La sindrome del bambino scosso. Se ne parla ancora troppo poco

La sindrome del bambino scosso.

Se ne parla ancora troppo poco

 

 

 Autrice: Alessandra Venegoni

Durante i corsi di accompagnamento alla nascita insieme alle future mamme ed ai futuri papà discutiamo del fatto che sicuramente almeno una volta accadrà che il pianto inconsolabile del proprio cucciolo li porti a pensare “Non ce la faccio più, di cosa puoi avere bisogno ora?”. Si pensi in particolar modo agli episodi di pianto notturni.

Una reazione a volte naturale è di prendere il neonato in braccio e scuoterlo, questo deve essere assolutamente evitato, un gesto inconscio che potrebbe provocare gravissimi danni al cervello del piccolo, soprattutto se sotto i 2 anni di vita, in quanto la muscolatura del collo è ancora poco sviluppata rendendo difficoltoso il sostegno della testa, ciò viene identificato come “sindrome del bambino scosso”.

Scuotendolo con forza, anche solo per pochi secondi, il cervello viene percosso contro le ossa craniche subendo delle lesioni, talvolta gravissime: emorragie del cervello e della retina, ritardi dello sviluppo neurologico, disturbi dell’apprendimento, del linguaggio, dell’attenzione, della memoria, disabilità uditive, epilessia; in genere le conseguenze dipendono dalla gravità dell’episodio, si stima però che solo per il 15% di casi non ci siano ripercussioni sulla salute del bambino.

L’incidenza in Italia è difficile da stimare poiché la diagnosi è complicata, dai dati della Società Italiana di Neonatologia l’incidenza pare essere 3 casi ogni 10.000 bambini di età inferiore ad 1 anno. Il picco di incidenza si osserva in bambini tra le 2 settimane ed i 6 mesi di vita in quanto è il periodo di massima frequenza ed intensità del pianto e la struttura muscolare di sostegno del capo è ancora molto fragile, la massa cerebrale è delicata ed immatura.

 

Scuotere il bambino spesso è la risposta ad un pianto inconsolabile ed apparentemente ingiustificato del quale non si riesce a cogliere la motivazione, i genitori si sentono impotenti, fortemente provati da una stanchezza fisica e psicologica, nel tentativo di trovare una soluzione vengono attivati, spesso inconsapevolmente, comportamenti errati.

 

Accade talune volte che lo scuotimento avvenga anche da parte di altre persone che si prendano cura del piccolo.

Vi sono dei campanelli d’allarme molto importanti e da non sottovalutare per permettere una corretta diagnosi, nonostante questa rimanga molto complessa da effettuare. I sintomi più comuni sono vomito, inappetenza, difficoltà di suzione o deglutizione, estrema irritabilità, frequenti pianti inconsolabili, sonnolenza, assenza di sorrisi o di vocalizzi, rigidità nella postura, difficoltà respiratorie, difficile controllo del capo, fratture delle costole e delle ossa delle braccia.

Il pianto è l’unico metodo di comunicazione per il neonato e spesso può sembrare inconsolabile, dopo aver provato a soddisfare i bisogni vitali (fame, sonno, coccole..), attuato gli escamotage individuati dai genitori (bagnetto, passeggiata, rumori bianchi,..), se il pianto proprio non si placa e percepiamo di non essere in grado di gestire e di a sopportare la situazione è molto importante chiedere aiuto ai famigliari o se si è soli lasciare il neonato al sicuro ed allontanarci così da ristabilire il proprio equilibrio. Nel caso in cui si ritenga ci possa essere una ragione medica è naturalmente opportuno recarsi dal pediatra.

 

Alessandra Venegoni

Ostetrica del Consultorio

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