Difficoltà educative nei casi di separazione o divorzio

Difficoltà educative nei casi di separazione o divorzio

Una delle cause più rilevanti di assenza genitoriale è data dalla separazione e dal divorzio.

Il numero delle coppie che si separano o divorziano in tutto il mondo occidentale è in continuo, costante aumento. In Italia l’introduzione nel 1970 dell’istituto del divorzio, ha provocato un modo diverso di vedere e di affrontare il matrimonio e le crisi coniugali.

           Il legame matrimoniale si è trasformato, agli occhi e nell’animo di molti, da legame perenne, fonte di sicurezza, solidarietà e impegno, a legame temporaneo da cui ci si può sciogliere facilmente e unilateralmente. Naturalmente per fare ciò è necessario superare il problema educativo dei figli, ma a questo pensano studiosi compiacenti che cercano di dimostrare, arrampicandosi sugli specchi, che i figli dei divorziati non subiscono poi un gran danno dalla rottura del matrimonio o che in ogni modo è meglio vivere lontani da un genitore che vivere in una famiglia conflittuale.        

Per tale motivo il matrimonio viene sempre di più visto come un gravoso optional di un rapporto a due, in quanto gravato da minacce, da stress psicologico, economico o legale, più che come la realizzazione di un progetto agognato, una meta da raggiungere e vivere serenamente e pienamente, per cui, se nascono dissidi nella vita matrimoniale, non si cerca di affrontarli e risolverli, anche con molto sacrificio del proprio Io, ma si tende a gettare la spugna e quindi a separarsi.

         Le leggi che si sono succedute negli anni, le quali, in qualche modo, hanno interessato la coppia e la famiglia, non hanno fatto altro che peggiorare, e di molto, il clima familiare e l’intesa tra i coniugi. “ Tra moglie e marito non mettere il dito.” Questo detto popolare dovrebbe valere soprattutto per il legislatore e per la magistratura.

         L’istituto del divorzio, ad esempio, ha modificato in maniera notevole il concetto di separazione dei coniugi. Questa è vista non più come “…una pausa di riflessione consentita ai coniugi in difficoltà, per correggere comportamenti ed atteggiamenti pregiudizievoli alla prosecuzione della convivenza, bensì una fase intermedia del rapporto coniugale, spesso compromesso e proiettato verso lo scioglimento definitivo.”[1]  Cambia la prospettiva stessa della famiglia e del matrimonio, il quale viene inteso non più come uno strumento per far crescere nel modo migliore le future generazioni, ma come uno dei tanti modi in cui la coppia può vivere e amarsi.  Una realtà in cui l’individuo può realizzare se stesso e i propri bisogni. Ciò che ci si aspetta dal matrimonio è il raggiungimento di un’elevata felicità personale, mentre si trascurano gli obblighi nei confronti dei figli e della società.

Affidamento dei figli.

Per consuetudine giuridica, i figli sono affidati in Italia alla madre (nel 2002 nell’82,7%) Questo affidamento è legato all’uso dell’appartamento comune. Recita, infatti, l’art. 155 c.c. “L’abitazione della casa familiare spetta di preferenza e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli…” Ciò comporta, spesso, un grave disagio e un cocente senso di ingiustizia, per l’altro coniuge, costretto a uscire, a volte, dall’abitazione che con tanti sacrifici aveva contribuito a creare.

I motivi sono noti: la madre viene vista come la persona più idonea a curare, seguire, educare i figli, in quanto viene evidenziato nella femminilità quel particolare carisma capace di instaurare un miglior dialogo con il bambino e una migliore comprensione e realizzazione dei suoi bisogni. La madre, quindi, in quanto tale, è giudicata come il coniuge più adatto a seguire e educare un bambino, specie nei primi anni della sua vita. Ciò, come vedremo, è solo in parte vero se si tiene conto delle capacità nell’allevamento e nell’accudimento; invece, per quanto riguarda le regole, le norme e linee educative, l’apporto paterno in tutte le età e specialmente nell’età adolescenziale è fondamentale.  In questo momento però non è di questo che vorremmo discutere ma delle conseguenze di queste scelte giuridiche.

Il rischio è che, da parte della donna, discenda un pensiero consequenziale: “Potrò separarmi tranquillamente in quanto il giudice quasi sicuramente mi farà dare un assegno di mantenimento, mi affiderà i figli e mi permetterà di continuare a vivere nella casa dove già abito, utilizzando tutti i mobili e gli arredi che contiene, senza nulla perdere, se non un ingombrante marito.” Quest’ipotetico pensiero c’è il rischio che corrisponda spesso alla realtà se lo colleghiamo ad un altro dato statistico, il quale evidenzia il fatto che sono soprattutto le donne a chiedere la separazione ed il divorzio.

Da parte dell’uomo il discorso potrà essere diverso ma altrettanto distruttivo: “La legge riconosce l’importanza primaria della donna nell’educazione dei figli, per cui, se mi separo, perderò quasi sicuramente i miei figli, la casa dove abito, i mobili, gli arredi e una parte del reddito che dovrò dare alla mia ex come assegno di mantenimento, in compenso non dovrò più occuparmi della salute e dell’educazione dei bambini, in quanto sono le donne e le madri che si occupano di queste cose. Io potrò tranquillamente pensare ad un nuovo amore ed a nuovi rapporti affettivi”; infatti, nell’80% dei casi, l’uomo riesce a trovare un altro legame e “…il 21% di loro (dei padri) vede i figli meno di una volta al mese a due anni dalla separazione. E tale percentuale sale con il passare degli anni rompendo dolorosamente i rapporti padre-figli.”[2]  

Abbiamo cercato di tradurre anche se in modo molto rude e grossolano, ma pensiamo molto vicino alla realtà, il pensiero più probabile dell’uno e dell’altro coniuge, solo per evidenziare come certe prassi giurisprudenziali possono portare a conseguenze sicuramente non volute, ma psicologicamente prevedibili. E’ per tale motivo che vi sono numerose istanze da parte non solo delle associazioni degli uomini separati, ma anche da parte di associazioni cattoliche, che hanno a cuore il futuro delle famiglie e delle nuove generazioni, affinché tale prassi cambi sostanzialmente.

Si vuole che in queste tristi situazioni si esaminino con accuratezza le reali possibilità e capacità educative dell’uno e dell’altro coniuge. Soprattutto si tenga conto delle reali necessità del bambino ad avere non uno ma due genitori educandi, quindi si attui, per quanto possibile, un affidamento congiunto.

L’affidare ad entrambi i genitori la cura e l’educazione del bambino così come si profila nella nuova legge, sicuramente non risolverà tutti i problemi educativi, in quanto persisteranno molti dei problemi di cui parleremo. In compenso, questo atteggiamento, potrebbe dare ai genitori un segnale ben preciso: i figli hanno dei diritti che travalicano le problematiche, le scelte e i bisogni individuali e personali dei loro genitori. Una nuova formulazione dovrebbe portare, se non altro, ad una maggiore responsabilità da parte di tutti.

Il padre separato.

Chi è il padre separato?

Può essere un uomo che in solitudine lecca le ferite ricevute nel matrimonio, soprattutto negli ultimi periodi che hanno preceduto la separazione. Periodi questi ritenuti dagli psicologi tra i più tesi, stressanti e drammatici che un individuo può subire durante tutta la sua vita (nel punteggio degli stress al primo posto vi è la morte del coniuge, al secondo il divorzio, al terzo la separazione coniugale). Quest’uomo spesso cerca una rivincita che lo compensi, in qualche modo, della sofferenza subita.

Può essere lo sposato, finalmente di nuovo scapolo, che approfitta della sua ritrovata posizione e della nuova condizione di libertà per fare nuove conquiste, trascurando la famiglia d’origine che avverte carica di tensione e aggressività verso di lui.

Altre volte è il padre affettuoso che cerca la continuità nel rapporto con i figli, che si lega con altri padri in associazioni per rivendicare il diritto alla paternità, all’affidamento e all’educazione della prole.

 In rari casi, per fortuna, potrebbe essere il padre disperato che, pur di non concedere l’amore e l’educazione dei figli alla moglie, preferisce uccidere questa e togliersi la vita.

Ancora può essere l’amante che spera in un riavvicinamento della propria compagna. Ascolta e interpreta, a volte in maniera ottimistica, ogni telefonata o sguardo che possa essere interpretato come il rinascere di un sentimento d’amore, la scintilla di una nuova e ritrovata passione.

Al contrario potrà vestire i panni dell’amante deluso che cerca in tutti i modi di vendicare i torti e le angherie subite da parte della sua ex compagna anche mediante l’uso della violenza.

Può essere un uomo che esclude ogni rapporto affettivo con una donna o, al contrario, che cerca in un altro essere femminile ciò che non ha trovato nella prima moglie: una presenza, un affetto, una compagnia, un amore.

La madre separata.

Anche la donna separata può vivere molte delle realtà maschili che abbiamo descritto ma, poiché si sente dalla legge economicamente protetta e più appagata nel suo ruolo di madre che, a differenza del padre, in giudizio non le viene quasi mai negato, raramente arriva ad atti inconsulti.

Il suo vissuto si caratterizza soprattutto, per un legame più stabile e continuativo con i figli che le sono affidati. Legame che però difficilmente riesce a vivere in maniera serena e produttiva. 

Per difficoltà intrinseche al suo essere femminile, senza l’apporto di un uomo ha difficoltà ad essere guida serena, equilibrata e lineare per i figli.

In quanto coinvolta anche lei in una spirale fatta d’aggressività, di difese e di sospetti non riesce a garantire loro un minimo di serenità ed equilibrio.

Bisognosa di un appoggio morale e materiale, è portata molto spesso ad essere riassorbita nella casa paterna, regredendo di nuovo al ruolo di figlia. Infine, poiché più coinvolta nel ruolo di madre, più raramente dell’uomo riesce a trovare con un nuovo compagno un sano e sereno rapporto affettivo.

Difficoltà educative nei separati e divorziati

Il mondo del bambino inizialmente è limitato alla propria casa e ai propri genitori, per tale motivo è diverso dal mondo degli adulti che è ampio, perché fatto di numerosi e complessi rapporti familiari, amicali, professionali e di mille conoscenze. Compito degli adulti dovrebbe essere pertanto quello di dargli un mondo pacifico anche se non dell’Eden; invece, quando avverte tra loro conflitto, freddezza, aggressività, tutto il suo essere è pervaso, sconvolto e squassato dal conflitto, dall’aggressività, dalla tensione; pertanto ogni disturbo della relazione dovrebbe essere ”curato” o con l’aiuto di persone mature e responsabili o mediante specialisti nella terapia della coppia e della relazione.

D’altra parte, anche quando la separazione è già avvenuta, le conseguenze e le tensioni non diminuiscono di molto. Per tutti questi motivi, nel caso di separazione o di divorzio, è raro che entrambi i genitori riescano a seguire e curare l’educazione e la crescita dei figli in maniera adeguata, a causa della mancanza di stima, affetto, apertura e disponibilità reciproca e a motivo della perdita d’autorevolezza. Inoltre, lo scontro tra i genitori, che spesso si trasforma in guerra aperta, coinvolge anche i figli che sono costretti a schierarsi con l’uno o con l’altro.

In genere questi tenderanno ad allearsi con il genitore al quale sono stati affidati, in quanto  è il genitore più vicino, quello che li cura di più, ma anche quello che ha tutta la possibilità di parlare male dell’altro, senza che quest’ultimo possa difendersi.

    Lo schierarsi, porta inevitabilmente ad una perdita di stima e quindi di autorevolezza nei confronti del genitore avvertito come colpevole. A sua volta, quest’ultimo, non sentendosi più amato e rispettato, tenderà a rispondere con altrettanta acredine o con freddezza.

Il rapporto genitori – figli, pertanto, si deteriora rapidamente, e molto spesso anche definitivamente.

         Da ciò nasce quella “lacerazione interna” di cui parlano i figli dei separati o divorziati.  Lacerazione in quanto, ogni figlio vorrebbe apprezzare e amare entrambi i genitori.

Dalla lacerazione discende il frequente vissuto di colpa.

Non è raro, come conseguenza di quanto abbiamo detto, il rifiuto del figlio di restare anche per poche ore con il genitore non affidatario, sia per sfuggire al senso di colpa e alla tensione interiore, sia per l’acredine reciproca, che spezza rapidamente i legami affettivi preesistenti.

Più raramente, specie nel periodo adolescenziale, con la fine della fase edipica, può accadere che il genitore accusato, diventi quello con cui il figlio convive. Ciò è facilitato dall’atteggiamento polemico e contestatore caratteristico di quest’età e dalla necessità, da parte del genitore affidatario, d’interventi educativi tendenti a limitare o reprimere i comportamenti e gli atteggiamenti più problematici.

L’adolescente tenderà allora a manifestare aggressività, irritabilità ed atteggiamento dispettoso ed irrispettoso nei confronti del genitore che si cura di lui e che vorrebbe, anche per questo, tutta la sua solidarietà e comprensione. La risposta di quest’ultimo, a tali accuse ed aggressività che ritiene assolutamente illegittime ed ingiuste, scatena spesso altrettanta aggressività e rifiuto verso il figlio ritenuto immeritevole di tanti sacrifici.

Manca spesso inoltre, in queste situazioni, un dialogo efficace.

Questo, che dovrebbe essere continuo e spontaneo, è limitato per il genitore non affidatario alle poche ore settimanali concesse dal giudice, spesso in un clima di sospetto e diffidenza reciproca. Per il genitore affidatario, invece, la difficoltà nasce soprattutto dalla carenza di una figura che l’aiuti, l’accompagni, e lo collabori nell’attività educativa, ma anche dall’essere costretto ad assumere un doppio ruolo, maschile e femminile, di padre e di madre. 

Inoltre, per accaparrarsi l’amore del figlio conteso, è frequente la tendenza, in entrambi i coniugi, ad essere più permissivi di quanto si sarebbe voluto e si dovrebbe; come conseguenza di ciò si ha, nei figli, una frequente presenza di comportamenti capricciosi ed infantili.

E’ nota, inoltre, l’utilizzazione di questi con lo scopo di aggredire l’altro coniuge. Tale aggressività e bisogno di vendetta possono durare molti anni: se c’è qualcosa di duraturo nella coppia separata o divorziata è la loro reciproca aggressività, capace di durare per tutta la vita. I figli sono spesso utilizzati come arma impropria per minacciare, colpire, sfruttare, assoggettare, difendersi dall’ex marito o moglie. Nel momento della separazione, frequentemente, ognuno dei coniugi cerca di togliere qualcosa all’altro, di ferire, sminuire e far del male all’altro. Da ciò la frase abusata, ma vera, che “i genitori separati litigano a colpi di bambino”, cioè utilizzano il bambino per farsi del male.

Le minacce sono spesso del tipo: “Se non mi dai più soldi non ti faccio vedere i figli.” “Se mi chiedi troppo, ti tolgo il figlio più amato” ecc.. I minori spesso avvertono di essere usati come arma o mezzo di scambio e ricatto per cui la stima nei confronti dei genitori, intesi come adulti responsabili, forti, equilibrati, fonte di sicurezza, serenità e amore, non può che risultare gravemente compromessa.

Il coinvolgimento dei parenti e degli amici, nei casi di separazione o di divorzio, è frequente. Anche loro, vuoi spontaneamente, vuoi perché trascinati nella contesa, si sentono moralmente costretti a schierarsi, dividendosi per l’uno o l’altro fronte. Con ciò, alimentando e accentuando gli elementi di rottura ed inimicizia, privando così, sia l’uno che l’altro coniuge, dell’apporto amicale.

Ricco poi di complesse problematiche interiori è, per i figli, l’accettare la presenza di un’altra persona accanto al proprio padre o alla madre.

E’ molto facile, infatti, che la solitudine, il bisogno di dialogo, di affetto e di una vita sessuale normale, spinga alla ricerca di un nuovo partner. Ciò disturba notevolmente l’immagine che ogni figlio tende a farsi dei propri genitori e della propria famiglia. Il genitore per i figli è circondato da un alone di serietà e purezza particolare. Un padre non si fidanza: lo ha già fatto una volta con la mamma e basta. Non corteggia, non s’innamora, non ha rapporti sessuali, non si sposa con altre donne. Per il figlio queste realtà possono solo riguardare il passato, ma non il presente. Nel suo immaginario i rapporti sessuali sono accettati già con molta difficoltà solo nei confronti della propria madre o padre, con estranei sono visti e giudicati come una cosa impudica e sconcia.

Tra l’altro, oggi, vi è la tendenza, da parte di genitori sempre più infantili, di far partecipare i figli delle proprie esperienze amorose. Per cui, mentre prima l’amante era presentato come un amico, fino a pochi mesi prima del matrimonio, oggi i figli sono costretti a partecipare a tutta la vita amorosa e sessuale dei genitori. Da ciò un accentuarsi del disagio interiore e del giudizio negativo verso di loro e gli adulti in genere.[3]  

Anche in questo caso si prospetta, come risolutore del problema, “l’adattamento.” Si dice: “I figli, come i coniugi, si devono adattare alla nuova situazione.” Ma a quale prezzo? Vale, anche in questo caso ciò che abbiamo detto prima sull’adattamento.

Con il nuovo matrimonio o convivenza vi è l’inserimento di nuove figure che si pongono come paterne o materne.

Se si tengono in giusto conto le caratteristiche così particolari di unicità, globalità, indissolubilità del rapporto genitore – figlio, si comprenderà bene come l’inserimento di figure che dovrebbero aggiungersi o sostituire quelle che lui conosce e che si sono profondamente radicate nel suo animo, sia traumatico e fonte di conflittualità interiore notevole. Spesso quest’inserimento porta a dei giudizi severi da parte dei figli: “Perché lo ha fatto, forse io non gli/le bastavo?”

Il nuovo compagno difficilmente sarà accettato pienamente e quindi non potrà avere, nei confronti dei figli non propri, quella dignità, quell’autorità e responsabilità che sono appannaggio del vero genitore.

Se poi, come spesso avviene, con il nuovo matrimonio si aggiungono anche altri figli di precedenti unioni, le dinamiche relazionali si complicano ulteriormente. Questi, infatti, sono portatori non solo di un diverso patrimonio genetico e un diverso cognome, ma anche di diverse esperienze educative. Portano, nella nuova famiglia, tutta una rete di dinamiche affettive e relazionali che è difficile gestire in maniera corretta. I rapporti tra fratelli sono molto conflittuali per loro natura. Questa conflittualità non può che aumentare nelle famiglie così dette “allargate o multiple”, giacché le diverse appartenenze dei fratellastri accentuano le gelosie, le invidie, le rivalità.

Diminuisce quindi il senso di appartenenza familiare e il grado di sicurezza ed integrità nei confronti del mondo esterno.

Si sono paragonate questo tipo di famiglie alle parentele spirituali dei padrini e delle madrine o alle famiglie patriarcali. Nulla di meno vero di questo. Le famiglie patriarcali avevano dei saldi e inequivocabili legami di stile educativo e di sangue, che le tenevano unite attorno all’anziano patriarca, cosa che manca completamente in questo tipo di unioni, nelle quali l’elemento disgregante è prevalente ed i genitori non solo non hanno il carisma del patriarca, ma somigliano piuttosto a dei giovani naufraghi in cerca di una tavola su cui aggrapparsi. Né si possono paragonare alle parentele spirituali date dalle madrine e dai padrini, poiché queste nascono da scelte, operate dai genitori, di persone che s’impegnano a restare vicini ai minori nei loro bisogni spirituali. Quindi sono persone di aiuto e supporto ad una famiglia chiaramente definita e stabile nella sua composizione.

Molto spesso i conflitti si evidenziano già prima che si sia formato un nuovo vincolo. Alcuni figli lottano per restare con i nonni o altri parenti. Altri preferiscono defilarsi dalla nuova situazione vivendo da soli, piuttosto che con il nuovo patrigno o matrigna o con gli altri fratellastri. Il nuovo venuto, ed i suoi parenti, sono visti come figure minacciose pronte a sottrarre loro il vero genitore o come ladri desiderosi di rubare loro il suo affetto.

In molti casi il nuovo fidanzato o la nuova fidanzata, i loro figli ed i loro parenti sono vissuti come persone che sconvolgeranno un equilibrio interiore che con tanta fatica erano riusciti ad conquistare.

Altri figli infine, pur rimanendo in apparenza nel nuovo nucleo familiare cercano e trovano all’esterno, nel branco, negli amici, nei coetanei o in qualche altro adulto, quella serenità, continuità e stabilità che ogni minore desidera ardentemente.

La presenza nella stessa casa di persone che non presentano lo stesso patrimonio genetico, nuovi genitori, fratellastri, sorellastre, fa aumentare il rischio di promiscuità, violenze sessuali ed incesto, all’interno della famiglia.

I figli dei separati e dei divorziati, in ogni caso, sono costretti a farsi carico di responsabilità eccessive e sproporzionate, spesso non gestibili in maniera efficace e serena. Ciò in quanto, il genitore che è rimasto solo a dover affrontare i mille nuovi problemi di sopravvivenza e per giunta in un clima di conflittualità, facilmente avverte il bisogno d’appoggiarsi all’affetto e al consiglio del figlio per far fronte ad un futuro incerto ed oscuro; tenderà, allora a trattare il figlio come se fosse un sostituto dell’ex coniuge. Ciò spinge il minore ad assumere il ruolo di capofamiglia e di confidente dei problemi economici o sentimentali del genitore.[4] 

D’altra parte il figlio, venendo a contatto con l’infelicità genitoriale, è obbligato a diventare precocemente adulto per sostenere e rassicurare il proprio genitore –bambino.

Questi avvenimenti segnano per sempre in modo negativo lo stato psichico dei minori.

Conseguenze psicologiche.

Più aumenta il numero delle persone con immaturità, o con disturbi psichici, più si deteriora il tessuto sociale attuale, mentre viene compromesso il futuro stesso della società.

Le conseguenze psicologiche di quanto abbiamo detto possono essere, nei minori di famiglie separate o divorziate, molto gravi e numerose. L. Cian evidenzia: “ …la presenza di carenze affettive, la mancanza di equilibrio e di formazione di una identità personale stabile (la cosa sembra più grave se vi è differenza di sesso fra il genitore affidatario ed il bambino), sensibili deficit cognitivi nell’apprendimento, minore efficacia nell’interiorizzazione dei modelli normativi, solitudine, depressione, difficoltà a mettersi in relazione, più elevato rischio di comportamenti devianti, maturazione precoce in qualche modo forzata (specie se il genitore affidatario è molto assente dal nucleo familiare).”[5]

Lo stesso autore evidenzia che a scuola gli insegnanti constatano in questi bambini di genitori separati “ tristezza, depressione, condotte asociali o antisociali, pigrizia e mancanza d’impegno, fenomeni d’autocolpevolizzazione rispetto alla separazione dei genitori.”[6]

Altri autori evidenziano: ansia per il futuro, solitudine, confusione, depressione, aggressività, disturbi dell’apprendimento e del comportamento, senso di perdita e del lutto. Più grave quando vi è un figlio unico che quando vi sono più fratelli e sorelle.[7] 

“ Per un bambino è inconcepibile vivere separato dalla propria famiglia, poiché in quell’ambiente trova le radici del suo esistere, il significato della sua appartenenza, il senso del divenire persona adulta.”[8]

 Ciò evidentemente aggrava, in maniera esponenziale, le problematiche della comunità in quanto più aumenta il numero delle persone con immaturità, o con disturbi psichici, più si deteriora il tessuto sociale attuale, mentre viene compromesso il futuro stesso della società.

Nel caso dell’adolescente è facile che tenda a cercare al di fuori della famiglia e dell’ambiente di vita, quella serenità, quelle attenzioni, quella gioia di cui è stato privato, purtroppo, a volte, affidandosi ad altri giovani o adulti che non solo non sono in grado di dare un aiuto efficace, ma tendono a proporre comportamenti e stili di vita gravemente a rischio.

Si è cercato di quantificare il rischio corso dai figli di genitori separati, il cui padre è assente sul piano educativo e si è visto che è triplo il rischio di difficoltà scolastiche e nella socializzazione; doppio il rischio per quanto riguarda il subire violenze, abusi, l’uso di droghe, di fumo e d’alcool.


[1] S. Arena, La famiglia in tribunale, Giuffrè editore, 1998, p.3.

[2] M. Blangiardo, Essere genitore quando…?, Famiglia oggi,  AnnoXXVI, 3, marzo 2003, p.25.

[3] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 97.

[4] P. Lombardo, Crescere  per educare, Edizioni dell’aurora, 1994, p. 94-95.

[5] L. Cian, Educhiamo i giovani d’oggi come Don Bosco, Editrice ELLE DI CI – Torino, 1989, p. 127

[6] L. Cian, idem.

[7] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 99

[8] P. Lombardo, Educare ai valori, Edizioni Vita Nuova, 1997, p. 89.

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