La violenza alle donne:

riflessioni di una ostetrica

 

           Ricevere uno schiaffo o una spinta, essere attaccata o minacciata verbalmente, venire controllata costantemente e in modo soffocante dal partner, vedersi negato l’accesso alle risorse economiche dal marito o dal compagno, essere costretta ad avere un rapporto sessuale contro la propria volontà, sono alcuni esempi di cosa sia la violenza sulle donne.

          Una particolare e drammatica forma di violenza è il femminicidio in cui la donna viene uccisa in quanto    donna e vista, come conseguenza di ciò, quale oggetto di possesso privato, da parte dell’uomo che infierisce su di lei.

          Se una donna è assassinata durante una rapina, nessuno usa, giustamente, quel termine. Lo si utilizza, invece, quando viene uccisa, ad esempio, perché si è permessa di lasciare un uomo che non riesce ad elaborare in modo normale ed equilibrato la separazione, in quanto ritiene che ella sia non un soggetto dotato di libertà di scelta, ma oggetto di suo esclusivo possesso, che non può esercitare il proprio arbitrio rispetto alla relazione.

          Il “tu sei mia”, che nelle effusioni dolci fra amanti può assumere un significato tenero, perde completamente il suo assunto simbolico per trasformarsi nella sua versione più concreta e becera, “proprietà privata di un oggetto che non può avere la sua libertà di scelta”.

           In ogni caso, la violenza è sempre la scelta di chi, al posto del dialogo, della riflessione, dell’elaborazione anche penosa di un distacco e di una sofferenza, prende la via dell’azione.

          Se la persona non è stata abituata fin da piccola ad elaborare la frustrazione, ad utilizzare i momenti di crisi come occasione di crescita, e quindi comprendere che non si possiede diritti soprattutto sulla vita degli altri.

          Quei NO che aiutano a crescere, che sono prodromici al tempo della riflessione, dell’elaborazione di una frustrazione e della crescita. I NO ci mettono davanti a nuove sfide, ci obbligano a guardare la realtà e a riconoscere l’altro come portatore di un pensiero diverso dal nostro.

         Quei NO che potrebbero aiutare alcuni uomini a sostituire il codice della parola a quello dell’azione e alcune donne a rifiutare di giustificare troppo a lungo la violenza dei propri compagni.

          L’assemblea generale delle Nazioni Unite ha deciso di celebrare il 25 novembre la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.  Per creare maggiore consapevolezza in chi la subisce ma anche in chi la esercita. Per far sì che certe azioni distruttive nei confronti di donne e ragazze non rimangano impunite.

Affinché le stesse non vengano stigmatizzate per il fatto di aver avuto il coraggio di denunciare.

          Il giorno non è stato scelto a caso. Era il 25 novembre del 1960 quando i corpi delle tre sorelle Mirabal furono ritrovati in fondo a un precipizio. Addosso i segni evidenti della tortura. Le donne, brutalmente uccise mentre stavano andando a trovare i loro mariti  in carcere, erano coinvolte in prima persona nella resistenza contro il regime del dittatore Trujillo che per trent’ anni ha governato la Repubblica Dominicana. L ‘omicidio de “le farfalle” ha scatenato una dura reazione popolare che ha portato nel 1961 all’ uccisione di Trujillo e quindi alla fine della dittatura. La data è stata commemorate per la prima volta durante il primo incontro Internazionale Femminista, da lì, il 25 novembre ha iniziato ad assumere un valore sempre più simbolico.

Carla Ferrari Ostetrica

Condividi, se ti va!