UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
Educare alla vita di coppia e di famiglia
Per riuscire ad educare alla vita di coppia e di famiglia le qualità che vanno sviluppate sono numerose.
• La serenità interiore, la maturità e la responsabilità.
Una corretta educazione dovrebbe tendere a formare dei giovani sereni, maturi e affidabili. Se invece l’obiettivo dell’educazione, così come avviene nel mondo occidentale, è solo la felicità dei figli in un dato momento, i genitori, affannandosi ad eliminare il dolore affettivo e relazionale connaturato ad ogni processo di crescita e di trasformazione, nel tentativo di avere dei figli sempre felici, rischiano di far crescere figli notevolmente immaturi e fragili.
Mancano nell’educazione permissiva quelle piccole frustrazioni che servono ad imparare e accettare i limiti che la vita a due, e ancor più la vita familiare, rende indispensabili. Limiti che sono tra l’altro necessari al bambino per aiutarlo a costruire e mantenere la propria identità, impedendogli di perdere il senso del Sé. Nel mondo occidentale ammalato del troppo: troppe immagini, troppi rumori, troppe cose, le giovani generazioni, educate in modo permissivo risultano, pertanto, malate di benessere materiale.
Questi giovani, se da una parte sono troppo protetti dagli altri adulti e dagli educatori e troppo gratificati con troppi giocattoli e troppi soldi, sono, invece, privati spesso, da parte di genitori sempre impegnati e affaccendati nel lavoro e nelle numerose attività ludiche, sociali e politiche, degli elementi essenziali per una sana crescita affettiva: dialogo, presenza, ascolto e cure.
• L’altruismo.
Un’educazione attenta ai problemi della coppia e delle famiglia dovrebbe necessariamente tendere a valorizzare l’altruismo, il quale si configura come disponibilità verso l’altro.
Opposto all’altruismo è l’individualismo che si caratterizza per l’esagerata lotta nel ricercare i diritti individuali e personali. Nell’individualismo si fa un uso sproporzionato e falso della libertà individuale, in quanto si colloca la propria persona al centro di tutto. I bisogni e le esigenze personali diventano più importanti dei bisogni e delle esigenze dell’altro e della comunità. L’individualista valorizza e progetta la sua vita provvedendo al presente e al futuro secondo degli obiettivi personali di autorealizzazione. Non fa niente per l’altro, né cederà niente se non in cambio di qualcosa che, in qualche modo, compensi la sua prestazione o donazione. L’individualista rifiuta la mediazione, che è vissuta più come uno scacco che come una conquista.
Come conseguenza dell’esagerato individualismo che caratterizza il mondo occidentale, sono scoraggiati i legami con i genitori e gli altri familiari nell’età adulta mentre l’individuo è incoraggiato a formare vincoli intimi ed esclusivi soprattutto con persone estranee alla famiglia. Questi legami, per loro stessa natura, sono più rischiosi dei rapporti che vengono stabiliti nella cerchia del proprio ceppo familiare.
Quando l’individuo si isola dalla rete familiare si accolla l’ulteriore peso d’una responsabilità in proprio per il conseguimento del successo e del benessere psicologico. In questo tipo d’educazione se la fiducia in se stessi deve essere notevole, altrettanto grande deve essere l’atteggiamento competitivo verso tutti e quindi anche tra i sessi. Nelle società ad impronta individualista, come la nostra, i diritti prevalgono sui doveri; sono esaltati i valori dell’autonomia personale, dell’autorealizzazione, dell’iniziativa privata, del successo e della priorità delle decisioni del singolo. L’individualismo, inoltre, sradica l’individuo da tradizioni, valori, ruoli sessuali, norme e controlli sociali e istituzionali.
Per Dion nelle società individualiste si evidenziano un abbassamento della morale sessuale; un aumento della corruzione e della disonestà; una spinta al conformismo con notevoli pregiudizi razziali e religiosi; una mancanza di realismo nelle relazioni interpersonali e internazionali; una tendenza ad un’organizzazione eccessivamente burocratica con delle mete egoistiche e competitive.
Invece nelle società dove ha un notevole valore il rapporto con gli altri, la maggiore interdipendenza degli individui mitiga l’intensità delle esperienze emozionali soggettive, le quali tendono ad essere vissute in una rete più ampia di rapporti sociali. Inoltre, poiché i legami familiari sono la fonte dell’intimità per tutta la vita, il singolo non sente il bisogno di ricercarla tra i coetanei non appartenenti al ceppo familiare.
L’individualismo è consono al mondo economico e dei servizi ma non al mondo affettivo-relazionale in quanto l’amore, più viene vissuto in maniera autonoma, più diventa fragile.
Se l’egoismo e l’individualismo ci fanno vedere l’altro come qualcuno da cui avere e da cui prendere qualcosa, qualcuno da sfruttare, qualcuno da corrompere per ottenere un profitto, l’altruismo ci fa vedere l’altro come qualcuno a cui dare; qualcuno per il quale sacrificarsi con gioia; qualcuno da sostenere e da aiutare.
Si tratta allora di sviluppare nei figli la gioia del dare, rispetto al piacere di avere. La cura dell’altro, che sia un bambino, un marito, una moglie, una persona anziana, un malato, comporta impegno, lavoro e sacrificio; solo l’amore per l’altro può rendere questo sacrificio piacevole e gioioso. Ma l’amore per l’altro va sviluppato, stimolato ed educato come qualunque altra capacità umana.
• Il rispetto per l’altro.
Accanto all’amore per l’altro va educato il rispetto. Rispetto per le sue idee e per la sua diversità. Rispetto per le sue convinzioni e per il suo ruolo, per i suoi bisogni e le sue necessità. La diversità d’idee, di comportamenti, d’abitudini, di modi di fare non è l’eccezione ma la regola. Abituarsi ad accettare e a rispettare la diversità degli altri è fondamentale per una futura relazione di coppia.
Va anche educato il rispetto per i limiti e per le manchevolezze e debolezze altrui, che riflettono i limiti, le manchevolezze e le debolezze insite nell’essere umano. Il rispetto verso il partner dovrebbe comportare anche l’evitare continue critiche e rimbrotti (si dice che alcuni borbottano anche quando dormono!).
E’ bene essere consapevoli che quando il biasimo verso gli altri è eccessivo e frequente, è il nostro malessere interiore che ci spinge a cercare attorno a noi quell’ordine, quella chiarezza e coerenza interiore che non riusciamo a trovare in noi stessi. In questi casi l’attenzione si dovrebbe focalizzare più su se stessi e sui propri problemi piuttosto che nei confronti delle persone o le cose che ci circondano.
Se è giusto esprimere quando è assolutamente necessario il proprio dissenso, l’incolpare sempre l’altro, il criticarlo e biasimarlo per tutto ciò che fa, non fa o fa male, rischia di distruggere, insieme alla sua autostima, anche la possibilità d’un rapporto costruttivo, in quanto le eccessive critiche portano automaticamente a dei meccanismi di difesa e di ritorsione che aggravano il dissidio fino a renderlo, nel tempo, insanabile.
• Le capacità empatiche.
Vanno poi educate le capacità di capire e ascoltare profondamente l’altro, in modo tale da riuscire a percepire non solo le sue parole ed i significati universalmente ad esse collegati, ma anche l’essenza dei messaggi e le motivazioni profonde dei sentimenti e dei comportamenti altrui.
Per ottenere questo risultato, più che abituare i propri figli a difendersi dagli altri e a rispondere per le rime, bisognerebbe abituarli ad ascoltare in silenzio per capire meglio e saper meglio riflettere. Questo mettere il proprio cuore accanto a quello dell’altro costruisce fiducia; porta intimità e benessere nella coppia; alimenta la crescita della relazione e rende più facile la risoluzione dei conflitti.
• Le capacità di chiedere scusa e perdonare.
Va educata la capacità di chiedere scusa, come va educata la capacità di saper perdonare. Se da una parte il chiedere scusa quando si è fatto del male all’altro con le parole, con le azioni o con i comportamenti, è l’unico modo per cercare di guarire le ferite che abbiamo inferto, dall’altra la capacità di perdonare permette di sanare ferite che, in caso contrario, potrebbero infettare e far morire anche il rapporto di coppia più caldo e fondamentalmente sano. Perdonare vuol dire ricostruire insieme, su solide fondamenta, la vita a due. Perdonare significa entrare in comunione profonda con l’altro, capire le sue ragioni, calarsi nei panni di chi ci ha fatto un’offesa, comprendere come mai l’altro è arrivato a farci questa offesa. Per tale motivo non è un percorso semplice. Quanto più la crisi è stata dirompente, tanto più il cammino del perdono ha bisogno di trovare motivazioni forti e riferimenti alti. Anche se il perdonare è un’arte che può essere appresa da tutti e si colloca in un quadro di crescita personale. E’ necessario però perdonare per amore in quanto, senza l’amore, il perdono non ha né ali né radici: è un gesto vuoto con un significato solo apparente.
• L’assumersi le proprie responsabilità.
Vanno educate le capacità di assumersi le proprie responsabilità. Nel matrimonio gratificazione e responsabilità devono essere in perfetto equilibrio.
La responsabilità verso chi ci vuole bene e mette il proprio cuore nelle nostre mani, è una delle più importanti e gravi. Quando si è amati e ci s’impegna in un rapporto d’amore non possiamo fare a meno di assumerci delle responsabilità verso la persona con la quale abbiamo intrapreso la strada dei sentimenti. Se i tradimenti ed i voltafaccia negli affari e nella vita economica sono sgradevoli e frustranti, gli stessi comportamenti nell’ambito amoroso portano a delle conseguenze molto più dolorose e gravi. L’impegnare il proprio cuore con un altro, non può essere considerato come un gioco piacevole da fare in due, che può essere interrotto in ogni momento quando si è stanchi, appunto, di giocare. Nel rapporto con una persona che amiamo una parte di noi passa nel cuore e nella vita dell’altro e viceversa. Quella parte che condividiamo, grande o piccola che sia, abbiamo il dovere di rispettarla come fosse una parte di noi.
• Le capacità di sopportazione.
La vita a due, come ogni relazione, comporta sempre dei limiti e delle frustrazioni nei confronti dei propri desideri e bisogni. La scarsa capacità di accettare le frustrazioni e quindi il reagire in modo sproporzionato mediante il pianto, la tristezza o la chiusura o mediante un’eccessiva reattività, fatta di vendette ed aggressività, è deleterio e incompatibile con la vita di coppia.
Quando instauriamo una schermaglia nella quale ognuno dei due risponde per le rime alle provocazioni, agli atteggiamenti e all’aggressività dell’altro cercando di fare sempre più male, colpendo l’altro nei suoi punti deboli o rivangando episodi che dovrebbero essere considerati morti e sepolti, in realtà stiamo scavando la fossa sotto i piedi dell’amore e della stima reciproca, con conseguenze notevolmente gravi.
• Le capacità di avere fiducia nell’altro.
Essere sposati significa aver fede nell’altro. Fiducia nelle sue capacità e nella sua intelligenza, fiducia nella sua correttezza e nella sua responsabilità. Come dice Lo Iacono: “La fiducia dimostrata da noi aumenterà anche la fiducia del partner in se stesso, con straordinari benefici per il suo stato d’animo e per l’utilizzo delle sue risorse nella gestione delle difficoltà”. La fiducia nell’altro ha delle ricadute positive sul rapporto, rende l’altro più disponibile al dialogo, lo impegna maggiormente al dono gratuito. L’autonomia economica e gestionale, che è diventata, nella nostra società occidentale, un caposaldo da conquistare a qualunque costo per ogni individuo, piuttosto che essere d’aiuto alla coppia accentua i contrasti, in quanto è un segnale di sfiducia e suggerisce l’idea errata di poter fare a meno dell’altro, in qualunque momento.
ALBISETTI V., (1994), Terapia dell’amore coniugale, Paoline, Milano, p. 25.
LO IACONO, G. (2005), D’amore e d’accordo, Erickson, Gardolo – Trento, p. 149.
Tratto da “Uomini e donne al bivio – Quali strade per l’amore?” di E. Tribulato
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