La comunicazione materna

La comunicazione materna

 

 

La comunicazione è efficace solo se avviene in un certo momento e con certe caratteristiche. Non può essere postergato ciò che deve avvenire in una certa fase della vita. Alla nascita, ad esempio, è fondamentale un rapporto empatico tra madre e figlio. Un rapporto fatto più d’emozioni che di parole, da parte di una donna capace di non farsi trascinare dalla fretta e dalla convulsa vita moderna, ma in grado di mettersi in ascolto delle sensazioni, dei pensieri, delle emozioni dell’animo del bambino. Una donna, quindi, capace di mettere il proprio cuore accanto a quello del figlio, per capirlo e amarlo prima di tutto, dando delle risposte verbali e non verbali, affettivamente e razionalmente valide. Il bambino come tutti i cuccioli ha un gran bisogno della presenza della madre che lo coccoli, l’abbracci, lo culli, lo rassicuri, lo tenga vicino, come ha bisogno che qualcuno comunichi con lui, gli parli, l’aiuti ad allontanare con la sua confortevole realtà la paura del buio e del mistero.

 

 

La comunicazione materna dovrebbe essere calda, dolce, ricca di sentimenti amorosi e di vezzeggiamenti affettuosi, in modo tale da dare al bambino il senso della tenerezza, della sicurezza e dell’accoglienza. Dovrebbe inoltre poter sviluppare nel figlio quel ventaglio di sentimenti e di emozioni che ci rendono sensibili alle sofferenze altrui, partecipi delle difficoltà e dei problemi di chi ci circonda, disponibili all’aiuto a al sostegno reciproco.

La comunicazione materna inoltre così ricca d’elementi verbali dovrebbe poter trasmettere ai figli i bisogni, la storia, i valori e la cultura delle generazioni che ci hanno preceduto.

Il pianto è il primo mezzo di comunicazione del bambino, vi saranno poi altri strumenti di comunicazione più efficaci come i gesti, le espressioni del viso, le parole.

Attraverso il pianto il bambino comunica la fame o la sete, la sofferenza fisica e quella psicologica. La comunicazione che sottostà al pianto dovrebbe essere decodificata abbastanza facilmente da una madre capace e serena. In genere una buona madre capisce il suo bambino anche perché è già da vari mesi, molto prima che nasca, in comunicazione con lui.

 Una madre attenta e consapevole, infatti, sa entrare in empatia con il suo bambino, regredisce e comprende come se fosse lei stessa piccola come lui, per cui la risposta può essere la migliore possibile, la più pronta, la più efficace e coerente.

Eppure nella nostra civiltà della comunicazione molte madri non sembrano capire i bisogni del loro bambino, neanche quando questi bisogni sono espressi in modo chiaro ed esplicito, perciò le risposte sono spesso non coerenti con le richieste, contrastanti, molteplici, ricche d’ansia, ed in definitiva poco consone al problema e quindi poco produttive. Queste madri si comportano come quei cacciatori che sparano a tutto ciò che si muove senza colpire mai il bersaglio giusto.

Perché una madre può non capire?

L’immaturità.

Non aver raggiunto la maturità per essere madre, può essere un motivo. L’immaturità può essere causata da un’eccessiva giovinezza, da problemi psicoaffettivi che bloccano o fanno tardare lo sviluppo psicologico, da mancanza di esperienze e conoscenze dell’animo dei piccoli; anche nel mondo degli animali la femmina che diventa madre troppo giovane, o che non ha avuto le indispensabili esperienze e conoscenze da parte dei genitori e o degli altri animali del branco, spesso non riesce ad essere una buona madre, e quindi non riesce a capire e soddisfare i bisogni della prole.

Non avere la serenità necessaria per mettersi in ascolto e per entrare in empatia.

Anche questo dato si può ricavare dallo studio del comportamento animale.  Quelli di loro, che subiscono notevoli stress perché catturati, che vivono in gabbia o sono inseriti al di fuori del loro ambiente naturale, non sono nelle condizioni migliori per allevare i loro cuccioli.

La mancanza di serenità negli esseri umani, può nascere da problematiche inconsce

 non risolte, da carenze affettive, da esperienze infantili traumatizzanti o da problemi relazionali attuali che possono riconoscere come causa i dissidi o le difficoltà di intesa con il coniuge, i figli, gli altri parenti, i vicini.

 

I problemi o le necessità lavorative.

 Un eccesso di problemi e d’impegni può causare nella madre difficoltà nella comunicazione con i figli, a causa della focalizzazione del pensiero e dell’attenzione sulle attività e problemi connessi con il mondo del lavoro: contrasti con il datore di lavoro o con i colleghi, doveri cui far fronte, rendimento, qualità e quantità del lavoro da garantire, paura del licenziamento.

Scarsità di aiuto esterno nell’allevamento dei figli.

La scarsità o la mancanza di sostegni esterni, che dovrebbero proteggere e aiutare la madre che ha partorito e che affronta, soprattutto per le prime volte, il rapporto con un bambino piccolo, può portare a difficoltà nella relazione. Gli apporti esterni di tipo affettivo e culturale, sono indispensabili alla giovane madre in quanto la rendono capace, disponibile e pronta alla comunione e all’intesa, con il proprio bambino. Questi apporti dovrebbero venire da parte di un marito comprensivo, affettuoso, ma anche sereno e sicuro di se; così come anche da parte dei genitori, specie della propria madre, ci si aspetterebbe una presenza rassicurante, una guida serena, uno scambio prezioso di esperienze.

Nella nostra società, che vive convulsamente anche i rapporti più basilari e teneri, manca spesso l’apporto del marito a causa degli orari di lavoro rigidi o prolungati, come è carente il sostegno dei genitori d’origine, reso problematico a causa della loro lontananza fisica: spesso ciascuna delle due famiglie abita nella parte opposta della città o in una città diversa.

Si assiste, inoltre, al progressivo deterioramento dell’intesa e dell’aiuto tra le varie generazioni, che sarebbero invece importanti nella famiglia umana. Così come i giovani snobbano e rimangono lontani ed indifferenti nei confronti dei genitori per anni, a loro volta questi non si sentono coinvolti, come avveniva nelle famiglie molto unite, nell’aiuto e nel sostegno alle giovani coppie. “Se poco si dà, poco si ha.”

Mancanza o scarsa abitudine all’ascolto profondo.

Ciò, nella nostra civiltà, è spesso dovuto alla quantità e qualità di informazioni cui fin dalla più tenera età le giovani generazioni vengono sottoposte. Molto spesso le informazioni, numericamente eccessive, si sovrappongono l’una all’altra nella coscienza senza che l’ascoltatore abbia il tempo di analizzarle e sottoporle a critica efficace.  Inoltre, troppo intense, grossolane e superficiali nella loro qualità, non sono in grado di sviluppare le capacità di ascolto e di comunicazione delicate, sottili e profonde, necessarie per l’ascolto emozionale di un bambino piccolo.

  Le conseguenze del mancato ascolto.

Le conseguenze che si hanno quando un bambino piccolo non viene ascoltato o non si risponde in maniera corretta ai suoi bisogni ed esigenze, sono numerose.

Si va da una maggiore irritabilità e quindi un aumento del pianto e delle manifestazioni di insofferenza, alla chiusura, alla depressione, all’apatia o a disturbi psicologici di varia natura e gravità. Come hanno dimostrato varie ricerche, anche i cuccioli degli animali, se non capiti dalla madre, rifiutano il cibo, diventano irritabili, aggressivi o nei casi più gravi si lasciano morire. L’attaccamento ed il dialogo profondo madre – bambino è pertanto essenziale alla crescita sana e vigorosa di ogni essere complesso che si affaccia alla vita.

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