L’Italia tra il paese legale e il paese reale

L’Italia tra il paese legale e il paese reale

Relazione del Presidente del Forum delle Associazioni Familiari

Autore: Gianluigi De Palo

 

 

Una premessa sul ddl Cirinnà

 

Il ddl in questione non piace a nessuno. Il Forum in questi giorni ha detto chiaramente che è scritto male e che sarebbe bene anche evitare di portarlo in Senato. Per la prima volta tutte le Associazioni hanno manifestato la loro assoluta contrarietà per una serie di ragioni:
 

Da una parte, lo stesso testo normativo riconosce le unioni civili non come famiglie ma come formazioni sociali ovvero come normali associazioni tra persone; dall’altra, ne dispone la disciplina rinviando espressamente al diritto di famiglia.
In concreto, ferma restando la differenza formale, il ddl Cirinnà opera una sostanziale assimilazione delle unioni civili alle famiglie, con ciò modifica la definizione di famiglia data dalla Costituzione.

 

 

Altra questione che rende la presente discussione paradossale è la vicenda della c.d. stepchild adoption ovvero della possibilità di una persona di adottare il figlio biologico del proprio partner. In pratica, si vuole estendere la disciplina delle adozioni anche a chi famiglia non è, e ciò senza quelle garanzie per il minore, che impongono alle coppie sposate, particolari e assai severe procedure nelle pratiche di adozioni.
In pratica, mentre una famiglia sposata deve sottoporsi a un iter procedimentale a tutela del supremo diritto del bambino ad avere un papà e una mamma, lo stesso diritto non sussiste per quei partner che si sono “procurati” un figlio attraverso tecniche procreative magari in violazione di leggi italiane (vedasi l’utero in affitto).
Andiamo oltre la semplificazione Family day si, Family day no
Il dibattito in corso, anche nel mondo cattolico, è molto variegato. Purtroppo la radicalizzazione mediatica cerca di operare una semplificazione dannosa. Tutto sembra ruotare attorno al dualismo piazza sì, piazza no, Paese reale e Paese legale.
In queste ore è in atto sui social e sui giornali la lotta dei numeri.
Quale piazza era più piena?
Sabato il sottoscritto sarà in piazza, ma credo che l’occasione fornita dalla situazione attuale, se utilizzata bene, potrebbe non solo riuscire a fermare l’ennesima e inutile fuga in avanti, ma anche aiutare a rilanciare il tema famiglia nel dibattito politico.
Insomma l’auspicio è che oltre a parare i rigori come è accaduto nel 2007 fermando i Dico speriamo, sabato si riesca anche a mettere al centro dell’agenda politica la famiglia e la nuova urgenza della natalità.

 

Il Paese reale

Già nel 2011 il Progetto Culturale della Cei poneva l’accento sulla questione demografica.
Nella sua introduzione al volume “Il cambiamento demografico”, il Card. Ruini affermava:

“Sebbene già nel 1985, quando la diminuzione delle nascite non suscitava ancora alcun interesse o preoccupazione nelle istituzioni e nell’opinione pubblica”, i vescovi dell’Emilia Romagna anticipando i tempi pubblicarono “un documento, dal titolo Una Chiesa che guarda al futuro, nel quale denunciavano l’andamento demografico gravemente negativo di quella regione”.
Un anno prima, nell’assemblea della CEI del maggio 2010, il Presidente Card. Bagnasco diceva: «L’Italia sta andando verso un lento suicidio demografico» e servirebbe una politica più incisiva a favore delle famiglie, in particolare difendendo «il matrimonio tra un uomo e una donna che rappresenta un bene inalterabile» e introducendo «il quoziente familiare, l’innovazione che si attende e che può liberare l’avvenire della nostra società».
Parole che, basta vedere il presente, sono state disattese completamente. Con l’aggravante di una crisi demografica ancora più drammatica. Vediamo alcuni numeri…
Il dato più recente sulle nascite è quello riferito al 2014, con un valore medio di 1,39 figli. per donna. Notizia di qualche settimana fa: sceso a 1,37!
In valore assoluto i nati nel 2014 sono stati pari a 509 mila, il valore più basso dall’Unità d’Italia! Un valore pari circa alla metà del numero di bambini che nascevano negli anni Sessanta.
Come conseguenza di queste dinamiche il numero delle nascite si sta sempre più inabissando sotto quello dei decessi. Dal 2007 il saldo è persistentemente negativo: da -7 mila unità nel 2007, a -25 mila unità nel 2010, fino a -86 mila nel 2013. Un divario destinato ad ampliarsi nel tempo come evidenziano le previsioni Istat, fino a portare le nascite di cittadini italiani a diventare la metà rispetto ai decessi.
Alcuni studiosi affermano che negli ultimi decenni del XX secolo siamo entrati in una nuova fase, in cui “l’onere della prova” si è invertito. Se prima, infatti, di default si mettevano al mondo dei figli, mentre il non farli nasceva da una scelta maturata solo alla luce di ostacoli subentrati, ora la condizione di partenza è l’assenza di figli e, al contrario, aprirsi alla vita richiede una scelta deliberata e consapevole supportata da condizioni positive.

Ne consegue che se un paese vuole diminuire le nascite, non deve disincentivare le persone a fare figli, basta non metterle nelle condizioni adatte per averli.
Ricordiamo inoltre che il numero medio di figli nel 1978 è sceso sotto il valore di 2 (considerato il livello di “rimpiazzo generazionale”), il che mostra chiaramente che, ormai, da quasi quarant’anni facciamo meno figli rispetto a quanti ne vorremmo e a quanto sarebbero necessari per un esatto ricambio generazionale.
Senza dimenticarci che l’Italia detiene un record preoccupante: rispetto alla Germania, infatti, il nostro Paese è quello che da più anni ha il tasso di fecondità più basso.

Un primato di cui non vantarsi. Pericoloso e triste.
Quello che desta maggiore preoccupazione è il fatto che una popolazione con una fecondità al di sotto dei due figli, non solo diminuisce, ma lo fa erodendo pericolosamente la  popolazione dal basso, ovvero sottraendo le nuove generazioni. Più si riduce la fecondità media sotto i due figli per donna e più quindi si produce uno squilibrio sulla struttura demografica della popolazione con un peso delle vecchie generazioni – che vivono sempre più a lungo – che sovrasta le nuove generazioni – numericamente sempre più esigue.
Come afferma il Professore Rosina dell’Università Cattolica: “La demografia è lenta ma implacabile!”.
Nonostante il tasso di fecondità abbia toccato il suo valore più basso, pari a 1,19 figli per donna, nel 1995, tuttavia, agli inizi degli anni duemila, anche e soprattutto grazie all’immigrazione, è tornato a salire fino agli attuali 1,46 figli nel 2010.

Immigrazione
E qui, sempre a proposito di Paese reale non possiamo fare finta di niente.
L’immigrazione svolge e, che ci piaccia o no, svolgerà certamente un ruolo cruciale per il nostro paese nel futuro. Senza di essa i nostri problemi di sostenibilità economica e sociale sarebbero notevolmente più grandi. Ma anche se non può essere considerata la soluzione delle fragilità demografiche dell’Italia (basti tener conto che la stessa fecondità delle donne straniere, pur essendo superiore a quella delle donne italiane, tende a convergere al ribasso con quella italiana), sinora è stata di grande aiuto mantenendo le nascite si mantengono al di sopra delle 500mila unità.
Tft= tasso di fecondità
In questi anni i flussi migratori sono stati efficaci nel frenare il declino della popolazione italiana, ma tutti gli studiosi affermano che difficilmente riusciranno a farlo anche nei prossimi decenni. Ancora il Prof. Rosina afferma con un immagine immediata: “E’ come immettere acqua dall’esterno in una vasca con una falla che si allarga sempre di più”. 

 

Giovani, lavoro e precarietà
Le nuove generazioni sono il bene a cui una società sana e con un’idea di futuro dovrebbe guardare con più attenzione.
Non è un caso, infatti, che la Chiesa Italiana abbia messo al centro della sua riflessione decennale il tema dell’educazione. La solidarietà intergenerazionale, infatti, è uno dei pilastri della DSC.
Anni Tft italiane Tft straniere Tft totale
2011 1,30 2,04 1,39
2012 1,29 2,37 1,42
2013 1,29 2,10 1,39

Leggendo i dati, però, ci accorgiamo che il sistema Italia è da troppo tempo in crisi rispetto alla produzione del bene più prezioso.
I dati del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo di Studi Superiori evidenziano come i ventenni non rinuncino a pensare di poter formare una propria famiglia e la vedono formata mediamente di due figli e oltre. Anche quando si chiede, oltre al numero ideale, quanti figli si pensa realisticamente di avere, tre giovani su quattro rispondono due o più. Solo una marginale minoranza (attorno all’8%) pensa di non averne del tutto.
Questo significa che se questi giovani fossero semplicemente aiutati a realizzare i propri progetti di vita, la denatalità italiana diventerebbe un problema superato.
Quindi l’obiettivo di riportare la fecondità vicino all’equilibrio generazionale, non è impossibile perché non si tratta di convincere le giovani coppie a far figli ma semplicemente di metterle nelle condizioni di realizzare meglio e con più successo i propri obiettivi di vita, i propri sogni! Che, lo studio è chiarissimo in tal senso, comprendono una famiglia, addirittura con 2 o più figli.
Tuttavia, come spiega sempre il Prof. Rosina, il fatto che le giovani coppie italiane vogliano avere due figli non vuol dire necessariamente che la politica debba impegnarsi a raggiungere tale obiettivo. Se ogni cittadino volesse due automobili o ogni coppia volesse due case, non per questo la politica dovrebbe ricalibrare le sue priorità in vista di questo desiderio dei cittadini. Vale anche per i figli? No, perché i figli non sono un bene commerciale a solo uso privato dei genitori. Le nuove generazioni sono la componente più preziosa per alimentare un processo di continuo miglioramento del benessere collettivo.
Un paese che riduce in questo modo la presenza quantitativa delle nuove generazioni e non promuove efficacemente la loro inclusione nella società e nel mondo del lavoro, è destinato a farsi del male da solo indebolendo la propria spinta verso il futuro, impoverendosi inesorabilmente e vedendo aumentare le disuguaglianze.
Il grande fallimento della politica italiana negli ultimi quarant’anni è stato quello di non riuscire a mettere in campo un sistema di welfare in grado di sostenere e incoraggiare scelte allo stesso tempo desiderate a livello individuale (come abbiamo visto dai sogni delle nuove generazioni) e virtuose a livello sociale (Del Boca 2009).
E così, oggi, ci ritroviamo dentro una spirale negativa caratterizzata dal continuo rinvio delle nascite e dalla revisione al ribasso del numero dei figli. Questo ha accentuato l’invecchiamento della popolazione, l’aumento della forbice tra occupati e anziani inattivi, l’aumento dei costi previdenziali e sanitari e l’inasprimento della pressione fiscale per la popolazione attiva. E, per la scarsa lungimiranza delle sue politiche, l’Italia, come ben noto, si trova ad essere uno dei paesi più problematici rispetto a tutti questi aspetti (D’Addio, Mira
d’Ercole 2005).
Nonostante queste criticità, il sistema ha retto rispondendo alla crescita della popolazione anziana e alle necessità di cura attraverso un maggior carico sulla rete familiare (primo ammortizzatore sociale), ma anche questo tipo di risposta è arrivata tristemente all’epilogo, complici l’indebolimento e la riduzione dei legami di coppia (matrimoni in riduzione e sempre meno stabili/unioni civili) e la diminuzione dei figli vicini sui quali contare quando si diventa non più autosufficienti (Sabbadini 2008).
Tanto la famiglia regge!
Tanto in Italia la famiglia non lascia mai nessuno indietro…
Tanto la famiglia è il primo ammortizzatore sociale…
Frasi ripetute più e più volte che tra qualche anno si scontreranno con la realtà di una famiglia che non riesce più a reggere, abbandonata a se stessa.
Quello che stranamente emerge, però, è che una fecondità vicina ai due figli per donna sembra essere compatibile con il modello di sviluppo delle società moderne avanzate. Non a caso, Paesi occidentali con orientamenti culturali e sistemi di welfare sensibilmente diversi, come gli Stati Uniti, la Francia e i paesi scandinavi presentano un tasso di fecondità superiore a 1,9 figli.
Diventa allora ancora più importante riflettere sulla specificità italiana dove nonostante non si siano mai fatte politiche familiari e fiscali, la coesione sociale regge e la famiglia è ancora un desiderio antropologico forte come dimostrano i dati sin qui esposti.
Altre due considerazioni. La prima: fino alla metà degli anni Novanta ha prevalso la fecondità realizzata prima dei 30 anni rispetto a quella in età successiva. Attualmente la situazione si è invertita, e l’apporto maggiore alle nascite proviene ora da madri con età superiore a 30 anni. Se infatti nel 1995 i nati da donne di età 30 e oltre erano meno del 50%, sono oggi più del 66%.
La seconda: un altro cambiamento storico è il sorpasso del nord rispetto al sud (Rosina, Caltabiano 2011). La ripresa della fecondità a partire dalla metà degli anni Novanta ha riguardato infatti solo le regioni centro-settentrionali. In quelle meridionali è continuato invece il declino senza alcuna inversione di tendenza.
Per questo un ruolo decisivo è svolto dalla condizione occupazionale. I dati confermano che avere un lavoro (non importa se autonomo, a tempo determinato o indeterminato) è considerata una pre-condizione indispensabile per iniziare a progettare di mettere al mondo un figlio, mentre la presenza di una stabilità occupazione è l’elemento cruciale per avere un figlio anche subito. Appare quindi chiaro che favorire un mercato occupazionale più efficiente nelle procedure di reclutamento, come indicano i giovani intervistati nell’ambito del “Rapporto Giovani” (Pais e Sironi, 2014), e che garantisca maggiori opportunità di raggiungere presto una relativa stabilità remunerativa, è un’azione che produrrebbe decisi miglioramenti non solo sul sistema produttivo ma anche sui progetti di vita delle nuove generazioni.

 

Matrimoni
Fa sorridere la gioia, il trionfalismo di alcuni media dinanzi alle notizie circa le tristi cifre sul calo dei matrimoni.
Se negli anni 1960/65: venivano celebrati circa 400 mila matrimoni, nel 2014 siamo arrivati a 189.765, di cui 142.754 ‘prime nozze.
Sul totale, i matrimoni celebrati con rito religioso sono 108.054 – poco oltre il 60% del totale.
Allarmanti sono anche i dati relativi alle separazioni e ai divorzi, sempre nell’anno 2014, rispettivamente 89.303 e 52.355. In costante aumento. Senza dimenticare il fatto che nel prossimo futuro aumenteranno ulteriormente, facilitati dal divorzio breve.
Cifre impietose che parlano da sole e che peggiorerebbero se passasse il ddl Cirinnà, in particolare nel comma secondo, quello sulle unioni civili eterosessuali.
Un’ emorragia difficile da arrestare.
Ma quello che preoccupa maggiormente è l’assoluta neutralità della politica a commentare queste cifre. Come se la famiglia non fosse un bene da tutelare, in grado anche di far risparmiare costi sociali… Come se il matrimonio fosse solo una consuetudine religiosa senza avere un valore sociale.

 

Il futuro
 2011 – 2065
Popolazione al 1° gennaio 60,6 milioni 61,3 milioni
Tasso di natalità (numero di nascite per
mille ab.) 9,2 8,3
Tasso di mortalità (numero di decessi per
mille ab.) 9,7 13,9
Speranza (aspettativa) di vita alla nascita 79,5 maschi 84,6 femmine 86,6 maschi
91,5 femmine
N° medio figli per donna 1,42 1,61
Età media 43,5 49,7
Popolazione 0-14 anni 14% 12,7%
Popolazione 15-64 anni 65,7% 54,7%

Quali riflessioni nascono dalla lettura delle previsioni demografiche? Senza alcun dubbio siamo consapevoli del fatto che la popolazione italiana sarà caratterizzata da una struttura per età in forte squilibrio perché diminuiranno le giovani generazioni e aumenteranno gli anziani.
Ancora più preoccupante, però, è il dato relativo all’indice di dipendenza che passa dal 52,3 all’82,8. Così come quello di dipendenza degli anziani che raddoppia: dal 30,9 al 59,7.
Un secondo fattore che deve essere osservato con attenzione è quello delle migrazioni: in Italia, il numero di cittadini stranieri è destinato a crescere (da 4,6 milioni nel 2011 a oltre 14 milioni nel 2065): l’incidenza della popolazione straniera rispetto a quella totale cresce dal 7,5% del 2011 al 23% del 2065.

 

Cause povertà
Come si diventa poveri in Italia? Ce lo spiega molto bene l’Istat, nell’indagine “La soddisfazione dei cittadini per le condizioni di vita”. Le due condizioni che fanno precipitare anche le famiglie in condizioni economiche semi-soddisfacenti verso la “deprivazione materiale” sono “la disoccupazione di uno dei membri della famiglia” e “la nascita di un figlio”. E questo è meno scontato. Basta la nascita di un figlio per sconvolgere un equilibrio economico faticosamente conquistato: “Il 10% di coloro che appartenevano a famiglie non deprivate nel 2010, in cui nel corso dell’ultimo anno si è verificata la nascita di un figlio, entra in grave deprivazione”.
Che vuol dire? Diciamo che non poter andare in vacanza mai, neanche per pochi giorni l’anno non significa essere poveri. Però certo, mettiamola così: ormai l’Italia è diventato un Paese dove una parte consistente delle persone che mettono al mondo un figlio di conseguenza non può più permettersi una minivacanza, non può riscaldare adeguatamente l’abitazione, non può pagare le bollette o l’affitto per tempo (percentuale passata dal 12,8% al 14,2%), non può permettersi un pasto a base di carne o pesce ogni due giorni (percentuale passata dal 6,7% al 12,3%).
Popolazione 65 anni e oltre 20,3% 32,6%
Indice di dipendenza strutturale (%) 52,3 82,8
Indice di dipendenza degli anziani (%) 30,9 59,7
Indice di vecchiaia (%) 144,5 257,9
Popolazione straniera al 1° gennaio 4,6 milioni 14,1 milioni
Incidenza della popolazione straniera 7,5% 23%

 

Ma quanto costa un figlio?
Traghettare un bambino dalla culla alla maggior età costa come comprarsi una Ferrari in California: si parte dai pannolini – fino a 1.050 euro l’anno per sei cambi al giorno – si transita da omogeneizzati, Dvd della Peppa-Pig, paghette (16 euro la settimana la media italiana), apparecchi per i denti. Uno scontrino dopo l’altro, il conto totale da zero a 18 anni è da brividi: 171mila euro (9.500 l’anno) a figlio per Federconsumatori, 180 mila per il Dipartimento statunitense all’Agricoltura di Washington.

Investimenti a fondo perduto che altri Paesi riusciranno a sfruttare meglio di noi. Come detto e come recentemente è stato ribadito anche da Ilvo Diamanti in una recente inchiesta su Repubblica, per la prima volta, dopo il biennio 1917-18, cioè dall’epoca della Grande Guerra, la popolazione residente in Italia, nel 2015, è diminuita. Di circa 150 mila unità, segnala il demografo Gian Carlo Blangiardo. D’altronde, noi invecchiamo in misura maggiore che altrove non solo per la caduta dei tassi di natalità e per l’aumento della mortalità, ma perché l’emigrazione colpisce anche noi. Sono partiti dall’Italia quasi 95mila italiani nel 2013 (secondo il Rapporto della Fondazione Migrantes), poco meno di 80mila nell’anno precedente. Molti più degli stranieri arrivati in questi anni. Si tratta, soprattutto, di giovani (fra 18 e 34 anni). In possesso di titolo di studio elevato. I nostri giovani, i nostri figli. Soprattutto se dispongono di un grado di istruzione elevato. E ambiscono a occupazioni adeguate. Se ne vanno. Praticamente tutti. Perché l’Italia non riesce a trattenerli. A offrire loro opportunità qualificanti.

Ma quanto spende l’Italia per la famiglia?

Il Fondo per i finanziamenti alle famiglie è sceso dal miliardo del 2007 a 45 milioni, un’elemosina. Gli stanziamenti sociali a favore di nuclei con bimbi sono l’1,6% del Pil, contro il 2,3% della media Ocse e il 4% della Francia. E nell’ultima legge di stabilità per la famiglia sono stati stanziati “ben” 5 milioni di euro! Una presa in giro.

 

Il Paese legale
La politica ha sempre più difficoltà ad interpretare e incontrare il Paese reale, quello concreto.
Le opinioni si formano sui giornali o sui social network, dove la pigrizia dei cittadini trova opinion leader in grado di semplificare, indirizzare, orientare. Sembra reale, ma è tutto virtuale. Quelle stesse persone, incontrate de visu, hanno atteggiamenti diversi.
E la politica è entrata in questo balletto. Non ascolta, non incontra, ha smesso di stringere mani.
Il mondo cattolico ha una grande e bella responsabilità.
Le parrocchie, nonostante le difficoltà, ancora incontrano le persone.
Le associazioni e i movimenti ancora risolvono problemi, si mettono al servizio. Ancora sono delle sentinelle, delle antenne che hanno il polso della situazione.
Oggi, basta vedere il dibattito di questi giorni, la politica è sempre più miope. Saltella di emergenza in emergenza senza riuscire ad interpretare i veri bisogni del Paese.
Un caso? Le unioni civili in Italia.
Basti pensare alle risposte delle amministrazioni locali: dal 1997 sono stati istituiti in circa 130 comuni italiani altrettanti registri sulle unioni civili. Bene, in quasi trent’anni si sono iscritte poco più di 2.000 coppie.
Alcune cifre che fanno sorridere: Cagliari dal 2012, 5 coppie lo 0,007 % degli abitanti.
Siena dal 2011, 5 coppie lo 0,02 % degli abitanti.
Trento dal 2006, 26 coppie (0,04%).
Pisa dal 1997, 55 coppie (0,12%).
Torino 165 coppie (0,036%).
Gubbio in 11 anni di registro, 1 sola coppia. Infatti è stato tolto!
Bologna 4 coppie, lo 0,001% degli abitanti.
Napoli 20 coppie, lo 0,002% degli abitanti.
Numeri incontrovertibili.
Stessa cosa sulla prossima urgenza italiana: il testamento biologico. Sembra che il dibattito parlamentare debba iniziare in primavera.
Anche qui numeri impietosi nei vari registri comunali.
Genova 170 firmatari, lo 0,029% della popolazione.
Cagliari 50 firmatari lo 0,0089%.
A Rimini in 700 hanno firmato per chiedere il registro affermando che si trattava di un’esigenza nazionale, ma alla fine lo hanno firmato solo in 7. Lo 0,0048% degli abitanti.
E potremmo continuare così anche su altri temi che l’opinione pubblica ci descrive urgenti ed importanti, ma che poi – alla fine – riguardano pochissime persone.

Pensiamo al ddl Cirinnà.
Questa legge interesserebbe, in concreto, dati Istat alla mano: 7.591 famiglie.
Come facciamo ad avere questo dato? Basta fare due calcoli: secondo i dati dell’ultimo censimento fatto in Italia (2011) esistono circa 17 milioni di famiglie. Per la precisione 16.648.000. Tra queste, 2.651.000 sono le famiglie mono-genitoriali (un solo genitore, con figli) mentre 13.997.000 sono le coppie che vivono in una condizione di stabilità il proprio rapporto sentimentale. Sono coppie con o senza figli. Sapete quante sono, tra queste, le coppie composte da un uomo e da una donna? 13.990.000, quindi quasi il totale. Le coppie dello stesso sesso certificate dal censimento 2011 sono 7.591.
Nel nostro Paese l’Istat certifica che ci sono almeno 529 coppie dello stesso sesso con figli che convivono. Il numero dei minori però può essere solo stimato. Se si pone il criterio di 1,5 figli (anche più della media nazionale) per coppia si sale a 793, se si ragiona invece su due figli per coppia si arriva a 1.058. Pur considerando così la quota dei bambini che vivono con coppie gay che hanno scelto di non dichiarare l’orientamento sessuale – il 15% secondo l’istituto di statistica – i risultati continuano ad essere infinitamente sotto 100mila.
Il vero problema risiede nel fatto che la politica è sempre meno territoriale. E il Paese legale, ormai, coincide con quello virtuale.
Con perdite di tempo e di energie preoccupanti.
Alla luce dei dati demografici di cui abbiamo parlato e a proposito di Paese reale e Paese legale, c’è, in questo quadro, chi afferma, anche da alte posizioni della classe dirigente italiana, che per fortuna facciamo pochi figli perché se fossero di più avremmo ancor più disoccupati.
Vedete quale scollamento dalla realtà?
In altri paesi, qualsiasi sia il tipo di governo in carica, esiste comunque una coerenza di interventi a favore della famiglia che non viene rimessa in discussione nella sua impostazione di fondo. In Italia, all’opposto, i vari governi di diverso orientamento politico hanno sempre e solo prodotto tante promesse e pochi fatti. All’interno della spesa sociale la voce riguardante “famiglia, maternità e infanzia” rappresenta solo il 4,2% contro il 7,5% medio europeo.
E’ quindi l’atteggiamento culturale e la visione strategica nei confronti delle politiche per la famiglia che vanno prima di tutto mutati.

 


Conclusione
In questi anni la voce della Chiesa Italiana è stata molto chiara…
Mons. Galantino: “Sembra quasi che oggi la famiglia composta da padre, madre e figli, la stragrande maggioranza, debba chiedere scusa di esistere”.
Card. Menichelli: “La nostra preoccupazione nasce innanzitutto da un dato di fatto incontrovertibile: si avverte il bisogno impellente di intervenire su una materia che riguarda un numero limitato di persone, e si fa poco per aiutare la famiglia. E mi riferisco al fatto che non si è mai introdotto il quoziente familiare per un fisco che tenga veramente conto della famiglia e del numero dei figli. Al fatto che ci sono tante situazioni nelle quali è un problema sposarsi e avere figli perché mancano un lavoro minimamente stabile e la casa. Al fatto che siamo il Paese con la più bassa natalità in Europa ma non mi sembra che ci preoccupiamo di
invertire questa tendenza, come invece hanno fatto, da decenni, Paesi che pure rivendicano in continuazione la loro ”laicità. Le unioni civili non mi sembrano una priorità. La priorità sarebbe aiutare sul serio le famiglie, in modo concreto”.
Card. Bagnasco: “Noi – ha proseguito – vediamo nelle nostre parrocchie una grandissima coda di disoccupati, inoccupati, di gente disperata che non sa come portare avanti giorno per giorno la propria famiglia”. “Di fronte a questa situazione – ha concluso – tanto accanimento su determinati punti che impegnano il governo e lo mettono in continua fibrillazione mi pare che sia una distrazione grave e irresponsabile”.
Negli ultimi anni abbiamo raccontato e difeso la famiglia concentrandoci, giustamente, sulla sua dimensione etico morale e antropologica.
Io per primo ho vissuto per parecchio tempo il tema famiglia dandogli un’accezione solamente identitaria.
Tuttavia negli ultimi tempi, complici alcune esperienze concrete e dolorose che ho vissuto in prima persona, quali la separazione di alcune coppie di amici molto vicini – amici di una vita, catechisti in parrocchia come me… la coppia più bella del mondo…- che tutto avresti immaginato tranne che si potessero separare, ho compreso che, oltre ad essere difesa, la famiglia va raccontata e proposta.
E questo è il modo migliore per difenderla.
Perché se la racconti non può non rimanerti simpatica.
Se la descrivi nella sua quotidianità, non ti sarà mai antipatica, ostile.
D’altronde, lo dico spesso, se mi sono sposato non l’ho fatto per il Quoziente Familiare o il Fattore Famiglia – che infatti in Italia non ci sono mai stati.
Non l’ho fatto per qualche agevolazione fiscale o perché me lo ha detto il parroco.
Mi sono sposato con Anna Chiara perché non c’era niente di più bello.
Non c’era niente di più bello…
È questa bellezza che la colora e la fa uscire dal grigiore sbiadito di chi, da una parte e dall’altra vorrebbe trasformarla in un concetto astratto e ideologico.
Un concetto che divide, invece che unire.
Tuttavia, oggi, fare famiglia, inutile negarcelo, è difficile.
Questo, lo abbiamo visto, è il Paese degli assegni familiari che non tengono conto del numero dei figli, ma della tipologia del contratto di lavoro.

Questo è il Paese degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione Italiana quotidianamente disattesi, e che, lo stiamo toccando con mano, cerca di svuotarli con la proposta delle unioni civili.
Questo è il Paese delle separazioni finte perché conviene…
Questo è il Paese di Francesco e Rita, trentenni di una parrocchia di Torino, che mi hanno scritto chiedendomi aiuto perché vogliono sposarsi, ma non hanno un lavoro e una casa…
Questo è il Paese di Niccolò e Sara che hanno deciso di tenere il bimbo aiutati dal Cav e che, pur volendolo, non si sposano perché altrimenti perderebbero il posto al nido e la gratuità della mensa…
Questo è il Paese che muore demograficamente e che se una famiglia mette al mondo un figlio rischia di diventare povera…
Insomma viviamo nel Paese in cui tutti si riempiono la bocca della parola famiglia, senza fare niente per aiutarla veramente.
E allora, mi domando e vi domando: ha ancora senso un Forum delle Famiglie in un Paese di questo tipo?
Nei giorni scorsi mi sono ritrovato a parlare con alcuni genitori di compagni di scuola di mio figlio Giovanni.
Giovanni è il primo figlio e ha 10 anni.
E tutti i papà e le mamme avevano la mia stessa preoccupazione.
Una specie di timer, una sveglia, un orologio inesorabile e angosciante.
Una bomba ad orologeria dal ticchettio quotidiano e fastidioso…
Tutti sapevano e sappiamo che raggiunta la maggiore età, quindi tra 8 anni circa, i nostri figli ci chiederanno di andare all’estero per provare a realizzare i loro sogni.
Già ne parlano tra di loro.

 

“L’Italia non ha sbocchi, papà, non ha futuro. Non c’è lavoro”.
Una frase che sempre più spesso i nostri figli dicono ai genitori.
E, ormai non importa, se puoi o non puoi permetterti un figlio all’estero. Lui ci va lo stesso.
“Un lavoretto lì si trova facile, papà. Ti prometto che non lascio gli studi…”.
Tristezza. E un senso di oppressione.
Non so i papà che conoscete, ma io non ho fatto un figlio per vederlo su Skype!
Non l’ho messo al mondo per viverci a migliaia di chilometri di distanza…
Io l’ho fatto perché non c’era niente di più bello al mondo.
L’abbiamo cresciuto, amato, educato e coccolato per starci insieme, per abbracciarlo…
Per vederlo crescere e realizzarsi…
Un conto è scegliere di andare all’estero scegliendolo, un conto è farlo per necessità.
Questo non è scegliere. Questo è emigrare perché il tuo Paese non ha a cuore i tuoi sogni, non sa che farsene della tua energia e della tua speranza…
E insomma, mentre parlavamo così con loro, lacrimoni negli occhi delle mamme e di alcuni papà, ho capito che, credenti o non credenti, appartenenti o non appartenenti ad una delle nostre grandi associazioni, i loro timori sono i miei timori.
Le loro angosce sono le mie angosce.
Le mie preoccupazioni sono le stesse che hanno loro.
Mio figlio e suo figlio sono la stessa cosa.
E ho capito che il tema famiglia è la grande occasione di dialogo che abbiamo con il mondo.
Perché tutti nasciamo in una famiglia e tutti, se usciamo dalle rivendicazioni ideologiche e siamo onesti intellettualmente, non possiamo che riconoscerle un ruolo fondamentale.

Ho capito che, proprio questo tema che, nel recente passato, ha creato divisioni, se incarnato, interpretato e raccontato nel modo giusto potrebbe essere l’ambito privilegiato nel quale aggregare tutti gli uomini di buona volontà.
Tutte le persone di buon senso…
E ce ne sono tante!
E allora, ho capito quello che siamo e perché lo facciamo.
Siamo la voce di 59.132.045 persone su 59.433.744 che, in Italia, secondo i dati Istat, vivono all’interno di una famiglia.
Ripeto: 59milioni100mila su 59milioni400mila…
Siamo la voce di quelle coppie che vorrebbero mettere al mondo un figlio, ma sanno che facendolo nel nostro Paese rischierebbero di andare sotto la soglia di povertà.
Siamo la voce di quelle mamme italiane che vorrebbero fare due figli e invece, a causa della mancata conciliazione tra lavoro e famiglia, sono costrette a farne 1,37 di media.
E siamo la voce anche di quelle mamme che devono nascondere i pancione che cresce per non essere licenziate dal datore di lavoro.
Siamo la voce di quel92% di giovani (tra i 18 e i 29 anni) che sogna di costruirsi una famiglia (addirittura desiderando 2 o più figli), ma che in Italia viene umiliato dalla realtà ed è costretto ad andare all’estero per realizzarsi.
E siamo la voce di quei giovani, anche delle nostre parrocchie, associazioni e movimenti che, ormai trentenni, vorrebbero sposarsi e invece convivono perché se si sposano aumentano i costi e non se lo possono permettere, coppie di fatto loro malgrado.
Siamo la voce di quelle famiglie italiane che non arrivano alla fine del mese perché costrette
a fare i conti con un fisco iniquo e vecchio che non tiene conto dei carichi familiari.
Siamo la voce di Francesco e Rita e Niccolò e Sara…
Siamo il Paese reale, quello sempre meno ascoltato e coinvolto nelle scelte politiche.

Quello che combatte ogni giorno con il sorriso contro quel Paese legale e virtuale…
Quello che la televisione, i giornali e i partiti non intercettano più.
Quella maggioranza silenziosa, reale e di buon senso che potrebbe far ripartire domani questo Paese perché è il welfare che funziona di più ed è addirittura gratuito.
Quelle cellule staminali – rigorosamente adulte, ci mancherebbe – che silenziosamente ritessono una coesione sociale che sta andando in frantumi…
Sono convinto che la nostra vera forza sia quella di rimanere ancorati alla realtà, alla
concretezza come ha detto Papa Francesco al Convegno di Firenze.
Dobbiamo tornare ad essere concreti e popolari.
E concreti non vuol dire schiacciati sul sociale.
Non vuol dire vendersi per qualche spicciolo di tasse in meno.
Concreti vuol dire essere tanto astuti da non trasformare la famiglia in un concetto ideologico e astratto.
Concreti vuol dire ascoltare, accogliere e incontrare anche quanti vorrebbero, ma hanno una difficoltà oggettiva a farsela, una famiglia.
Concreti vuol dire difendere la nostra visione antropologica non solo culturalmente, ma anche attraverso richieste oggettivamente giuste alla politica.
Uscire dalla contrapposizione sterile e ideologica…
Concreti vuol dire ristabilire l’ordine delle priorità.
Se la famiglia diventa una squadra per cui tifare e la rendiamo un concetto astratto e ideologico facciamo il nostro male.
Quello è il terreno dove il nemico, ammesso che un cristiano debba considerare l’altro un nemico, ci vuole portare per svuotare di significato le grandi cose che facciamo ogni giorno.

Per svilire i miracoli quotidiani delle nostre giornate familiari dove incastriamo decine di impegni in appena ventiquattro ore.
Quando le mamme riescono ad avere il dono dell’ubiquità: accompagnano un figlio al nuoto e nello stesso istante sono a riprendere la figlia a catechismo…
Dicevo: la forza del Forum deve essere quella di rimanere ancorati alla realtà, alla concretezza.
Un esempio? La cosiddetta ideologia del gender si sconfigge ricreando la gioia della partecipazione dei genitori negli organi democratici e decisionali delle scuole statali.
Pochi giorni fa, a Roma, insieme ad Age e Agesc abbiamo creato una lista indipendente che per la prima volta ha messo in rete centinaia di genitori, riuscendo a fare eleggere in 15
Istituti (quelli che dovevano rinnovare gli organi) una quarantina di mamme e papà.
Dico concretezza perché quei genitori non si occuperanno solo dei POF, ma anche delle finestre rotte, dei tetti in amianto, dell’approvazione di delibere scolastiche che tengano in considerazione una sorta di quoziente familiare per le attività extrascolastiche a pagamento…
Ed è su questi temi che sono riusciti a creare un consenso anche con chi non la pensava come loro.
È su questi temi che hanno ricevuto la fiducia degli altri genitori e delle altre famiglie che gli daranno carta bianca anche quando si tratterà di ammettere o non ammettere un progetto di quelli che, qui in questa sala, non ho dubbi, non piacciono proprio a nessuno!
Se tu aggiusti la finestra rotta da anni che costringe mio figlio a mettersi il giubbino in classe, io mi fido di te anche sulla scelta dei progetti alternativi.
Dobbiamo occuparci del Paese reale, di un’Italia demograficamente morta che non fa più figli nonostante il desiderio di paternità e maternità del suo popolo.
La demografia e una fiscalità più equa sono sicuramente tra le priorità, così come l’educazione.
Considerare i figli come bene comune è la vera rivoluzione di cui abbiamo bisogno e che dobbiamo cercare di far diventare una realtà.

Lo abbiamo visto dai dati sui giovani: se mettiamo le persone nella condizione di realizzare le loro aspirazioni più alte, i loro desideri, automaticamente avremo più famiglie, più figli e più comunità.
D’altronde, senza fare polemiche politiche che, adesso non servono a nulla, sono convinto che, se l’Italia oggi è come un terreno che non dà frutti, non è perché non sia potenzialmente fertile, ma principalmente perché è stato mal coltivato.
E allora compito del Forum sarà quello di porre dei temi capaci di aggregare tutti gli italiani.
Un Forum che non si preoccupi solo di difendere, di rispondere alle provocazioni, alle sollecitazioni del mondo.
Ma che sappia osare, ponendo interrogativi, facendo richieste concrete.
Mettendo bocca su ogni aspetto dell’umano.
Un Forum che provi a giocarsi la sua partita e la sua storia senza timori reverenziali, senza tatticismi sterili.
Un Forum consapevole del suo ruolo e della sua forza che non abbia argomenti tabù.
Che si interroghi senza paura di perdere la sua identità.
Che dialoghi, forte della sua storia e della sua visione antropologica, che se viene vissuta veramente e incarnata onestamente, come un abbraccio e non come una spada non allontana, ma avvicina alle persone.
La forza del Forum, come quella della Chiesa italiana, è la sua capillarità.
Non solo attraverso i Forum regionali, ma anche grazie alle singole associazioni locali.
Incontrare il Paese reale, ascoltarlo e formarlo è la sfida del futuro.
Una cosa è certa: non esiste oggi in Italia una realtà così variegata e con un potenziale aggregativo così grande.

Le circa 50 associazioni aderenti, infatti, rappresentano – ho fatto i calcoli – circa 4 milioni di famiglie. 4 milioni di famiglie aggregate in oltre 400 tra associazioni nazionali e locali.
Numeri importanti, calcolando che come minimo 4 milioni di famiglie equivalgono a circa 12 milioni di singole persone.
Numeri che dobbiamo riuscire a far contare maggiormente.
Numeri che dobbiamo declinare e raccontare meglio perché dietro ci sono storie e famiglie in carne ed ossa.
Ci sono piedi lavati ogni giorno, carne di Cristo amata quotidianamente.
In tal senso dobbiamo cercar di utilizzare la grande occasione delle nuove tecnologie non solo di più, ma anche meglio.
Cercando di non diventare megafoni del male, ma narratori di bene.
Il declino non è un destino ineluttabile e la crescita dipende da noi, a partire da quello che vogliamo essere e fare nei prossimi decenni.

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