Il dialogo tra i figli e i genitori

Il dialogo tra i figli e i genitori

 

 

La comunicazione è elemento fondamentale per lo sviluppo e la vita relazionale di moltissimi animali, ma soprattutto dell’uomo. Possiamo tranquillamente affermare che la nostra umanità genetica avrà il suo naturale sviluppo e acquisterà completezza, solo e in quanto qualcuno avrà comunicato con noi in modo efficace.

Per le madri più sensibili, più disponibili, più attente, più rilassate, più disposte alla relazione, la comunicazione con il proprio piccolo nasce già durante la gravidanza.

La presenza del figlio nell’utero materno, avvertita ancor prima dei movimenti del bambino stesso, come presenza di un altro, di altro da sé, ma connesso intimamente con il “sé” materno, porta istintivamente al dialogo, alla comunicazione, all’intesa e al rapporto tra la madre ed il bambino. Rapporto, intesa e comunicazione che si perfezionano e si completano nel momento in cui il nuovo essere umano fa sentire la sua presenza, con i  movimenti del corpo. Molte mamme e padri reagiscono a queste sollecitazioni del figlio con toccamenti e carezze dati al bambino attraverso l’addome. In tal modo comunicano le loro emozioni: la gioia nell’avvertire la sua presenza, il piacere di quell’intesa e attesa.

Ma questa comunicazione si completa e diventa molto più intensa, dopo la nascita. Attraverso le espressioni emozionali del viso, con significato di piacere, gioia, rabbia, dolore, disappunto, desiderio, ricerca, il bambino comunica alla madre i suoi bisogni, e non solo.

I bisogni di base del bambino li conosciamo molto bene: pulizia, cibo, calore, affetto, attenzione. Ma vi sono dei bisogni che dovrebbero essere altrettanto evidenti, ma che purtroppo, a volte, dimentichiamo: bisogno di dialogo, serenità, equilibrio, protezione; e ancora stimoli per lo sviluppo: stimoli per il linguaggio, per la motilità, l’affettività, la volontà, ecc..

Il bambino non chiede soltanto, ma cerca di soddisfare i bisogni dei genitori o di chi si prende cura di lui con amore. Per tale motivo dà generosamente amore, piacere, dialogo ed altre forme di gratificazioni. Fa ciò attraverso la modulazione delle espressioni del viso come il sorriso; attraverso le sue mani: le carezze i toccamenti i gesti; con la sua bocca, mediante i baci e le espressioni verbali. Si può facilmente immaginare quanto sia vera dal punto di vista squisitamente tecnico oltre che poetico l’esortazione di Virgilio al fanciullo ancora infante: “Incipe, parve puer, risu cognoscere matrem”.  Comincia bambinello a mostrare a tua madre di averla riconosciuta sfoggiando un bel sorriso.

In tal modo si ristabilisce un equilibrio tra ciò che si chiede e ciò che si dà e lo scambio diventa paritario. Come conseguenza di ciò vi è un benessere e un attaccamento reciproco, ed un vincolo emotivo stabile nel tempo.

Quando questo non avviene, quando l’intesa non si manifesta e lo scambio non si attua, può succedere quanto descritto da diversi autori: vi è un evitamento degli sguardi, ma anche dei toccamenti, degli abbracci dei sorrisi, con conseguente allontanamento e disagio reciproco. Disagio che può sfociare nella madre in ansia, depressione o aggressività manifesta verso il piccolo.

 Il bambino supera il trauma iniziale della nascita, la paura nei confronti del mondo e degli altri, la tentazione a chiudersi in se stesso, attraverso il dialogo. Sono, infatti, le persone che l’accolgono al mondo, soprattutto i suoi genitori e gli altri familiari che, con le loro attenzioni, con le carezze e con i baci, gli fanno avvertire di essere bene accolto. Gli fanno sentire con il loro amore che il mondo gli vuole bene, che il mondo è una cosa buona perché ricco di calore e di disponibilità nei suoi confronti. Quando i genitori, infatti, non riescono a comunicare al bambino attraverso i gesti e le parole il senso caldo dell’accoglienza, dell’affetto, della disponibilità, hanno il sopravvento la tristezza e la paura iniziale che lo possono spingere verso la chiusura e la depressione.

In un secondo tempo, sarà sempre il dialogo che permetterà al bambino di crescere e maturare sia nel linguaggio sia nelle capacità intellettive e cognitive. Sarà mediante un continuo scambio di esperienze e di valori che in lui si svilupperà il senso morale.

 Quindi l’aprirsi alla vita, la sua crescita e maturazione verrà solo se avrà accanto a sé dei genitori o in ogni caso esseri umani che si pongono nei suoi confronti in un rapporto dialogico stabile e continuo di maternità o paternità. Pur tuttavia, oltre che dei genitori avrà bisogno, per la sua crescita, di altre figure che gradualmente si aggiungeranno, ma non potranno sostituire le prime: i nonni, i fratelli, gli zii, i parenti e poi gli amici, gli insegnanti e infine i conoscenti. Tutti si dovranno rapportare con lui mediante un dialogo efficace.

LA COMUNICAZIONE MATERNA

La comunicazione è efficace solo se avviene in un certo momento e con certe caratteristiche. Non può essere postergato ciò che deve avvenire in una certa fase della sua vita. Alla nascita, ad esempio, è fondamentale un rapporto empatico tra madre e figlio. Un rapporto fatto più d’emozioni che di parole, da parte di una donna capace di non farsi trascinare dalla fretta e dalla convulsa vita moderna, ma in grado di mettersi in ascolto delle sensazioni, dei pensieri, delle emozioni dell’animo del bambino. Una donna, quindi, capace di mettere il proprio cuore accanto a quello del figlio, per capirlo e amarlo prima di tutto, dando delle risposte verbali e non verbali, affettivamente e razionalmente valide. Il bambino come tutti i cuccioli ha un gran bisogno della presenza della madre che lo coccoli, l’abbracci, lo culli, lo rassicuri, lo tenga vicino, come ha bisogno che qualcuno comunichi con lui, gli parli, l’aiuti ad allontanare con la sua confortevole realtà la paura del buio e del mistero.

La comunicazione materna dovrebbe essere calda, dolce, ricca di sentimenti amorosi e di vezzeggiamenti affettuosi, in modo tale da dare al bambino il senso della tenerezza, della sicurezza e dell’accoglienza. Dovrebbe inoltre poter sviluppare nel figlio quel ventaglio di sentimenti e di emozioni che ci rendono sensibili alle sofferenze altrui, partecipi delle difficoltà e dei problemi di chi ci circonda, disponibili all’aiuto a al sostegno reciproco.

La comunicazione materna inoltre così ricca d’elementi verbali dovrebbe poter trasmettere ai figli i bisogni, la storia, i valori e la cultura delle generazioni che ci hanno preceduto.

Il pianto è il primo mezzo di comunicazione del bambino, vi saranno poi altri strumenti di comunicazione più efficaci come i gesti, le espressioni del viso, le parole.

Attraverso il pianto il bambino comunica la fame o la sete, la sofferenza fisica e quella psicologica. La comunicazione che sottostà al pianto dovrebbe essere decodificata abbastanza facilmente da una madre capace e serena. In genere una buona madre capisce il suo bambino anche perché è già da vari mesi, molto prima che nasca, in comunicazione con lui.

 Una madre attenta e consapevole, infatti, sa entrare in empatia con il suo bambino, regredisce e comprende come se fosse lei stessa piccola come lui, per cui la risposta può essere la migliore possibile, la più pronta, la più efficace e coerente.

Eppure nella nostra civiltà della comunicazione molte madri non sembrano capire i bisogni del loro bambino, neanche quando questi bisogni sono espressi in modo chiaro ed esplicito, perciò le risposte sono spesso non coerenti con le richieste, contrastanti, molteplici, ricche d’ansia, ed in definitiva poco consone al problema e quindi poco produttive. Queste madri si comportano come quei cacciatori che sparano a tutto ciò che si muove senza colpire mai il bersaglio giusto.

Perché una madre può non capire?

L’immaturità.

Non aver raggiunto la maturità per essere madre, può essere un motivo. L’immaturità può essere causata da un’eccessiva giovinezza, da problemi psicoaffettivi che bloccano o fanno tardare lo sviluppo psicologico, da mancanza di esperienze e conoscenze dell’animo dei piccoli; anche nel mondo degli animali la femmina che diventa madre troppo giovane, o che non ha avuto le indispensabili esperienze e conoscenze da parte dei genitori e o degli altri animali del branco, spesso non riesce ad essere una buona madre, e quindi non riesce a capire e soddisfare i bisogni della prole.

Non avere la serenità necessaria per mettersi in ascolto e per entrare in empatia.

Anche questo dato si può ricavare dallo studio del comportamento animale.  Quelli di loro, che subiscono notevoli stress perché catturati, che vivono in gabbia o sono inseriti al di fuori del loro ambiente naturale, non sono nelle condizioni migliori per allevare i loro cuccioli.

La mancanza di serenità negli esseri umani, può nascere da problematiche inconsce

 non risolte, da carenze affettive, da esperienze infantili traumatizzanti o da problemi relazionali attuali che possono riconoscere come causa i dissidi o le difficoltà di intesa con il coniuge, i figli, gli altri parenti, i vicini.

I problemi o le necessità lavorative.

 Un eccesso di problemi e d’impegni può causare nella madre difficoltà nella comunicazione con i figli, a causa della focalizzazione del pensiero e dell’attenzione sulle attività e problemi connessi con il mondo del lavoro: contrasti con il datore di lavoro o con i colleghi, doveri cui far fronte, rendimento, qualità e quantità del lavoro da garantire, paura del licenziamento.

Scarsità di aiuto esterno nell’allevamento dei figli.

La scarsità o la mancanza di sostegni esterni, che dovrebbero proteggere e aiutare la madre che ha partorito e che affronta, soprattutto per le prime volte, il rapporto con un bambino piccolo, può portare a difficoltà nella relazione. Gli apporti esterni di tipo affettivo e culturale, sono indispensabili alla giovane madre in quanto la rendono capace, disponibile e pronta alla comunione e all’intesa, con il proprio bambino. Questi apporti dovrebbero venire da parte di un marito comprensivo, affettuoso, ma anche sereno e sicuro di se; così come anche da parte dei genitori, specie della propria madre, ci si aspetterebbe una presenza rassicurante, una guida serena, uno scambio prezioso di esperienze.

Nella nostra società, che vive convulsamente anche i rapporti più basilari e teneri, manca spesso l’apporto del marito a causa degli orari di lavoro rigidi o prolungati, come è carente il sostegno dei genitori d’origine, reso problematico a causa della loro lontananza fisica: spesso ciascuna delle due famiglie abita nella parte opposta della città o in una città diversa.

Si assiste, inoltre, al progressivo deterioramento dell’intesa e dell’aiuto tra le varie generazioni, che sarebbero invece importanti nella famiglia umana. Così come i giovani snobbano e rimangono lontani ed indifferenti nei confronti dei genitori per anni, a loro volta questi non si sentono coinvolti, come avveniva nelle famiglie molto unite, nell’aiuto e nel sostegno alle giovani coppie. “Se poco si dà, poco si ha.”

Mancanza o scarsa abitudine all’ascolto profondo.

Ciò, nella nostra civiltà, è spesso dovuto alla quantità e qualità di informazioni cui fin dalla più tenera età le giovani generazioni vengono sottoposte. Molto spesso le informazioni, numericamente eccessive, si sovrappongono l’una all’altra nella coscienza senza che l’ascoltatore abbia il tempo di analizzarle e sottoporle a critica efficace.  Inoltre, troppo intense, grossolane e superficiali nella loro qualità, non sono in grado di sviluppare le capacità di ascolto e di comunicazione delicate, sottili e profonde, necessarie per l’ascolto emozionale di un bambino piccolo.

  Le conseguenze del mancato ascolto.

Le conseguenze che si hanno quando un bambino piccolo non viene ascoltato o non si risponde in maniera corretta ai suoi bisogni ed esigenze, sono numerose.

Si va da una maggiore irritabilità e quindi un aumento del pianto e delle manifestazioni di insofferenza, alla chiusura, alla depressione, all’apatia o a disturbi psicologici di varia natura e gravità. Come hanno dimostrato varie ricerche, anche i cuccioli degli animali, se non capiti dalla madre, rifiutano il cibo, diventano irritabili, aggressivi o nei casi più gravi si lasciano morire. L’attaccamento ed il dialogo profondo madre – bambino è pertanto essenziale alla crescita sana e vigorosa di ogni essere complesso che si affaccia alla vita.

LA COMUNICAZIONE PATERNA

 

 Accanto alla comunicazione materna è da sottolineare quella paterna molto spesso misconosciuta, ma ricca di grandi valenze educative.

La comunicazione paterna è diversa nello stile: più asciutta, lineare, sostanziale, va diritta allo scopo.  E’ diversa nell’utilizzazione degli strumenti: l’uso del linguaggio è più scarno, meno ricco e variegato, rispetto a quello della madre, ma più sostanziale. I messaggi sono spesso trasmessi mediante l’uso di gesti, comportamenti, esempi da imitare.

E’ diversa negli scopi e negli obiettivi. Il padre stimola soprattutto all’azione, all’intraprendenza, alle attività competitive. Guida nella ricerca dell’essenzialità sia nell’esame dei problemi che delle situazioni. Cerca di sviluppare nei figli il coraggio, la lealtà, la coerenza, la determinazione, il senso dell’onore. Stimola il figlio alla necessità di ubbidire alle regole e norme sociali e familiari.

Il padre, inoltre, vuol far partecipe il figlio di necessità fondamentali per un essere umano, come il controllo delle emozioni, attraverso l’uso della razionalità e la necessità del sacrificio; amplia la sua visione ristretta ai bisogni attuali con la comprensione delle esperienze del passato e le necessità future; infine lo allena e gli dà gli strumenti necessari per raggiungere quella forza interiore indispensabile ad affrontare le frustrazioni e le difficoltà della vita.

 

 

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