Il lavoro e la famiglia

Autore: Emidio Tribulato

Che cosa è il lavoro?

Il lavoro può rappresentare per gli esseri umani molte cose.

•    Può essere il luogo dell’impegno e della fatica per poter sopravvivere come persona ma anche come famiglia.

•    Può essere un mezzo per rendersi autonomi dalla famiglia di origine o dall’altro coniuge.

•    Può essere occasione per potere avere per sé e per i propri cari non solo i mezzi di sussistenza ma anche i servizi e gli strumenti per accrescere le proprie conoscenze, per utilizzare al meglio il tempo libero, per migliorare la propria cultura ed il proprio spirito.

•    Può essere il mezzo mediante il quale l’essere umano può realizzare sogni, progetti e aspirazioni.

Il lavoro all'esterno della famiglia ha varie funzioni.

•    Può essere un mezzo per accendere la fantasia, sbrigliare l’immaginazione, liberare la creatività.

•    Può essere il mezzo mediante il quale noi rendiamo alla società e agli altri quello che la società e gli altri hanno dato a noi. Questo contraccambio può avere come base i più importanti beni affettivi e spirituali oppure i beni materiali. Quando educhiamo nostro figlio e a lui diamo le coccole, i consigli, i valori, la presenza, l’affetto, la tenerezza, l’educazione necessaria, non facciamo altro che ricambiare, con il nostro impegno, quanto abbiamo ricevuto dai nostri genitori. Quando ai nostri figli, con il nostro lavoro, procuriamo un tetto sotto il quale proteggersi, cibo, vestiti o farmaci, non facciamo altro che dare loro quei generi di conforto necessari alla loro vita, che altri hanno dato a noi.

•    Al contrario, il lavoro può essere il mezzo per dare ad altri quello che noi non abbiamo ricevuto. Dandolo agli altri è un po’ come dare a se stessi, dare coccole, presenza,  attenzioni, affetto e cure agli altri è un po’ come amare un po’ di più sé stessi.

•    Vi può essere un lavoro come fonte per soddisfare i bisogni essenziali e lavoro come fonte per soddisfare i bisogni indotti dal consumismo e quindi, il lavoro come mezzo per ottenere anche il superfluo per sé e per i propri familiari. In questi casi il rischio è che il nostro lavoro non sia utile a nessuno ma riesca solo a soddisfare il credo consumistico per il quale: “Se tu lavori potrai soddisfare i tuoi bisogni, più lavori più bisogni potrai soddisfare”, arricchendo nel contempo chi è già molto ricco, aggiungiamo noi.

•    Il lavoro può essere anche l’idolo, che assorbe tutte le nostre energie, sul quale riversiamo buona parte delle nostre attese e della nostra fiducia, nella ricerca della gioia, della sicurezza, della felicità. Idolo messo al centro della nostra vita, al quale sacrificare tutto: vita personale, vita di coppia, vita familiare.

Per millenni lavoro e famiglia coincidevano. Coincidevano come luogo, in quanto il lavoro veniva effettuato vicino alla famiglia. Coincidevano come attori del lavoro, in quanto erano tutti i componenti della famiglia: uomini, donne, bambini e anziani e quando le famiglie se lo potevano permettere i servi, i mezzadri o gli schiavi che facevano parte della famiglia allargata, che si impegnavano, a seconda delle necessità e delle possibilità, nelle attività utili a produrre quanto bastava ai bisogni del gruppo familiare.

Coincidevano come qualità del tempo impegnato, in quanto non veniva fatta alcuna differenza qualitativa tra lavoro finalizzato a produrre beni di tipo educativo, affettivo e di cura e lavoro finalizzato a produrre beni materiali. Uomini e donne godevano della stessa dignità anche se prevalentemente e preferibilmente l’impegno di accudimento e cura veniva svolto dalle donne mentre prevalentemente e preferibilmente l’impegno per procacciare dei beni materiali e per organizzare e proteggere la comunità veniva svolto dagli uomini.

La separazione e l’allontanamento del lavoro dalla famiglia ha iniziato a manifestarsi solo alla fine del settecento, quando uomini, donne e bambini cominciarono a vendere il proprio tempo, la forza delle proprie braccia o il proprio talento per gli altri, ricavando da questi ultimi il denaro necessario all’acquisto dei beni e servizi necessari.

La società industriale è stata fin dall’inizio, ed è ancora, la maggiore responsabile del conflitto e della spaccatura tra famiglia e lavoro, diffondendo questo conflitto e questa spaccatura nella stragrande maggioranza della popolazione.

In questo conflitto tra famiglia e lavoro, vi sono stati e vi sono continui tentativi, per altro riusciti, di sottomettere la famiglia al mondo della produzione, fino al punto di desiderare e impegnarsi, come avviene in Svezia, per eliminare totalmente la famiglia, in quanto vista come ostacolo alla piena occupazione femminile.

Da una parte vi è il dramma del lavoro che non c’è o del lavoro a tempo determinato, che espone le famiglie a incertezze e a rischi di povertà, mentre impedisce ai giovani di concretizzare il loro desiderio di formare una famiglia, dall’altra vi sono i problemi di chi il lavoro ce l’ha, ma non ne è soddisfatto per vari motivi.

Intanto nell’era dell’economia globalizzata l’inserimento nella vita lavorativa avviene per gradi: dapprima i giovani in attesa di trovare lavoro, per fare esperienza, si dedicano al volontariato, poi entrano nel mondo del precariato e, solo dopo anni, finalmente, sarà la volta del lavoro definitivo. Il lavoro pertanto, quando arriva, arriva troppo tardi e non dà garanzia di stabilità.

Il luogo di lavoro.

Il luogo di lavoro si trova spesso lontano dalla propria casa, a volte in un’altra città se non in un’altra nazione o in un altro continente. Questo comporta un pendolarismo  o massicce emigrazioni con conseguente allontanamento dal nucleo familiare spesso per ore, altre volte per giorni, mesi o anni. L’attuale globalizzazione dei mercati e della produzione, ha accentuato questi problemi. Le imprese, a causa della presenza di un mercato mondiale, sono spesso costrette a inviare personale specializzato in qualunque parte del mondo si richieda la loro opera. Non è difficile trovare lavoratori di una stessa ditta, dislocati nei cinque continenti, con assenze per vari mesi dal paese e dalla famiglia di origine.

L’uso abbastanza a buon mercato di veloci mezzi di comunicazione, come gli aerei, permette sì una migliore mobilità, ma nel contempo accentua questo fenomeno. Le assenze dalla famiglia e dalla rete affettiva ed amicale determinano delle fratture nei confronti del coniuge, dei figli, come degli altri familiari e amici, che non sempre si riesce a ricomporre.

La persona che parte per cercare lavoro altrove, pur avendo la gratificazione di sapere che la sua opera viene richiesta magari nella parte opposta del globo, nel mentre viene sollecitata e stimolata dalle nuove conoscenze sul piano professionale, sentimentale e sessuale, tuttavia ha l’impossibilità psicologica di mettere solide radici nei vari luoghi frequentati e di instaurare legami stabili, forti ed efficaci con le tante persone con le quali entra in relazione.

Ciò può comportare ansia, inquietudine, depressione. Quando questi pendolari ritornano, risultano spesso vani i tentativi di recuperare, nella gestione familiare, il proprio ruolo educativo e relazionale, in quanto ricercato e attuato non nel momento giusto e non nel modo giusto.

Altrettanta difficoltà vivono le persone che rimangono nella casa familiare. Queste persone sono costrette a vivere in un’altalena di emozioni, sentimenti e relazioni: durante la lontananza la tristezza ed il desiderio; nei giorni nei quali vi è la presenza dell’altro difficoltà o impossibilità di riprendere le fila di un rapporto e di un dialogo interrotto o incompleto.

Gli orari di lavoro

Gli orari di lavoro e le esigenze della produzione mal si accordano con le esigenze della famiglia. Basta pensare a quello che è avvenuto per il lavoro notturno. Anche solo cinquant’anni fa il lavoro notturno riguardava solo una piccola percentuale di lavoratori. Successivamente, in un crescendo continuo, gli addetti ai lavori notturni sono diventati un gran numero, anche perché, in alcune nazioni, si sta diffondendo l’idea di tenere aperti negozi e supermercati per tutto l’arco delle ventiquattro ore.

Lo stesso è avvenuto per il riposo festivo e per la pausa pranzo. Sono andate sempre più aumentando le categorie che, per motivi vari, lavorano durante le domeniche ed i giorni festivi, come sono aumentati molto i dipendenti che non ritornano a casa per il pranzo. Se la mattina è un fuggi – fuggi generale per andare a scuola e nei luoghi di lavoro, nelle ore della sosta per il pranzo è considerato ormai “normale” mangiare con i colleghi di lavoro nelle rosticcerie sotto l’ufficio o direttamente nei cantieri, accanto alle macchine delle officine o sopra le scrivanie.

Affinché la famiglia si riunisca, in molti casi, bisogna aspettare la sera, quando stanchi, snervati, stressati, incapaci di un efficace dialogo, i componenti della famiglia hanno difficoltà a vivere serenamente le poche ore trascorse insieme. Spesso, a causa delle tensioni e delle frustrazioni accumulate durante il giorno, questi momenti vengono vissuti non come occasioni di incontro ma di scontro, non come momenti di dialogo ma di chiusura. Anche perché, frequentemente, vengono vissuti davanti al o ai televisori di casa, ognuno chiuso nella propria monade.

Due genitori, in crisi come coppia da vari anni, con un figlio con gravi disturbi psichici, nel momento in cui abbiamo consigliato di trascorrere almeno un quarto d’ora insieme, come coppia, anche solo per fare colazione la mattina, in modo tale da allentare la grave tensione familiare ed iniziare a migliorare l’intesa, si difesero entrambi dicendo che dati i loro problemi familiari ed i tanti impegni ai quali dovevano assolvere non avevano assolutamente la possibilità di stare insieme, per vivere qualche piacevole momento di vita a due, neanche per un quarto d’ora al giorno!  

Le energie utilizzate nel lavoro.

Se è vero che, almeno sulla carta, sono diminuite le ore ufficiali di lavoro, l’impegno richiesto è però più totalizzante. Non vi è alcun dubbio che il lavoro richiede molte delle nostre energie fisiche e psichiche, in quanto le aziende richiedono performance, adattabilità, completa disponibilità, massimo rendimento, per poter competere con la concorrenza sempre più agguerrita. Per i carrieristi drogati da lavoro o frustrati da crisi matrimoniale, la ricerca del successo nel lavoro è quasi maniacale e ossessiva. La completa immersione e partecipazione ai bisogni dell’azienda e alla sua filosofia li alimenta, sostiene e gratifica. Per queste persone il luogo di lavoro diventa la loro casa, e gli impegni e i rapporti di lavoro sono mogli ardenti, madri affettuose, figli amorevoli, amici fedeli.

Per tutti gli altri, che non si sentono di idolatrare o sposare l’ente o l’azienda, l’essere sempre più veloci, grintosi, efficaci, bravi, così da portare più guadagno alla ditta, comporta una tensione difficilmente accettabile e sopportabile, mentre diventa sempre più difficile armonizzare vita professionale e vita privata.

Se fino a qualche decennio fa, buona parte dei lavori richiedeva prevalentemente energie di tipo fisico, le quali stimolano e migliorano il tono dell’umore, per cui la sera ci si sentiva stanchi fisicamente ma felici e soddisfatti dentro, attualmente la maggioranza dei lavori richiede quasi soltanto energie di tipo psichico, il cui uso eccessivo può far peggiorare il tono dell’umore. Tali energie servono per creare, pensare, elaborare e per confrontarsi con gli utenti o con i clienti.

Vi è poi una notevole quantità di energia psichica che viene utilizzata nei rapporti con i colleghi e superiori. La difficile e faticosa gestione di queste relazioni è diventata una delle principali cause di insonnia, stress, fratture familiari. Spesso il rapporto con il lavoro è improntato alla disillusione. “un’indagine monster (gennaio 2005) rivela che un italiano su due si dichiara insoddisfatto della propria vita professionale. Da un’indagine Monster appena condotta risulta che una donna su cinque, al primo figlio lascia il lavoro.” 

Le cause sono numerose: spesso nelle aziende non si viene riconosciuti come individui, ma come produttori di reddito. Non viene accettata l’idea di uno spazio per sé e per le proprie aspirazioni, né tantomeno per la propria famiglia. Si ha la sensazione di essere solo un ingranaggio e un numero. Non si riesce a dare un senso a quello che viene fatto. Si è stressati da orari impossibili.  Si è demotivati dalla mancanza di riconoscimenti, mentre non si avverte il piacere di vedere valorizzato e riconosciuto il proprio apporto personale.

Molti, infatti, lamentano di non essere apprezzati per quello che si è e si dà. Soffrono nell’essere manipolati nelle guerre tra colleghi. Subiscono come laceranti ferite le ingiustizie, le prevaricazioni e le violenze psicologiche sul lavoro. Il mobbing al quale si è sottoposti pesa come macigno sulla propria anima, portando ansia, depressione, insoddisfazione.

Giacché le energie sono limitate è evidente che aumentando il dispendio da una parte (lavoro), si toglie inevitabilmente dall’altra (vita affettivo-relazionale). Questo provoca profondi e frequenti sensi di colpa e insoddisfazione.

Poiché a queste sofferenze e ferite non ci si può sottrarre, pena la punizione ed il licenziamento e quindi la miseria e la fame, si soffre anche per il sentimento di impotenza. Questo è uno dei motivi che spingono molti dipendenti ad impegnarsi nell’attività di volontariato cosiddetto “del riequilibrio.” Che non è il volontariato dell’inserimento (prima di inserirsi nel mondo del lavoro), ma non è neanche il volontariato del pensionato che ha necessità di riempire di qualcosa di utile le sue giornate.

L’attività di volontariato del riequilibrio viene spiegata da chi la espleta come un’indispensabile valvola di sfogo, dopo ore di tedioso e stressante impegno lavorativo regolarmente retribuito. In altri casi si è scontenti in quanto l’entità della retribuzione non corrisponde all’impegno profuso, giacché il lavoro che si è costretti a svolgere non è adeguato alle proprie capacità, studi e cultura.

Le ore di lavoro.

Nel periodo preindustriale, nella civiltà contadina, non vi erano orari di lavoro. Vi erano giorni o periodi nei quali si lavorava sui campi dall’alba al tramonto, mentre in altri giorni o in altri periodi si lavorava solo per poche ore al giorno.

In questi periodi la famiglia si ritrovava insieme con notevoli possibilità di dialogo, di incontro, di esperienze comuni. Con l’industrializzazione il numero di ore di lavoro, anche dieci ore al giorno, divenne fisso per tutti i giorni della settimana (tranne naturalmente la domenica) e per tutti i mesi dell’anno. Dopo gli anni Venti, anche per merito delle lotte sindacali, il numero delle ore di lavoro andò progressivamente diminuendo. Da qualche anno, invece, almeno per alcune categorie di lavoratori, le ore di lavoro sono andate di fatto aumentando, a causa degli straordinari, dei corsi di aggiornamento, delle riunioni, ma anche e soprattutto a causa di richieste sempre più pressanti di maggior rendimento che costringono molti lavoratori a portare, sia con mezzi cartacei, sia mediante il computer, il lavoro tra le mura domestiche pur di rendere quanto richiesto.

Per tanti si è perduta la necessaria distinzione tra lavoro e vita privata a causa della posta elettronica e dello squillo del cellulare, che possono raggiungerti ovunque tu sei. Con l’uso di questi mezzi elettronici diventa sempre più difficile tracciare una linea di demarcazione tra lavoro e tempo libero.  Per molti, quindi, il tempo libero è sempre meno libero ed è per questo che gran parte delle persone lavora molto più delle ore contrattuali.

In tal modo il lavoro diventa una divinità gelosa di ogni altro interesse.

Una divinità avida di quella risorsa essenziale per la vita personale, relazionale, amicale e familiare che è il tempo. Se per alcune persone è possibile, anche se con molta fatica, conciliare la vita privata con quella professionale, per altre questa integrazione è difficile, se non impossibile.

Il conflitto tra famiglia e lavoro è andato aumentando negli ultimi anni e, almeno apparentemente, le vittorie sono sempre di più a carico del mondo economico. 

Famiglia e lavoro sono per la maggior parte delle persone due pilastri fondamentali della vita.

Nel confronto e scontro tra famiglia e lavoro, di fronte ad un mercato del lavoro che vuole che le persone agiscano come singoli e non come famiglia o coppia, un mercato che vuole il massimo della flessibilità e della mobilità di persone, cose, idee, realtà, è la famiglia che è costretta troppo spesso ad essere subordinata e a modellarsi a misura del lavoro e della produzione.

Poiché il lavoro assorbe buona parte della nostra giornata, per la vita di relazione resta un margine di tempo ridotto, mentre nel contempo cambia la qualità del tempo trascorso insieme.

Se i pensieri e le preoccupazioni lavorative invadono i discorsi della coppia con i figli o tra amici, significa non riuscire a “staccarsi” dal lavoro neanche per brevi momenti.

Non vengono rispettati i bisogni affettivi della famiglia e dei singoli componenti. Soprattutto non vengono rispettati i bisogni dei minori. Non vengono rispettati gli orari nei quali i figli hanno bisogno dei genitori, come non viene rispettato il bisogno di un marito nei confronti della moglie e viceversa.

Va in crisi il dialogo, vanno in crisi le manifestazioni affettive e sessuali le quali diventano sempre più rare, sempre più vissute con tensione e ansia.

Spesso viene ripetuto che molte donne riescono benissimo a conciliare famiglia e lavoro eppure delle donne intervistate dall’Istat nel 2002 il 35,6% delle madri che lavorano ha dichiarato di avere delle difficoltà di conciliazione.

FAMIGLIA E LAVORO

Alla domanda se è il lavoro che è inconciliabile con la famiglia o la famiglia che è inconciliabile con il lavoro, è la storia umana che può dare le risposte più corrette.
L’uomo e la donna non hanno iniziato a lavorare né negli ultimi anni, né nell’ultimo secolo. Da sempre uomini e donne hanno lavorato ed il loro lavoro, armonicamente integrato con l’impegno affettivo relazionale e familiare, è stato fonte di continuo ed incessante progresso.
Il problema non è allora il lavoro dell’uomo o della donna o di entrambi ma le caratteristiche del lavoro e la sua rispondenza alle necessità sociali ed umane, soprattutto a quelle più importanti.
Gli obiettivi del lavoro.
Per quanto riguarda gli obiettivi, vi sono almeno due tipi di lavoro:

uno indirizzato al mondo affettivo – relazionale nel quale noi impieghiamo tempo, energia, fantasia, preparazione, disponibilità, per procurare agli altri gli elementi affettivi, educativi e di cura dei quali hanno bisogno e uno indirizzato al mondo economico e dei servizi nel quale noi offriamo con il nostro impegno gli elementi indispensabili per la sopravvivenza, il progresso ed il benessere materiale.
Ma quale dei due lavori è più importante?
Entrambi sono fondamentali ed indispensabili. Così come non è possibile vivere senza cibo, protezione, farmaci e servizi, allo stesso modo non è possibile formarsi come uomini e donne, crescere e vivere, senza affetto, calore, cure, educazione. Ma se entrambe queste attività sono fondamentali per il benessere e la sopravvivenza della specie umana ci chiediamo: E’ possibile impegnarsi soltanto in uno dei due settori, ad esempio solo nel settore affettivo relazionale o è possibile inserire le proprie capacità ed il proprio ingegno in entrambi i settori?
Non c’è dubbio che entrambe le ipotesi siano possibili. Molte donne impegnano e soprattutto nel passato impegnavano, il proprio tempo, il proprio ingegno e le proprie energie quasi esclusivamente nella cura dei bambini, nell’assistenza agli anziani e ai malati, mentre, nel contempo, i loro uomini lavoravano per procurare il cibo, i servizi e gli altri elementi materiali necessari alla sussistenza. Ma anche l’altra ipotesi è verosimile. Molte donne oggi, pur facendo i salti mortali, cercano di contemperare le necessità del lavoro familiare con quello esterno alla famiglia.
A questo punto la domanda alla quale dobbiamo dare una chiara risposta diventa un’altra: “E’ utile e conveniente per il singolo, per la coppia, per la famiglia e per la società focalizzare tutto il proprio impegno e le proprie energie verso uno dei due obiettivi, o impegnarsi in entrambe le direzioni?”
E in questo caso: “E’ più utile che uno dei due coniugi si occupi prevalentemente del mondo economico mentre l’altro si occuperà prevalentemente del mondo affettivo?”
Per rispondere a queste domande dovremo esaminare quando un lavoro è utile alla persona, alla famiglia e alla società.
Un lavoro è utile a noi stessi: quando è gratificante; quando ci permette momenti di studio, riflessione, riposo e aggiornamento; quando non è alienante; quando si inserisce nella fisiologia della persona; quando non ci isola dagli altri, quando ci permette di svolgere bene i compiti inerenti al nostro ruolo di marito o moglie, di padre o madre, ma anche al ruolo politico di cittadino impegnato per il proprio paese e per il proprio Stato . Un lavoro è utile a noi stessi quando è confacente alle nostre caratteristiche individuali, al nostro carattere, al nostro sesso, alle inclinazioni del nostro animo. Un lavoro è utile a noi stessi quando nel lavoro possiamo impegnare la nostra mente, la nostra fantasia, la nostra umanità, oltre che le nostre mani o il nostro corpo.
Un lavoro è utile alla società: quando tiene conto delle sue esigenze; quando gli altri ne hanno un beneficio; quando è attuato rispettando e non sfruttando gli altri; quando è strumento di crescita sociale; quando è rispettoso di tutti gli altri esseri viventi e dell’ecosistema; quando si integra armoniosamente con l’impegno ed il lavoro degli altri.
Un lavoro è utile alla famiglia e alla coppia: quando riesce a dare gli apporti necessari per il benessere materiale, ma contemporaneamente è compatibile con gli impegni educativi, di cura, di presenza attiva, di dialogo e assistenza necessari a ciascun membro della famiglia e della coppia. Sappiamo che all’interno delle coppie gioca in modo negativo facendo aumentare la tensione e l’ansia, la presenza di gravi difficoltà economiche che sono la causa dei bisogni insoddisfatti, ma sappiamo anche che eccessivi impegni e stress, anche in presenza di notevoli apporti economici, sono altrettanto distruttivi del benessere della coppia. Anche gli imprenditori come Cavalli notano oltre i bisogni delle imprese quelli delle famiglie: “Siamo di fronte a un fantastico aumento del benessere per miliardi di persone, ad opera delle meraviglie della scienza e della tecnica, della conoscenza e delle nostre imprese. Ma chi pensa alla famiglia, senza la quale non servono invenzioni e scoperte?”
Persone alle quali il lavoro è diretto.
Per quanto riguarda le persone alle quali il lavoro è diretto, il nostro impegno può essere rivolto alle persone più vicine a noi: i nostri figli, i nostri genitori, il coniuge, o altri familiari oppure può contribuire ad un miglior benessere della società civile e quindi può essere rivolto all’industria, all’istruzione, alla difesa comune, ai trasporti, alla politica, all’ecologia, alla comunicazione ecc..


I VALORI PRIMARI DA SALVAGUARDARE
Tutte queste considerazioni ci riportano ad un lavoro ideale che purtroppo non esiste o esiste solo per un numero ristrettissimo di persone, in quanto è difficile, se non impossibile, riuscire a trovare un impegno che soddisfi tutte o quasi tutte queste esigenze, comprese le nostre aspirazioni, senza tradire i doveri.
Nel momento in cui ognuno di noi si confronta con la realtà lavorativa è costretto, mediante accomodamenti, rinunce e sacrifici, a scendere da un piano ideale ad uno pratico, e quindi è costretto ad un lavoro che potrà soddisfare solo alcune delle esigenze sociali e personali.
Questo non ci esime dal dovere di impegnarci in una o più attività che possano soddisfare ed essere compatibili con alcuni principi e valori che dovrebbero essere considerati come valori primari:


•    Il valore della famiglia 
Abbiamo dei doveri nei confronti dei nostri familiari che non possiamo e non dobbiamo delegare a nessun altro perché ci obbligano personalmente. Se sposati abbiamo dei doveri verso il coniuge ed i figli: dovere di dialogo, ascolto, presenza, vicinanza, cura amorevole. Se non siamo sposati abbiamo gli stessi doveri verso i familiari a noi più vicini: padre, madre, sorelle, fratelli, zii, nipoti. Anche questi chiedono e si aspettano da noi affetto, attenzione, dialogo, presenza attiva.


•    Il valore educativo 
Qualunque lavoro noi facciamo dal più umile al più prestigioso, dal più intellettuale al più materiale, non ci possiamo esimere dall’impegno educativo non solo verso i minori ma anche verso gli adulti che incontriamo sul nostro cammino e con i quali collaboriamo o condividiamo impegno e presenza.


•    Il valore del mondo affettivo relazionale
Abbiamo il dovere verso noi stessi e verso chi ci sta vicino, di alimentare, far maturare e crescere in noi e attorno a noi, il mondo dei sentimenti e delle emozioni, il mondo del dialogo intimo e profondo, il mondo dello spirito e dell’anima, il mondo che stimola la crescita umana e personale.


•    Il valore di un impegno civile e politico
Abbiamo inoltre il dovere di contribuire a costruire attorno a noi nelle nostre città, nella nostra nazione, ma anche lontano da noi nel mondo, una società più onesta, più giusta, meno violenta, più libera, più responsabile.


•    Il valore della vita
Abbiano il dovere di impegnare le nostre energie e le nostre risorse in favore di tutte le vite, soprattutto della vita umana, ma anche della vita della terra e del pianeta sul quale viviamo e vivranno i nostri figli e nipoti. Pertanto il nostro lavoro deve poter migliorare l’ambiente ed il mondo che ci ha accolto e che ci circonda e mai degradarlo, mai offenderlo o peggio, distruggerlo.

Dicevamo che questi sono valori primari nel senso che in una scala di valori vengono prima degli altri, anche se non escludono gli altri.
Nello scegliere un lavoro e nel portarlo avanti non possiamo non tener conto di questi principi. In caso contrario il nostro impegno non andrà a favore di qualcuno ma contro qualcuno.
Il rischio è di accorgersi, al limitare della vita, che questo qualcuno al quale non abbiamo dato quanto dovuto ci era molto vicino. Il rischio è di scoprire che questo qualcuno che abbiamo trascurato e non amato abbastanza eravamo proprio noi, erano le persone che avremmo dovuto amare di più.
Per quanto riguarda le alternative l’esperienza millenaria della vita sociale e familiare, dalla quale dovremmo trarre gli insegnamenti necessari, ci conferma quanto la psicologia e la pedagogia hanno sempre sostenuto e cioè che, nell’ambito familiare, la terza ipotesi, quella nella quale uno dei due coniugi si occupa prevalentemente del mondo economico mentre l’altro si occuperà prevalentemente del mondo affettivo, è sicuramente la migliore.
Questa soluzione:
•    è l’unica che garantisca la sopravvivenza e lo sviluppo armonico ed equilibrato di entrambi i mondi;
•    è l’unica che valorizzi le peculiarità sessuali specifiche;
•    è l’unica che può permettere una serena ed equilibrata vita di coppia e familiare.

Abbiamo allora il dovere di lottare per un lavoro a misura di persona, di famiglia e di coppia e non a misura della società dei consumi e degli affari. Abbiamo il dovere di impegnarci per il benessere affettivo nostro e dei nostri familiari, i quali sono quelli che ci sono più vicini e si aspettano molto da noi.
Un concreto e notevole ridimensionamento del lavoro necessario per produrre beni materiali e servizi, potrà permetterci di investire buona parte delle nostre energie in attività che sviluppino gli affetti, l’amore e la relazione con le persone, soprattutto con le persone a noi più care.
Scegliamo delle attività nelle quali uomini e donne possano integrarsi ed incontrarsi e non scontrarsi, possano collaborare insieme e non dividersi. Un lavoro rispettoso delle caratteristiche sessuali e personali. Un lavoro che non schiacci la personalità dell’altro ma la rispetti e la valorizzi.
Facciamo in modo che le esigenze di flessibilità, redditività, che il mondo dell’impresa giustamente pretende, siano compatibili e conciliabili con l’attenzione alla famiglia ed ai suoi compiti, in quanto la vita affettiva e buone relazioni familiari sono il presupposto di qualunque crescita, anche di quella economica.
Da parte dello Stato  è necessaria una politica che valorizzi e promuova la donna che si impegna a studiare e si prepara a lavorare nel mondo degli affetti e delle relazioni familiari. La scelta delle donne che decidono di dedicarsi prevalentemente alla famiglia, deve essere pertanto tutelata e rispettata quanto e più di quella delle donne che vogliono impegnarsi nel mondo dell’economia e dei servizi. 

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