversi contesti culturali, nella stessa curia romana, nelle conferenze episcopali e giù giù fino ai consigli pastorali parrocchiali la partecipazione dei membri del popolo di Dio che non sono chierici? Possono rimanere sempre e solo strutture consultive e non decisionali?

Nella liturgia lo stile sinodale. Meno sviluppato è il punto 4 sulla spiritualità, anche se all’inizio del testo si rileva che il metodo delle «conversazioni spirituali» (n. 17) utilizzato nella fase d’ascolto è stato fruttuoso e – afferma il n. 85 – è la migliore disposizione con la quale «affrontare le tensioni che emergono dall’incontro tra le diversità».

                Infine la liturgia, anch’essa reformanda. Oltre all’annosa questione del «rapporto con i riti preconciliari», che – specie negli Stati Uniti – è «motivo di confronto ideologico, frattura o divisione» (n. 92), una contraddizione in termini dal momento che la celebrazione eucaristica che è «“sorgente e vertice” del dinamismo sinodale» (n. 89); oltre alla questione dell’«inculturazione della fede» (n. 92), si tratta di ripensare «uno stile sinodale di celebrazione liturgica che permetta la partecipazione attiva di tutti i fedeli, nell’accoglienza di tutte le differenze, nella valorizzazione di tutti i ministeri e nel riconoscimento di tutti i carismi» (n. 91).

                Com’è facile intuire non è sempre così: e piovono critiche su riti troppo centrati sul celebrante, dove i partecipanti sono passivi; sulla qualità delle omelie che spesso lascia a desiderare… più in generale si registra uno scollamento tra celebrazione liturgica  e forme di condivisione dialogica e di convivialità fraterna.

                               Appuntamento al 31 marzo 2023

                Ora la parola passa alle diocesi, poi alle conferenze episcopali e poi ai 7 organismi continentali: Europa (CCEE), America Latina e Caraibi (CELAM), Africa e Madagascar (SECAM), Asia (FABC) e Oceania (FCBCO), Nord America (USA e Canada) e Medio Oriente. Per arrivare con un testo a fine marzo, c’è solo da correre!

Conferenza Stampa di presentazione del Documento per la Tappa Continentale del Sinodo

 sulla Sinodalità sul tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”, 27.10.2022

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/10/27/0801/01661.html

FAQ Frequently Asked Questions

www.synod.va/it/synodal-process/la-tappa-continentale/faq.html

Documento-Tappa-Continentale-IT.pdf

Indice

Introduzione                                                                                                   pag. 03

1. L’esperienza del processo sinodale                                                pag. 09

1.1 «I frutti, i semi e le erbe cattive della sinodalità»                  pag. 09

1.2 La comune dignità battesimale                                                      pag. 13

2. In ascolto delle Scritture                                                                      pag. 15

3. Verso una Chiesa sinodale missionaria                                        pag. 19

3.1 Un ascolto che si fa accoglienza                                                     pag. 20

3.2 Sorelle e fratelli per la missione                                                     pag. 23

3.3 Comunione, partecipazione e corresponsabilità                    pag. 29

3.4 La sinodalità prende forma                                                              pag. 34

3.5 Vita sinodale e liturgia                                                                        pag. 40

4. I prossimi passi                                                                                        pag. 45

4.1 Un cammino di conversione e riforma                                        pag. 45

4.2 Metodologia per la Tappa Continentale                                     pag. 47

Documento-Tappa-Continentale-IT.pdf

SINODO NEL MONDO

Chiesa teme lo scisma della Germania ma non vede quelli già in corso

Dal 14 al 18 novembre i settanta vescovi tedeschi sono attesi per la visita ad limina a Roma. Il tema più delicato e discusso è il sinodo tedesco. Aperto con la sua prima sessione il 30 gennaio 2020, il Synodalen Weg è arrivato a celebrare la quarta sessione l’8-10 settembre scorso e si chiuderà a marzo del 2023. Il processo è accompagnato fin dal suo avvio dal sospetto di una deriva scismatica. Gli auspicati cambiamenti normativi e teologici preparerebbero una fuoriuscita del cattolicesimo tedesco dalla cattolicità della Chiesa. Negli ambienti tradizionalisti e curiali lo si dà per probabile, se non sicuro.

In compenso gli stessi non avvertono gli scismi già in atto, come la massiccia fuoriuscita dei credenti dall’appartenenza confessionale (in trent’anni i cattolici sono scesi da 28,3 milioni a 22,2) e l’estraneità dei credenti rispetto alle indicazioni morali che, nelle generazioni più giovani, risultano del tutto rimosse. Molto difficile da spiegare oggi la grave condanna morale alla masturbazione o alla convivenza prima del matrimonio.

Al lupo, al lupo, È curioso che di scisma parlino solo gli oppositori. Nessuna voce interna, né di singoli né di gruppi, ha mai accennato all’idea. Uno dei protagonisti mi diceva: «Per fare uno scisma nazionale ci vorrebbero una montagna di soldi, una sponda robusta nel potere politico e soprattutto una originale interpretazione del cristianesimo. Non c’è alcuna di queste condizioni. Il nostro riferimento è il Vangelo, il Vaticano II e papa Francesco. Nessuno vuole il distacco da Roma».

In un comunicato congiunto del presidente della Conferenza episcopale, George Bȁtzing, e della presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK), Irme Stetter-Karp, in seguito alla nota critica della Segreteria di stato del 21 settembre 2022, si dice: «Non ci stancheremo mai di sottolineare che la Chiesa in Germania non mira a un “percorso speciale tedesco”». Della fatica e del coraggio della Chiesa tedesca è un segnale la sofferta condizione dei vescovi. Prima il cardinal Reinhard Marx (Monaco), poi monsignor Stefan Hesse (Amburgo), ora monsignor Ludwig Schick (Bamberga) hanno dato le dimissioni, anche se il papa ha accettato solo quelle di Schick. La difficile gestione degli abusi si somma al normale lavoro pastorale e alle esigenti domande di riforma.

Gli abusi e le questioni di fondo. Il detonatore che ha provocato il ricorso al sinodo nazionale sono stati i numeri degli abusi. Nello studio discusso dai vescovi nel 2018 si registravano tra il 1946 e il 2014 3.677 vittime e 1.670 preti predatori. Numeri ulteriormente gonfiati dai rapporti diocesani che stanno ancora uscendo, riaprendo ogni volta le ferite. Si calcola che sia coinvolto il 5,1% dei preti (attualmente poco più di 12.000). La reazione pubblica è stata molto forte con il conseguente crollo di credibilità della Chiesa.

Ma gli abusi hanno messo a nudo problemi più ampi e più radicali. Da decenni travagliano la Chiesa e hanno trovato espressione già nel sinodo di Würzburg (1971-1975): è in atto una crescente erosione e decadimento della fede, una grave crisi nel clero, un necessario rinnovamento della pastorale. Davanti alla consunzione della credibilità alcune riforme strutturali sono la condizione minima per poter ripartire. Il compito principale, che è quello dell’annuncio e dell’evangelizzazione, è legato alla credibilità delle strutture ecclesiali.

«Dobbiamo arrivare ad alcune decisioni sulla struttura ecclesiale – sottolinea il mio interlocutore –per ottenere una credibilità perduta. Sappiamo che la riforma ecclesiale non nasce da una assemblea sinodale ma dalla testimonianza cristiana di ciascun credente e dal movimento sinodale complessivo della Chiesa. Il vero nodo è l’evangelizzazione in una società post-secolare, ma senza riforme anche strutturali non riusciremo».

L’assemblea e i forum. I 230 sinodali, compresi i 70 vescovi, si sono divisi in quattro forum: potere e responsabilità nella Chiesa, il ruolo delle donne, i preti e il loro vissuto, l’amore e la sessualità.

Ciascun forum ha elaborato un documento di fondo e un secondo testo di indicazioni pratiche. A questi se ne sono aggiunti altri. Alcuni sono già stati approvati (come il testo sul potere e responsabilità e sul ruolo della donna). Uno è stato bocciato, quello sulla sessualità, ma verrà riproposto come materiale per il sinodo universale. Gli altri dovrebbero arrivare a maturazione con l’ultima assemblea. L’approvazione avviene con i due terzi dei sinodali e i due terzi dei voti dei vescovi. Quindi chiede una vasta convergenza. E in ogni caso i testi non sono vincolanti e sono affidati ai singoli vescovi in ordine alla loro esecuzione pratica.

Nella loro successiva elaborazione sono scomparse la posizioni più radicali, come la domanda di ordinazione presbiterale per le donne o l’abolizione del celibato ecclesiastico. Ma non mancano richieste esigenti come

Temi che trovano riscontro nelle relazioni delle conferenze nazionali per il sinodo universale e nel documento, recentemente pubblicato, per la sua tappa continentale.

Limiti. L’ampiezza e il numero dei testi hanno reso difficile la comunicazione esterna e, in particolare, con

Roma, dove sono più facilmente arrivate le voci più critiche. Solo recentemente vi è stato lo sforzo di un dialogo diretto di alcuni vescovi con le istanze romane. Scarse le traduzioni in altre lingue dei testi e poco coltivate le relazioni con gli episcopati vicini.

A conferma del lavoro sinodale, ma anche come critica, andrebbe riletta la lettera di papa Francesco al «popolo di Dio che è in cammino in Germania», soprattutto quando accentua la dimensione orizzontale e verticale del processo, la centralità dell’evangelizzazione, il rapporto fra Chiese locali e Chiesa universale, il pericolo della burocratizzazione e della riduzione elitaria del popolo di Dio (29 giugno 2019).

Risposte ai critici. Pungenti anche se non numerose le critiche interne: dal card Rainer Maria Wölki (Colonia) ai vescovi Stephan Oster (Passau), Rudolf Voderholzer (Regensburg), Dominukus Schwaderlapp (ausiliare Colonia), Gregor Maria Hanke (Eichstȁtt) ecc.

Di maggior risonanza pubblica le posizioni contrarie del card. Gerhard Ludwig Müller e di due altri cardinali non certo catalogabili come conservatori come Walter Kasper e Kurt Koch. Tre i gruppi episcopali intervenuti: polacco (febbraio 2022), di alcuni paesi del Nord Europa (marzo 2022) e di una settantina di vescovi fra Stati Uniti e Africa (aprile 2022).

Le risposte di monsignor Bȁtzing si possono così sintetizzare:

Lorenzo Prezzi  “Domani” 7 novembre 2022

www.editorialedomani.it/idee/commenti/la-chiesa-teme-lo-scisma-della-germania-ma-non-vede-quelli-gia-in-corso-wvhilwzf

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221107prezzi.pdf

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