UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
News UCIPEM n. 939 – 4 dicembre 2022
UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI
“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.
Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone
Sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
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Carta dell’U.C.I.P.E.M.
Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto
1. Fondamenti antropologici
1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia
1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.
1.3 L ’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.
CONTRIBUTI PER ESSERE IN SINTONIA CON LA VISIONE EVANGELICA
02 CENTRO INT. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF -n. 44, 30 novembre 2022
04 CHIESA DI TUTTI CEI-abusi: dare il giusto nome alle cose
07 I vescovi italiani scelgono la reticenza davanti allo scandalo degli abusi
09 CHIESA IN ITALIA Abusi sessuali: la Cei fra complottismi e cultura dell’insabbiamento
10 Il coming out dei preti italiani: «Contro di noi, la Chiesa ha solo parole dure»
11 Gianfranco Ravasi: “Neppure gli atei sono più quelli di una volta”
15 CHIESA NEL MONDO «Cari fratelli vescovi della Chiesa di Francia, ascoltate i vostri preti e »
16 Dall’inchiesta “Io sono Chiesa perché” testimonianze di speranza per la Chiesa che è..
17 Cristianesimo religione di minoranza? Solo il 46% degli inglesi si dichiara cristiana
18 Belgio: 5.237 persone nel 2021 hanno presentato una domanda di “cancellazione”
19 CITAZIONI Cominciamo a iarare da quello che abbiamo perso
20 CONSULTORI FAMILIARI Avviso pubblico per progetto Gruppi di parola
21 Covid: Oms, ‘1 anno con Omicron, inaccettabili ancora 8.500 morti settimana’
21 CONSULTORI UCIPEM Milano 1. Istituto La Casa. Donazioni detraibili – La Casa news – Corsi e gruppi
23 DALLA NAVATA 2° domenica di avvento – Anno A
24 Commento di p. Balducci
25 DONNE NELLA (per la ) CHIESA Lidia Maggi: “Le donne si prendano un ruolo nella chiesa”
27 Senza le donne non ci sarà abbastanza Gesù nella chiesa
28ECCLESIOLOGIA Cardinalato, tempi duri. Il «caso Becciu»
29 FAMIGLIA Le proposte delle Acli a sostegno della famiglia
30 Genitori violenti, la Garante infanzia: «Aiutiamo i ragazzi a denunciare»
30 FORUM ASSOC. FAMILIARI L’udienza del Papa al Forum Famiglie
31 GOVERNO Piano nazionale contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale
33 LITURGIA Linguaggio difficile
34 MATERNITÀ Presupposti e iter per richiedere la cd. maternità anticipata
35 OMOFILIA Omosessualità, la Chiesa valdese sceglie diritti e accoglienza
36 RIFLESSIONI Enzo Bianchi “Dalla fraternità la vera riforma della Chiesa”
37 Sabino Chialà “A Diogneto: cristiani in una società plurale”
38 Colloquio con Massimo Recalcati
40 RISCONTRI Gli italiani del 2022: malinconici e preoccupati
41 SACERDOZIO Il concilio e… il celibato dei sacerdoti
43 SIN0DALITÀ Il teologo Hünermann: Caro papa Francesco
45 Bergamo. i 6 incontri con dialoghi sinodali, momenti di confronto e approfondimento
45 SINTESI PROCESSO SINODALE Austria. Conferenza episcopale austriaca
55 Il processo sinodale in Belgio
60 Vescovi fiamminghi: pastorale delle persone omosessuali
62 I vescovi belgi dal papa, la preghiera per le coppie omosessuali
63 Broglio, presidente vescovi Usa: il Sinodo, occasione per superare le polarizzazioni
64 La sinodalità secondo l’America Latina
66 TASK FORCE CONTINENTALI Sinodo per una Chiesa sinodale: continuano dialogo, ascolto e discernimento
CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF – n. 44, 30 novembre 2022
§ La storia di Joy. Dalla schiavitù della tratta si può uscire. La grande Storia, quella che si legge sui libri e che si discute nei Parlamenti, è fatta anche di tante piccole storie di umanità. Allora, prima di parlare e di litigare sul fenomeno epocale delle migrazioni a livello mondiale, con tutte le sue complesse implicazioni politiche, economiche, ideologiche, valoriali, prima di esprimere un qualsiasi parere, prima di tutto è meglio ascoltare. Ascoltare dalla viva voce di Joy Ezekiel-video Tv2000 YouTube-5 min www.youtube.com/watch?v=um3yWpDR8gs
osa significa finire intrappolati nella tratta degli esseri umani qui l’approfondimento. (F. Belletti)
§ Verso il nuovo cisf family report 2022. Famiglie alla prova: fragilità psicologica e resilienza durante e dopo il covid. La pandemia ha, in molti casi, “smascherato” le fatiche psicologiche delle famiglie italiane: si parla anche di questo nel nuovo rapporto annuale del Centro Internazionale Studi Famiglia, “Famiglia&Digitale. Costi e opportunità” (Edizioni San Paolo), in libreria dal 30 novembre. Per avvicinarci all’uscita del volume, che fonda la sua analisi su una ricerca su oltre 2mila famiglie con figli, abbiamo intervistato Maria Pia Colella, psicologa e psicoterapeuta che ha dedicato un capitolo alle fragilità psicologiche, ma anche alle risorse, che le famiglie hanno messo in campo durante la crisi. Il video sulla pagina YouTube del CISF [6 min 48 sec].
www.youtube.com/watch?v=Hk97hUvghkM
§ CISF family report 2022 – presentazione il 3 dicembre su Telenova. In occasione dell’uscita nelle librerie del Cisf Family Report, “Famiglia&Digitale. Costi e opportunità” (ed. San Paolo), gli autori e il direttore Cisf, Francesco Belletti parleranno dei risultati dell’indagine e delle relazioni digitali delle famiglie italiane, in una trasmissione in diretta su Telenova, dalle 10.30 alle 12, condotta da Adriana Santacroce. Appuntamento il 3 dicembre su Telenova (canale 18 del Digitale Terrestre in Lombardia e nel Piemonte Orientale e sul canale YouTube Telenova MSP) www.youtube.com/@TelenovaMSP e in streaming sul sito di Famiglia Cristiana
Il video promozionale dell’appuntamento.
§ UE. Linee guida per insegnanti per contrastare l’analfabetismo digitale. La Commissione Europea ha pubblicato una serie di orientamenti per insegnanti ed educatori sulla lotta alla disinformazione e sulla promozione dell’alfabetizzazione digitale attraverso l’istruzione e la formazione. Le Linee Guida forniscono consigli su come utilizzare le tecnologie digitali in modo responsabile e su come valutare le competenze degli studenti in materia di alfabetizzazione digitale, in particolare stimolando il senso critico rispetto a ciò che leggono online, cercando di contrastare la dimensione etica ed economica della disinformazione [qui per info]
§ Lituania/un club di karate migliora il benessere delle persone con disabilità. In occasione della Giornata internazionale delle persone con disabilità (3 dicembre 2022) Auto Moto Group, membro di Eurochild.
www.un.org/development/desa/disabilities/international-day-of-persons-with-disabilities-3-december/international-day-of-persons-with-disabilities-idpd-3-december-2022.html
parla del loro Karate Kyokushin Club, l’unico club in Lituania che allena atleti con disabilità. Fondato da Gintaras Kazilionis, 2° Dan Black Belt Master, nella cittadina lituana di Pasvalys, il Club si propone di mettere in coppia atleti non vedenti con persone vedenti per l’allenamento. Proprio quest’anno uno dei membri non vedenti del club ha vinto il titolo di Campione del mondo di para-karate. Il Club è ora operativo in 7 città, offre campi gioco per bambini provenienti da famiglie che vivono in condizioni di esclusione sociale e giovani con varie disabilità.
§ Messaggio per la 45.a giornata nazionale per la vita (5 febbraio 2023). Pubblichiamo il Messaggio che il Consiglio Episcopale Permanente della CEI ha preparato per la 45ª Giornata Nazionale per la Vita, che si celebrerà il 5 febbraio 2023 sul tema «La morte non è mai una soluzione. “Dio ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte” (Sap 1,14)».
www.chiesacattolica.it/la-morte-non-e-mai-una-soluzione-il-messaggio-per-la-45a-giornata-nazionale-per-la-vita/#:~:text=Pubblichiamo%20il%20Messaggio%20che%20il,non%20%C3%A8%20mai%20una%20soluzione
§ A Treviso il festival della statistica parlerà di solidarietà intergenerazionale. Dal 2 al 4 dicembre a Treviso (ma molti eventi saranno in streaming) si tiene StatisticAll, il Festival della Statistica e della Demografia, promosso dalla Società italiana di Statistica (SIS), dalla Società Statistica ‘Corrado Gini’ e dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat). Il titolo di questa edizione è: “Per un ritorno al futuro – Il debito demografico e la solidarietà intergenerazionale in una società longeva”, e gli interventi avranno come focus la demografia ed il rapporto generazionale, declinati sotto vari aspetti
§ Questionario well-fare: che idea di benessere hanno i giovani? Il Consiglio Nazionale dei Giovani ha pubblicato un questionario anonimo per indagare l’idea di salute mentale, relazionale, sociale, fisica e creativa dei giovani. L’indagine mira a riflettere sulla situazione generale di benessere delle ragazze e dei ragazzi ed è rivolta a un pubblico dai 14 ai 40 anni. L’Osservatorio “WELL-FARE” analizzerà aspetti come l’identità di genere, le origini, il percorso formativo e professionale nonché il benessere sul luogo di lavoro e le relazioni con gli altri, senza tralasciare la spiritualità o le disparità e discriminazioni subite nei diversi ambiti del quotidiano.
§ Save the date – dall’Italia e dall’estero
- evento (Web/Bergamo) – 5 dicembre 2022 (17.30-19.30). “Diamo voce alla solidarietà – 37ma Giornata Internazionale del Volontariato”, iniziativa promossa da Forum Terzo Settore, CSVnet-associazione centri di servizio per il volontariato e Caritas italiana.
www.forumterzosettore.it/2022/11/25/giornata-internazionale-del-volontariato-il-5-dicembre-diamo-voce-alla-solidarieta
- webinar (EU) 6 dicembre 2022 (13-14 CET). “Births in times of COVID: Insecurity, politics and resilience”, a cura di Population Europe
- webinar (USA) – 8 dicembre 2022 (inizio ore 12 pm ET). “Toward news narratives about aging in place: getting what we want by investing in what we need” (Verso una nuova narrazione sull’invecchiare a casa propria: ottenere quello che si vuole investendo in cui di cui si ha bisogno), evento promosso da The Hastings Center e da Joint Center for Housing Studies. www.jchs.harvard.edu/about
- Incontro (Udine) – 12 dicembre 2022 (inizio ore 14.30). “UdineFamily2022: la famiglia al centro“, organizzato dal servizio politiche per la famiglia della Regione FVG e Trentino Famiglia e rivolto ad amministratori e funzionari comunali e soggetti del Terzo Settore per approfondire i temi della crescita demografica. siconte.info@regione.fvg.it
- webinar (EU) – 13 dicembre 2022 (9.30-11 CET). “The Giant’s House – Child Safety and prevention on tour“, webinar nell’ambito del ciclo Breakfast Bytes organizzato da COFACE [qui per info e iscrizioni]
Iscrizione gratuita http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp
CHESA DI TUTTI
Abusi: dare il giusto nome alle cose
Sembra che la pluridecennale parabola degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica stia tornando come a una sorta di punto zero. Se i reportage del Boston Globe avevano aperto una falla nell’omertà, sistemica e complice, dell’istituzione ecclesiale e nell’incredulità attonita della società civile, negli anni seguenti, più costrette che per propria operosità virtuosa, tutta una serie di Chiese locali si era fatta carico di gettare una luce e di aprire indagini sugli abusi sessuali nei confronti di minori e di persone vulnerabili al loro interno. Comprendendo che, per fare questo, non potevano fare da sé. Dapprima collaborando con commissioni pubbliche ad hoc (come la Royal Commission in Australia), poi affidando a commissioni esterne, corredate delle adeguate competenze in materia, uno scavo mirato in questo abisso oscuro della vita ecclesiale (come in Germania e Francia, solo per citare i casi più vicino a noi).
Lasciarsi dire la verità. Certo, non si è trattato di una parabola lineare: molti i tentennamenti, le inadeguatezze, e sempre forte la tentazione di fare tutto in casa – protetti da sguardi esterni, considerati inopportuni se non addirittura dannosi. Salvo accorgersi poi che una interlocuzione e collaborazione con il mondo extra-ecclesiale era dirimente. Se non altro perché, mancando questa, iniziava a muoversi autonomamente lo stato per farsi carico di ciò che competeva anche alla Chiesa (come in Spagna). Nonostante questo, uno sguardo diacronico può cogliere uno sviluppo che va dallo svelamento brutale a una presa in carico delle proprie responsabilità – aprendo i propri archivi e spazi a uno sguardo altro non pregiudicato
Si è trattato di un’uscita dal segreto ecclesiale che circondava e proteggeva i crimini di abuso sessuale su minori e persone vulnerabili, validato dal fatto che esso veniva posto in mani diverse rispetto all’autorità che aveva esercitato, e continua a esercitare, la possibilità di un simile segreto. Chiese locali, queste, che lentamente apprendevano che il mondo poteva aprire loro scorci e processi evangelici che sarebbero, altrimenti, rimasti inaccessibili.
La via italiana. La posizione della CEI in materia rappresenta una cesura rispetto a questa storia: facendo la scelta di tenere saldamente nelle mani dei vescovi la barra della zattera che si muove nella tempesta degli abusi sessuali che sono accaduti e continuano ad accadere anche nella nostra Chiesa italiana. Esercitando un potere selettivo episcopale, senza sguardo esterno di verifica, in merito alla documentazione a cui far eventualmente accedere i collaboratori chiamati a svolgere questo tipo di rilevazione interna. Anche il decantato rapporto a venire dei casi italiani giunti in sede di Dicastero per la dottrina della fede risponde a questo principio di esclusività episcopale. Nella strutturazione della cosiddetta “via italiana”, poco ascolto si è dato a chi lavora accompagnando persone abusate nella e dalla Chiesa – e ancora meno si è ascoltata la parola spezzata delle vite segnate per sempre dalla violenza patita per mano di personale ecclesiale (preti o laici che siano).
Voci e parola che avrebbero potuto suggerire un approccio diverso, con le quali bisognava quantomeno confrontarsi e rendere ragione pubblicamente di scelte che non le seguivano. Inevitabile creare un ambiente complessivo dove risuona solo l’eco cacofonico di un monologo, in cui si crede di sentire una voce diversa che, però, non è che il ritorno lontano della propria. Non occorre nessuna dietrologia, né tantomeno una svendita all’indole secolare del nostro tempo, per arrivare a questa conclusione.
Sono infatti le parole stesse del “Primo report della CEI sulla rete territoriale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili” a metterlo nero su bianco: “L’obiettivo della rilevazione è stato quello di verificare lo stato dell’arte nel biennio 2020-2021 in merito all’attivazione del Servizio Diocesano o Inter-diocesano per la tutela dei minori, dei Centri di ascolto e del Servizio regionale per la tutela dei minori nelle Diocesi italiane. La presente rilevazione intende offrire uno strumento conoscitivo alla Conferenza episcopale italiana per implementare le azioni di tutela dei minori e delle persone vulnerabili nelle Diocesi italiane” (p. 4). Committente e destinatario del Report coincidono perfettamente tra loro, indice di un circolo vizioso che rischia di tenere in scacco anche gli sforzi più sinceri dei nostri vescovi. Che la cosa possa essere ammessa con tanto candore in un testo che dovrebbe essere la pietra miliare della “via italiana” nel farsi carico degli abusi sessuali su minori nella nostra Chiesa, rivela un “blind spot” [punto cieco] strutturale dell’episcopato italiano in materia.
A questo si unisce un rigetto polemico di percorsi intrapresi da altre Chiese locali: “Noi non costituiremo alcuna commissione nazionale unica composta da persone che non sanno nulla della vita della Chiesa e che sono definite obiettive solo perché non sono vescovi, né preti o credenti (…). Questo metodo ha prodotto dei danni altrove e non deve essere imitato” (Mons. L. Ghizzoni).A prescindere dal fatto che questa è una caricatura anche della stessa Commissione Ciase francese, non vi è proprio nulla da imparare dalle esperienze precedenti portate avanti dalle Chiese in altri paesi? E poi: quali sono i danni creati che la Chiesa italiana vuole evitare? E la preoccupazione per questi eventuali danni che una Chiesa può subire non dovrebbe passare in secondo piano rispetto aldanno irreparabile che essa ha prodotto nei corpi e negli animi delle vittime di abuso?
Alcuni mesi fa, sempre il responsabile del Servizio nazionale della CEI per la tutela dei minori aveva detto, in un’intervista a La Croix, che “le cifre ci interessano poco, se non per fare della prevenzione. Vogliamo un’analisi qualitativa e non quantitativa, per conoscere le nostre forze e le nostre debolezze”.
Il Primo Report CEI. Al momento questa prospettiva rimane un desiderata, visto che il Primo Report è sostanzialmente una raccolta di dati statistici – dal quale, certo, si possono evincere punti di forza e punti deboli del sistema ecclesiale italiano di prevenzione e tutela, rimanendo però al momento esattamente su quel piano quantitativo che si afferma essere secondario. Se tra i punti di forza possiamo trovare l’impegno formativo, soprattutto in ambiti pastorali, e quello di sensibilizzazione sul tema degli abusi sui minori, come le competenze professionali dei referenti e delle equipe diocesane, tra quelli deboli va segnalata soprattutto la carenza a livello dei “rapporti con associazioni non cattoliche, enti locali, associazioni e altri rappresentanti della società civile, sia dal punto di vista della comunicazione che organizzativo” (p. 25). Insomma, si lavora e interagisce poco con lo spazio pubblico e le sue istituzioni – quasi che la autoreferenzialità dei vertici episcopali ricada, inevitabilmente, sulle stesse prassi sul campo.
Sempre a livello quantitativo, emerge dal Report anche un difetto di interlocuzione e collaborazione dei vari settori diocesani di tutela dei minori con i movimenti e le associazioni cattoliche, da un lato, e con la vita religiosa, dall’altro. Soprattutto per quanto riguarda una progettualità comune e forme di intervento condivise fra dimensione diocesana e vita religiosa, la Chiesa italiana avrebbe molto da imparare da altre esperienze fatte all’estero – in primis da quella Francia che, con la sua Commissione Ciase, viene vista come il fumo negli occhi dalla CEI.
Se i Servizi diocesani e inter-diocesani attivati coprono tutto il territorio ecclesiastico nazionale, si contano a tutt’oggi 90 Centri di ascolto – che sono il luogo di incontro con le vittime e di possibile raccolta delle eventuali denunce all’autorità ecclesiastica. A differenza dei Servizi, la sede della maggioranza dei Centri (74,4%) non è presso la Curia diocesana e la figura del responsabile è ricoperta da una laica/o (70 centri su 90, di cui 60 sono donne) – con competenze prevalenti in ambito psicologico, educativo e giuridico. L’83,3% dei Centri di ascolto è coadiuvato da una equipe con varie competenze professionali legate al tema degli abusi e della loro prevenzione.
“Nel biennio in esame il totale dei contatti registrati dai Centri di ascolto è stato pari a 86, di cui 38 contatti nel 2020 e 48 nel 2021” (p. 30). La maggioranza dei primi contatti avviene per telefono (55,2%) e tramite email (28,1%) – su questo bisogna tenere conto che si trattava di un periodo ancora segnato dalle restrizioni a causa della pandemia. I motivi prevalenti di questi contatti sono stati: denuncia all’autorità ecclesiastica (51 casi); richiesta di informazioni (20 casi) e di consulenza (15 casi); sospetti (10 casi). Il numero di “presunte vittime” (cf. pp. 32-33) per il biennio 2020-2021 è di 89 persone (73 tra i 5 e 18 anni, 16 con età superiore).
Per quanto riguarda la “tipologia del presunte reato di abuso segnalato” (p. 32), si riportano comportamenti e linguaggi inappropriati (30,4%), toccamenti (26,6%), molestie sessuali (16,5%), rapporti sessuali (11,4%). “I presunti reati segnalati fanno riferimento soprattutto a casi recenti e/o attuali (52,8%) e, per la differenza, a casi del passato (47,2%)”. Di questi ultimi, che sono comunque quasi la metà delle segnalazioni, non si dà alcuna indicazione temporale rispetto al momento in cui sarebbe avvenuto l’abuso.
Per quanto riguarda il “profilo dei presunti autori di reato [si tratta di] soggetti di età compresa tra i 40 e i 60 anni, in oltre la metà dei casi” (p. 33) – una seconda coorte di un certo rilievo è quella che va da 18 ai 40 anni (27,9%). Nel complesso, la maggioranza è composta da chierici (44,1% dei casi), seguiti da laici (33,8%) e religiosi (22,1%). Anche in questo caso non è possibile risalire a dati informativi che riguardano casi di abuso avvenuti nel passato.
Di un certo rilievo è la percentuale dei laici coinvolti – apparentemente maggiore rispetto a quella censita in altri paesi (fatto dovuto, probabilmente, sia alla particolarità italiana dell’ampiezza di servizio dei laici nelle attività pastorali, sia al fatto che si tratta di attività di volontariato e, quindi, i soggetti coinvolti non ricadono sotto la categoria generica di “personale ecclesiale” usata in altri rapporti).
Per quanto riguarda l’accompagnamento delle vittime, i Centri di ascolto, “sulla base dei bisogni espressi da esse” (p. 35), hanno offerto le seguenti possibilità: informazioni e aggiornamenti sull’iter della pratica (43,9% dei casi); incontro con l’Ordinario (24,6%); percorso di sostegni psicoterapeutico (14%); accompagnamento spirituale (12,3%).
“Servizi di accompagnamento specialistico sono stati proposti anche agli autori dei presunti reati di abuso, a partire dall’inserimento in comunità di accoglienza (7 casi su 21), e da un percorso di accompagnamento psicoterapeutico (8 casi)” (p. 36) – nulla viene detto sui rimanenti 6 casi. Per quanto doveroso possa essere questo servizio di sostegno nei confronti degli abusatori, stupisce il parallelismo di offerta di accompagnamento che accomuna tra loro vittime e predatori – e la mancanza di ogni indicazione di contatto con le autorità giudiziarie.
Quello che manca. È con questi dati quantitativi e statistici che si chiude sostanzialmente il Primo Report della CEI. All’onestà del suo titolo (che ha per oggetto la rete territoriale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili), non corrisponde una veicolazione pubblica e mediatica ecclesiale che ha mirato invece a farlo passare come un Rapporto sugli abusi nella Chiesa italiana. Questo soprattutto se comparato a quanto prodotto fino a ora da altre Chiese locali in Europa e nel mondo. Troppe le mancanze per fare di questo testo un vero e proprio rapporto. In primo luogo manca la voce e l’esperienza delle vittime. Un rapporto sugli abusi sessuali nella Chiesa italiana non si può costruire solo sui “dati di fatto reali” (Ghizzoni), ma deve includere, come struttura narrativa di fondo, anche i vissuti delle persone colpite dalla violenza degli abusi nella Chiesa e da quella della Chiesa nella sua gestione di essi fino a oggi.
Manca, poi, la storia – tutto schiacciato come è sul presente, considerato quasi come unica chiave di volta in vista di buone prassi di prevenzione –, e quindi ogni possibilità di periodizzazione del fenomeno degli abusi sessuali nella Chiesa italiana. Mancando la storia, manca una lettura delle cause strutturali, delle mentalità congenite, delle prassi ecclesiastiche, che hanno reso possibili gli abusi, il loro occultamento, la complicità dell’istituzione con atti che sono reati – e, quindi, non possono essere limitati unicamente alla giurisdizione ecclesiastica.
Difficile immaginare una prevenzione efficace senza questa intelligenza della propria storia di colpa (anche penale), senza qualcuno che la metta di fronte alla CEI e a tutta la Chiesa italiana. Chi accompagna persone vittime di abusi, e ancor più coloro che di essi hanno fatto esperienza nella Chiesa cattolica, sanno fin troppo bene della farraginosità e dei meccanismi di auto-tutela che proteggono l’istituzione, fino a legittimarla nella creazione dal nulla del falso quale affermazione della verità. Il rischio della Chiesa italiana è quella di raccontarsi una bella storia di assunzione di responsabilità, che però poco o nulla ha a che fare con i vissuti delle vittime. Manca anche una percezione della ricaduta sulle vittime quando una Chiesa locale non dà il giusto nome alle cose: ossia, il patire una ulteriore e più drammatica violenza. Esattamente perché non le si è ascoltate nel costruire l’architettura della “via italiana” agli abusi nella Chiesa. Che un report possa essere definito come insoddisfacente o insufficiente, fa parte del gioco delle cose – a cui si può mettere mano per migliorare procedure e prassi. Ma quando un Report viene sentito dalle vittime come una violenza reiterata, ci troviamo allora sulla soglia di un punto di non ritorno.
Davanti a tutto questo, la mancanza del presidente della CEI alla presentazione di un rapporto il cui destinatario è la stessa CEI, non è stata che contraddizione rivelatrice di un percorso avviatosi con troppo ritardo e che, per il momento, sembra aggrapparsi ai numeri per dire della singolarità del caso italiano rispetto alle altre Chiese che hanno intrapreso questo cammino. Non resta che rimanere in attesa di qualcosa che meriti veramente il nome di “analisi qualitativa” – possibile solo a partire dalla narrazione dei vissuti delle vittime e da una seria indagine di tipo storico, giuridico e teologico.
Marcello Neri “www.settimananews.it” 25 novembre 2022
www.settimananews.it/chiesa/cei-abusi-dare-il-giusto-nome-alle-cose
I vescovi italiani scelgono la reticenza davanti allo scandalo degli abusi
Dalla stagione del negazionismo e dell’insabbiamento, il Vaticano è approdato, negli anni, a promuovere politiche di tutela delle vittime. Solo la chiesa italiana sembra aver fatto un particolare “voto del silenzio”. Vent’anni fa lo scandalo degli abusi sessuali sui minori commessi dai preti scoppiava con clamore negli Stati Uniti, inducendo l’episcopato del paese a stilare la prima Carta per la protezione dei bambini e dei giovani nella chiesa; nei vari punti che componevano il documento si parlava tra l’altro di rimozione dal ministero dei sacerdoti o dei diaconi la cui responsabilità fosse accertata e si chiedeva alle diocesi di collaborare con le autorità civili, in nome della trasparenza, nei casi di violenza sui minori.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti: lo scandalo è dilagato prima negli Stati Uniti per poi fare il giro del mondo ed è lungi dal poter essere archiviato. Nel frattempo, le cose sono cambiate anche in Vaticano: dalla stagione del negazionismo e dell’insabbiamento sistematico, si è approdati, negli anni, a promuovere politiche di tutela delle vittime, di collaborazione con le autorità giudiziarie dei vari paesi, di riflessione sulle cause profonde che sono all’origine dello scandalo: dal clericalismo imperante, inteso come difesa a ogni costo dell’istituzione, all’abuso di potere e di coscienza.
Tutto questo almeno a parole, perché poi ogni legge e regolamento deciso a Roma deve essere calato nella realtà di migliaia di diocesi sparse in tutti i continenti e va da sé che spesso prevale la “prudenza” interna più che la ricerca della verità.
Il silenzio della Cei. In questo senso, la chiesa italiana sembra aver fatto un particolare “voto del silenzio”; si è distinta infatti negli ultimi decenni per una vocazione a lasciare le cose come stanno confidando nel fatto che, prima o poi, la questione sarebbe diventata una delle tante pratiche inevase dell’attualità. Ma questo non è successo, soprattutto perché lo scandalo ha travolto la chiesa in una pluralità di paesi, fino ad arrivare alla vicina Francia. Non solo, la vicenda ha prodotto in diverse occasioni due tipi di reazioni:
- in primo luogo l’affidamento da parte delle stesse conferenze episcopali di un’indagine conoscitiva del fenomeno a commissioni esterne, proprio per evitare il rischio di giudizi poco attendibili sotto il profilo storico e statistico;
- in seconda battuta, in varie realtà, la gravità dei fatti emersi ha suscitato un sommovimento interno alla chiesa con richieste di cambiamenti strutturali o dottrinali importanti.
È il caso della stessa Francia e soprattutto della Germania (ma qualcosa di analogo è avvenuto anche in Australia, in Austria, in Belgio e altrove). Così, alla fine anche la Conferenza episcopale italiana (Cei) ha dovuto mettere mano, sia pure controvoglia, al problema; la paura dei vescovi italiani è tanta e si capisce bene il perché: ovunque lo scandalo ha portato alla luce casi di insabbiamento gravi di abusi sui minori da parte delle diocesi, di conseguenza diversi vescovi sono stati costretti a dimettersi e, dove questo non è accaduto, la credibilità personale di alcuni di loro è andata in pezzi.
Di recente tuttavia la Cei ha pubblicato un primo, lacunoso report sugli abusi avvenuti in Italia: si tratta dei casi pervenuti ai centri di ascolto diocesani, istituiti in tempi recenti per dimostrare la volontà di affrontare il problema, nel biennio 2020-2021. Un lasso di tempo risibile, per altro in piena pandemia da covid, durante il quale sono giunte comunque 89 segnalazioni di abusi a 30 centri diocesani (si tenga presente che le diocesi in Italia sono 226). Non sono state prese in considerazione dal report neanche le denunce pervenute alla magistratura o alle associazioni.
Tuttavia, la stessa Cei, presentando i dati dell’indagine e rendendosi forse conto della scarsa utilità della ricerca per comprendere la reale portata del fenomeno in Italia, annunciava una seconda indagine in base alla quale è venuto fuori che ci sarebbero circa seicento fascicoli aperti presso la Congregazione per la dottrina della fede relativi a casi di abuso sessuale nella chiesa italiana negli ultimi vent’anni. Si tratta di numeri ovviamente lontani dalla realtà dei fatti che, come hanno dimostrato tutte le indagini condotte in questi anni in chiese di diversa tradizione culturale, sono purtroppo assai più drammatici.
Mele marce In proposito, Isabelle Cassarà, funzionaria del dicastero vaticano per i laici la famiglia e la vita, osservava nel 2020 in una relazione dal titolo: “La dinamica dell’abuso nelle realtà ecclesiali. Il ruolo del potere”, come “l’impressionante quantità di casi emersi e l’estensione del fenomeno, dimostra chiaramente che il problema degli abusi nella chiesa non può essere ricondotto semplicemente alla presenza di alcune ‘mele marce’, ma è piuttosto il segnale di un sistema malato, di un terreno da bonificare”. Quindi aggiungeva: “Di fatto, nel considerare i casi di abuso di competenza dei suddetti dicasteri della curia romana risultò palese che la causa della grave crisi che stavano vivendo le realtà ecclesiali coinvolte, non era rintracciabile nella sola trasgressione di un singolo, ma era qualcosa di più profondo e di strutturale: ci si rese conto dell’esistenza di una dinamica specifica dell’abuso, un vero e proprio sistema di vita con regole precise, che rivelò in modo inequivocabile che l’abuso sessuale era stato favorito e coperto da una lunga successione di altri abusi di potere e di coscienza”.
Predatori seriali. Il problema, insomma, non è solo statistico, anzi le reticenze nascondono un’impostazione generale. Il presidente del Servizio nazionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della Cei, monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna, presentando l’impegno della chiesa italiana sul fronte abusi in un convegno che si è svolto lo scorso 19 novembre, affermava: “Non faremo una commissione unica nazionale fatta di soggetti che non sanno nulla della vita della chiesa, che sono qualificati come oggettivi solo perché non sono vescovi, né preti, né credenti, che è una cosa che ha prodotto i suoi danni altrove e non è da imitare; noi esamineremo dati reali e cercheremo di trovare vie per la prevenzione. Quello che ci interessa non è mettere alla berlina dei preti, è prevenire abusi e per far questo occorrerà agire in modo deciso, ci siamo impegnati come vescovi a collaborare con le forze dell’ordine e di giustizia”. In sostanza gli unici autorizzati o con le competenze necessarie a compiere indagini sulla chiesa sono gli stessi chierici. In questa prospettiva inoltre, la parola prevenzione, in sé giusta, serve soprattutto come alibi per non fare luce sul passato. Ma c’è un altro passaggio delle cose dette da monsignor Ghizzoni degno di nota, quando spiega il senso della seconda indagine in corso, quella sui fascicoli dei preti abusatori presenti in Vaticano. “Chi commette da 10 a 50 casi nella sua vita – osservava l’arcivescovo – è un abusatore seriale ed è un personaggio pericolosissimo, ma chi commette un solo abuso nella vita, un giorno che ha bevuto, un giorno che era sotto stress, un giorno che si è lasciato provocare, possiamo considerarlo un malato psicologico seriale? Bisognerà pensare a delle soluzioni anche per questi”. Chissà che ne pensa la vittima del prete che quel giorno aveva bevuto. Ma, polemiche a parte, le affermazioni del responsabile nazionale per la tutela dei minori della Cei sembrano un riassunto trasparente, quanto evidentemente inconsapevole, delle motivazioni che hanno indotto la chiesa a difendere se stessa prima che a fare un’opera di giustizia e verità.
Atti impuri. In definitiva, il tema abusi sessuali per le varianti e le implicazioni che comporta, è diventato uno dei nodi sui quali si misurerà la capacità della chiesa di restare dentro il proprio tempo: sessualità, relazioni affettive, celibato obbligatorio, ruolo di laici e donne con compiti di leadership rivestendo anche funzione sacramentale, centralità del clericalismo nel governo della chiesa, fine della cultura della segretezza istituzionale come metodo di governo, sono solo alcuni dei temi inevitabili scaturiti dal dibattito nato da una vicenda in sé più da cronaca giudiziaria che da discussione teologica.
Interessanti risultano su un piano generale del problema, le osservazioni compiute da Christine Pedotti, femminista cattolica e direttrice del periodico francese Temoignage Chrétien che individuava nei due scogli della sessualità e della democrazia le cause della vastità dello scandalo. “Naturalmente – spiegava Pedotti – non esiste un legame diretto tra l’astinenza sessuale richiesta ai chierici cattolici e gli abusi, gli stupri e le aggressioni. Ma esiste un legame indiretto molto potente. In primo luogo, quando qualsiasi forma di attività sessuale, compresa la semplice masturbazione, viene considerata sbagliata, disordinata e peccaminosa, non c’è più una gerarchia di trasgressione: il pensiero ‘impuro’, la masturbazione, lo stupro, sono tutti confusi sotto il termine generico di peccato, al punto che la differenza tra peccato e crimine si confonde”. “Questa confusione – proseguiva – si esprime nelle parole stesse dei responsabili, che non smettono di parlare di peccato, penitenza e perdono, quando dovrebbero parlare di crimine, colpa, vittima, indagine, giudizio e verdetto”.
Il problema, secondo la studiosa, è che “dal punto di vista della chiesa, la sessualità viene giudicata nel suo rapporto con il sesto comandamento (non commettere adulterio, ndr) cioè con una norma, e non nella sua qualità relazionale e nel suo rapporto con il consenso. In un rapporto non consensuale viene violata una persona, non un comandamento. Ecco perché le vittime vengono regolarmente ignorate”. Dal punto di vista della gestione dei casi da parte dell’istituzione, poi, la direttrice di Temoignage Chrétien affermava: “La democrazia e le regole e i costumi che ne accompagnano l’esercizio sono anche una garanzia contro gli abusi. In un contesto democratico, i poteri sono separati e controllati. L’indipendenza della magistratura è garantita, i diritti della difesa e dell’imputato sono tutelati. Salvo casi particolari, i procedimenti sono pubblici e, soprattutto, le sentenze sono pubbliche”.
Francesco Peloso “l’essenziale” 2 dicembre 2022
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CHIESA IN ITALIA
Abusi sessuali: la Cei fra complottismi e cultura dell’ insabbiamento
Erano appena passati due giorni dalla presentazione del I Report sugli abusi della CEI e non si immaginava che la Pontificia Università Lateranense, ospitando un convegno della Diocesi di Roma che nelle intenzioni e nel titolo si schierava “Dalla parte delle vittime”, offrisse il destro a mons. Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio tutela minori della CEI, di chiarire ulteriormente in modo cristallino la politica CEI in fatto di gestione dei casi di abusi. Lo ha fatto scagliandosi contro i «giornalisti aggressivi» che alla conferenza stampa di due giorni prima avevano osato chiedere dati, ma soprattutto sparando a zero sulle commissioni indipendenti sul modello di quella francese: «Non faremo proiezioni di dati o campionamenti come si fa in altre realtà ecclesiali, con cifre che piacciono a chi vuole seminare zizzania», ha detto, senza citare la Francia ma alludendo con chiarezza a essa, tanto che il quotidiano cattolico d’Oltralpe La Croix titola “Le critiche frontali alla Ciase del vescovo incaricato degli abusi” (21/11). Ghizzoni ha aggiunto che gli enti indipendenti di ricerca «hanno fatto danni»; ha ribadito che la CEI non costituirà «una commissione nazionale composta da persone che non sanno nulla della vita della Chiesa»; ha ridicolizzato l’iter di verità e giustizia affermando che alla CEI «non interessa mettere alla berlina preti e vescovi». E poi ha stabilito una scala di gravità degli abusi, affermando che il caso di «un prete che abusa una sola volta perché magari ubriaco o perché provocato in situazioni provocanti» (sic!) non è grave quanto quello di un abusatore seriale».
La relazione di Ghizzoni era l’ultima del convegno. È stata preceduta da quella di don Fortunato Di Noto, dell’Associazione Meter contro la pedofilia e la pedopornografia e dall’intervento della psicoterapeuta, referente diocesana e coordinatrice regionale del Lazio Vittoria Lugli, nonché da due testimonianze di vittime: la prima abusata in contesto familiare (dal nonno), la seconda in contesto sportivo (dall’allenatrice). Di abusi da parte di membri del clero non si parla. Di Noto, riportando dati sulla pedopornografia e sull’utilizzo di internet da parte dei minori a livello globale e nazionale, ha sottolineato che «il problema degli abusi non è nella Chiesa ma è nell’uomo, che non sa gestire le sue pulsioni»: «Non siamo qui a fare denunce, a distruggere il mondo», ha detto, insistendo sul fatto che «non bisogna avere fiducia nelle proprie forze ma in quelle della fede».
La prima testimone, raccontando la sua storia di abuso e il suo percorso spirituale all’interno del cammino neocatecumenale, ha detto che «con l’aiuto di Dio e della psicologa cristiana» ha «imparato a chiedere perdono»; a 35 anni, «ho saputo mettermi nelle mani di una psicoterapeuta, alla quale ho chiesto di essere salvata dal mio dolore e di riuscire a incontrare Dio in maniera intima». Ha sottolineato l’«incontro con una dottoressa cristiana, che mi ha permesso di sciogliere i miei traumi», e il fatto che «da Dio ho ricevuto il centuplo. Il Signore mi ha scelto tra tanta gente, ha scelto proprio me per essere salvata».
La seconda testimonianza, anonima, è stata affidata a un audio fatto ascoltare in cui la voce di una lettrice presumibilmente esterna raccontava un «rapporto fatto di dipendenza affettiva, basato sul gioco della gelosia», nel quale, da adolescente, ha vissuto «all’ombra di una persona che mi faceva sentire confusa, sbagliata e incompresa».
«Non dobbiamo solo difenderci dagli abusi dei sacerdoti, come vogliono farci credere», ha commentato la psicoterapeuta Lugli nel suo intervento su “La psicoterapia nei casi di abuso: come le neuroscienze possono aprire alla Speranza”. «La Chiesa è un posto sicuro per confidare (sic!) l’abuso del nonno o dell’allenatrice, siamo il Pronto Soccorso
Ludovica Eugenio Adista Notizie n° 41 03 dicembre 2022
Il coming out dei preti italiani: «Contro di noi, la Chiesa ha solo parole dure»
In Italia i preti gay non vogliono più nascondersi e lo dicono in un documento. Il testo, che s’intitola “Con tutto il cuore” ed è stato presentato a settembre nel corso per operatori pastorali a Bologna, sta circolando tra i banchi del sinodo italiano, il processo di riforma della chiesa cattolica innescato da papa Francesco fino al 2023.
Mentre il senatore FdI, Lucio Malan, rispolvera il Levitico per condannare l’omosessualità, l’ideale risposta alla politica che strumentalizza la religione viene proprio da cinquanta sacerdoti che criticano la loro chiesa, dove «il silenzio appare come l’unica via di sopravvivenza». Dopo la presa di posizione del capo dei vescovi tedeschi su questioni come la benedizione alle coppie omosessuali, in Italia sono i sacerdoti a chiedere che si cambi: «Del nostro orientamento omosessuale non possiamo parlare apertamente con i nostri familiari, gli amici e le amiche; tanto meno con altri preti o laici impegnati. La Chiesa non è un contesto dove trovare immediatamente accoglienza, soprattutto per noi». Parole forti, che pongono sotto i raggi X un ambiente dove l’omofobia interiorizzata delle gerarchie ferisce la psiche dei preti: «Si vive una dolorosa lacerazione tra come ci si scopre, creati da Dio, e cosa gli altri si aspettano invece da noi».
Preti lacerati dentro. Nella chiesa italiana manca un’indagine sui preti come quella avviata dalla Conferenza episcopale francese nel 2021: dalle oltre 2mila risposte inviata dai presbiteri under 75, è emerso che il 9% – cioè 239 preti – è depresso. Il 40% di loro non si sente gratificato, spesso entra in conflitto con le gerarchie o ha un carico di lavoro tale da causare una sindrome di burn out. [è una patologia riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che può essere, seppur in modo riduttivo, definita stress da lavoro. Nasce associata a quei lavoratori che per lungo tempo sono forzati a sostenere relazioni interpersonali gravose con persone che vivono in stati di disagio o sofferenza. Va da sé che i più soggetti a questa sindrome fossero gli impiegati nel settore sanitario (medici, psicologi, assistenti social, consulenti familiari). Solo in tempi recenti la patologia ha cominciato a interessare anche altri impieghi, in particolare quelli che richiedono prestazioni multitasking (svolgimento di più funzioni contemporaneamente). o grandi responsabilità.].
Il rapporto francese rivela che 2 preti su 5 abusano di alcol e l’8% ne è dipendente. Si tratta di segnali importanti, che rivelano un disagio personale. L’indagine francese è stata infatti avviata al settimo suicidio di un sacerdote in 4 anni. A fronte di una mancanza di dati sulla salute psichica dei preti italiani, oggi parla la loro lettera: «Spesso si è costretti a rinnegare se stessi in nome di una spiritualità ipocrita, dagli effetti devastanti. Abbiamo ascoltato storie di consacrati lacerati dai sensi di colpa fino a lasciare la vita presbiterale e, in alcuni casi, togliersi la vita: tentazione terribile, anche per qualcuno di noi». Il medico psichiatra Raffaele Iavazzo ne ha parlato sulla rivista Il Regno: «Un tempo al medico psicologo clinico si chiedeva di fare una diagnosi per certi disagi in cui l’omosessualità emergeva lentamente. Oggi nel mio studio arrivano molti sacerdoti omosessuali e la loro narrazione si fa sempre più trasparente e consapevole; usano un linguaggio diretto, come chi ha preso in mano il timone della propria barca e la guida con apparente sicurezza in acque che invece, almeno in teoria, vengono agitate da molte dichiarazioni di principio»
.www.ilregno.it/attualita/2021/2/il-disagio-dei-preti-pastori-nuovi-nuovi-pastori-raffaele-iavazzo
Omofobia nei seminari. Per i preti omosessuali, dunque, il cammino sinodale diventa l’occasione di dialogo con una chiesa che ha sempre avuto una «parola dura» sull’omosessualità e sul sesso in generale, a partire dai seminari. È nella formazione dei giovani sacerdoti, infatti, che la refrattarietà dell’istituzione ecclesiastica causa il dissidio interiore del prete omosessuale. Viene presa di mira la Ratio dell’ 8 dicembre2016,
il documento che regola l’ammissione al sacerdozio aggiornata sull’Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali approvata il 31.8.2005 da papa Benedetto XVI:
www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&ved=2ahUKEwi0s4Ta-Nj7AhUYxAIHHewLBlIQFnoECAgQAQ&url=https%3A%2F%2Fwww.pusc.it%2Fsites%2Fdefault%2Ffiles%2Fcfs%2F2005_criteri.pdf&usg=AOvVaw3x2MWAZILxsH2fSTEK7Cb0
«La motivazione, che sembrerebbe fondata su dati psicosociali, in realtà non ha e non può avere alcun fondamento se non quello di un superficiale pregiudizio e le nostre storie ne sono la testimonianza». È questo un punto essenziale, che supera lo scetticismo sovente espresso da Bergoglio sulla presunta ideologia gender e ancora richiamato da figure apicali nella chiesa: pochi giorni fa, il cardinale Wim Eijk, ha chiesto che il papa emani un’enciclica contro questa presunta deriva ideologica. È la sua voce contro quella di tanti preti italiani che, dopo anni di sofferente silenzio, oggi tracciano implacabili un’analisi di quei «preti gay omofobi, che scaricano all’esterno il conflitto che è in loro; non esprimono pace, ma vivono un ministero distonico soffocando il proprio essere con il clericalismo». Il fenomeno italiano è anche un unicum, perché nelle chiese locali le istanze sono portate avanti dai vescovi: nella chiesa italiana, invece, il desiderio di un cambiamento viene dal basso, dove il sacerdozio è vissuto come un ministero aperto alla libertà dello Spirito.
Marco Grieco “Domani” 1° dicembre 2022
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Gianfranco Ravasi: “Neppure gli atei sono più quelli di una volta”
“L’uomo di cultura cristiano deve stare alla frontiera, i piedi ben piantati sul proprio terreno, quello della fede, ma continuando a guardare ciò che sta al di là”.
Intervista a tutto campo a Gianfranco Ravasi (α1942), in libreria con “Breve storia dell’anima” (“Siamo in un mondo che ha smarrito l’anima e non se ne duole, né tanto meno si preoccupa di riconquistarla. Casomai, è il corpo a dettare legge”), e divulgatore appassionato, ogni giorno protagonista su Twitter (“TikTok? Non l’ho ancora provato…”): “Siamo nella civiltà dell’immagine e Gesù già utilizzava le parabole, che sono racconti visivi… oggi utilizzerebbe i social”. Spazio a diverse riflessioni sulla crisi del cristianesimo, naturalmente: “Interessarsi dell’anima o di Dio è una forma di provocazione per il nostro tempo, nel quale non c’è una negazione radicale, strutturale, cosciente e coerente di Dio… domina invece l’apatia, che trascolora in quello che definisco apateismo, la cifra costitutiva del presente”. Il cardinale parla, tra le altre cose, del suo rapporto con la lettura, cominciato molto presto (“Merito di mia madre, che era una lettrice accanita, e delle mie zie, entrambe insegnanti”)
Agli indifferenti preferisce gli atei veri, “anche se purtroppo”, ammette, “si sono quasi estinti”. Quando dice che la Chiesa ha bisogno di un linguaggio nuovo “senza spegnere il contenuto”, sembra predicare nel deserto. L’hanno definito un “formidabile predicatore cristiano, un Bernardino da Siena, un Paolo Segneri, un Boussuet in versione moderna e mite”.
Per sé, però, preferisce un’altra definizione: methòrios, ovvero “colui che sta alla frontiera”: “Un aggettivo greco“, spiega, “usato nella classicità per indicare il sapiente e coniato da Filone di Alessandria, un tipico ebreo che scriveva però in greco e dialogava col platonismo. L’uomo di cultura cristiano deve stare alla frontiera, i piedi ben piantati sul proprio terreno, quello della fede, ma continuando a guardare ciò che sta al di là”.
Per enumerare tutti gli incarichi e i libri scritti dal cardinale Gianfranco Ravasi non basterebbero due cartelle: biblista, teologo, ebraista, dal 1989 al 2007 Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, poi presidente del Pontificio Consiglio della Cultura dal 2007 fino a pochi mesi fa.
Per cinque lustri ha portato le Scritture ogni domenica mattina nel tinello di casa degli italiani in quella che Aldo Grasso definì “l’ultima oasi nel deserto della tv”. Un divulgatore appassionato che ogni giorno cinguetta su Twitter, cita i testi delle canzoni, dai rapper a Sanremo ai concorrenti di X Factor, interloquisce con chi non crede, risultando perfettamente in linea con il motto scelto per la nomina episcopale, Prædica Verbum, (Annuncia la Parola), motto suggeritogli da Massimo Cacciari.
L’occasione per chiacchierare con il cardinale Ravasi è Breve storia dell’anima, libro pubblicato dal Saggiatore nel quale, dalla civiltà classica a quella cristiana, muovendosi tra il mito, la filosofia, la teologia e le neuroscienze, conduce il lettore in un percorso avvincente.
Eminenza, non è demodé un libro sull’anima, oggi?
“È quasi una provocazione”.
Perché?
“La vita contemporanea, così frenetica e legata alla tecnica e a meccanismi che sono soprattutto esteriori, non sente il bisogno di riflettere su una categoria che, al di là di come è stata concepita dal pensiero di tutti i tempi, è pur sempre la scoperta dell’interiorità e un’esplorazione nel profondo della coscienza. Non mi stupisce affatto che, sulle prime, questo libro sia considerato eccentrico, antiquato, quasi sorpassato”.
Attorno a questo tema lei convoca numerosi pensatori. Il primo, sorprendentemente, è Pier Paolo Pasolini.
“Siamo in un mondo che ha smarrito l’anima e non se ne duole, né tanto meno si preoccupa di riconquistarla. Casomai, è il corpo a dettare legge, come sosteneva proprio Pasolini nella Supplica a mia madre, una poesia riproposta nell’anno della sua tragica scomparsa, il 1975, anche se antecedente: ‘Ho un’infinita fame / d’amore, d’amore di corpi senz’anima’. Questi versi rappresentano esattamente l’approccio della sessualità contemporanea”.
Dal presente al passato, setacciando ogni epoca. “L’anima è una sorta di basso continuo, un filo d’oro ininterrotto di tutta la cultura, non solo occidentale. Ho voluto concepire il libro come un viaggio che comincia dalle forme primigenie e archetipiche, passa dalla sorgente classica, il pensiero greco e in particolare Platone, continua con quella biblica, fino all’elaborazione complessa e complicata da parte della teologia e della filosofia”.
Complicata perché?
“Entrambe hanno dovuto parlare di una realtà fondamentale per l’umano, ma che non può essere rappresentata immediatamente a livello fenomenico ed esteriore».
Poi c’è l’anima poetica.
“Il vertice è Dante, con il suo viaggio tra le anime della Commedia. L’ultima tappa è quella delle neuroscienze, che non è un approdo definitivo, ma uno scalo provvisorio. Oggi si tende a identificare l’anima neuronale con il cervello, ma su questo punto c’è un ampio dibattito, su come queste due realtà siano certamente connesse, ma al tempo stesso distinte”.
Perché gli atei veri non esistono più?
“Interessarsi dell’anima o di Dio è una forma di provocazione per il nostro tempo, nel quale non c’è una negazione radicale, strutturale, cosciente e coerente di Dio. Pensiamo a cos’è stata la negazione di Dio nell’ateismo classico, in quello marxista o in Nietzsche. Tutte forme molto nobili, elaborate, che interpellano la teologia e la sfidano. Per secoli è stato questo il modo d’interloquire tra spiritualità e negazione. Oggi, invece, domina l’apatia, che trascolora in quello che definisco apateismo, la cifra costitutiva del presente”.
In che cosa consiste?
“Considerare l’esistenza o meno di Dio come una questione del tutto secondaria. La superficialità, la banalità, la volgarità, anche della comunicazione, non ammettono questi salti verso l’alto. È come una polvere diffusa che si posa ovunque e sporca tutto”.
Come si può combattere?
“Diventando spina nel fianco. La filosofia, le religioni, la cultura devono spingere gli uomini a interrogarsi se non immediatamente su Dio almeno sul senso della vita. Una volta il sociologo canadese Charles Taylor, l’autore de L’età secolare, mi disse: ‘Se oggi arrivasse Cristo in piazza e cominciasse ad annunciare la sua Parola – che era fuoco vero – cosa accadrebbe? Al massimo gli chiederebbero i documenti’. Di recente sono stato all’Università Ca’ Foscari di Venezia a un convegno dedicato a figure del Novecento che hanno inquietato e appassionato: David Turoldo, Pier Paolo Pasolini, Ernesto Balducci. Figure che oggi mancano e che, se ci fossero, non troverebbero ascolto, ma solo una coltre di nebbia, un muro di gomma. Indifferenza e superficialità sono la stessa cosa. Il grande filosofo danese Søren Kierkegaard già nell’Ottocento diceva: ‘La nave è in mano al cuoco di bordo. E ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani’”.
Di fronte a questo scenario c’è chi, anche nel mondo cattolico, vagheggia un ritiro dal mondo.
“Ci sono due tentazioni.
- La prima è quella del ritiro, della serie ‘il mondo è sotto il vessillo del Maligno. Noi siamo i puri, ignoriamo gli altri. Ci riuniamo ancora per le nostre celebrazioni, ma definiamo il nostro perimetro confinandolo in una sorta di oasi sacrale’. Certi movimenti fondamentalisti, anche cattolici, vanno in questa direzione.
- La seconda tentazione che domina è il contrario, ed è figlia dell’indifferenza e della superficialità: il sincretismo. Ossia, un po’ di religione non fa mai male, va bene sempre, è come la mentuccia d’orto da mettere su tutto. È la religiosità vaga e vacua che mischia messaggio e massaggio, yoga e yogurt”.
Lei cosa propone?
“Bisogna, da un lato, essere pronti a riprendere il dialogo, entrando in questo mondo come minoranza, senza farci illusioni. In passato la politica, la sessualità e l’etica erano dominate dalla religione, e ora sono tutte laiche. In questo senso, è esemplare l’esperienza del cristianesimo delle origini: partito come una sorta di scintilla, si è diffuso in tutto il mondo, grazie anche ad annunciatori ardimentosi e impavidi come San Paolo.
Dall’altro, bisogna tornare ai grandi valori e alle radici. Pensare di ‘conquistare’ questo mondo abbassando il livello non è la strada giusta. Questa, ad esempio, è stata la tentazione delle chiese protestanti, che hanno concesso molto, soprattutto nel campo della sessualità, perdendo alla fine autorevolezza e anche molti fedeli”.
Sì, ma come si fa a dialogare senza abbassare il livello?
“La forza e la fiducia nella forza del Vangelo, che significa ‘buona notizia’, e dei grandi valori vanno ribaditi in maniera decisa e pura con un linguaggio adatto e in sintonia con il nostro tempo, che non sia soltanto esoterico e oracolare. Papa Francesco è significativo su questo punto, perché ha affrontato il tema della società e della convivenza umana, nell’enciclica Fratelli tutti, dell’ecologia integrale, nella Laudato si’, e i problemi economici, mostrando che questi hanno un loro radice alta nel grande messaggio del Vangelo. E ha suscitato molteplici reazioni, anche di contestazione, a dimostrazione che la spina nel fianco, quando è autentica, non necessariamente è perdente, come accade nell’attenzione che suscita”.
Lei andrebbe a cena più volentieri con un “apateista” [ateista pragmatico] o con un profeta di sventura, che predica il ritiro dal mondo?
“Temo che il secondo non m’inviterebbe neanche perché, come tutti i fanatici – e ce ne sono tanti anche nel mondo cattolico – non avrebbe interesse a dialogare, avendomi già scomunicato. Invece, quando incontro qualche ‘apateista’, vedo che si sforza di interloquire con me. Forse la mia persona è per lui uno stimolo a fare bella figura. È difficile che incontri persone completamente banali, o che parlano solo per frasi fatte e luoghi comuni”.
Gesù non ha scritto nulla, se non una sola volta sulla sabbia di fronte all’adultera che i farisei volevano lapidare. Oggi, se tornasse sulla terra, cosa scriverebbe?
“Cristo ha già usato modi di comunicazione che sono anche i più diffusi e incisivi del nostro tempo. Pensiamo ai loghia, frasi brevi per dire una verità e fare un annuncio radicale: ‘Rendete a Cesare quel che è di Cesare, rendete a Dio quel che è di Dio’: in greco, con gli spazi, sono cinquantadue caratteri, pochi rispetto ai duecentottanta oggi possibili per un tweet! Eppure questa frase, è stata per secoli fonte di discussione sul rapporto tra fede e politica. L’informatica, i social, la posta elettronica, internet non sono una tecnica, ma un ambiente globale, dove ormai viviamo tutti”.
Qual è lo stile migliore per comunicare?
“L’essenzialità. Cristo nel Vangelo è capace di trovare le parole che mordono e di farle visualizzare a chi lo ascolta. Noi oggi siamo nella civiltà dell’immagine e Gesù già utilizzava le parabole che sono racconti visivi. Oggi una parabola letta in chiesa attira molto più l’attenzione dei fedeli rispetto, ad esempio, al linguaggio sofisticato di Paolo. Per utilizzare una celebre espressione del mio amico Umberto Eco, sulla comunicazione Gesù oggi non sarebbe né apocalittico né integrato. Utilizzerebbe i social, ma senza obbedire alle leggi imposte dalle grandi corporation, né adeguandosi allo stile aggressivo oggi in voga”.
Lei twitta spesso.
“Due volte al giorno. La mattina, di solito, una citazione biblica, la sera un autore, anche non credente. Mi aiuta Giulia, un giovane madre di 30 anni che lavora al Cortile dei Gentili, con la quale mi confronto sui temi e il linguaggio da utilizzare. Per stare sui social occorre conoscere una nuova grammatica”.
Non ha paura degli haters? [coloro che odiano, disprezzano, diffamano]
“No. In passato, c’erano quelli che ribattevano in maniera polemica e aggressiva a ogni mia affermazione. Adesso ho adottato un nuovo sistema, meno assertivo e più dialogante e, se vogliamo, provocatorio. Cito la frase di un autore, ad esempio quella di Voltaire sul caso, e poi chiedo se gli utenti sono d’accordo o meno. Una volta ho chiesto anche suggerimenti sui libri da leggere”.
Un po’ arduo dare a lei consigli di lettura, non trova?
“Mi hanno scritto in duecento”.
TikTok, il social delle nuove generazioni, la intriga? [brevi clip di durata variabile (dai 15 ai 600 secondi)]
“Lo conosco molto poco, non l’ho ancora provato. Da quando ho compiuto 80 anni (il 18 ottobre scorso, ndr) e sono andato in ‘pensione’ dagli incarichi in Vaticano, lavoro più di prima. Ho una media di tre inviti al giorno. Volevo dedicarmi con più calma agli studi, a leggere i classici, e invece solo questo mese sono stato a Venegono, Cracovia, Venezia, Vienna, poi a Milano, dove ho ricevuto la laurea honoris causa all’Università Cattolica e tenuto la prolusione per l’apertura dell’anno accademico, infine a Roma per un incontro del Cortile dei gentili sull’intelligenza artificiale e a Lione”.
Quanti libri legge all’anno?
“Non li conto. Tendenzialmente due in contemporanea, un saggio e un romanzo. Adesso sto leggendo quello dello scrittore Jón Kalman Stefánsson edito da Iperborea che ha un titolo bellissimo: La tua assenza è tenebra, tratto da una frase che lo scrittore ha trovato sulla lapide in uno sperduto cimitero dell’Islanda. E il saggio di Paolo Ricca, teologo protestante, che s’intitola Dio, Apologia“.
Quali sono le letture che ha amato di più?
“Non riesco a rispondere a questa domanda, perché non sono e non so essere un uomo di pochi libri, mi considero un eclettico. Potrei risponderle la Bibbia, o Dante Alighieri e Dostoevskij, che sono due dei miei autori capitali. Ma scivolerei nel luogo comune. Amo molto anche la poesia che, insieme alla saggistica e alla narrativa, permette di attingere a sorgenti diverse: l’ascolto, la scoperta e il messaggio”.
Con un’agenda così affollata quando trova il tempo di leggere?
“Di notte. Dormo cinque ore, quando è tanto, e sto benissimo. La mattina mi sveglio ed è come se avessi dormito per otto”.
Si ricorda il primo libro che ha letto?
“C’era una casa editrice, di cui non ricordo più il nome, che pubblicava il riassunto dei grandi romanzi. Lessi Guerra e pace di Tolstoj e Delitto e castigo di Dostoevskij, che non andavano oltre le 80-100 pagine. Poi la Bibbia per bambini. M’immagino di essere nato con un libro in mano, merito anche di mia madre, che era una lettrice accanita, e delle mie zie, entrambe insegnanti alla scuola elementare di Merate. Da bambino in casa avevamo pochi libri, non essendo una famiglia particolarmente facoltosa”.
Dov’è Dio oggi?
“Resta preziosa l’indicazione biblica: Dio non si scopre decollando dalla realtà verso cieli mitici e mistici, ma è nella storia, si trova nelle forme oscure, anche nei silenzi abissali, com’è accaduto a Giobbe. Lo sforzo alla fedeltà dell’incarnazione è indispensabile per scoprire la presenza di Dio”.
E la fede degli uomini?
“Anche se sulla terra nessuno credesse più in Dio, non per questo Dio cesserebbe di esistere. La fede non nasce dal fatto che Dio esiste, ma dal fatto che Dio si comunica. Dio parla attraverso la storia, non con le visioni estatiche. Va scoperto nel segreto, nel groviglio drammatico della storia, è l’Emmanuele, il ‘Dio-con-noi’”.
Antonio Sanfrancesco “il libraio.it” 28 novembre 2022
www.illibraio.it/news/dautore/intervista-gianfranco-ravasi-1429626
CHIESA NEL MONDO
«Cari fratelli vescovi della Chiesa di Francia, ascoltate i vostri preti e
abbiate l’audacia di inventare un nuovo ministero presbiterale»
Nel suo intervento su Le Monde, il prete Jean L’Hour deplora la sacralizzazione della funzione di vescovi e preti e la relegazione a livello inferiore di donne e laici. «Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!» (Matteo 13, 14-15)
Cari vescovi della Chiesa di Francia, è con rabbia e indignazione, ma anche con affetto che io, prete, vi invio questa lettera. Da mesi, da anni, i vostri silenzi e la sola preoccupazione della vostra onorabilità coprono innumerevoli turpitudini nel cuore della nostra comunità cristiana e fino ai suoi più alti responsabili. Vi prego, svegliatevi e vedete, tendete l’orecchio e udite! La comunità affidata a voi è come un gregge senza pastore. La vostra parola non è più credibile. Tra i fedeli, alcuni tristemente si allontanano, altri cercano di rifugiarsi in un passato superato. E intanto, il Vangelo di Gesù Cristo non è proclamato, la buona notizia di Dio per il mondo non è più udita!
Fortunatamente, sono ancora numerosi i testimoni di Gesù che, nella discrezione della loro vita quotidiana, tengono accesa la lampada. Ve ne prego, non scoraggiateli! Come Giovanni Battista, cominciate con lo spogliarvi di tutti i vostri orpelli, quelle reliquie di un tempo non così lontano in cui la Chiesa faceva pesare il suo potere sulle nostre società. L’immagine recentissima della vostra assemblea a Lourdes con le vostre mitre, casule, anelli, pastorali, è di per se stessa una contro-testimonianza, un insulto alla povertà di Gesù e alla sua preferenza per i poveri.
La stessa immagine, senza laici e soprattutto senza donne, è un insulto anche a tutta la comunità cristiana. Voi la dominate, pretendete di parlare a suo nome, ma non la rappresentate. Eppure, senza quelle schiere di uomini e di donne che voi continuate a tenere ai piedi dell’altare, che cosa sarebbe la nostra Chiesa oggi? Non basta più, cari fratelli vescovi, che vi rotoliate nella cenere chiedendo perdono, che prendiate misure canoniche che presupponete adeguate ai mali che volete guarire. Non basta più che ci diciate che d’ora in poi le cose cambieranno radicalmente, che la vostra parola sarà trasparente. Non basta più che facciate appello ad esperti, psicologi, terapeuti, consiglieri di comunicazione, giuristi… Non basta più neppure pregare. Tutto questo era necessario che fosse fatto, ed è già un passo importante, ma è ancora gravemente insufficiente, perché in questo modo voi affrontate solo i sintomi del male, non le sue cause profonde. Pertanto i vostri rimedi sono solo cataplasmi su un corpo che rimane gravemente malato.
Il male “sistemico”, ben diagnosticato dal rapporto Sauvé (2021), di cui soffre la nostra Chiesa, è profondo, infatti. Non ha forse la sua origine nella sacralizzazione del presbiterato che pone i vescovi e i preti al di sopra del popolo? Non ha forse la sua origine nella relegazione delle donne al piano inferiore, relegazione ereditata dalle società patriarcali? Non ha forse la sua origine anche in una paura viscerale della sessualità percepita come un pericolo da cui bisogna soprattutto guardarsi, tenendo le donne a distanza?
Il prete, sacralizzato, diventa intoccabile dalle persone vulnerabili, come sono i bambini, gli handicappati o, semplicemente, i credenti in generale. Tuttavia, la sacralizzazione del suo stato, e non solo del suo ministero, imprigiona lo stesso prete, che rimane prima di tutto un essere umano con tutte le sue facoltà, i suoi desideri e le sue pulsioni. Cari fratelli vescovi, guardate i vostri preti, ascoltateli, abbiate pietà di loro, abbiate pietà di voi stessi e riconosciamo che siamo tutti dei semplici esseri umani. Che lo spirito di Gesù Cristo vi illumini e vi dia l’audacia di inventare un nuovo ministero presbiterale, non più quello di una casta levitica a parte, separata dal popolo, ma quello di un servizio in mezzo al popolo.
Cari fratelli vescovi, ascoltate, vi prego, il mio grido, che è anche quello di molti altri fratelli e sorelle, ve lo chiedo in nome di Colui che è venuto a liberarci perché vivessimo. Vogliate credere anche al mio affetto e alla mia preghiera fraterna.
Jean L’Hour α1932* “www.lemonde.fr” 21 novembre 2022
(traduzione: www.finesettimana.org)
* è prete delle Missioni estere di Parigi, professore emerito al Collège général de Penang (seminario maggiore della Malesia), esegeta. Ha partecipato a La Bible, nouvelle traduction (collettivo, direttore di pubblicazione: Frédéric Boyer, Bayard, 2018)
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221124lour.pdfede
Dall’inchiesta “Io sono Chiesa perché…” testimonianze di speranza per la Chiesa che è in Germania
Il portale della Chiesa cattolica tedesca, katholisch.de, ha avviato una inchiesta giornalistica di approfondimento capillare della testimonianza, della fede e della partecipazione dei cattolici della Germania alla vita ecclesiale: il titolo dell’inchiesta è “#ichbinkirche – io sono Chiesa”. Tante video testimonianze per mostrare quale sia l’impegno di cattolici tedeschi, nonostante la crisi che la Chiesa che è in Germania vive, tra le abiure crescenti, le difficoltà della diminuzione delle vocazioni, le richieste dei laici, gli scandali per gli abusi, il teso confronto del “cammino sinodale”. Si scopre una Chiesa viva, attiva, inclusiva, ecumenica e profondamente accogliente
Questo senza escludere le critiche e i dubbi riguardanti quegli stessi temi che scuotono dall’interno la Chiesa che è in Germania. Nell’editoriale di presentazione di #ichbinkirche è scritto: “Le cose non sembrano andare bene per la Chiesa cattolica: nonostante i numerosi sforzi, l’indagine sui casi di abuso è tutt’altro che conclusa. La mancanza di pari diritti per le donne e le minoranze sessuali, la rigida gerarchia e il grande squilibrio di potere tra sacerdoti e laici lasciano molti cattolici senza spazio per la fede e per la vita. Insomma: la Chiesa ha perso la fiducia di tante persone. Quasi 360.000 abiure nell’ultimo anno parlano da sole”.
Ma è da questo quadro allarmante che parte la forza dei cattolici tedeschi: “nonostante tutte le critiche giustificate, la Chiesa è di più: ci sono anche gli oltre 20 milioni di cattolici in Germania che sono ancora lì”. Modellano la chiesa sul posto, molto vicino alla gente, con tante idee, energia e fiducia spesso incrollabile.
Katholisch.de vorrebbe mostrare queste persone che sono impegnate – per la fede e per gli altri. Sono quei credenti che, nonostante tutti i problemi, fanno della Chiesa in Germania un luogo vivo dove la vita e la fede valgono. Che si fanno sentire, che sono presenti in tutti i rivoli e gangli della società tedesca, dalla politica allo sport, dai monasteri alle fabbriche, dalla pastorale sociale all’insegnamento. Con i ritratti video e i testi pubblicati quotidianamente, emerge la forza di un Chiesa colorata e piena di diversità. In tutta questa diversità, queste persone sono unite dalla stessa frase: “Io sono Chiesa perché…”. Ciò che si evince dall’inchiesta è che, nonostante la grande comunicazione nazionale ed internazionale portino a pensare alla Chiesa solo con titoli negativi, questa Chiesa tedesca che appare è molto di più: le persone intervistate raccontano perché sono ancora membri della Chiesa e cosa li spinge nella loro fede.
Edeltraud Kraus, infermiera geriatrica, è l’iniziatrice dell’azione sociale “anello di baratto”: nel suo lavoro ha sperimentato che gli anziani pensano di non essere più di alcuna utilità per la società e con il grande pubblico. Ha fondato “L’anello di baratto” nella comunità parrocchiale di Illertissen: gli “anelli di baratto” sono iniziative che consentono ai partecipanti di scambiare abilità e proprietà gratuitamente. Il vantaggio di un anello di scambio è che tutti i partecipanti possono scegliere liberamente tra le offerte dell’intera comunità di scambio. Pertanto, un servizio può essere richiesto anche se non è possibile fornire contestualmente un corrispettivo. In questa maniera, racconta Kraus, molti anziani possono mettersi nuovamente in gioco, sfruttando le proprie competenze a favore della comunità, restando attivi e creando una testimonianza di speranza per tante persone che si sentono inutili.
La musica è invece la via che caratterizza il legame speciale con Dio di Franziska Classen: è un’appassionata musicista di chiesa. La combinazione di musica e fede è ciò che l’ha portata alla sua professione. Con il suo servizio per la comunità della parrocchia di St. Katharina di Unna, Classen si mette a disposizione di diverse fasce d’età, condividendo la sua passione e la sua professionalità. In esso può condividere il suo fascino per la musica con diverse fasce d’età: “Incontro musicalmente la comunità nei vari campi di lavoro nella parrocchia: suonare l’organo nelle funzioni religiose, dirigere e sviluppare i vari cori, organizzare concerti e formare organisti. Il mio predecessore, Angelika Hillebrand, ha fatto tanta musica in questa parrocchia, ha dato slancio e un grande contributo alla musica sacra: spero di continuare questo lavoro nel miglior modo possibile. Per me la musica è l’opportunità di entrare in contatto con le persone e creare comunità”.
Nella sua testimonianza il giornalista di katholisch.de Roland Müller dice che bisogna ammettere che “ci sono molte buone ragioni per voltare le spalle alla Chiesa in questo momento. La Chiesa cattolica ufficiale è giustamente criticata per la sistematica insabbiamento di tanti casi di abusi, discriminazioni contro persone omosessuali, numerosi scandali finanziari e profonde crisi di fiducia, Posso capire i tanti che se ne sono andati, perché essere cattolici in questo momento non è facile. Ma arrivo a una conclusione diversa, perché – grazie a Dio!– ci sono anche molte buone ragioni per restare nella Chiesa”. Müller cita una buona ragione per cui uscire dalla Chiesa per lui è fuori questione: “La comunità della Chiesa. Come cattolico, non si può vivere la propria fede senza viaggiare insieme ai compagni di fede. Solo insieme puoi aiutare te stesso attraverso le crisi e celebrare le feste. Il paragone che spesso si fa, che la Chiesa è come una famiglia, è assolutamente corretto. Come in una famiglia allargata, anche nella Chiesa cattolica ci sono sorelle e fratelli con cui si va d’accordo e quelli con cui si preferisce non vedersi mai. Puoi apparire a ogni festa di famiglia e unirti ai festeggiamenti, ma puoi anche inviare un biglietto di auguri ai tuoi parenti una volta all’anno a Natale. Ognuno può appartenere alla Chiesa nel modo che gli conviene in questo momento”.
Per Andreas Puttmann, politologo, “la Chiesa universale è come una grande nave cisterna che è lenta a fare correzioni di rotta e deve tenere conto della non simultaneità culturale nel globo. La esaminerò finché la capacità di imparare e di riformarsi si farà sentire nella chiesa. Per combattere gli abusi sessuali è stato fatto di più di quanto gli osservatori superficiali vogliono vedere. Tutte le riforme devono concentrarsi sulle persone vulnerabili, a rischio di abuso di potere, come “immagine di Dio”. Come cattolico critico e leale, sono felice di continuare a farlo. E la mia solidarietà per gli amici che hanno abiurato è cresciuta, ma sento ancora la Chiesa come la mia casa, come lo spazio vivo della mia fede e della mia speranza, come un’istituzione educativa per la mia coscienza. Nonostante le debolezze e gli abissi umani, trovo sempre in lei Gesù Cristo e l’esempio dei santi, insomma: un barlume della “luce del mondo
Massimo Lavena AgenziaSIR 30 novembre 2022
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Cristianesimo religione di minoranza? Secondo il Census 2021 solo il 46% della popolazione inglese si dichiara cristiana
In Inghilterra e Galles, ormai, il cristianesimo è una religione di minoranza. A dirlo è l’ultimo censo britannico che copre i dieci anni dal 2011 al 2021. Secondo i ricercatori dell’Istituto nazionale di statistica, che hanno girato casa per casa, intervistando ogni abitante, la percentuale di coloro che si dichiarano cristiani è scesa, per la prima volta, sotto il 50% della popolazione. Solo il 46,2% degli inglesi e gallesi, 27,5 milioni di persone, si sono dichiarati cristiani, un calo del 13,1% rispetto al 2011 quando il 59,3% degli intervistati, 33,3 milioni di persone, avevano risposto di seguire il Vangelo
Secondo Francis Davies, sociologo cattolico, consulente del governo britannico, docente nelle università di Birmingham e Oxford e responsabile del “Digby Stuart College”, in quella di Roehampton, dietro queste statistiche si nasconde un quadro più complesso. “È importante notare che, in alcune regioni del Regno Unito, il cristianesimo è in aumento, soprattutto tra le minoranze di colore e asiatiche”, spiega l’esperto, “E anche che chi si dichiara cristiano spesso non va in chiesa ogni fine settimana, ma soltanto durante le festività, oppure per un matrimonio o un funerale. Ormai soltanto il 5% dei britannici va in chiesa alla domenica. Insomma in quel 46% ci sono i cristiani convinti, ma non soltanto loro. D’altra parte anche in quel 37,2 %, che dicono di non credere, ci sono persone che pregano in modo personale e saltuario”.
Il censo mette in luce anche che la religione è in aumento tra le minoranze etniche, soprattutto asiatiche e di colore. Bianco potrebbe diventare sinonimo di ateo o agnostico. Che cosa ne pensa?
Questi dati dimostrano che, ormai, le città più importanti del Regno Unito, come Londra e Birmingham, sono popolate, per la maggior parte, da minoranze etniche di origine africana e asiatica e, in queste comunità, la religione è in aumento. Non soltanto il cristianesimo ma anche l’Islam, l’induismo e il buddismo e altre fedi. Esistono, quindi, molte variazioni regionali nella radiografia religiosa del Regno Unito. Nella fascia di età tra i 16 e i 24 anni, per esempio, tra le persone di colore, la pratica religiosa è tra le due e le tre volte più intensa che tra i giovani bianchi. A Londra abbiamo un paradosso. Una comunità bianca che si secolarizza e, insieme, una comunità di colore che tende ad andare molto più spesso in chiesa.
Il cristianesimo, nella capitale britannica, è in aumento tra i pentecostali e nelle chiese dove prevalgono gli africani. Chiese come la “New Testament Church of God” e “The Redeemed Christian Church of God”. In molte parrocchie cattoliche, ormai, prevalgono i filippini, gli indiani, gli africani. In queste comunità l’80% dei membri sono cristiani praticanti. Una percentuale molto più alta di quella nazionale del 46,2%.
La “National Secular Society” e “Humanists Uk”, le associazioni che rappresentano chi non crede, hanno approfittato subito di questi dati per dire che lo status della Chiesa di stato, la “Chiesa d’Inghilterra”, che riceve sussidi statali ed è presente, con i suoi vescovi, nel parlamento di Westminster, nella Camera dei Lord, non è più giustificato. Che cosa ne pensa?
È dimostrato da diverse analisi sociologiche che i cristiani sono la fetta della popolazione più impegnata nel sociale, nelle banche del cibo, tra i senza tetto e anche quelli che pagano di più le tasse. Per non parlare delle scuole primarie e secondarie. Un terzo è gestito dalle chiese cristiane. Inoltre la monarchia, costruita sulla religione, perché il capo della Chiesa d’Inghilterra è il sovrano, tiene insieme la nostra nazione. Penso che smantellare la Chiesa di stato, togliendo le sovvenzioni delle quali gode, o impedendo ai vescovi anglicani di partecipare alla Camera dei Lord, finirebbe per indebolire questo Paese, aumentando l’individualismo, la povertà e il conflitto sociale.
Non solo. La “Chiesa di Inghilterra” ha garantito che la religione – ogni religione non soltanto quella cristiana – sia garantita, tanto che la comunità islamica o quella indù si sono sempre dichiarate a favore di una Chiesa di stato.
Silvia Guzzetti Agenzia SIR 30 novembre 2022
Belgio: Rapporto annuale della Chiesa cattolica, 5.237 persone nel 2021 hanno presentato una domanda di “cancellazione” dal registro dei battesimi
5.237 persone in Belgio nel 2021 hanno presentato una domanda di “cancellazione” dal registro dei battesimi. È uno dei dati che emerge dal quinto Rapporto annuale della Chiesa cattolica in Belgio che è stato pubblicato oggi dalla conferenza episcopale belga. A motivazione di questa scelta, nel Rapporto si legge: “La Congregazione per la Dottrina della Fede non ammette la benedizione delle coppie ‘omosessuali’. Il caso ha suscitato una significativa attenzione da parte dei media. Ciò può in parte spiegare il proliferare delle richieste di cancellazione dal registro dei battesimi. I vescovi del Belgio invitano i fedeli del Paese a lavorare per favorire un clima di rispetto, riconoscimento e integrazione”. A causa della crisi sanitaria, il precedente Rapporto annuale non includeva i dati relativi alla pratica religiosa. Quest’anno, questi dati vengono pubblicati anche se durante la prima metà del 2021 erano ancora in vigore misure restrittive per gli assembramenti fisici. Il Rapporto evidenzia comunque che, dopo il 2020, queste cifre sono nuovamente aumentate (36.834 battesimi, 35.783 cresime, ecc.). “Tuttavia – si legge nel comunicato diffuso oggi dalla Conferenza episcopale belga – sono ancora lontani da quelli del 2019”. Dal Rapporto emerge anche che nel 2021 sono state soppresse dal culto 35 chiese (per un totale di 109 chiese negli ultimi 4 anni). Dal 2010, 27 chiese sono state interamente trasferite anche ad altre denominazioni cristiane (principalmente ortodosse). Se dunque da una parte è inevitabile un calo di frequenza, dall’altra il Rapporto testimonia l’impegno che diocesi e parrocchie stanno facendo per rinnovarsi. Fortemente seguita, per esempio, è l’offerta digitale. Prieenchemin.org, il podcast quotidiano di preghiera biblica offerto dai gesuiti, è ascoltato quotidianamente da 40.000 ascoltatori e i domenicani, con il loro ‘Dominicains.tv’, hanno avuto 525.748 visualizzazioni nel 2021. Cathobel, il sito della Chiesa cattolica di lingua francese Belgio, ha avuto 55.000 visitatori al mese. Alcune chiese si sono poi dotate di un uso condiviso (ad esempio con una parte che funge da biblioteca) e centinaia di altre hanno un uso multifunzionale (ad esempio per concerti). Un altro dato distintivo della Chiesa cattolica in Belgio è la sua innegabile diversità. Nel Paese ci sono circa 150 comunità cattoliche di lingua straniera (16 polacche, 14 filippine, 8 ucraine, 5 vietnamite, ecc.) e il 20% di sacerdoti, diaconi e assistenti parrocchiali è di origine straniera (178 congolesi, 42 francesi, 14 indiani).
(M.C.B.) AgenziaSIR 30 novembre 2022
www.agensir.it/quotidiano/2022/11/30/belgio-rapporto-annuale-della-chiesa-cattolica-5-237-persone-nel-2021-hanno-presentato-una-domanda-di-cancellazione-dal-registro-dei-battesimi
CITAZIONI
Cominciamo a imparare da quello che abbiamo perso
Lo psicoanalista Massimo Recalcati va in tv non più di due o tre volte l’anno. Non rilascia quasi più interviste, evita talk show e palchi facili. Fa lo slalom tra i pazienti solo per tenere lezioni all’università, scrivere articoli e libri. Nonostante questo, tutti lo conoscono. Per via delle sue lezioni su Rai3 (Lessico famigliare, Lessico civile e Lessico amoroso, tra il 2018 e il 2020) ma, suo malgrado, anche per l’imitazione di Maurizio Crozza, su cui, in coda a questa conversazione, torneremo. Prima, c’è altro di cui parlare, il suo ultimo libro La luce delle stelle morte, una chiave per leggere i nostri traumi di questi anni.
Perché proprio ora un saggio su lutto e nostalgia?
«Viviamo un tempo di malattia e morte, pandemia e guerra. In pandemia sono rimasto colpito dai lutti sospesi: le cerimonie dell’addio erano rese impossibili dall’emergenza sanitaria, e quando la morte non può beneficiare della cerimonia del congedo diventa ancora più atroce. La nostalgia era invece un tema su cui mi ero ripromesso da tempo di lavorare. Non è parola che appartiene al lessico della psicoanalisi, questo libro ha la pretesa di introdurla nella lingua della psicoanalisi».
Il lutto, scrive, richiede dolore, recupero della memoria, tempo. Quello della pandemia abbiamo iniziato a elaborarlo?
«Negli ultimi decenni è come se avessimo condiviso tutti, specie in Occidente, una negazione della nostra finitezza, un rigetto della morte. La pandemia ci ha ricordato che l’umano nasce e muore e che la morte, anche quella di un anziano, è sempre innaturale, prematura. Se fossimo in grado di leggerla bene, la pandemia sarebbe un magistero. Per esempio sulla libertà. Ci ha insegnato che non è una proprietà individuale ma è sempre collegata alla solidarietà. Ci ha insegnato inoltre l’importanza di scienza, sapere, ricerca, rispetto dell’ambiente. In fondo all’origine della pandemia c’è la violenza ecocida dell’uomo, che ha divinizzato se stesso come padrone assoluto del Pianeta».
È venuta meno anche l’Europa come terra di pace, con l’invasione russa dell’Ucraina. Un altro lutto?
«Il lutto è una reazione emotiva nei confronti della perdita traumatica di un oggetto che dava senso al mondo. Noi stiamo facendo, o dovremmo fare obbligatoriamente, il lutto della pace, che per quasi 80 anni è stata un oggetto invisibile ma condiviso che dava senso all’Europa. Il dolore del lutto non accompagna solo il defunto, può accompagnare anche un ideale. Nel nostro caso, l’ideale di una certa identità dell’Europa. E la perdita disorienta. Anche per questo abbiamo assistito a reazioni come quella dell’invocazione della pace nella forma della resa. Una forma di pensiero infantile o adolescenziale che risolve il trauma della realtà immaginando soluzioni magiche. Si pensa che ripetere la parola “pace” possa provocare una mutazione della realtà, come se fosse possibile far la pace con uno come Putin».
Si può reagire al lutto, scrive, con due tipi di nostalgia: una inchioda al ricordo; un’altra permette al ricordo di illuminare il futuro, come fa la luce delle stelle morte. Noi in quale nostalgia siamo?
«La nostalgia-rimpianto cronicizza il lutto idealizzando la perdita. Un esempio politico è proprio la Russia di Putin. Quando non è stata più impero né Unione Sovietica, aveva davanti due vie: la prima, che Gorbaciov aveva iniziato a praticare, la via difficile del lutto, della rinuncia a un regime totalitario e della scelta della democrazia. La democrazia è, infatti, un’esperienza collettiva del lutto perché mostra che non può esistere un solo pensiero: la sua incompiutezza e il suo pluralismo comportano un lutto permanente, rappresentano la morte di una concezione del mondo unica. La Russia di Putin ha invece rigettato il lutto della democrazia per perseguire una tentazione di restaurazione imperiale e, in uno strano parallelismo antropologico, di recupero dei simboli dell’eroica Unione Sovietica. Quando non si elabora la perdita, ci si identifica idealizzandola, proprio come accade per la Russia di Putin. Oppure la si nega. Ne sono esempi drammatici il negazionismo visto col Covid o, addirittura, quello della Shoah. Invece di assumere il carattere tragico e traumatico dell’orrore lo si nega. Il risultato del lavoro del lutto è invece la nostalgia-gratitudine. Richiede tempo, dolore, memoria, che generano una lenta separazione dall’oggetto perduto che però non può mai essere completa. Portiamo sempre con noi i nostri innumerevoli morti: quello che ci hanno dato, le ferite e gli insegnamenti, le parole e i gesti che ci hanno lasciato sono i loro resti indelebili».
Nel libro, indugia sui maestri. I ragazzi negli anni di pandemia non hanno potuto incontrarne.
«Quello dei maestri è un grande problema del nostro tempo, indipendente dalla pandemia. Tendiamo a sponsorizzare la logica perversa dell’autogenerazione, del “farsi da sé”, dell’essere padri di se stessi. Il nostro tempo guarda con sospetto ai maestri. Tende ad abolirli perché vorrebbe rendere omogenee le differenze. La parola del maestro è carismatica, ma noi preferiamo i numeri al carisma. Pensiamo, sbagliando, che la trasmissione del sapere possa prescindere dalla parola di un maestro ed esaurirsi in una tecnica arida».
La infastidisce l’imitazione di Crozza?
«Fa morire dal ridere la mia famiglia. Io non mi ci riconosco molto ma non mi dà fastidio. Crea però problemi nei miei pazienti, che vedono in quella raffigurazione caricaturale un danneggiamento della mia immagine professionale e, in certi casi, persino un dubbio sulle mie capacità. Ma il mio giudizio sulla sua satira è più generale: è schierata, violenta a senso unico, colpisce chi ha posizioni alternative alle sue. La satira dovrebbe colpire i potenti e Crozza non mi pare coerente con questa tradizione».
Marianna Aprile pubblicazione 27 novembre 2022
www.oggi.it/attualita/notizie/2022/11/27/massimo-recalcati-cominciamo-a-imparare-da-quello-che-abbiamo-perso-esclusivo
www.alzogliocchiversoilcielo.com/2022/11/massimo-recalcati-cominciamo-imparare.html
Crozza recita Recalcati
I figli https://youtu.be/eNjA-HC7a6s?list=RDLVeNjA-HC7a6s&t=11
Rapporto padre figli www.youtube.com/watch?v=KM_ki3q2LKM
PsicoBanalista https://it-it.facebook.com/fratellidicrozza/videos/massimo-recalcati-fratelli-di-crozza-torna-live-dal-22-febbraio-/372546863579445
Le nuove teorie della psicobanalisi www.youtube.com/watch?v=eNjA-HC7a6s
CONSULTORI FAMILIARI
Avviso pubblico per progetto Gruppi di parola
È stato pubblicato in Amministrazione trasparente, nella sezione “Sovvenzioni, contributi, sussidi, vantaggi economici”, un avviso pubblico per la selezione di un soggetto di diritto privato non profit cui affidare la realizzazione delle attività di cui al progetto “I Gruppi di parola: una cura per i legami familiari nell’ambito di separazione dei genitori e nell’elaborazione del lutto” nel sud Italia.
Il termine per la presentazione delle manifestazioni di interesse è fissato entro e non oltre il giorno 15 dicembre 2022
www.garanteinfanzia.org/gruppi-di-parola
www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/2022-10/MAPPATURA%20Centri%20GdP%202022.pdf
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Covid: Oms, ‘1 anno con Omicron, inaccettabili ancora 8.500 morti settimana’
È passato un anno da quando l’Organizzazione mondiale della sanità ha annunciato l’avvento di una nuova variante di preoccupazione per Covid-19: la variante Omicron, che si è dimostrata significativamente più trasmissibile di Delta e continua a causare una mortalità significativa a causa dell’intensità della trasmissione”.
A ricordare l”anniversario’ di Omicron, la versione più ‘longeva’ fra i mutanti di Sars-CoV-2, è stato il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, oggi durante il consueto briefing con i media. Il Dg lancia anche un monito: “Pur essendo leggermente diminuito il numero di decessi settimanali segnalati all’Oms nelle ultime 5 settimane”, avere ancora “oltre 8.500 persone che hanno perso la vita la scorsa settimana non è accettabile a 3 anni dall’inizio della pandemia, quando disponiamo di così tanti strumenti per prevenire le infezioni e salvare vite”. “Dall’emergere di Omicron, il virus ha continuato ad evolversi”, ha osservato Tedros, e “oggi circolano oltre 500 sottolignaggi di Omicron. Sono tutti altamente trasmissibili, si replicano nel tratto respiratorio superiore e tendono a causare malattie meno gravi rispetto alle precedenti varianti preoccupanti. E hanno tutte mutazioni che consentono loro di sfuggire più facilmente all’immunità accumulata”.
Adnkronos Salute 2 dicembre 2022
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=93372
CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Milano 1. Istituto La Casa Donazioni detraibili La Casa news Corsi e gruppi
L’Istituto La Casa è diventato Ente del Terzo Settore iscritto al registro del RUNTS Regione Lombardia.
Per questo le donazioni effettuate dal 1° giugno 2022 possono essere fiscalmente detraibili.
La Casa news n.3 dicembre 2022
Editoriale Luigi Filippo Colombo
Una nuova umanità Dagli scritti di don Paolo Liggeri
Età della vita e affettività Maria Gabriela Sbiglio
Gruppo di Parola Alma Bianchi
La seconda nascita dei figli Roberto Mauri
Anche io so leggere piano Mary Rapaccioli
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Grammatica con l’anima Jolanda Cavassini
Nonni adottivi si diventa Chiara Righetti
Progetti di cooperazione internazionale Associazione Hogar Onlus
Calendario: gruppi, corsi e incontri
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Corsi e gruppi
L’Istituto La Casa è un centro dove la famiglia trova sempre occasioni per confrontarsi, discutere, imparare. Per questo propone un calendario ricco di appuntamenti che si svolgono in modalità “a distanza” tramite video collegamento.
Per partecipare occorre effettuare l’iscrizione tramite modulo online e attendere dalla segreteria la conferma di avvio del gruppo.
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- Incontri informativi gratuiti di presentazione dell’ente adozioni: incontri di presentazione dedicati alle coppie in attesa di adozione che vogliano conoscere meglio il nostro modo di operare e lo svolgimento del percorso adottivo tramite il nostro Ente.
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Le proposte sono aperte a tutti, anche a chi adotterà o ha adottato per il tramite di un altro Ente autorizzati. Gli incontri si svolgono “a distanza” tramite video collegamento, al raggiungimento di un numero minimo di iscritti
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Attività di gruppo, online e in presenza proposte gennaio – aprile 2023
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Conduce: Daniela Sacchet – psicologa Modalità: online € 200 a coppia
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- NA – Nonni adottivi. 3 incontri per nonni adottivi e per chi è in attesa di diventarlo
Conduce: Daniela Sacchet – psicologa Modalità: online Partecipazione gratuita
- Per genitori adottivi
- DD – Come è difficile dirti che…Gruppo di accompagnamento alla narrazione della storia adottiva
4 incontri Conduce: Chiara Righetti, psicologa psicoterapeuta Modalità: online Partecipazione gratuita
- AS – Adozione e Social
2 incontri. Conduce: Daniela Sacchet – psicologa modalità: online Partecipazione gratuita
- FL – Favolando. 2 incontri.
Conduce: Viviana Rossetti – psicologa psicoterapeuta Modalità: online Partecipazione gratuita
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- Per nonni e nonne
- GN – Generazione Nonni. 4 incontri per mettere in comune le esperienze, i pensieri e l’emozione dell’essere nonni e per vivere al meglio il rapporto con i propri nipoti e i loro genitori.
Conduce: Elena Santini – Consulente familiare Modalità: in presenza Partecipazione gratuita
- Per bambini
- GP – Gruppo di parola per figli di genitori separati. 4 incontri dedicato ai bambini dai 6 ai 12 anni.
Gli incontri si svolgeranno a marzo-aprile. Conduce il gruppo: Alma Bianchi – Mediatrice familiare
l primo incontro per i genitori che desiderano far partecipare i propri figli al “Gruppo di parola”, si svolgerà in presenza 7 marzo alle ore 18.30 Modalità: in presenza Partecipazione gratuita
- Per uomini e donne
- A01 – Affettività nelle diverse fasi/età della vita. 4 incontri per donne e uomini adulti
Conduce: Maria Gabriela Sbiglio – psicologa psicoterapeuta Modalità: online Partecipazione gratuita
- Novità
- OS – Osteopatia: a che cosa serve e come può essere utile nelle situazioni di stress e ansia
Conducono: Federica Bruschi – osteopata e Daniela Sacchet – psicologa
Modalità: online Partecipazione gratuita
- Per genitori
- D1 – Un figlio con DSA
Indicazioni per comprendere meglio la diagnosi e spunti per supportare le strategie e il metodo di studio. Incontro in unica data rivolto ai genitori
Conduce: Viviana Rossetti – psicologa psicoterapeuta
Modalità: online Partecipazione gratuita
- Per donne
- VB – Vivere bene la menopausa. 3 incontri
Cambiamenti fisiologici: conduce: Maria Luisa Felcher – ginecologa
Aspetti psicologici ed emotivi: conduce: Laura Scibilia – psicologa
Pavimento pelvico e perineo: teoria e attivazione corporea: conduce: Anna Pontini – ostetrica
Modalità: online Partecipazione gratuita
- Per donne in gravidanza
- MG – Movimento in gravidanza Per donne in gravidanza – secondo e terzo trimestre.
Consapevolezza corporea e movimento per prevenire piccoli disturbi che possono insorgere in gravidanza e migliorare la percezione corporea in previsione del travaglio e del parto. Conduce: Anna Pontini – ostetrica
4 incontri: Modalità: online Partecipazione gratuita
4 incontri: Modalità: in presenza-Partecipazione gratuita
*Materiale necessario: tappetino da yoga con eventuale cuscino, abbigliamento comodo
- Per neomamme
- MN – Massaggio neonatale – 4 incontri per apprendere le sequenze del massaggio neonatale A.I.M.I., per scoprire un modo nuovo di comunicare ed entrare in relazione con il proprio bambino favorendo Conduce: Anna Pontini – ostetrica
Modalità: in presenza Partecipazione gratuita
*Materiale necessario: tappetino da yoga con eventuale cuscino, abbigliamento comodo.
- Per neomamme e neopapà
- FP – Facciamo la pappa. Incontro sullo svezzamento. Quali sono i primi segnali per capire quando il bambino è pronto. Come iniziare a proporre i primi assaggi, quali alimenti preferire e quali quelli essenziali durante lo svezzamento.
Conduce: Anna Pontini – ostetrica Modalità: in presenza Partecipazione gratuita
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DALLA NAVATA
II DOMENICA D’AVVENTO – Anno A
Isaia 11, 01. In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Salmo 71, 07. Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra.
Paolo Romani 15,04. Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza.
Matteo 03,01. In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
Commento
Oggi i poteri hanno altri modi per uccidere: emarginare, segregare, mettere fuori quadro in questa grande manipolazione dell’opinione pubblica che è la nuova forma del potere. L’uomo di pace è ignorato, è relegato nell’ anonimato assoluto perché la grande festa della competizione occupa gli schermi della nostra osservazione del quotidiano e dello storico.
Del grande messaggio di pace che avete ascoltato, due parole mi sono rimaste conficcate nell’anima, due parole che devono andare insieme (ma non vanno mai insieme!) e sono la pace e la giustizia. Dove non c’è giustizia non c’è pace e dove non c’è pace non c’è giustizia e, tuttavia, noi lo vediamo, e questa è in sintesi la drammaticità della storia umana: chi ama la giustizia fino in fondo difficilmente può essere un uomo di pace. Anche le parole che vengono dal profeta della giustizia che è il Battista sono parole violente: «razza di vipere» dice ai Farisei. Difatti un amore per la giustizia che prescinda dalla pace diventa, inevitabilmente, terrorismo. Ma un amore della pace senza giustizia diventa la menzogna insediata nel mondo. Ad esempio, in questi giorni in cui tutti ci rallegriamo perché finalmente, davvero, il bambino e il leone stanno insieme, davvero i due blocchi che hanno rattristato la nostra vita si disciolgono, noi non possiamo non sentire dal fondo dell’anima salire l’altra parola: e la giustizia? Questa pace, che è una grande cosa, non è nella giustizia, è portata dalle spalle di miliardi di poveri. È quindi una pace per noi, è una pace alla cui radice c’è una sperequazione drammatica, insostenibile.
Ma che forse non dovremo rallegrarci della pace? Dobbiamo rallegrarci, ma per invocare subito la giustizia. Anche gli israeliani in Palestina vogliono la pace, il governo del Salvador vuole la pace, ma la giustizia? E questa la nostra croce. Chi vuole le due cose con uguale passione non può che pagare col sangue come, in modo sommo, Gesù Cristo che è il profeta della giustizia ed insieme della pace. La combinazione di questi due valori irrinunciabili è ciò che ci lacera dentro e, dandosi il caso, anche fuori perché dobbiamo battere vie nuove, dobbiamo – questo è il monito che ci viene non solo dal profeta, non solo dalla testimonianza di Gesù e di tutti i non violenti, ci viene dalle «pietre» – volere la pace nella giustizia in modo pacifico. Costruire la pace scegliendo gli strumenti di pace, per chi vive dentro le strettoie della ingiustizia, è come impossibile. Per questo noi dovremo anche non lanciare mai la prima pietra contro gli oppressi che non potendo più sopportare l’oppressione, per amore di giustizia, impugnano le armi. È drammatico il fatto. Chi potrà giudicare? Non certo noi che, usi a tutti i vantaggi dell’ingiustizia costituita, possiamo parlare di non violenza senza avere la tentazione di usar violenza. Noi non possiamo entrare dentro il dramma della storia con la saccenteria dei privilegiati. Questo è il dramma nostro. Di qui quel sottile filo di amarezza che si svolge in noi quando parliamo della non violenza, dei metodi pacifici di lotta, perché lo facciamo in zona di immunità: siamo per così dire extraterritoriali. In realtà nessuno è fuori, ognuno è dentro.
Chi è fuori è dalla parte dell’ingiustizia. Ecco la contraddizione che segna nell’intimo la nostra condizione storica; tutto sommato, è il peccato. Quando sentite uno che vi parla di pace, domandategli se è in regola con la giustizia e lo metterete in silenzio; e quando uno parla di giustizia, domandategli se ama davvero, se è amante della pace, e vedrete che difficilmente lo è perché in nome della giustizia egli si permetterà la violenza. Questo è l’assurdo della storia. Questa è la contraddizione che portiamo nell’animo. Chi di voi non ha sentito questo contrasto? Chi di voi non avverte che sul piano concreto l’armonizzazione della pace e della giustizia è una impresa impossibile perché se io sono pacifico permetto che gli ingiusti continuino a commettere ingiustizia e se io voglio eliminare l’ingiustizia sono tentato di usare tutti i mezzi per eliminarla, anche quelli che spargono sangue. Chi di voi non ha sentito questa morsa dentro, non è maturo per il tempo in cui siamo. Il tempo in cui siamo è veramente il tempo nel quale si aprono possibilità nuove per conciliare attivamente, fecondamente, questi due termini che devono stare insieme e non possono stare insieme. Questo è il luogo in cui individuare la nostra vocazione cristiana nel senso rispondente alle promesse della pace.
Gli ebrei, contro cui scagliava le sue invettive il Battista, dicevano: «Noi siamo figli di Abramo». Noi siamo cristiani!, diciamo noi. Ma Dio fa nascere i cristiani dalle pietre. I figli della pace sono dovunque, sono anche fuori, come si direbbe in un linguaggio che, a mio giudizio, non corrisponde alla dimensione messianica della promessa. Nessuno è fuori. Chiunque vive con dentro il cuore il bisogno, sofferto e pagato di persona, di conciliare pace e giustizia, costui è figlio di Abramo, costui è all’interno della grande operazione di pace che è l’ operazione di Dio nella storia. Oggi abbiamo questa possibilità perché – senza abbandonarmi alla retorica – nessun dubbio che c’è una mutazione qualitativa della storia umana in quanto siamo in un tempo – dite voi se non è vero – in cui, grazie a Dio, nessuna guerra vince più. L’oscuro fascino della guerra era che si poteva vincere, ma adesso fateci caso: chi ha fatto la guerra con tutto il potere delle armi nuove non ha vinto. I potenti si sono ritirati, la coscienza dei popoli si è svegliata, armata della propria prorompente volontà di affermare i diritti umani. Una svolta è cominciata, quella della potenza della coscienza dei diritti dell’uomo. Quando questa coscienza viene vissuta non in modo individualistico ma in modo corale, comune, si spezzano le strutture dell’oppressione che sembravano avere per sé il futuro. Questa svolta implica non soltanto un cambiamento nel rapporto fra i popoli – qualcosa avviene, lo vediamo – ma implica un rapido cambiamento nello stile della vita. Inutilmente ci illudiamo di poter essere spettatori della storia, in quanto essa è nelle mani di ciascuno di noi. I blocchi non sono quelli che hanno intristito la nostra carta geo-politica, sono quelli che hanno intristito la nostra vita cittadina la nostra vita familiare, il rapporto dell’uno con l’altro. L’«esser contro» è stata la nostra maniera di identificarci. Dobbiamo compiere questa svolta perché l’aggressività non premia più. I suoi premi erano amari ma c’erano, oggi essa non premia più. So bene che finché ci sarà la storia, la pace e la giustizia non potranno mai abbracciarsi del tutto ed è per questo che ci saranno sempre i martiri. Coloro che osano unire i due termini devono pagare col sangue, magari metaforicamente, non necessariamente in modo fisico. Oggi i poteri hanno altri modi per uccidere: emarginare, segregare, mettere fuori quadro in questa grande manipolazione dell’opinione pubblica che è la nuova forma del potere.
L’uomo di pace è ignorato, è relegato nell’ anonimato assoluto perché la grande festa della competizione occupa gli schermi della nostra osservazione del quotidiano e dello storico. Però il futuro è in mano agli uomini di pace, in questo senso robusto. Mentre dico pace, lo so bene, la parola suona falsa, in quanto l’abbiamo sentita ripetere dagli aggressori, dai tiranni; abbiamo sentito usarla per giustificare le più nefande operazioni. Anche nei rapporti privati abbiamo sentito condannare, demonizzare la lotta di classe operaia, la lotta di classe che turba la pace come se non fosse vero che a turbarla sono sempre coloro che appartengono alla classe dei dominatori. La parola pace, anche nella predicazione religiosa, è servita a legittimare disordini, gerarchie, dipendenze e quindi essa gronda di responsabilità. Riscattandola, però, in questa purezza sorgiva della parola di Dio possiamo pronunciarla senza ambiguità dicendo che la scelta della pace è il nostro modo di vivere l’Avvento. Non dico l’Avvento in quanto ritmo rapido delle cadenze liturgiche, ma l’Avvento come dimensione messianica della storia. Il nostro luogo di identità è l’incontro profondo, organico, fra pace e giustizia.
Ernesto Balducci– da: “Gli ultimi tempi” – vol. 1
www.fondazionebalducci.com/20-novembre-2022-xxxi-domenica-tempo-ordinario-anno-c/
DONNE NELLA (per la ) CHIESA
Lidia Maggi: “Le donne si prendano un ruolo nella chiesa”
“Pastora”, “discepola”, “padre queer”, “gabbie di genere”: le parole sono importanti e insieme rivelatrici di un futuro che s’avvicina. È bello ascoltarle da Lidia Maggi,α 1964, sposata, 4 figli pastora battista, ospite ieri di un incontro molto importante, intitolato: “Le donne nei Vangeli, riflessioni sulla promozione della donna operata da Gesù“. Com’è importante che a ospitarla sia stata una chiesa cattolica, la parrocchia dell’Immacolata di via Abbrescia a Bari, su invito di un cappuccino, padre Mariano.
Pastora Maggi, Gesù è sempre accompagnato da donne, è a loro che si rivela risorto.
“Le donne che sceglie come discepole, o che scelgono di diventare sue discepole, vengono da lui liberate. Fin dall’inizio ci sono i 12 e poi ci sono alcune donne come Maria la grande (di Magdala vuol dire proprio questo, non un luogo), svincolate dalle catene del patriarcato, delle malattie, dagli stereotipi sessuali, donne che Gesù libera anche dall’ignoranza. C’è Maria di Betania che si arroga il diritto di imparare, in una società in cui era appannaggio solo dei maschi, che sceglie di essere discepola. Le donne sono presenti dalla prima ora con i 12, per cui un discepolato che nomina solo i 12 è amputato di questa presenza molto forte: le discepole che lo servivano e seguivano fin dalla Galilea, ci dice Marco. Donne da cui Gesù impara, come la cananea, che gli mostra quanto la misericordia di Dio sia molto più grande di quello che lui credeva, facendogli vedere le cose dal punto di vista della misericordia femminile. Ci sono diverse donne che interpellano Gesù e lo sollecitano».
A cominciare da sua madre durante le Nozze di Cana.
“Secondo Giovanni è una madre che forza il figlio a fare un gesto, Gesù pensa che la sua ora non sia ancora arrivata, ma lei non è d’accordo. Quello che voglio far comprendere che una Chiesa che non racconta Dio anche con voce femminile è amputata. Gesù racconta Dio con immagine maschile e femminile, senza problema. La grande parabola del Padre Misericordioso si compone di un pastore, di una amministratrice e di un padre, per dire Dio occorrono almeno questi tre sguardi: uno esterno, una interna e poi questo padre che diremmo un po’ queer, con attributi maschili e femminili. Le gabbie di genere rischiano di essere solo sociali. Chi l’ha detto che solo le donne sono misericordiose o accoglienti e gli uomini no? E chi l’ha detto che solo gli uomini devono amministrare i beni e mantenere la famiglia e le donne no? Allora ecco che Dio è un’amministratrice. Entrare nelle donne dei Vangeli non significa solo riflettere sulle quote rosa, la posta in ‘gioco’ è molto più alta, si tratta di quale Dio noi annunciamo e quale Chiesa. A una Chiesa che non permette alle donne di glorificare Dio e di predicare manca qualcosa. Una Chiesa non è un club ma è una comunità che raccoglie persone diverse per provenienza sociale, culturale, sessuale”.
Parla di discepole, ma il racconto evangelico dopo Gesù è stato fatto da maschi e la subalternità ne è stata conseguenza: la donna, salvo eccezioni, è sparita. Siamo andati avanti così per secoli e, nella Chiesa cattolica, ancora non si parla di donne prete, di certo non convintamente.
“Nella mia tradizione e in quella valdese sin dagli anni Venti veniva messo all’ordine del giorno il tema, fino ad arrivare al 1964, al riconoscimento della prima donna pastora. Accaduto per la tenacia delle donne che hanno studiato e per la complicità di uomini intelligenti con ruoli importanti, che hanno perorato la loro causa. Io mi rammarico del tono lamentoso che spesso sento nelle donne nelle nostre Chiese; è vero che a volte non ci viene data la possibilità, in alcune Chiese, di predicare negli amboni, ma possiamo farlo nelle strade, nelle piazze, Gesù predicava dappertutto. Dobbiamo uscire da una cultura della delega, sentirsi vittime è pericoloso, diventa quasi uno stato ontologico, e non è sano perché noi siamo molto di più di vittime di una Chiesa che non riconosce le donne, siamo parte della Chiesa, per cui siamo parte del problema”.
Come fare?
“Nel mondo cattolico, ad esempio, alcune donne si sono costituite in un coordinamento delle teologhe, hanno studiato Teologia per fare le disoccupate, ma poi hanno cominciato a insegnare nelle Università, nei Seminari, a scrivere sulle riviste; si è dunque rivelata una scelta creativa, astuta, per non rimanere nell’impasse dell’attesa che qualcosa cambi, hanno messo in moto il cambiamento, pensando che fosse giunta l’ora”.
Una pastora battista che parla in una Chiesa cattolica: che significato ha?
“Per me è sempre un’esperienza spirituale, mi ricorda che la Chiesa è molto più grande della mia confessione e che questa unità che si invoca già c’è, la riconosco, sento che apparteniamo allo stesso Signore. Ogni cosa buona che succede nella Chiesa cattolica avviene anche nella mia Chiesa. Questa diversità che porto avanti con il mio essere donna nella Chiesa, si estende anche alle altre diversità necessarie perché la Chiesa sia questa sinfonia delle differenze”.
intervista a Lidia Maggi a cura di Antonella W. Gaeta
“la Repubblica” – Bari – del 26 novembre 2022
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202212/221202maggigaeta.pdf
Senza le donne non ci sarà abbastanza Gesù nella chiesa
Colloquio con Joan Chittister a cura di Federica Tourn
Monaca delle Benedettine di Erie, in Pennsylvania, è autrice di oltre 60 libri, centinaia di articoli e una rubrica online per il settimanale Usa ational Catholic Reporter. È stata presidente della Leadership Conference of Women Religious (Lcwr) e presidente della Conference of American Benedictine Prioresses. Membro fondatore della Global Peace Initiative of Women, suor Joan è anche direttrice di Benetvision, un centro di risorse e ricerca per la spiritualità contemporanea.
Conversare con suor Joan Chittister è certamente un’appassionante esperienza intellettuale e spirituale, ma è anche un’occasione per sperimentare cosa significa parlare con qualcuno che ascolta con attenzione e risponde con schiettezza, senza fare ricorso a schermi, impostazioni o giri di parole. Suor Joan è franca e diretta, e quando parla di quel che c’è da fare nella Chiesa, di quanto conti la crescita spirituale perché possa migliorare la vita di tutti, mostra un vigore e una freschezza tali che pare la prima volta che ne discute con qualcuno. Eppure da più di cinquant’anni tiene conferenze in tutto il mondo, ha scritto libri e centinaia di articoli e rilasciato interviste in ogni parte del pianeta; è apparsa in pubblico con il Dalai Lama ed è stata ospite della popolarissima conduttrice americana Oprah Winfrey. Insomma, questa pluripremiata religiosa americana di 86 anni che mi sorride con semplicità dallo schermo, è una star. «Sono la figlia unica di una donna forte, di origine irlandese, consapevole del proprio valore», dice subito suor Joan, «e la mia fortuna è stata crescere in mezzo a donne coraggiose e competenti». A tre anni perde il padre e sua madre insiste, contro il parere della famiglia, per portarla al funerale. «Riteneva che anche io avessi diritto a vivere il lutto», spiega la religiosa. «Mio padre aveva appena 29 anni quando è morto e posso ancora sentire il dolore e le lacrime sul viso di mia madre», racconta suor Chittister. Il corteo sta seguendo il feretro quando l’attenzione della piccola Joan è attratta da due suore: «Ho visto queste due strane creature e ho chiesto a mia madre chi fossero», ricorda. «Lei mi ha risposto che erano degli angeli e che quel giorno avrebbero fatto arrivare mio padre direttamente in paradiso. Poteva esserci qualcosa di più bello?». È una svolta cruciale nella sua vita: «Da quel giorno ho cominciato a cercare ovunque le suore e a salutarle per strada per attirare la loro attenzione», racconta. La scelta di diventare una di loro è quasi una conseguenza naturale. Entra nella comunità delle suore benedettine di Erie, in Pennsylvania, affascinata dalla regola di san Benedetto, «basata», spiega, «su questo vivere nella costante presenza di Dio e sul continuo svilupparsi della comunità umana».
Suor Chittister ritorna spesso sull’importanza della crescita intellettuale all’interno della vita religiosa; nel libro Fuoco sotto la cenere, pubblicato in Italia dalle Edizioni San Paolo, afferma con forza che bisogna andare oltre le “opere buone” per arrivare alle radici dell’ingiustizia. «Perché la vita religiosa adesso si guadagni il pane che mangia», scrive, «abbiamo bisogno di pensatori che ci portino oltre le parole gentili e le opere buone per la gente disperata, oltre il tipo di carità che rende gradito l’osceno, fino al tipo di giustizia che rende l’osceno impossibile». «Non viviamo soltanto per noi stessi e certamente dobbiamo andare verso chi ha bisogno, seguire Gesù che cura i malati e gli abbandonati, ma senza dimenticare il Gesù profeta, che ci ricorda che non siamo al mondo per fare soldi e preoccuparci di cose materiali». Sul posto che le donne devono occupare nella Chiesa, non ha dubbi: create a immagine di Dio, è sbagliato tagliarle fuori dai processi decisionali e togliere loro la parola nelle assemblee, perché in questo modo, nota, «si perdono metà delle possibilità, delle idee, delle intelligenze disponibili».
L’emarginazione delle donne incide anche negativamente sulla gestione degli abusi clericali: «Sono gli uomini che hanno permesso ad altri uomini di deteriorare così tanto la spiritualità nella Chiesa», afferma la religiosa. «Quando si è trattato di affrontare la questione della violenza sui minori, le madri sono state lasciate fuori dalla stanza: loro, però, non avrebbero aspettato un minuto a denunciare i responsabili». Le donne vengono lasciate indietro e non possono amministrare i sacramenti, predicare e partecipare ai processi decisionali: non è il Vangelo a volerlo, ma «il sistema maschile», commenta suor Joan. Nonostante questi divieti, le donne vanno dappertutto: aprono scuole, ospedali, ospizi e accettano sempre meno che la loro vita sia definita da una società patriarcale: «Ovunque, anche in Africa, le donne dicono no quando gli uomini si aspettano che dicano sì», sottolinea la religiosa.
Qualcosa sta allora davvero cambiando? «La Chiesa ci ha messo secoli ad ammettere che Galileo e Lutero avevano ragione», commenta suor Chittister. «Spero che non ci voglia così tanto tempo anche per riconoscere che Dio ha creato due generi diversi ma ugualmente importanti ai suoi occhi». Uomini e donne infatti hanno un diverso modo di pensare, di sentire, di agire sulla realtà: ignorando questo fatto, la Chiesa spreca buona parte delle risorse della creazione. «Una presa di posizione insensata, perché non è certo quello che Dio vuole», taglia corto la religiosa. «Gesù aveva anche delle donne nella folla che lo seguiva, e sappiamo dal vangelo di Luca che molte erano sue discepole. Solo accogliendo pienamente le donne nella Chiesa si potrà avere davvero una comunità». In sostanza, conclude sorridendo, «No Women, no Jesus».
Federica Tourn “Jesus” dicembre 2022
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202212/221203chittistertourn.pdf
ECCLESIOLOGIA
Cardinalato, tempi duri. Il «caso Becciu
Inquietante vicenda del cardinale Becciu – che è arrivato a registrare, a insaputa del papa, una telefonata a lui per “incastrarlo” – e quella di un porporato francese che ha ammesso di aver compiuto, da giovane prete, violenza sessuale su una adolescente, fanno tornare d’attualità una domanda viva nell’immediato post-Concilio, e poi quasi dimenticata: quale è il collegio che deve eleggere il vescovo di Roma?
E chi lo sceglie? Nei primi secoli nell’Urbe furono tutti i fedeli, poi i responsabili delle parrocchie principali, poi alcune famiglie nobili che pretendevano di rappresentare l’intera comunità, ad assumersi questo compito; quindi, sul finire del primo millennio, iniziarono le pesanti interferenze degli imperatori tedeschi. In tale contesto, dal 1059, con Niccolò II, quella responsabilità fu affidata ai “cardinali”, tutti di nomina papale, che potevano essere vescovi, o anche preti o semplici diaconi.
Per cinque secoli il loro numero variò da una dozzina ad una quarantina; Sisto V nel 1586 portò il loro numero a settanta; Giovanni XXIII nel 1958 superò quella soglia e, poi, ancor più, Paolo VI, che stabilì a centoventi il numero massimo dei cardinali votanti ed escluse dal conclave gli ultraottantenni. Fino al Vaticano II (1962-65) nessuno aveva messo in questione il diritto del papa di scegliere chi doveva eleggere il suo successore; ma nel post-Concilio l’arcivescovo di Bruxelles, cardinale Leo Suenens, propose che, insieme ai cardinali, entrassero in conclave anche i presidenti delle Conferenze episcopali, eletti dai loro confratelli; Paolo VI, però, rifiutò l’ipotesi, e così i papi successivi.
Però, da alcuni anni, da più parti è stata ventilata un’altra e più ardita ipotesi: ammettere nel conclave anche donne: proposta, finora, lasciata cadere. Eppure l’istituzione di porporati-donne non violerebbe nessun dogma, perché il cardinalato non è di istituzione divina. Ma l’”altra metà della Chiesa” – colonna portante per l’educazione alla fede nelle famiglie, nelle scuole e nella catechesi – non ha nessuna voce nel conclave. La affermazione conciliare che “la Chiesa è il popolo di Dio” rimane inattuata nell’elezione del vescovo di Roma.
I papi recenti hanno elevato alla porpora persone degne, anche se, giudicando con il senno di poi, non sempre hanno ben valutato: Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux, classe 1944, fatto cardinale da Benedetto XVI nel 2006, un mese fa ha ammesso di aver abusato di una quattordicenne, quando era giovane parroco. E Giovanni Angelo Becciu, classe 1948, potente uomo di Curia, che nel 2018 fu elevato alla porpora proprio da Bergoglio, nel 2021 registrò una telefonata a lui, a sua insaputa, per fargli dire che egli stesso lo aveva autorizzato a compiere un’azzardata operazione finanziaria a Londra per la quale il porporato è ora sotto processo in Vaticano. «Il papa vuole la mia morte»: così in una telefonata ora rivelata, ha detto il prelato, che aveva giurato fedeltà a Francesco.
Che succede, Oltretevere?
Luigi Sandri “’Adige” 28 novembre 2022
w.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221128sandri.pdf
FAMIGLIA
Le proposte delle Acli a sostegno della famiglia
Il presidente nazionale delle Acli Emiliano Manfredonia e Lidia Borzì, responsabili Famiglia dell’associazione, hanno incontrato nei giorni scorsi il ministro della Famiglia, natalità e pari opportunità Eugenia Maria Roccella, per discutere del documento di proposte migliorative dell’assegno unico universale elaborato dall’associazione. Lo rendono noto le Acli, in una nota diffusa ieri sera, 28 novembre, precisando che il testo offerto al ministro è il frutto del lavoro quotidiano dell’Area Famiglia in collaborazione con gli esperti del Caf Acli e del Patronato Acli, che ogni anno garantiscono assistenza a circa 3 milioni di cittadini.
Tra le modifiche contenute nel documento ci sono
- «il riconoscimento dell’assegno nella sua totalità fino ai 21 anni dell’età dei figli o fino al termine del corso legale di studi, un modo per arginare la crescita delle diseguaglianze e garantire la fine degli studi anche a coloro che vengono da famiglie meno benestanti;
- la rimodulazione dell’importo dell’assegno unico universale nella fase di minore età del figlio, con un rinforzo nei primi anni di vita, e a questo proposito le Acli hanno espresso il loro apprezzamento per le modifiche contenute nella Legge di Bilancio; una maggiore attenzione a situazioni di nuclei familiari con figli in stato di disagio economico;
- l’estensione del beneficio a richiedenti asilo e ai figli degli immigrati residenti con permesso di soggiorno diverso dal permesso unico lavoro;
- l’estensione del sussidio ai figli dei residenti all’estero».
Nella nota si parla di incontro «cordiale e fattivo», nel quale i dirigenti Acli e il ministro hanno convenuto sull’importanza di introdurre presto altre misure strutturali a sostegno delle famiglie, oltre al miglioramento dell’assegno unico.
Redazione online Roma sette 29 novembre 2022
www.romasette.it/le-proposte-delle-acli-a-sostegno-della-famiglia
Genitori violenti, la Garante infanzia: «Aiutiamo i ragazzi a denunciare»
L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti interviene dopo che le cronache di questi giorni hanno portato alla luce la vicenda della 14enne romana costretta con la violenza dai genitori a mendicare e promessa in sposa a uno sconosciuto. «Risulta per certi versi esemplare per il coraggio della ragazza che ha trovato la forza di denunciare – le sue parole -. Si tratta purtroppo dell’ennesimo caso di maltrattamenti consumati nell’ambito familiare, un caso nel quale non intendo entrare – spetta ai magistrati accertare fatti e responsabilità – ma che offre lo spunto per tornare a riflettere sull’argomento».
La Garante si chiede: «Quanti casi come questo ci sono? Quanti sono i minorenni che subiscono quotidianamente umiliazioni, prevaricazioni e costrizioni simili in casa?». E cita i dati: «In oltre il 90% dei casi di bambini e ragazzi seguiti dai servizi sociali per maltrattamento l’autore risulta essere un familiare. Inoltre, secondo i dati del servizio analisi criminale del ministero dell’Interno di giugno 2021, in meno di due anni sono stati 24 i casi di denuncia per matrimoni forzati, un terzo dei quali ha interessato minorenni. Ma per questi fenomeni c’è poi tutta una parte che resta sommersa. Per questo – prosegue – è importante sensibilizzare – a scuola, nei luoghi di ritrovo dei giovani e anche attraverso i servizi sociali – le ragazze e i ragazzi a non tacere, a parlarne con chi può aiutarli a denunciare. Allo stesso modo insegnanti, conoscenti, vicini e tutti gli adulti di riferimento non devono girarsi dall’altra parte o restare indifferenti ma saper cogliere il disagio, individuare i segni e creare un clima di fiducia che porti il minorenne a confidarsi», aggiunge Garlatti.
Positivo, dunque, nell’analisi dell’Autorità garante, che la stampa si occupi di queste vicende, «perché portare alla luce storie che raccontano il coraggio di parlare e di chiedere aiuto può essere di esempio per tanti altri ragazzi che vivono situazioni simili. È però importante ricordare che i giornalisti, quando raccontano vicende come queste, devono tenere conto anche dell’interesse del minorenne a restare anonimo, come previsto dalla Carta di Treviso – prosegue -. Va infatti evitato il riferimento a particolari non essenziali alla notizia in grado indentificare in qualche modo il minore; particolari che, oltre a essere inutili, possono danneggiarlo facendolo diventare vittima due volte».
Redazione online Roma sette 29 novembre 2022
www.romasette.it/genitori-violenti-la-garante-infanzia-aiutiamo-i-ragazzi-a-denunciare
FORUM ASSOCIAZIONE FAMILIARI
L’UCIPEM è socio fondatore
L’udienza del Papa al Forum Famiglie
Questa mattina (2 dicembre 2022), il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza, nel Palazzo Apostolico, i Membri del Forum delle Associazioni Familiari e ha rivolto loro il discorso che si riporta passim e completo in allegato
«Ringrazio il Presidente Gianluigi De Palo per le sue parole e per il lavoro di questi anni al Forum delle Associazioni Familiari – non è timido davvero!–. E ringrazio tutti voi perché cercate di tenere alta in Italia la voce delle famiglie: una voce non lamentosa, ma propositiva; una voce non ideologica, ma capace di interpretare la realtà e i bisogni delle famiglie italiane, specialmente di quelle con più figli, che si trovano ingiustamente penalizzate.
Prima ancora, però, vorrei dirvi che vedo in voi una testimonianza della gioia di essere famiglia, cioè del messaggio centrale che ho voluto dare con l’Esortazione Amoris lætitia. Gioia di essere famiglia non vuol dire che tutto va bene, che non ci sono problemi… No, non è questo. Tutti sappiamo che la vita familiare è fatta di momenti felici e di altri dolorosi, di periodi più sereni e di altri più difficili, a volte duri. Ma c’è una gioia che può attraversare tutte queste situazioni, perché sta a un livello più profondo, e che viene proprio dall’essere famiglia, percepito come dono, con un senso intimo di gratitudine. Una riconoscenza che si rivolge prima di tutto Dio, e poi ai nostri antenati, ai bisnonni, ai nonni, ai genitori; ma anche ai figli e ai nipoti, certo, perché i piccoli rigenerano l’amoris lætitia nei vecchi e negli adulti. Ripeto: non parlo di una famiglia ideale, di un modello standard da applicare per essere felici. Ogni famiglia ha il suo cammino e la sua storia, come ce l’ha ogni persona. Parlo della realtà concreta di tante famiglie in cui genitori e figli, insieme ai nonni, agli zii, ai cugini, cercano giorno per giorno di andare avanti non inseguendo i modelli mondani ma con uno stile di semplicità e di servizio.
Questa è la prima cosa che sento di condividere con voi e di cui vi sono grato: la testimonianza che essere famiglia è un dono gioioso che suscita gratitudine.
Un secondo aspetto che riconosco in voi e per cui vi incoraggio è che cercate di stimolare una buona politica per le famiglie e con le famiglie. Lo fate non a partire da una particolare ideologia, ma sulla base della dottrina e della prassi sociale della Chiesa. E lo fate applicando il metodo del dialogo: dialogare con tutte le istituzioni responsabili delle politiche familiari, non per fare gli interessi di una parte, di una categoria, ma ricercando il bene comune. Questo secondo aspetto è complementare al primo. In effetti, una famiglia cristiana non può mai chiudersi nel proprio guscio; non può dire: stiamo bene noi, gli altri si arrangino! La famiglia cristiana – ma direi ogni famiglia fondata sull’amore – è aperta e attenta a ciò che accade fuori di casa, cerca di essere accogliente e solidale, a partire dalle situazioni di vicinato, di condominio, di quartiere, fino a quelle a livello sociale più ampio, come pure di altri Paesi e altri continenti. La famiglia è chiamata ad essere un fattore di fraternità e di amicizia sociale, radicata in un territorio e nello stesso tempo aperta al mondo.
[…]
Ritorniamo però al vostro impegno in Italia. Come dicevo, si tratta anche di un impegno politico {non partitico} in senso ampio e alto, come contributo al bene comune del Paese, perché le famiglie non siano sfruttate e poi penalizzate, ma promosse e sostenute. Questa è l’unica strada per arrivare a un’inversione di tendenza del tasso di natalità. Noi qui siamo in un brutto inverno demografico, bruttissimo. Qui tocchiamo un punto che condivido con voi e sul quale, anzi, vi ringrazio, perché mi avete aiutato a conoscere meglio la situazione. Grazie anche alle vostre iniziative, il tema della natalità è ormai emerso in primo piano nelle agende politiche. Ma si tratta di passare dalle parole ai fatti; e poi di passare dai palliativi a una terapia vera ed efficace. E voi, giustamente, non volete limitarvi a denunciare il problema. […]
Cari amici, andate avanti su queste due strade: la testimonianza gioiosa dell’essere famiglia e l’impegno per una buona politica per e con le famiglie. Ma devo aggiungere: abbiate cura di voi stessi, come coppie e come famiglie! Prendetevi il tempo necessario per la preghiera, per il dialogo tra voi coniugi e con i figli, e per la vita comunitaria nella Chiesa. E prendete il tempo anche per giocare con i figli! Giocare, “perdere tempo” con i figli, giocare. Le famiglie che vogliono impegnarsi a livello associativo e sociale devono, a maggior ragione, alimentare la vita spirituale e la spiritualità coniugale e familiare.
L’ho detto, ma voglio ripeterlo: stiamo vivendo un inverno demografico grave e dobbiamo reagire a questo, con tutte le nostre forze, con il nostro lavoro, con le nostre idee per convincere. Il mio segretario mi ha detto che l’altro giorno, passando per Piazza San Pietro, ha visto una signora con la carrozzina dei bambini, voleva guardare i bambini… e c’era dentro un cagnolino! È un simbolo, per questo lo dico. Ci vogliono figli. Abbiamo bisogno di figli. […]»
GOVERNO
Dipartimento per le politiche della famiglia. Piano nazionale contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale
Il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri, che esercita le funzioni di indirizzo e coordinamento nazionale in materia di politiche dell’infanzia e dell’adolescenza, svolge, altresì, quelle già proprie del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia e l’adolescenza (Decreto legge 12 luglio 2018, n. 86, convertito con modificazioni dalla Legge 9 agosto 2018, n. 97).
Le funzioni proprie del Centro sono dedicate alla promozione, l’informazione e la comunicazione delle politiche a favore dell’infanzia e dell’adolescenza. Più specificatamente (ai sensi dell’articolo 3, comma 2, lettere a), b), c), d), g) del DPR 14 maggio 2007, n. 103), tali funzioni riguardano le attività di documentazione, analisi, ricerca e monitoraggio, informazione e promozione, nonché raccolta bibliografica di studi e pubblicazioni relative al mondo minorile.
Il Dipartimento per le politiche della famiglia e l’Istituto degli Innocenti – sulla base di un accordo di collaborazione – lavorano congiuntamente allo scopo di porre in essere in modo sinergico tutte le attività già proprie del Centro che declinano l’impegno italiano teso alla piena attuazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989.
Nazioni Unite, Assemblea generale, Risoluzione del 9 settembre 2022
A/RES/76/303, United Nations action on sexual exploitation and abuse
Nella presente Risoluzione l’Assemblea generale ribadisce il suo impegno per la politica di tolleranza zero verso lo sfruttamento e l’abuso sessuale; rileva la preoccupazione, a causa della pandemia da Covid-19, per le persone vulnerabili a maggiori rischi di sfruttamento e abuso sessuale limitando la capacità delle Nazioni Unite di fornire assistenza alle vittime; sottolinea l’importanza di azioni di prevenzione e segnalazione al fine di dimostrare l’impegno delle Nazioni Unite per la politica di tolleranza zero, e per promuovere una maggiore responsabilità degli Stati membri; evidenzia che le vittime di sfruttamento e abuso sessuale dovrebbero essere al centro degli sforzi delle Nazioni Unite. Ciò premesso, viene chiesto al Segretario generale di continuare nella presentazione di relazioni annuali, ai sensi della Risoluzione 15 aprile 2003, n. 57/306 anche sui progressi compiuti nell’attuazione di una politica di tolleranza zero all’interno del sistema delle Nazioni Unite, nonché sulle migliori pratiche emergenti all’esame dell’Assemblea generale. 9 settembre 2022
www.minori.gov.it/sites/default/files/idi_rg4-22-norme_01_1.pdf
Il presente Piano nazionale, che è il secondo adottato dal momento della previsione di legge, è frutto di un processo ampiamente partecipativo nel quale sono stati impegnati tutti i componenti dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile e che ha coinvolto anche una rappresentanza di ragazze e ragazzi che, in attuazione del loro diritto di essere ascoltati, sancito dall’articolo 12 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, hanno fornito preziose indicazioni utili alla definizione delle priorità di azione individuate nel Piano.
Il Piano nazionale costituisce lo strumento programmatico che individua gli obiettivi e le azioni che le istituzioni e la società civile sono chiamate a realizzare per rendere efficaci e concrete la prevenzione e il contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale delle persone di minore età.
Ai sensi del Regolamento istitutivo dell’Osservatorio, il Piano è parte integrante del Piano d’azione per l’infanzia e l’adolescenza, predisposto dall’ Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, per cui i suoi contenuti specifici si basano sulle azioni e gli indirizzi contenuti nel Piano d’azione per l’infanzia e l’adolescenza o comunque condivisi in sede di lavoro e discussione dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.
A tal fine, la predisposizione del nuovo Piano nazionale da parte dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile ha tenuto in primario conto le indicazioni del 5° Piano nazionale d’azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, approvato il 21 maggio 2021 dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. La connessione con il 5° Piano nazionale è stata anzitutto realizzata attraverso un’analoga declinazione delle linee di intervento.
In particolare, il nuovo Piano nazionale di prevenzione e contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori di età – generalmente orientato alla realizzazione di interventi funzionali a rispondere agli obiettivi connessi alle cosiddette “tre P” (Prevention, Protection, Promotion) – declina obiettivi strategici in politiche e interventi attuativi da realizzare nelle seguenti aree e prospettive riferite alle cosiddette “tre E” (Education, Equity, Empowerment), in maniera funzionale alla tutela dei minorenni dai fenomeni dell’abuso e dello sfruttamento sessuale.
Notizie www.minori.gov.it/it/notizie
LITURGIA
Linguaggio difficile
Quello liturgico è un linguaggio “difficile da capire”. È la valutazione che emerge dalle sintesi della fase diocesana del cammino sinodale delle principali Chiese europee. Al temine di una valutazione d’insieme non molto lusinghiera della vita liturgica, le chiese che sono in Italia qualificano come “urgente” l’aggiornamento dei linguaggi della liturgia: «Di fronte a “liturgie smorte” o ridotte a spettacolo, si avverte l’esigenza di ridare alla liturgia sobrietà e decoro per riscoprirne tutta la bellezza e viverla come mistagogia, educazione all’incontro con il mistero della salvezza che tocca in profondità le nostre vite, e come azione di tutto il popolo di Dio. In tal senso risulta urgente un aggiornamento del registro linguistico e gestuale».
La Francia constata «l’apprezzamento per la ricchezza dei simboli liturgici», ma prende atto anche degli «interrogativi davanti a un linguaggio divenuto per molti inintelligibile». E indica alcune aspirazioni emerse: «Una formazione liturgica rinnovata per far fronte a quello che molte sintesi indicano come l’irricevibilità del linguaggio comune nella Chiesa». Le Chiese che sono in Belgio constatano la diffusa necessità di onorare «il bisogno di riti nei momenti importanti della vita», ma al contempo osservano che «il linguaggio è percepito come sfalsato (décalé) rispetto a ciò che le persone vivono». La sintesi della Germania riporta l’esplicita richiesta da parte dei credenti: «C’è bisogno di un’interpretazione dei riti, di un linguaggio concreto e comprensibile, di un’attuazione che sia in relazione con la realtà della vita delle persone, al fine di contrastare il diffuso “analfabetismo liturgico”» .La liturgia come luogo di esperienza della Chiesa sinodale per la Spagna «presuppone il superamento della sua distanza culturale», dal momento che «le modalità di espressione della liturgia, il suo linguaggio e le sue forme, sono vissute come incomprensibili, poco in linea con l’esperienza e l’attualità e poco accoglienti. Spesso la liturgia riunisce solo un nucleo interno di fedeli; per molti altri, anche per molte persone impegnate nella Chiesa, essa resta incomprensibile e inaccessibile». Molto netta la valutazione delle Chiese irlandesi: «Il linguaggio ecclesiastico della Chiesa nella liturgia è visto come arcaico, non inclusivo e difficile da capire, in particolare il linguaggio delle letture dell’Antico Testamento e delle preghiere liturgiche. È emersa una chiara richiesta di un vocabolario più semplice, facile da usare e inclusivo». Da ultima la Spagna dichiara che «è forte anche la necessità di riflettere seriamente sull’adattamento del linguaggio, degli ornamenti e di alcuni riti più lontani dal tempo presente».
Singolare è la convergenza sulla valutazione del linguaggio liturgico. «Tutto il popolo di Dio chiede un profondo rinnovamento della Chiesa», ha di recente detto il cardinale Grech, e molto porta a pensare che il profondo rinnovamento della Chiesa passi necessariamente anche attraverso il rinnovamento del linguaggio liturgico.
Goffredo Boselli. monaco a Bose “Vita Pastorale” dicembre 2022
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221129boselli.pdf
MATERNITÀ
Presupposti e iter per richiedere la cd. maternità anticipata
La cd. maternità anticipata è un periodo retribuito di astensione dal lavoro spettante alla lavoratrice in stato di gravidanza che precede la maternità obbligatoria e, pertanto, può essere richiesto nei primi sette-otto mesi di gestazione. Ai sensi dell’art. 16 del D.lgs.151/2001 (cd. T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2001/04/26/001G0200/sg
infatti, è fatto divieto di adibire al lavoro le donne durante i due mesi antecedenti la data presunta del parto e per i tre mesi successivi allo stesso, salva la facoltà della lavoratrice di astenersi dal lavoro, ex art 20 del medesimo d.lgs. n. 151/2001, a partire dal mese precedente al parto e per i quattro mesi successivi qualora tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro, come appositamente attestato dal medico specialista e da quello competente (specialista in medicina del lavoro) in ambito di prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro.
Secondo quanto previsto dall’art. 17 D.lgs. n. 151/2001, il periodo di maternità può essere anticipato di un mese rispetto al termine di astensione obbligatoria per le gestanti occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, sono da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. L’istanza può essere presentata nelle seguenti ipotesi specificamente previste dalla legge:
- nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza (art. 17 c. 2 lett a): l’istanza, corredata da certificato medico di gravidanza, del certificato medico attestante le complicanze e ogni altra documentazione utile a valutare le condizioni della gestante, va inoltrata dalla lavoratrice all’Azienda Sanitaria Locale del luogo di residenza;
- quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino (art. 17 c. 2 lett b): l’istanza va inoltrata dalla lavoratrice o dal datore di lavoro al Servizio Ispezione del Lavoro della Direzione Territoriale del Lavoro;
- quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni (art. 17 c. 2 lett. c): l’istanza va inoltrata lavoratrice o dal datore di lavoro al Servizio Ispezione del Lavoro della Direzione Territoriale del Lavoro.
In ogni caso, l’ufficio competente emette il provvedimento all’esito degli accertamenti medico-sanitari entro sette giorni decorrenti dal giorno successivo alla recezione della domanda; in ipotesi di mancata pronuncia entro il detto termine, la domanda si intende comunque accolta. L’astensione dal lavoro decorre dalla data riportata nel provvedimento e, se alla scadenza del periodo di rischio indicata nel certificato medico della gestante non è ancora stato emesso il provvedimento sulla durata dell’astensione, la lavoratrice deve riprendere il proprio lavoro. Se la condizione di rischio permane oltre il periodo indicato nel certificato, tuttavia, è possibile presentare nuova istanza per richiedere un ulteriore periodo di astensione.
Il beneficio è riconosciuto sia nei rapporti di lavoro subordinato che autonomo. Possono accedere alla maternità anticipata, pertanto, tutte le lavoratrici dipendenti del settore pubblico e privato, a tempo indeterminato e determinato, nonché le prestatrici di lavoro occasionale, le collaboratrici a progetto o con contratti equiparati, le associate in partecipazione e le libere professioniste iscritte alla gestione separata INPS. Con la precisazione che le libere professioniste non possono avanzare istanza motivata per insalubrità delle condizioni di lavoro e pericolosità delle mansioni. Del pari, le lavoratrici in mobilità, in cassa integrazione o stato di disoccupazione possono fruire del beneficio solo per i motivi di cui all’art. 17 c. 2 lett. a) d.lgs. n. 151/2001.
Il congedo di maternità anticipata, al pari di quello obbligatorio, non compromette l’anzianità di servizio, le ferie e il TFR. Il trattamento economico è pari all’80% della retribuzione media giornaliera, calcolata sull’ultima busta paga e corrisposto dall’INPS per le lavoratrici subordinate, e della retribuzione convenzionale, calcolata in base al rapporto 1/365 sul reddito annuo per le lavoratrici in libera professione.
Avv. Laura Bazzan – Studio Cataldi 28 novembre 2022
www.studiocataldi.it/articoli/24150-la-maternita-anticipata.asp
OMOFILIA
Omosessualità, la Chiesa valdese sceglie diritti e accoglienza
«Sul tema dell’accoglienza e della benedizione delle coppie omoaffettive, la Chiesa valdese ha espresso ripetutamente una posizione netta e cristallina». Così la moderatora della Tavola valdese, Alessandra Trotta, interviene sulle affermazioni del senatore Lucio Malan (esponente di Fratelli d’Italia e membro della Chiesa valdese) a proposito di diritti delle copie omoaffettive anche in rapporto alla Bibbia, per rispondere a chi si chiede come mai la Chiesa valdese non parli. «Deluderemo tutti coloro che si attendono censure pubbliche nei confronti del senatore Malan. La censura non fa parte del nostro modo di essere chiesa – dice Trotta –. Ma questo non significa che la nostra Chiesa non parli. La nostra Chiesa parla attraverso i pronunciamenti ufficiali del nostro Sinodo che, al termine di un ampio e partecipato processo di confronto e condivisione, ha espresso, sul tema dell’accoglienza e della benedizione delle coppie omoaffettive, una posizione cristallina e lo ha fatto non per cedimento allo “spirito del mondo”, ma ponendosi con serietà e senso di responsabilità davanti alla Parola, con una interrogazione attenta delle Scritture e nella fiducia della guida dello Spirito santo; insomma da credenti».
Trotta continua: «La nostra Chiesa parla anche attraverso la pratica quotidiana di impegno delle chiese locali, di Centri di incontro e formazione (come quello ecumenico di Agape), delle nostre opere diaconali; e, non ultimo, con i numerosi progetti per l’accoglienza, il supporto, la piena inclusione e la tutela dei diritti delle persone discriminate per il loro orientamento sessuale o per la loro identità di genere. E fa tutto questo supportata ogni anno anche dalla quota di Otto per mille che tanti contribuenti ci assegnano, con la fiducia nell’utilizzo che ne facciamo. Abbiamo l’umile e fiduciosa convinzione che la continuità di questo impegno concreto sia e debba rimanere l’unica risposta possibile da dare in questo momento, di fronte a prese di posizione personali che non impegnano la nostra Chiesa e non comportano per essa un cambiamento dei propri convincimenti e dell’impegno, in parole ed azioni concrete, per delle battaglie civili che continueranno a contraddistinguerci in coerenza con la nostra fede. “Parole” diverse da queste sarebbero incomprensibili anche e soprattutto per i membri delle chiese valdesi e metodiste che non condividono l’interpretazione della Bibbia del fratello Lucio Malan e, tuttavia, non ritengono che la Chiesa possa ergersi a tribunale delle coscienze, anche laddove vengano espresse idee in contrasto con quelle ufficialmente assunte dalla Chiesa stessa».
L’analisi di Trotta si allarga: «Al contempo, colgo l’occasione per dire una parola sul dibattito mediatico odierno che vede un fraintendimento, per non dire una ridicolizzazione del senso profondo della Bibbia, tanto del Nuovo Testamento quanto dell’Antico Testamento o Bibbia ebraica. La cultura biblica nella sua interezza (senza pericolose cesure fra Antico e Nuovo Testamento) ha contribuito in maniera sostanziale all’impostazione giuridica odierna, improntata al riconoscimento e alla difesa dei diritti umani e alla tutela dei più deboli, all’accoglienza e assistenza universale di chi è emarginato e di chi soffre. La Bibbia non è un codice di leggi da applicare come un manuale di istruzioni, ma è traccia di un percorso di fede che sottolinea l’importanza della relazione tra esseri umani e tra questi e Dio; percorso continuato oggi da milioni di donne e uomini. La Bibbia stessa si difende da un’interpretazione univoca e superficiale riportando posizioni in dialettica tra loro, promuovendo così il dialogo nel cammino come possibilità di seguire il Dio d’Israele e di Gesù. Per questo le Scritture assumono ancora oggi un ruolo fondamentale nella vita dei singoli e delle chiese, che in essa trovano innanzitutto un annuncio di grazia e salvezza per tutti e tutte».
Redazione “www.riforma.it” 25 novembre 2022
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202211/221125redazioneriforma.pdf
RIFLESSIONI
“Dalla fraternità la vera riforma della Chiesa”
Senza una conversione non ha senso riunirsi per l’eucaristia né la predicazione del Vangelo.
Il 27 ottobre 2022 è stato presentato in conferenza stampa il Documento per la Tappa Continentale del Sinodo sulla Sinodalità, sul tema: “Per una chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Il Card. Mario Grech, con un intervento puntuale ed essenziale, ha sottolineato che il documento è una fedele restituzione delle sintesi espresse dalle diverse conferenze episcopali, mentre altri hanno cercato di illustrarne la struttura e le intuizioni. In tal modo le chiese possono mettersi in ascolto l’una dell’altra in vista delle assemblee continentali che si terranno nell’anno che inizia.
Indubbiamente questo documento è la testimonianza di una novità assoluta nella storia di tutte le chiese, e non solo della cattolica: per la prima volta si è prestato ascolto alla voce del popolo di Dio prima di prendere decisioni per la vita della chiesa. Alcune parrocchie, comunità e gruppi, luoghi di ricerca teologica e pastorale, vescovi, presbiteri e fedeli hanno potuto prendere la parola in ecclesia, e manifestare ciò che il sensus fidei che li abita suggerisce loro nella forza dello Spirito santo. Non che tutto sia avvenuto con quella pienezza di coinvolgimento che Papa Francesco aveva auspicato, ma resta notevole la partecipazione registrata nonostante il disinteresse di alcune porzioni ecclesiali, resta importante l’ascolto e il dialogo attuati nonostante l’assenza dei giovani e dei tradizionalisti in alcune chiese. Non era operazione facile l’elaborazione di un documento del genere, che non si proponeva di essere una sintesi di tutte le istanze, ma doveva piuttosto presentare una raccolta di istanze espresse, queste sì, sinteticamente. Vi si legge anche la volontà di non nascondere, non tacitare voci che potrebbero sembrare inaccettabili dai padri sinodali come decisioni al termine del percorso: ma si tratta di voci audaci, diverse, che, anche se non espresse da maggioranze, andavano registrate e condivise a livello di chiesa universale.
Alla guida del sinodo per ora oltre a Papa Francesco ci sono un Relatore, il Card. Öllerich, e un Segretario, il Card. Grech, che aderiscono in modo intelligente a questa iniziativa profetica, nella quale il tema del sinodo è già in atto come metodo concreto, vissuto da tutta la chiesa. Tuttavia mi si permettano anche alcuni rilievi che non inficiano il giudizio positivo appena espresso. Innanzitutto anche in questo documento si è seguita una moda dominante da decenni, quella di proporre la cosiddetta “icona biblica”. Purtroppo lo si fa in modo superficiale in molte occasioni. Nel nostro documento si ricorre a una profezia di Isaia, che nel tempo della fine dell’esilio invita Gerusalemme a rallegrarsene e ad allargare lo spazio della tenda per la liberazione e la rinascita che Dio le concede. Già applicare questa immagine alla chiesa oggi, in una fase di diminuzione e di recessione della fede, è certamente una stranezza, ma poi leggere addirittura la chiesa come tenda del convegno o dell’incontro è errato perché in questa, contenente la presenza-Shekinah [dimora] di Dio, non entrava il popolo, neppure i sacerdoti se non Mosè e più tardi il sacerdote dei sacerdoti una volta all’anno nel giorno dell’espiazione. Anche affermare che la chiesa prima di questa convocazione sinodale era in esilio mi sembra avventato: la chiesa è sempre in esilio, fino alla venuta del Regno e del Veniente, il suo Signore! Non è certo un evento ecclesiale che la può sottrarre alla sua condizione di pellegrinante nell’esilio del mondo. Ma al di
là di questi rilievi puntuali, confesso che resta deludente il punto 2 del documento: “In ascolto delle Scritture”, perché in realtà non mette in luce il primato e l’egemonia della Parola nella vita della chiesa. Certamente tale primato era già stato affermato nei documenti conciliari e nella Verbum Domini di Benedetto XVI, ma qui meritava una chiara proclamazione. Da mezzo secolo tutte le nostre parole appaiono piegate alla logica ecclesio-centrica, quasi ci fosse un’incapacità a mettere al centro Gesù Cristo, il Signore, e questo dovrebbe interrogarci anche sul cammino del sinodo!
Passiamo però a leggere alcune indicazioni profetiche del documento.
La prima è la fraternità, che appare come il compito primario per vivere da cristiani nella storia e nel mondo. Purtroppo abbiamo dimenticato che tra i nomi che il Nuovo Testamento assegna alla chiesa c’è adelphótes, fraternità (cf. 1Pt 2,17; 5,9), che ne l’essenza. Se i cristiani vogliono prendere sul serio la sequela del Signore è la missione devono assolutamente vivere la fraternità, che richiede di incontrarsi, ascoltarsi, riconoscersi, attuare lo scambio dei doni e quindi amarsi fraternamente: una fraternità che non conosce frontiere e confini, ma può solo essere concepita, generata dai credenti che partecipano dell’Unico Corpo del Signore! Proprio dall’opzione della fraternità, che richiede una vera conversione ecclesiale, deve iniziare la riforma della chiesa! Altrimenti non ha senso radunarsi nello stesso luogo per l’eucaristia, non ha senso la predicazione del vangelo, risulta priva di autorevolezza e fecondità la testimonianza. È giusto che si insista tanto sull’ascolto, ma in vista della fraternità, quella che rende così “bello e dolce che i fratelli vivano insieme” (Sal 133,1). Se si cercasse innanzitutto la fraternità che è affetto reciproco, fine dell’isolamento, accoglienza dell’altro, allora anche chi ha scelto di non prendere parte al processo sinodale sarebbe invogliato a camminare con gli altri e si lascerebbe coinvolgere attratto da questo modo di vivere la chiesa, così cercato e desiderato in un mondo sfilacciato e anonimo.
Nel capitolo 3 si illustra la missione della chiesa, concepita non come un andare tra le genti per convertire, ma come un incontrare l’umanità sottraendosi alla tentazione di escludere, ergere muri, segnare frontiere. Una chiesa che accoglie senza giudicare, che discerne [distingue] chi è escluso e lo va a cercare, una chiesa dotata di particolare sensibilità nel riconoscere chi è nel bisogno, chi soffre nel corpo e nello spirito, una chiesa che annuncia il perdono a chi ha peccato senza emettere condanne. Purtroppo la chiesa fin dalla sua nascita ha vissuto l’esclusione da parte dei giudei, e in seguito, non appena ha ricevuto un riconoscimento dal mondo, a escludente peccatori, divorziati, eretici, persone con storie d’amore non conformi alla morale cristiana hanno conosciuto solo il volto di una chiesa matrigna e di un Dio spione, che tiene il conto dei peccati, pronto a sanzionarli in nome di una giustizia elaborata con rigidità da servi della legge e da aguzzini ecclesiastici.
Ma la voce dello Spirito che parla attraverso il popolo santo di Dio si leva da tutte le terre, dalle culture diverse e si fa sentire ovunque con posizioni diversificate e nel contempo capaci di convergere per alcune urgenze, come il riconoscimento pieno della soggettività delle donne nella chiesa, la partecipazione dei fedeli alle responsabilità e al governo attraverso il discernimento comunitario, la possibilità della predicazione del Vangelo riconosciuta anche a fedeli che abbiano il dono della predicazione. Anche la richiesta di una lettura della sessualità che sia fedele alla parola di Dio ma anche capace di accogliere l’antropologia emergente non deve spaventare, ma semplicemente essere presa sul serio perché si possa offrire una parola convincente agli uomini e alle donne di oggi.
Un’altra istanza molto diffusa, ben espressa dalla Conferenza episcopale francese, riguarda la liturgia per la quale si chiede di riprendere una nuova riforma dopo quella di cinquant’anni fa, per una liturgia che sia inculturata nelle diverse chiese, capace di coinvolgere i fedeli attraverso parole e segni forgiati per l’uomo di oggi. Così com’è sovente celebrata, la liturgia eucaristica allontana, non convoca l’assemblea cristiana, non attrae, non crea fraternità. A questo proposito il popolo di Dio auspica che vescovi e presbiteri inaugurino un nuovo modo di rapportarsi con i fedeli, superando non solo il clericalismo, ma la logica sottile di chi sta sempre al centro della comunità, oscurando senza volerlo la centralità primaziale del Signore Gesù Cristo.
Restiamo con fiducia in attesa dei prossimi passi: con intelligente sollecitudine pastorale Papa Francesco ha predisposto per il sinodo una tappa ulteriore, nell’autunno 2023, perché ha compreso che la chiesa non è ancora pronta a fare delle scelte audaci dettate dallo Spirito santo, scelte che richiedono fede nel Signore e grande pazienza con i credenti, tempi di ascolto reciproco, di dialogo, di confronto, di correzione fraterna: la convergenza se la si cerca nell’umiltà e nell’ascolto dello Spirito santo è possibile, e questo darà al sinodo la possibilità di frutti abbondanti.
p. Enzo Bianchi, monaco Vita pastorale dicembre 2022
Sabino Chialà “A Diogneto: cristiani in una società plurale”
I cristiani nel mondo
“I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere. Questa dottrina che essi seguono non l’hanno inventata loro in seguito a riflessione e ricerca di uomini che amavano le novità, né essi si appoggiano, come certuni, su un sistema filosofico umano.
Risiedono poi in città sia greche che barbare, così come capita, e pur seguendo nel modo di vestirsi, nel modo di mangiare e nel resto della vita i costumi del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, come tutti hanno ammesso, incredibile. Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. Come tutti gli altri uomini si sposano ed hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il letto.
Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Anche se non sono conosciuti, vengono condannati; sono condannati a morte, e da essa vengono vivificati. Sono poveri e rendono ricchi molti; sono sprovvisti di tutto, e trovano abbondanza in tutto. Vengono disprezzati e nei disprezzi trovano la loro gloria; sono colpiti nella fama e intanto viene resa testimonianza alla loro giustizia. Sono ingiuriati, e benedicono; sono trattati in modo oltraggioso, e ricambiano con l’onore. Quando fanno dei bene vengono puniti come fossero malfattori; mentre sono puniti gioiscono come se si donasse loro la vita. I Giudei muovono a loro guerra come a gente straniera, e i pagani li perseguitano; ma coloro che li odiano non sanno dire la causa del loro odio.
Insomma, per parlar chiaro, i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo. L’anima si trova in ogni membro del corpo; ed anche i cristiani sono sparpagliati nelle città del mondo. L’anima poi dimora nel corpo, ma non proviene da esso; ed anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. L’anima invisibile è racchiusa in un corpo che si vede; anche i cristiani li vediamo abitare nel mondo, ma la loro pietà è invisibile. La carne, anche se non ha ricevuto alcuna ingiuria, si accanisce con odio e fa’ la guerra all’anima, perché questa non le permette di godere dei piaceri sensuali; allo stesso modo anche il mondo odia i cristiani pur non avendo ricevuto nessuna ingiuria, per il solo motivo che questi sono contrari ai piaceri.
L’anima ama la carne, che però la odia, e le membra; e così pure i cristiani amano chi li odia. L’anima è rinchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono detenuti nel mondo come in una prigione, ma sono loro a sostenere il mondo. L’anima immortale risiede in un corpo mortale; anche i cristiani sono come dei pellegrini che viaggiano tra cose corruttibili, ma attendono l’incorruttibilità celeste. L’anima, maltrattata nelle bevande e nei cibi, diventa migliore; anche i cristiani, sottoposti ai supplizi, aumentano di numero ogni giorno più. Dio li ha posti in un luogo tanto elevato, che non è loro permesso di abbandonarlo.”
Dall’Epistola a Diogneto (Cap. 5-6; Funk 1, 317-321)
Testo integrale www.ora-et-labora.net/diogneto.html
Commento di Sabino Chialà, monaco a Bose il 19 novembre a Terni, pubblicato il 23 novembre 2022
audio www.youtube.com/watch?v=loUkK8-eZdU&list=PLywlz6X3Wx_ppZ8QyYsfgeh__OwtKVLhE&index=24
www.alzogliocchiversoilcielo.com/2022/11/sabino-chiala-diogneto-cristiani-in-una.htmlù
Colloquio con Massimo Recalcati
«Kum!», disse Dio a Giona e poi Gesù alla bambina in Marco 5,41-42. «Alzati!». Dio riaccende con la parola-imperativo la fiammella della vita, è vero, ma la faccenda non è finita qui: chiede all’essere umano un movimento, una risposta.
Kum è anche il nome che lo psicanalista Massimo Recalcati ha voluto dare al festival di cui è direttore scientifico, proprio a indicare il senso della relazione terapeutica, della cura che esige un cambiamento, oltre la tentazione di morte come paura di vita. Lo scorso ottobre, ad Ancona, nella sua seconda edizione, il festival è divenuto cantiere aperto di attività e pensieri sul tema del fine vita, tra chi persegue la resistenza a tutti i costi, chi la resa incondizionata, chi mette innanzi a tutto la dignità da preservare. Come trovare il filo?
Recalcati, che ha appena pubblicato per Feltrinelli La luce delle stelle morte. Saggio su lutto e nostalgia, mi dà la sua risposta: «Non ho una concezione materialistica della vita umana. Dunque non penso che la vita sia solo un respiro», afferma. «Credo che l’esistenza di fronte a prove difficili e anche insormontabili debba provare a resistere. Ma credo anche che questa resistenza abbia dei limiti. Per esempio quelli che una malattia estremamente dolorosa e senza più speranza mette spietatamente in luce. Anche la potenza della medicina deve inchinarsi di fronte all’ineluttabilità del male. Allora in questi casi la resistenza deve poter lasciare il posto alla resa. Che non è affatto meno umana della resistenza! In questi casi estremi la morte non è più una maledizione ma può essere un dono, può salvaguardare la dignità della vita. La dignità non è infatti solo della resistenza ma anche della resa».
Anche Amen, il suo primo testo teatrale, edito da Einaudi, riflette su questi temi. Parte dalla vita stessa del professore, nato prematuro, un “mucchietto d’ossa” il cui destino si credeva segnato, chiuso in un’incubatrice, e a cui viene impartito un battesimo che è insieme estrema unzione. Un’opera tra scienza e fede, con una madre che lotta e spera contro ogni speranza e contro le parole dei medici, e il battito di un neonato che non vuol cedere. «Non è solo un testo sulla resistenza della vita», precisa, «ma anche sulla sua resa. E la bellezza struggente che questa piccola e antichissima parola — Amen — condensa. È la parola della benedizione di tutte le cose che vengono alla luce del mondo. Ma è anche la parola che conclude la preghiera e che congeda la vita dalla vita. Il suo doppio senso illustra il movimento stesso della vita rispetto alla morte, diastole e sistole, apertura e chiusura… Il mio pensiero è spesso assorbito dalla morte. È stato così sin da bambino, a dire la verità. È ciò che mi aveva fatto eleggere Gesù a mio eroe preferito: Lui aveva vinto la morte, era risorto, aveva spezzato la sua tremenda presa. Aver presente la morte non deve abbattere la vita ma renderla consapevole che nella caducità di tutte le cose c’è uno splendore di cui dobbiamo essere grati».
La morte che, così tangibile, l’ha accompagnato fin dai primi respiri, resta la protagonista con cui confrontarsi nel nuovo libro, che affronta il trauma della perdita, non solo nell’esperienza legata alla morte dei nostri cari, ma nell’incontro con la perdita che caratterizza il cammino umano nella vita. «Cosa accade? Cosa significa perdere qualcosa che dava senso al nostro mondo? Perdere un ideale o separarsi dalla propria terra, oppure da una stagione della vita? Mi soffermo, dunque, sul lutto e sui suoi diversi destini. Il dolore della perdita può infatti essere rifiutato, come accade nella negazione maniacale, oppure può dare luogo a un blocco della vita che non riesce a separarsi da ciò che ha perduto, come accade nella reazione melanconica. In questo caso sperimentiamo una presenza che ha assunto le forme estreme dell’assenza. Un’assenza che resta sempre presente e che finisce per ingombrare la nostra vita, per bloccarla, appunto nel rimpianto e nell’auto-colpevolizzazione. Il destino più fecondo di un lutto è invece quello di diventare un lavoro, un lavoro su quello che abbiamo perduto. Un lavoro che assomiglia molto a quello dell’ereditare: portare con noi quello che è già stato ma dandogli una forma nuova. È qui che appare il sentimento della nostalgia».
Una nostalgia che ha caratterizzato anche i due anni di pandemia in cui ci siamo sentiti congelati, immobilizzati in giornate incerte, contraddittorie: forse come mai prima abbiamo ripensato al passato, anche prossimo, a quel 2019 che si invocava, tra l’ironia e la lacrima, in un rimpianto per ciò che avevamo perduto o lasciato andare senza renderci conto della sua irripetibilità: come è possibile una ripartenza sana, non ripiegata nella nostalgia? «Come nel caso del lutto», spiega, «esistono anche forme diverse della nostalgia. Una è quella alla quale lei si riferisce: è quella che nel libro definisco come nostalgia-rimpianto. In questo caso il passato occupa il centro della scena come un oggetto irrimediabilmente perduto. Nostalgia è la tristezza di non potere più avere quello che si aveva avuto prima: la giovinezza, il primo amore, la nostra casa, la forza del nostro corpo, eccetera. Si tratta di un rimpianto inconsolabile che trascina la vita all’indietro. È quello che Gesù vuole colpire quando invita il discepolo che ha perduto il proprio padre a guardare avanti, a lasciare che “i morti seppelliscano i loro morti” Matteo [8 22]. Ma esiste anche una seconda forma della nostalgia che assomiglia di più a una specie di visitazione. E la nostalgia-gratitudine. In questi casi il passato ci visita e ci porta luce, ci ricorda non qualcosa che è morto e impossibile da avere, ma la bellezza e lo splendore di ciò che abbiamo vissuto e dal quale possiamo continuare ad attingere linfa vitale. È la nostalgia al servizio della vita e non della morte».
«Da bambino», continua Recalcati con una confidenza personale, «ho ricevuto un’educazione cattolica. Ma il catechismo mi annoiava e mi pareva ispirato da una concezione solo penitenziale della vita. Mi sono allontanato da quell’educazione con decisione negli anni dell’Università attraverso Marx, Nietzsche, Sartre e Freud stesso. La formazione psicoanalitica e la sua pratica hanno completato il mio percorso di distacco dalla mia educazione originaria. Ma dopo la nascita di mio figlio ho, in modo imprevisto, ricominciato a leggere con occhi nuovi il testo biblico, soprattutto i Vangeli. Ho così scoperto che la psicoanalisi non mi aveva affatto allontanato dal cristianesimo ma mi ci aveva stranamente riportato. Chiaramente un cristianesimo che non ha nulla a che fare con l’educazione catechistica che ho ricevuto. Un cristianesimo anti-sacrificale e fondato sulla centralità dell’esperienza generativa del desiderio. Da questo punto di vista le parole di Gesù anticipano quelle della psicoanalisi. Anche quando criticano il discorso religioso, il suo conservatorismo, la sua morale sacrificale, le sue illusioni… Io ho fede in quelle parole, le condivido pienamente e penso che non siano per nulla distanti da quelle della psicoanalisi. Per esempio nell’importanza che esse assegnano alla potenza del desiderio. Un albero non si giudica da nient’altro se non dai suoi frutti: è una massima che ogni psicoanalista condividerebbe. È vero che il mondo mitologico di riferimento della psicoanalisi non è quello biblico ma quello greco: Narciso, Edipo, Elettra, Antigone sono figure che appartengono al mondo classico. Ma lo sforzo che ho fatto in questi ultimi dieci anni è stato quello di mostrare l’esistenza inaudita anche di radici bibliche della psicoanalisi. Inaudita perché Freud era un ateo radicale, figlio della cultura materialistica dell’Illuminismo e del Positivismo. Ma il suo errore è stato quello di sviluppare una critica religiosa alla religione senza accorgersi che la critica alla religione (al fanatismo, al fondamentalismo, alla superstizione, all’idolatria) occupa un posto centrale nella Bibbia stessa. Ho cercato di mostrare come alcuni temi chiave della psicoanalisi siano stati affrontati con la stessa forza già nel testo biblico: il rapporto tra Legge e desiderio, l’invidia, l’odio, l’erotismo, la differenza sessuale, la sofferenza, la potenza inesauribile del desiderio, l’erranza [Stato d’errore, oppure di dubbio, di confusione della mente o dell’animo], la trasgressione, il culto perverso degli idoli».
E la Chiesa? Che posto ha per Recalcati? «Una Chiesa che non è pervasa dalla testimonianza è un’istituzione morta, senza vita. La testimonianza è il rinnovamento sempre in atto del tempo originario del desiderio. Papa Francesco prova a ricollocare la testimonianza al centro del magistero della Chiesa. Almeno questo è quello che i miei piccoli occhi mortali possono vedere».
a cura di Donatella Ferrario “Jesus” dicembre 2022
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202212/221203recalcatiferrario.pdf
RISCONTRI
Gli italiani del 2022: malinconici e preoccupati
Il 56° Rapporto Censis fotografa un Paese «entrato nel ciclo del post-populismo», in cui crescono paure nuove. Su tutte, quella della terza guerra mondiale, temuta dal 61% della popolazione, ma anche quella della bomba atomica (59%) e che l’Italia stessa entri in guerra (58%). Un’istantanea di un Paese «entrato nel ciclo del post-populismo», dopo una devastante sequenza di enti di portata mondiale: prima la pandemia di Covid19, poi la guerra in Ucraina, l’inflazione in crescita e la crisi energetica. È il 56° Rapporto annuale Censis sulla situazione sociale del Paese. E in questo panorama di fondo, gli italiani appaiono sempre più malinconici e preoccupati, spaventati dal contesto globale e sempre più indignati dalle disuguaglianze economiche ostentate nella vita e sui social. www.censis.it/rapporto-annuale
Un quadro profondamente mutato, quello offerto dall’indagine, in cui le crisi sovrapposte dell’ultimo triennio si aggiungono alle vulnerabilità preesistente, determinando negli italiani «una rinnovata domanda di prospettive certe di benessere» ma anche «istanze di equità non più liquidabili come aspettative irrealistiche fomentate da qualche leader politico demagogico». A parlare sono i numeri: il 92,7% degli italiani è convinto che la corsa dei prezzi durerà a lungo, il 76,4% pensa che le entrate familiari nel prossimo anno non aumenteranno, quasi il 70% pensa anzi che il proprio tenore di vita peggiorerà. Diventano quindi «socialmente insopportabili» le forbici economiche: il gap tra i salari dei manager e quelli dei dipendenti (odioso per l’87,8%), le buonuscite milionarie dei “top” (86,6%) ma anche gli eccessi, i jet privati e le auto costose. L’81,5% poi non tollera gli «immeritati guadagni» degli influencer, ritenuti privi di «competenze certe».
Sullo sfondo il primato europeo dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, le aule scolastiche sempre più vuote per la contrazione demografica e la sanità in carenza di personale. A fronte di tutto questo non si registrano «intense manifestazioni collettive come scioperi, manifestazioni e cortei», come conferma anche il record toccato dall’astensione elettorale. Si registra piuttosto un ripiegamento su di sé. una tentazione alla «passività» che caratterizza il 54,1% degli italiani. Nel complesso, 4 su 5 «non hanno voglia di fare sacrifici per cambiare», neanche per sentirsi più giovane o per fare carriera (36,4%).
Crescono invece paure nuove:
- l’84,5% degli italiani, in particolare i giovani e i laureati, ritiene che anche eventi geograficamente lontani possano cambiare le loro vite;
- il 61% teme che possa scoppiare la terza guerra mondiale,
- il 59% la bomba atomica,
- il 58% che l’Italia stessa entri in guerra.
Sul fronte interno, oltre metà degli italiani teme di rimanere vittima di reati, sebbene oggi siamo il Paese statisticamente più sicuro di sempre. I crimini più efferati, gli omicidi volontari, sono diminuiti dai 528 del 2012 ai 304 del 2021 (-42,4%). E sono in forte contrazione i principali fenomeni di criminalità predatoria: in dieci anni le rapine sono diminuite da 42.631 a 22.093 (-48,2%), i furti nelle abitazioni da 237.355 a 124.715 (-47,5%), i furti di autoveicoli da 195.353 a 109.907 (-43,7%). Nell’ultimo decennio sono aumentate solo alcune fattispecie di reato: le violenze sessuali (4.689 nel 2012, 5.274 nel 2021: +12,5%), le estorsioni (+55,2%), le truffe informatiche (+152,3%).
Il Rapporto registra infine una tendenza all’invecchiamento e all’impoverimento:
- nel 2021 le famiglie in povertà assoluta sono 1,9 milioni, pari al 7,5% del totale, aumentate di 1,1 punti rispetto al 2019, per un totale di quasi 5,6 milioni di individui.
- Gli over 65 sono il 23,8%, +60% rispetto a trent’anni fa, e tra vent’anni si calcola che saranno il 33,7%.
Il trend si riflette sulla scuola, ma anche sulla sanità.
- Si calcola che tra 20 anni tra i banchi potrebbero sedere 1,7 milioni di giovani in meno, con uno “tsunami demografico” che investirà in primo luogo la primaria e la secondaria di primo grado: i 6-13enni, già nel 2032, potrebbero essere quasi 900mila in meno rispetto a oggi.
- E anche le immatricolazioni all’università sono date in contrazione forte tra il 2032 e il 2042.
- Intanto i Neet sono al top d’Europa: il 23,1% dei 15-29enni, che sale al Sud al 32,2%: la media Ue è del 32,2%.
Sul fronte della sanità, mentre nel decennio 2010-2019 il Fondo sanitario nazionale ha registrato un incremento medio annuo dello 0,8%, passando da 105,6 a 113,8 miliardi di euro, nel 2020 è aumentato a 120,6 miliardi, con un incremento medio annuo dell’1,6% nel periodo 2020-2022 dovuto alle misure per fronteggiare l’emergenza Covid.
Ma l’incidenza del finanziamento del Sistema sanitario nazionale scenderà al 6,2% del Pil nel 2024 (era il 7,3% nel 2020). Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti in Italia è diminuito da 19,1 a 17,3 ogni 10mla residenti, e quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 ogni 10mila residenti.
L’età media dei 103.092 medici del Servizio sanitario nazionale è di 51,3 anni, 47,3 anni quella degli infermieri. Il 28,5% dei medici ha più di 60 anni e un numero consistente si avvicina all’età del pensionamento. Si stima che, nel quinquennio 2022-2027, saranno 29.331 i pensionamenti tra i medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale, 21.050 tra il personale infermieristico. Dei 41.707 medici di famiglia, saranno 11.865 ad andare in pensione (2.373 l’anno).
Redazione online Romasette 22 dicembre 2022
www.romasette.it/gli-italiani-del-2022-malinconici-e-preoccupati
SACERDOZIO
Il concilio e… il celibato dei sacerdoti
Presbyterorum ordinis (PO) è il documento del Concilio sul ministero e la vita dei sacerdoti. Viene votato in extremis, il giorno prima della chiusura del Vaticano II. L’intero n. 16 è dedicato a ribadire “l’imposizione per legge” del celibato ai sacerdoti della Chiesa latina.
www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651207_presbyterorum-ordinis_it.html
Il testo impernia questo obbligo sulla “convenienza” del celibato allo stato sacerdotale, riconoscendo che tale condizione “non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva e alla tradizione delle Chiese orientali, nelle quali vi sono degli eccellenti presbiteri coniugati”. Il concilio, quindi, ammette che la decisione della Chiesa non nasce da come Cristo ha costituito il sacramento dell’ordine, ma da una propria scelta che di per sé, non ha obbligatorietà divina e perciò può anche essere revocata.
Coerentemente, perciò, PO giustifica la scelta affermando che in questo modo “i presbiteri aderiscono più facilmente a lui con un cuore non diviso, si dedicano più liberamente in lui e per lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo regno e la sua opera di rigenerazione soprannaturale, e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo”. Per quattro volte viene usata la logica dl compartivo di maggioranza, indicando chiaramente che con il celibato la missione del sacerdote raggiunge la potenziale perfezione.
Se la razionalità non è assente dal testo del concilio qualche domanda è necessaria. Come possono essere eccellenti preti quelli sposati nella Chiesa orientale, se la perfezione del servizio sacerdotale c’è solo con il celibato? Posto così, difficilmente si esce dall’idea che i preti sposati siano di serie b, rispetto alla loro capacità di svolgere pienamente il proprio ministero. Ricordo che Benedetto XVI nell’ottobre del 2009 ha accettato che preti anglicani sposati potessero rientrare come preti nella chiesa cattolica ed esercitare a pieno titolo il loro ministero. Che Benedetto sia andato contro il Vaticano II?
Ancora. PO 13 dichiara che “I presbiteri raggiungeranno la santità nel loro modo proprio se nello Spirito di Cristo eserciteranno le proprie funzioni con impegno sincero e instancabile”. Tradotto: il sacerdote diventa santo se fa bene il prete, al massimo grado. Ma per viverlo al massimo si deve essere celibi, perciò il celibato è necessario alla santità del prete. Poi, però, si legge Gaudium et Spes 17 e ci si accorge che la santità non può essere imposta per legge, nemmeno per legge divina: “Dio volle, infatti, lasciare l’uomo in mano al suo consiglio, che cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui, alla piena e beata perfezione. Perciò la dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna”. Qualcosa non torna.
www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html
Perché, sempre PO 16 afferma che il celibato va chiesto come dono a Dio e va abbracciato liberamente dal sacerdote. Il che sembra maggiormente possibile se fosse reso facoltativo, più che obbligatorio. É pur vero che si può scegliere liberamente di stare dentro ad una regola esterna (che per ciò stesso non è più esterna), ma se questa è condizione indispensabile per essere preti, allora, per essere fedeli a GS 17, è assolutamente necessario ammettere al sacerdozio solo coloro che hanno compiuto davvero questa scelta interiore. E in effetti il concilio offre questa indicazione. Nel documento dedicato ai religiosi si dice che i candidati “non abbraccino questo stato, né vi siano ammessi, se non dopo una prova veramente sufficiente e dopo che sia stata da essi raggiunta una conveniente maturità psicologica ed affettiva” (PC 12). Ma ciò viene esplicitato solo per i religiosi, non per i sacerdoti. Sarà stato un caso?
Ancora. Il sacerdote celibe ha la possibilità di testimoniare “quel mondo futuro, presente già attraverso la fede e la carità, nel quale i figli della risurrezione non si uniscono in matrimonio” (PO 16). A dire che la vita nel Regno di Dio non ammette la sessualità. Per giustificare ciò, coerentemente, il concilio afferma che i candidati al sacerdozio “abbiano una conveniente conoscenza dei doveri e della dignità del matrimonio cristiano, ma sappiano comprendere la superiorità della verginità consacrata a Cristo” (OT 10).
www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651028_optatam-totius_it.html
Testo clamorosamente smentito da S. Giovanni Paolo II nell’udienza del 14 aprile 1982: “Nelle parole di Cristo sulla continenza per il Regno dei cieli non c’è alcun cenno circa la inferiorità del matrimonio”. Le parole del Nuovo testamento “non forniscono motivo per sostenere né l’inferiorità del matrimonio, né la “superiorità” della verginità o del celibato”. Che anche S. Giovanni Paolo II sia andato contro al concilio?
www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1982/documents/hf_jp-ii_aud_19820414.html
Gilberto Borghi VinoNuovo 29 novembre 2022
www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/il-conclio-e-il-celibato-dei-sacerdoti
SINODALITÀ
Il teologo Hünermann: Caro papa Francesco
In una lettera aperta a papa Francesco il teologo dogmatico Peter Hünermann afferma che il futuro della Chiesa dipende dalla sinodalità e da come la Chiesa interpreterà il suo ruolo nella crisi causata dalle violenze e dagli abusi sui minori.
Roma-Germania, nodi teologici. Il duro confronto che ha visto protagonisti a Roma i 62 vescovi tedeschi in visita ad limina la settimana scorsa ha messo in luce alcuni snodi teologici. Ne abbiamo parlato
www.synodalerweg.de/italiano
Insomma, i nodi (Chiese locali – conferenze episcopali – Chiesa universale – curia romana) sono venuti al pettine. Proprio per questo è utile proporre alcuni passi della Lettera aperta che il teologo novantatreenne Peter Hünermann ha pubblicato sul numero di novembre della rivista Herder Korrespondenz.
Se si teme uno scisma
«Permettetemi oggi d’esercitare la mia funzione di teologo in un dialogo pubblico», secondo il dettato del testo della Commissione teologica internazionale su Teologia oggi: prospettive, principi e criteri del 2012: è l’incipit della lettera, scandita dalla triade «vedere – giudicare – agire».
Hünermann parte dalla nota della Sala stampa della Santa Sede del 22 luglio 2022 sul Cammino sinodale in Germania, dove si parla di un «necessario chiarimento» quanto alla salvaguardia della «libertà del popolo di Dio» e all’«esercizio del ministero episcopale». Entrambi – afferma il teologo – «sono fatti centrali dell’ecclesiologia e appartengono alla fede della Chiesa». Eppure, proprio su questi temi centrali, si teme uno «scisma» se il Cammino sinodale tedesco continua il suo percorso. «Come si è arrivati a questo giudizio?» – si chiede.
Quanto al vedere.Nella costituzione apostolica Episcopalis communio (15.9.2018), il papa prevede d’approfondire e sviluppare ulteriormente il Sinodo dei vescovi annunciato durante il concilio Vaticano II. Esso «esprime la dimensione sovra-diocesana del munus episcopale, [che ] si esercita in modo solenne nella veneranda istituzione del concilio ecumenico e si esprime pure nell’azione congiunta dei vescovi sparsi su tutta la terra, azione che sia indetta o liberamente recepita dal romano pontefice». Spetta poi al papa, «secondo i bisogni del popolo di Dio, individuare e promuovere le forme attraverso le quali il collegio episcopale possa esercitare la propria autorità sulla Chiesa universale» (n. 2). Nei nn. 5 e 6 il papa parla «a lungo del processo di consultazione del popolo di Dio, dell’ascolto del sensus fidelium, perché il pontefice e i vescovi sono sia insegnanti sia discepoli».
Allora – si chiede Hünermann – dove sta il problema col Cammino sinodale tedesco?
Le violenze e gli abusi. «Secondo la mia valutazione teologica della situazione, la Conferenza episcopale tedesca si sarebbe macchiata di una grave colpa se, dopo la pubblicazione dello studio del MHG» del 2018, «non avesse immediatamente ammesso gli abusi, invitato al pentimento e annunciato un serio rinnovamento (…) Così, in tempi molto brevi, a grande maggioranza nel marzo 2019 si è ideato e attuato il Cammino sinodale in terra tedesca», giusto un mese dopo il vertice vaticano sulle violenze, che, secondo il teologo, «purtroppo non ha prodotto alcun risultato concreto».
Il Cammino sinodale tedesco si propone di essere «luogo di discussione per un dibattito strutturato all’interno della Chiesa cattolica in Germania». E non è solo un «luogo di dibattito» ma ben di più: un «processo ecclesiale». Un processo pubblico «di pentimento e riconciliazione tra la Conferenza episcopale e il popolo di Dio in Germania» che si è sentito tradito e abbandonato.
Quindi c’è «una conferenza episcopale, condannata da un’inchiesta pubblica per abuso di ufficio che ammette la sua colpa e afferma la sua disponibilità al pentimento. È colpevole davanti a Dio, è colpevole davanti al popolo di Dio. Chi la può assolvere?».
Sul giudicare. «Si tratta di un peccato strutturale all’interno del quale è stata commessa una numerosa serie di peccati personali (…) I peccati strutturali riguardano le istituzioni».
«Si verificano quando le istituzioni deragliano dal proprio compito». «Qualcosa di simile è accaduto nella Chiesa cattolica, in Germania e nel mondo. Negli anni Novanta, i contorni di questo peccato strutturale sono diventati evidenti in casi come quello dell’arcivescovo Hermann Groër di Vienna,
nella prassi attuata dall’arcivescovo di Boston, il card. Bernard Law», naturalmente distinguendo tra «vescovi che sono essi stessi autori di abusi e vescovi che hanno coperto gli abusi in varie forme». Non si può pensare che questo valga solo per la Germania. «Questo è un problema di tutta la Chiesa, in tutti i continenti. Ovunque ci sono stati e ci sono autori di abusi tra il clero, tra il 5 e il 10% (…) ovunque accompagnati da coperture da parte dei vescovi. Una pratica arrivata fino ai vertici della Curia romana».
Una doppia azione. E qui l’anziano teologo si toglie qualche sassolino, citando il caso del card. Schönborn che, avendo pubblicamente criticato l’espressione «chiacchiericcio» usata nel 2010 da Angelo Sodano, allora decano del collegio cardinalizio, per riferirsi ai misfatti del card. Groër, fu costretto da Benedetto XVI alle pubbliche scuse, perché solo il papa può rimproverare pubblicamente un cardinale.
Occorre quindi una doppia azione – scrive Hünermann –. Da un lato i colpevoli «devono essere trattati come tali». Ma dall’altro, decenni d’insabbiamenti volti a «preservare la “reputazione” della Chiesa invece d’aiutare le vittime» richiedono un’azione diversa.
«È necessaria una pubblica ammissione di colpa da parte della Chiesa cattolica romana, rappresentata dalle sue autorità: nei confronti di Dio, di Gesù Cristo, del Signore della Chiesa, del popolo di Dio; nei confronti delle vittime di abusi, delle autorità civili, per il mancato rispetto della legge civile. E una confessione pubblica di colpevolezza per un peccato strutturale e istituzionale contro Dio, Gesù Cristo e il popolo di Dio» deve essere accompagnata da un rinnovamento «radicato nel pentimento, che ha la sua espressione concreta nella progettazione e nelle misure di una prassi diversa».
Il punto di partenza del cammino. Così è per questo che «la Chiesa in Germania ha intrapreso il cammino sinodale». E non c’è dubbio che esso rifletta la situazione tedesca, una cosa «inevitabile nel caso di peccati strutturali. Se si avviasse un processo analogo in Italia, ciò si vedrebbe molto in fretta» (ogni riferimento…).
Ma, ecco il punto: alla luce della Episcopalis communio e della sua Lettera al popolo di Dio in Germania
sorge una «domanda teologica»: si può fare «un passo verso il riconoscimento e la concretizzazione della sinodalità senza riconoscere la crisi degli abusi e affrontarne la soluzione? La Segreteria di stato sembra volere che la Chiesa tedesca faccia proprio questo». Per il teologo questo invece «non è possibile». Perché «porterebbe a una contraddizione interna: se il processo sinodale (…) riguarda l’analisi e l’approfondimento della natura della Chiesa, non è possibile prescindere dallo stato attuale come punto di partenza: la distanza dal proprio essere attraverso la vicenda dell’abuso, che dobbiamo confessare davanti a Dio e al popolo di Dio, e la conversione costituiscono il punto di partenza del cammino verso la sinodalità».
Quanto all’agire. Forse altre conferenze episcopali non sono pronte, anche se «il riconoscimento delle vittime» delle violenze e degli abusi e alcune forme di risarcimento sono avvenute in diversi paesi, ma non in tutti, anche per il diverso statuto giuridico delle conferenze episcopali nazionali. «La teologia ha il compito di presentare la ratio fidei. Ha una funzione di servizio nei confronti della leadership della Chiesa e del popolo di Dio. Può essere efficace solo attraverso la sua parola. In questo senso è povera e impotente. Ma in questo servizio risiede allo stesso tempo la sua responsabilità e la sua forza».
La lunga lettera si conclude con un «suggerimento concreto» che riguarda il Documento per la tappa sinodale, che al momento della stesura del testo non era noto. Hünermann afferma che esso costituisce un’ulteriore occasione per «sottolineare il problema degli abusi come punto di partenza concreto» per l’auspicata realizzazione della sinodalità. «Ciò che a prima vista può apparire ad alcuni vescovi come una complicazione per arrivare a una reale sinodalità si rivelerà in realtà un guadagno per una soluzione solida e duratura (…) Il futuro della Chiesa dipende da questo».
Maria Elisabetta Gandolfi. caporedattrice attualità per “Il Regno”
Bergamo. i sei momenti di incontro con i dialoghi sinodali, momenti di confronto e approfondimento utili per aprirsi all’ascolto e comprendere meglio l’esperienza della sinodalità che la Chiesa sta attraversando.
LA VOCE DEI VESCOVI
Dialogo con mons. Erio Castellucci, Arcivescovo di Modena-Nonantola, Vescovo di Carpi e Vicepresidente CEI
(video) https://youtu.be/thVTKdiBly0
LA VOCE DELLE LAICHE
Dialogo con Lucia Vantini, presidente del Coordinamento Teologhe Italiane
(video) https://youtu.be/ShHJOF2bdOc
LA VOCE DEI LAICI
Dialogo con Marinella Perroni e Andrea Grillo, teologo
(video) https://youtu.be/qmJ2DFcF7dU
DIALOGO CON UN VESCOVO
Dialogo con Card. Mario GRECH, Segretario generale del Sinodo
(video) https://youtu.be/uHiebOH0DUI
DIALOGO CON UN LAICO
Dialogo con Marco RONCONI, Teolo55ocente di Teologia Istituto Teologico Leoniano di Anagni
(video) https://youtu.be/L1CPa0XOS-8
DIALOGO CON UNA LAICA
Dialogo con Rosanna VIRGILI, Scrittrice e biblista italiana
(video) https://youtu.be/lmY7F_xbes8
pubblicati il 1° dicembre 2022
www.alzogliocchiversoilcielo.com/2022/12/dialoghi-sinodali-mario-grech-marco.html
SINTESI SUL PROCESSO SINODALE
AUSTRIA. Conferenza episcopale austriaca
«La sinodalità non va intesa come fine a se stessa. Si tratta piuttosto di “abbattere strutture rigide” e promuovere “la crescita e la vitalità della Chiesa al servizio delle persone e dell’unica umanità”, con riferimento alla “indispensabile missione affidataci da Gesù”». Con queste parole la Conferenza episcopale dell’Austria introduce la «sintesi nazionale» del processo di consultazione avviato nelle diocesi un anno fa, in conformità con le indicazioni di papa Francesco e della Segreteria del Sinodo. A una prima, più breve sezione di «rilettura dell’esperienza sinodale», in cui si sottolineano tanto le difficoltà quanto le sorprese del metodo della «conversazione spirituale», fa seguito una più ampia sezione che raccoglie in nove punti i contenuti ripetutamente sollevati nel corso del processo sinodale austriaco, tra i quali spiccano i temi della «condivisione della responsabilità per la comune missione», del «dialogare» e dell’«autorità e partecipazione». All’interno di quest’ultimo è compresa la questione della partecipazione delle donne, che «viene affrontata criticamente nella maggior parte dei contributi».
La Sintesi nazionale sul processo sinodale è stata presentata a Vienna il 21 settembre 2022
«Una Chiesa in cui si tengono sinodi, non è ancora una Chiesa sinodale. Potremo definirci “Chiesa sinodale” solo quando la vita quotidiana della Chiesa a tutti i livelli (…) sarà caratterizzata da uno stile sinodale». Questa constatazione riassume uno spunto centrale del processo sinodale nella Chiesa austriaca: il compito, che ci attende, di promuovere il cambiamento verso una cultura sinodale che modelli e permei la vita della comunità ecclesiale a tutti i livelli. Questo cambiamento culturale può fondarsi su strutture, metodi ed esperienze di sinodalità quotidiana (in certa misura) già vissuta, ma che in molti ambiti rimane ancora un desiderio.
Tuttavia, la sinodalità non va intesa come fine a se stessa. Si tratta piuttosto di «abbattere strutture rigide» e promuovere «la crescita e la vitalità della Chiesa al servizio delle persone e dell’unica umanità», con riferimento alla «indispensabile missione affidataci da Gesù».
- Pietre miliari. Come «pietre miliari» per il successo della consultazione sinodale sono menzionati i seguenti aspetti:
- Tempo: consente una preparazione accurata e un approccio strutturato – lo stress è controproducente
- Visione d’insieme: consente di sintetizzare i risultati del lavoro dei diversi comitati.
- Affidabilità: strutture di comunicazione e decisionali trasparenti e vincolanti garantiscono la tracciabilità, assicurano la partecipazione e suscitano apprezzamento.
- Diritti: ai partecipanti sono noti prima dell’inizio delle consultazioni sia i diversi livelli di partecipazione, sia in quale misura saranno vincolanti i risultati delle stesse.
- Diversità: la sinodalità vive delle differenze e della partecipazione, per cui deve essere garantita una partecipazione equa in riferimento a fattori di potere, età, genere, emarginazione, ecc.
- Inoltre, numerose sintesi sottolineano il significato della fiducia e dell’impegno a percorrere la strada insieme, al di là di tutte le differenze.
- Punti di svolta. Numerose sintesi fanno menzione del fatto che un punto di svolta nel processo sinodale si è verificato proprio quando la situazione iniziale era caratterizzata da delusione, scetticismo, frustrazione o addirittura rassegnazione: la svolta da una distanza diffidente a una partecipazione attiva. Il fatto che sia stato possibile coinvolgere un numero così elevato di persone è dovuto alla percezione dell’autentico interesse da parte di coloro che invitavano a partecipare al processo per i contributi dei partecipanti. Anche la professionalità con cui sono state preparate e gestite le riunioni è stata percepita come dimostrazione di apprezzamento. D’altra parte, il coinvolgimento è stato reso più difficile dalla scarsa disponibilità di tempo e dalla stanchezza che si era creata in seguito a processi precedenti vissuti come poco fruttuosi.
- Dimensione spirituale. Il nuovo approccio alla comunicazione, lo sforzo di praticare una cultura dell’ascolto attivo e di dare spazio a momenti di pausa e di silenzio, si rivela un elemento centrale e – ben oltre le strutture interne della Chiesa – innovativo del processo sinodale. Anche nell’ambito della consultazione pre-sinodale è emerso un ampio consenso sulla necessità di proseguire e riflettere su questo percorso. Una delle sintesi formula l’atteggiamento spirituale di fondo, seguendo l’attualizzazione delle opere di misericordia secondo il vescovo Wanke: «Ti ascolto. Cammino un po’ con te. Tu sei parte di noi. Prego per te. Condivido con te. Ti faccio visita. Parlo bene di te». Questo è espressione d’un atteggiamento riconoscente e disinteressato («zweckfrei») per gli esseri umani, comprensibile e attraente anche per persone secolari. Questo atteggiamento spirituale di base trova espressione concreta nella «conversazione spirituale», che è il cuore della sinodalità e che allo stesso tempo include metodo e contenuti. Essa parte dal presupposto che ogni essere umano, senza eccezioni, è una «piccola parola di Dio», attraverso la quale Dio opera in questo mondo, e che «la gratitudine, il desiderio, l’ascolto, la percezione delle mozioni interiori (…) possono aprirci allo Spirito di Dio»: «Possiamo diventare collaboratori di Dio discernendo, decidendo e agendo in questo modo».
- Difficoltà. Tuttavia, una rilettura delle sintesi parziali mostra anche che non sempre e non in tutte le diocesi è stato possibile lavorare con questo atteggiamento. Alcuni lamentano la «sicurezza di sé con cui viene negata ad altri l’opera dello Spirito»; altri riferiscono che alcuni partecipanti erano interessati soprattutto a esprimere le proprie opinioni, ma non ad avviare un vero dialogo; e altri ancora della percezione che solo «pochi (…) si sono imbarcati in questa difficile impresa», ovvero che la sinodalità «incontra ostacoli quando manca la necessaria fiducia». È successo anche che si siano verificati problemi nell’attuazione del processo sinodale o che le persone o le istituzioni ecclesiastiche coinvolte si siano mostrate insoddisfatte o addirittura frustrate dallo svolgimento e dai risultati delle consultazioni. In alcuni casi sono state mosse critiche anche al processo stesso, soprattutto quando l’organizzazione degli incontri – non da ultimo a causa della pandemia di COVID-19 – si è rivelata difficile e l’interesse dei destinatari è stato scarso. Più volte si è fatto riferimento all’esistere di uno scetticismo a impegnarsi nuovamente, alla luce di processi precedenti che «non hanno portato da nessuna parte». Sono state riscontrate difficoltà anche nel coinvolgimento di gruppi specifici (giovani, persone lontane dalla Chiesa, comunità frequentate principalmente da migranti…). C’è stata la percezione che i gruppi di tendenza conservatrice fossero nel complesso sottorappresentati. Anche il termine «sinodalità» è stato a volte un ostacolo, perché non presente nel linguaggio quotidiano della maggior parte delle persone.
- Sorprese. Nel complesso, la rilettura dell’esperienza sinodale mostra una varietà e un’ampia gamma di stati d’animo: «Dal sentirsi di fronte a un compito troppo grande alla mancanza di motivazione, dall’ottimismo all’attesa (…), dalla stanchezza alla gratitudine, dalla speranza allo slancio missionario». L’«ascolto» praticato consapevolmente, nella forma della conversazione spirituale sopra descritta, con la sua sequenza di fasi di dialogo e fasi di silenzio, si rivela una «scoperta con prospettive future del processo». La messa in pratica di questo atteggiamento promette sviluppi positivi, soprattutto quando l’ascolto reciproco è seguito dal necessario discernimento e da azioni concrete. La possibilità di instaurare questa nuova cultura spirituale dell’ascolto a tutti i livelli è quindi di importanza decisiva per l’efficacia in prospettiva futura del processo sinodale.
- Differenziazione e tematizzazione dei contenuti. Di seguito verranno esaminati diversi aspetti del «camminare insieme» nella Chiesa cattolica in Austria. Sarà data priorità a quelle questioni che sono state ripetutamente sollevate nel corso del processo sinodale, sia nelle consultazioni diocesane, sia nell’assemblea pre-sinodale nazionale.
- Compagni e compagne del cammino. Dalla maggior parte delle sintesi emerge chiaramente che la comunità viene vissuta innanzitutto nelle parrocchie, durante le funzioni religiose, nelle riunioni che le seguono, nelle feste e in altre attività e in un’ampia varietà di gruppi. Qui molti sperimentano un senso di appartenenza, di supporto e di valore. Tuttavia, alcuni osservano comunità chiuse in sé stesse in cui, ad esempio, persone socialmente svantaggiate, migranti, ma anche famiglie non sono presi in considerazione. Bambini e giovani sono sempre meno presenti nella comunità in cammino. Infine, l’esclusione è vissuta personalmente o percepita più ampiamente anche dai divorziati risposati e dai membri della comunità LGBTQIA+. Alcuni riscontri rivelano tensioni e possibili elementi di conflittualità all’interno della comunità in cammino. Ciò riguarda, ad esempio, le questioni relative all’odierna accettazione sociale di relazioni e orientamenti sessuali vissuti al di fuori della concezione cattolica del matrimonio, del celibato o della parità di genere, ma anche questioni più fondamentali relative all’ordinazione, al ministero, alla struttura, alla gerarchia, al potere e alla leadership. Due gruppi all’interno della comunità in cammino sono stati evidenziati con particolare frequenza nelle sintesi diocesane e nella consultazione nazionale pre-sinodale.
- Da un lato, le donne che esercitano volontariamente ministeri di fatto nell’ambito della Chiesa, ma allo stesso tempo spesso non si sentono membri a pieno titolo della comunità in cammino. Questa percezione si basa principalmente sull’esclusione delle donne dal ministero ordinato. In effetti, in particolare dalle sintesi diocesane emerge quasi unanimemente quanto segue: l’ordinazione femminile (almeno nella forma del diaconato), ma anche la parità delle donne al di là del ministero ordinato, è un desiderio urgente di molte donne e uomini. La disparità di trattamento tra donne e uomini nella Chiesa delude e frustra. Le voci critiche fanno notare anche che solo pochi uomini sono disposti ad assumere incarichi di volontariato e che si presta troppo poca attenzione al ruolo degli uomini al di là del ministero ordinato.
- Il secondo gruppo sono i sacerdoti. Le consultazioni nelle diocesi e a livello nazionale hanno indicato che il rapporto tra sacerdoti e fedeli è in molti luoghi difficile. Da un lato, si critica la distanza percepita tra consacrati e laici; in alcuni luoghi i sacerdoti sono addirittura vissuti come un ostacolo a un’efficace vita di comunità. Allo stesso tempo, si menzionano le sfide che i sacerdoti si trovano ad affrontare: la carenza delle vocazioni e la crescente diminuzione del volontariato sono causa di logoramento; inoltre, i sacerdoti non sempre si sentono ascoltati, oppure vedono messo in discussione il loro ministero. Cosa fa di un sacerdote un buon sacerdote? Come si può fare in modo che la vita di comunità funzioni per tutte le persone coinvolte? Perché sempre meno uomini si sentono chiamati? Queste sono le questioni che vanno discusse.
- Ascoltare e prendere la parola. La novità del processo sinodale si è espressa in modo particolarmente evidente nel fatto che nelle riunioni, nelle assemblee e nelle conversazioni si è prestato più ascolto ai fedeli, i quali hanno avuto la possibilità di parlare liberamente delle loro aspettative, speranze e delusioni. Perché la sinodalità è una sfida «non solo ad ascoltare diverse opinioni, ma anche a consentirle». Anche se la Chiesa nel suo complesso si trova agli inizi di questo atteggiamento di ascolto reciproco, la fase di consultazione, insieme all’assemblea pre-sinodale, «ha offerto un primo approfondimento della sinodalità come atteggiamento».
In alcuni luoghi, lo stile sinodale ha creato la possibilità di superare varie spaccature insorte nel discorso interno alla Chiesa. Tuttavia, una delle sintesi ha anche messo in guardia dal «non riconoscere l’azione dello Spirito Santo in coloro la cui opinione o opera non coincide con la propria visione della Chiesa». Nonostante tutti i riscontri positivi, a volte si fa menzione del disagio che alcuni credenti provano nel parlare liberamente da laici a sacerdoti o a vescovi. Un’osservazione importante contenuta in numerosi contributi è che molti gruppi non vengono ascoltati a sufficienza. Questo vale soprattutto per i giovani, ai cui problemi si presta troppo poca attenzione: come si possono avvicinare i bambini, gli adolescenti e i giovani nei loro ambienti di vita, prendere sul serio le loro esigenze e farsene carico?
Inoltre, viene posta spesso la domanda su come ascoltare le persone che sono ai margini della Chiesa e non si impegnano: come trovare il modo di avvicinare coloro che si sono allontanati dalla Chiesa? E nella Chiesa si presta ascolto alle donne allo stesso modo che agli uomini?
Infine, molte sintesi e riscontri della consultazione pre-sinodale esprimono l’incertezza di come (nonostante il nuovo stile) si debba continuare dopo questa esperienza di ascolto e di espressione libera delle proprie opinioni: «Cosa possiamo fare? Come possiamo passare dall’ascolto all’azione?». Qui diventa palpabile soprattutto la preoccupazione che il processo sinodale non produca risultati tangibili.
- Celebrare. Al centro dei contributi su questo tema c’è la celebrazione dell’eucaristia. Da un lato, essa viene vissuta come sorgente di forza e di relazione con Dio, dall’altro come fondamento della comunità di coloro che celebrano. Inoltre, in alcuni contributi è stato menzionato il desiderio di poter continuare l’esperienza delle celebrazioni religiose on-line.
In alcuni interventi è stata formulata la richiesta che la sinodalità si rifletta anche nella liturgia, soprattutto attraverso un maggiore coinvolgimento dei laici e delle laiche nella responsabilità, nella preparazione e nell’attuazione della liturgia stessa. Allo stesso tempo, in alcuni casi si criticano il linguaggio (incomprensibile) e la struttura (rigida) della liturgia e dell’azione rituale, e in altri contributi la scarsa qualità di alcuni servizi religiosi. Questo va di pari passo con il desiderio di aumentare la loro attrattiva, soprattutto per i giovani, ad esempio attraverso una musica appropriata, un linguaggio liturgico comprensibile e un’offerta di attività da tenere dopo la celebrazione, ad esempio agapi o caffè parrocchiali.
Il desiderio di una cultura dell’accoglienza in una Chiesa aperta è chiaramente riconoscibile in alcune delle sintesi. Da un lato, ciò riguarda il piano del clima umano, dall’altro, la gestione e l’uso dei locali della Chiesa nel loro complesso. Vale la pena ricordare che in alcuni contributi si parla di un grande desiderio di offerte in materia di spiritualità e di celebrazioni liturgiche, nonché più in generale di un desiderio di maggiore misticismo e contemplazione per dare più profondità alla fede dentro e fuori le celebrazioni liturgiche.
- . Condivisione della responsabilità per la comune missione. In molti contributi, l’idea di missione è associata a credibilità, aderenza alla vita concreta e comprensibilità. Soprattutto Gesù Cristo viene menzionato come centro della missione: lo sguardo va rivolto a lui e da lui al prossimo. Le linee guida e le strutture della Chiesa vanno esaminate e ulteriormente sviluppate alla luce dell’indispensabile missione affidataci da Gesù. Compito della Chiesa è quello di «diventare un segno efficace dell’amore di Dio per tutti gli uomini»; «essa deve, per così dire, “piantare le tende” presso le persone ed essere a loro disposizione, offrendo a esse vicinanza, senso di appartenenza e comunità e accompagnando la loro vita con i sacramenti».
Molti contributi parlano di una tale Chiesa come di una Chiesa che cerca il contatto con le persone, rende tangibile a tutti la misericordia di Dio e si fa carico dei loro bisogni, con una chiara preferenza per i poveri e gli svantaggiati. La Chiesa non deve solo camminare «per» le persone, ma «con» loro. E si tratta di ogni singola persona: la missione della Chiesa è legata alla vicinanza personale agli uomini.
La Chiesa deve servire, attraverso il diaconato e la Caritas. La Caritas, intesa come missione sociale della Chiesa, assume molte forme nei contributi: lotta alla povertà, impegno per il sostegno ai rifugiati, assistenza agli anziani, malati, bisognosi, impegno per i senzatetto, per citare solo alcuni campi in cui, da un lato, la Chiesa è attiva, e dall’altro i credenti si aspettano un impegno ecclesiale. Questo impegno deve essere rafforzato, perché la Caritas va intesa non solo come servizio, ma anche come opportunità per portare la Chiesa alla gente. La domanda: «Quali sono i bisogni reali della gente?» è un elemento centrale per l’azione della Chiesa, che crea anche il ponte per il servizio alla gente. Oltre ad adeguamenti strutturali, è quindi necessario anche un potenziamento del diaconato, del servizio alla gente – una Chiesa per e con la gente, con una sensibilità per le realtà della vita di oggi.
Missione «significa risveglio, crescita e vitalità della Chiesa nel servizio agli uomini e all’unica umanità». In questo contesto, si avverte l’urgenza di portare nuovamente e con vigore il messaggio cristiano nella società e posizionarsi in modo chiaro, attraverso l’azione missionaria, una migliore comunicazione delle sacre Scritture, l’adempimento della missione sociale con un occhio più attento alle persone bisognose, un impegno visibile per la solidarietà globale, la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, posizioni chiare su questioni socialmente e politicamente controverse (emigrazione, bioetica, individualismo, media digitali).
La sfida che la Chiesa missionaria si trova ad affrontare viene individuata in alcuni contributi nel pericolo che ci si occupi principalmente di chi è attivo a tempo pieno o fa volontariato all’interno della Chiesa, trascurando però coloro che non «camminano insieme» alla Chiesa.
In molte sintesi si considera indispensabile il maggiore coinvolgimento delle donne nella missione. Anche se in alcuni casi alle donne viene riconosciuto un «posto essenziale» nell’annuncio, è evidente il desiderio di un maggiore apprezzamento dell’impegno già esistente e di un ulteriore ampliamento delle opportunità di assunzione di responsabilità nella missione della Chiesa.
Un punto essenziale della missione, ribadito dai partecipanti alla consultazione pre-sinodale nazionale, è la necessità di rimettere al centro la fede e Gesù Cristo. Perché rafforzare la propria fede e spiritualità nella Chiesa porta anche a una maggiore credibilità nell’espletamento della missione.
- Dialogare. Il tema del «dialogo» è trattato nei contributi del processo sinodale in Austria soprattutto sotto l’aspetto dell’interazione tra Chiesa e società (secolare). Qui diventa evidente la tensione tra la percezione della diminuzione della rilevanza della Chiesa e il contemporaneo desiderio di una esposizione pubblica. Per quanto riguarda la rilevanza sociale della Chiesa in Austria, alcuni contributi lamentano il crescente disinteresse non solo per la Chiesa, ma per il messaggio cristiano in generale: la «crescita di un secolarismo indifferente alle questioni religiose», talvolta assecondato da un «nuovo» ateismo (…) che domina alcuni social media». In relazione a questa diminuzione di rilevanza e alle sue possibili ragioni, numerose sintesi diocesane fanno riferimento alla crisi di credibilità della Chiesa.
La gestione dei casi di abuso sessuale è un esempio di come sia stata pregiudicata questa credibilità. Molti credenti ritengono inaccettabile che si sia cercato di insabbiare o addirittura occultare gli scandali, che non si sia disposti ad affrontare gli errori in modo totale e trasparente; percepiscono inoltre una discrepanza tra «parole e fatti», ad esempio quando si tratta di comportamenti scorretti da parte del clero. Si segnalano in termini positivi le linee-guida «La verità vi renderà liberi», che la Conferenza episcopale austriaca ha adottato nel 2010 e che contengono misure, regolamenti e indicazioni contro episodi di violenza e abuso. Il coraggio di essere sinceri, la trasparenza e l’autenticità sono i primi passi per ripristinare la credibilità compromessa.
Un’altra sfida che la Chiesa deve affrontare è la crescente divisione nella società, menzionata in diversi contributi, accompagnata dalla preoccupante constatazione che questa divisione sta continuando nei ranghi della Chiesa. La gestione della pandemia COVID-19 è un esempio attuale di un fenomeno che si è andato rafforzando negli ultimi anni. «La tendenza, riscontrabile nella società, a confrontarsi sempre di meno con le opinioni contrarie riguarda anche la Chiesa e la sfida a promuovere un discorso serio. In questa direzione va anche la richiesta che la Chiesa assuma una funzione di mediazione – costruzione di ponti –, soprattutto nell’attuale situazione sociale in cui le tendenze divisive causano molte preoccupazioni».
Il dialogo con la società è reso più difficile dal fatto che le posizioni della Chiesa sono sempre meno comprese. Si teme che la Chiesa continuerà a perdere attrattiva e importanza se non riuscirà ad aprire nuove strade nel XXI secolo. Ciò riguarda in particolare l’insegnamento della Chiesa sulle questioni di morale sessuale. Tuttavia, alcune voci mettono anche in guardia contro l’adozione di concezioni morali secolari e temono un’erosione della dottrina della Chiesa causata dal processo sinodale, per cui si fa qui riferimento critico al Cammino sinodale in Germania.
Oltre al dialogo con il mondo esterno, si ritiene vada migliorato anche quello interno alla Chiesa, il modo di rapportarsi con diversi punti di vista e conflitti. «Un passo importante in questo senso sarebbe che tutti gli interlocutori nella Chiesa fossero disposti ad ammettere che anche i dissenzienti si sforzano onestamente di servire la causa di Dio, la verità e l’amore». Unità della Chiesa non significa uniformità: piuttosto essa può essere illustrata dall’immagine di un cammino i cui partecipanti vanno a velocità diverse. Dovrebbe essere possibile una coesistenza di molte immagini di Chiesa – purché Gesù Cristo ne sia al centro e i Vangeli ricoprano una posizione centrale nell’azione della Chiesa.
- Ecumenismo. Sebbene in Austria l’ecumenismo sia concretamente vissuto, l’interesse per il tema riscontrabile nei contributi diocesani è stato piuttosto limitato. Si è fatta menzione di alcune esperienze positive di scambio interconfessionale e interreligioso, nonché di cooperazione amichevole in alcuni settori (commemorazione dei morti di COVID-19, aiuto congiunto ai rifugiati). In uno dei contributi si esprime il desiderio che si creino opportunità di dialogo e incontro in ambito interconfessionale e interreligioso, soprattutto per i giovani.
Ma sono da rilevare anche critiche mosse all’applicazione pratica dell’ecumenismo e riserve in generale: in uno dei contributi si critica la mancanza di avvicinamento in materia ecclesiologica nell’ecumenismo interconfessionale. In generale, si pone la questione di come l’ecumenismo debba e possa essere approfondito e di come affrontare i limiti che gli vengono imposti. Ciò riguarda in particolare la questione del «perché non sia ancora possibile una celebrazione comune dell’eucaristia con i cristiani di altre confessioni».
Anche per quello che concerne l’ecumenismo interreligioso e il dialogo con l’ebraismo e l’islam, se da un lato si prende atto delle esperienze positive di dialogo e di cooperazione, dall’altro c’è da registrare anche dello scetticismo. Si sottolinea che nello scambio con le altre religioni l’insegnamento cattolico dovrebbe rimanere ben visibile e che si dovrebbe valorizzare ciò che lo contraddistingue.
Due tendenze diametralmente opposte sembrano confermare questo scetticismo in materia di ecumenismo: «Da un lato, si può parlare di una certa “post-confessionalità” riscontrabile tra molti giovani cristiani (l’appartenenza a una confessione religiosa non gioca quasi più un ruolo); dall’altro, tra altri giovani si possono invece scorgere forti divisioni confessionali».
Contributi forniti da rappresentanti dell’ecumenismo in Austria invitati a partecipare all’Assemblea pre-sinodale hanno mostrato come l’ideale della sinodalità accomuni le diverse confessioni religiose e come la Chiesa cattolica possa imparare dalle esperienze di altre comunità.
- Autorità e partecipazione. Le questioni della partecipazione ai processi gestionali e decisionali, nonché il futuro della struttura gerarchica della Chiesa sono stati temi centrali del processo sinodale in Austria.
La partecipazione – per lo più chiamata nei contributi Partizipation – è considerata particolarmente importante. Essa deve essere valorizzata. Questo vale soprattutto per il volontariato; chi lo presta avverte spesso carenze: manca una «cultura della gratitudine» o l’apprezzamento per il lavoro svolto.
La parrocchia è il luogo in cui la partecipazione ha più occasioni di applicazione pratica. Ciò comporta anche una rivalutazione della vocazione battesimale: «Bisogna ampliare il modo di intendere la vocazione rispetto al passato». A tal fine, si dovrebbero favorire carismi e talenti per consentire alle persone di impegnarsi in parrocchia: ad esempio, rendendo possibile la partecipazione al consiglio parrocchiale, all’organizzazione delle funzioni religiose, alla preparazione di feste e celebrazioni, alla guida di gruppi. Diversi contributi sottolineano che questa piccola unità di vita ecclesiale ha dato prova della sua validità ed è desiderata dai fedeli: «Questo desiderio di unità dalle dimensioni contenute dovrebbe essere tenuto presente nello sviluppo futuro dell’idea di pastorale».
Si osserva criticamente che il consiglio parrocchiale, pur rappresentando un’opportunità di partecipazione, ha diritti decisionali limitati. Il fatto che le sue decisioni non siano vincolanti, porta a situazioni in cui le decisioni prese o le proposte progettuali avanzate in sede di consiglio parrocchiale non vengono poi attuate a causa dell’autorità del parroco: «In questo contesto, le differenze gerarchiche e le rigide strutture interne alla Chiesa sono spesso viste in modo critico. In alcuni casi, proprio le condizioni legate alla struttura gerarchica fanno sì che attività di volontariato vengano rifiutate o considerate come una forma d’interferenza». Questo è causa di frustrazione e, qualche volta, anche di rassegnazione.
La Partizipation non è solo una questione di struttura, ma anche di cultura. Ad esempio, sembra importante valutare come coinvolgere maggiormente i gruppi che finora hanno avuto poca voce in capitolo: ad esempio i bambini e i giovani, i migranti e le persone con disabilità. In molti contributi si sottolinea poi l’importanza di coinvolgere in modo più efficace i laici, anche al di là dell’ambito dei consigli e delle commissioni: ad esempio, impartendo un mandato per la predicazione e una licenza per l’amministrazione del battesimo agli assistenti pastorali; o anche nell’ambito della pastorale negli ospedali, dove spesso si rivela impossibile amministrare l’unzione dei malati per mancanza di sacerdoti.
Diverse sintesi fanno riferimento al ruolo della consulenza al vescovo fornita dalle commissioni. In generale si tiene conto delle buone indicazioni fornite alla leadership diocesana quando si tratta di prendere delle decisioni; manca tuttavia l’obbligo strutturale a prendere in considerazione i consigli dati: «In questo ambito sarebbe bene implementare nel diritto canonico possibilità di sviluppo e ampliamento delle competenze (…), i cosiddetti diritti di partecipazione, che potrebbero essere realizzati nella forma del consenso o del parere di un collegio/di un gruppo di persone. È competenza del vescovo diocesano definire questi diritti».
Un altro aspetto è il rapporto con l’autorità e la gerarchia. In diversi contributi le strutture ecclesiastiche attuali sono considerate superate e non compatibili con le concezioni odierne. Troppa poca permeabilità e democrazia rendono difficile il coinvolgimento di molti fedeli nella vita della Chiesa. Si auspica la realizzazione di forme più vicine allo spirito sinodale della Chiesa. È quindi necessario trovare un equilibrio tra necessità di una leadership, da un lato, ed esigenza di partecipazione ai processi decisionali dall’altro: «Occorre verificare con regolarità se gli obiettivi del percorso comune e i passi compiuti in questa direzione sono davvero ancora “comuni” e condivisi da tutti». Questo riguarda anche le nomine, in particolare quella del vescovo. In questo contesto, in diversi contributi si sottolinea il desiderio di molti fedeli di creare forme di partecipazione ai processi decisionali nell’ambito delle Chiese locali.
Tuttavia, ci sono anche coloro che vedono la costituzione gerarchica della Chiesa come un riflesso dell’ordine divino. Da questo punto di vista, la sinodalità può essere vista solo come integrazione, non come sostituzione del sistema gerarchico della Chiesa.
In generale, nel trattare il tema della Partizipation, è emerso che essa non significa necessariamente prendere parte in modo decisivo ai processi decisionali. La prima funziona solitamente bene nelle parrocchie, mentre il coinvolgimento nel processo decisionale dipende dalla volontà dei leader. I semplici fedeli non vedono quasi nessuna possibilità di coinvolgimento ai livelli più alti: «In linea di massima, più in alto si trova l’unità ecclesiale nella struttura gerarchica, tanto meno sono le occasioni di Partizipation menzionate: quasi nessuna a livello diocesano, nessuna a livello di Chiesa universale». Si ritiene che vadano estese le opportunità di una co-determinazione che vada al di là di una mera partecipazione non vincolante, anche in riferimento ai laici.
Ciò riguarda soprattutto la partecipazione delle donne, tema che viene affrontato criticamente nella maggior parte dei contributi: «La posizione delle donne nella Chiesa è una questione che ha suscitato l’interesse emozionale di un gran numero di partecipanti. La percezione dello stato di svantaggio, talvolta persino di esclusione in cui versano le donne, addolora e preoccupa». Si constata che attualmente molte donne si vedono impossibilitate a seguire il cammino della Chiesa, che le voci delle donne sono ascoltate troppo poco o per niente, che la Chiesa non si orienta alle sacre Scritture quando si tratta di questioni femminili e che sotto questo aspetto abbiamo qualcosa da imparare dall’ecumenismo. Si potrebbe migliorare la rappresentanza delle donne già nelle strutture esistenti. La loro partecipazione agli organi (di gestione) può essere estesa, ad esempio, attraverso l’introduzione di «quote rosa», un suggerimento questo che ricorre spesso. Inoltre, si è avanzata l’idea di ammettere le donne negli organi consultivi, ad esempio nel consiglio presbiterale e nella conferenza episcopale, o di invitarle ai sinodi a Roma.
Degna di nota è la differenziazione, più volte fatta nei contributi, tra ordinazione delle donne e partecipazione femminile alla leadership: coloro che sostengono la necessità di portare donne in funzioni dirigenti, non appoggiano automaticamente la richiesta dell’ordinazione femminile al ministero consacrato. Allo stesso tempo, è chiaro soprattutto che molti credenti in Austria desiderano l’ordinazione femminile, almeno nella forma del diaconato – e questa posizione è strettamente legata a questioni generali di parità e giustizia.
- Distinzione e decisione. Strettamente correlate al tema della partecipazione e dell’autorità sono le questioni relative al modo in cui vengono prese le decisioni nella Chiesa austriaca e di come avviene il discernimento degli spiriti. In numerosi contributi si riflette in maniera molto critica sul modo in cui vengono vissuti potere, leadership e autorità. Diversi interventi sottolineano che al potere è assegnato un ruolo importante nell’attuale gerarchia ecclesiastica. Il tenore generale, tuttavia, è che il potere deve essere inteso prima di tutto e soprattutto come servizio agli altri e con gli altri: quindi «emerge un modello di leadership che contempera autorità e comportamento cooperativo-partecipativo. Non si tratta in primo luogo di prescrizioni di vita religiosa o addirittura ecclesiastica, ma di uno stile di vita e di un atteggiamento mentale». La struttura attuale della Chiesa consente a chi riveste cariche di responsabilità di decidere se esercitare la guida in modo sinodale o assolutistico. La concentrazione delle responsabilità su un solo leader è vista in modo critico: dirigere non è un atto di una singola persona, ma piuttosto un compito comune, da svolgere a volte attraverso diversi livelli gerarchici. In questo senso, dovrebbe essere obbligatorio condividere l’autorità decisionale. Tuttavia, ci sono coloro che sottolineano che la sacramentalità dei ministeri ordinati, specialmente quello del vescovo, debba essere presa in considerazione quando si parla di questioni legate alla guida della comunità: essa è inerente all’ufficio di vescovo.
Molti contributi evidenziano che la leadership di tipo sinodale è già praticata in Austria. Tuttavia, c’è disappunto per il fatto che l’adozione di un tale stile di leadership dipenda dalla buona volontà delle persone interessate. «I leader timorosi, insicuri o egocentrici non riescono a condividere le responsabilità o a fidarsi delle persone che sono state delegate. Il controllo che esercitano è elevato e consuma molta energia e risorse». Adottare uno stile di leadership sinodale dovrebbe essere vincolante, e si dovrebbero fissare chiari standard di qualità per quanto riguarda la partecipazione, l’apertura e la fiducia, nonché l’impegno a riflettere sulle proprie decisioni in caso di critiche. Allo stesso tempo, bisogna evitare che stili di leadership sinodale siano «usati impropriamente come tattica per ritardare decisioni necessarie o il confronto su questioni importanti».
Anche ai laici e alle laiche possono essere affidate responsabilità di gestione – secondo molti credenti, il ministero ordinato da solo non è sufficiente a fare di qualcuno un leader in grado di discernere e prendere decisioni qualitativamente alte. In altre parole, l’ordinazione non rende obsolete l’istruzione e la formazione continua. È importante che le decisioni siano comprensibili, soprattutto per coloro che non hanno deciso: «La trasparenza è un fattore essenziale per il successo della sinodalità – la comprensibilità delle decisioni prese ai livelli superiori della gerarchia, ma che riguardano la Chiesa a livello locale, rafforza la coesione».
Quando si parla di decisioni, si pone la questione del discernimento. In questo contesto, in alcuni singoli contributi si fa anche dell’autocritica: ci si prende il tempo di ascoltare lo Spirito di Dio quando si prendono delle decisioni? Stando ai feedback, ciò sembra avvenire solo in misura limitata. Allo stesso tempo, c’è il desiderio di ricevere supporto proprio in questa direzione: come ascoltiamo Dio insieme? Come si arriva al discernimento degli spiriti? Come posso riconoscere ciò che lo Spirito Santo mi sta dicendo? Come può funzionare concretamente il discernimento degli spiriti nella Chiesa locale? In questo contesto, si loda il «centro di ascolto» sinodale, attuato in molte diocesi e organizzazioni nel corso del processo sinodale, come un approccio efficace. Allo stesso tempo, è chiaro che la dimensione spirituale della sinodalità ha ancora bisogno di pratica e di accompagnamento, oltre che di riflessione e approfondimento teologico, perché possa poi diventare un atteggiamento vissuto nelle parrocchie, nelle diocesi e nella Chiesa universale.
- Formarsi nella sinodalità. Come viene già vissuta la sinodalità o come potrebbe essere vissuta? Come si può «imparare» la sinodalità? Come l’agire sinodale diventa un atteggiamento interiore? Le consultazioni in Austria hanno evidenziato soprattutto una cosa: c’è bisogno di una formazione teologicamente valida sulla sinodalità, per i sacerdoti, nei seminari, per i laici impegnati a tempo pieno nelle parrocchie e nel volontariato, nell’educazione degli adulti, nelle scuole. Ciò comporta, tra l’altro, la capacità di riflettere sul proprio comportamento, l’approfondimento delle competenze di team e di leadership, la riflessione teologica e la conoscenza approfondita del modo di pensare e di credere della Chiesa: ciò sottolinea la particolare importanza della catechesi, anche questa evidenziata in diversi contributi.
Tuttavia, sinodalità non significa solo «la comunione con gli altri, ma soprattutto la comunione con lo Spirito Santo, che si esprime nel discernimento degli spiriti». Si può imparare dalle comunità religiose, dalle altre Chiese, dallo sviluppo organizzativo. Si tratta di una questione, tra l’altro, di sviluppo del personale e di management della qualità; anche se la dimensione spirituale della sinodalità deve essere compresa e preservata come essenziale e indispensabile.
Conclusioni. Ci sono molte domande e argomenti che devono essere ulteriormente dibattuti nel senso del processo sinodale, creando future occasioni di discussione. Ciò può avvenire a diversi livelli (diocesi, istituzioni, gruppi, nonché nel dialogo ecumenico, interreligioso e sociale, ecc.). Si tratta di un movimento di ricerca, di una disponibilità al cambiamento in cui ci si apre allo Spirito Santo. A tal fine sarebbe utile disporre di «criteri» appropriati. Formularli in modo comprensibile agli uomini di oggi sarà un compito essenziale della teologia.
La sinodalità non è fine a se stessa, ma serve a mettere in condizione la Chiesa di svolgere al meglio il suo mandato pastorale, la sua missione nel mondo di oggi. Le strutture esistono per essere al servizio di questo obiettivo e, in ultima analisi, «per portare a Cristo». Si deve sviluppare e approfondire ulteriormente la comprensione di cosa significhi sinodalità. Si deve essere disposti a imparare dagli altri. Si tratta di un consenso qualificato. Si deve tenere conto del fatto che permangono tensioni e persino differenze fondamentali di opinione su questioni ecclesiali. Tuttavia – nello spirito del motto di papa Francesco «L’unità è superiore al conflitto» – queste non devono portare a negare ad altri la loro appartenenza alla comunione della Chiesa. Pur con le proprie imperfezioni, il bisogno di redenzione e le differenze, si è comunque in cammino insieme.
Il processo sinodale in Austria richiama l’attenzione sul fatto che non sono solo i compagni di cammino coinvolti in esso che si vuole indirizzare e invitare a partecipare, ma anche coloro che sono lontani dalla Chiesa, i migranti, i giovani, le famiglie (in tutte le loro forme), le persone LGBTQIA+, quelle «ai margini», ecc., e tutti coloro che semplicemente non hanno partecipato a questo processo sinodale, anche se interpellati.
Udire, ascoltare con attenzione, apprezzare e fidarsi degli altri sono cose importanti. Questi atteggiamenti sinodali sono espressione di una dimensione spirituale della sinodalità. Quello offerto dalla comunicazione sinodale, che va ulteriormente esercitata, praticata, imparata – anche al fine di sviluppare una cultura sinodale del dialogo, della discussione e del conflitto – è un buon cammino. Una sinodalità concretamente praticata sarebbe un modello per la società.
Una base per la comunità in cammino e la Partizipation è la vocazione battesimale e quindi la vocazione a partecipare in modo responsabile alla missione. Si tratta di un invito alla partecipazione attiva; in questo contesto, si deve sottolineare come nella grande maggioranza delle prese di posizione la questione dell’ordinazione femminile è un punto aperto.
Per quanto riguarda il ministero del volontariato, invece, vista la situazione attuale, si dovrebbe pensare a come renderlo più attraente anche per gli uomini. Una comunità veramente vissuta, soprattutto nelle parrocchie, dà sostegno, senso di appartenenza. È un buon posto per scoprire e sviluppare i carismi. In questo contesto, la Partizipation può realizzarsi al meglio quando non è limitata («si possono solo dare consigli») o ostacolata («la partecipazione non deve dipendere da una sola persona»). Allo stesso tempo, rimane una sfida per le parrocchie adempiere alla loro missione e, ad esempio, essere luogo di accoglienza anche per coloro che non «appartengono alla comunità».
Va notato che nel tendere la mano ai bisognosi si fa esperienza del Vangelo in prima persona. Questa è l’esperienza di tutti coloro che sono impegnati nello spirito della Caritas in vari ambiti. Va sottolineato che occorre prestare maggiore attenzione a questo aspetto, che è centrale per la missione della Chiesa. L’impegno sociale della Chiesa, con fondamenta spirituali, mostra anche la rilevanza della Chiesa stessa per gli individui e per la società.
Ci sono alcune richieste che possono essere prese in considerazione a livello locale e attuate nel senso degli apporti al processo sinodale, ad esempio la parità di genere, la promozione delle donne in posizioni di responsabilità della Chiesa, l’ampliamento delle opportunità di Partizipation nel senso della co-determinazione a tutti i livelli, la maggiore partecipazione dei laici alla liturgia, gli sforzi per utilizzare un linguaggio più comprensibile nella liturgia e nella proclamazione del Vangelo, i rapporti pastorali con le persone che sono escluse in vari modi dalla vita della Chiesa, il confronto con gli episodi di abuso, la promozione della formazione alla fede e molto altro ancora.
Altre richieste devono essere affrontate ai livelli appropriati della Chiesa: l’accesso delle donne ai ministeri ordinati e agli uffici a essi collegati, il celibato come condizione di ammissione al ministero ordinato, l’adattamento degli insegnamenti dottrinali tenendo conto della progressiva rivelazione dello Spirito Santo (ad esempio, la morale sessuale).
Ci si deve affidare allo Spirito Santo perché sia causa di trasformazioni che servano alla vita e alla vitalità degli individui e della Chiesa come comunità. Rimane aperto quello che ci si può attendere e sperare nel complesso da questo incoraggiante processo sinodale a diversi livelli e nelle sue varie dimensioni.
Il processo sinodale in Belgio
«Sentiamo che sta succedendo qualcosa»: l’avvio del percorso sinodale ha aperto anche in Belgio esiti non scontati. Dalle diocesi che «hanno intrapreso un sinodo» al coinvolgimento di giovani e di cristiani di altre confessioni: il frutto dell’ascolto sinodale confluito nella Sintesi nazionale del processo sinodale della Chiesa in Belgio, pubblicata il 6 luglio, è multiforme, anche se non esente da aspetti critici. 5 sono le sfide principali
«1) la diminuzione del numero di fedeli e il loro invecchiamento,
2) il numero insufficiente di volontari,
3) l’assenza di giovani (…),
4) il ripiegamento delle comunità», che spendono «le loro energie nell’organizzazione della vita parrocchiale piuttosto che nell’aiutare le persone a vivere una relazione d’amore con il Signore;
5) (…) la riduzione della Chiesa alla distribuzione dei sacramenti».
Alla Chiesa ci si rivolge nei passaggi fondamentali della vita, ma spesso la si trova impreparata nel linguaggio, che risulta poco comprensibile all’uomo contemporaneo, e poco aperta e rispettosa verso tutte le condizioni di vita. «La disparità di trattamento delle donne», come l’esclusione dei divorziati risposati e delle coppie omosessuali, è ritenuta uno scandalo. Su questo ultimo punto, però, i vescovi belgi delle Fiandre a settembre hanno proposto una riflessione ↓, che comprende anche la possibilità di una preghiera per le coppie omosessuali cristiane.
A Introduzione
1. Storia. L’avvio del processo sinodale nelle diocesi ha suscitato grande entusiasmo. È inteso come un esercizio spirituale di ascolto dello Spirito Santo per discernere ciò che la Chiesa deve intraprendere per dare forma alla sua missione attuale, secondo l’intenzione di Dio. L’ascolto è quindi un compito per tutti. E il primo che tutti devono ascoltare è lo Spirito di Dio. Possiamo già vedere l’opera dello Spirito nella Chiesa in Belgio, dove alcune diocesi hanno intrapreso un sinodo o iniziato un cammino verso una maggiore sinodalità. Sentiamo che sta succedendo qualcosa, che si sta cercando un nuovo equilibrio. Il numero di partecipanti al processo sinodale diocesano in ogni diocesi oscilla tra i 2.000 e i 4.000. Le risposte sono arrivate dai gruppi territoriali, dai servizi e dai movimenti diocesani, dal settore sanitario con infermieri e medici, dalle comunità straniere, dai detenuti e dai loro cappellani, dai residenti delle case di cura e dai loro visitatori, dai migranti, dai poveri, dai gruppi giovanili, dalle scuole. Le diocesi hanno anche cercato di coinvolgere cristiani di altre confessioni e credenti di altre religioni. Una diocesi ha incentrato il suo processo sinodale principalmente sui giovani e ne ha coinvolti 10.000.
Vi sono stati alcuni che hanno espresso un giudizio molto negativo nei confronti del Sinodo, ma il fatto che abbiano risposto alle domande è stato apprezzato.
2. Metodo, strumenti per il processo sinodale, fasi, ecumenismo
Metodo: ogni vescovo ha incaricato un’équipe sinodale diocesana di motivare il maggior numero possibile di persone a partecipare a questa consultazione. Alcune diocesi hanno programmato sessioni di formazione sulla sinodalità e sul discernimento comune per i membri dell’équipe sinodale. Ogni équipe si è incontrata faccia a faccia in diverse occasioni, e alcune di esse riferiscono che la sinodalità era già presente in mezzo a loro: un ascolto di alta qualità, fraterno e rispettoso, un’apertura mentale benefica e appagante.
Strumenti per la consultazione: una scheda sinodale è stata inserita nei siti web della Chiesa cattolica in Belgio e le riviste diocesane hanno invitato alla partecipazione. La maggior parte delle diocesi si è espressa a favore del supporto di un opuscolo esplicativo o di un volantino con domande e la preghiera sinodale. Questi strumenti sono stati utili e ampiamente apprezzati. Sono stati proposti metodi adeguati per i giovani. Diverse diocesi hanno fornito video e persino un gioco (un gioco dell’oca, ispirato dalla diocesi di Palencia) per i bambini. Una diocesi ha anche collocato in vari luoghi un’opera d’arte che fa riferimento al Sinodo e invita al dialogo. Un’altra formula originale è stata quella di includere un momento di condivisione nelle celebrazioni domenicali.
Diverse persone sottolineano le esperienze personali di ricchi scambi ecumenici e interconfessionali, in occasione sia di incontri privati sia di celebrazioni e feste pubbliche. Le aspettative sono quelle di una Chiesa che si lascia sfidare da altre confessioni e religioni. Il processo sinodale è stato l’occasione per un incontro collegiale tra i vescovi e i rappresentanti nazionali delle altre Chiese e comunità ecclesiali del Belgio.
B. La Chiesa oggi.
1. Sfide. La Chiesa è percepita da molti credenti come una struttura clericale ed eccessivamente gerarchica. È vista come moralista, formalista, lontana dalla vita delle persone e invadente. Alcuni la considerano troppo timida e non abbastanza assertiva. L’immagine della Chiesa è piuttosto negativa e ciò è ulteriormente accentuato dai media. A ciò si aggiunge il fatto che la secolarizzazione sta crescendo in Occidente e che il cristianesimo non è più familiare alla maggior parte dei nostri contemporanei, anche quando chiedono servizi alla Chiesa. Anche i frequentatori abituali della Chiesa mostrano una relativa mancanza di comprensione di ciò che la Chiesa è, e la giudicano duramente dopo le ferite inflitte ad alcuni dei suoi membri.
Le sintesi fanno eco a diverse preoccupazioni concrete:
- la diminuzione del numero di fedeli e il loro invecchiamento;
- il numero insufficiente di volontari;
- l’assenza di giovani, che pone il problema della trasmissione della fede alle nuove generazioni;
- il ripiegamento delle comunità, che consistono in un circolo ristretto e abitudinario, le quali spendono le loro energie nell’organizzazione della vita parrocchiale piuttosto che nell’aiutare le persone a vivere una relazione d’amore con il Signore;
- per molti cattolici più esterni – la riduzione della Chiesa alla distribuzione dei sacramenti.
Tuttavia queste diverse preoccupazioni non impediscono alle persone di esprimere il loro sincero amore per la Chiesa. C’è bellezza nella Chiesa. È un luogo di pace e di speranza, un luogo di accoglienza. Molti parlano della gioia di riunirsi insieme, tra credenti, per pregare. Hanno la sensazione di far parte della Chiesa con la C maiuscola.
Le comunità religiose sono spesso portatrici di una sinodalità vissuta grazie alle loro strutture, che garantiscono l’ascolto e la partecipazione di tutti.
2. La Chiesa nel mondo: diaconia. La consultazione sinodale ha coinciso con molte crisi per la Chiesa e per il mondo. I cristiani sono consapevoli dei problemi del mondo. Vorrebbero testimoniare il Vangelo, ma i temi tradizionali sono spesso «tabù» nella nostra società secolarizzata. La Chiesa è vista da molti come estranea al mondo: la sua posizione sulle questioni etiche e sulla parità di genere viene regolarmente sollevata. Molti sottolineano l’ambivalenza di una Chiesa che parla di un Dio amorevole e proclama il Vangelo e d’altra parte esclude le persone sulla base del loro orientamento, a causa di certe scelte di vita.
C’è chi ritiene che la Chiesa debba rimanere critica nei confronti della società e della cultura odierna (individualista), tuttavia prevale la richiesta di apertura e di rispetto. La povertà in tutte le sue forme sfida e risponde all’importante chiamata di una Chiesa in uscita.
3. La proclamazione della buona novella, testimonianze e formazione. La trasmissione della fede tra le generazioni in famiglia non è più evidente. I credenti non hanno la comprensione, la lingua, la formazione o la fede per entrare in dialogo con gli altri. Anche nelle scuole l’annuncio è difficile, il desiderio di neutralità può soffocare le iniziative. Nel contesto parrocchiale non sappiamo come rivolgerci alle persone al di fuori della nostra cerchia, soprattutto alle generazioni più giovani.
Molti ritengono che il messaggio della Chiesa non corrisponda alla vita delle persone nella nostra società di oggi. Il suo linguaggio è percepito come distaccato.
4. La liturgia. La liturgia è un tema ricorrente con molte esperienze diverse: positive, ma anche negative. Sebbene alcuni luoghi di culto siano vivaci e dinamici, in altri la liturgia è «disincarnata e formalizzata», non attrae. Tuttavia la necessità di rituali in momenti importanti della vita, come il battesimo e il matrimonio, è presente e dovrebbe essere onorata, sottolineando l’aspetto familiare delle celebrazioni sacramentali, senza imporre troppe condizioni. Il linguaggio è visto come distaccato rispetto a ciò che le persone stanno vivendo. Questo può valere anche per le omelie.
Molte famiglie sottolineano di non capire la messa e di annoiarsi. Il bisogno di chiarire i gesti liturgici è importante. Le famiglie non si sentono sempre benvenute nelle comunità e vorrebbero che i loro figli avessero un posto in essa per partecipare realmente.
5. Ministeri e responsabilità. Se da un lato si riconosce la necessità di una leadership per far progredire le cose e garantire l’unità della comunità, dall’altro molti lamentano l’abuso di potere. Questa malattia del clericalismo è pericolosa perché è infantilizzante. È una contro-testimonianza per una Chiesa che predica l’amore fraterno.
Per alcuni, il ruolo del prete è cambiato: diventa più un «officiante liturgico» che un pastore. A volte si nota una certa rigidità tra i giovani preti. I diaconi permanenti costatano una mancanza di apertura e di comprensione della loro missione. Lo stesso vale per le persone consacrate, specialmente i missionari.
La posizione della Chiesa sul celibato obbligatorio per i sacerdoti è spesso contestata. Il posto delle donne nella Chiesa cattolica è messo in questione in maniera ricorrente. L’attuale disciplina della Chiesa non è compresa. Il contributo delle donne non viene valorizzato.
6. Governo della Chiesa e altre questioni. Anche se molte parrocchie sono gestite da équipe piuttosto che dal solo sacerdote, le strutture formali della Chiesa sono considerate ancora troppo clericali, così come la formazione dei preti. La Chiesa è ancorata nella routine, con due generazioni di ritardo. La concentrazione dei poteri nella Chiesa è causa di scetticismo nei confronti del processo sinodale. Secondo alcuni, il tanto necessario cambiamento culturale – incontro, dialogo, testimonianza – può essere ostacolato dalla composizione della leadership della Chiesa.
C. Crescere nella sinodalità
1. Essere Chiesa. Tutti vogliamo una Chiesa aperta, umile, fraterna, inclusiva, gioiosa e misericordiosa. Una Chiesa che invia in missione nel mondo. Una Chiesa che va incontro alle persone nella loro vita quotidiana. Questa attenzione alla prossimità emerge anche dalla richiesta di un’accoglienza calda e personalizzata per chi viene in Chiesa. Ciò richiede risorse umane.
Molte persone si rivolgono alla Chiesa per i riti di passaggio. Sono momenti di contatto umano per eccellenza, dove non si giudica e si privilegia l’incontro. Segreterie parrocchiali, catechisti e accompagnatori dei catecumeni svolgono un ruolo chiave in questo senso. È importante formare le persone per questo servizio e insegnare loro ad accogliere i nuovi arrivati con cura e attenzione.
Lavoriamo per trasformare gli edifici ecclesiastici in luoghi di vita e di celebrazione che siano accoglienti per tutti. Tutte le iniziative che mirano a una maggiore fraternità sono importanti: incontri locali, momenti di convivialità. Occorre fare uno sforzo particolare per essere presenti nei luoghi in cui si trovano i giovani, avvicinarsi a loro con rispetto e accettarli così come sono, lasciando spazio a un dialogo aperto.
2. La Chiesa nel mondo: diaconia. C’è un desiderio da parte di varie parrocchie e comunità di fede non parrocchiali di crescere nella fede nella Chiesa. La richiesta di lasciar parlare lo Spirito durante il processo sinodale viene presa a cuore. Questo non permette di isolarsi dalla Chiesa globale e dal mondo. «Il giornale dovrebbe stare accanto alla Bibbia».
Anche se in minoranza, possiamo esprimerci, essere una Chiesa che esce e ascolta, umile e gioiosa, che annuncia la gioia della presenza di Gesù Cristo al nostro fianco. Dobbiamo ripristinare la fiducia nella Chiesa, rivedere il suo modo di comunicare, renderlo plausibile all’interno delle nostre culture. Stiamo prendendo coscienza di avere qualcosa da dire come Chiesa, pensando alle generazioni di oggi e di domani. Per alcuni l’ecologia integrale è un percorso missionario per il futuro e dovrebbe avere più spazio.
Una visione e un’aspettativa comune a tutti i partecipanti: la solidarietà. Rendere visibile l’impatto sociale del Vangelo e dell’insegnamento sociale della Chiesa nella predicazione, nei media e nei corsi di formazione, in termini di conversione personale, impegno nelle associazioni e coinvolgimento nella vita politica.
3. L’annuncio della buona notizia le testimonianze e la formazione, Il desiderio è quello di essere una Chiesa aperta al soffio dello Spirito Santo, che si mette in discussione, che assume forme nuove, che prende iniziative insolite, che va incontro alle persone dove vivono. L’urgenza di utilizzare un linguaggio rinnovato e contemporaneo, abbandonando espressioni colpevolizzanti e moraleggianti, è ampiamente evocata, così come l’invito a essere presenti sui social network.
C’è anche bisogno di trovare nuovi luoghi, al di fuori delle parrocchie, per fare esperienza di fede e osare costruire ponti tra diversi percorsi di interiorità, per andare verso la preghiera cristiana. L’annuncio richiede una formazione permanente per i preti, ma anche per tutti i fedeli. Abbiamo bisogno di conoscere e comprendere meglio la nostra fede, ma anche di essere formati all’ascolto, alla gestione delle risorse umane e alla comunicazione della fede al mondo di oggi.
Durante il processo sinodale è stata prestata molta attenzione al legame tra Chiesa ed educazione. I contatti, le discussioni e le domande nel campo dell’educazione hanno dimostrato che questo legame non è più evidente. La sinodalità richiede una buona catechesi e un buon accompagnamento. Come possiamo creare opportunità per le persone di (ri)scoprire il mistero e la bellezza della nostra fede in Gesù Cristo nelle loro vite.
4. La liturgia. C’è un desiderio reale di liturgie adattate, vivaci, accoglienti, meglio preparate, meglio presiedute, dove tutti trovino il loro posto e si sentano coinvolti… soprattutto i giovani e le famiglie. Non si tratta solo della liturgia eucaristica, ma dobbiamo osare aprirci a diverse forme di celebrazione e momenti comunitari.
Durante l’eucaristia occorre curare particolarmente l’omelia, che deve rafforzare la fede, essere comprensibile per la comunità (sia in termini di forma – dizione, audio – che di contenuto) e non troppo lunga.
Assicurarsi che tutta l’assemblea possa cantare dei brani che siano per lei significativi (a livello interdiocesano proporre un repertorio di canti). Queste celebrazioni dovrebbero iniziare o continuare con momenti di convivialità aperti a tutti.
Sviluppare l’annuncio della fede anche attraverso manifestazioni di religiosità popolare: devozioni ai santi, processioni, rosari, benedizioni di case, uffici, campi, cavalli, automobili ecc.
5. Ministeri e responsabilità. La Chiesa cattolica nel suo insegnamento dovrebbe porre ancora più enfasi sulla diversità. I credenti cattolici possono rappresentare pienamente Cristo in diversi stati di vita (uomo/donna). Come nelle Chiese cattoliche orientali, anche nella Chiesa cattolica romana il matrimonio dovrebbe essere possibile per i sacerdoti. Con grande rispetto per quelle Chiese cristiane che, dopo un’attenta riflessione, hanno deciso di aprire il ministero ordinato alle donne, desideriamo che venga intrapresa un’ulteriore riflessione affinché la Chiesa cattolica possa riconoscere in futuro la vocazione delle donne al sacerdozio. Escludere alcuni temi dall’agenda teologica va contro la cultura sinodale della nostra Chiesa.
È importante riscoprire il ruolo e la missione dei preti e dei laici. Le risposte chiedono una maggiore apertura a nuove idee. Molti gruppi vorrebbero una maggiore partecipazione dei laici, ma non è chiaro quali siano i compiti concreti che i laici possono svolgere e come la responsabilità dei battezzati debba essere vista in relazione a quella del pastore.
D’altra parte ci sono persone che hanno domande sui sacerdoti in missione in Belgio. Riconoscono la ricchezza dei contatti con altre culture e apprezzano la loro disponibilità a lasciare il proprio paese, ma si rammaricano che alcuni sacerdoti non padroneggino bene la lingua.
La Chiesa non potrebbe svolgere la sua missione senza l’aiuto di innumerevoli volontari: catechisti, membri del consiglio pastorale, coristi, visitatori, volontari per l’assistenza, volontari per i servizi ecc. C’è sempre più bisogno di una struttura di volontariato che aiuti le persone a trovare un compito, le guidi e le aiuti a svolgerlo in modo piacevole.
6. Governo della Chiesa e altre questioni. Per quanto riguarda il governo della Chiesa, si desidera promuovere la diversità dei carismi all’interno di una Chiesa sinodale. Riconoscere e incoraggiare questa diversità non è un fine in sé, ma è al servizio della missione: protagonisti diversi, uguali in dignità, complementari tra loro per rendere credibile una Chiesa sacramento del Regno.
In diversi gruppi sono state avanzate proposte per coinvolgere tutti i battezzati nelle decisioni della Chiesa. Il dialogo sinodale sarà sempre importante, anche a livello locale.
Per le coppie conviventi, per le coppie omosessuali e per i divorziati risposati si chiede che la Chiesa risponda alla loro richiesta di riconoscimento (rituale e sociale) a partire da un’interpretazione delle relazioni e della sessualità più in linea con il comandamento dell’amore.
D Per concludere
1. Il ministero. L’appello più importante riguarda le condizioni del ministero. Da ogni parte arrivano appelli ad aprire il ministero ordinato alle donne e alle persone sposate. Gli argomenti sono diversi: la carenza di ministri di culto, la qualità della cura pastorale, la condivisione delle responsabilità, la felicità dei ministri e la credibilità fondamentale dell’istituzione. La richiesta di ordinazione di uomini sposati (chiamati viri probati) richiede un approccio positivo a breve termine.
Si evidenzia anche un senso di ingiustizia riguardo al posto delle donne nella Chiesa. Le ragioni per non ammettere le donne al ministero sono insufficienti per molti credenti, e ancor più: sembrano lontane dalla realtà. Molti credenti anziani ne sono offesi, mentre nelle giovani generazioni la situazione è ancora peggiore: la disparità di trattamento delle donne è per molti il motivo principale per cui ignorano la Chiesa. Il risentimento si trasforma poi in indifferenza.
2. Proclamare il Vangelo.
a) Una Chiesa presente con un atteggiamento missionario. I giovani ci chiedono di continuare ad avvicinarli e di ascoltarli con rispetto. Questi incontri offrono molte opportunità per camminare insieme, per accompagnarli nei momenti importanti della vita e per creare così un contesto per introdurli alla fede. Vogliono che la Chiesa sia contemporanea, che offra loro una liturgia comprensibile alla quale possano partecipare. Vogliono anche che ci orientiamo verso la comunicazione (digitale) e che offriamo loro dei veri testimoni della fede per conoscere meglio la storia cristiana. Infine i giovani vogliono un luogo dove incontrarsi con persone che li aiutino nella loro ricerca. Tutto questo ci permetterà di avvicinarci a loro in modo missionario e di avvicinarli in modo caloroso e accogliente.
I dialoghi con i giovani durante il processo sinodale hanno rivelato la loro grande apertura alla fede e alla Chiesa.
b) c’è anche la sensazione diffusa che il messaggio della Chiesa non sia rilevante per la vita delle persone nella nostra società di oggi. Non riusciamo a dare alle persone che non condividono la fede cristiana una testimonianza stimolante di ciò che ci anima. Per coloro che cercano di avvicinarsi, ricorriamo sempre a un annuncio e a una catechesi che non parlano abbastanza forte e quindi non aiutano ad avvicinarli. Per coloro che vengono a partecipare all’eucaristia usiamo un linguaggio liturgico che sembra fuori luogo. Dobbiamo cercare di tradurre e interpretare la buona notizia nel contesto concreto della nostra società.
3. Credibilità. La Chiesa come organizzazione è vista come antiquata, rigida ed estranea al mondo. Eppure le persone si rivolgono alle offerte pastorali locali per celebrare i momenti importanti della vita. Questo dimostra quanto sia importante il desiderio di una Chiesa credibile. La sfida consiste nel collegare questi due mondi. Come possiamo portare la forza della buona notizia nella struttura istituzionale?
Molte persone hanno difficoltà con la struttura e l’istituzione della Chiesa, perché sentono una grande distanza dalla comunità dei credenti. Alcuni incontrano ostacoli nella comunicazione. Molto spes-so si fa riferimento al discorso etico sulle relazioni e sulla famiglia. C’è una richiesta di dialogo aperto e di flessibilità.
La questione delle violenze sessuali e della loro gestione non è finita. Questo problema ha inciso profondamente sulla credibilità della Chiesa e dei suoi leader. I credenti e i ministri del culto chiedono una politica trasparente e decisioni coerenti.
E. Postfazione
Molti hanno sottolineato il contributo positivo di questi incontri e il fatto che la sinodalità è una responsabilità sia individuale sia comune. Nel complesso lo scambio reciproco è stato vissuto come felice, soprattutto quando c’è stato spazio per la parola di Dio. Anche l’interesse e l’utilità del processo sono stati ampiamente sottolineati. Stiamo percorrendo il cammino insieme con lo Spirito come guida. Il seguito è atteso con impazienza.
Vescovi fiamminghi: pastorale delle persone omosessuali
Il 20 settembre l’arcivescovo di Bruxelles card. Jozef De Kesel e i vescovi delle Fiandre (diocesi di Hasselt, Gand, Anversa, Bruges) hanno pubblicato una riflessione sull’accompagnamento degli omosessuali all’interno della Chiesa, intitolata Essere vicini alle persone omosessuali sul piano pastorale. Per una Chiesa accogliente che non escluda nessuno. Tra le altre cose il documento annuncia la creazione di un punto di contatto interdiocesano per le persone omosessuali e propone uno schema di preghiera per l’impegno delle coppie omosessuali cristiane.
«Da anni la comunità di fede cattolica del nostro paese, in tutte le sue componenti, lavora in collaborazione con altri attori sociali per creare un clima di rispetto, riconoscimento e integrazione delle persone omosessuali. Molte di queste persone, inoltre, sono coinvolte in un contesto ecclesiale o in un’istituzione cristiana. I vescovi incoraggiano i loro collaboratori a seguire questa strada. Si sentono sostenuti in questo dall’esortazione apostolica Amoris laetitia, scritta da papa Francesco dopo il Sinodo dei vescovi del 2015. Discernere, accompagnare e integrare sono le parole chiave».
Con queste parole, il 17 marzo 2021 i vescovi del nostro paese hanno rilasciato una dichiarazione sulla cura pastorale delle persone e delle coppie omosessuali. Nell’Amoris lætitia papa Francesco afferma esplicitamente che «ogni persona, indipendentemente dal suo orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto» (n. 250). Vogliamo continuare su questa strada dando una struttura a questa pastorale.
Cura e accompagnamento pastorale. L’attenzione pastorale della comunità ecclesiale va innanzitutto alle persone omosessuali stesse. Vogliamo restare vicini a loro nel percorso, a volte complesso, per riconoscere, accettare e vivere positivamente il loro orientamento. Alcune persone desiderano rimanere celibi, e meritano il nostro riconoscimento e il nostro sostegno.
Altri optano per una vita di coppia, in una relazione duratura e fedele con un partner, e anche loro meritano il nostro riconoscimento e il nostro sostegno. Infatti, anche se non si tratta di un matrimonio religioso, questa relazione può essere fonte di pace e di felicità condivisa.
Anche le loro famiglie e i loro cari meritano questa attenzione pastorale e questo accompagnamento. Un atteggiamento di comprensione e apprezzamento è essenziale. Papa Francesco chiede esplicitamente «un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita» (Amoris lætitia, n. 250).
La nostra attenzione deve essere rivolta anche alla società in generale e alla comunità ecclesiale. Nonostante il crescente riconoscimento sociale di questa situazione, sorgono ancora molti interrogativi. Anche noi non siamo immuni dalla violenza omofoba. Una buona comprensione può essere un fattore di migliore integrazione.
Ancoraggio strutturale. I vescovi fiamminghi vogliono dare un ancoraggio strutturale al loro impegno pastorale nei confronti delle persone e delle coppie omosessuali. L’équipe che gestisce il Servizio interdiocesano fiammingo di pastorale familiare (Interdiocesane Dienst voor Gezinspastoraal) avrà un ulteriore collaboratore per svolgere questo compito.
I vescovi hanno nominato Willy Bombeek come coordinatore interdiocesano. Inoltre ogni diocesi nominerà una persona responsabile di questo ministero nell’ambito della pastorale familiare diocesana. Quest’ultimo sarà il punto di contatto per la diocesi. In qualità di coordinatore interdiocesano, Willy Bombeek offrirà la sua collaborazione e i suoi consigli.
Pastorale dell’incontro. Questa pastorale è essenzialmente imperniata sull’incontro e la condivisione. I credenti che vivono in una relazione omosessuale stabile desiderano essere rispettati e valorizzati all’interno della comunità di fede. La sensazione di essere fuori posto o esclusi dalla comunità ecclesiale è particolarmente dolorosa per loro. Vogliono essere ascoltati e riconosciuti.
Lo scopo di questo approccio pastorale è: trasformare questa incertezza in una visione sempre più chiara e in una crescente accettazione; rispondere alle loro domande sulle posizioni della Chiesa; condividere la loro gioia di conoscere un partner stabile; apprezzare la loro scelta di una relazione esclusiva e duratura; apprezzare la loro determinazione ad assumersi la responsabilità reciproca e il loro desiderio di essere al servizio della Chiesa e della società.
Questo approccio pastorale consente un discernimento spirituale, una crescita interiore e un processo decisionale consapevole. Papa Francesco chiede di valorizzare e sostenere il giudizio di coscienza di queste persone anche in situazioni di vita che non corrispondono pienamente al nostro ideale oggettivo di matrimonio: «[La coscienza] può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo» (Amoris lætitia n. 303).
Per le persone e le coppie omosessuali, l’incontro con una guida pastorale o un accompagnatore è un anello importante per l’integrazione nella comunità dei credenti. A proposito di questa integrazione, papa Francesco scrive: «Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si senta oggetto di una misericordia “immeritata, incondizionata e gratuita”. Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati impegnati in una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino» (Amoris lætitia, n. 297).
Preghiera per l’amore e la fedeltà. Durante gli incontri pastorali è ricorrente la richiesta di un momento di preghiera per chiedere a Dio di benedire e perpetuare questo impegno di amore e fedeltà. Si raccomanda alle persone interessate di discutere il contenuto e la forma concreta di questa preghiera con un responsabile pastorale. Questo momento di preghiera può essere realizzato in tutta semplicità. Inoltre è importante mantenere una chiara distinzione da ciò che la Chiesa intende per matrimonio sacramentale.
Questo momento di preghiera potrebbe svolgersi come segue.
- Parole introduttive.
- Preghiera di apertura.
- Lettura delle Scritture.
- Impegno delle due persone, che insieme esprimono il loro impegno reciproco davanti a Dio. Ad esempio: «Dio di amore e fedeltà, oggi siamo qui davanti a te, circondati dalle nostre famiglie e dai nostri amici. Ti ringraziamo per averci fatto incontrare. Vogliamo sostenerci a vicenda in tutte le circostanze della vita. Ti affidiamo qui il nostro desiderio reciproco di fare ogni sforzo, giorno dopo giorno, per la felicità dell’altro. Ti preghiamo: dacci la forza di essere fedeli l’uno all’altro e approfondire il nostro impegno. Confidiamo nella tua vicinanza e, donati l’uno all’altro per sempre, vogliamo vivere secondo la tua Parola».
- Preghiera della comunità. La comunità prega affinché la grazia di Dio operi in loro, perché si prendono cura l’uno dell’altro e della comunità in cui vivono. Ad esempio: «Dio e Padre, oggi circondiamo N. e N. con le nostre preghiere. Tu conosci i loro cuori e la strada che prenderanno d’ora in poi. Rendi forte e fedele il loro impegno reciproco. Che la loro casa respiri comprensione, tolleranza e cura. Che ci sia spazio per la riconciliazione e la pace. Che l’amore che condividono porti loro felicità e disponibilità al servizio della nostra comunità. Dacci la forza di camminare con loro, sulle orme di tuo Figlio e rafforzati dal tuo Spirito».
- Preghiera di intercessione.
- Padre nostro.
- Preghiera finale.
- Congedo.
Bruxelles, 20 settembre 2022.
I vescovi belgi dal papa, la preghiera per le coppie omosessuali
Qualche settimana fa si è molto parlato dello schema di preghiera per le coppie omosessuali, ideato dai quattro vescovi fiamminghi del Belgio insieme all’arcivescovo di Bruxelles, card. Jozef De Kesel e pubblicato in italiano su Il Regno – Documenti
insieme alla Sintesi nazionale del processo sinodale della Chiesa in Belgio. La settimana prossima, da lunedì 21 a venerdì 25 novembre, è prevista finalmente la visita ad limina dei vescovi belgi a Roma, che era già stata spostata due volte a causa del COVID.
Certamente tra i temi affrontati ci sarà anche quello della pastorale degli omosessuali, poiché finora non vi è stato nessun commento della Santa Sede sull’iniziativa dei vescovi delle Fiandre. Nonostante quella del Belgio sia una piccola Chiesa, con 8 diocesi, 3.705 parrocchie e circa 5.000 preti (ma solo quattro ordinazioni nel 2020), il cattolicesimo belga ha goduto di una notevole influenza all’interno della Chiesa cattolica, soprattutto durante e dopo il concilio Vaticano II grazie al contributo del card. Leo Jozef Suenens, uno dei quattro moderatori del Concilio.
Il paese, di 11 milioni di abitanti, è composto da due grandi gruppi etnici, tra i quali negli ultimi anni si è approfondita la divisione culturale e politica: una maggioranza fiamminga, che parla un dialetto olandese, e una minoranza vallona, che parla francese.
Dopo il card. Suenens, la Chiesa belga è stata guidata da un altro pastore influente, l’arcivescovo di Malines-Bruxelles card. Godfried Danneels, uno dei leader del cattolicesimo liberal europeo, la cui reputazione è stata macchiata nel 2010 dalla pubblicazione di una registrazione audio in cui esortava un giovane a non accusare pubblicamente lo zio, il vescovo di Bruges Roger Vangheluwe, di violenza sessuale. Un rapporto indipendente in seguito ha registrato 475 denunce di abusi contro il clero e il personale ecclesiastico tra gli anni Cinquanta e Ottanta, minando alle fondamenta la credibilità dell’episcopato belga e le relazioni tra le autorità belghe e il Vaticano.
Il successore del card. Danneels, nel 2010, è stato il conservatore André-Joseph Léonard, una nomina, da parte di Benedetto XVI, di rottura rispetto alla tradizione progressista della sede di Bruxelles. Dopo il suo turbolento mandato, nel 2015 papa Francesco ha nominato a Bruxelles il vescovo Jozef De Kesel, già ausiliare di Danneels, creato poi cardinale nel 2016.
De Kesel, elemento trainante del documento sulla preghiera per le coppie omosessuali, è considerato uno dei membri più progressisti del concistoro, ma ha compiuto a giugno i 75 anni e ha dato le dimissioni; dopo la grave malattia per la quale è stato operato nel 2020 probabilmente conta di essere sostituito dopo la visita ad limina. La sede primaziale di Bruxelles quindi, insieme al Brabante vallone – Tournai e Namur – aspetta nei prossimi mesi la nomina di un nuovo vescovo.
La scelta del papa su queste sedi sarà certamente significativa per il futuro del cattolicesimo belga.
Daniela Sala Caporedattrice Documenti per “Il regno”
Broglio, presidente dei vescovi Usa: il Sinodo, occasione per superare le polarizzazioni
L’arcivescovo monsignor Timothy Broglio, recentemente eletto a capo dell’episcopato statunitense, ha partecipato alla riunione di due giorni (28-29 novembre della Segretaria generale del Sinodo con presidenti e coordinatori delle Assemblee continentali. Nell’intervista illustra lo svolgimento del processo sinodale negli Usa, del suo potenziale per combattere le divisioni nella Chiesa e delle strategie per includere le voci dei più emarginati
L’arcivescovo, finora ordinario militare degli Usa, recentemente eletto a capo dell’episcopato Usa, ha parlato con Vatican News di come gli Stati Uniti affronteranno questa seconda fase del cammino avviato dal Papa. In particolare, Broglio ha spiegato come si è svolto l’incontro di Roma e illustrato le strategie volte a raggiungere le voci degli emarginati. Il Sinodo, ha anche affermato, è un’opportunità per combattere la polarizzazione nella Chiesa statunitense.
Siete appena giunti alla fine di questa riunione di due giorni con la Segreteria del Sinodo. Come è stato? Di cosa avete parlato e cosa avete imparato?
Penso che sia stato un incontro molto utile, durante il quale abbiamo visto sostanzialmente come ogni gruppo ha affrontato la sessione continentale. È interessante che tutti i continenti lo facciano in modi diversi, e questo riflette anche la diversità delle realtà rappresentate. Gli Stati Uniti e il Canada, in particolare, stanno utilizzando un approccio virtuale a causa delle grandi dimensioni dei rispettivi Paesi e della questione logistica, ma è molto interessante vedere la varietà di approcci. Quanto alle cose imparate in questi giorni, credo che sia stato molto utile il tempo dedicato alla conversazione spirituale. La sfida sarà ora come mettere tutto in pratica nei nostri diversi incontri continentali. Ovviamente, sarà molto importante la capacità di ascoltare e poi mettere insieme ciò che abbiamo sentito.
Una delle istanze che maggiormente ricorre nel Documento di lavoro per la fase continentale è che il Sinodo ascolti la voce di tutto il popolo di Dio. Si parla in particolare di far sentire la voce delle donne e dei laici, delle persone che vivono in condizioni di povertà ed emarginazione. In che modo la Chiesa negli Stati Uniti cercherà di mettere in pratica questa richiesta?
Come ho detto, stiamo utilizzando un metodo virtuale… La speranza è che, non obbligando le persone a recarsi in un luogo, possiamo raggiungere anche i più emarginati e coloro per i quali affrontare il costo di un viaggio potrebbe essere problematico. Ora, dipenderà molto da ogni vescovo diocesano incaricare queste persone, perché ognuno può avere da 3 a 5 delegati. Dipenderà quindi dalle singole diocesi assicurarsi di avere una rappresentanza trasversale di persone. Si spera che ciò avvenga ora; il fatto che abbiamo prorogato la scadenza di qualche giorno renderà tutto un po’ più facile, credo, per alcune diocesi che sono un po’ in ritardo. Spero che sia uno scambio proficuo. Abbiamo dieci opportunità di partecipazione: cinque in inglese, due in francese e tre in spagnolo. Si spera quindi che ci sia un ampio spettro di partecipanti sia negli Stati Uniti che in Canada, perché lo stiamo facendo insieme.
Una delle cose di cui si sente parlare molto nel contesto della Chiesa statunitense è la polarizzazione. Pensa che il percorso sinodale possa aiutare in questo senso?
Spero proprio di sì. Penso che l’enfasi posta sull’ascolto sarà di grande aiuto se le persone entreranno in questi momenti di conversazione, dialogo e discernimento con uno spirito di ascolto l’uno dell’altro. Purtroppo, uno degli aspetti – non so quanto sia diffuso nella Chiesa, ma certamente lo è nella società in generale negli Stati Uniti – è l’incapacità di ascoltare l’altro. Si ascoltano solo i notiziari che dicono quello che si vuole sentire o esprimono il proprio punto di vista, e se non si è d’accordo con qualcuno, allora non lo si ascolta. Lo vediamo persino nei campus universitari, dove un aspetto fondamentale dell’apprendimento è anche ascoltare chi non è necessariamente d’accordo con me. Abbiamo questa chiusura per cui non vogliamo ascoltare le persone e, se rappresentano una certa posizione, non sono le benvenute. Spero che almeno tra i cattolici che partecipano al processo sinodale, ci possa essere questa apertura alla presenza dello Spirito… Ciò non significa necessariamente che questo sia un momento per cambiare le convinzioni, ma è un’occasione in cui si ascolta il punto di vista dell’altro e si cerca di condividere i punti di vista. Spero che ciò contribuisca a sanare, almeno per quanto riguarda la Chiesa, alcune polarizzazioni.
Cosa la entusiasma di più del processo sinodale in questa prossima fase continentale?
Mi entusiasma soprattutto il fatto che lavoreremo insieme al Canada. Come ha sottolineato più volte il mio fratello canadese, è il confine più lungo del mondo che non è stato toccato. Abbiamo molto in comune – e naturalmente anche abbastanza per distinguere le due realtà – ma è un arricchimento per poter entrare nell’altro Paese e ascoltarlo. Grazie a queste sessioni, non sarà necessario il passaporto per partecipare, saranno miste. Quindi penso che ci sarà una grande apertura e un grande apprezzamento della Chiesa in entrambi i Paesi. E poi sarà interessante vedere, quando arriveremo alle conclusioni, quale sarà il contributo della Chiesa del Nord America all’intero processo sinodale. Sarà molto interessante vederlo.
Joseph Tulloch Vatican news 30 novembre 2022
www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-11/sinodo-usa-arcivescovo-timothy-broglio-incontro-roma.html
La sinodalità secondo l’America Latina
A un anno di distanza dalla celebrazione della I° Assemblea ecclesiale latinoamericana e dei Caraibi, a cui hanno preso parte delegati laici, religiosi e vescovi nel novembre 2021, il Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM) ha pubblicato un lungo documento di riflessione e di proposte pastorali, scaturito da tale Assemblea. Il testo, tutto centrato sul tema della sinodalità, costituisce di fatto anche un resoconto d’ascolto delle comunità locali in preparazione sia all’Assemblea sia al Sinodo della Chiesa universale. Proponiamo alcuni numeri del documento, nei quali riecheggiano temi e questioni sollevati anche in molti altri contesti continentali e nazionali (MEG).
- Avere voce in capitolo nei processi decisionali
§ 299. Per essere una Chiesa sinodale, l’Assemblea ecclesiale si propone di attualizzare, alla luce della parola di Dio e del concilio Vaticano II, il concetto e l’esperienza di Chiesa come popolo di Dio, in comunione con la ricchezza della sua ministerialità. Creare nuovi ministeri e rinnovare quelli esistenti permetterebbe il coinvolgimento dei laici in generale, delle donne in particolare e delle persone consacrate, in modo che possano partecipare e avere voce in capitolo nei processi decisionali. Ciò significa assumere la dimensione ministeriale della Chiesa dal punto di vista della circolarità, della sinodalità e della corresponsabilità, perché tutti siamo chiamati a vivere la dignità e l’uguaglianza prevista dalla vocazione battesimale (…)
§ 301. La sinodalità rende la Chiesa una comunità di comunità, sempre più aperta, misericordiosa e sensibile, che abbraccia tutte le periferie umane riconoscendo e accogliendo la diversità. A tal fine, è importante la creazione di piccole comunità autonome che contribuiscano al superamento del clericalismo attraverso l’inclusione, la prossimità e l’incontro. Ciò implica il rafforzamento del ruolo dei laici nella vita pastorale e missionaria, così da poter camminare insieme come popolo di Dio e in questo modo concretizzare la comunione e la partecipazione di tutti. Questo ambito può essere anche uno spazio speciale per la collaborazione dei preti che si sono sposati e un luogo di accoglienza per i migranti e altri gruppi minoritari nella loro situazione specifica (…)
- Il pluralismo come presupposto
§ 303. La comunità cristiana è una casa dei poveri (Documento di Aparecida, n. 8) e una Chiesa samaritana (ivi, n. 26). Deve creare strutture per accogliere tutti e condividere con tutti la vita in abbondanza. Aparecida afferma che «nel nostro subcontinente è urgente porre fine alla logica del colonialismo, è urgente porre fine alla logica colonialista di rifiuto e assimilazione dell’altro; una logica che viene da fuori, ma che è anche dentro di noi» (ivi, n. 96).
§ 304. Il pluralismo, più che un’apertura, è un presupposto della convivenza sociale e dello sviluppo culturale. Poiché il soggetto è plurale, il presupposto è l’alterità. Oggi è necessario concepire sé stessi in un rapporto con il diverso. Di conseguenza, nel campo della missione non ci sono destinatari, ma piuttosto interlocutori. L’attuale processo di globalizzazione si sta presentando con tendenze a imporre una cultura omogenea in tutti i settori, avvolgendoci in una «nuova colonizzazione culturale» (Documento di Aparecida, n. 46). Da qui la necessità d’abbracciare la diversità culturale come contrappunto ai tentativi «che cercano di standardizzare la cultura con approcci basati su singoli modelli» (ivi, n. 59).
§ 305. È qui che entra in gioco l’area della diversità sessuale. Diverse voci esprimono dolore per aver percepito l’indifferenza e il rifiuto della Chiesa su questo tema. Si tratta di accogliere i gruppi che costituiscono le minoranze sulla base delle loro specifiche realtà, affinché non siano esclusi dagli spazi ecclesiali. (…)
Le donne: sì, ma…
§ 311. L’ascolto del popolo di Dio nello Spirito ha portato alla luce il percorso e la voce delle donne che chiedono a gran voce un nuovo posto nella società e nella Chiesa in questo momento in America Latina e nei Caraibi. È urgente ascoltare la voce, così spesso messa a tacere, delle donne che subiscono molte forme di esclusione e di violenza in tutte le fasi della loro vita. È riconosciuto che, nella Chiesa, la disuguaglianza esiste ancora a causa del maschilismo, della mancanza di riconoscimento e di emancipazione delle donne.
§ 312. Come si è detto nel corso della fase di ascolto, in ambito ecclesiastico alcune autorità non accettano fino in fondo l’accesso delle donne a ruoli di leadership o di dirigenza, in una Chiesa governata da uomini ma in cui le donne sono la grande maggioranza di coloro che partecipano attivamente alle comunità. È stato detto che se persiste una Chiesa che emargina i laici, tanto più emargina le donne.
§ 313. L’Assemblea ecclesiale ha proposto di compiere passi concreti verso l’integrazione e la partecipazione delle donne nella Chiesa e nella società. Da un lato, afferma il dovere d’ammettere che si assiste a un’esclusione delle donne dai ruoli di leadership e decisionali. Dall’altra, incoraggia una teologia relazionale che possa garantire loro spazi tali da esprimere il riconoscimento della loro dignità e del loro protagonismo, e che diventino segni di promozione della loro inclusione nella società.
§ 314. Questi cambiamenti non possono dipendere dalla buona volontà dei sacerdoti e dei vescovi, ma piuttosto implicano la formalizzazione di ministeri propri e la loro integrazione nelle strutture decisionali sia delle Chiese locali sia delle conferenze episcopali nazionali. L’Assemblea ricorda l’insegnamento di papa Francesco secondo cui «in una Chiesa sinodale le donne, che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche, dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali (…) che (…) comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del vescovo» (Querida Amazonia, n. 103).
Cambiare le strutture ecclesiastiche
§ 320. Per creare spazi di maggiore partecipazione e inclusione dei giovani, delle donne e di tutti i laici, è necessario un vero e proprio cambiamento delle strutture della Chiesa, nonché la riattivazione dei consigli – pastorali ed economici – nelle parrocchie e delle assemblee pastorali diocesane e parrocchiali. Una profonda revisione dell’esercizio dell’autorità e del potere è una condizione necessaria per superare il clericalismo e per crescere come Chiesa serva e sinodale, generatrice di nuove leadership e ministeri laicali, come, per esempio, quello della cura della casa comune.
§ 321. L’Assemblea propone d’identificare e rivedere le strutture pastorali esistenti alla luce della loro efficacia nella trasmissione della fede, rinnovando quelle che lo possono essere, abbandonando quelle obsolete e creandone di nuove se necessario.
Re blog 13 novembre 2022
TASK FORCE CONTINENTALI
Sinodo per una Chiesa sinodale: continuano dialogo, ascolto e discernimento
I leader della fase continentale sono a Roma per due giorni per incontrare direttamente la Segreteria del Sinodo che guida il processo. Lunedì mattina, negli uffici della Segreteria del Sinodo, si è svolto l’incontro con i presidenti delle riunioni internazionali delle Conferenze episcopali e i coordinatori delle Assemblee continentali del Sinodo dei vescovi.
Un rappresentante per ogni continente ha presentato i propri punti specifici sulla fase continentale del cammino sinodale, introdotta dalla Segreteria del Sinodo il 27 ottobre scorso. Per ogni territorio – Asia, Africa, Oceania, Nord America, Medio Oriente, America Latina ed Europa – sono state presentate informazioni sulle persone direttamente coinvolte nel processo sinodale, nonché le date già programmate, i partecipanti, l’obiettivo e la metodologia di svolgimento delle Assemblee continentali.
I commenti dei vari delegati hanno illustrato le questioni più sensibili per i pastori, che hanno espresso alcune preoccupazioni pastorali notate dopo aver letto il Documento di lavoro per la fase continentale: la necessità di raggiungere i militari e le loro famiglie, la necessità di sviluppare una teologia di Dio sullo sfondo della sofferenza che molti stanno affrontando nel mondo di oggi, e come il processo sinodale finora abbia fornito alle Conferenze episcopali un forum concreto attraverso il quale iniziare a comprendere la nuova visione che Papa Francesco sta proponendo su come essere Chiesa.
Reazioni positive sono arrivate anche da Mauricio López, membro della Commissione sulla metodologia, che ha moderato la sessione mattutina. Ha sottolineato che cinque mesi fa aveva percepito un pizzico di ansia per la fase continentale, ma dopo aver ascoltato le presentazioni dei delegati di ciascuno dei territori continentali, nota ora che c’è una maggiore comprensione della direzione in cui sta andando il Sinodo. Ha anche espresso gratitudine per come la metodologia e gli strumenti proposti dalla Segreteria sono stati abbracciati e concretizzati durante il processo della fase continentale.
Ulteriore dialogo sul Documento continentale. Padre Giacomo Costa, SJ, consultore della Segreteria Generale del Sinodo che è stato coinvolto a tutti i livelli del processo sinodale finora e alla stesura del Documento di lavoro per questa fase, ha presentato alcuni aspetti relativi alla metodologia che la Segreteria propone per le assemblee della fase continentale. L’obiettivo della metodologia proposta è quello di favorire il dialogo utilizzando il Documento di lavoro per la fase continentale come trampolino di lancio. Il documento, che riflette le migliaia di pagine che hanno registrato il processo di consultazione a livello parrocchiale e nazionale, è stato offerto a tutte le Chiese locali per un ulteriore dialogo. Solamente dopo sarà presentato al Papa e, infine, alla sessione del Sinodo.
La domanda principale che guida il cammino sinodale. Il Documento stesso, ha spiegato ancora padre Costa, è il frutto della consultazione del Popolo di Dio, non la base di un discernimento pastorale da mettere in pratica dopo il Sinodo o un’indagine sociologica. Il processo di consultazione, poi, si sta ancora svolgendo intorno alla domanda fondamentale: “Come le Chiese locali vivono e sperimentano il camminare insieme, e dove lo Spirito Santo ci sta conducendo?“. Pertanto, la metodologia utilizzata cerca di far emergere le esperienze, le intuizioni e le domande particolari, nonché le priorità pastorali a livello di Chiesa locale in tutto il mondo, che contribuiranno poi al dialogo sinodale più ampio. Il frutto di questo dialogo costituirà il contenuto dei documenti che ciascuna task force sinodale continentale invierà alla Segreteria entro il 31 marzo 2023.
Il tipo di discernimento necessario. Questo processo, ha proseguito padre Costa, richiede l’arte del discernimento, la capacità di ascoltare profondamente ciò che viene detto, al di là delle parole usate. Nel processo sinodale ce ne sono due tipi.
- Il discernimento che i vescovi sono chiamati a esercitare in questa fase, ha detto, è quello guidato dalla teologia al fine di aiutarli ad ascoltare e a capire quali altre domande devono essere poste. Si tratta di un tipo di discernimento diverso
- da quello che sarà richiesto in seguito durante le sessioni sinodali vere e proprie, quando la teologia servirà come aiuto per discernere tra la sua applicazione e le esperienze, intuizioni, domande e le priorità pastorali emerse durante la fase continentale.
Dare voce alle sfide. La professoressa Susan Pascoe, membro della Commissione sulla Metodologia del Sinodo e della task force per la fase continentale, ha animato una discussione sulle sfide che i delegati hanno incontrato durante il processo. Alcune delle sfide espresse sono:
- l’esigua minoranza di persone che hanno partecipato finora;
- la sfida che la Chiesa deve affrontare per quanto riguarda il modo in cui svolge la sua missione;
- la prevalenza della pietà personale piuttosto che delle pratiche e dei riti comunitari;
- la grande quantità di informazioni, proposte e suggerimenti che rende difficile la sintesi o il raggiungimento di conclusioni;
- la necessità di specificare la definizione di “inclusivo” per quanto riguarda le voci e i punti di vista dei non cattolici o degli ex cattolici;
- il malinteso che il processo di consultazione sia destinato ad accogliere tutte le richieste che le persone stanno sollevando;
- far emergere le voci delle donne in particolare in quei luoghi dove le società sono ancora patriarcali;
- l’interpretazione mediatica del sinodo da un punto di vista sociologico piuttosto che ecclesiastico.
La sessione mattutina si è conclusa con due brevi presentazioni: il direttore delle Comunicazioni del Sinodo, Thierry Bonaventura, ha riassunto i vari sforzi di comunicazione e i temi emersi dal processo sinodale, mentre la sottosegretaria della Segreteria del Sinodo, sr. Nathalie Becquart, ha presentato l’attività di raccolta fondi per sovvenzionare le Assemblee continentali.
Alla fine, il cardinale Grech ha rivolto alcune parole di apprezzamento per il dialogo che si è svolto nel corso della mattinata. Ha anche riflettuto su quanto sia stata appropriato l’uso dell’immagine di Cornelio e Pietro (Atti 10) proposta nel Documento preparatorio. A prescindere dalle sfide che il processo sinodale sta sollevando, ha riflettuto il porporato, la posizione fondamentale è quella di rimanere attenti, come San Pietro, alla voce dello Spirito Santo, che può parlare anche attraverso un pagano.
suor Bernadette Reis – Città del Vaticano Vatican news 28 novembre 2022
www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-11/sinodo-incontro-fase-continentale-segreteria.html
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