La dimensione affettiva nell’uomo contemporaneo

giuseppe.rubino@yahoo.it

La dimensione affettiva nell’uomo contemporaneo

Seminario proposto dal Servizio di Consulenza per la Vita Familiare. Relatore dott. Giuseppe Rubino, psichiatra, psicoterapeuta

 

 

        Ho accettato con entusiasmo di partecipare come relatore a questo incontro perché il tema della serata lo considero rivoluzionario e profetico.

Rivoluzionario per lo spostamento del focus su aspetti dell’uomo in passato negletti, cioè il suo mondo interno, il personale, l’intimo, il non manifesto, l’inconscio e soprattutto l’affettività sempre stimata secondaria all’intelligenza. Un intimo mondo interno di cui ognuno sente l’importanza per se stesso, ma che finora non l’ha voluto e potuto proporre per se stesso e per gli altri, come se una volta contattato si volatilizzasse, perdesse di spessore e di motivazione.

 

Forse per la poca confidenza, paura della propria dinamica affettiva.

Mi pare che sia stato proprio il movimento delle donne organizzato e non a dare spinta propulsiva all’aspetto della affettività oggi, una ricerca attualmente ripresa dalle Neuroscienze e dalla Psicoanalisi contemporanea. Forse i tempi della storia sono maturi per accogliere e riconoscere questa peculiare, fondamentale e strutturante dimensione dell’uomo e dare ad essa cittadinanza e peso politico.

Questo è quello che chiamo profetico: l’affermarsi dell’affettività nell’evoluzione dell’uomo.

Da homo sapiens sapiens a homo sapiens affectus.

 

Con grande probabilità l’economia e le politiche al servizio di questo potere faranno ancora da padroni della vita dell’uomo e determineranno il corso della Storia, ma penso che anche il riflettere comunitario intorno alle tematiche del mondo interiore e una pratica di incontri affettuosi intorno al senso dell’esistere, attingendo a contributi laici e spirituali, possano portare l’uomo alla liberazione dalle proprie schiavitù, illuminandolo nel proprio impatto con la realtà. Su questa correlazione comunità-intimità, società- individuo, c’è ancora molto da pensare e molto da fare.

 

Cerchiamo ora di entrare di più nel vivo della tematica: l’affettività, che cosa è, come ci riguarda, come ci investe e che conseguenze anche immediate ci impone, una volta riconosciuta.

In questo momento io sto parlando, a voi giungono le mie parole e i contenuti  delle mie parole, a me giungono i vostri sguardi, la vostra attenzione, disattenzione, la vostra postura, atteggiamento, stanno cioè passando molte informazioni ma soprattutto stanno passando tra noi volumi di comunicazioni emotive dal piacere al dispiacere, dalla gioia alla noia.

E questi input emotivi sollecitano ulteriori pensieri, nuove domande, parziali risposte, silenzi, perplessità. Circoli virtuosi o fratture. Entrambi si depositano nella nostra mente e capite con che differenza: i circoli virtuosi promuovono elaborazione, creatività e soddisfazione; le fratture invece, incomprensioni , macchie cieche nella nostra mente.

Cioè fra noi sta  intercorrendo una interazione che è in parte informativa e in parte affettiva. E tutto questo in parte avviene con la consapevolezza e in parte assolutamente fuori di essa.

Stiamo immagazzinando molto di più di quello che immaginiamo.

E così accade in ogni relazione umana.

Detto così è tutto molto semplice.

Non è tuttavia sempre possibile accogliere e riconoscere la nostra percezione emotiva e farne tesoro nella comunicazione con l’altro. Oh, se si riuscisse a fare costantemente questo! Se le prime figure significative della nostra vita ci educassero a questa relazione affettiva! Pensate alla scuola: il ragazzo è intelligente, potrebbe fare, ma non c’è, si distrae o pensa ad altro.

Io dico: che sia intrippato con i suoi buchi affettivi? Con le macchie cieche? Ma perché la scuola per es. non ne deve tenere conto nel suo programma educativo?

Rispondo convenzionalmente: perché l’affettività è una componente secondaria dell’uomo, almeno dell’uomo occidentale.

La scuola! Quante parole sganciate dal sentire della persona. Simboli che hanno perso la loro pregnante rappresentazione della realtà, interna ed esterna.

Che cosa si intende per formazione della persona? Può esistere un sapere senza un veicolo affettivo? Le informazioni impartite dagli insegnanti e ancor prima dai genitori, come vengono fatte proprie? Come si radicano nelle fondamenta della persona?

Incominciamo a intravedere come nella costruzione della identità della persona sia determinante la dimensione affettiva. E come essa sia costantemente operativa in ogni momento. Le cose che stanno accadendo qui in questo momento saranno più o meno feconde nella misura in cui riusciamo a incontraci, a mettere insieme le nostre parole e i nostri affetti. E la stessa forma di questo nostro incontro serale dovrebbe favorire questo processo. Dovremmo conformarci in modo tale che tra il relatore e l’ascoltatore passi come dire un fiume d’acqua nel quale siano convogliati parole e sentimenti in modo da bagnare e alimentare l’uno e l’altro. Quindi vi prego fermatemi  e ponete domande “a quel modo che ditta dentro”.

Sto cercando insomma di focalizzare un modello interattivo ideale in cui le persone possano crescere in sapere e serenità, da auspicare in un contesto familiare, scolastico, sociale.

Mi viene in mente il film di Olmi in cui il protagonista prof. individua nel contatto fra gli uomini semplici e nella comunicazione affettiva le coordinate principali della vita inchiodando la parola scritta, inaridita e staccata dalla realtà umana, sui pavimenti di un museo. Un tentativo di incontro con l’autenticità e verità dell’uomo. Un percorso che si nutre di piccole cose, di sguardi, di cibo, di mani, di carezze, di contatti.

Un percorso che sembra indicare la sola salvezza possibile per l’uomo: la fratellanza.

 

Già la fratellanza concetto e pratica non solo evangelico ma antropologico connesso alla psicogenesi dell’uomo. Mi spiego: non è una peculiare fratellanza, estesa ed intensa, il rapporto tra mamma e bambino? Al di là della parola usata che cosa passa tra la mamma e il bambino?

Uno scambio, gratuito, reciprocamente fruttuoso, di alimenti, di sensazioni e di affetti. Beh, in quel primordiale incontro a cui partecipa anche il terzo, il padre, non si pone il nocciolo del futuro mutuo soccorso? Della solidarietà civile?

Ecco io sto parlando dell’affettività, dei sentimenti, delle emozioni che già sono scambiati ai primordi della vita, di cui non ne avevi coscienza allora, non ne hai il ricordo ora, ma ne hai la memoria sempre.

E così questo bagaglio storico emotivo lo possiamo esprimere nel corpo, nell’atteggiamento, nel comportamento, nello stile della nostra persona. Quello che succede nei primi giorni di vita rimane in dote per il resto della vita e continuamente viene giocato nelle quotidiane relazioni.

Non può esservi una vera comprensione umana se non facciamo entrare nel linguaggio, nelle parole stesse la musicalità delle emozioni e degli affetti, che può andare dal polo più impulsivo (ma che cavolo dici) al polo più rielaborativo ( le sue argomentazioni mi sembrano noiose).

Per quello dicevo all’inizio del discorso che il tema dell’affettività è rivoluzionario nel senso di incominciare  già da adesso ad immettere nelle parole, nei discorsi, nelle comunicazioni il mondo delle proprie emozioni, del proprio sentire, quel mondo affettivo insomma che oscilla tra la polarità dell’amore e la polarità dell’odio.

E a questo punto diamo il benvenuto ai tanto attesi protagonisti della vita affettiva: amore e odio.

Ora è proprio il caso che io mi fermi e ascolti.

Quello che noi chiamiamo amore è il risultato affettivo giammai costante della finissima interazione avvenuta ai primordi della nostra vita.

Una madre sufficientemente buona, un padre sufficientemente presente, una dotazione genetica del bambino sufficientemente espressiva ovvero una sufficiente soglia di scarica dell’affettività (come dire la sensibilità congenita del bambino) un contesto ambientale sufficientemente ospitale, sono condizioni prognostiche sufficientemente predittive per il dispiegarsi nella vita futura del bambino del sentimento dell’amore.

Dietro al termine sufficiente cogliamo il problema di una iper o ipo situazione che possono danneggiare l’amore. Quello che per il maestro yoga è l’amore egoistico, vedi nella locandina dell’invito serale, per noi occidentali con radici nella cultura greca è il Narcisismo. Dietro la iperstimolazione affettiva del bambino può esserci il nostro Narcisismo, la grandiosità autoreferenziale, che può esageratamente incrementare le ambizioni del figlio e spingerlo  verso alte e illusorie prestazioni. La gara che il bambino può intraprendere con la propria grandiosità può esporlo a cocenti delusioni o a rabbie gigantesche. Viceversa  una ipostimolazione affettiva da parte di genitori non empatici, poveri di proposte affettive provocheranno nel bambino uno stato di non rapporto che lo porterà a un isolamento rancoroso.

Sia l’ipo che l’iper stimolazione affettiva concorrono a formare questo profilo di personalità narcisista cioè un individuo arroccato nella propria fortezza, illusoriamente autosufficiente, necessariamente appiattito su circuiti del piacere, modello stimolo-risposta, incapace di scambi e di relazioni se non in regime di proprio profitto, incapace di immaginare il futuro. Questi aspetti narcisisti si celano dietro una facciata di assoluta normalità che può improvvisamente svelare il nucleo di grave sofferenza.

Quindi sia la qualità che la quantità degli scambi affettivi nelle relazioni primarie andranno a costituire la struttura della futura personalità.

 

L’altro principale protagonista della dinamica affettiva è l’odio. Questo sentimento è derivato dalla dimensione aggressiva. Ancora si ricerca quanto in essa vi è di istintuale e quanto di reattivo a interazioni frustranti. Comunque sia già nelle prime fasi dei rapporti familiari è presente questo sentimento che si esprime soprattutto nelle forme dell’invidia e della rabbia.

Il messaggio da lanciare e da riconoscere  è di non avere paura del proprio odio, né nel contesto familiare, né in altri contesti. L’importante è riconoscerlo e avviare al nostro interno un processo di rielaborazione e trasformazione. Peggio è far finta che i sentimenti aggressivi non esistano in noi. Questi sentimenti aggressivi sono una preziosa indicazione dei nostri limiti, ci avvertono della presenza del male nel mondo, preludio della malattia, del finito e della morte. Non è pessimismo, ma educazione alla realtà per noi stessi e per i nostri figli. Ricordo di Anatomia Patologica.

 

Considerazioni su  “Ama il prossimo tuo come te stesso”.

Compito dei genitori è quello di comprendere, cioè mettere insieme, accogliere, ed elaborare con il bambino tutti gli affetti dall’amore all’odio, presenti nella relazione in modo che egli possa sentirsi individuo e poi persona.

Persona: etimologicamente maschera. Cioè l’uomo è tale se può coprirsi il volto, se ha una immagine di sé separata dal mondo esterno e dal mondo interno, se si può attribuire una capacità di distinguere quello che è fuori e quello che è dentro. Di mostrare quello che gli va di mostrare e di nascondere quello che gli va di nascondere.

Maschera allora come apparato figurale prezioso per l’identità. Se non c’è questa funzione, c’è dispersione, diffusione dell’identità e confusione fra dentro e fuori, fra alto e basso, fra bello e brutto, impossibilità nella ricerca del senso delle cose.

Quando il processo della elaborazione affettiva, della costruzione della maschera, cioè della persona viene disturbato abbiamo violenza. E noi, come genitori, insegnanti, potremmo involontariamente   causare violenza? Su questo dovremmo avviare una riflessione permanente per primi, proprio perché adulti e con un apparato figurale più stabile. Non colpa ma responsabilità.

A me pare che oggi l’apparato figurale degli uomini sia più instabile e meno definito. Questo vale per adulti, giovani e adolescenti. Le frontiere della persona e fra le persone stanno saltando, determinando un tale stato di allarme da non sapere più chi siamo.

Come non vedere per es. nel fenomeno del bullismo un vuoto di identità, colmato da una pratica dell’eccesso, la quale è sostenuta da modelli televisivi e mediatici che alla lunga producono inaridimento della vita interiore, desertificazione della vita emozionale , inevitabile violenza?

Dalla cultura della colpa e della obbedienza a cui siamo stati condannati alla cultura dell’eccesso e della frammentazione del limite che ci sta opprimendo.

Genitori e insegnanti non sanno più come far fronte a figli e alunni. Questi rischiano di precludersi l’accesso al percorso della libertà e della felicità.

La felicità è una esperienza emozionale che ogni uomo può avere fatto, ma non è duratura. Anche Sant’Agostino parla di felicità come attimo (raptium quasi per transitum ). La felicità è un percorso che riguarda essenzialmente la conoscenza di sé attraverso la quale modulare l’infelicità espressione delle dimensioni negative della personalità, negative sia per eccesso che per difetto, negative come conseguenza della ipo- iper stimolazione avvenute nel corso delle interazioni.

La felicità in questa prospettiva appare come uno stato della mente, una visione del mondo che permette di tollerare le inevitabili frustrazioni, delusioni, dissonanze della realtà, uno stile di vita in cui si possa realizzare una buona sintonizzazione affettiva, emozionale e cognitiva con il mondo.

 

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