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Possibilità e limiti di Doctor Google
Google è il sito web più visitato al mondo, nel solo dominio web italiano, nel 2022, ha totalizzato in media circa 158 milioni di visite. Molti pazienti prima o dopo una visita specialistica lo consultano è si presentano al medico spesso condizionati da quanto letto. Per questo i mediatori tradizionali della informazione e della comunicazione tendono a perdere il loro ruolo a vantaggio delle piattaforme digitali. Lo strumento digitale non può sostituire la relazione diretta con il medico, ciò sarebbe la disumanizzazione della cura, può solo integrarla, quando necessario, in modo utile. La fiducia e l’empatia infatti si stabiliscono con l’incontro personale. Le tecnologie digitali, importantissime, devono essere costruite con in mente il rapporto umano e la premessa è che il paziente deve avere dimestichezza con il mezzo tecnologico ed il medico, non escluso, deve sviluppare una sensibilità nuova.
Durante il periodo più critico della pandemia Covid-19 il web è stato fondamentale per migliorare l’assistenza ai pazienti a domicilio, in località remote, emarginati e cronici. Sono utilissime applicazioni che permetta di controllare a distanza lo stato di salute e l’effetto della terapia, si sincronizzano con i dispositivi indossabili che registrano glicemia, elettrocardiogramma, pressione arteriosa, ecc. e permettono di rimanere in contatto 24/7 con il medico. Molte le patologie, per lo più croniche e complesse, che possono essere così meglio monitorate, si va dal diabete di tipo I, ai disturbi psichici, alle lesioni dermatologiche, all’obesità, alle artropatie, all’ipertensione ecc. Si può seguire a distanza una ferita chirurgica che fatica a cicatrizzare. Utilissimo nelle urgenze, ne traggono benefici in particolare pazienti che abitano località senza risorse specialistiche o che hanno difficoltà di spostamenti.
Con Google trasmetto alle mie pazienti istruzioni e aggiornate informazioni sulle loro patologie. Tengo sul desktop del mio computer la dieta per le gravide con iperemesi e per quelle in sovrappeso, una brochure che spiega meglio delle mie parole l’utilità della vaccinazione HPV, il significato delle atipie cellulari riscontrate con il Pap-test, in gravidanza l’opuscolo del Ministero della Salute sullo screening delle anomalie cromosomiche mediante il DNA fetale presente nel sangue materno (NIPT), ecc.
Accediamo allo spazio digitale tramite: – Smartphone – Computer – Tablet – Smartwatch ma per comunicazioni complesse è meglio utilizzare l’email. Lo spazio digitale è alwaysconnect. Fondamentale il sicuro riconoscimento di “quel paziente” tra i tanti che accedono al nostro ambulatorio. Il mio metodo dopo ogni visita si basa nello scrivere una sintesi della storia clinica, sintomi, visita, ecografie e cure. Il paziente che mi interpella nel web, mi invia oltre a specifiche richieste o esami copia di questa sintesi.
WhatsApp è usatissimo nella relazione con i pazienti. Finita una visita abitualmente do loro indicazioni per farlo. E’ utilizzato dall’83% della popolazione italiana. È un comodo servizio di messaggistica che consente anche di fare telefonate e videochiamate utilizzando la rete e di eseguire televisite.
Messenger è il sistema di messaggistica del social network Facebook. Consente di fare chiamate audio e video, di creare gruppi in cui tutti possono parlare/scrivere/inviare file; si tratta di vere e proprie chat di gruppo. Consente di inviare allegati: audio, video, PDF. Si può utilizzare da smartphone, tablet e pc. Viene utilizzato dal 57% della popolazione italiana. Permette anche di fare videochiamate da computer a computer oppure da computer a smartphone. Si può comunicare anche con persone di cui non si possiede il numero di telefono.
Vanno orientati i pazienti che cercano informazioni in internet. In Italia non esiste un organismo che valuta le applicazioni per la salute. Bisogna conoscere come funziona Google. Conoscere qual’è la gerarchia delle informazioni che il motore di ricerca offre. Inoltre, come rispondere ai pazienti quando si presentano in visita con un pacco cartaceo di risorse digitali trovate su Google? Spesso infatti il paziente si presenta dal medico con una serie di opinioni già definite, e reperite in rete, su diagnosi, prognosi, terapia e farmaci da assumere.
Bisogna conoscere che l’autorevolezza delle informazioni fornite da Google non è sempre “scientifica”.
Se introduciamo una parola chiave (keyword) le pagine che possiamo leggere dipendono da questa parola. Ad esempio, se il messaggio inviato è negativo, “complicanze dei vaccini” ad esempio, le risposte negative si moltiplicano, si acquisisce una visione totalmente parziale ed è molto più facile trovare informazioni fuorvianti e inaffidabili. Introducendo una keyword giusta, l’ordine in cui compaiono le pagine dipende poi da quanti link puntano a quella determinata parola. Quindi: più citazioni in forma di link una pagina ottiene, più questa è autorevole per l’algoritmo.
Inoltre, quando cerchiamo informazioni online, lo facciamo spesso per confermare un’idea che abbiamo già e non per trovare idee nuove. E’ fenomeno favorito da un’altra delle regole fondanti della rete: la cosiddetta “bolla di filtraggio”. Più siamo esposti ad una certa visione del mondo, più ci convinciamo della nostra idea e più tendiamo a cercare conferme online. La personalizzazione delle nostre esperienze di navigazione ha creato una “bolla” in cui tendiamo a vedere sempre gli stessi contenuti, i contenuti che ci piacciono e che confermano le nostre preferenze. Gli algoritmi modellano quindi il nostro modo di fruire di contenuti creando un filtro che lascia passare soltanto ciò che rientra nelle nostre preferenze. Vi è la tendenza a ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da prestare maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità, a quelle che confermano le nostre convinzioni o ipotesi e, viceversa, ignorare o sottovalutare informazioni che le contraddicono. Il fenomeno, detto “baias di conferma” è quindi una distorsione (baias) ed è più marcato nel contesto di argomenti che suscitano forti emozioni o che vanno a toccare credenze profondamente radicate.
L’evoluzione della tecnologia quindi e le sue conseguenze sulla società hanno ribaltato la dinamica del rapporto medico-paziente.
L’obiettivo del medico oggi dev’essere quello di tornare al centro del processo di mediazione. Si tratta di ridurre l’impatto delle informazioni rinvenute direttamente dai pazienti attraverso gli algoritmi; non vanno rifiutate in modo pregiudiziale.
Come si recupera la mediazione? Recuperare la mediazione significa: consapevolezza rispetto al mondo digitale, far capire che noi medici conosciamo le dinamiche informatiche (algoritmi), segnalare ai pazienti fonti e contenuti autorevoli che rendano non necessaria ulteriori libere ricerche su Google. Segnalare community attendibili.
Come mettere in crisi il Dottor Google? Intervenendo prima. Prevenire è meglio che curare. Prima o dopo la visita – o comunque alla comparsa di un qualunque sintomo – il paziente farà una ricerca sul web. Ecco perché è opportuno indicare al paziente fonti di approfondimento affidabili e verificate, per evitare l’impatto con informazioni online incerte. Una nuova abitudine per il medico potrebbe essere quella di suggerire, insieme al trattamento, risorse digitali per informarsi sul tema.
“Dottore, perché non dovrei cercarle su Google queste cose?” è l’affermazione più frequente del paziente. Essere in grado di rispondere a questa domanda riattiva la funzione di mediazione. Va ribadito che ciò che compare in prima pagina su Google non è lì per ragioni di validità, ma solo per motivi tecnici. Questa affermazione può servire a smitizzare il motore di ricerca e dimostrare di conoscere come funziona la rete.
Se il paziente è ancora scettico, è possibile fare insieme a lui una ricerca su Google, per indirizzare la scelta dei risultati da consultare. Non esiste solo la ricerca su Google: i pazienti possono cercare community per confrontarsi sull’andamento della malattia. Vi sono community per patologie rare, per fibromialgia, per donne operate al seno, per l’endometriosi, ecc. Qui in generale si stringono relazioni attorno a contenuti. All’interno di un social network, di solito, si crea un proprio profilo, si seleziona una cerchia di persone (amici o contatti) e si condividono pensieri, immagini, video e stati d’animo. All’interno possiamo trovare contenuti autorevoli e scientificamente validati che competono con i contenuti di persone che esprimono il proprio stato d’animo o punto di vista. Oltre a profili di persone-utenti abbiamo pagine di aziende che propongono i loro prodotti, istituzioni, organizzazioni, associazioni anche mediche (SLOG, AOGOI, SIGO) ecc.
La diffusione di un contenuto in rete si chiama viralità. Quando un contenuto diventa virale, come un virus, si diffonde attraverso reti di contatti. Non esiste una formula per ottenere la viralità, ma esistono caratteristiche comuni dei post che diventano virali. Qualunque contenuto che produce e induce reazioni emotive ha ampie possibilità di diffusione virale.
Vi sono poi le fake news, notizie false che contengono informazioni inventate, ingannevoli, in grado di distorcere la realtà dei fatti. Vengono redatte con il solo scopo di disinformare, scandalizzare o ricavare un profitto, servendosi dei mezzi di informazione. Oggi, il mezzo su cui viaggiano maggiormente le fake news è il web, sfruttando soprattutto il potere della condivisione dei canali social, dove possono arrivare a diffondersi in maniera virale.
Gabrio Zacchè